La democrazia sotto ricatto
di Franco Cordero (la Repubblica, 13.07.2013)
Da vent’anni siamo preda d’una compagnia mercenaria. Se l’è assoldata Berlusco Magnus, monarca assoluto. «Nomina sunt omina» ossia indicano gesta passate e future: nel catalogo medievale nomi malfamati erano indizio ad inquirendum, come la «mala physiognomia»; e la radice «lusco» descrive modi obliqui.
Costui divorava mezzo mondo mescendo volgarità garrula, piagnistei, colpi a sorpresa. Sono tanti i trasgressori abituali. Lui configura una specie rara, anzi rarissima, essendosi ingigantito al punto da sfidare autorità e poteri, quasi invulnerabile: falsifica, corrompe, froda, plagia; inter alia, compra giudici; schiva le condanne perdendo tempo finché i delitti s’estinguano, essendosi tagliati i termini; già presidente del consiglio, costituisce fondi neri in paradisi fiscali, simulando passività.
Tale l’oggetto del processo dove ha subito due condanne milanesi (tribunale e corte d’appello), passando in giudicato le quali, sarebbe interdetto dai pubblici uffici: la causa pende davanti alla Cassazione; sarà discussa martedì 30 luglio. Alla difesa fanno comodo tempi lunghi, perché parte del reato s’estinguerebbe, ma la Corte era obbligata a prevenire tale evento. Il caso, dunque, sarà deciso sulla base degli atti, come avviene sempre.
Qui sta il punto: Sua Maestà rivendica privilegi d’excepta persona; rispetto a lui, non esistono norme; già l’accusa offende un tre volte benedetto dal voto popolare. Non valgono logiche giudiziarie: se i tali fatti siano avvenuti, corrispondano a modelli legali e l’autore debba essere punito; ragionando così i sacrileghi sminuiscono l’Unto. Provocatio ad populum.
Ha dello sbalorditivo che in pieno ventunesimo secolo favole simili corrano nell’Europa evoluta. Ottantanove anni fa dei sicari uccidono l’oppositore Giacomo Matteotti: il regime fascista rischia il collasso, sebbene comandi ogni leva; lo sporco affare finisce in un giudizio truccato, chiuso da condannemiti. Mussolini fingeva ossequio alla legge. L’Olonese se la mette sotto i piedi.
A che punto siamo regrediti, lo dicono gli schermi. Uomini del re parlano e gesticolano a gara. Pigliamone uno dal rango ministeriale (e portafoglio, infrastrutture): milita in Comunione e Liberazione, visita la Terrasanta; venera divum Berlusconem.
Mercoledì 10 luglio commenta l’accaduto: qualcosa d’orribile, «attentato alla democrazia»; tale essendo l’atto col quale «una parte della magistratura » tenta d’espellere l’uomo più votato dagl’italiani (che io sappia, non esistono decisioni deliberate dall’intero corpo), e via seguitando, più mimica stralunata. E nel merito della causa? Che domanda: è innocente, non potendo non esserlo; verità ontologica, direbbe sant’Anselmo.
Nel dialogo evade dai punti pericolosi eruttando suoni vaghi. E fosse respinto il ricorso? Impossibile, ipotesi aberrante, fuori del mondo, intollerabile. In molti casi, però, s’era salvato per il rotto della cuffia, risultando estinti i reati. Colpa dei giudici, imparino il mestiere, poi nega che la voliera d’Arcore contenga colombe e falchi: credono tutti nel Silvius Magnus; o meglio, salmodiano in posa da credenti (sarebbe interessante qualche scorcio dei dialoghi tra collocutori sans gêne).
Non era un capolavoro d’arte dialettica. Vi ricorreva la parola «storia», comune ad altre ugole: i Pdl hanno laringi collegate a un cervello collettivo; anche nel drammatico bisbiglio della Pasionaria risuonava lo stesso bisillabo. Qualcuno vuole dal premier una condanna dell’atto eversivo compiuto dalla Corte e lui resiste, gentiluomo equidistante: i Pd ortodossi «rispettano» le scelte giudiziarie, auspicandole tali da non turbare lo sterile idillio governativo; quando poi i partner chiedono tre giorni d’astensione dai lavori parlamentari, segnale polemico alla Cassazione, non è atto onorevole accordarne uno. Nessuno se ne stupisce. L’alambicco genetico fa degli scherzi.
Palmiro Togliatti, temprato nel pragmatismo staliniano, aveva idee chiare; e forbito umanista (disputava con Vittorio Gorresio sul gerundio nello Stilnovo), non avrebbe degnato Re Lanterna, al quale i discendenti parlano rispettosi, cappello in mano, ormai cugini d’Arcore. Vedine due. Massimo D’Alema, sibilante uomo d’apparato, implacabile contro i concorrenti; e Luciano Violante, alias Vysinskij, feroce pubblico ministero nei dibattimenti moscoviti 1936-38.
Non trascuriamo una componente craxiana: postcomunisti governativi distano poco da Fabrizio Cicchitto; in Sandro Bondi, venuto dal partito-chiesa, persistono invece cromosomi frateschi.
Conteremo i trasmutati dal voto sulla questione se B. fosse eleggibile. No, dicono norme più chiare del sole, ma esistendo accordi sotto banco, i partiti erano concordi nello svuotarle con una lettura da ubriachi, nel senso che l’incapacità colpisca solo i titolari della concessione, ossia Fedele Confalonieri, e l’effettivo padrone resti fuori causa, quando anche s’interessi alla gestione, come esemplarmente avveniva nel caso deciso dalla sentenza Mediaset.
Il voto pro B. (in perfetta mala fede) significherebbe: qui comanda lui; non importa che due elettori su tre lo rifiutino; gli oligarchi hanno deciso cospirando nella notte 19-20 aprile perché restasse al Quirinale l’assertore delle «larghe intese», utili solo al pirata. Voto sicuro, secondo gl’informati.
Toglieva ogni dubbio un’intervista 20 giugno, dove lo junior neocapogruppo Pd alla Camera afferma che tale sia la norma (rectius, lettura asininofraudolenta d’un testo), e molto applaudito ex adverso, sabato 13 luglio recita un autodafè: il Pd era «giustizialista», «sfrenatamente antiberlusconiano», non lo sarà più; inalbera l’insegna «garantismo » (in semiotica berlusconiana, impunità); annuncia anche una riforma in materia d’intercettazioni. Ha viso ed eloquio imperiosi questo giovane castigamatti del gruppo Pd, paternamente accudito da Pierluigi Bersani (icona e notizie in Wanda Marra, nel «Fatto Quotidiano, 9 luglio). Se i voti gli pesano e vuol perderne, l’infelice partito se lo tenga caro.
Metamorfosi nel Pd
di Franco Cordero (la Repubblica, 22.10.2015)
LA stella berlusconiana, apparsa nel cielo politico d’Italia ventiquattro anni fa, impallidiva da un lustro e forse va dileguandosi ma lascia effetti permanenti. L’ascesa incubava i semi del collasso: un megalomane in abiti e pose da gangster marsigliese, furbissimo, molto temibile ma fortunatamente corto d’intelletto, non diventa d’emblée statista; già la discesa in campo segnalava una coazione morbosa a riempire i palchi; avesse del raziocinio, starebbe tra le quinte; quando anche sappia il da farsi, lo fa per caso, perché in via principale coltiva affari suoi. Ad esempio, ordinandosi à la carte una piccola legge, liquida in 3 o 4 milioni i 300 d’un debito fiscale Mondadori. L’Italia berlusconiana deperiva a vista d’occhio in gaudioso marasma.
Le istantanee d’epoca presentano figure d’atlante antropologico. Vedile in Repubblica , 30 agosto 2011. Da sinistra siedono al tavolo Marcello Dell’Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino, gentiluomini P3: Dell’Utri, ora recluso in espiazione d’una lunga pena, scambia pensieri profondi col crinito leonino Denis Verdini, già macellaio, allora triumviro forzaitaliota e banchiere d’avventura (ivi, 2 settembre); l’ancora più avventuroso Carboni possiede discariche tossiche dalle quali cavare oro muovendo pedine politiche (ivi, 3 settembre). L’arte del corrompere è motore immobile del Brave New World: Berlusco Magnus vi regna; inter alia, ha bandito una crociata contro gl’inquirenti intercettatori, affinché gli affari delicati corrano sicuri nei telefoni.
Tali essendo i virtuosi fondamenti, non stupisce il sèguito. L’ Egomane cade, dimissionario, indi sfiora una clamorosa rivincita elettorale, ancora favorito dalla pantomima che riporta al Quirinale Neapolitanus Rex; ma nemmeno i santi possono salvarlo da una condanna irrevocabile (frode fiscale), perciò decade dal Senato nel quale aveva asilo, e sbaglia varie mosse: esigeva la grazia motu Praesidentis (sarebbe gesto irresponsabile); imponeva le dimissioni ai suoi ministri, stavolta disubbedienti; ogni tanto cambia idea e sostiene l’esecutivo.
Dovendo scegliersi un successore, designerebbe l’ex sindaco fiorentino, ingordo boy scout rivelato dalla Ruota delle Fortuna su Canale 5, ma non è ancora rassegnato a farsi da parte e rimangia il consenso al governo. Colpo rischioso: l’opposizione offre poche chances; i gregari marciavano nel deserto; la fedeltà era già incrinata da una secessione. Stava nel probabile che alcuni o molti cambiassero seggio, in cerca d’un futuro meno avaro. Offeso, li marchia felloni.
Era forse meno prevedibile che guidasse gl’infedeli lo scudiero Denis Verdini: triumviro eminente, interloquiva nelle questioni capitali, impersonando l’establishment d’Arcore, dove pulpiti, turiboli, boiardi genuflessi governano masse adoranti (intervista al Corriere della Sera , 15 luglio 2010); organicamente devoto, nella triste notte 4-5 novembre 2011 consigliava a Sua Maestà d’eclissarsi (c’erano anche Gianni Letta e Angelino Alfano); lo sapevamo intento a ritessere l’unità del partito.
Dev’essere stato un trauma in casa B. il voto sull’art. 2 del ddl relativo al futuro Senato. Forte gesto politico. In primo luogo conferma quel che sapevamo su Matteo Renzi: i discorsi d’ideologia gli entrano da un’orecchia ed escono dall’altra; dopo il famoso colloquio al Nazareno (santuario Pd) dichiarava «profonda sintonia» col decaduto, cultore d’idee singolari sulla legalità.
Stavolta parla scozzese: Verdini non è il mostro di Lochness; porta nove voti al nascente «partito nazionale» e i dissidenti cantano fuori tempo. I valori della sinistra? Dopo il bagno nel postcomunismo dalemiano a stento esisteva come nome vuoto. L’Olonese liquida gl’idoli ma ha punti deboli nella storia privata: colossali interessi gl’imbrogliano i passi in politica; ottant’anni pesano; commette gaffes; perde i carismi e quando appare il sindaco in pose d’ultimo grido, l’agnizione è fulminea. Ecce homo novus. Non lo sarebbe se conservasse maniere, icone, parole d’ordine, riti. Se n’è disfatto senza scrupoli. Il suo futuro è nel polimorfo schieramento postberlusconiano: forzaitalioti rimasti nella vecchia casa, gli esitanti, precursori «diversamente berlusconiani» e l’appena nata Alleanza liberalpopolare.
Verdini, già legato alla famiglia R. ratione loci et negotiorum, è insostituibile alchimista, arruolatore, Gran Visir. Da questo lato Renzi ha poco o niente da temere, mentre sarebbe inquieta la gestione d’un partito nel quale contino qualcosa esponenti della soi-disant sinistra. Il predecessore deve rassegnarsi ed è abbastanza scaltro da capire che rischio corra giostrando solo o male accompagnato. Lo junior resta in «profonda sintonia », quindi non lesina i corrispettivi: supponendo vacante il Quirinale, gliel’offre senza pensarvi due volte; l’abbiamo visto risoluto e cinico. L’incognita sta negli elettori disgustati, non essendo infallibili i trucchi studiati nell’Italicum. Insomma, s’è premunito, diversamente dal quasi omonimo tribuno romano.
Va meno bene all’Italia. Sotto i mirabilia quotidianamente annunciati, il «partito nazionale» ha pesanti contropartite in politica interna: la chiamano moderna democrazia liberale ma i «moderati » consorti esigono una linea lassista, anzi criminofila. Vedi lo scempio dei giudizi: assurdi termini mandano in fumo processi e delitti; la procedura diventa fuga dall’equazione penale. In lingua poetica, abitiamo una «terra desolata» (T.S. Eliot, The Waste Land): sviluppo economico, sensibilità etica, tasso intellettuale presuppongono una società le cui risorse siano equamente divise; in misura patologica qui se le divorano i parassiti. La Corte dei conti lo ripete invano. Lobbies intanate tra governo e parlamento lavorano sotto indecenti eufemismi.
La Carlassare lascia il comitato dei saggi
“Lo stop del Parlamento è una disfatta morale”
di Matteo Pucciarelli (la Repubblica, 12 Luglio 2013)
«Siamo alla disfatta morale, per favore lo scriva» dice Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista. Faceva parte dei 35 saggi per le riforme, ma dopo il blocco del Parlamento voluto dal Pdl ha deciso di dimettersi. Lo ha fatto inviando una lettera al ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, poi pubblicata sul sito di Libertà e Giustizia.
Professoressa, come mai questa decisione?
«Voglio fare una premessa: nella commissione mi sono trovata bene, anche con Quagliariello i rapporti erano e sono ottimi. Però qualcuno doveva pur fare qualcosa. Certe cose non succedono nemmeno in Africa, non so se ci rendiamo conto... ».
Quagliariello le ha risposto con un’altra lettera in cui spiega che è “prassi consolidata delle Camere deliberare una breve sospensione dei propri lavori per consentire ai parlamentari di un gruppo di partecipare ad attività di particolare rilievo”.
«Ci ho parlato con il ministro, era dispiaciuto per la mia scelta. Ma come costituzionalista sono sconvolta, si è oltrepassato ogni limite. La sospensione era in realtà un’intimidazione bella e buona verso la Cassazione. Bastava ascoltare le parole di Daniela Santanché mercoledì mattina. Certe regole devono necessariamente restare ben salde in questo Paese. Non potevo e non posso tacere di fronte a un atto di questo tipo. Sono sempre stata libera di poter dire come la pensavo nel corso della mia vita, faccio lo stesso anche adesso».
Dal punto di vista tecnico, da giurista, qual è stata la regola infranta?
«Si è infranto nel suo insieme lo spirito costituzionale. La maggioranza ha mostrato un’assoluta estraneità ai valori dello Stato di diritto, così pure il disprezzo per il costituzionalismo liberale e i suoi più elementari principi. Il bello è che poi si dicono tutti liberali».
I suoi colleghi della commissione invece come hanno commentato gli ultimi fatti?
«Non li ho sentiti. Ma noi siamo comunque un gruppo di persone messe lì a lavorare da questa maggioranza. A me dispiace andarmene. Però proprio perché la commissione è frutto delle larghe intese ho il dovere di manifestare questo dissenso. Soprattutto non comprendo il Pd: qualsiasi cosa gli chieda il Pdl loro la fanno, ma è mai possibile?».
Quindi a lei non piace questa maggioranza?
«Sono sempre stata convinta che questo governo non dovesse neanche nascere. Lo dico anche da un punto di vista politico-costituzionale, perché il percorso che ha condotto alla sua formazione mi è sempre sembrato - diciamo così - perlomeno dubbio».
Le sue dimissioni sono legate anche al fatto che si stesse discutendo al vostro interno del presidenzialismo?
«Assolutamente no e voglio che sia chiaro. È vero che quando mi fu proposto di far parte del comitato ero assai perplessa e indecisa se accettare o meno. Ma poi sul campo mi sono trovata molto bene. L’orientamento prevalente non era quello di una modifica in senso presidenziale».
E a che punto siete, anzi eravate, arrivati?
«C’era un accordo su come migliorare il funzionamento del sistema parlamentare. Ad esempio dando al premier la possibilità di revoca dei ministri, una sola Camera politica e il Senato organo territoriale. Quindi migliorare il sistema, ma senza andare verso il presidenzialismo».
La Urbinati pensa di lasciare i “saggi”
“Se il Pd salva Silvio io mollo tutto”
di Matteo Pucciarelli (la Repubblica, 13 Luglio 2013)
«Per ora continuo a combattere, ma se il Pd dovesse salvare Berlusconi allora mollo tutto», spiega la politologa Nadia Urbinati, anche lei nel gruppo dei 35 saggi per le riforme. Che si sono ridotti a 34 con l’abbandono dellacostituzionalista Lorenza Carlassare, in segno di protesta contro il blocco dei lavori parlamentari di mercoledì scorso voluto dal Pdl e avallato dai democratici.
Si è trovata d’accordo con la decisione della sua collega?
«Ci siamo parlate e scambiate delle mail. Sin dall’inizio la Carlassare aveva mostrato delle insicurezze e delle tensioni circa il nostro lavoro. Che in parte vivo anche io. Però penso che andarsene adesso significhi lasciare maggiori spazi e margini di manovra a chi nel comitato ha delle visioni diverse dalla nostra».
Quindi lei per ora resiste...
«Mi faccio questa domanda: lasciare il campo oppure presidiarlo? Non è il momento dell’intransigenza, almeno per me. Nonostante viva un tumulto interiore, in mezzo a due fuochi: i miei principi da una parte, il dovere di difenderli dall’altro».
Il gesto della Carlassare ha più che altro un valore simbolico. Lei dice: “I saggi sono frutto di questa maggioranza. E io in questa maggioranza non voglio più starci”. Cosa ne pensa?
«Vivo la stessa sofferenza. Mi sento un’anima in pena. C’è un Pd che non ci aiuta nell’essere coerenti con le nostre idee. Ci rende la vita difficile, non ci dà alcun supporto. È un partito diviso in bande armate, con milizie contrapposte in lotta. Si comporta nel peggior modo possibile. Proprio per questo non dobbiamo lasciare il campo a chi vorrebbe una riforma presidenziale».
Nel vostro gruppo in quanti pensano più o meno le sue, le vostre, stesse cose?
«Sa, non mi metto a contare... L’impressione comunque è che ci siano due dialettiche ben definite. Due schieramenti. Uno in difesa del parlamentarismo, che pure può essere migliorato e siamo lì apposta. Un altro, invece, per il semipresidenzialismo. I primi faticano molto, in questo contesto».
Qual è il limite che lei si pone, una linea oltre la quale non si va?
«Aspetto di vedere cosa succede con il pronunciamento della Cassazione. Se Berlusconi venisse condannato e se il Pd finisse per salvarlo, allora davvero basta. Sarebbe un atto di sfida ad un altro organo costituzionale senza precedenti».
Intanto il Pd ha presentato un disegno di legge per superare la legge 361 del 1957: sostituendo il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità. Così Berlusconi avrebbe un anno di tempo per decidere cosa fare, se restare senatore o se tenersi le aziende. Come giudica questa iniziativa?
«È una forma pilatesca che cerca di mettere insieme tutto e il suo contrario. Che sia il Pd a proporre scappatoie a misura per il potente di turno è assurdo».
D’Alema, Fini e B.: l’esercito dei Cavalieri
Tra spade e mantelle, ecco i politici, banchieri, militari, boss e boiardi di Stato nei 7 misteriosi ordini religiosi che il Vaticano e lo Stato italiano riconoscono
Palazzi, gioielli, biblioteche: chi si nasconde dietro i militari della fede e quante sono le organizzazioni che generano potere e relazioni
di Carlo Tecce (il Fatto, 13.o7.2013)
DA ORTOLANI A LA MOTTA GENTILUOMINI COL CONTO SANTO
Essere membro della famiglia pontificia, indossare il frac e il collare d’oro con le croci di San Pietro, ma soprattutto, avere un conto diretto allo Ior, è ciò che rende più ambita l’onorificenza di Gentiluomo di Sua Santità. Istituita nel 1968 da Paolo VI, la nomina è a discrezione della Santa Sede. Tra i Gentiluomini (si fa per dire) più noti compariva Angelo Balducci - ex provveditore alle Opere Pubbliche, arrestato in passato perché coinvolto nell’inchiesta sugli appalti del G8. Francesco La Motta - prefetto arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei fondi del Viminale. C’è anche Gianni Letta. In passato spiccava un altro massone, Umberto Ortolani, iscritto alla P2 di Gelli. Un’onorificenza tanto cara a Benedetto XVI, quanto inutile per Papa Francesco che preferirebbe abolirla.
IL POTERE PUÒ AVERE il difetto, per chi non apprezza il meticoloso schermo usato per copertura e blasone, e sembrare pittoresco, persino scherzoso. Un Cavaliere di un ordine religioso, armato di spadaccino e non obbligato a combattere, può evocare simpatia per l’ancestrale tradizione di appendere catene e croci d’oro al petto, di formulare motti, di indossare mantelle. Il passato ha deviato, dentro, accanto a fratelli e sorelle, sono capitati (?) malavitosi e delinquenti. I politici non hanno mai disdegnato l’onorificenza e pare assurdo pensare che sia per megalomania e vanità. Non ci sono questioni di destra e sinistra. I Cavalieri si ritrovano, possono vantare relazioni, così un boss diceva in un’intercettazione telefonica; possono organizzare un affare sensazionale, così monsignor Scarano, arrestato, preparava il ritorno in Italia di 20 milioni di euro assieme a un mediatore anch’egli devoto a San Giorgio, a Napoli ricco di adepti.
Il Vaticano ne riconosce quattro: il pontefice ne conferisce tre, Piano di Pio IX, San Gregorio Magno e San Silvestro Papa. Il Supremo Cristo e lo Speron d’Oro sono caduti in disuso, come vorrebbe Francesco per il rango di gentiluomo di sua santità che ha arruolato numerosi cattolici imbarazzanti e sotto inchiesta, dal boiardo Balducci al prefetto La Motta. La Santa Sede concede la protezione per l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che aveva il piduista Licio Gelli fra i grandi ufficiali. Gelli e non solo, militari e diplomatici, il riflesso massonico è quasi naturale, se non congenito. E tante abitudini ne danno testimonianza e forse prova. Lo Stato italiano legittima l’Ordine di Malta, di San Giorgio e Santo Stefano. Perché al Cavaliere piace sembrare senza macchia e senza peccato.
Non sappiamo quanti sono, i Cavalieri, religiosi, militari o laici. Sappiamo che gli ordini, riconosciuti, sono sette. Il Vaticano ne custodisce quattro, tre fanno riferimento al Sommo pontefice. Per lo Stato italiano ne esistono tre e quelli esterni al colonnato di San Pietro, forse, sono i più agguerriti. Hanno mitologie, tradizioni, simbolismi e rituali che se non fanno pensare ai tempi massonici vuole dire che siete di fronte a un plagio d’autore.
San Gregorio Magno Masi, Sarmi e Di Paola
Il collo va osservato. Nudo vuol dire povero. Il ricamo deve brillare, argento vivo. E il collo, pavoneggiante, deve sovrastare l’uniforme di panno verde, distesa sui pantaloni sempre di panno verde e velata di un fascione ancora d’argento. E lo spadino deve luccicare d’acciaio e i paramani devono incrociare simboli mistici, religiosi, esoterici. Così puoi riconoscere il Cavaliere di Gran Croce o il semplice Commendatore detto Commenda, eredi di quel gruppo di “personalità eminenti” che papa Gregorio XVI volle riunire dal 1 settembre 1831 per plasmare l’Ordine di San Gregorio Magno, il secondo per blasone in Vaticano, l’unico che rievochi la Legion d’Onore di Napoleone. Così, soltanto così, fra medaglioni rossi con santini e decorazioni militari d’impatto emotivo, puoi capire perché, in un salone rinascimentale e non certo in caverna, l’ex direttore generale Rai, Mauro Masi, potrebbe brindare con l’ex sottosegretario Paolo Peluffo. E l’amministratore delegato di Poste Italiane, Massimo Sarmi, potrebbe chiacchierare con il collega-fratello Arturo De Felice, il poliziotto a capo dell’Antimafia e l’ex ministro e ammiraglio, Paolo Di Paola. Benedetto XVI ha ringraziato e reclutato anche Gabriello Mancini, presidente della fondazione Monte dei Paschi di Siena. Mancini era stato generoso, la Fondazione aveva donato denaro utile e i giochetti contabili erano sacri, poteva e doveva entrare.
Capita, al nunzio apostolico e persino al pontefice di sbagliare o di confondere i buoni e i cattivi. Un’inchiesta di qualche anno fa, a Napoli, mise insieme, vicini nei rapporti pubblici e privati, camorristi, poliziotti e imprenditori e una corrente di informazioni riservate perché c’era un Commendatore, che poteva sapere, chiedere e ottenere. In nome di San Gregorio Magno. Perché la gloria, che si manifesta con placche d’oro massiccio appese al petto, non passa soltanto per i posteri. Un alfiere di papa Gregorio XVI può domare piazza San Pietro a cavallo e può dormire il sonno eterno in una chiesa. Ma l’estremo privilegio fu concesso anche al boss Renatino De Pedis.
Costantiniano di San Giorgio ”Mons. 500 euro” e Berlusconi
Il labaro di Costantino, l’imperatore. La spada a forma di croce, vita o morte. La missione, proteggere la Chiesa. La beneficenza, poveri e malati. Un patrimonio di 600 milioni di euro, case e terre. E il sovrano, il Principe Carlo di Borbone e Due Sicilie, Duca di Castro. Militari religiosi, monsignori e politici, giuristi e burocrati: l’Ordine costantiniano di San Giorgio ha il piacere di includere per il vizio di escludere. Il circolo unisce don Nunzio Scarano, arrestato, che voleva importare 20 milioni di euro con un elicottero privato e l’intermediario Giovanni Caranzio. Non poteva mancare Silvio Berlusconi, e chissà se rispettò l’investitura e reclinò il capo per accogliere il mantello di velluto che si stringe con un collare d’oro. L’ex ministro Franco Frattini ha penato anni prima di poter ricevere, e poi sfoggiare, la feluca di feltro nera che si rivolge al Signore con un tripudio di piumette di struzzo color petrolio. La croce deve battere in petto, sempre, per avere addosso il peso di un compito storico, rivoluzionario e mitologico, un miscuglio di tradizione, rituali e deviazioni elitarie.
A Napoli quel tipo di cintura e quel tipo di guanti fanno alzare la livella che rende uguali. Il cardinale Crescenzio Sepe, che gestiva bene il patrimonio immobiliare di Propaganda Fide e male le inchieste che l’hanno reso inquieto, detiene un posto, ma per un diritto più partenopeo che ecclesiale, più borbonico che vaticano. E di riflesso, per ragioni istituzionali, il governatore Stefano Caldoro. E per origini napoletane, l’ex prefetto Francesco La Motta, arrestato per i fondi al Viminale. Ma la Sicilia, la gamba mediterranea, non va mai trascurata. Anche Totò Cuffaro, ora in galera per mafia, ebbe l’onore di poter indossare i pantaloni di un blu fra la prugna e il curacao farciti di galloni in filo d’oro di 38 millimetri. I Cavalieri di Grazia o di Gran Croce hanno accolto il mite Corrado Calabrò (ex garante Agcom) che scrive poesie e l’inossidabile Pasquale De Lise, che non scrive poesie, ma ha occupato tante poltrone. Il presidente emerito Francesco Cossiga, appassionato di soldati e crociati, aeroplani (miniatura) e servizi (segreti), ne era affascinato.
Piano di Pio IX Guardie svizzere per Bobo
Umberto Bossi non si piegherà, non si potrà mai genuflettere dinanzi al delfino ingrato che, per supremo desiderio di Benedetto XVI, fu nominato Cavaliere del Sacro Ordine Piano, il più antico, il più ambito e il più esclusivo. Roberto Maroni va chiamato eccellenza e merita il saluto d’onore di guardie svizzere e gendarmi impettiti. Quando attraversa il colonnato di San Pietro, discendente di quella corte laica e non armata che volle Pio IX il 17 giugno 1847, Bobo deve indossare lo stellone a otto punte che sostituisce la croce, una fascia rossa e azzurra, rigida perché sottoposta al blasone di una placca che segnala il grado: oltre l’oro non c’è nulla. I Cavalieri portano al petto uno scudetto che racchiude il motto ottocentesco: virtus et merito e la sigla Pius IX. Il prestigio non ha eguali, superiore per tradizione e benefici, Maroni potrebbe passeggiare per il Vaticano e ricevere l’attenzione e il riguardo che spetta ai vescovi o ai cardinali. Il fascismo aveva ottenuto il riconoscimento pontificio - fra i primi ci furono Benito Mussolini e Galeazzo Ciano - ma Pio XII soppresse la dote nobiliare che poteva far elevare per sempre le squadracce nere perché si poteva tramandare per generazioni.
Il Sacro Ordine Piano ospita il presidente della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, che ne fu molto lusingato, seguirono Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Le istituzioni di più stretta osservanza politica non venivano ammesse, però il governo di Silvio Berlusconi ha conquistato tante stelle e tante medaglie: il Cavaliere per antonomasia, ovvio, poi Gianni Letta, Franco Frattini e Gianfranco Fini. Ma fu Massimo D’Alema a rompere l’embargo per i politici.
San Silvestro Papa Boss e imbarazzi
Quando fu arrestato per associazione mafiosa, ’ndrangheta esportata in Lombardia, il presunto boss Giulio Lampada chiamò a testimoniare il primo ministro vaticano, il segretario di Stato, il riflesso politico di Benedetto XVI, il cardinale Tarcisio Bertone. Il salesiano, qualche anno prima (2009), aveva firmato la nomina di Lampada a Cavaliere per l’Ordine di San Silvestro Papa, la categoria che premia i cattolici che eccellono con l’arte musicale, pittorica, scultoria e che, condizione irrinunciabile, servono con benevolenza la Chiesa cattolica. L’imprenditore Lampada gestiva una sala giochi. L’onorificenza vaticana non viene conferita senza un’istruttoria interna che verifichi meriti e qualità morali. L’Ordine di San Silvestro Papa, istituito nel 1841 da Gregorio XVI, rivisitò la Milizia Aurata, subì riforme e correzioni finché Giovanni Paolo II introdusse il rango di dame e legittimò la presenza femminile. Il pontefice arruola i Cavalieri e li governa, soltanto l’erede di San Pietro può essere il Gran maestro. L’uniforme è abbastanza spoglia, seppur la decorazione sia vistosa e preziosa. La croce di Malta contiene una raggiera d’oro e un medaglione con l’effigie di San Silvestro, il protettore. I colori ricorrenti sono il rosso e il nero. Furono ammessi i luogotenenti dei Carabinieri, Roberto Lai e Fiorenzo Leandri; l’ex ministro Sergio Berlinguer, cugino di Enrico; Roberto Paolo Ciardi, storico.
Santo Sepolcro La mafia e Contrada
Il conte Goffredo di Buglione liberò Gerusalemme, ma la crociata non è mai finita. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, fra leggende e furori, deve proteggere la città santa e onorare Cristo. Un compito che spettò persino a Licio Gelli, la mente P2, che poteva offrire un elaborato apprendistato massonico.
Sono militari e testimoni: “Il 17 giugno del 1099 l’esercito dei crociati - si legge sul sito ufficiale - dopo aver conquistato le città di Nicea e Antiochia, giunse a Gerusalemme, governata a quel tempo da Iftiker ad Daula, a capo di una guarnigione di arabi e sudanesi. Gerusalemme era ben fortificata, i crociati avevano scarse riserve d’acqua e non erano abituati al caldo della Palestina, che peraltro affrontavano vestiti di pesanti armature. Per poter espugnare la città, i crociati dovettero costruire delle enormi macchine da guerra in legno che consentirono loro di penetrare in Gerusalemme tra il 14 e il 16 luglio”. Il Vaticano e l’Italia riconoscono l’ordine laico nazionale che gestisce 60 parrocchie, 45 scuole, alleva 18.000 studenti e coccola 900 insegnanti, fa opera di carità e, in passato, faceva tanti errori.
Vent’anni fa, il collaboratore di giustizia Vincenzo Calacaro dichiarò: “’Mi fu detto che si erano riuniti elementi della Cupola palermitana, tra cui Mariano Agate e zu Totò (Riina, ndr) ed elementi dell’ordine di Santo Sepolcro (a cui sono iscritti uomini d’onore di spicco). Anche monsignor Marcinkus faceva parte di quest’ordine. Mi fu spiegato che il Papa voleva fare dei cambiamenti che avrebbero danneggiato non solo ambienti del Vaticano, ma anche interessi di Cosa Nostra. Ambienti del Vaticano ovviamente corrotti e collusi con Cosa Nostra”. Negli anni Novanta, a Palermo, si chiacchiera tanto dei custodi del Santo Sepolcro. C’erano avvocati, magistrati e malavitosi. Anche Bruno Contrada, numero 2 del Sisde, ne faceva parte. L’anno scorso, poco prima di lasciare l’incarico e divenire emerito, papa Benedetto XVI nominò Gran maestro il cardinale americano O’Brien. I Cavalieri del Santo Sepolcro, alfieri che possono e devono proteggere la Terra Santa, si distinguono per un collare e la tipica mantella bianca con la croce rossa.
Cavalieri di Malta Le poltrone in Vaticano
Il Sovrano militare ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta ha la fortuna di non essere una propaggine vaticana. E fa nulla che Ernst von Freyberg, costruttore di fregate militari, sia il presidente dell’Istituto per le Opere religiose e un gran dignitario di un ordine internazionale che celebra la carità. L’inglese Mattew Festing, ex maresciallo in campo al servizio di sua maestà, fu ricevuto con gli onori istituzionali da Renato Schifani, allora presidente del Senato. E non c’è mai una convenzione sanitaria fra gli italiani e i maltesi che non abbia un brindisi di buon augurio. Così pare normale che la Guardia Costiera doni all’ordine una motovedetta in disuso, può sempre tornare utile. E ancora non sorprende che Silvio Berlusconi, grazie a sapienti suggerimenti di Gianni Letta, non mancasse mai a un pranzo dei Cavalieri. Fra i quasi 12 mila affiliati che per il mondo offrono assistenza sanitaria, senza praticare troppo la teoria di volontariato, c’è anche Roberto Formigoni che ottenne l’agognata fascia per “l’instancabile attività, soprattutto in politica estera, di interventi umanitari”.
L’ex governatore lombardo si commosse: “Voglio esprimere la mia gratitudine, so bene il significato di questa investitura”. E chissà se Formigoni sia un Cavaliere di giustizia, di onore e devozione, di grazia magistrale o un semplice donato di classe. Il mantello nero fa la differenza, i politici e i burocrati sgomitano per averlo. Ogni tanto, a ritmo regolare, c’è un’inchiesta che manda in galera furbacchioni che mettono in scena la cerimonia solenne. Anche la ballerina romena RamonaBadescu fu raggirata. Qualche anno fa, Bobo Craxi rivelò che i maltesi potevano aiutare suo padre Bettino, prima di morire in latitanza: “Ringrazio Andreotti perché si prodigò per far rientrare in patria mio padre: tentò di fargli avere un passaporto dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e ne parlò con Ciampi”. Il patrono è il cardinale Paolo Sardi, un porporato di primissimo livello. I Cavalieri, che “difendono la fede”, sono invincibili perché a volte sono religiosi, a volte sono laici, a volte sono entrambe le cose.