A Pegah, sulle ali di un Dio generoso
di Salvatore Conte
La tortura psicologica a cui il Governo britannico sta sottoponendo l’inerme Sig.ra Pegah, rinviando la sua morte di giorno in giorno, è il tipo di tortura che fu preferita dai peggiori Tiranni della Storia.
Tutti coloro che le vogliono bene, in tutte le parti del Mondo civile, sono sottoposti alla stessa tortura. Si tratta di terrorismo di Stato e dovrebbero essere applicate contro il Governo britannico le stesse pene previste per i comuni terroristi.
Chi legge provi solo per un attimo a pensarci: provi a pensare al dolore della mente che abbraccia per un attimo qualche speranza di vivere e poi di nuovo ripiomba nell’angoscia della morte imminente. La consapevolezza di una vita specchiata messa in pericolo e giudicata da persone o indifferenti a tutto o puramente ignobili. La sottrazione dalle persone che le vogliono bene.
Pensiamo a Pegah internata in un campo di concentramento che cerca di cogliere un poco di sonno non potendovi riuscire e che cerca di leggere qualcosa per darsi forza ma dovendo pensare di avere pochi giorni di vita davanti a sé.
Scrive Tacito che due onesti Romani furono imprigionati dall’Imperatore Tiberio (lo stesso sotto il cui Regno fu crocefisso Gesù Cristo).
Uno era accusato di sedizione, l’altro di aver dato rifugio ad un perseguitato.
I rispettivi fratelli invocarono la clemenza dell’Imperatore.
Ma scrive Tacito (Annali 5.8): "Dopo frequenti rinvii Vitellio, stremato dall’alternarsi di speranza e paura, chiese uno stilo, fingendo gli servisse per i suoi studi e si inferse un taglio nelle vene; così, in preda allo sconforto, chiuse l’esistenza. Pomponio invece, uomo di grande correttezza e vivido ingegno, sopportò con fermezza la sorte avversa (adversam fortunam) e sopravvisse a Tiberio". Pomponio poi, sotto Agrippina Augusta, divenne uno dei più retti generali e sublimi poeti di Roma.
Che un Dio generoso porti una voce, un sussurro di chi le vuole bene, una stilla di umanità a Pegah, la trattenga alla vita, la esorti a resistere, anche se la prova è sovrumana.
Mi sento molto colpevole per non osare oltre le parole.
Nonostante tutto lo spietato odio riversato su questa donna inerme ed innocente, fino a quando rimarrà un’ultima donna sulla Terra, dall’odio sorgeranno fiori profumati. Né Tiberio né il Governo britannico estingueranno mai la sacralità innocente della donna.
Avete colpito a tradimento, mettendo in catene il vostro ospite, una pellegrina perseguitata senza casa né risorse, afflitta dal dolore e minacciata di morte.
Dante riservò a questo delitto il peggior Girone dell’Inferno. Perché è il delitto che Gesù Cristo esecrò di più fra tutti quelli di cui l’uomo è capace.
Avete colpito a tradimento, sottraendo Pegah a chi le vuole bene. Ma non sarà sempre così. Gli uomini civili di questo Mondo difenderanno sempre qualunque donna indifesa. Il vostro disegno non ha futuro.
Resisti Pegah, resisti. Non sei sola a soffrire.
Un ostaggio del Governo britannico,
Salvatore Conte
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PER PEGAH
Roberto Malini
Salvatore Conte
URGENT!
Sign the Petition to stop her deportation to death
And
Pegah Emambakhsh: il Governo Britannico ci spiega le sue verità
martedì 29 gennaio 2008
Ricorderete tutti la storia di Pegah Emambakhsh, la presunta lesbica iraniana la cui storia ha tenuto tutti con il fiato sospeso per diversi giorni lo scorso mese di agosto, quando la Gran Bretagna intendeva deportarla in Iran nonostante rischiasse la pena di morte per lapidazione.
Allora il web fu un’esplosione di solidarietà verso questa fragile donna iraniana. Ci furono petizioni, migliaia di mail furono spedite al Foreign Office, gruppi per la difesa dei diritti umani si mobilitarono in massa per far si che non venisse deportata. Persino il Governo italiano e molti politici si mossero, dando la disponibilità ad ospitare Pegah nel caso la Gran Bretagna avesse continuato con l’intenzione di deportarla.
Tutte queste pressioni portarono all’ultimo secondo alla momentanea scarcerazione di Pegah e di conseguenza allontanarono lo spettro della deportazione, questo in attesa che un tribunale rivedesse la sua posizione di “richiedente asilo” e soprattutto che rivedesse le motivazioni che la spingevano a tale richiesta.
Di Pegah non se ne è più parlato, forse anche per espresso volere della ragazza o delle autorità britanniche che in attesa di giudizio avrebbero preferito il silenzio sulla vicenda, questo fino a oggi, fino a quando cioè sono tornate alla ribalta voci non verificate riguardanti la deportazione di Pegah.
Allarmati da queste voci abbiamo chiesto, per correttezza e prima di tutti, informazioni all’associazione inglese che all’epoca si era interessata alla ragazza iraniana dando nel contempo, come allora, la nostra completa disponibilità nel caso queste voci fossero risultate vere. Dopo due settimane non è arrivata nessuna risposta se non qualche scaribarile in merito a chi fosse la persona che curava gli interessi di Pegah. Un vero mistero. Eppure crediamo fermamente che il bene di Pegah vada oltre qualsiasi protagonismo o interesse personale.
Partendo da questo presupposto ci siamo quindi attivati attraverso alcune conoscenze iraniane in Gran Bretagna e soprattutto attraverso un contatto diretto con il Foreign Office Britannico. Per la verità non ci aspettavamo alcuna risposta dai britannici, invece con nostro estremo stupore abbiamo trovato alcune persone molto collaborative che ci hanno spiegato con chiarezza l’attuale situazione di Pegah Emambakhsh.
Innanzi tutto va detto che la prima richiesta di asilo, basata esclusivamente sul fatto che la ragazza fosse omosessuale, era fondamentalmente sbagliata, non tanto per il fatto in se, quanto piuttosto perché la legge internazionale impone al richiedente asilo di dimostrare con chiarezza il motivo per cui detto asilo viene richiesto, cosa chiaramente impossibile nel caso di omosessualità in quanto, a meno che non si pretenda un rapporto sessuale pubblico, la condizione di omosessuale riguarda la sfera emotiva e personale.
Si è quindi tentato di far rientrare Pegah in un gruppo sociale perseguitato, ma continuando sempre a battere esclusivamente sulla presunta omosessualità della ragazza e quindi a rischio di persecuzione. Si sono quindi mobilitati i gruppi omosessuali di tutto il mondo, facendo di Pegah una vera e propria bandiera di una battaglia (anche politica) sui diritti degli omosessuali e non sui diritti di Pegah stessa o delle donne iraniane, escludendo dalla richiesta di asilo tutte le altre voci che invece le avrebbero garantito l’asilo.
Fermo restando il problema della “presunta” omosessualità della ragazza, è limpido che nel caso venisse deportata in Iran Pegah rischierebbe la vita, non solo perché ormai è “la lesbica iraniana” ma anche per tanti altri motivi che vanno dalla persecuzione religiosa alla discriminazione sessuale in quanto donna, fino al tradimento e chi più ne ha più ne metta. Di certo ai giudici iraniani non mancano gli argomenti per condannarla a morte.
Tuttavia rimane il problema della richiesta di asilo impostata esclusivamente sulla omosessualità di Pegah, richiesta che allo stato attuale non può essere accolta così com’è in quanto aprirebbe un caso di immensa portata sui richiedenti asilo e che comunque necessiterebbe di un apposito decreto che riconosca la “non dimostrabilità” della propria omosessualità Una cosa, questa, che potrebbe avere un rovescio della medaglia e aprire la strada della richiesta di asilo a chiunque si dichiari omosessuale pur non essendolo.
Chiarito questo aspetto fondamentale, non rimane altro che presentare la richiesta di asilo per Pegah sotto un’altra forma che non sia esclusivamente basata sulla presunta omosessualità della ragazza, ma soprattutto occorre mettere da parte gli interessi politici dei vari personaggi che ruotano attorno a questa vicenda i quali vorrebbero creare un precedente che, in questo momento, la Gran Bretagna non si può permettere. Insomma occorre mettere il bene di Pegah al di sopra di qualsiasi interesse politico o personale. Lo so che il caso può offrire una grande visibilità, ma cercare la notorietà a discapito della salvaguardia della vita di Pegah non è ammissibile. Prima deve venire il bene e il diritto di Pegah, se poi ne avanza chi vuole potrà attribuirsi i meriti che ritiene e farsi bello di fronte al mondo, ma non prima e non a discapito delle possibilità “reali” che Pegah ha di rimanere in Gran Bretagna.
Per la cronaca, l’avvocato che segue la vicenda sta preparando una richiesta di asilo basata anche su altre argomentazioni che permettano al Governo britannico di accettarla senza necessariamente creare un precedente pericoloso. In ogni caso (anche in quello in cui le venga rifiutato l’asilo) Pegah non verrebbe deportata in Iran ma verrebbe espulsa verso un qualsiasi paese disposto a ospitarla, tra i quali ricordiamo c’è l’Italia. Non verrebbe nemmeno accettata una eventuale richiesta di estradizione fatta dall’Iran essendoci in Europa il divieto di estradare qualsiasi persona verso paesi dove la persona estradata sia a rischio di condanna capitale o disumana.
Concludo ribadendo la necessità di rimanere vigili ma senza falsi allarmismi e soprattutto senza campagne medianiche mirate a ottenere un ritorno di immagine o politico a discapito della salute, già fragile, di Pegah Emambakhsk.
Miriam Bolaffi
Messaggio di Pegah Emambakhsh a tutti i gruppi e le persone che la stanno aiutando *
Grazie a una persona meravigliosa, una donna iraniana che vive in Italia ed è impegnata da molti anni nel campo dei Diritti Umani, un’amica che siamo orgogliosi di annoverare fra i membri del Gruppo EveryOne, siamo in contatto quasi quotidiano con Pegah, detenuta nel carcere di Yarl’s Wood. Oggi, 8 settembre 2007, Pegah Emambakhsh ha affidato alla nostra comune amica un messaggio rivolto a tutti i gruppi, gli attivisti, le personalità politiche, le persone comuni che si stanno occupando del suo caso:
"Cari amici, care amiche,
come sapete, sto vivendo giorni molto difficili, senza sicurezze per il mio futuro e con tanto dolore nell’anima. Non posso nascondere che ho ancora paura e che il distacco dai miei amati figli mi dà un dolore che a volte sembra insopportabile. Non immaginate neanche quanto mi sia di conforto sapere che ci siete voi. Non mi conoscete neanche eppure vi impegnate per me, vi esponete per me, lottate per me, mi scrivete e mi mandate fiori meravigliosi. Non mi aspettavo nulla di simile, ormai. Persino molti degli iraniani con cui ero in contatto qui nel Regno Unito, mi hanno abbandonata, quando hanno saputo il motivo per cui ho presentato domanda di asilo. Non li sento più, non hanno più intenzione di frequentarmi.
Non immaginavo che esistessero gruppi ed esseri umani come voi. Spero che il futuro mi conceda di conoscere una per una le persone che mi hanno dimostrato tanta amicizia. Sono rasserenata, sono felice di tutta questa protezione, di tutto questo amore che mi infonde energia e volontà di continuare a vivere. Cari amici miei, mantengo freschi i fiori che mi avete inviato. Ne sono così orgogliosa! Qui al centro di Yarl’s Wood hanno suscitato un po’ di gelosia da parte delle altre donne.
Leggo e rileggo le lettere e le cartoline che mi avete spedito. Ho tanto tempo per pensare a quello che mi sta succedendo e, nonostante non mi senta ancora pronta per parlare in pubblico, una volta fuori di qui voglio fare qualcosa per l’umanità. Grazie a tutti voi e a presto.
Pegah Emambakhsh".
* Anne’s Door. La cultura a difesa della vita
Pegah: l’Europa mi ha abbandonata
di Farian Sabahi
«Sono stanca dì lottare, stanca di attendere la notizia di un asilo che non arriva mai o di una deportazione che sembra sempre più vicina», confessava qualche giorno fa l’iraniana Pegah Emambakhsh.
Quarant’anni, ha rischiato di essere deportata in Iran, dove sarebbe stata condannata a morte per avere amato un’altra donna. Dopo alcuni giorni di silenzio, Pegah ha finalmente accettato di farsi intervistare per telefono grazie alla mediazione dell’amica iraniana V.T., che preferisce restare nell’anonimato, e del Gruppo EveryOne che si è tanto impegnato per ottenere la sua scarcerazione.
Pegah ha passato le ultime settimane nei centro di detenzione inglese di Yarl’s Wood vicino a Clapham, nel Bedfordshire. Il suo caso ha messo in subbuglio le severe regole di questo luogo, anticamera di innumerevoli deportazioni e tragedie. In seguito alla campagna internazionale «Flowers for Pegah» lanciata dal gruppo EveryOne, al centro di detenzione sono arrivati mazzi di rose, gigli e orchidee. E tanti biglietti e messaggi di sostegno con i francobolli inglesi, italiani e spagnoli.
Secondo le rigide procedure del carcere nessun oggetto può però essere consegnato ai detenuti. E quando i fiori sono diventati migliaia le guardie carcerarie hanno preso la decisione arbitraria di gettare tutto nella spazzatura, senza neanche mostrare alla prigioniera quei segni d’affetto e solidarietà da tutto il mondo. Finché una guardia carceraria più umana delle altre si è messa in tasca qualche biglietto, qualche petalo di rosa e, con fare furtivo, li ha passati a Pegah, sussurrandole quello che accadeva fuori.
Quanto è stato importante quel momento?
«È stato in quel preciso istante, quando la solidarietà ha superato il limite posto dal regolamento del carcere, che ho intravisto la speranza. Sto bene. Ho passato momenti terribili, ma adesso mi sento meglio. So che tante persone meravigliose si stanno preoccupando per me e desidero rassicurarle. Spero di uscire presto di qui, perché vorrei ringraziarle una per una».
La data della deportazione e il suo volo per Teheran sono stati fissati tre volte e, grazie all’intervento di alcune associazioni, la macchina della morte si è fermata. L’incubo della fine l’ha abbandonata?
«Sì. quel pensiero se ne è andato via dalla mia anima. Ora sono, serena e ho la speranza in un futuro migliore».
Le mancano i suoi figli?
«Ho due maschi a cui voglio tutto il bene del mondo. Sono anni che non li vedo, li penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Mi mancano tanto e spero che stiano bene, che siano felici. Penso spesso anche a mio padre. E’ vecchio e l’ultima volta che l’ho visto non stava bene, sono preoccupata per la sua salute e prego sempre per lui».
Lei ha lasciato l’Iran nel 2005 e pensava di trovare asilo in Europa. È rimasta delusa?
«Mi era stato detto che il Regno Unito è uno Stato molto accogliente con i profughi, molto attenta ai diritti della persona. Se devo essere sincera, quando sono arrivata qui, ero convinta di essere finalmente al sicuro. Avevo perduto tutto, ma non rischiavo più la pelle. Invece è andata diversamente anche se, devo ammetterlo, in Europa, ho trovato degli amici. Penso ai tanti che si sono presi a cuore il mio caso, e in particolare ai Gruppo EveryOne che ha aderito al sit-in di lunedì scorso a Roma, davanti all’ambasciata del Regno Unito. L’Europa è anche questo, gente che non mi conosce personalmente ma soffre insieme a me. Per questo vorrei incontrare Roberto, Matteo, Dario, Ahmad, Steed e tutti gli altri che lottano per farmi ottenere l’asilo definitivo».
È riuscita a vedere le immagini del sit-in? Ed è stata informata del fatto che il Gruppo EveryOne ha chiesto aiuto al Consiglio d’Europa?
«Ho visto qualche articolo sui quotidia ni, ma nel centro di detenzione di Yarl’s Wood siamo tenuti all’oscuro di quello che succede fuori e non abbiamo la possibilità di usare Internet».
* da: La Stampa del 5 settembre 2007 (cf. anche il blog di Farian Sabahi), ripreso da Anne’s Door. La cultura a difesa della vita.
Essendosi dichiarata lesbica è condannata a morire
Urgente appello al Consiglio d’Europa sul caso di Pegah Emambakhsh *
Partita la richiesta formale per ’’’intervenire tempestivamente sul caso e scarcerare immediatamente la cittadina iraniana’’, facendo pressione ’’affinché venga concesso l’asilo definitivo
Roma, 3 set. (Ign) - Un nuovo e urgente appello a favore di Pegah Emambakhsh è stato inoltrato al Consiglio d’Europa. E’ il Gruppo EveryOne che, scrivendo al Segretario generale del Consiglio d’Europa Terry Davis e al vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer Buquicchio, chiede formalmente ’’di intervenire tempestivamente sul caso’’ per ’’la scarcerazione immediata della cittadina iraniana e facendo pressione affinché venga concesso l’asilo definitivo’’.
Finora sono state molte le ipotesi di asilo che personalità politiche italiane hanno comunicato attraverso i canali diplomatici e la stampa al governo britannico per offrire sostegno alla donna, una lesbica iraniana fuggita nel 2005 nel Regno Unito, dopo che la sua compagna era stata arrestata, chiedendo asilo in accordo con la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 (e successivo protocollo del 1967) relativa allo status di rifugiato. Poi, alcuni giorni fa, la decisione di Londra di espatriarla nella Repubblica Islamica.
Nel suo Paese, Pegah è attesa da una condanna a 100 frustate comminate con un nerbo semirigido e tagliente (punizione che distrugge il corpo del condannato e, spesso, risulta letale) e probabilmente alla condanna della lapidazione, essendosi dichiarata lesbica e avendo chiesto aiuto, atteggiamento che le leggi iraniane equiparano a immoralità e cospirazione, due reati capitali. Inoltre il codice locale considera un’aggravante il fatto che Pegah sia sposata; una donna sposata che si macchi di ’atti immorali’ con una persona del proprio sesso è infatti condannata a morire, gettata da una rupe.
Senonché, pochi giorni prima della partenza di Pegah, l’associazione ASSIST di Sheffield ha contattato alcuni gruppi e, in particolare, l’Iranian Queer Organization e il Gruppo EveryOne (Italia), dando vita a una campagna internazionale capillare, diffondendo appelli, inviando articoli alla stampa e ai siti di informazione libera, coinvolgendo inoltre importanti personalità politiche e intellettuali. E la risposta internazionale è stata formidabile: migliaia di voci hanno raggiunto il Regno Unito, i Lord, i Reali, il primo ministro britannico Gordon Brown, l’Home Secretary. Il ’volo della morte’ della British Aiways è stato così annullato all’ultimo istante.
I media italiani hanno dedicato prime pagine e ampi spazi alla vicenda di Pegah; il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e quello di Roma Walter Veltroni hanno offerto asilo e una casa alla profuga, numerosi parlamentari hanno sollevato il problema nelle sedi politiche e alcuni ministri hanno lanciato al Regno Unito la proposta di accogliere Pegah in Italia concedendole asilo.
Il capo dell’Ufficio Politico dell’Ambasciata Britannica a Roma, a nome del governo del Regno Unito, ha così convocato gli attivisti del Gruppo EveryOne - Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau e Steed Gamero - assicurando che il caso sarebbe stato valutato in appello nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra, della Dichiarazione dei Diritti Umani e di tutti i documenti che garantiscono il rispetto della dignità e della vita del Rifugiato.
Pegah Emambakhsh, i media inglesi e il silenzio dei colpevoli
di Roberto Malini
Cara Miriam, cara Elisa, cari amici
di Watch International/Secondo Protocollo,
l’iniziativa "Fiori per Pegah", che il Gruppo EveryOne ha promosso a livello internazionale, ha offerto un grande risultato. Il carcere di Yarl’s Wood, in cui Pegah è rinchiusa, in condizioni di salute fisica e psichica assolutamente precarie, è stato inondato di mazzi di rose, gigli, gerbere, fiori di campo. Il centro di detenzione è entrato in crisi e le autorità, in violazione alle norme che tutelano i profughi, hanno ordinato di gettare fra i rifiuti tutti i fiori e i biglietti di sostegno indirizzati a Pegah.
E’ qualcosa di gravissimo, perchè il Regno Unito nega a Pegah persino il diritto a ricevere corrispondenza. Pensate che persino i nazisti concedevano agli ebrei internati nei lager di ricevere posta. Molti cittadini britannici ci scrivono increduli, affermando di vergognarsi del loro Paese, del loro governo. Noi del Gruppo EveryOne protestiamo in ogni sede, ma l’arroganza dei potenti non ammette ripensamenti e non concede spazio al’umanità: "Pegah deve stare in galera"; "Pegah non può ricevere messaggi dal mondo che le è vicino"; "I fiori per Pegah finiranno nella spazzatura"; "La vita di Pegah è una cosa nostra".
I media, nel frattempo, in ossequio ai potenti, cercano di nascondere la tragedia di Pegah. Ecco il messaggio che, tradotto in lingua inglese, cercheremo di far giungere ai cittadini del Regno Unito, la maggior parte dei quali continua a coltivare la compassione e l’umanità e non si riconosce in questo governo spietato verso i deboli. Rimanete vicini a Pegah e non abandonateci, per favore, in questa azione di umanità. Roberto Malini
Cari amici, la televisione, le radio, la stampa inglese non concedono spazio al caso di Pegah Emambakhsh. E’ semplicemente incredibile. Ascoltate la BBC, sfogliate un quotidiano. Quante notizie futili vengono trasmesse o scritte ogni giorno? Qui parliamo di una profuga fuggita dall’Iran, dove è condannata a 100 frustate (spesso letali e sempre devastanti) perchè è lesbica e alla pena di essere gettata da una rupe, impiccata o lapidata in quanto donna sposata e in quanto fuggita all’estero clandestinamente.
Qui parliamo di uno stato che ha una grande tradizione di civiltà, ma che ha perduto la strada del rispetto dei diritti umani. Uno stato in cui i la vita dei profughi viene decisa in modo affrettato e disumano. Pegah non ha commesso alcun crimine. E’ una donna indifesa che ha chiesto aiuto al Regno Unito. Ma non ha ricevuto Asilo. Hanno tentato di deportarla in Iran, verso la tortura e la morte e adesso si trova in carcere, allo stremo delle forze, senza poter ricevere visite o il sollievo di un mazzo di fiori, che le guardie gettano fra i rifiuti senza neanche farle sapere che qualcuno ha pensato a lei. E’ tutto così atroce, così incredibilmente spietato. E’ un caso su cui si scriveranno libri e si gireranno documentari e film. Eppure i giornali non la ritengono una notizia da divulgare, le televisioni la nascondono.
La BBC ha intervistato me e un altro membro del Gruppo EveryOne. Quando abbiamo chiesto al giornalista perché i media inglesi stanno nascondendo il caso all’opinione pubblica, lui mi ha risposto con orgoglio. "La BBC è diversa e non ha paura di niente. State tranquilli, perché darà ampio spazio alla notizia". Invece niente, l’intervista non è mai andata in onda. State attenti, amici, perché il silenzio é un sipario dietro il quale agiscono i carnefici. La Storia ci insegna che è così, che è sempre stato così.
Con grande civiltà, protestate. Chiedete ai media di informarvi sui fatti che accadono nel Regno Unito, anche se sono scomodi, urtano i potenti e non fanno fare bella figura al Governo. Protestate adesso, alzate la voce adesso, prima che il silenzio divenga ancora più profondo, le urla di dolore siano coperte da jingle pubblicitari e nella profonda quiete apparente comincino a riecheggiare passi ritmici di stivaloni militari. Perché l’orrore ritorna sempre e il silenzio è il suo complice più fedele.
Per il Gruppo EveryOne,
Roberto Malini
Fiori per Pegah
di Roberto Malini *
Il carcere di Yarl’s Wood, triste luogo di transito che si trova vicino a Clapham, nel Bedfordshire, in cui gli immigrati attendono la deportazione è stato raggiunto da un arcobaleno di colori. Da ieri, infatti, centinaia di mazzi di rose, gigli e gerbere vengono consegnati dai fattorini di Interflora alle guardie, che firmano le ricevute con grande stupore. "E’ una situazione difficile," ha detto un responsabile del centro, "perché non ci era mai accaduto niente di simile. I fiori arrivano a un ritmo incessante e noi non sappiamo cosa fare. All’inizio ci hanno detto di separare i biglietti di accompagnamento e mettere da parte i mazzi e le composizioni, in attesa di disposizioni, ma a un certo punto è diventato impossibile, perché ci perviene una montagna di fiori e la situazione è diventata ingestibile". Sui biglietti e le cartoline che accompagnano i fiori sono scritti messaggi di sostegno, di speranza e di amore: "Presto sarai libera", "Non arrenderti, ti siamo vicini", "Attendiamo con ansia che il Regno Unito ti conceda asilo". I fiori e i messaggi sono tutti per lei, Pegah Emambakhsh, il cui nome è scritto spesso in uno stile elegante e graziato.
La portavoce di un’Associazione che vigila sulle deportazioni dall’interno del Centro ha chiesto informazioni su quella marea multicolore proveniente da tutto il mondo all’associazione "Friends of Pegah Campaign" ed ha appreso così che l’iniziativa è partita dall’Italia grazie al Gruppo EveryOne. In poche ore, grazie all’appoggio di gruppi per i diritti umani, siti internet, forum e gente comune, l’idea si è trasformata in una grande manifestazione di solidarietà. Migliaia di cittadini di ogni età, sesso, razza e condizione sociale hanno cominciato a inviare fiori e si può essere certi che l’ondata non si fermerà tanto presto. "Non sono sicura che le guardie si premureranno di separare i fiori dai biglietti, " ha dichiarato in un primo momento E.G., "perché non sono tutte famose per la loro gentilezza. Può darsi che ora le guardie gettino tutti i mazzi fra i rifiuti e che Pegah non ne sia neanche informata. Però il fenomeno è notevole e può darsi che porti attenzione sul caso di Pegah, anche per intervento dello Staff di Immigrazione e del personale della compagnia privata che gestisce il carcere. Chi può dirlo? Ogni azione è come una lama a doppio taglio. Vorrei dire al Gruppo EveryOne che è meraviglioso tutto quello che stanno facendo per Pegah e il coinvolgimento di gente di tutto il mondo. Una cosa è certa: tutto questo solleverà il morale di Pegah e in questa situazione il suo stato di salute psichica è importante tanto quanto il procedimento giudiziario in corso".
Simon Forbes di OutRage! definisce l’azione "Un gesto di incredibile umanità", mentre dall’interno del carcere giungono notizie rassicuranti: le guardie hanno compreso lo spirito dell’iniziativa e, nei limiti delle loro funzioni, si prodigano per manifestare solidarietà alla detenuta.
Chi volesse inviare una cartolina a Pegah (che sicuramente le sarà consegnata, per regolamento del Centro), può inoltrarla a:
Pegah Emambakhsh
Yarl’s Wood Immigration Removal Centre,
Twinwood Road,
Clapham, Bedfordshire MK41 6HL,
United Kingdom
Telephone 01234 821000
Per chiedere giustizia e asilo per Pegah:
United Nations High Commissioner for Refugee hqls@unhcr.org
The President of the European Parliament Hans-Gert Pötterin: info@europarl.eu.int
European Court of Human Rights Webmaster@echr.coe.int
Prime Minister Gordon Brown: http://www.number-10.gov.uk
British Embassy in Italy: RomePoliticalSectionEnquiries@fco.gov.uk
Per inviare messaggi di sostegno a Pegah:
EveryOne Group (Italy): Roberto.malini@annesdoor.com - matteopegoraro@emergentesgomita.com
Friends of Pegah Campaign (Sheffield): pegahletters@mac.com
FRIENDS EveryOnGroeup
OF PEGAH
CAMPAIGN
EveryOne Group
roberto.malini@annesdoor.com
matteo.pegoraro@infinito.it
t: 0039-334-842-9527
Mercoledì 29 agosto 2007
Comunicato Stampa
Pegah Emambakhsh. Messaggio alle Istituzioni, ai Gruppi e agli Amici.
“Friends of Pegah Campaign”, l’associazione che cura gli interessi della signora Pegah Emambakhsh a Sheffield, Regno Unito, affida all’organizzazione per la tutela dei Diritti Umani “EveryOne Group” il compito ufficiale di comunicare in sede italiana e internazionale alle Istituzioni, alle Organizzazioni e ai singoli attivisti le seguenti informazioni, con preghiera di seguire integralmente le richieste formulate.
Innanzitutto “Friends of Pegah Campaign” desidera ringraziare tutti coloro che di propria iniziativa, seguendo l’attivismo organizzato o in sede istituzionale hanno partecipato attivamente alla campagna a favore della signora Pegah Emambakhsh. I frutti del loro impegno sono di valore umano incalcolabile.
In seguito a un incontro con il Pubblico Ministero che si occupa della signora Pegah Emambakhsh avvenuto ieri mattina, 28 agosto 2007, e alla presentazione del caso alla Border and Immigration Agency da parte del team legale che la rappresenta a tutt’oggi, dichiariamo di essere pienamente soddisfatti della rappresentanza legale e politica, che ora sono pienamente efficienti.
La signora Pegah Emambakhsh ha dunque affidato pieno mandato allo studio legale che si occupa del suo caso nel Regno Unito.
Ora che il vostro straordinario supporto ha generato l’atmosfera serena, improntata al rispetto della dignità dell’assistita, fondamentale per lo svolgimento regolare del procedimento, siamo certi che tutti voi avrete la cortesia di comprendere l’estrema delicatezza dei prossimi sviluppi del procedimento e di rispettare una necessità di Pegah Emambakhsh: quella di affidarsi alle procedure, alle decisioni e alle strategie dei suoi rappresentanti legali.
Adesso dobbiamo attendere finché non conosceremo gli esiti delle prossime fasi e riteniamo che ulteriore pubblicità non sia ora necessaria né utile al caso di Pegah.
Naturalmente vi terremo costantemente informati di tutti gli sviluppi
significativi ogni volta che ci sarà possibile. Vi siamo immensamente grati
per il lavoro impegnativo ed eccezionale in favore della signora Pegah
Emambakhsh: il vostro sostegno è risultato essenziale.
Un ringraziamento a ognuno di voi.
Friends of Pegah Campaign (Regno Unito)
Per il Gruppo EveryOne
Roberto Malini, Matteo Pegoraro,
Dario Picciau, Ahmad Rafat, Steed Gamero
SAVE PEGAH
di Salvatore Conte *
Cari Amici di Israele,
ho una domanda sul labbro: non Vi sconcerta l’allucinante vicenda della Sig.ra Pegah Emambakhsh, l’esule iraniana perseguitata anche nella "civilissima" Europa, dove se sbagli a compilare un modulo, scatta la pena di morte?
Come è possibile che un Paese, come la Gran Bretagna, che si dice nemico della barbarie e degli "Stati canaglia", si trovi in perfetta sintonia con l’Iran quanto all’esigenza di lapidare una giovane donna innocente?
Non è tutto questo già una bomba atomica nelle mani dell’Iran?
I grandi massacri dell’Europa non sono forse sempre nati dall’indifferenza e dall’aggressione dei più deboli e delle minoranze?
Vi ringrazio moltissimo per aver rilanciato (in alcuni Vs. siti d’informazione) lo struggente articolo di Repubblica con l’intervista alla Sig.ra Pegah: tutti dovrebbero conoscere le sue parole di speranza, amore e giustizia, sperando che non siano le ultime.
E spero con il cuore, è una preghiera, che la Vs. grande cultura e generosità di popolo antico e saggio, a lungo ingiustamente perseguitato, si materializzi in un gesto, anche silenzioso, di grande e superiore civiltà: intervenire per liberare dalla prigionia e dal dolore la Sig.ra Pegah.
Sarebbe una più che meritevole cittadina europea. Un baluardo vivente contro la barbarie e l’odio. Il miglior scudo spaziale contro le bombe atomiche di qualsiasi Paese canaglia.
Io oso sperarlo.
Grazie,
Salvatore Conte
(Roma)