Il Rapporto 2007 dell’Eurispes descrive un paese che oscilla tra spinte innovative e la conservazione dei privilegi acquisiti
Italia a rischio "deriva feudale"
Ma uscire dal declino è possibile
Emerge un lieve miglioramento rispetto alla fiducia nelle istituzioni e nell’economia.
La criminalità è considerata la minaccia più grave: 1 su 5 ha subito un reato nel 2006
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Un Paese neofeudale governato da un premier che, "come gli imperatori tedeschi, regna ma non governa". Una società che riflette la logica dei reality televisivi, dove per eccellere possono bastare "un’infarinatura di tutto e una conoscenza di niente", purché si abbia "grinta" o si vada "al di sopra delle righe o delle regole". Una grande voglia "di lasciarsi alle spalle quell’atmosfera di declino" che grava sull’Italia ormai da diversi anni, e che deve però fare i conti con "ritardi, con le fragilità strutturali ma soprattutto con una classe dirigente inadeguata". E’ così che l’Italia appare nel Rapporto 2007 presentato stamane a Roma dal presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara.
Spinta all’innovazione e desiderio di conservazione
Se nell’edizione del 2006 del Rapporto si parlava di declino quasi inesorabile, quest’anno si segnala invece la "spinta interiore" del Paese, intesa come "il desiderio cosciente di guarire da una affezione", spiega il presidente Fara, citando Spinoza. Però si riscontra anche "una spinta altrettanto forte alla conservazione", alimentata dalle "resistenze di coloro che considerano l’innovazione, le riforme e il cambiamento come un pericoloso nemico capace di mettere in discussione i vantaggi e le rendite di posizione acquisite nel tempo", osserva Fara.
Italiani leggermente più ottimisti per il 2007
I sondaggi Eurispes sulla fiducia degli italiani nelle istituzioni hanno rilevato un leggero miglioramento rispetto all’anno precedente, pur in un permamente clima di generale pessimismo. Se infatti nel 2005 il 49,2 per cento aveva dichiarato una "sfiducia generalizzata" nelle istituzioni, tale percentuale nel 2006 scende al 46,7 per cento. Raddoppia inoltre, passando dal 4,1 al 9,9 per cento, la percentuale di coloro che si dichiarano maggiormente fiduciosi. In dettaglio, gli italiani si fidano molto del presidente della Repubblica (63,2 per cento), poco (38,1 per cento) o niente (28,6 per cento) del governo (ma anche in questo caso si registra un miglioramento di pochi punti percentuali), poco del Parlamento e della magistratura. Si fidano molto delle associazioni di volontariato (78,5 per cento), delle forze dell’ordine (73,5), della Chiesa e delle altre istituzioni religiose (60,7 per cento, in calo tuttavia rispetto al 66,1 per cento del 2006).
Finanziaria e riforma fiscale bocciate
Il 46,8 per cento degli italiani dichiara nel sondaggio riportato dal Rapporto Eurispes di ritenere che le misure della Finanziaria lo penalizzeranno. Il 62,4 per cento inoltre non crede che nel prossimo futuro vi sarà una riduzione del carico fiscale, a differenza di quanto affermato dal viceministro dell’Economia Vincenzo Visco. Nel rapporto viene anche pubblicata una stima dell’evasione fiscale che, secondo l’Eurispes, supera i 210 miliardi. La metà del sommerso, che ammonterebbe invece a 425 miliardi, pari al 30 per cento del Pil.
Il ceto medio tra indebitamento e scelte low cost
Nell’analizzare le difficoltà del ceto medio, schiacciato dal declino economico del Paese e da quella che viene descritta come "una struttura a deriva feudale", il Rapporto Eurispes evidenzia però anche dei tentativi di "emersione". Innanzitutto è leggermente migliorata la percezione della propria situazione economica: a definirla stabile è il 56 per cento degli intervistati, ed è la prima volta in cinque anni che tale percentuale non cresce rispetto all’anno precedente, segnala il Rapporto (anzi scende leggermente, l’anno scorso era al 58 per cento).
Questo non significa che ci siano miglioramenti, significa soprattutto che il ceto medio ha elaborato alcune strategie di sopravvivenza. Da un lato il credito al consumo, in costante aumento (solo quello erogato dalle banche è cresciuto tra il 2002 e il 2006 del 77 per cento): l’Eurispes stima che il ricorso delle famiglie a questo tipo di prestiti aumenterà nel 2007 dell’11,9 per cento, e il ricorso ai mutui dell’11,6 per cento.
Dall’altro, si fa sempre più spesso ricorso a scelte che l’Eurispes definisce in blocco ’low cost’, citando Ryanair per i viaggi aerei, Ikea per l’arredamento, Skype per la telefonia. E segnalando fenomeni in crescita, come quello del ’couchsurfing’, che permette di viaggiare a costo zero dando in cambio la propria disponibilità per "lavori di casa, preparazione di piatti tipici della propria nazionale e la promessa di ricambiare l’ospitalità".
La criminalità temuta più delle difficoltà economiche
Per la prima volta dopo molti anni, rileva l’Eurispes, al primo posto tra le preoccupazioni degli italiani non c’è più l’elevato costo della vita ma la criminalità organizzata. Infatti un italiano su cinque (il 19 per cento degli intervistati) è stato vittima di almeno un realto nel 2006: nel 21,7 per cento dei casi si tratta di furti in casa o furti dell’automobile o del motorino, seguiti da scippi e borseggi e minacce. In testa ci sono però (27 per cento) le truffe, dalle clonazioni di carta di credito o bancomat alle truffe su Internet.
E’ tramontata l’idea della legalità
A rendere più minacciosa la criminalità per gli italiani è la percezione che l’Italia sia un paese nel quale "è tramontata un’idea condivisa di legalità". Il 22 per cento degli intervistati ritiene che questo sia dovuto al deterioramento del tessuto socio-economico. Fa sempre più paura inoltre la criminalità organizzata: un quinto degli omicidi in Italia è "mafioso". L’Eurispes ha anche elaborato un "indice di penetrazione mafiosa", che vede al primo posto Napoli, al secondo Reggio Calabria e al terzo Palermo.
Una rivoluzione culturale per uscire dal declino
In questa situazione generale di declino il nuovo governo, afferma Fara, "non è sembrato all’altezza degli impegni presi con gli italiani". Di cosa ha bisogno l’Italia per uscire da quello che l’Eurispes definisce senza mezzi termini come "un quinquennio di declino vero"? A conclusione delle sue "considerazioni generali" sul rapporto Fara dà alcune indicazioni: una maggiore equità fiscale, "scoprendo tutte le carte truccate del meccanismo impositivo nazionale, fatto non solo di sommerso ed evasione fiscale, ma anche di forme elusive sfruttate con grande maestria e sapienza da singoli e società". L’Eurispes ha calcolato che nel 2007 "il maggior carico per gli onesti sarà tra 9,5 e 10 punti percentuali in più rispetto alla pressione consueta". Cioè chi paga le tasse le pagherà ancora di più per chi non lo fa e non lo farà.
Ancora, l’Istituto suggerisce un efficace riordino del sistema pensionistico, un nuovo patto tra famiglie e imprese che passi anche attraverso una netta divisione tra flessibilità (vera) e precarizzazione, e una valorizzazione del capitale professionale e umano. E ancora, una maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione e della giustizia, e una efficace politica dell’immigrazione. "Una rivoluzione culturale e politica nello stesso tempo di cui l’Italia ha un enorme bisogno", conclude Fara. Per non sprofondare ancora di più in "un declino economico, sociale e morale che a qualcuno fa paventare il pericolo di una deriva populista e demagogica".
* la Repubblica, 26 gennaio 2007
Sul tema - e sulla necessaria rivoluzione culturale, nel sito, cfr.:
L’AB-USO DELLA "PAROLA": ITALIA!!!
RESTITUITEMI IL MIO URLO: LUNGA VITA ALL’ITALIA!!!
PEDOFILIA E POLITICA DELLA MENZOGNA. lA CATASTROFE DEL VATICANO.
"DEUS CARITAS EST": LA VERITA’ RECINTATA!!!
"GIUSEPPE, IL PADRE CHE CI MANCA", E LA "SACRA" FAMIGLIA CATTOLICO-ROMANA.
Eurispes, «Italia feudale». Ma cresce la fiducia *
Un paese feudale che resiste al cambiamento. Così il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara descrive l’Italia presentando il Rapporto 2007 dell’istituto statistico. Se 12 mesi fa lo stesso Favara aveva parlato di un Paese «già declinato» dominato da «potenzialità inespresse, ricchezza accumulata che non si trasforma in progresso e talenti poco valorizzati», quest’anno il Belpaese appare «impaziente di lasciarsi alle spalle quella atmosfera di declino che ne ha accompagnato i passi negli ultimi anni, ma deve fare i conti con la sua malattia, con i suoi ritardi, con le fragilità strutturali, ma soprattutto con una classe dirigente inadeguata».
Secondo Fara, infatti, proprio nel sistema politico istituzionale e nel corpo sociale sono presenti in maniera trasversale le due anime della conservazione e dell’innovazione: ciascuno difende il proprio spazio e cerca di tutelare gli interessi che ne derivano. E Fara non usa mezzi termini per dirlo. «Il nostro somiglia sempre più ad un paese feudale un coacervo di istituzioni, usanze, consuetudini di prassi» dice il presidente dell’Eurispes che punta il dito anche contro « la pubblica amministrazione che versa in condizioni feudali»: «I cittadini e le imprese, per svolgere la propria attività o per ottenere il riconoscimento di diritti e facoltà previsti dalla legge - dice Fara - pagano quotidianamente opprimenti diritti di servaggio e di corvees ad elite burocratiche autoreferenziali».
Insomma, l’Italia è delusa per la mancata realizzazione delle attese di cambiamento, una situazione che genera insofferenza, ma che non toglie il «desiderio di guarigione» che i «ritardi e le inefficenze del Governo» hanno anzi reso «ancora più necessario ed urgente».
Un po’ più di fiducia nel Governo
Ma ecco i dati che sostanziano il discorso del presidente dell’Eurispes. Partiamo proprio dal rapporto con le istituzioni. Secondo l’istituto statistico solo il 30,7% degli italiani nutre fiducia nei confronti del governo. Percentuale comunque in miglioramento rispetto allo scorso anno, quando si fidava del governo Berlusconi solo il 26,5% degli italiani. Così come cala la percentuale degli sfiduciati cronici: dal 33,6% degli italiani che dichiaravano di non avere alcuna fiducia nell’esecutivo si è passati al 28,6%.
Scelte laiche?
Così come lo scorso anno una cosa rimane certa: gli italiani, anche se credenti, approvano scelte di vita contro cui la chiesa continua a inveire: vedi il caso unioni di fatto e coppie gay. Ebbene, ben il 34,2% dei cittadini della penisola, cioè più di uno su tre, ritiene che una coppia di persone omosessuali abbia diritto a sposarsi se lo desidera. Certo rimangono più numerosi i contrari al matrimonio gay (58,1%), e la percentuale sale di molto se si passa a considerare i contrari all’adozione da parte delle coppie omo: il 78%, contro il 13,2% di favorevoli. In entrambi i casi si dicono più favorevoli le donne degli uomini e gli elettori di sinistra rispetto a quelli di centro o di destra.
Per quanto riguarda le unioni di fatto, dall’indagine emerge che il 65,7% è favorevole all’estensione, alle coppie non sposate eterosessuali, di strumenti di sostegno come gli assegni familiari, i contributi per l’acquisto della casa e il sostegno alla natalità. Il 67%, poi, si dice d’accordo con l’introduzione in Italia del Pacs, percentuale che sale fin quasi all’80% se gli intervistati sono giovani e scende al 50,6% tra gli ultrasessantacinquenni.
Gli italiani popolo di laici, insomma? No proprio. Per l’Eurispes «non è comunque un’Italia laicista quella del 2007, ma piuttosto un Paese conscio della necessità di separare la sfera pubblica da quella confessionale, anche perché il cattolicesimo, in epoca di crisi delle ideologie, di contrapposizioni di civiltà e religioni, di globalizzazione spinta, continua a rappresentare uno dei pochi collettori identitari possibili».
Chi si sposa e chi no
Un fenomeno in forte evoluzione, soprattutto nel Nord del Paese, è quello dei cosiddetti “matrimoni misti” con una propensione maggiore degli uomini rispetto alle donne a scegliere un partner non italiano. Al Nord, un matrimonio ogni dieci è misto. Insomma, il detto, “moglie e buoi dei paesi tuoi” non va più gran che di moda. E infatti se all’inizio degli anni ’90 la quota dei matrimoni misti era del 3,2% sul totale delle unioni celebrate in Italia, nel 2005 la percentuale è salita al 14,3%. In valori assoluti, si è passati dai 9.974 matrimoni misti del 1993 ai 35.889 del 2005: sono quindi più che triplicati in 12 anni.
Un fenomeno in decisa controtendenza rispetto al totale delle unioni tra italiani, che ha segnato invece negli ultimi anni una costante diminuzione. Anche se è legittimo il sospetto che una parte di queste unioni sia motivata dalla possibilità di acquisire la cittadinanza italiana: risultano, infatti, nettamente più numerose le cittadinanze acquisite per matrimonio di quelle ordinarie, 7.919 contro 1.941 nel 2004.
Infine un dato geografico non casuale. Sono le città di confine quelle dove si registra una percentuale più alta di matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero: Imperia, Trieste e Bolzano sono in cima alla graduatoria, che vede invece Bologna unica grande città tra le prime dieci. A livello regionale, il fenomeno è più diffuso in Toscana e in Trentino, mentre agli ultimi posti sono le regioni del Sud, e in particolare Sicilia e Puglia.
Dipendenze
Per quanto riguarda vizi e dipendenze, crescono secondo l’Eurispes gli italiani che fanno usa di cocaina. Sono oltre 2.130.000 gli individui che hanno «sniffato» almeno una volta nella vita e quasi 700mila coloro che lo hanno fatto nell’ultimo anno. Sono le stime dell’Eurispes, secondo cui nell’ultimo mese i consumatori superano i 286mila. Il costo cala e il consumo aumenta: il prezzo medio della «polvere bianca» è diminuito da 99 a 87 euro nel corso degli ultimi 4 anni.
Ma quello a cui gli italiani non riescono proprio a rinunciare è il gioco d’azzardo. In Italia il giro d’affari legato al mercato dei giochi è uno dei più fiorenti al mondo, e d’altra parte il gioco è una parte radicata nel costume italiano, fatta di domeniche pomeriggio con una schedina in mano e di milioni di persone che ogni tanto tentano di cambiare la propria vita rivolgendosi alla sorte. Ma il lato oscuro del fenomeno è ugualmente consistente: i malati di gioco d’azzardo patologico, nel nostro Paese, sono circa 700 mila, e il fenomeno non risparmia gli adolescenti.
Così l’andamento del mercato dei giochi e delle scommesse mostra una crescita costante: dai 14.372 milioni di euro del 2001 si è passati ai 27.451 milioni del 2005, e nel solo primo trimestre del 2006 i Monopoli di Stato stimano di arrivare a quota 33 milioni. Gli scommettitori sono circa 30 milioni, una realtà che coinvolge fino al 70-80% della popolazione adulta. E il fenomeno si sta diffondendo anche tra i giovani: secondo lo studio, il 5,1% degli studenti è giocatori patologico e il 9,7% è a rischio dipendenza. Alcuni di loro riescono a spendere in un solo giorno più di 100 euro.
Il Paese delle imprese
Per quanto riguarda qualche aspetto dell’economia quello italiano resta un sistema di imprese frammentato, con un’azienda ogni 14 abitanti (circa 4 milioni in tutto), ma che ha imboccato la strada della ripresa, con gli indicatori principali, ordinativi e fatturato, che tornano in crescita.
Il quadro che ne risulta è caratterizzato da una forte dicotomia tra piccole (fino a 20 addetti) e grandi imprese (oltre i 250): le prime concentrano gran parte dell’occupazione ed una percentuale molto più esigua di valore aggiunto, mentre le seconde contribuiscono all’occupazione con una percentuale minima e producono oltre il 30% della ricchezza nazionale.
Inoltre, l’incidenza delle grandi imprese italiane è inferiore a quella di tutti gli altri paesi dell’Ue a 15. Il punto di debolezza maggiore delle medie imprese italiane è rappresentato dagli investimenti nell’innovazione. Sono comunque numerosissime le medie imprese italiane leader mondiali in produzioni di nicchia, che contribuiscono a mantenere alto il valore del made in Italy.
Informazione al palo
Infine un dato sui mass media. Il duopolio, il conflitto di interessi, il forte controllo politico da sempre esercitato sulla tv pubblica, insomma le anomalie strutturali che pesano sul sistema dell’informazione in Italia, rendono a rischio la comunicazione nel Belpaese. Non a caso l’ultima classifica mondiale sulla libertà di stampa di Reporters sans frontieres, posiziona l’Italia al 40mo posto su 168. Nella classifica 2005 di Freedom House, l’Italia ha la posizione numero 77, dopo Papua e Nuova Guinea.
* l’Unità, Pubblicato il: 26.01.07 Modificato il: 26.01.07 alle ore 17.38
Politica e crimine
di Furio Colombo *
Cittadini attenzione. Il giorno 24 gennaio, il coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi ha lanciato al Paese il seguente messaggio: «Prodi e gli altri non devono scherzare col fuoco. Esiste un limite oltre il quale un equilibrio democratico si può rompere. E al punto di rottura siamo quasi arrivati. Allora sono guai per tutti. Perché con Forza Italia al 32 per cento, come dicono tutti i sondaggi anche quelli commissionati dal centrosinistra sarebbe pericoloso tirare troppo la corda. Potrebbe provocare reazioni nel Paese, sommovimenti. Tutto ciò può determinare reazioni molto gravi della gente». (La Stampa, 24 gennaio 2007)
Siamo di fronte a un ultimatum: o rinunciate a governare o ci saranno rivolte nel Paese. Considerato il ruolo politico dell’autore di queste parole, è naturale immaginarsi una reazione giornalistica immediata, una serie di quelle tormentose interviste che seguono di solito una frase pronunciata dentro l’Unione sui Pacs, sul testamento biologico, sulla pretesa dei gay di non essere esclusi dalle unioni legittime. Invece (e forse persino Bondi si sarà meravigliato) silenzio.
Per capire ciò che sto dicendo immaginate per un momento che una frase così arrischiata («ci saranno rivolte») fosse stata pronunciata da un Diliberto o da un Giordano. Si sarebbero scatenati giornali e istituzioni. Si sarebbe parlato francamente del ritorno del pericolo comunista. Bondi invece brandisce i sondaggi contro le elezioni, e «vede» - certo da un punto di vista privilegiato, dato l’enorme potere economico a cui è vicino - sommovimenti e rivolte di tipo libanese.
Eppure alle parole di Bondi è seguito un cauto silenzio dei media, e un composto aplomb delle istituzioni che, a quanto pare, non si sono sentite turbate dall’annuncio (certamente autorizzato dal leader-padrone di Forza Italia) di sommosse descritte come inevitabili («se questi non se ne vanno...») e implicitamente approvate («esiste un limite»). «Questo decreto sulle nuove regole che vogliono imporre alle mie televisioni è un piano criminale verso il capo della opposizione e verso le sue proprietà private. Sono sicuro tuttavia che il governo non troverà complici per realizzazione questo progetto criminale. Vincendo le prossime elezioni amministrative dimostreremo i brogli elettorali che ci sono stati».
C’è anche un riferimento interessante per chi scrive nella dichiarazione di guerra qui trascritta: «Ho visto Ballarò. Dobbiamo fare anche noi a Mediaset un programma simile. Dobbiamo rispondere agli attacchi». (La Repubblica, 25 gennaio). Naturalmente avete riconosciuto la voce. È Silvio Berlusconi, il quale considera un attacco personale imporre regole di mercato alle sue televisioni. È una protesta comprensibile, se si tiene conto che lui è l’unico grande proprietario di televisioni private in Italia. Ed è l’unico politico al mondo che ha governato sostenuto da un partito formato dalle sue televisioni. Ma lui, senza pudore, annuncia che se si toccano gli interessi delle televisioni private di Silvio Berlusconi si attacca in modo grave e inaudito il capo della opposizione Silvio Berlusconi. Chiunque direbbe: risolviamo il problema con una buona legge sul conflitto di interessi. Berlusconi invece definisce «criminale» ogni intervento sulle sue proprietà. Lo costringerebbe a uscire dalla doppia illegalità: servire se stesso servendosi del Paese. Come vedete sono tre frasi esemplari, illogiche, prepotenti, minacciose. C’è l’orgogliosa identificazione del proprietario con il politico. Chi tocca l’uno tocca l’altro.
Questo spiega in che senso una testata è «omicida», (come i suoi dipendenti hanno detto de l’Unità, quando denunciava il conflitto di interessi di Berlusconi). Tra politica, proprietà e protezione di se stesso lui non vede alcuna differenza. Attacca e morde con una dichiarazione di guerra alle istituzioni a costo di autodenunciarsi come titolare del conflitto di interessi che ha passato anni a negare e altri anni a «risolvere» con la risibile legge Frattini che non prevede, per il pericoloso fenomeno alcuna sanzione.
Nel citato programma Rai Ballarò tutto lo schieramento berlusconiano negava che «lui» prendesse parte agli affari dell’azienda durante i Consigli dei ministri. «Ogni volta “lui” usciva. Ha affermato testualmente la ex ministro Prestigiacomo: «Do la mia parola d’onore che mai si è occupato dei suoi interessi». Simpatico, canagliesco e brutale, nella classica tradizione post romantica, il suo capo, benché così fedelmente assistito (fino all’impegno del proprio onore) la smentisce. Infatti dice: «Ho visto Ballarò e bisogna fare anche noi una trasmissione così a Mediaset. Dobbiamo rispondere a questi attacchi». In questo modo smentisce anche il suo rappresentante Confalonieri (che un po’ compare come vice ministro, un po’ come presidente Mediaset) che si era affannato a ripetere: «Le nostre tv al servizio di “lui” in politica? Mai, garantisco, mai!».
Ma lo spavaldo padrone non bada all’onore dei suoi e preannuncia una nuova battaglia di televisioni nella sua guerra infinita che tormenta l’Italia ormai da dieci anni. Durante questi dieci anni di doppio governo (affari e politica) Berlusconi ha raddoppiato la sua ricchezza.Eppure, forse per prudenza, nessuno accetta di considerarlo un pericolo. Anzi ti dicono, anche da sinistra, «non esageriamo, è un politico come gli altri». C’è una piccolissima differenza: Berlusconi è la quattordicesima ricchezza più grande del mondo, e due o tre capricci a quanto pare, se li può togliere quando crede. Però non si capisce perché, spargere intorno a lui il sussurro che più lo agevola: ma quale emergenza? Ma quale pericolo per la democrazia? E continuano a nascere proposte di cose da fare insieme. Prima o dopo le rivolte di popolo annunciate da Bondi?
* * *
«Si riapre la catena di processi della Sme», titolano alcuni giornali più coraggiosi. Si riferiscono alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la «legge Pecorella». Con essa il presidente della commissione Giustizia della scorsa legislatura (e avvocato personale di Berlusconi in tutte le legislature), aveva confezionato la liberazione di Berlusconi dai giudici di Milano. Il pm non poteva più proporre appello contro un imputato assolto. Ora che questa normale competenza è stata restituita alla pubblica accusa, alcuni processi contro Berlusconi (a parte i nuovi) potranno continuare in secondo grado.
Qual è la risposta dell’ex Primo ministro noto nel mondo per aver aperto il semestre europeo italiano dando del «kapò» all’eurodeputato tedesco Schultz che aveva osato accennare alla cacciata di persone libere dalla Rai e al conflitto di interessi? Eccola, da statista: «Questa sentenza dimostra che tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra». Come vedete il senso del ridicolo è scomparso da tempo. Quel che disorienta è che sia scomparso dal giornalismo. Non un accenno, da nessuna parte, alla portata eversiva del commento a questa sentenza, specialmente se collegata alle parole di Sandro Bondi, che annunciano una imminente rivolta di popolo. Eppure tutto ciò in fondo è poco se confrontato a quello che è accaduto e sta accadendo con la vicenda Mitrokhin. Provate a immaginare la mobilitazione che si sarebbe scatenata se - per puro e sfortunato caso - fosse stato presente, nello stesso albergo e nella stessa stanza, uno sbadato passante in qualche modo legato all’Unione, mentre stavano avvelenando al polonio l’ex spia sovietica Litvinenko. È certo che ogni giorno, in ogni talk show, con ricostruzioni e modellini, quell’atroce delitto sarebbe sugli schermi pubblici e privati di tutte le reti italiane.
Invece mentre assassinavano Litvinenko era presente chissà come, chissà come mai, il prof. Scaramella. Che non è professore ma, di professione, spia personale della Commissione Mitrokhin, cioè spia retribuita dalla Repubblica italiana. Missione: svelare che Romano Prodi era stato «uomo del Kgb», ovvero preparare, in caso di perdita delle elezioni, una buona ragione per la rivolta di piazza di Bondi e la rivincita di Berlusconi sulle leggi criminali contro le sue aziende e le sentenze criminali contro la sua persona. Scaramella,a nome e per conto della commissione Mitrokhin e del Senato della Repubblica italiana,il suo lavoro l’ha fatto, benché sia finito in prigione per calunnia e vi resti tuttora. Litvinenko è morto di una morte spaventosa avvelenato chissà da chi. Ma, guarda caso, ha lasciato una testimonianza. Prima di morire ha detto: «Prodi era un nostro uomo», le esatte parole commissionate a Scaramella dalla Commissione Mitrokhin (come risulta dalle intercettazioni pubblicate). Dopo morto non ha niente da dire.
Il caso sconvolgerebbe qualunque Paese, anche fuori dalle tradizioni democratiche dell’Occidente. Infatti una commissione parlamentare con poteri giudiziari ha lavorato per anni e con abbondanti fondi dello Stato, assumendo consulenti che poi sono risultati «da galera», allo scopo dichiarato di eliminare il capo dell’opposizione. Se è «legge criminale» la mite legge Gentiloni perché tocca di striscio gli interessi privati di un uomo ricchissimo, che adesso è anche capo dell’opposizione, come definire la commissione Mitrokhin e i suoi scopi da colpo di Stato? Ma tutto questo ci da modo di verificare la vasta conseguenza del quasi completo controllo mediatico nelle mani non di una sola coalizione o di un solo partito ma di una sola persona.
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L’uso berlusconiano dei media pubblici e privati è così ferreo da cambiare la percezione degli eventi persino agli occhi degli esperti. E questo spiega la passione con cui Berlusconi si batte perché non glielo si limiti neppure marginalmente. E spiega perché non vuole sentire parlare di una vera legge sul conflitto di interessi nel senso del diritto occidentale. Infatti lo priverebbe della sua presunta magia carismatica. La persistenza negli anni di quel conflitto spiega anche qualcosa che altrimenti sarebbe davvero inspiegabile. Pensate che una rispettabile e rispettata docente associata di scienze politiche all’Università di Bologna, Donatella Campus, pubblica con le pregiate Edizioni del Mulino un testo scientifico intitolato «L’antipolitica al governo».
I tre personaggi esemplari proposti dalla prof. Campus sono De Gaulle, il generale che ha guidato la Resistenza francese e la rinascita di quel Paese, ha tenuto testa ai militari e fatto finire la guerra d’Algeria; Ronald Reagan, il personaggio che ha colto al volo l’occasione della Glasnost, ha aiutato il leader sovietico Gorbaciov a uscire senza danno dalle macerie del suo impero e ha - proprio lui, che parlava sempre di «impero del male» - portato Russia e America fuori dalla guerra fredda in modo dignitoso e indolore. E il terzo chi è? È Berlusconi, l’uomo che ha spaccato l’Italia e continua a spaccarla.
Nel libro della Campus Berlusconi è descritto come desidera essere Berlusconi, un audace liberal che si scrolla di dosso la politica tradizionale e inaugura un rapporto libero e inedito con la opinione pubblica. La Campus non nota che Berlusconi «entra in campo» con una cassetta, non in persona (dunque senza domande e senza dover rendere conto). E che da quel momento tiene costantemente i giornalisti a distanza e sotto intimidazione. A volte, fatalmente, e dopo gli esempi Biagi e Santoro, la categoria diventa ossequiosa. E incline alla celebrazione. Fenomeno irrilevante? È mai accaduto a De Gaulle o a Reagan? La Campus non nota le leggi ad personam, non nota le leggi vergogna, non nota l’uso degli avvocati difensori come deputati e senatori a capo di commissioni chiave per gli interessi personali del leader. Non nota la politica come finzione (Pratica di Mare), come repressione (Genova), come intimidazione ostentata e padronale (la messa in stato di accusa da parte dei suoi media, di chi gli tiene testa). Non nota l’illegalità di controllare e dirigere la Tv di Stato, mentre presiede controlla e dirige quella privata.
Il libro della Campus è il perfetto monumento al conflitto di interessi. Ci dice che quel conflitto di interessi, quando è abbastanza forte, colpisce soprattutto i media. Esso, infatti, cambia e riorganizza la percezione degli eventi anche gli agli occhi degli esperti. La controprova è nel libro di Marc Lazar uscito negli stessi giorni. Anche lui è un politologo ma, dalla Francia, lavora al riparo dal totale controllo mediatico che Berlusconi mantiene sull’Italia. Sentite che cosa scrive Lazar: «L’Italia è un grande malato e la terapia del dottor Berlusconi non gli ha permesso di ristabilirsi. L’economia ristagna e le prospettive sono fosche. Al di là dei proclami boriosi si perpetua una vecchia tradizione politica di immobilismo. Silvio Berlusconi non ha avviato alcuna liberalizzazione né innestato alcuna modernizzazione. Tuttavia ha verosimilmente significato un cambiamento completo dell’universo delle rappresentazioni mentali».
Berlusconi è certamente l’antipolitica. Ma in un senso distruttivo e vendicativo contro quella parte non piccola del suo Paese che non coincide con la sua proprietà. Solo il suo mondo inventato e strettamente sorvegliato dai media può avere indotto qualcuno, per quanto esperto, a scambiarlo per Reagan o De Gaulle.
* l’Unità, Pubblicato il: 28.01.07, Modificato il: 28.01.07 alle ore 8.24
AMATO: CONSUMO GIGANTESCO DI COCAINA IN ITALIA *
NAPOLI - Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, a Napoli per fare il punto sul patto per la sicurezza pone l’ attenzione sul problema droga e dice che in Italia c’é ’un consumo gigantesco di cocaina, una spaventosa domanda di cocaina’’. Amato prende ad esempio proprio il caso Campania, dove in una anno è stata sequestrata una tonnellata di cocaina.
"Tutta questa cocaina forse non era destinata alla regione ma vuol dire comunque che c’é un consumo gigantesco nel Paese - ha detto Amato nel corso della conferenza stampa seguita agli incontri in prefettura a Napoli - non si può chiedere alle forze dell’ ordine di contrastare se c’é una tale domanda che viene dalle famiglie, dagli italiani adulti, dagli italiani giovani adulti". Un terreno, questo, dice Amato, in cui "l’azione di contrasto si intreccia con le azioni di natura pubblico-private".
SEMPRE PIU’ SIMILE ALL’INFLUENZA
Sempre più simile all’influenza:facile da prendere, veloce nel diffondersi e in grado di colpiretutti, indipendentemente da età o classe sociale. E’ proprio alvirus influenzale che gli esperti paragonano la cocaina: una sostanza il cui uso è in crescita, tanto che, secondo i dati più recenti riferiti al 2005, ben 7 italiani su 100 dichiarano di averne fatto uso.
L’allarme-cocaina è stato lanciato a dicembre anche dal generale Carlo Gualdi, direttore centrale per i servizi antidroga: nel 2006 è stata sequestrata la maggiore quantità di cocaina degli ultimi 25 anni e nel 2005 il 16% delle 20 mila operazioni condotte in Italia contro il traffico di droga è stato effettuato nel Napoletano. Secondo quanto sottolineato sempre a dicembre dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, si stima che nel mondo siano 250 milioni le persone che fanno uso di sostanze stupefacenti. In Italia nel corso del 2005 sono stati complessivamente sequestrati 31.597 chili di sostanze stupefacenti con un aumento del 21,8% rispetto al 2004.
I dati riferiti al primo semestre 2006 confrontati con l’analogo periodo precedente denotano un aumento del 35,2%. La quantità dei sequestri di stupefacenti conferma la tendenza all’aumento della domanda per l’hashish e la cocaina rispetto all’eroina. La droga arriva nei container da Spagna, Olanda e Portogallo e per via aerea in bagagli e plichi. La cocaina continua ad essere prodotta interamente in Sudamerica e, per la quasi totalità, nei Paesi tradizionalmente coltivatori. L’aspetto più inquietante segnalato dagli specialisti del settore è che la dipendenza da cocaina è ancora oggi "sottovalutata".
Conseguenza: da un lato, il messaggio socialeche ancora passa è quello di una minore pericolosità di questasostanza, dall’altro, le stesse istituzioni tendono a trascurare il problema. Tra l’altro, è in continua crescita il numero dei consumatori giovanissimi: le ultime stime dicono che 7 italiani su 100, tra i 14 e i 54 anni, ammettono di aver fatto uso di cocaina almeno una o più volte nella vita; solo per fare il paragone, afferma di aver usato eroina almeno una volta l’1,3%, mentre ben il 30% dichiara di aver fatto uso di cannabis. E il 15% di coloro che si rivolgono ai Sert chiede di essere aiutato proprio per disintossicarsi dalla cocaina.
* ANSA » 2007-02-01 20:24