Mi manca Totò
parole di Stefano Benni, musica di Umberto Petrini *
O grandi comici che in televisione
Spiegate alle masse e alle persone
Quanto fa schifo la televisione
Che mescolate barzellette e canzoni
Dio, la madonna e battute sui nani
Per amor di cultura
E un miliardo a sera
Voi che scalate canali e carriera
Che andate in tivù a smascherare il potere
Ma mi faccia il piacere!
Fate largo
Arriva il principe, la banda fa festa
Cavalca un asino di cartapesta
Tutti in ginocchio, scostatevi un po’
Arriva Totò
Ci manca Totò
Non mi manca il festivallo
Né lo Strega od il Campiallo
Non mi manca il commediante
Che in tivù mi legge Dante
Né la rockstar col palco gigante
La velina e il presentocantante
Non mi manca
La notte bianca
Anzi un poco mi stanca
E il reality sciò
E i laser e i fumi le luci a gogò
Mi manca uno serio
Per ridere un po’
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Rockettari sempre uguali
Che sempre rifate quel bel la-la-la-la
Sopra tre palchi e un miliardo di watt
E state in scena col vento contro
Ma è fatto a macchina, è un vento finto
Scrittori che odiate la letteraria commedia
E ai premi lottate per una sedia
Attori che scuola faceste sì fina
Per traslocare da Beckett a Vanzina
E voi catodici fissi ed ossessi
Che di voi stessi parlate a voi stessi
Esperti e tuttologi, veline e pantere
Ma mi faccia il piacere!
State zitti un momento
Ci vuole una pausa un istante un tempo
E il tempo comico, o ce l’ho o non ce l’ho
Ce l’aveva Peppino ce l’ha Peppe e guarda un po’
L’aveva Totò
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Non mi manca il festivallo
Né lo Strega od il Campiello
E il comico pappagallo
Lo volete sapere?
M’ha rotto il cazzo pure o’ giallo
Il commissario e il maresciallo
Non mi manca il commediante
Che in tivù mi legge Dante
Non mi basta
La notte bianca
Anzi un poco mi stanca
Assessore mi faccia il piacere
Mi piace la notte di qualsiasi colore
Sciò sciò il reality show
Mi manca uno serio
Per ridere un po’
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Principe, mi manca la tua faccia triste
Le battute inventate, le gag impreviste
La tua miseria e la tua nobiltà
La tua finezza e la volgarità
Tu brutto e bellissimo, elegante e stracciato
Tu diavolo in frac e angelo affamato
Torna a insegnarci
Che cosa vuol dire
Una vera trovata
Un’idea un pernacchio una parola incendiata
Ci vuol la patente per questo mestiere
E anche da ciechi si può vedere
La differenza tra le risate
Tra quelle finte e quelle vere
Non mi manca il festivallo
Né lo Strega od il Campiallo
Ed il comico pappagallo
La vippona e il vippettiello
Non mi manca il commediante
Che in tivù mi legge Dante
Non mi basta
La notte bianca
Anzi un poco mi stanca
Assessore
Posso andare a dormire
Non mi manca
La rockstar col palco a gogò
E il reality sciò
Mi manca uno serio
Per ridere un po’
Mi manca Totò
Mi manca Totò
Mi manca Totò (ad lib)
* Lo Straniero, Numero 78/79 - dicembre 2006, gennaio 2007
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
FLS
Gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Napoli hanno ritrovato lo stemma nobiliare, rubato nel corso della notte del 31 maggio scorso, dalla cappella del ’Principe della risata’ Antonio De Curtis, nel corso di un raid all’interno del Cimitero del Pianto a Poggioreale. Lo stemma nobiliare rubato dalla tomba di Totò, sarà consegnato stamattina, negli uffici della questura, alla nipote del ’principe della risata’, Diana De Curtis, figlia di Liliana La consegna ci sarà alle ore 11 nella sala riunione della Questura di Napoli.
Lo stemma è stato ritrovato nella zona di Marianella, quartiere di Napoli, in campagna. Gli agenti della squadra mobile hanno trovato lo stemma in un nascondiglio ricavato nel terreno e nascosto da arbusti: oltre allo stemma presenti anche oggetti sacri, alcuni in marmo. È probabile, ma le indagini lo stabiliranno, che tali oggetti ritrovati possano appartenere ad altre tombe oggetto di raid, tra le quali quella di Enrico Caruso.
* l’ Unità, 03 giugno 2009
Quanto la sento vera questa poesia. Io che sono nata dopo che lui da tempo era morto, io che lo amo e l’ho conosciuto attraverso i suoi film, che mai mi stancherei di guardare e riguardare. Così l’ho conosciuto e ancora so di non conoscerlo, non mi sazierei mai di lui, delle sue risate e dei suoi pianti. Con lui ho capito che bisogna ridere con gli altri e non deriderli, al limite compiangerli...solo quelli che non sanno che la vita è una miscela di tante forte emozioni...che dio mai li abbandoni. Ringrazio questa stupenda e tremenda invenzione...la televisione, altrimenti...io che sono nata nel 1973, non avrei potuto godere delle sue commedie e non. Nessuno mai sarà più come totò. Ho solo un desiderio...che non si smetta mai di parlar di lui in tv e di trasmettere sempre tutti i suoi film perchè sono un gioiello raro, sono una sana cura contro il logorio della vita moderna.
Patrizia Sgura.
TOTO’: SULLE SUE TRACCE A NAPOLI A 40 ANNI DALLA MORTE*
NAPOLI - Il 15 aprile del 1967 moriva a Roma il principe Antonio De Curtis, universalmente noto come Totò: a 40 anni dalla scomparsa di uno dei simboli di Napoli cosa rimane del ricordo del grande attore nella città partenopea? "Addio Totò, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà", promise Nino Taranto nella sua orazione funebre.
A Napoli è in programma entro fine mese una serie di iniziative, ma non sono mancate polemiche circa un presunto oblio da parte della città del più grande attore comico della storia italiana. Sicuramente è entrato nella memoria collettiva il ’doppio’ funerale napoletano di Totò, celebrato il 17 aprile nella Basilica del Carmine Maggiore gremita da tremila persone, mentre altre centomila sostavano nella piazza antistante. La bara fu anche la prima ad essere platealmente applaudita dal pubblico, una abitudine che si è poi diffusa. Chi volesse ritrovare il principe della risata tra le vie di Napoli dovrebbe recarsi al popolare rione Sanità, e più precisamente in via Santa Maria Antesecula 1 dove, al secondo piano, nel 1898 nacque il figlio illegittimo del principe de Curtis e di Anna Clemente. La casa natale fu messa in vendita per soli 35 milioni di lire all’inizio del 2000 e acquistata da un privato, non da un’istituzione, come si auspicava, per farne un museo o una fondazione culturale. Poco lontano, al Collegio Cimino nel palazzo del Principe di Santobuono in via San Giovanni a Carbonara, Totò frequentò le classi ginnasiali mentre nella vicina parrocchia di san Vincenzo il comico servì messa recitando in latino. E fu proprio nella parrocchia della Sanità che venne celebrato, qualche giorno dopo quello ufficiale, un altro rito funebre, con la bara vuota, presenti migliaia di napoletani con la medesima commozione. Non esiste più invece la Sala Napoli, dove Totò cominciò a proporre con poco successo le macchiette di De Marco, mentre è stato rinnovato di recente lo storico teatro Trianon, dove lavorò negli anni giovanili, prima di cercare fortuna a Roma.
Proprio questi ambienti, e soprattutto il teatro Nuovo ai Quartieri Spagnoli, furono anche lo scenario della sua travagliata passione con Luisella Castagnola, la bellissima soubrette che si tolse la vita per amore e che per volontà di Totò riposa nella cappella gentilizia dei de Curtis, altro luogo di culto dei napoletani. Tra le altra vestigia per gli appassionati: adiacente a via Foria, nei pressi del Museo nazionale, c’é una piccola strada intitolata ad Antonio De Curtis, mentre un monumento in bronzo del principe De Curtis è nascosto tra i palazzi del Vomero Alto. Aspettando il "grande evento" annunciato dal Comune di Napoli per fine aprile (il sindaco Rosa Russo Iervolino parteciperà a una messa nel cimitero degli Uomini illustri) e in vista della celebrazione ufficiale alla Festa del cinema di Roma ad ottobre, Napoli ha dedicato a Totò la Pasqua appena trascorsa con una mostra nello storico Salone Margherita.
* ANSA » 2007-04-14 16:22
Anche a me mi manca Totò. Assai.
Giancarlo Tramutoli
Massone o cristiano? A 40 anni dalla morte del principe dei comici, un’indagine sulla sua religiosità, più o meno conclamata
Il mistero di Totò
Portava sempre con sé una copia del Vangelo. In punto di morte, secondo la figlia, disse: «Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano». Ma pochi studi sono stati fatti per esplorare il suo rapporto con la trascendenza. Si confrontò sempre con la questione della morte
di Marco Roncalli (Avvenire, 14.04.2007)
A giudicare dalla sua popolarità, dall’attualità delle sue battute ancor graffianti, dalla mimica inconfondibile, dai tanti libri dedicatigli, non si può dire che, quarant’anni fa, Totò sia uscito di scena. Semmai, proprio a partire da quel 15 aprile 1967 - data del suo addio al mondo - Antonio de Curtis cominciò a ritagliarsi il suo piccolo scanno nel Pantheon delle glorie patrie e, superando i confini dell’arcipelago cinema-teatro-televisione (sì perché, come lui diceva, «ogni limite ha una pazienza!»), entrò per sempre nell’immaginario di tanti estimatori: vecchi e nuovi, egualmente sedotti da quel suo volto - di «serenissimo buffone» (Goffredo Fofi) o di «Arlecchino del ’900» (Dario Fo) - diventato un po’ maschera e un po’ icona. Destino singolare, quello toccato al comico italiano dall’insuperabile carica istintiva, «grillo del focolare per ogni famiglia» (Volponi), pronto a sbeffeggiare tutti (sé stesso compreso), cuoco monarca della risata capace di mettere d’accordo democraticamente tutti i palati: senza barriere di censo, cultura, estrazione sociale, età.
Sì, come scrisse Fellini, Totò è sfuggito alla trappola del tempo. Così come prima aveva dribblato da artista quella delle ideologie. Chi allora avrebbe puntato sulla sopravvivenza dello «Charlot dei poveri» come lo definirono certi critici?
Ha ragione chi sostiene che per certi versi Totò è ancora un mistero, mentre si conosce quasi tutto dei suoi film (analizzati anche da intellettuali e linguisti), della sua vita di uomo e di attore (anche se a Oriana Fallaci disse di essere solo «un venditore di chiacchiere»). Eppure qualche sorpresa potrebbe ancora arrivare. E se qualche piccolo tassello al mosaico del suo itinerario artistico andrà al suo posto - tra una proiezione e l’altra - con gli eventi programmati nella capitale (a partire dall’esposizione curata dalla nipote Diana de Curtis Un principe chiamato Totò apertasi a Palazzo Venezia) - ma anche a Napoli (dove al quarantennale è dedicata la mostra Dal baule di Totò con tanti oggetti compresa una copia del Vangelo che sempre portava con sé), nell’attesa che l’ottobrina Festa del Cinema di Roma presenti l’annunciato documentario ricco di curiosità (le lettere d’amore, il primo provino con impressa la dicitura «non adatto al cinema», i fumetti ideati in età giovanile), resta una cosa da approfondire.
Parliamo dell’approccio con la morte e il trascendente del teorico della «livella» :«A morte ’o ssaje ched’è? ... è una livella», sin qui interpretata nel suo legarsi alla simbologia della terra, nella sua orizzontalità compiuta. Magari legandolo prima all’addio di Totò attore di cinema «di cassetta», ma anche diretto da Rossellini (La paura), De Sica (L’oro di Napoli), Monicelli (Guardie e ladri), Bolognini (Arrangiatevi!), Pasolini (Uccellacci e uccellini).
E poi all’addio del Totò filantropo che di notte scendeva con l’autista nei rioni più fatiscenti di Napoli e infilava un bel bigliettone di vecchie lire sotto la porta di una famiglia povera scelta a caso (oppure che pagava bravi avvocati a detenuti senza soldi). La cronaca della morte di Totò invece è stata raccontata tante volte. Il 13 aprile, abbandonato il set, si sentì male. Lo disse a Carlo Cafiero che lo accompagnava a casa in auto. Lo disse all’amata Franca Faldini che viveva con lui (gli altri grandi amore furono Liliana Castagnola e la moglie Diana). E Franca subito chiamò il medico. Invano.
La sera dopo formicolìì al braccio sinistro forieri di brutti presagi. Il tempo di avvertire e veder giungere la figlia Liliana, il cardiologo Guidotti, il cugino-segretario Eduardo Clemente e nella notte l’infarto che fulminò. Ore tre e venticinque del 15 aprile 1967. Con un piccolo giallo però mai risolto. Nessuno ha mai discusso le frasi rivolte al cardiologo «Professò, vi prego lasciatemi morire. Fatelo per la stima che vi porto».
O quelle rivolte al cugino «Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa: portami a Napoli». Piuttosto non c’è concordanza sulle sue ultime parole (tema alla ribalta in questi giorni in Germania per il libro di Hans Halter Ich habe meine sache hier getan edito da Bloomsbury e tutto dedicato agli addii dei personaggi più celebri).
Furono per Franca, l’ultima compagna «T’aggio voluto bene Franca, proprio assaie»? O quelle riportate dalla figlia Liliana secondo la quale suo padre avrebbe detto «Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano»? Scripta manent, e come conciliare queste parole con quelle espresse per il suo addio dai fratelli di loggia: «Nella sede storica di Piazza del Gesù, 47. All’alba del 15, è passato all’Oriente Eterno l’Illustre Fr. Antonio de Curtis 30° Venerabile della R.L. Fulgor Artis dell’Oriente di Roma». Già, il «Totò massone»... Vegliata per due giorni, la salma il 17 aprile fu portata a Napoli tra ali di folla dove si svolsero i funerali davanti ad oltre centomila persone.
Nella chiesa di Sant’Eugenio, la bara sulla quale era stata posta la bombetta del suo esordio e un garofano rosso ricevette una semplice benedizione (concessa -pare - solo grazie a delle amicizie che Totò aveva con alcuni prelati, essendogli stata negata a motivo della sua convivenza). Poi la sepoltura al cimitero Del Pianto a Napoli. Con tutto il suo pubblico e gli applausi. Come disse Nino Taranto nell’orazione funebre «l’ultimo "esaurito" della sua carriera». E poi ci fu l’appendice dei funerali-bis su richiesta dei guappi del Rione Sanità, il 22 maggio, pochi giorni dopo il trigesimo, la bara vuota e la stessa folla acclamante.
Ultima nota. Ho letto tempo fa su un sito dedicato a Totò (da Rosario Romano) che Antonio de Curtis «non era stato un uomo particolarmente religioso, ma a modo suo credente lo era. Credeva senza mezze misure nell’Artefice di questo Creato che non si stancava di ammirare e su di Lui non ammetteva lazzi o linguaggi irriguardosi. Non cre deva in quell’Aldilà prospettato già dalla prima preghiera che ti infilano in bocca e anzi, a questo proposito affermava che l’inferno e il paradiso sono entrambi qua, in questo mondo, da quell’altro nessuno era mai tornato a descriverglieli» . Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere? E si può essere un credente... «a prescindere?». «Senza nulla a pretendere» ci piacerebbe saperne di più.