Materiali per riflettere (cliccare sul rosso, per leggere gli articoli)
La festa del 2 giugno
La democrazia a un bivio
di Guido Crainz (la Repubblica, 01.06.2018)
Mai come quest’anno il 2 giugno ci costringe a interrogarci sul nostro essere nazione e sulla tenuta della nostra democrazia, ed è difficile sfuggire alla sensazione di essere di fronte a un bivio. Mai infatti, neanche nelle fasi più aspre, questa data ha cessato di essere la festa di tutti gli italiani: il momento in cui ribadiscono i fondamenti culturali, politici e civili del proprio vivere collettivo. Mai qualcuno aveva pensato di utilizzare il 2 giugno per contestare le nostre regole costituzionali. Mai, neanche per un attimo, era stata proposto di lacerare questa giornata con una manifestazione di parte volta a colpire proprio quelle regole, assieme alla figura istituzionale che ne è garante ( e il vulnus resta, anche se la miserevole proposta è crollata grazie alla alta e necessaria fermezza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella).
Non avvenne neppure nel clima teso della Guerra fredda, nonostante le profonde divisioni e contrapposizioni di allora. E non avvenne negli anni cupi della strategia della tensione e del terrorismo degli anni Settanta: la centralità del 2 giugno verrà appannata semmai dalla smemoratezza degli anni Ottanta, nel prolungarsi dell’abolizione della festività decisa nel 1977 (discutibile conseguenza di esigenze di “austerità”).
Quell’appannarsi era in realtà il sintomo dell’indebolimento civile del Paese, malamente mascherato dalle euforie di quel decennio, e alla vigilia del crollo della “ prima Repubblica” Giorgio Bocca evocava a contrasto, su queste pagine, l’Italia uscita dalla guerra: eravamo divisi in fazioni, scriveva, in un Paese distrutto, eppure «uniti nel vivere, liberali, cattolici, monarchici, comunisti, padroni, operai, tutti certi di essere padroni del nostro destino. Ma questa voglia di avere un’identità, di essere noi, sembra esserci uscita dal corpo. Che Paese siamo? Che cosa significa essere italiani? » . In quella crisi il valore centrale del 2 giugno sembrò offuscarsi ancora e la sua decisa riaffermazione fu parte integrante della pedagogia civile avviata con forza dal presidente Ciampi e proseguita dai suoi successori.
Fu parte integrante del loro impegno a rifondare il “ patriottismo repubblicano” nella coscienza collettiva, collocandolo nella più ampia appartenenza europea e rafforzandone al tempo stesso i momenti simbolici e le date fondative. In primo luogo, appunto, la festa del 2 giugno, ripristinata da Ciampi nella sua interezza e accompagnata da una parata che poneva ora al centro l’impegno dell’esercito nelle calamità civili e nelle missioni di pace. Ciampi stesso ha ricordato: andai a quella prima, rinnovata sfilata «in una vettura scoperta, con al fianco il ministro della Difesa, Sergio Mattarella. Eravamo circondati da una folla festosa che mi diceva di andare avanti, mi ringraziava, era contenta » . Quella ispirazione è andata via via arricchendosi e sono ancora vive le immagini di un anno fa, con la folta presenza di sindaci e con quell’enorme tricolore che calava sul Colosseo.
È forte dunque la sensazione di essere oggi di fronte a una possibile, inquietante divaricazione, e nei giorni scorsi lo abbiamo compreso in maniera traumatica: in essi infatti il fantasma del populismo è uscito definitivamente dal limbo delle definizioni astratte o da territori ancora lontani. È diventato forza corposa e devastante, con la lacerante contrapposizione fra una “ sovranità del popolo” arbitrariamente interpretata e le istituzioni che la fanno realmente vivere, svilite e calpestate assieme alle loro regole. Questo abbiamo vissuto e viviamo, e quelle lontane parole di Giorgio Bocca sembrano di nuovo drammaticamente attuali.
FILOSOFIA, FILOLOGIA, E TEOLOGIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO ... *
Il Colle ha fallito? Dipende da noi
«Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male (Simone Weil)»
di Roberta de Monticelli (Il Fatto, 01.06.2018)
Un filosofo è come il matto di corte, lo si può lasciar parlare. C’è chi vuole far processare per alto tradimento il presidente della Repubblica e chi lancia hashtag in suo sostegno. Ci sono giuristi pronti ad affermare che non ha fatto che il suo dovere (Flick) e altri radicalmente critici (Villone e Carlassare), come ce ne sono di molto perplessi (Onida). Ci sono commentatori che in mancanza d’altre idee attribuiscono lo sconquasso al “circo mediatico giudiziario” che ci avrebbe per troppo anni lavato il cervello facendoci credere che in Italia corruzione e impunità siano maggiori che altrove (Panebianco) - ma non vedono che il lavaggio non è bastato, visto che nessuno (neppure il capo dello Stato) s’è fatto un baffo della circostanza che il candidato ministro dell’Economia da ex presidente dell’Impregilo era incorso in inchieste giudiziarie ben motivate dalle intercettazioni, che gli avrebbero sbarrato in ogni altro Paese civile la porta di quel ministero.
C’è chi sostiene con assoluta convinzione che il gesto del Presidente ha salvato la democrazia assediata dai populismi e chi con convinzione altrettanto assoluta sostiene che ha soffocato la domanda democratica di cambiamento, per asservire lo Stato alla tecno-plutocrazia europea, o peggio al diktat tedesco. Nota a margine: non si percepisce traccia di simili congiure e diktat da quassù - il regno del fool è il vuoto celeste, dove le linee aeree franco-canadesi forniscono una massa di giornali nelle principali lingue europee, e neppure un angolino contiene un commento su queste indebite pressioni, nonostante i titoli ridondino di “crisi istituzionale in Italia” e “l’Italia mette a processo l’Europa”.
Ed ecco lo sragionamento del fool, per chi volesse conoscerlo. Che il gesto del presidente della Repubblica sia o non sia stato un tragico errore, dipende da noi. Nel senso che non sarà stato un errore, e forse sarà stato invece uno di quegli attimi che le generazioni future ricorderanno con ammirata gratitudine, solo se d’ora in poi gli uomini e le donne di buona volontà non si daranno tregua a costruire in due mesi la Parte della Speranza Progressista e Civile, per farla trovare pronta alle elezioni, con a capo i migliori cavalieri delle buone cause sconfitte nell’ultimo quinquennio...
Quanti ce ne sono, e come saranno bravi se somigliano alle idee per cui furono silenziati, in materia di anticorruzione e legalità, di taglio alla spesa, di politica industriale e del lavoro, di lotta alla disuguaglianza, allo scempio dell’ambiente e del paesaggio, di vera politica della scuola, dell’università e della ricerca.
Non contro ma verso gli Stati Uniti d’Europa. Il programma di questa Parte? Sarà buono se si procederà con infinita attenzione ai veri tagli. “Il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male” (Simone Weil).
È questo il taglio sottile da operare, o il groviglio da dirimere. Guardate se non torna, lo sragionamento. Tutto il male che ci circonda viene da questo groviglio! Vorresti difendere, certo, la bandiera italiana dal disprezzo di chi ci tratta da gente che non sa stare ai patti, ma poi guardi quelli che la levano ora sulla piazza e ti accorgi che è sporca, lordata dall’uso che ne fece il demagogo lombardo predecessore dell’attuale. Vorresti accorrere, certo, a difesa della Repubblica e del suo presidente, allinearti a quei poveri corazzieri in alta uniforme, ma ti si stringe il cuore solo a guardarli, tanto svilita è l’idea che difendono, che solo il ricordo di quell’adunata di ceffi e mammole che presiedettero all’elezione del precedente presidente al suo secondo mandato ti riempie di vergogna, come quello delle innumerevoli forzature di un governo che da incostituzionalmente eletto si fa costituente senza averlo mai avuto in alcun programma. Vorresti ripetere anche tu, lo stesso, “sto col presidente”, perché dall’altra parte c’è la prepotenza di chi “se ne frega” di qualunque vincolo etico e giuridico in nome di folle senza volto, di chi addirittura non si vergogna a ripetere “chi si ferma è perduto”. E ti accorgi che il solo sostegno al governo del presidente verrà dai responsabili di tutte quelle forzature che hanno svilito l’uniforme dei miei corazzieri, e anche dal ghigno trionfale di un signore politicamente appena riabilitato, ancora prima che si sia quietato l’effetto di rivolta emetica indotto dalle immagini di Sorrentino in Loro 1 e Loro 2...
Il fool nella sua follia si rivolge anche a molti elettori Cinque Stelle: avete lottato - lo so perché ero con voi - per preservare un po’ di bellezza dove interessi biechi la sconciavano. Ma la bellezza non è un valore, è il nome di tutti i valori, compresa la (pari) dignità di tutte le persone. Come potete ora sostenere anche la bruttezza di parole e gesta di chi la nega? Non sta lì il primo nefasto miscuglio?
*
Sul tema, nel sito, si cfr.:
MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIÙ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIÙ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
Federico La Sala
Napolitano: ’Berlusconi vittima di patologiche ossessioni’
Presidente scrive a Romani: ’Non lo querelo per pietà’
di Redazione Ansa *
I giudizi di Berlusconi su di me sono "ignobili" e dovrebbero "indurmi a querelarlo se non volessi evitare di affidare alla magistratura giudizi storico-politici; se non mi trattenesse dal farlo un sentimento di pietà verso una persona vittima ormai della proprie, patologiche, ossessioni".
E’ il brano più duro della severa lettera scritta dal presidente emerito Napolitano al capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, al termine del suo intervento in Senato in difesa del ddl Boschi.
Ma cosa è accaduto? Non appena il presidente emerito ha preso la parola, il senatore di Fi Scilipoti ha preso a sventolare un foglio bianco con la scritta ’2011’ (comportamento che gli è costato una ufficiale censura dal presidente Grasso), anno della fine del governo Berlusconi.
In mattinata, fra l’altro, proprio l’ex Cavaliere parlando con i senatori di Forza Italia aveva sottolineato come nel libro scritto da Friedman venisse sottolineata la complicità di Napolitano nella vicenda che aveva portato alle sue dimissioni nel 2011. Dichiarazioni fatte filtrare poco prima del discorso del Presidente: un doppio attacco che non è passato inosservato.
L’8 novembre 2011, dopo aver approvato il rendiconto con una maggioranza di 308 voti, in un teso faccia a faccia con Napolitano Berlusconi annunciò che si sarebbe dimesso quattro giorni dopo, dopo l’approvazione della legge di stabilità e si schierò per nuove elezioni. Napolitano, successivamette, dette l’incarico di formare un governo a Mario Monti.
Il triste sequel del Cavaliere
di Barbara Spinelli (la Repubblica, 18 luglio 2012)
Quasi nessuno, tra i politici italiani, e in particolare tra quanti sostengono Monti, sembra propenso a pensare che il declassamento notificato venerdì da Moody’s sia in connessione con l’annuncio di un ritorno di Berlusconi alla guida dell’Italia. Ritorno confermato da Alfano due giorni prima, ma da tempo evocato, invocato, dai fan dell’ex premier sui siti web. C’è stata invece un’unanime insurrezione, molto patriottica e risentita, e l’inaffidabilità delle agenzie di rating (Moody’s, Standard & Poor’s) è stata non senza valide ragioni denunciata: le stesse agenzie che sono all’origine della crisi scoppiata in America nel 2007, continuano infatti a dettar legge, fidando nell’oblio di cittadini, governi, istituzioni internazionali.
Ciononostante, quel che veramente conta resta nell’ombra: non in Italia, ma ovunque in Europa, il verdetto di Moody’s (che pure non nomina il fondatore di Forza Italia) viene d’istinto associato all’infida maggioranza di Monti, e più specialmente alla decisione di Berlusconi di tentare per la sesta volta la scalata del potere: per ridiventare premier o salire al Quirinale, ancora non è chiaro. Monti sarebbe insomma un interludio, non l’inizio di una rifondazione della Repubblica.
È quanto dicono le radio francesi, gli editoriali sulla che senza infingimenti adombra la possibilità di una ricomparsa in Italia del Der Pate, Teil IV, il Padrino parte IV: il nomignolo, si aggiunge, è da anni diffuso in Europa. Accade spesso che lo sguardo esterno dica verità sgradevoli a Paesi che da soli non osano guardarsi allo specchio: è successo nell’Italia postmussoliniana come nella Francia dopo il fascismo di Pétain. La Sueddeutsche chiede che l’Europa lanci «un segnale chiaro: con Berlusconi il Paese si riavvicinerà al baratro», e non a causa dei festini a Arcore.
Il commentatore Stefan Ulrich non sarà probabilmente ascoltato, perché purtroppo così stanno le cose nell’Europa della moneta unica: paradossalmente i governi autoritari godono di margini più ampi di libertà, da quando le loro economie sono tutelate da Bruxelles. I parametri finanziari vengono prima della democrazia. L’Unione s’allarma assai più del bilancio greco che dello Stato di diritto calpestato in Ungheria, Romania o Italia, ottusamente trascurando i costi immensi della non-democrazia, della corruzione, dell’impunità, della consegna alle mafie di territori e attività economiche. Resta lo sguardo severo, molto più del nostro, che da fuori cade su di noi.
Si pensi al candore con cui l’economista Nouriel Roubini dice, a Eugenio Occorsio su la Repubblicadel 15 luglio: «Sicuramente Monti ha molto credito presso la Merkel, infinitamente più del suo predecessore che si faceva notare solo per la buffoneria e i comportamenti personali diciamo eccentrici. Guardate che i mercati stanno cominciando a considerare con terrore l’ipotesi di un ritorno di Berlusconi al potere. Sarebbe un incubo per l’Italia, per il suo spread e per il suo rating. So per certo che la Merkel non vorrebbe neanche guardarlo in faccia».
C’è dunque qualcosa di malsano nella rabbia suscitata in Italia da Moody’s, quali che siano gli intrallazzi dell’agenzia. C’è una sorta di narcotizzata coscienza di sé. Una nube d’oblio ci avvolge, coprendo pericoli che altri vedono ma noi no: il rientro di Berlusconi è considerato dagli italiani o normale, o un incidente di percorso. Significa che da quell’esperienza non siamo usciti. Che questo governo, troppo concentrato sull’economia e troppo poco su democrazia e diritto, non incarna la rottura di continuità che pareva promettere.
Non ne sono usciti i partiti, se l’unico aggettivo forte è quello di Pier Luigi Bersani: «agghiacciante». Che vuol dire agghiacciante? Nulla: è il commento di un passante che s’acciglia e va oltre. Più allarmante ancora l’intervista che Enrico Letta (vice di Bersani) ha dato alCorriere della Serail 13 luglio, e non solo perché preferisce «che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo» (le accuse rivolte a Grillo possono esser rivolte a gran parte del Pdl e alla Lega).
La frase più sconcertante viene dopo: «Non vorrei che si tornasse alla logica dell’antiberlusconismo e delle ammucchiate contro il Cavaliere». Per la verità, di ammucchiate antiberlusconianese ne sono viste poche in 18 anni. Altro si è visto: la condiscendenza verso il Cavaliere, la rinuncia sistematica, quando governava la sinistra, a tagliare il nodo del conflitto d’interessi e delle leggi ad personam.
Non solo: l’ascesa di Berlusconi fu permessa, favorita, nonostante esistessero leggi che avrebbero potuto allontanare dal potere un grande magnate dei mezzi di comunicazione. Fu Violante, il 28 Febbraio 2002 alla Camera, a rivelare i servizi fatti dai Ds a Berlusconi: «Per certo gli è stata data la garanzia piena,non adesso ma nel 1994, che non sarebbero state toccate le televisioni, questo lo sa lui e lo sa Gianni Letta. Comunque la questione è un’altra: voi ci avete accusato di regime, nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni, avessimo aumentato di cinque volte durante il centrosinistra il fatturato di Mediaset». Morale (o meglio immorale) della storia: Berlusconi poté candidarsi nonostante un decreto (30 marzo 1957, n° 361) che dichiara ineleggibili i titolari di pubbliche concessioni.
Questo significa che il primordiale male italiano (l’assenza di anticorpi, che espellano da soli le cellule malate senza attendere i magistrati o la Corte costituzionale) resta non sanato. Che un esame del berlusconismo tuttora manca. Il conflitto di interessi è anzi diventato normale, da quando altri manager «scendono in campo». Montezemolo sarà forse candidato, e nessuno l’interroga sugli interessi in Ferrari, in Maserati, nel Corriere della Sera,nel Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv). Il silenzio sul suo conflitto d’interessi banalizza una volta per tutte quello di Berlusconi. Non è antipolitica, la convinzione che i manager siano meglio dei politici?
Viene infine il governo. Un governo di competenti, che non sembrano attaccati alla poltrona. Una persona come Fabrizio Barca lavora senza pensare a carriere politiche. Dice addirittura che per fare riforme per la crescita servono «visioni del capitalismo che solo un mandato elettorale può attribuire», e solo un «governo nato da una competizione elettorale vera» può attuare (la Repubblica, ) 15 luglio.
Monti ha fatto molto per ridare credibilità all’Italia. Quando parla dell’Unione, è senza dubbio più preparato di Hollande e della Merkel. Ma a causa della maggioranza da cui dipende, molte cose le tralascia. Ha tentato di restituire indipendenza alla Rai, ma sulla giustizia i compromessi sono tanti: a cominciare dalla legge contro le intercettazioni che potrebbe passare que-st’estate, fino ai legami tuttora torbidi che conferiscono al clero un potere abnorme sulla politica.
L’ultimo episodio riguarda la Banca del Vaticano, lo Ior. Risale al 4 luglio l’ordine che il governo ha dato alle autorità antiriciclaggio della Banca d’Italia, invitate a dire quel che sapevano sui traffici illeciti dello Iot, affinché tenessero chiusa la bocca in una riunione degli ispettori di Moneyval, l’organismo antiriciclaggio del Consiglio d’Europa convocato a Strasburgo. Talmente chiusa che Giovanni Castaldi, capo dell’Unità di informazione finanziaria (Uif, organo di Bankitalia), ha ritirato i suoi due delegati dall’incontro.
Gli anticorpi restano inattivi, se certe abitudini persistono. Se il governo si piega a poteri non politici. Se lascia soli i magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia. Se non garantisce che il vecchio non tornerà. Non solo il vecchio rappresentato dal debito pubblico. Anche il vecchio che per anni ha offeso lo Stato di diritto. Possibile che Il Padrino-Parte IV sia un film horror per i giornali tedeschi, e non per gli italiani?
Tra la folla anche due bandiere del Partito democratico
Di Pietro: ’’C’è emergenza democratica, nel governo metodi da P2’’
A piazza Navona la manifestazione contro le ’leggi canaglia’. Secondo gli organizzatori ci sono 100 mila persone. Il leader di Italia dei valori: ’’Qui c’è la vera politica che reagisce. Dobbiamo tenere alta la guardia’’. (Le immagini). Stamattina l’attacco al premier: ’’Impone ai suoi picciotti cosa fare’’ (Segui la diretta dal sito dell’Idv)
Roma, 8 lug. - (Adnkronos/Ign) - ’’Qui c’è la vera democrazia, c’è la vera politica non l’antipolitica", Antonio Di Pietro dal palco di piazza Navona dove si sta svolgendo la manifestazione contro le "leggi canaglia del governo Berlusconi" rivendica il ruolo ’democratico’ delle manifestazioni di piazza e respinge le accuse di fare anti politica.
"Ogni volta che un pregiudicato si candida al Parlamento per non andare in galera - sottolinea Di Pietro - quella è antipolitica. E andare al governo e far fare le leggi che servono per la propria impunità, quella è antipolitica, anzi è regime", affonda attaccando Silvio Berlusconi. "Qui - insiste il leder di Idv - ci sono cittadini liberi che liberamente intendono far sentire la loro voce", in un momento in cui si può parlare di "emergenza democratica".
Ma noi, afferma Di Pietro, ’’abrogheremo queste leggi fatte in violazione della collettività, attiveremo un grappolo di referendum che cancellerà queste leggi". Il leader di Idv è partito dal lodo Alfano: "avrebbero fatto meglio a scrivere il numero del procedimento che riguarda Berlusconi, questa legge è incostituzionale e immorale in uno Stato di diritto, dice che 4 persone non possono essere processate e che possono fare di tutto, ma noi abbiamo bisogno di alte cariche innocenti non impunite".
Di Pietro ha parlato di "comportamenti da nuova P2. Anzi, da vecchia P2 perché loro sono sempre quelli, erano iscritti prima e sono sempre quelli". Nel discorso del leader di Idv, anche un piccolo accenno alle altre opposizioni: "Rispettiamo chi fa opposizione in modo diverso da noi, ma non ci togliete il diritto di manifestare, non ci togliete le libertà fondamentali".
Insomma ’’bisogna tenere alta la guardia perché "tutti i regimi nascono in maniera dolce", insiste Di Pietro. E " il governo Berlusconi che sta facendo una legge che colpisce la democrazia".
"Si sta facendo una legge - spiega Di Pietro - che dice che 4 cittadini italiani, una volta eletti presidenti delle Camere o della Repubblica o del Consiglio, possono ammazzare le mogli, stuprare i bambini o corrompere un testimone e non essere processati".
Il primo intervento dal palco è stato del direttore di ’Micromega’ Paolo Flores D’Arcais che attacca: "Il modello che ha in mente Berlusconi non sono gli Stati Uniti ma la Russia di Putin, ma noi diciamo no a questo fascismo strisciante". Il leader dei girotondi bolla quindi il dl sicurezza come il "pacchetto vergogna, non un mini condono ma un gigantesco regalo fatto a delinquenti di ogni risma".
Il giornalista contesta anche il lodo Alfano: "Vogliono l’impunità per salvare i criminali del governo e i loro amici". Flores ha quindi sottolineato il fatto che "in questa piazza c’è un’altra Italia, quella che dice no allo sfregio che volete fare della Costituzione". L’organizzatore della manifestazione ha provocato una selva di fischi quando ha nominato il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto e, in maniera minore, quando ha citato l’editoriale di qualche giorno fa di Ernesto Galli della Loggia.
Alla manifestazione secondo gli organizzatori sarebbero presenti 100 mila persone. La porzione di piazza occupata dal palco è colorata da bandiere di Idv, di alcuni dei partiti della sinistra, compresa la falce e il martello del Pdci, e anche di due bandiere del Partito democratico.
Diversi gli striscioni esposti in piazza, tutti critici nei confronti del presidente del Consiglio, mentre sotto alcuni gazebo si distribuiscono i manifesti e le magliette con lo slogan "fermiamo il caimano". Sul palco, invece, sono stati esposti dei grandi cartelli con l’art. 3 della Costituzione sulla legge uguale per tutti.
l’Unità 8.7.08
Piazza Navona. Un’altra Italia
di Furio Colombo *
Non appena avvertito della «iniziativa girotondina», che sarebbe l’incontro di oggi in Piazza Navona per dirci insieme quel che pensiamo delle leggi di Berlusconi per se stesso, delle imputazioni dei suoi processi, delle sgarberie appena camuffate nei confronti del capo dello Stato e della proposta indecente di prendere le impronte digitali ai bambini rom, il prof. Ernesto Galli della Loggia si è precipitato a offrire una diagnosi crudele, ma ahimé, secondo lui clinicamente impeccabile, del male della sinistra.
Infatti solo se sei in preda a un male puoi cadere nel miserevole stato del “girotondo” e abbandonarti a manifestazioni sguaiate e senza senso. Lo ha fatto con un editoriale-cartella clinica sul Corriere della Sera del 7 luglio. L’illustre terapeuta individua i seguenti incurabili sintomi che lui freudianamente chiama “miti”: il primo «è quello delle due Italie. La sinistra si sente sempre chiamata a impersonare l’Italia dei buoni». Il secondo mito «è quello della “unità”. La sua principale raffigurazione nella fatidica manifestazione unitaria, anche se è sparutissima minoranza». Il terzo mito che domina immaginario e pratica della sinistra «è il moralismo. È l’eticismo condotto ai limiti dell’arroganza di tipo razzista. La convinzione che si è puri solo se si è duri».
Il breve trattato passerà per una buona e interessante diagnosi solo fra quei lettori ed elettori che sono prigionieri della implacabile claustrofobia del talk show e dei telegiornali, secondo cui il mondo a sinistra comincia con i frequentatori più assidui, quelli che non mancano mai; e finisce, a destra, con Gasparri che ha guadagnato nuova fama e nuovi spunti per il bravo attore Marcorè con la frase di autorevole ammonimento a Veltroni: «Taccia e faccia opposizione». Il mondo però è un po’ più largo e la storia è un po’ più profonda e questo guasta il giochino dei tre miti di Ernesto Galli Della Loggia.
Basta voltarsi indietro di pochi decenni e dare uno sguardo a un paesaggio appena un po’ più ampio della “Storia dell’Occidente contemporaneo”, per notare due personaggi della sinistra del mondo che, oltre ad avere dato una mano alla civiltà in cui viviamo, ci servono anche per interpretare i tre miti di Galli della Loggia in modo un po’ meno modesto. Sto parlando di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Proviamo a misurare la loro azione e il loro stile di leader politici con le “prove” che il politologo del Corriere della Sera propone.
1 - Il mito delle due Americhe è nato con loro, sia durante le marce e le lotte per i diritti civili di Martin Luther King che durante la campagna elettorale di Robert Kennedy contro la guerra del Vietnam. È nata allora la celebre espressione «the other America», per dire che ci sono i razzisti ma ci sono anche i giusti, ci sono gli incappucciati ma ci sono anche i coraggiosi. L’altra America rischia insieme la vita affinché l’America razzista - che è armata - e quella che ha scelto la guerra e ha il potere, diventino, da stragrande maggioranza, la parte che cede, che accetta la de-segregazione, che tratta la pace.
2 - Il mito dell’unità è sempre stato l’ossessione di King e di Kennedy. Cominci con cinquanta volontari, arrivi in cinquecento, la volta dopo sono cinquantamila, bianchi e neri. Ragazzi appena richiamati alle armi ed eroi di guerra con le medaglie, e a un certo punto sono cinquecentomila. Certo che erano «sparutissima e dileggiata minoranza» all’inizio. E la loro pretesa («we shall overcome», noi ce la faremo, «we will not be moved», nessuno ci sposterà di qui)) era idealismo campato in aria. Ma la pretesa era proprio quella che Galli Della Loggia descrive come sintomo del male detto “sinistra”: «Un giorno, insieme (il mito dell’unità, ndr) ce la faremo». Ce l’hanno fatta.
3 - Credo di poter dire che Martin Luther King, buon cristiano e persona poco teatrale e poco esibizionista, si sentisse - lui e la sua gente - un po’ al di sopra degli assassini del Ku Klux Klan che gli hanno messo una carica di dinamite nella chiesetta di Montgomery (Alabama) facendo strage di bambini neri all’ora del catechismo. Ma forse ai lettori di Galli Della Loggia farà piacere sapere che quando un certo David Duke, già membro incappucciato del KKK dell’Alabama, molti hanni dopo, si è candidato al Senato con il Partito repubblicano, quel partito (che sarebbe la destra americana) non lo ha voluto. Anche da morto Martin Luther King ha visto prevalere il suo moralismo, ovvero la persuasione che tu ti opponi a certe persone non perché sono antipatiche o inferiori. Ma perché dicono cose che non si possono condividere e fanno cose che non si possono accettare. Come imporre le impronte digitali ai bambini Rom, metà dei quali sono cittadini italiani. E tutti sono protetti dalla nostra Costituzione. Ecco perché, Galli Della Loggia, abbracciamo i miti che lei vede come sintomi di malattia.
Due Italie. Perché la nostra comincia con la Resistenza, la Costituzione, Calamandrei e non con Borghezio, Gentilini, Calderoli, Bossi e Berlusconi. L’unità, perché vogliamo con noi tutti coloro che non hanno niente a che fare con l’imbarazzante mercato Berlusconi-Saccà. E sappiamo che, anche se adesso sono o sembrano pochi, saranno per forza di più. In molti italiani il senso della dignità continua a prevalere sul modello dell’arricchimento istantaneo (basta piegarsi e non porre un limite a quanto ci si piega).
Il moralismo (uso la parola sprezzante dell’editorialista del Corriere, ma la parola giusta è moralità) continuerà ad essere la ragione per non smettere. Non smetteremo fino a quando finalmente saremo in tanti, tutti coloro che si vergognano della copertina del settimanale italiano Panorama, adesso in edicola, che pubblica le foto di un bambino Rom con il titolo «Nati per rubare», ovvero una pubblica incitazione al delitto di persecuzione. È contro quel delitto che dedico la mia partecipazione all’evento di oggi in Piazza Navona. I Rom, tanti Rom italiani, con i loro bambini, ci saranno. E noi gli diremo: «Noi siamo l’altra Italia, morale, un po’ al di sopra del razzismo».
furiocolombo@unita.it
Mezza opposizione
di Gabriele Polo (il manifesto, 08.07.2008)
Comunque vada non saranno i guai giudiziari a far cadere Berlusconi dal piedistallo. Come accade da quattordici anni a questa parte. Ora, nella «doppietta» decreto bloccaprocessi-lodo Alfano, il premier può optare persino per la seconda ipotesi, facendo contenti i suoi alleati e fornendo al Pd l’apparenza di un punto da incassare. A dover scegliere il male minore, l’impunità temporanea per «le alte cariche dello stato» è sicuramente l’opzione preferibile. Ma sempre «male minore» è.
La vicenda conferma come la via giudiziaria al cambiamento politico sia un’illusione, ma - soprattutto - quanto sia sbagliato concepire la lotta al berlusconismo come battaglia che si risolve in una persona sola e nelle sue malefatte. Per quanto sia potente la persona e grave il malaffare. Un riduzionismo che, prima, ha costruito un’alleanza elettorale dal respiro corto come quella dell’ultimo governo Prodi e ora ha ridotto l’opporsi parlamentare al puro contrasto delle leggi ad personam predisposte dalla maggioranza del presidente del consiglio.
Così la prima manifestazione di massa contro un governo ignobile è costretta a muoversi sulle sabbie mobili di uno scambio tra le due modalità diverse messe in campo per garantire l’impunità berlusconiana, mentre il Pd si accontenta (per simularsi in vita) di un’innocua raccolta di firme in attesa di una piazza che verrà. Tra tre mesi, forse.
Nel frattempo Maroni prende impronte, Tremonti propaganda la sua carità ai poveri, il duo Brunetta-Sacconi smantella in via definitiva i diritti del lavoro, la Russa fa la guerra, Scajola predispone affari nucleari. In pochi vedono in queste politiche concrete l’essenza del berlusconismo; in pochissimi (e sparpagliati) provano a opporvisi. I più inseguono le vicende pecorecce dell’imperatore e dei suoi cortigiani o pensano di poterle esibire come prova d’indegnità a un’opinione pubblica ormai rotta a tutto o quasi.
Scendere in piazza è un atto lodevole e c’è da sperare che la manifestazione di oggi vada bene, che sia un augurio per il futuro. Ma è pericoloso ridurre la portata dell’iniziativa guardando solo la punta dell’iceberg: il problema dell’iniziativa contro «il ritorno del Caimano» non è in ciò che dice, ma in quel che non dice. Nel lasciare ai margini, ad esempio, i temi economici e sociali. Nell’ignorare che l’uso privato e affaristico della cosa pubblica è la forma che riveste la sostanza della trasformazione delle persone in merci, dei cittadini in sudditi. Una mezza opposizione.
Ansa» 2008-07-08 15:40
GIUSTIZIA: E’ SCONTRO SUL LODO ALFANO
ROMA - E’ scontro tra maggioranza e opposizione sul Lodo Alfano, dopo la decisione di restringere al massimo i tempi del dibattito, fissando il termine per la presentazione degli emendamenti a oggi pomeriggio alle 16. Questo fa andare su tutte le furie il Pd, che prima di tutto parla di "emergenza democratica". Poi decide di abbandonare i lavori della commissione per protesta. Infine, ci ripensa a resta a "presidiare" perché, spiega Barbara Pollastrini, "quando si crea questo ’buio’ è bene che si resti a vigilare".
Anche il ministro-ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia usa toni duri: "Non accettiamo assolutamente questa strozzatura - avverte - ci viene impedito di discutere...". Così molti deputati del Pd escono dalla Sala del Mappamondo e se ne vanno indignati per l’atteggiamento della maggioranza che ha consentito che un provvedimento così importante e delicato come il Lodo Alfano "venisse esaminato dalla Camera in non più di sette ore".
L’Idv, invece, resta. "Quando c’é un’emergenza democratica come quella di adesso - annuncia a sorpresa Antonio Di Pietro che arriva di buon ora in commissione - si deve presidiare il fronte. Non possiamo andare via...". Di Pietro, malignano alcuni esponenti dell’opposizione, ha deciso di fare il ’bastian-contrario’ perché ieri c’era rimasto malissimo del fatto che la parlamentare del Pd Paola Concia avesse denunciato il fatto che lui non si fosse ancora presentato in commissione. Secondo questa interpretazione, dunque, Di Pietro avrebbe voluto rendere "pan per focaccia" ai ’colleghi’ democratici, anche in vista della manifestazione del pomeriggio, convocata dall’Idv proprio contro le leggi ad personam del governo. Isolando di fatto il Pd.
L’Udc infatti è sempre stata contraria ad ogni forma di ’Aventino’. Dopo circa un’ora dall’annuncio di abbandono di Donatella Ferranti il Pd corregge il tiro. Barbara Pollastrini spiega così che non si era deciso di lasciare i lavori di commissione "per protesta". Semplicemente, i capigruppo in commissione si erano allontanati per raggiungere Veltroni ad una riunione nella sede del partito". Ma tutti gli altri erano "rimasti a presidiare".
Tutto qui. Donatella Ferranti, però, interrogata dai cronisti su quello che viene letto dai presenti come un ripensamento, conferma la linea che aveva annunciato in precedenza, anche se in modo un po’ più ’soft’: "Riconfermo ciò che ho detto - dice - e cioé che per protesta contro questi tempi ridicoli che sono stati imposti al dibattito, abbiamo deciso di non intervenire più nella discussione generale". Ma non cita più la parola "abbandono" dell’aula di commissione. "Nella riunione con il segretario - aggiunge - ci siamo trovati tutti d’accordo nel contestare la strozzatura dei tempi e abbiamo deciso di usare ogni mezzo parlamentare a nostra disposizione per contrastare il provvedimento...". Ma mentre i cronisti continuano a registrare i fatti, i deputati del Pd che fanno parte delle due commissioni alle prese con il Lodo Alfano, si riuniscono al gruppo. L’obiettivo, afferma ancora la Ferranti, è "decidere sul da farsi".
"Contro questo lodo Alfano utilizzeremo tutti gli strumenti parlamentari a nostra disposizione visto che intendiamo contrastare la strozzatura che é stata data al dibattito", fa sapere il capogruppo del Pd in commissione Giustizia.
VELTRONI CRITICA FINI, LA REPLICA ALLE 17 - Intanto il segretario del Pd Walter Veltroni critica Fini e la decisione assunta ieri sera di anticipare l’esame del lodo Alfano. "Il governo non ritira l’emendamento blocca-processi e vuole espropriare le funzioni proprie del Parlamento. Il presidente della Camera Fini, al posto di opporvisi, avalla e favorisce. Con la decisione adottata dalla conferenza dei capigruppo, priva di qualsiasi precedente nella storia repubblicana, il presidente Fini - commenta Veltroni - ha imposto di far esaminare il lodo Alfano dal Parlamento con tempi assolutamente ristretti". Il presidente della Camera potrebbe replicare alle critiche di Walter Veltroni e del Pd sui temi della giustizia intervenendo nel pomeriggio in Aula, alla ripresa dei lavori della Camera.
ALFANO, VELTRONI SCELGA TRA DI PIETRO E DIALOGO - Spetta a Valter Veltroni scegliere se "tenere fede" all’impegno di abbassare i toni sulla giustizia o "allinearsi alle posizioni dipietriste". Il ministro della Giustizia Angelino Alfano si rivolge direttamente al leader dell’opposizione affinché intervenga per svelenire il clima politico. "L’opposizione - dice il Guardasigilli - deve decidersi perché fino a pochi giorni fa Veltroni ha annunciato che in caso di ripensamento di questa norma avrebbe prodotto lui un miglioramento del clima. E ora deve scegliere se tenere fede a questo impegno, e ci vuole forza per farlo perché c’é il rischio che Di Pietro aggredisca anche lui, oppure se allinearsi alle posizioni dipietriste". Secondo Alfano comunque, "finora la sinistra si è limitata ad una preconcetta opposizione, condita e seguita con da una richiesta di ritiro della norma". Cosa che non avverrà: "noi riteniamo che il principio di quella che fu la circolare Maddalena che consente di selezionare i processi di maggior allarme sociale in riferimento a reati gravi e commessi più di recente, sia un principio da difendere". Ma verranno eliminati certi automatismi? "Verificheremo gli emendamenti in aula - risponde Alfano - e valuteremo se vi è la disponibilità della sinistra ad entrare nel merito".
DI PIETRO, LODO NON IMPEDISCE L’ARRESTO - Il lodo Alfano, la norma che sospende i processi per le più alte cariche dello Stato fino alla fine del loro mandato, "sospende i procedimenti giudiziari, ma non impedisce l’arresto dei vertici dello Stato". A metterlo in evidenza è il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro che ha sostenuto questa sua tesi anche nel suo intervento nella seduta congiunta delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali dedicata all’esame del lodo Alfano
. "Questo provvedimento contiene tre abnormità - sottolinea Di Pietro - la prima è che vengono sospesi i processi per tutti i reati ’extrafunzionali’ come l’omicidio, violenza carnale o rapina ecc ecc. Ma se si commettono questi reati, nel caso di impazzimento di uno dei vertici dello Stato si può essere arrestati, ma non processati. La seconda abnormità, infatti, prevede che ci sia la sospensione dei processi, ma questi, tecnicamente,cominciano solo con il rinvio a giudizio dell’imputato pertanto non possono essere sospese in alcun modo le indagini preliminari durante le quali si può comunque predisporre l’arresto del reo. Così si arriva all’assurdo che il presidente del Consiglio, ad esempio, potrebbe essere arrestato, ma non processato, consentendogli così di continuare ad esercitare il proprio mandato magari da San Vittore o da Regina Coeli...".
"La terza abonormità - conclude il leader dell’Idv - è che nel caso si determini il reato di peculato si potrebbe creare il paradosso che il presidente del Consiglio citi il presidente del Consiglio per ottenere il risarcimento del danno". "Tutto questo - conclude Di Pietro - dimostra che il lodo Alfano non è altro che una norma ad personam costruita per il processo milanese del premier. A questo punto, sarebbe stato molto meglio fare una legge che impediva a Silvio Berlusconi di essere processato nel procedimento Mills fino alla fine del suo mandato.
ANSA» 2008-07-08 19:36
OGGI GIROTONDINI IN PIAZZA, IL PD ATTACCA GRILLO
Piazza Navona ospita la manifestazione dei girotondi e dell’Italia dei Valori contro ’le leggi canaglia’ del governo. "Noi rispettiamo chi non è qui ma chiediamo ugualmente rispetto da chi non c’é e non ha aderito nemmeno idealmente". Lo afferma il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, arrivando a piazza Navona. "Ci sono modi diversi di fare opposizione - prosegue - e tutti vanno rispettati. Noi non cadiamo nel tranello di chi vuole evidenziare uno scollamento tra le opposizioni, il problema non è questo ma è Berlusconi che ha messo in atto una truffa elettorale".
Più stand vendono magliette con la scritta ’Fermiamo il caimano’, prodotte dall’Idv, e nel mirino dei cartelli dei manifestanti finisce anche il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna: "Presidente, che cuccagna la Carfagna". Molte le bandiere di partito che sventolano di fronte all’ambasciata del Brasile dove è stato allestito il palco della manifestazione contro il governo. Tra i simboli più numerosi c’é quello dell’Italia dei Valori, in piazza infatti vengono distribuite le bandiere con il simbolo del partito di Di Pietro. Insieme all’Idv ci sono poi i vessilli della Sinistra rimasta fuori dal Parlamento: le bandiere del movimento di Sinistra Democratica e quelle del Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando. A contendersi la scena, nella porzione di Piazza Navona riservata alla manifestazione, c’é poi la Costituzione italiana.
Sul palco infatti compare un lungo manifesto verticale in cui è scritto per esteso l’articolo 3, quello in cui si dice che "tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge". Sull’altro lato del palco c’é invece un’altra scritta, sempre a caratteri molto grandi, in cui si legge: "La legge è uguale per tutti". Tra i manifestanti c’é anche chi indossa cartelli con su scritto una citazione di Umberto Eco: "Quando la maggioranza sostiene di avere sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia". Altri sostenitori dell’Idv invece indossano cartelli in cui si riportano i vari reati che verrebbero ’sospesi’ in caso di approvazione dell’emendamento blocca-processi inseriti nel decreto sicurezza. C’é chi ad esempio ha un cartello con la scritta "stupro, sospeso"; oppure altri cartelli con "abuso d’ufficio, sospeso". In molti sono poi i manifestanti che indossano una maglietta con un coccodrillo verde e la scritta "fermiamo il caimano".
Tra le scritte che compaiono a piazza Navona, nella manifestazione dei girotondi contro il governo Berlusconi, c’é anche quella che paragona il premier a Benito Mussolini. Un uomo porta sulle spalle una copia del giornale ’Il bolscevico’, organo del partito marxista leninista, in cui è rappresentato Berlusconi affacciato al balcone di piazza Venezia e vestito come il duce. Sotto la foto la scritta ’fermiamo l’uomo della provvidenza e della terza Repubblica". In piazza c’é anche chi indossa magliette bianche con la scritta: "Tutte le dittature nascono in nome del popolo".
Prevista la partecipazione anche di Beppe Grillo, al quale il Pd critica pero’ l’atteggiamento nei confronti del presidente della Repubblica. "Attaccare il Presidente della Repubblica non mi sembra una scelta particolarmente efficace - ha detto Anna Finocchiaro - e mi auguro che gli organizzatori della manifestazione di oggi a piazza Navona prendano le distanze da queste posizioni". Ha confermato la sua partecipazione anche l’ex ministro Arturo Parisi.
In mattinata c’e’ stato anche lo scontro a distanza tra Antonio Di Pietro e Silvio Berlusconi. Il leader dell’Italia dei Valori ha accusato il premier di "impone ai propri ’picciotti’ in Parlamento cosa fare in stile mafioso". "Berlusconi - aveva sottolineato Di Pietro - sequestra il Parlamento a scopo di estorsione. Lui dice se volete fare le leggi che servono al Paese, prima approvate la mia legge altrimenti non potete farle. Il riscatto a questo sequestro si chiamo Lodo Alfano che prevede che davanti alla legge tutti sono uguali, tranne Berlusconi".
Dal Giappone, dove sta partecipando al G8, il premier Berlusconi critica la manifestazione di oggi. "Io non credo che possa essere una manifestazione a formare l’immagine di un paese", ha risposto Berlusconi, incontrando la stampa italiana, a chi gli chiedeva, se, in risposta alla manifestazione di oggi di Piazza Navona, fosse ipotizzabile una discesa in piazza da parte del centro destra per dare una diversa immagine internazionale.
"L’immagine di un paese si fa con i fatti e adesso dobbiamo rimediare al disastro di immagine conseguente alla tragedia dei rifiuti in Campania e credo che questa debba essere la nostra prima preoccupazione", ha proseguito il presidente del Consiglio parlando a margine del G8 in Giappone. Una situazione, ha proseguito, "che tra l’altro incide sul turismo che è parte importante della nostra economia e quindi anche dell’immagine che ci deve stare a cuore. Poi, per il resto, sono i fatti che parlano e sarà con il progresso dell’economia, delle esportazioni e del paese che noi potremo illustrarci al mondo".