Sulle ragioni della sorprendentte assegnazione del Nobel, nel sito, si cfr.:
UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani
Xanti Schawinsky, Sì, 1934 |
MI MANCA TOTO’. Testo di Stefano Benni
FLS
LE TECNOLOGIE DIGITALI E IL LEGAME SOCIALE. Il rimorso dell’incoscienza....*
Animali politici
Quando la solitudine genera i tiranni
Otto milioni e mezzo di italiani vivono soli
L’individuo separato, diceva Aristotele, o è bestia o è dio. Ma il rischio è di essere bestie al servizio di un dio
Eravamo un popolo, siamo una somma di egoismi, dunque più deboli rispetto alla stretta del potere dispotico
di Michele Ainis (la Repubblica, 03.09.2018)
Ci si può sentire soli vivendo in compagnia di sessanta milioni di persone? È quanto sta accadendo agli italiani: una solitudine di massa, un sentimento collettivo d’esclusione, di lontananza rispetto alle vite degli altri, come se ciascuno fosse un’isola, una boa che galleggia in mare aperto.
La solitudine si diffonde tra gli adolescenti, presso i quali cresce il fenomeno del ritiro sociale, altrimenti detto hikikomori. Diventa una prigione per gli anziani, la cui unica compagna è quasi sempre la tv. Infine sommerge come un’onda ogni generazione, ogni ceto sociale, ogni contrada del nostro territorio.
Ne sono prova le ricerche sociologiche, oltre che l’esperienza di cui siamo tutti testimoni: 8,5 milioni di italiani (la metà al Nord) vivono da soli; e molti di più si sentono soli, senza un affetto, senza il conforto di un amante o d’un amico. Così, nel 2015, Eurostat ha certificato che il 13,2 per cento degli italiani non ha nessuno cui rivolgersi nei momenti di difficoltà: la percentuale più alta d’Europa.
Mentre l’11,9 per cento non sa indicare un conoscente né un parente con cui parli abitualmente dei propri affanni, dei propri problemi. Non a caso Telefono Amico Italia riceve quasi cinquantamila chiamate l’anno. Non a caso, stando a un Rapporto Censis (dicembre 2014), il 47 per cento degli italiani dichiara di rimanere da solo in media per 5 ore al giorno. E non a caso quest’anno, agli esami di maturità, la traccia più scelta dagli studenti s’intitolava «I diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura».
Questa malattia non colpisce soltanto gli italiani. È un fungo tossico della modernità, e dunque cresce in tutti i boschi. Negli Stati Uniti il 39 per cento degli adulti non è sposato né convive; mentre l’Health and Retirement Study attesta che il 28 per cento dei più vecchi passa le giornate in uno stato di solitudine assoluta. Succede pure in Giappone, dove gli anziani poveri e soli scelgono il carcere, pur di procurarsi cibo caldo e un po’ di compagnia; o in Inghilterra, dove la metà degli over 75 vive da sola.
Tanto che da quelle parti il governo May, nel gennaio 2018, ha istituito il ministero della Solitudine, affidandone la guida a Tracey Crouch; ma già in precedenza funzionava una commissione con le medesime funzioni, inventata da Jo Cox, la deputata laburista uccisa da un estremista alla vigilia del referendum su Brexit. Insomma, altrove questo fenomeno viene trattato come un’emergenza, si studiano rimedi, si battezzano commissioni e dicasteri. In Italia, viceversa, viaggiamo a fari spenti, senza interrogarci sulle cause delle nuove solitudini, senza sforzarci di temperarne gli effetti. Quanto alle cause, l’elenco è presto fatto.
In primo luogo la tecnologia, che ci inchioda tutto il giorno davanti allo schermo del cellulare o del computer, allontanandoci dal contatto fisico con gli altri, segregandoci in una bolla virtuale.
In secondo luogo l’eclissi dei luoghi aggreganti - famiglia, chiesa, partito - sostituiti da una distesa di periferie che ormai s’allargano fin dentro i centri storici delle città.
In terzo luogo le nuove forme del commercio e del consumo: chiudono i negozi, dove incontravi le persone; aprono gli ipermercati, dove ti mescoli alla folla.
In quarto luogo l’invecchiamento della popolazione, che trasforma una gran massa d’individui in ammalati cronici, e ciascuno è sempre solo dinanzi al proprio male.
In quinto luogo e infine, la precarietà dell’esistenza: una volta ciascuno moriva nel paesello in cui era nato, dopo aver continuato lo stesso mestiere del nonno e del papà; ora si cambia città e lavoro come ci si cambia d’abito, senza trovare il tempo di farsi un nuovo amico, di familiarizzare con i nuovi colleghi.
Con quali conseguenze?
Secondo un gruppo di ricercatori della Brigham Young University, la solitudine danneggia la salute quanto il fumo di 15 sigarette al giorno: giacché provoca squilibri ormonali, malumore, pressione alta, insonnia, maggiore vulnerabilità alle infezioni. Altri studiosi (John e Stephanie Cacioppo, dell’Università di Chicago) mettono l’accento sull’aggressività dei solitari, le cui menti sviluppano un eccesso di reazione, uno stato di perenne allerta, come dinanzi a un pericolo incombente. C’è un altro piano, tuttavia, ancora da esplorare: la politica, il governo della polis. L’individuo separato o è bestia o è dio, diceva Aristotele. Ma nelle società contemporanee la solitudine di massa ci rende tutti bestie alla mercé di un dio.
Sussiste una differenza, infatti, tra solitudine e isolamento. La prima può ben corrispondere a una scelta; il secondo è sempre imposto, è una condanna che subisci tuo malgrado. Nell’epoca della disintermediazione, della crisi di tutti i corpi collettivi, della partecipazione politica ridotta a un tweet o a un like, questa condanna ci colpisce uno per uno, trasformandoci in una nube d’atomi impazziti. Eravamo popolo, siamo una somma d’egoismi, senza un collante, senza un sentimento affratellante. Dunque più deboli rispetto alla stretta del potere.
Perché è la massa, non il singolo, che può arginarne gli abusi. E perché il potere dispotico - ce lo ha ricordato Hannah Arendt (Vita activa), sulle orme di Montesquieu - si regge sull’isolamento: quello del tiranno dai suoi sudditi, quello dei sudditi fra loro, a causa del reciproco timore e del sospetto.
Sicché il cerchio si chiude: le nostre solitudini ci consegnano in catene a un tiranno solitario.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA "PROFEZIA" DI MARSHALL MCLUHAN: NARCISO E LA MORTE DELL’ITALIA. Il "rimorso di incoscienza" di Marshall McLuhan
LA CONCESSIONE PIU’ GRANDE. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre.
Federico La Sala
POLITICA
“Che gioia, è come vincere i Mondiali”
E dentro FI è sfida a chi esulta più forte
Dopo l’assoluzione di Berlusconi si sprecano i comunicati di vicinanza al leader
Gasparri: “Nella buona e nella cattiva sorte”. Squeri: ora una class action
di MARCO BRESOLIN (La Stampa, 18/07/2014)
«Respiriamo l’aria profumata della giustizia». «È stato come vincere i Mondiali». «Con te nella buona e nella cattiva sorte». Dopo l’assoluzione di Silvio Berlusconi, dentro Forza Italia è scattata la rincorsa al comunicato di solidarietà, al tweet di gioia, alla dichiarazione d’esultanza. A volte, forse, con toni fin troppo entusiastici.
Lettera dei senatori di Forza Italia: “Questa è anche la nostra vittoria, noi che ti abbiamo sempre conosciuto come l’uomo grande e generoso quale sei, l’opposto di quello disegnato da certe inchieste e da certi giornali”
Lettera dei deputati di Forza Italia: “Siamo orgogliosi di averTi per leader, ancora per cento anni! Ora respiriamo con Te l’aria profumata della giustizia”
Vincenzo Gibiino e altri 21 parlamentari: “Gli italiani liberi e onesti, che sin dal ’94 hanno sempre creduto in Silvio Berlusconi e in un futuro migliore, dopo 20 anni di persecuzioni oggi esultano vittoriosi come se l’Italia avesse vinto i mondiali. L’entusiasmo invade i loro cuori fino a stamane cupi e preoccupati, la speranza prende vigore sospinta da una gioia immensa”
Mariastella Gelmini, coordinatore lombardo di Forza Italia: “È una emozione fortissima. Quasi non ci speravo più”.
Simone Furlan, esponente di Forza Italia: “Come noi dell’Esercito di Silvio abbiamo sempre sostenuto, la vicenda Ruby era semplicemente assurda”.
Mario Mantovani, esponente di Forza Italia: “Una notizia che ci riempie di gioia e che non sorprende chi conosce il Presidente. Ma chi ripagherà lui ed il Paese per le violenze subite?”
Osvaldo Napoli, esponente di Forza Italia: “Berlusconi si vede restituito, anche in sede processuale, il diritto a parlare agli italiani con il vigore e la limpidezza di sempre”
Jole Santelli, deputata di Forza Italia: “Oggi c’è sollievo e affetto per Silvio Berlusconi come persona, un uomo umanamente straordinario”
Manuela Repetti, senatrice di Forza Italia: “Provo felicità per l’affetto nei confronti di una persona che finalmente viene sollevata da una sofferenza ancor più pesante per l’ingiusta condanna in un processo assurdo”.
Michaela Biancofiore, esponente di Forza Italia: “Emozione e soddisfazione sono i sentimenti che caratterizzano questi minuti tutti passati dalla notizia di assoluzione nel processo Ruby di Silvio Berlusconi . Sentimenti condivisi da tutto il popolo azzurro dal quale piovono messaggi di amore e felicità per Berlusconi”
Emilio Fede, ex direttore del Tg4: “Gli ho mandato subito un sms con scritto “Sono pazzo di gioia””.
Elena Centemero, deputata di Forza Italia: “Non cancella ciò che è stato fatto al nostro leader ma restituisce a lui e a tutti coloro che da anni lo sostengono la gioia della verità”
Paolo Romani, senatore di Forza Italia: “Voglio fare solo tre commenti: assolto, assolto, assolto”
Gianfranco Micciché, esponente di Forza Italia: “Berlusconi assolto per il caso Ruby. In confronto a lui i gatti sono uno scherzo: lui ne ha trenta di vite, non sette. Sono felice per lui”
Mara Carfagna, deputato di Forza Italia: “Ancora una volta i giudici che hanno sbagliato resteranno impuniti mentre per il cittadino lapidato mediaticamente la pena è stata scontata in anticipo”
Licia Ronzulli, esponente di Forza Italia: “La sentenza non cancellerà l’amarezza di tutti questi anni in cui il nostro leader è stato infangato ingiustamente, ma oggi è il momento di festeggiare”
Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia: “Sono lieto di essere tra coloro che sono rimasti accanto a Berlusconi nella buona e nella cattiva sorte, nei giorni delle condanne e delle dovute e tardive assoluzioni”
Francesca Pascale, compagna di Berlusconi: “È il giorno più bello della mia vita, ho pianto come una bambina. Giustizia è fatta”
Massimo Parisi, deputato di Forza Italia: “Solo la sua piena riabilitazione sanerà quel vulnus alla democrazia inferto non in nome della giustizia ma dell’odio politico”
Luca Squeri, deputato di Forza Italia: “Ci sarebbe da promuovere una class action dei moderati italiani per avere indietro ciò che gli è stato tolto in tutti questi anni di ingiustizie nei confronti del loro leader”
Mariano Apicella, cantante: “Assa fà a’ Maronna”.
Perché elogio l’antiberlusconismo
di Franco Monaco (l’Unità, 12 ottobre 2012)
Secondo un luogo comune invalso anche a sinistra non si deve indulgere all’antiberlusconismo. Mi è chiaro il senso di quella raccomandazione: le ossessioni, comprese quelle virtuose, accecano lo sguardo e inficiano la lucidità dell’analisi; non si devono demonizzare le persone che, in buona fede, sono incappate in quella fallace illusione; ci si deve meritare il consenso sulla base di una proposta declinata in positivo .... Sono perfettamente d’accordo. Ma a una precisa condizione: che quella lunga stagione, politica e non solo, segnata dalla ingombrante ipoteca di Berlusconi, non sia consegnata all’oblio. Che la lezione che dobbiamo ricavare da essa non sia precipitosamente archiviata.
Se ben inteso, a mio avviso, l’antiberlusconismo è una virtù. Per più ragioni. La prima è che l’uomo, con il suo smisurato sistema di potere, è ancora tra noi. Spesso ci si scorda che al Senato egli ancora dispone della maggioranza, che continua ad esercitare uno straordinario potere attivo o di interdizione, che ancora da lui, dalla sua iniziativa e persino dalle sue esitazioni, dipende la sorte della destra politica italiana, che il volume di fuoco dei suoi media tuttora non è minimamente intaccato, che il suo potere economico è ancora enorme e le sue disponibilità finanziarie pressoché infinite. Come attestano le indagini giudiziarie rosa e nere che lo riguardano. Ignorarlo sarebbe un errore ottico letale.
Seconda ragione: è d’obbligo tenere fermo il giudizio di valore ed esercitare l’arte della distinzione rispetto al ciclo berlusconiano. Taluni nuovisti anche a sinistra teorizzano che dovremmo metterci dietro le spalle la coppia berlusconismo-antiberlusconismo. Quasi fossero due mali equivalenti. Quasi che avere contrastato politicamente e culturalmente il Cavaliere fosse stato un errore o comunque un’esagerazione, un comportamento di stampo estremistico.
Sul punto, ricordo sempre la reazione insolitamente vivace e risentita di un uomo per indole mite e controllato come Leopoldo Elia, che respingeva l’accusa di antiberlusconismo come una sorta di ricatto dialettico irricevibile, come la più stupida e immotivata delle imputazioni: che colpa ne abbiamo, notava, se quel concentrato di anomalie che minano la democrazia e la vita morale e civile si condensa nominativamente in una persona, che porta un nome e un cognome? E’ un fatto, non una nostra costruzione artificiale.
Vi è una terza ragione: l’oblio e la rimozione delle distinzioni conduce a una narrazione fuorviante del passato politico recente che ha messo radici anche tra noi. Mi spiego: tutti i governi della cosiddetta seconda Repubblica andrebbero inscritti sotto la cifra del fallimento. Una falsificazione cui invece dovremmo reagire. Come si può onestamente sostenere che i governi nei quali figuravano Prodi, Ciampi, Amato, Napolitano, Padoa Schioppa, Bersani possano essere giudicati alla stessa stregua dei governi Berlusconi? Tale fuorviante narrazione non è priva di conseguenze per il presente e per il futuro. La sbrigativa e illusoria ricetta della rottamazione di tutto e di tutti affonda qui le sue radici. Ignora un paio di dettagli: grazie all’Ulivo la sinistra ha assunto per la prima volta la responsabilità del governo nazionale dopo mezzo secolo e ha portato l’Italia in Europa.
Ancora, la rimozione dell’antiberlusconismo e cioè della consapevolezza della marcata unicità del caso Berlusconi, non a caso osservato con un misto di curiosità, allarme e commiserazione fuori dei nostri confini, non è priva di conseguenze sul piano della visione del sistema politico. Si è inclini a decretare il fallimento del bipolarismo, cioè di una sana democrazia competitiva, anziché a considerare che appunto a quella gigantesca anomalia si deve il suo cattivo, concreto funzionamento.
E di conseguenza a rigettare il bipolarismo proprio quando esso, depurato dall’ipoteca di quell’anomalia, potrebbe dispiegarsi positivamente. O addirittura si è spinti a rinunciare alla politica democratica tout court per consegnarsi alla tecnocrazia, al mito del pensiero unico dal quale cavare la ricetta unica appaltata a chi dispone dei saperi specialistici.
Infine, smarrendo la precisa memoria della peculiarità del fenomeno Berlusconi, si può abbassare la guardia sui due profili di esso che possono perfettamente sopravvivere all’uomo e alla sua parabola politica. Cioè le tossine del berlusconismo che più o meno consapevolmente si sono depositate in noi. Due in particolare: il leaderismo, il cesarismo, le scorciatoie populiste che, pur sotto varie vesti, hanno preso corpo ben oltre i confini del suo partito e del suo campo; una concezione della vita prima e più che della politica ossessivamente mirata al successo, al denaro, al potere personale e di gruppo.
Può sembrare strano, ma, a mio avviso, non abbiamo riflettuto ancora abbastanza sulla devastazione prodotta dalla concretissima idea-forza inoculata da Berlusconi: quella che con il denaro ci si possa comprare tutto, tutti e tutte.
Giustamente ci siamo scandalizzati per i bunga bunga di un uomo di Stato, per le donne ridotte a merce e a tangente. Ma non ci scandalizziamo più abbastanza per la legione di uomini e donne che siedono in parlamento, cioè in una istituzione che riveste una sua sacralità, pronti a servire le cause più invereconde.
Il voto sulla nipote di Mubarak è solo la punta di un iceberg di diciotto anni di vita parlamentare ostaggio degli interessi materiali e delle spericolate vicissitudini di un uomo. Suscita sconcerto e irritazione lo spettacolo dei docili e spesso mediocri servitori da lui miracolati con posti, denaro e potere che oggi, a fronte della sua declinante parabola, cercano di mettersi in salvo. Così pure, lo confesso, mi lasciano basito i giovani «formattatori» del Pdl.
Di sicuro io sono all’antica e un po’ bacchettone, ma ancora non riesco a non provare sbigottimento di fronte a centinaia di parlamentari votati al servilismo e a giovani che tutt’ora guardano a Berlusconi come a un modello. Vi rilevo un che di mostruoso, l’ennesima testimonianza della profondità e dell’estensione di quelle tossine.
Berlusconi e la mafia
Comunicato di Magistratura Democratica sulle dichiarazioni del procuratore Grasso
di Piergiorgio Morosini (segretario generale di Magistratura Democratica) *
Ecco di seguito il comunicato del segretario di MD , Morosini :
Sono sconcertanti le parole del Procuratore Grasso quando afferma che il governo Berlusconi meriterebbe un premio per quanto fatto sul piano della lotta alla mafia.
Sui sequestri ci sono leggi collaudate già da qualche decennio e gli esiti positivi degli ultimi anni, in materia di aggressione ai patrimoni mafiosi, sono dipesi dallo spirito di abnegazione e dalla capacità professionale delle forze dell’ordine e della magistratura.
Dobbiamo ricordarci, piuttosto, che la denigrazione sistematica del lavoro dei magistrati non può essere certo annoverata tra le azioni favorevoli alla lotta alla mafia.
Il Codice Antimafia, poi, varato nel biennio 2010-2011, a detta di esperti, a livello accademico e giudiziario, brilla per inadeguatezze e lacune.
Inoltre, il governo Berlusconi non ha fatto nulla in tema di evasione fiscale e lotta alla corruzione che sono i terreni su cui attualmente si stanno rafforzando ed espandendo i clan.
Per non parlare delle leggi che hanno agevolato il rientro in Italia di capitali mafiosi nascosti all’estero e della mancata introduzione di norme in grado di colpire le alleanze nell’ombra tra politici e boss. Si aggiunga che non c’è stata nessuna novità in tema di lotta al riciclaggio e ci sono stati reiterati tentativi per indebolire il decisivo strumento investigativo delle intercettazioni.
In altri termini, la politica antimafia del centrodestra ricorda molto il titolo di un noto brano del cantautore emiliano Ligabue “Tra palco e realtà”: tanti proclami e poca sostanza".
Piergiorgio Morosini (segretario generale di Magistratura Democratica)
* Il Dialogo, Lunedì 14 Maggio,2012
Il regno dei barbari
L’era moderna in Italia è finita, dice Scalfari Ma la vera domanda è un altra: sono gli invasori incolti ad aver vinto o è la sinistra ad aver perso?
di Nicola Tranfaglia (l’Unità, 18.05.2010)
Eugenio Scalfari, ospite in una trasmissione televisiva per il suo ultimo libro, ha detto che in Italia l’era moderna è finita e che siamo in un’età contemporanea abitata e dominata dai barbari. Constatazione condivisibile ma fino a un certo punto. Chi ha vissuto con strumenti storici la crisi del vecchio sistema politico del ’92-94 e l’ascesa di Berlusconi non può dimenticare che sono stati proprio molti “moderni”, di cui parla Scalfari, a favorire l’arrivo dei barbari con i loro gravi errori a sinistra come, altrettanto, a destra. E ancora, mentre i barbari ormai impazzano, assistiamo ai soliti scontri tra moderni che assomigliano ai barbari e ripetono all’infinito le vecchie lotte di potere, sempre le stesse.
Affronta la contraddizione di questo periodo con armi più leggere, ma per certi versi più efficaci, un giornalista colto come Piero Dorfles, immaginando di essere un dinosauro di fronte ai barbari di oggi e scrivendo un saggio assai godibile che si intitola Il ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura (Garzanti, pp.205, 18 euro) e che mette in luce l’atteggiamento molto negativo delle classi dirigenti, soprattutto di governo, sull’istruzione, sull’università e sulla ricerca, quindi sulla cultura degli italiani.
Da questo punto di vista, vale la pena parlare di un documento straordinario come il Carteggio Pannunzio-Salvemini 1949-1957 (pp 190) edito dall’Archivio Storico della Camera dei Deputati, che rievoca l’incontro felice che si realizza in un periodo difficile, come quello del dopoguerra caratterizzato da un’aspra guerra fredda in cui è immersa l’Italia, tra lo storico pugliese Salvemini, appena tornato dal lungo esilio americano per sfuggire al fascismo, e il giornalista italiano Mario Pannunzio che aveva ripudiato il passato fascista e credeva a una repubblica democratica come quella costruita dall’Italia con la Costituzione del 1948.
Le diffidenze iniziali, che pure c’erano state nel primo incontro, erano state fugate dalla comune volontà delle due personalità che avevano una fede comune nella democrazia occidentale dopo lo scoppio della guerra fredda e Salvemini decide di collaborare al Mondo, il nuovo settimanale fondato da Pannunzio che rappresenta, come osserva a ragione Massimo Teodori nel suo saggio introduttivo, «la reazione alla crisi della forze di democrazia laica emarginate nel 1948» dal governo De Gasperi che si preparava a sostenere, con la cosiddetta “legge truffa” una battaglia mortale il 18 aprile 1948 con i partiti socialista e comunista costretti dalla guerra fredda a passare all’opposizione anche per la loro vicinanza all’Unione Sovietica.
In quello scontro la Democrazia Cristiana non vinse, perché la legge truffa non scattò, ma riuscì a tenere all’opposizione i partiti della sinistra e si aprì un scontro a lungo termine tra le esigenze costituzionali dell’opposizione e le ragioni della democrazia repubblicana. Il settimanale di Pannunzio, a sua volta, tenne diritta la barra tra la battaglia per i diritti civili e una democrazia avanzata, continuando peraltro a difendere le ragioni dell’alleanza occidentale contro il blocco orientale e filosovietico.
Il carteggio è ricco di notizie sulle grandi campagne giornalistiche condotte dal settimanale per un’Italia consapevole della sua migliore tradizione democratica e furono alla base di quei convegni del Mondo sulla libera concorrenza, sui monopoli, sullo Stato imprenditore, sulla corruzione, sulle interferenze del Vaticano, che avrebbero preparato, assai meglio di altri dibattiti, la nascita del centro-sinistra e di quella che negli anni sessanta sarebbe stata, pur con le sue inevitabili contraddizioni, la stagione delle riforme possibili nella difficile situazione internazionale.
Furono l’espressione di una mentalità illuministica (su cui sono preziose le Lezioni illuministiche di Enzo Ferrone edite da Laterza (200 pagine, 22 euro) che oggi manca nelle classi dirigenti e che è all’origine, non soltanto del fanatismo e degli scontri feroci all’interno della classe politica, ma anche di un tatticismo esasperato che ha sostituito, grazie al tramonto delle grandi ideologie palingenetiche, il modo di agire dei governi e dei partiti. Capita spesso anche a chi scrive di aver nostalgia di quella grande stagione di tre secoli fa in cui un gruppo di illuministi in Francia, ma anche in Italia, superò l’epoca feudale e l’ancien regime e aprì la strada alla modernità e alla democrazia. Ma possiamo sperare, oggi, in un ritorno dell’illuminismo?
Il Times: «Ha gettato vergogna sull’Italia, ora deve dimettersi» *
«Silvio Berlusconi ha gettato vergogna su se stesso e sul suo paese con le sue buffonate sessuali e i suoi tentativi di evitare i processi. Ora si deve dimettere»: così il Times in un commento intitolato «Gotico italiano» a corredo dell’ampia copertura dedicata alla bocciatura del Lodo Alfano. L’articolo di cronaca titola: «I giudici danno un colpo mortale a Silvio Berlusconi». La vicenda ha grande spazio su tutti i giornali britannici. Dopo la sentenza della corte costituzionale, i processi contro il premier possono riprendere, dice il giornale: «Berlusconi è ora un imputato che affronta un processo penale».
«Berlusconi può restare al suo posto solo se il suo partito e i suoi alleati lo sostengono - argomenta il quotidiano - Ma sarebbero sciocchi a farlo. La disintegrazione della litigiosa sinistra ha convinto molti elettori che non c’è alternativa a Berlusconi, se l’Italia vuole un governo abbastanza forte da farle attraversare l’attuale, seria crisi. Berlusconi può quindi immaginare di essere ancora piuttosto popolare. È la classica auto-illusione di un uomo che si è convinto della propria propaganda, in larga parte portata dai giornali e dalle stazioni tv che possiede. Un’altra cosa che non ha capito è l’inquietudine generata dalla sua vicinanza con Vladimir Putin e Muammar Gheddafi, e il ridicolo che si è gettato addosso con le sue buffonate sessuali. Molti italiani hanno visto le rivelazioni sulle prostitute con indulgente divertimento. Ma il danno alla reputazione del suo paese, simboleggiato dal rifiuto di Michelle Obama di accettare il suo abbraccio, ha iniziato a mostrarsi: i suoi indici di popolarità hanno iniziato a cadere».
«Berlusconi - conclude Times - ha visto questo, così come la vicenda della corte costituzionale, come un complotto ordito dai suoi nemici politici. Non lo era. È nato dalla seria preoccupazione sull’onestà e la capacità di giudizio di un uomo che guida il governo di un’importante democrazia occidentale. Se il processo di Milano ricomincia, Berlusconi deve, come ogni altro cittadino, apparire in aula. Lì potrà esercitare il diritto di ogni cittadino a difendersi contro le accuse. Resta innocente finchè non sarà provato colpevole. Il processo, comunque, sarà un’enorme distrazione dal suo lavoro di primo ministro. Ha tentato di vivere al di sopra della legge; ora essa lo consumerà. È sicuramente il momento che Berlusconi smetta di mettere i suoi interessi prima di quelli del suo paese. Dovrebbe dimettersi».
* l’Unità, 08 ottobre 2009
Stazionaria ’La Sapiena’ al 205esimo posto
Università, una ricerca internazionale boccia l’Italia: meglio di noi Corea, Taiwan e Australia
Roma, 8 ott. (Adnkronos/Ign) - L’unico ateneo presente nelle top 200 é l’Alma Mater di Bologna. L’Harvard university, Stati Uniti, mantiene saldamente il primo posto del ranking internazionale. Segue l’ateneo britannico di Cambridge che si piazza in seconda posizione davanti a Yale
Roma, 8 ott. (Adnkronos/Ign) - Una vera e propria debacle per l’università italiana, superata anche da Corea e Taiwan. E’ quello che emerge dalla classifica internazionale annuale sui migliori 200 atenei al mondo, messa a punto da QS Intelligence Unit e pubblicata dal Times Higher Education. Nella lista la prima università del Belpaese si trova infatti al 174mo: si tratta dell’Alma Mater di Bologna che, rispetto allo scorso anno è salita in graduatoria guadagnando otto posizioni e si piazza prima della Sapienza, la più grande università italiana ferma al 205° gradino, come nel 2008.
L’Harvard university, Stati Uniti, mantiene saldamente il primo posto del ranking internazionale per il sesto anno consecutivo. Segue l’ateneo britannico di Cambridge che si piazza in seconda posizione davanti a Yale, che passa dal secondo al terzo posto. Il quarto in classifica è un altro college londinese l’Ucl (University College London), seguito da Oxford che si conferma al quinto posto, ex equo con l’Imperial College London. Seguono a ruota la University of Chicago e l’ateneo di Princeton, il Massachusetts Institute of Technology e il California Institute of Technology, in decima posizione.
L’Australia, arriva al 17° posto con l’Australian National University, seguita dal Canada in 18ma posizion. Sono invece 39 le università europee rappresentate tra le top 100 (erano 36 nel 2008) guidate dal famoso ETH di Zurigo che ottiene la 20ma posizione. La francia compare al 28° posto con l’Ecole normale Superieure di Parigi.
Tra le 100 migliori università si nota che scende il numero di università nordamericane (42 nel 2008; 36 nel 2009), mentre cresce la presenza delle università europee e asiatiche, in particolare Giappone, Hong Kong, Corea del Sud e Malesia. Senza dimenticare Singapore il cui ateneo si piazza al 30esimo posto.
Il Giappone conta infatti ben 11 istituti nella top 200, tra cui due new entry: l’Università di Tsukuba, (174ma) e la Keio University che ha debuttato al 142esimo. E tra le prime 100 posizioni gli atenei del Sol Levante sono aumentati da quattro a sei, guidati dall’Università di Tokyo al 22° posto (dal 19).
Meglio dell’Italia anche la Corea , che con l’Ateneo di Seul si colloca in 47esima posizione, l’University of Adelaide dell’Australia, che si colloca all’81mo posto, la Nagoya del Giappone al 92mo e Taiwan al 95mo. A sorpassarci sono anche l’India con l’Indian Institute of Technology di Bombay, 163ma in classifica, la Russia con il Saint-Petersburg State University, 168ma e la Spagna con l’Universita’ di Barcellona che e’ 171ma in classifica.
Dopo i primi scaglioni, al 205mo posto si trova ’La Sapienza’, che, rispetto allo scorso anno rimane stazionaria. Ormai giunta alla sesta edizione la classifica è usata non solo da studenti e genitori per scegliere il percorso di studio migliore, ma anche dalle aziende per identificare le università dalle quali assumere neolaureati e dagli accademici per selezionare le istituzioni dove lavorare e quelle con cui formare collaborazioni.