[...] Se i titolari dell’imprese editoriali continueranno a negare non solo il diritto alla contrattazione ma anche il diritto al confronto tra parti sociali, anche a fronte dell’alto messaggio del Presidente della Repubblica, vorrà dire che occorrerà aprire una seria e severa riflessione nel Paese sul venir meno di una funzione fondamentale degli editori che, in tal caso sarebbero avviati verso la via, pubblicamente insostenibile, dell’irresponsabilità sociale. La tutela di un bene primario quale l’informazione, per la formazione della coscienza pubblica, esige considerazioni speciali nella consapevolezza che la concertazione sia una opportunità, non un intralcio per il progresso civile e economico di una democrazia fondata sul lavoro e la giustizia sociale. [...]
CONTRATTI
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Il rinnovo del contratto dei giornalisti è un diritto primario”
Serventi Longhi: "Parole come pietre"
Siddi: "Viva gratitudine al Capo dello Stato" (www.fnsi.it, 28.09.06)
’’Tra i diritti primari che si devono riconoscere ai giornalisti c’è quello ad avere un contratto di lavoro regolarmente rinnovato’’. Lo ha detto Giorgio Napolitano, alla cerimonia al Quirinale per il Premio Saint Vincent. Il presidente della Repubblica ha aggiunto che ’’con molto rammarico purtroppo il tentativo del governo di riaprire le trattative senza chiusure pregiudiziali e senza intransigenze per il rinnovo del contratto è andato fallito. Mi permetto di incoraggiare - ha proseguito - il ministro del Lavoro ad insistere nel suo sforzo e mi auguro, per davvero, che si possa giungere presto ad una soluzione soddisfacente anche nell’interesse del regolare svolgimento dell’attività dell’informazione’’.
Il presidente Napolitano ha parlato a braccio ai vertici degli organismi rappresentanti dei giornalisti riuniti al Quirinale per l’assegnazione del Premio Saint Vincent. Era stato in particolare il presidente della Fnsi Franco Siddi a ricordare che il contratto della categoria, ormai scaduto, non è stato ancora rinnovato e la questione rappresenta per i giornalisti ’’una urgenza primaria’’. (ANSA)
Il Segretario Generale della Federazione nazionale della Stampa Italiana, Paolo Serventi Longhi, ha dichiarato:
“Parole che pesano come pietre quelle pronunciate oggi dal Capo dello Stato sulla vertenza contrattuale dei giornalisti. Mi auguro davvero che le affermazioni di Giorgio Napolitano vengano ascoltate dagli editori della Fieg e che sia rapidamente accolto l’invito del Ministro del Lavoro Cesare Damiano alla riapertura del dialogo. Non mi rassegno all’idea che l’iniziativa del Governo debba considerarsi fallita, nonostante la dura posizione della Fieg che ha escluso ogni disponibilità al confronto. Il contratto è certamente un diritto dei lavoratori ma, ritengo, anche delle imprese perché una intesa non può che essere il frutto di una mediazione tra opinioni e interessi diversi. Il Presidente della Repubblica ha espresso una speranza, quella di una trattativa, che l’intera categoria dei giornalisti fa propria. E’ per questa ragione che occorre dimostrare in questo momento difficile il massimo della compattezza dei giornalisti italiani. Pertanto rinnovo l’appello a tutte le colleghe e i colleghi a partecipare agli scioperi proclamati dal Sindacato dei Giornalisti per rivendicare il diritto al negoziato”.
Il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi, ha dichiarato:
“Ringrazio vivamente il Capo dello Stato Giorgio Napolitano per aver risposto con parole alte e chiare all’appello per la ripresa delle trattative e il rinnovo del contratto dei giornalisti scaduto ormai da 578 giorni, che ho potuto fare stamani, a nome del sindacato di categoria (la Fnsi), in occasione della consegna del premio Saint Vincent al Quirinale. Le espressioni della più Alta Magistratura della Repubblica sono un riconoscimento e un richiamo al rispetto del valore che ha la dignità del lavoro dei giornalisti per l’informazione libera nelle democrazie occidentali, coerentemente e saldamente affermata dalla nostra Costituzione repubblicana.
Se i titolari dell’imprese editoriali continueranno a negare non solo il diritto alla contrattazione ma anche il diritto al confronto tra parti sociali, anche a fronte dell’alto messaggio del Presidente della Repubblica, vorrà dire che occorrerà aprire una seria e severa riflessione nel Paese sul venir meno di una funzione fondamentale degli editori che, in tal caso sarebbero avviati verso la via, pubblicamente insostenibile, dell’irresponsabilità sociale. La tutela di un bene primario quale l’informazione, per la formazione della coscienza pubblica, esige considerazioni speciali nella consapevolezza che la concertazione sia una opportunità, non un intralcio per il progresso civile e economico di una democrazia fondata sul lavoro e la giustizia sociale. E’ auspicabile pertanto che il rinnovato, magistrale appello del Presidente Napolitano sia accolto con rispetto dalla controparte sociale dei giornalisti, la Fieg, e, per quanto gli compete, con rinnovato impegno dal Governo”.
Editori e giornalisti
di Furio Colombo *
È questione di una o due settimane e poi lettori dei giornali e spettatori della televisione leggeranno o ascolteranno di nuovo il messaggio detto da «chi vi parla è autorizzato dal Comitato di Redazione». Dirà che i giornalisti sono ancora costretti a uno, due o tre giorni di sciopero, perché gli editori non intendono firmare il contratto.
Vorrei rassicurare chi legge. Questo non è un intervento sindacale. Altri hanno quel compito, e lo svolgono con impegno. Questa è una storia italiana. Ma è già stata, prima di noi, storia di altri paesi. Una insofferenza profonda ha cominciato a soffiare come un ghibli contro la professione di informare.
Quel ghibli è stato - e continua ad essere - così violento da deformare tutto il paesaggio della professione giornalistica e delle figure che in essa operano al punto che non sempre le puoi riconoscere. Ci sono giornalisti che celebrano festosamente i giorni di sciopero di altri giornalisti, irridendoli e continuando il loro lavoro indisturbati, come se avessero un "passi" o una visione radicalmente diversa della vita professionale. Per esempio: «Ma quale contratto? Si può benissimo lavorare senza, se sei dello stesso partito del padrone. I compensi arrivano in tanti modi». Ci sono giornalisti che fanno finta di non vedere, perché stanno percorrendo una loro strada diversa (per esempio «il quotidiano di proprietà dei giornalisti»). Tutto giusto, se questo fosse una normale, antipatica, difficile disputa economica, quanti soldi in più per questo o per quello.
Ma questa non è affatto una disputa economica. La questione che stanno ponendo gli editori italiani - o almeno chi li guida - è molto più seria e radicale, e dovrebbe riguardare tutti coloro che sono coinvolti in questo mestiere, se non altro come cittadini. Dovrebbe riguardare (se ci fossimo spiegati e ci fossimo fatti capire) tutta l’opinione pubblica. La questione è questa: con l’immenso flusso informativo a disposizione nel mondo, che bisogno c’è dei giornalisti, ovvero della funzione professionale che da oltre due secoli questa categoria va svolgendo?
Le aziende editoriali sono in grado di intervenire in ogni momento su tutto, a partire da un vasto materiale comunque disponibile. Quel che serve è il montaggio del materiale e la spalatura delle scorie, ovvero un brulicare di giovane manodopera precaria intercambiabile, simile a quella delle fabbriche elettroniche, in cui conta più l’agilità delle dita che la qualità della testa (anzi, conta solo l’agilità delle dita). E dunque del "giornalista professionista" - come noi amiamo pomposamente definirci - non si sente più alcun bisogno; e tanto vale usare questa battaglia contrattuale per dirlo adesso e concludere un capitolo durato fin troppo a lungo nella storia dell’editoria.
Non credo che sia esagerata questa rappresentazione del punto del contendere. Si può semplificare così: dei giornalisti non c’è più bisogno. Le notizie piovono dalla rete. Quanto a editoriali, corsivi e commenti, bastano e avanzano piccoli gruppi di punta affini alla proprietà. E il ricco mercato di voci disponibili nelle professioni umanistiche, economiche, scientifiche. Il mercato (la domanda) individua, seleziona, premia quelle voci. E dunque si forma abbastanza rapidamente un serbatoio sicuro al quale attingere. Perché è naturale che "le voci di fuori" (per parafrasare Edoardo De Filippo, le sue Voci di dentro, nella bella versione che Francesco Rosi ha messo in scena con Luca De Filippo in un teatro di Roma) rispondono a un mercato che offre molto a chi ha da dire le cose giuste.
Le cose giuste sono quelle che rappresentano - il più da vicino possibile - le posizioni degli editori, quelle che riflettono interessi, quelle che riflettono scelte, quelle che annunciano o rappresentano interventi in un campo o nell’altro della vita pubblica, i temi morali, le decisioni politiche, le leggi di un governo, le opzioni internazionali. Ma anche le autorizzazioni e i permessi, che riguardano gli specifici campi di attività di vari editori, che sono tutti imprenditori, attivi in molti campi, che coprono quasi tutti i settori regolati dai governi e svolgono attività - come le intercettazioni - che alle attività dei governi si sovrappongono. Si forma così un "caporalato" dell’intervento politico o economico, in cui l’editore-caporale non ha difficoltà a uscire sulla piazza (universitaria, professionale, scientifica, ma anche di schieramento e competenza morale e religiosa) per assumere di volta in volta le voci più consone. Quelle voci, a loro volta, sono incentivate a favorire l’inclinazione dovuta, per non restare spiazzate rispetto alla domanda, ovvero escluse dalle esigenze per cui certe voci sono facilmente assunte, magari per una proficua "giornata", e altre no.
Non conta più che un professionista esperto sia tenuto a bordo a lungo, e formato e preparato per intervenire con sicura competenza sui nodi sempre più ardui del governare contemporaneo. La funzione "terza" del giornalismo non interessa più. Meno che mai il prendere posizione, sia pure argomentato e provato, di giornalisti competenti, a mano a mano che le varie materie del contendere fra opinione pubblica e governo arrivano sui tavoli del dibattito pubblico. In questo caso, anzi, il giornalista già legato da un rapporto di fiducia con i lettori è una palla al piede, se per caso dissente dall’editore. E non puoi neanche immaginare un equipaggio fisso di bravi e competenti e noti giornalisti, disposti a seguire quell’editore in tutte le sue battaglie. Perché quelle battaglie possono durare un anno o un giorno, possono svanire con un accordo di cui non sappiamo nulla, possono continuare, ostinate, per un periodo protratto che chiederà interventi pesanti e ripetuti.
Vorrei a questo punto che i lettori si rendessero conto di due aspetti di questo scontro violento e difficile che sto descrivendo fra coloro che chiamerò "gli editori di adesso" e coloro che mi sembra giusto definire "i giornalisti di una volta", ovvero coloro che si erano abituati a seguire il percorso della loro competenza e della loro esperienza. Vorrei anche che questo modo di descrivere le cose non sembrasse una celebrazione. È un fatto, però, che gli spazi hanno cominciato a restringersi drasticamente a seguito di una serie di movimenti sismici in tutta l’area della notizia. Interessi vasti e importanti si sono spostati verso i punti caldi dell’editoria. I punti caldi dell’editoria si sono addossati al potere economico. Il potere economico a volte è, a volte non è, un governo o tutto un governo. Ma chiede di essere rappresentato in modo vigoroso e istantaneo. Come se non bastasse, in alcune parti del mondo (prima di tutto in Italia) vi è stata un’aperta invasione di campo da parte di un’immensa ricchezza direttamente nell’area delle notizie, con l’effetto di impastare insieme un impero finanziario, un impero mediatico e uno schieramento politico.
Però, per una volta, non è del conflitto di interessi di Berlusconi che intendo parlare - anche se, come molti, mi rendo conto del colpo che Berlusconi ha inferto alla già debole e delicata struttura del rapporto fra potere economico, editoria e giornalismo. Intendo prestare attenzione al problema in generale. Quel problema non nasce in Italia.
Ricordo, al tempo in cui insegnavo giornalismo alla Columbia University (negli anni Novanta), la mia meraviglia quando ho appreso dell’esistenza di un «Comitato per la difesa dei giornalisti». Quel Comitato era coinvolto in molte situazioni drammatiche (l’arresto immotivato di un giornalista in un Paese, la scomparsa improvvisa di un giornalista in un altro). La base dell’esistenza del Comitato, però, si fondava su una definizione di rispetto e autonomia della professione, sulla realistica accettazione della qualità fastidiosa del mestiere, e sulla necessità di un monitoraggio continuo, più per garanzia del principio che per necessità urgente di intervento. In pochi anni la situazione è cambiata.
L’assassinio di Anna Poliktovskaja a Mosca ci ha indignati, ma non ci ha sorpresi, tanto più che, nella sola Mosca, due altri giornalisti sono stati assassinati in due settimane. La Poliktovskaja aveva scoperto, descritto e documentato i delitti e le stragi delle truppe di Putin in Cecenia. Evidentemente anche gli altri - quelli uccisi prima, quelli ucciso dopo di lei - si sono scontrati con zone di potere che non hanno alcuna intenzione di subire il disturbo delle informazioni.
È stato il destino di Antonio Russo, di Ilaria Alpi, un destino preceduto dalla scomparsa di coraggiosi giornalisti italiani in Sicilia. La differenza tremenda è che giornalisti come De Mauro e Fava sono stati vittime del potere perverso e avverso della mafia. Adesso invece la perversione di eliminare i giornalisti viene dal centro di un potere riverito e ammirato dagli altri poteri del mondo. Basti pensare alla Cina, dove basta una riga sbagliata in una e-mail privata per farti sparire, o farti imparare a non ripetere l’impudenza.
Il Senato americano ha lottato a lungo contro la proposta dell’amministrazione Bush di istituire un centro governativo di valutazione e classificazione (secondo il grado di pericolo) dei vari articoli sui giornali o degli interventi in tutti i tipi di comunicazione, dalla Tv commerciale ad Internet. È vero che il pericolo del terrorismo può nascondersi dappertutto. È anche vero che i giornalisti, ormai, vengono visti - anche nelle migliori democrazie - come portatori del virus pericoloso di informare che, a quanto pare, sempre più interferisce col governare. Si dice spesso, in genere con ammirazione, che la Russia di Putin è un laboratorio non solo del futuro di quel Paese. Se è vero, il destino tragico e netto di Anna Poliktovskaja dovrebbe essere carico di messaggi. Come spesso accade, il percorso italiano sembra essere meno drammatico. Si chiede solo meno professionismo (l’età si porterà via un bel po’ di persone scomode, che insistono sui questa storia dei doveri morali della professione) e più precariato, un bel rimescolamento di carte, con tanti ragazzi e ragazze a ore che tagliano e incollano, o vanno in onda disinvolti e gradevoli a leggere strisce di notizie preparate da poche agenzie del mondo. Completate la scena con la gestione accorta delle voci autorevoli raccolte su piazza (le voci degli editorialisti e dei commentatori) da cui, di volta in volta, si può ottenere tutto e il contrario di tutto, considerato che sempre meno gente ha fatto la Resistenza e sempre meno gente la mette giù dura con i principi irrinunciabili della Costituzione.
Dubito - ma lo ha già detto chiaro il direttore di questo giornale - che si possa continuare a difendere il giornalismo con più scioperi. Il dramma si è già consumato prima, quando tanti colleghi, negli anni di Berlusconi, si sono sforzati di non sapere, di non vedere, di non criticare. Vi ricordo, per tutti, il giorno triste in cui un bravo e serio conduttore di un apprezzato e apprezzabile programma Rai mi ha invitato fra i suoi ospiti. In quell’occasione ho detto che «Berlusconi è una barzelletta che cammina», modesta affermazione polemica, assai più mite di ciò che ogni giorno Maureen Dowd o Paul Krugman scrivono di Bush sul New York Times. Vi ricordo che il bravo e serio conduttore della televisione di stato ha chiesto scusa ai telespettatori per la mia affermazione, come se si fosse trattato di una bestemmia. Segue, come nell’Isola dei Famosi, la squalifica per chi ha bestemmiato: fuori dal programma (persino dai «trailers» di pubblicità di quel programma), fuori dalla Tv di Stato. Giusto, no?
Solo che gli editori - per inevitabile e naturale impulso umano - tendono ad approfittarne, come avviene sempre quando l’altra delle due parti a confronto si mostra cedevole. In altre parole, avere ceduto così tanto al potere politico, ai tempio di Berlusconi (certo come risposta a pressioni molto forti) diminuisce adesso la forza di tenere testa alle richieste radicali (e, nelle loro intenzioni, finali) degli editori.
Controprova. Nei giorni dello sciopero, tutti i giornali che noi definiamo «normali» (traduco dall’inglese: mainstream) non escono. Ma le edicole si popolano di tutto il sottobosco dei giornali e dei giornalisti di destra, che invece non scioperano. E di piccoli, orgogliosi giornali di sinistra che - apparendo accanto alla destra in edicola - si prestano a mimare la normalità democratica. «Ecco qui» - finisce per dire il frequentatore di edicole (un italiano su dieci) - «ci sono tutti».
Invece manchiamo tutti. Non sarebbe meglio ripensare al destino della libertà di stampa? Riusciremo a salvarla, mentre essa si deteriora quasi ovunque? Per quanto riguarda i giornalisti, tutto ciò che resta del futuro comincia da queste domande. O finisce qui.
* www.unita.it, Pubblicato il: 05.11.06 Modificato il: 05.11.06 alle ore 15.59
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA STAMPA A FIEG-FNSI
"Meglio la voce del silenzio"
di DIREZIONE E CDR LA STAMPA (La Stampa, 7/7/2010)
Alzare la voce tutti assieme, se è possibile, contro il Ddl sulle intercettazioni e per ricordare l’anomala situazione dell’informazione in Italia. E’ questa la nostra proposta alternativa allo sciopero proclamato per domani dalla Fnsi per la carta stampata. I cittadini vanno informati e non privati della conoscenza dei motivi della protesta. Ricordiamo che il presidente del Consiglio e primo editore televisivo in Italia, Silvio Berlusconi, vorrebbe addirittura uno sciopero proclamato dai lettori, tanto è il suo interesse a che non leggano.
Per questo la Direzione e il Comitato di redazione della Stampa si rivolgono, ancora una volta, a Fieg e Fnsi perché per il giorno 9 luglio ci sia invece un’azione congiunta volta a pubblicare sui quotidiani gli appelli che da vent’anni fanno i Presidenti della Repubblica, i rappresentanti degli editori e dei giornalisti in favore della libertà di stampa, del pluralismo nel mondo dell’emittenza e della carta stampata. Sarebbe più utile spiegare e rispiegare i rischi che comporta l’introduzione di ulteriori restrizioni penalizzanti per i cittadini.
Per quanto riguarda il giornalista, il primo compito è quello di pubblicare le notizie, e tale deve restare. Anche in uno speciale 9 luglio per la convergenza di intenti e contenuti tra Fieg e Fnsi.
DDL intercettazioni
Documento della Federazione Nazionale della Stampa Italiana
di Franco Siddi, Segretario Generale FNSI
Federazione Nazionale della Stampa Italiana
Il Segretario Generale
Roma, 10 giugno 2010
Prot. n. 300/A
Ai Comitati di Redazione
Loro Indirizzi
e p.c.
Associazioni Regionali di Stampa
Loro Indirizzi
Care colleghe e cari colleghi,
come certamente vi è noto nella giornata odierna l’aula del Senato ha approvato il testo del disegno di legge sulle intercettazioni che contiene norme fortemente limitative del libero esercizio della professione giornalistica.
La Federazione della Stampa, che in questi mesi si è attivata per contrastare l’approvazione di questo provvedimento, ha messo in cantiere una serie di iniziative tese a sensibilizzare l’opinione pubblica e a contrastare l’iter procedurale nella fase di passaggio in terza lettura alla Camera dei Deputati.
In questo quadro la Giunta Esecutiva ha deliberato di proclamare uno sciopero di tutta la categoria da attuarsi l’8 luglio nella carta stampata e il 9 nelle radio e televisioni in modo da realizzare una giornata di “rumoroso silenzio” per protestare contro questo provvedimento in occasione della presumibile approvazione in Commissione Giustizia alla Camera e del passaggio alla discussione in aula.
Ovviamente, qualora il calendario dei lavori parlamentari dovesse mutare, provvederemo ad adeguare, di conseguenza, le date dello sciopero.
Nel frattempo, però, è necessario che tutta la categoria, in particolare nelle redazioni, si mobiliti per significare la gravità del momento e la pericolosità insita in una normativa restrittiva che limiterebbe gravemente, se approvata, il diritto dei cittadini ad essere informati.
La Federazione della Stampa in questi giorni mantiene uno stretto rapporto con gli editori per mettere in atto una comune iniziativa, mediante la pubblicazione nelle prime pagine di tutti i giornali di un testo di protesta.
L’intesa con gli editori è in questo momento in corso di perfezionamento.
E’ comunque necessario che sia dedicato il massimo impegno per evidenziare i danni che il provvedimento arrecherebbe alla libertà di informazione. Per questo, tutti i comitati di redazione sono invitati a intervenire, anche ai sensi delle previsioni contrattuali, perché sulle loro testate sia dato ampio spazio all’informazione su questa vicenda e per concordare con i direttori forme di evidenziazione del pericolo che si corre, mediante richiami, occhielli, segni grafici, o qualsiasi altra iniziativa si dovesse ritenere efficace.
Martedì prossimo la Segreteria incontrerà il mondo dell’associazionismo per concordare azioni comuni che coinvolgano i cittadini. Il giorno successivo si riunirà la Giunta Esecutiva insieme ai presidenti delle Associazioni Regionali.
Giovedì 17 si riunirà il Consiglio Nazionale federale. Da parte loro le associazioni regionali di stampa si stanno mobilitando a livello territoriale per individuare occasioni e momenti di dibattito e di protesta.
Vi terremo tempestivamente informati su ogni iniziativa.
Certi della massima collaborazione di tutti cogliamo l’occasione per inviarvi i più cordiali saluti e auguri di buon lavoro.
Franco Siddi
* Il Dialogo, Giovedì 10 Giugno,2010 Ore: 22:22
Il coraggio della stampa
di EUGENIO SCALFARI *
Ho letto con doverosa attenzione la duplice risposta che Ferruccio de Bortoli ha dato al mio articolo di domenica scorsa per la parte che lo riguardava. Purtroppo è la risposta tipica di chi, non volendo confrontarsi con il tema in discussione, lo sposta su un altro obiettivo. Nel caso specifico sull’oggettività dei giornali o la loro faziosità. Aggiungo che ieri il Tg1 è anch’esso intervenuto a suo modo e a supporto di un resoconto di genere minzoliniano ha intervistato Belpietro e Antonio Polito i quali non hanno trovato di meglio che dichiarare la loro non appartenenza al mio partito e la loro solidarietà con il direttore del Corriere della Sera.
Questi due colleghi fanno da tempo parte organica del club di Bruno Vespa ed è evidente che prendano da me tutte le distanze possibili. Quanto a quello che viene definito "il mio partito", la locuzione significa "le mie idee" che chiunque è liberissimo di non condividere. Ma se questa non condivisione diventa un fatto politico, bisogna domandarsene il perché e con ciò torniamo a de Bortoli.
Il tema della discussione da me aperta è quello di esaminare se la stampa italiana si stia rendendo conto della deriva in avanzato corso verso un regime autoritario, nella direzione voluta dal capo del governo. Una deriva che implica una concentrazione di potere nelle mani del presidente del Consiglio e un contemporaneo indebolimento o addirittura cancellazione degli organi di controllo e di garanzia ancora esistenti: magistratura inquirente e giudicante, autorità che sovrintendono a importanti settori a cominciare da quella "Antitrust", poteri di controllo del Parlamento, Corte costituzionale, presidente della Repubblica, stampa e emittenti radio-televisive.
A nostro avviso una notevole parte della stampa e delle emittenti radio-televisive non sta informando i cittadini della gravità di quanto accade sotto i nostri occhi, smorza volutamente il significato dei fatti e dei comportamenti adottando il metodo così bene illustrato nei "Promessi sposi" laddove il Manzoni racconta il colloquio tra il Conte-zio e il padre generale dei Cappuccini al quale si chiedeva di trasferire in altra sede il combattivo fra Cristoforo che difendeva i poveri Renzo e Lucia dalle soperchierie di don Rodrigo. "Sopire, troncare, padre reverendo; troncare, sopire". Così diceva il Conte-zio e così fu costretto a fare il generale dei Cappuccini. La conseguenza fu l’intimazione a don Abbondio di non eseguire quel matrimonio, il rapimento di Lucia, la fuga di Renzo. Non ci fosse stato il pentimento dell’Innominato e poi la peste, quel matrimonio non si sarebbe mai fatto. Spesso la grande letteratura serve a capire i fatti quotidiani molto di più dell’acume di chi scrive sui giornali dove i don Abbondio abbondano. Sicché bastò un editto del premier a far buttare fuori dalla tivù Biagi e Santoro ed un altro più recente a far dimettere Giulio Anselmi dalla Stampa e Paolo Mieli dal Corriere della Sera.
Io mi guardo bene dall’augurarmi che de Bortoli condivida le nostre idee e capisco anche che - come scriveva il Manzoni - "il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare". Ma da qui a sottacere il significato della deriva italiana, morale, politica, economica, sbandierando come titoli di merito verso il governo gli articoli scritti in suo favore, quelli scritti a suo tempo contro il governo Prodi, infine la definizione di Repubblica come un gruppo editoriale nemico del premier e degli interessi del Paese, ebbene questo è un modo volutamente rassegnato di praticare una professione che ha come primo principio deontologico quello di controllare il potere ad ogni passo e in ogni istante.
I giornali non sono partiti ma sentinelle a guardia del pubblico interesse, che dovrebbero rimandarsi l’un l’altro la parola d’ordine e la risposta: "All’erta sentinella", "All’erta all’erta sto". Ebbene, era questa la risposta che speravo d’avere dal direttore del Corriere della Sera. Non l’ho avuta e me ne dispiaccio assai, non per me ma per lui.
De Bortoli sostiene che Repubblica non l’ha mai difeso quand’era sotto attacco da parte del potere politico. Hai una memoria debole, caro Ferruccio. E perciò cercherò di aiutarti a ricordare citando un mio articolo dell’8 giugno del 2003, poche settimane dopo le tue dimissioni dal Corriere della Sera.
"Misteriose dimissioni, è il meno che si possa dire, perché il protagonista della vicenda le ha blindate con la motivazione delle "ragioni private", con la stanchezza d’una funzione esercitata per oltre sei anni e resa più difficile dalle frequenti pressioni del potere politico, del resto effettuate alla luce del sole. Ma resta un problema: come mai un governo di centrodestra che si dichiara in ogni occasione corifeo dei valori liberal-democratici, mette sotto accusa e attacca come traditore di quei valori un giornale che ha fatto del "terzismo", dell’equidistanza tra le parti politiche in conflitto, della tecnica pesata col bilancino d’un colpo al cerchio e uno alla botte, la sua divisa e la sua funzione?".
Quella mia domanda di allora è rimasta senza risposta ma è ancor più attuale oggi. De Bortoli dirige per la seconda volta il Corriere della Sera dopo l’esperienza conclusa nel 2003. Quell’esperienza è evidentemente ben viva nella sua memoria; adesso conosce meglio i limiti entro i quali può muoversi e li rispetta con maggiore attenzione. Perciò si preoccupa e si addolora se il premier, non contento della sua prudenza, lo avverte che dev’esser più attento e più docile.
Del resto, sempre in tema di direzione del Corriere della Sera, il nostro vicedirettore Massimo Giannini scrisse il 3 dicembre del 2008 un articolo di fondo intitolato "L’editto albanese", quando durante una visita di Stato a Tirana, Berlusconi disse che Giulio Anselmi e Paolo Mieli "dovevano cambiare mestiere". Scrisse Giannini: "Dietro quelle parole del Cavaliere c’è una visione totalitaria della democrazia che tra un editto e l’altro sta ormai precipitando in un’autocrazia".
La cosa singolare è che tutta la stampa internazionale, quella progressista e anche quella conservatrice, considera il nostro premier come un personaggio che ha ormai sorpassato ogni limite accettabile. Dopo i suoi attacchi alla Corte costituzionale e al capo dello Stato lo descrive come un pericolo per tutti, portatore di un virus infettivo il cui solo contatto è rischioso. Leggete il Newsweek di questa settimana che è l’esempio più recente di questa preoccupazione.
Io vorrei, noi vorremmo, che la stampa italiana non fosse meno lucida e meno coraggiosa di quella internazionale. Mi sembra purtroppo un vano desiderio.
Giornalisti, dopo un trattativa no stop raggiunta l’intesa sul contratto *
L’intesa tra Fieg e Fnsi sull’ipotesi di accordo per il nuovo contratto dei giornalisti, valido dal primo aprile 2009 al 31 marzo 2013 per la parte normativa e al 31 marzo 2011 per quella economica, è arrivata giovedì notte dopo una due giorni di trattativa non stop nella sede della Federazione degli editori. Il confronto finale era iniziato mercoledì nel primo pomeriggio, dopo la Commissione contratto del sindacato dei giornalisti, ed era poi proseguita fino alla mezzanotte sfiorando più volte la rottura.
Dopo lo stop notturno la ripresa ieri mattina - giovedì 26 marzo -, poi l’interruzione per l’ultimo confronto sui testi per gli editori nel direttivo e per il sindacato dei giornalisti nel consiglio nazionale. L’incontro finale tra le due delegazioni guidate per gli editori da Alberto Donati e per il sindacato dei giornalisti da Franco Siddi, è iniziato alle 19 di ieri giovedì, per concludersi non senza difficoltà, alle 3 di stanotte, dopo 8 ore di discussione sugli ultimi spinosi punti, come quello della moratoria nell’applicazione della rimodulazione degli scatti di anzianità.
La prossima settimana l’ipotesi sarà sottoposta mercoledì al consiglio nazionale Fnsi, giovedì alla commissione contratto e venerdì alla conferenza nazionale dei Cdr e dei fiduciari. Inoltre il testo sarà anche illustrato nei prossimi giorni al Ministro del lavoro.
Tra i capitoli più delicati della trattativa quello sugli scatti di anzianità: la maggiorazione sarà del 6% del minimo dello stipendio e maturerà per i primi tre aumenti periodici per ogni biennio, mentre per gli aumenti periodici successivi al terzo per ogni triennio di anzianità. Per quanto riguarda la parte economica il valore del minimo tabellare è incrementato di 265 euro per il redattore ordinario (di cui 5 saranno devoluti al fondo di perequazione per i pensionati), che sarà corrisposto in una prima parte dal due aprile 2009 - pari a 140 euro compresa l’indennità di vacanza contrattuale - e nella seconda - pari a 125 euro - dal primo giugno 2010. La cifrà sarà di 335 euro per i redattori capo.
L’ipotesi di accordo cancella l’allegato N dedicato alle testate multimediali e introduce un capitolo sulla multimedialità che prevede un apposito programma editoriale che specifichi organizzazione del lavoro, modalità di integrazione tra le testate, utilizzo degli strumenti multimediali e preveda la formazione.
Oltre a quella del redattore esperto (dopo otto anni di anzianità) viene introdotta la figura di redattore senior, che può essere attribuita anche al redattore esperto con anzianità di servizio nella qualifica superiore ai cinque anni. Quanto al trasferimento, il giornalista assunto per prestare servizio in un determinato comune non può essere trasferito in una sede che disti più di 40 km dal luogo di svolgimento della prestazione lavorativa e potrà considerare il trasferimento sul quale non concordi come causa di risoluzione del rapporto per fatto dell’editore.
Il distacco presso testate dello stesso gruppo non può durare più di 24 mesi, salvo diverso accordo tra le parti e può essere utilizzato per comprovate esigenze produttive, organizzative e sostitutive. Eventuale proroga deve avere il consenso del giornalista. Il rapporto di lavoro con direttore, condirettore e vicedirettore «può essere risolto dall’azienda anche in assenza di giusta causa e di giustificato motivo». L’indennizzo sale a 13 mensilità di retribuzione più l’indennità di preavviso che è di altri 12 mesi, per un totale di 25 mesi.
I contratti a termine non possono superare i 36 mesi e sono consentiti in fase di sviluppo di nuove iniziative, per sostituire giornalisti assenti, per fronteggiare situazioni imprevedibili che richiedano temporanee integrazioni degli organici. Per le figure apicali (direttore, condirettore e vicedirettore) non possono durare più di cinque anni. Se un giornalista, con il cumulo di più contratti a termine, ha superato i sei mesi di lavoro per lo stesso editore, può sottoscriverne un altro della durata massima di dodici mesi presso la direzione provinciale del lavoro. Per i tempi determinati non sarà più previsto il contratto depotenziato dal punto di vista economico. E sale anche il livello retributivo (da 0,71 a 0,81%) per i redattori con meno di 30 mesi di anzianità.
* l’Unità, 27 marzo 2009
Intercettazioni, giornalisti in rivolta
di Roberto Rossi *
Ipotesi numero uno: Giovanni Santini, amministratore di condominio di Roma, viene ucciso da Georgeta Nikita, 30 anni, tre figli e un quarto in arrivo. Un colpo secco con il matterello che gli spacca il cranio. Il corpo chiuso in una valigia viene ritrovato poco dopo dalla polizia. Ipotesi numero due: in Abruzzo viene arrestato Ottaviano Del Turco. Un imprenditore della sanità locale lo accusa di aver preso soldi. Vero o falso lo accerterà un giudice. Qui non importa. Importa per Giuseppe Cascini, magistrato, presidente dell’Anm, spiegare che sia nel primo sia nel secondo caso, se fosse approvato il secondo "lodo Alfano" che procede a tappe forzate alla Camera, nessuno avrebbe saputo nulla. Né il nome della vittima, né quello del carnefice, non quello del presunto corrotto, né quello del altrettanto presunto corruttore. «A un certo punto gli abruzzesi si sarebbero trovati senza presidente senza sapere perché».
Che cos’è il “secondo Lodo Alfano” che prende il nome, appunto, dal ministro della Giustizia Angiolino Alfano? L’opinione pubblica lo conosce come la “legge sulle intercettazioni”. Nata, dice il governo, per limitare la pubblicazione delle intercettazioni non utilizzate dal magistrato. Ma è qualcosa di peggio. Perché quel “lodo” è «un attentato al diritto di cronaca». Di più. Spiega il parlamentare Giuseppe Giulietti: “è una legge che mette in pericolo l’articolo 21 della Costituzione”. Quello che tutela e riconosce la libertà d’espressione. Perché il secondo lodo Alfano non solo limita le intercettazioni per i soli reati di mafia e terrorismo e solo in caso di gravi indizi di colpevolezza, ma anche impdisce la normale attività di cronaca non permettendo la pubblicazioni di atti giudiziari, non coperti da segreto istruttorio, fino alla prima fase dibattimentale del processo. Né atti, né i nomi di imputati, arrestati, magistrati.
“In particolare sono tre i punti del provvedimento contestati” spiega Riccardo Levi, che con gli altri ha partecipato a Roma alla manifestazione organizzata dal sindacato dei giornalisti dal titolo “Ddl Alfano se lo conosci lo eviti”. “Il primo è la modifica del codice di procedura penale che impedisce la pubblicazione di intercettazioni”. Il secondo è “il carcere per il giornalista che viola la legge”. La terza è “la multa per gli editori” del giornale dove la notiza appare.
“Se questa legge - spiega Marco Travaglio davanti a un centinaio di persone - venisse approvata la via è quella di ricorrere alla Corte Costituzionale e quella di Giustizia europea. Subito. Per questo mi auguro che dal Parlamento esca una norma più lurida possibile. Per questo mi rivolgo all’opposizione: non emendate nulla”. Quella di Travaglio è la stessa posizione espressa successivamente dal leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro e riassumibile nello slogan “né confronto, né dialogo”. Semmai un referendum. Successivamente.
Che pure ieri in qualche modo c’è stato. Perché alla manifestazione ha preso parte anche il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Oggi è martedì grasso e questo carnevale deve finire» ha il senatore. «La pubblicazione di tutto in ogni modo e in ogni circostanza non è più possibile. Si può discutere su qualche dettaglio però credo - ha proseguito Gasparri sommerso da contestazioni - che la pubblicazione di tutto come è avvenuto in Italia abbia fatto male alla giustizia sabotando le indagini e abbia danneggiato persone che in molti casi non sono state nemmeno rinviate a giudizio. Forse - ha concluso - sono stato l’unico a difendere il provvedimento. Una legge ci vuole, questa situazione è durata per troppi anni e l’eccesso di intercettazioni deve cessare»
«Ma quale carnevale!» replica la capogruppo del Pd nella commissione giustizia della camera, Donatella Ferranti. « Qui l’unico ad avere la maschera è il senatore Gasparri che mentre dai tg sbraita a difesa delle forze dell’ordine, in parlamento appoggia silenziosamente norme che depotenziano l’attività investigativa delle forze dell’ordine e compromettono la sicurezza dei cittadini. Nonostante le laceranti divisioni interne - prosegue Ferranti- la maggioranza approverà una riforma delle intercettazioni che è un regalo alla criminalità: una vera e propria “legge ad crimen” che impedirà alle forze dell’ordine di assicurare alla giustizia numerosi colpevoli di reati di grave allarme sociale».
Un esempio? Ancora Cascini: «La legge dice di usare le intercettazioni solo in caso di gravi indizi di colpevolezza. In sostanza mai». Infatti è risaputo che quando ci sono gravi indizi di colpevolezza il sospetto viene arrestato.
* l’Unità, 24 febbraio 2009
12 Novembre 2008
Legge “Ammazzablog”: protesta giusta ma...*
E’ un uragano di protesta contro “l’ammazza-blog”. Eccolo: un gruppo su Facebook “Salva i Blog, contro il disegno di legge anti blog alla Camera” che in tre giorni raccoglie più di 1000 iscritti e lancia una petizione. Un articolo-denuncia del sito specializzato Punto Informatico che riassume la vicenda e cita l’urlo del blog di Di Pietro che parla di “disobbedienza civile” se questa legge dovesse passare e già promette assistenza legale per i disobbedienti. C’è perfino chi rispolvera il meritato sberleffo del Times di Londra che l’anno scorso parlò di “geriatria” all’attacco dei blog nel sistema politico italiano, a quel tempo presidente del consiglio era Romano Prodi.
Il rischio è reale - Insomma c’è chi vuole - sostiene questo movimento - applicare ai blog quella forma di censura particolarmente odiosa che consiste nel registrarsi presso l’istituendo Registro deli Operatori della Comunicazione (ROC).
Basta conoscere un minimo la rete per capire che questo obbligo sarebbe deterrente per chiunque volesse mettersi ad esporre le sue idee su internet. E non è che ci sia da star tranquilli: in questo paese è stato condannato per “stampa clandestina” un blogger singolo, un privato cittadino, da un giudice che evidentamente guarda al mondo di oggi con gli occhi degli anni ‘30 e che ignora che un blog semplicemente non è un giornale ma una forma diversa e nuova di esercizio della libertà d’espressione.
Insomma l’aria non è buona e il senso di allarme dei blogger è motivato. Ma stavolta....
Uno pensa: un altro decreto con carattere d’urgenza che passerà a camere blindate? Un altro “graffio” alla costituzione tipo che se butti una lavatrice in strada a Torino ti multano e a Napoli ti sbattono in galera?
La libertà non muore in commissione VII - Non sembra che le cose stiano così: se si leggono con pazienza sia la premessa che l’articolato (sono 30 pagine, ebbene sì) della proposta di legge presentata in commissione VII dal deputato Levi, già collaboratore di Prodi, si vede che nel quadro di un disegno di legge molto ampio a un certo punto si esclude espressamente che l’obbligo di registrazione possa riguardare il singolo cittadino-blogger.
Il testo si può leggere sul sito della Camera , anche se va detto che lo stesso deputato aveva presentato nel 2007 un testo analogo in cui questa specificazione era assente, fatto che procurò un’ondata di proteste molto forte e assai giustificata.
La zona grigia - Il comma 3, nel quale Levi ha esentato i blogger singoli dalla registrazione, non esaurisce, secondo i suoi critici, il problema. Si fa presente che poiché la registrazione sarebbe richiesta a chiunque realizzi con un gruppo di lavoro e con continuità dei profitti anche minimi sulla rete (con Google adsense c’è chi guadagna 100 euro al mese), questo aspetto potrebbe frenare lo sviluppo di tutta quella vasta “zona grigia” che sta fra il semplice blogging e i notiziari: le raccolte di contenuti tematici, si è detto perfino le “barzellette”. E si teme comunque che il peso deterrente dell’obbligo di registrazione finisca per pesare sulla forma d autoaggregazione libera che i blog intepretano.
Registriamo anche l’Onda? - Se non è ancora chiaro il problema, pensate a cosa sarebbe successo se il movimento degli studenti di queste settimane avesse dovuto porsi, prima di esprimersi, un problema di registrazione del blog. E in effetti - e questo è parere di questo blog che state leggendo - l’idea di inserire internet dentro una sistemazione generale dei media è bizzarra, votata all’insuccesso e potenzialmente pericolosa per la libertà di espressione in questo paese. Anche perché ormai i “mezzi” di internet non sono solo i blog: cosa fareste con i gruppi su Facebook o con twitter?
Lasciare la rete fuori dalle “sistemazioni” generali sarebbe una buona e necessaria idea.
La libertà è una sola e la rete può pesare meglio - E però una cosa va detta anche al “movimento” che nasce in questi giorni.
In realtà il nocciolo della faccenda qui sta in parte nella rischio “diffamazione” e dall’altra nel rischio “soldi” - visto che il disegno di legge si occupa anche di “sistemare” un quadro di soggetti che potrebbero accedere a finanziamenti pubblici.
Ora stiamo al timore che qualcuno “ammazzi i blog”. Una proposta di legge non è un decreto che passa a camere blindate in sette giorni e nove minuti. Tra una proposta di legge in una commissione e un colpo di mano del governo c’è una differenza. Con il cammino istituzionale di un disegno di legge un’opinione pubblica nuova e informata può interloquire e far pesare la sua voce.
Ma a patto di capire qual è la posta in palio . Ora gran parte degli opinionisti della rete ha taciuto in modo paradossale quando sono state discusse le norme sulla diffamazione dov’era in ballo il carcere per i giornalisti. Facile capire perché: “quelle riguardano il mainstream” si è pensato. Questa idea che ci sia una libertà dei giornalisti e una dei blogger è cieca e non vede il pericolo reale, che oggi sta in un “metodo” di decisione che sottrae ad ogni pubblico esame la decisione politica. La libertà non muore in VII commissione.
E anche questo agitarsi senza mai leggere un testo originale, senza andare mai alla fonte, non è una gran botta di autorevolezza. Seguire una discussione istituzionale è noioso, certo, più facile firmare una petizione on line: poi siamo tutti più liberi. Con un click.
* SCENE DIGITALI di VITTORIO ZAMBARDINO, Mercoledì, 12.11.2008
Giornalisti in piazza: «Libertà di informare»
di Silvia Garambois *
«Siamo giornalisti esuber(i)anti»: sono le "facce da tg", quelli che tutte le sere vanno in onda su La7, ad essersi scritti addosso, sulla maglietta, i rischi che corre l’informazione. E lo fanno in piazza Montecitorio, distribuendo volantini e salutando gli onorevoli, quelli che di solito intervistano, ai quali stavolta spiegano che sono addirittura 25 gli "esuberi" annunciati nel loro giornale, che 12 contratti a termine già stati cancellati. E che i cittadini rischiano di non trovare più un’informazione completa, una buona informazione.
Oggi è la "Giornata europea di mobilitazione per la dignità del giornalismo", ma in Italia lo Stand up for journalism (un sit-in tutte le principali città del Vecchio Continente) assume purtroppo un’urgenza e un significato particolare: c’è il Tg7 in sciopero, l’azienda non ne vuol sapere di sbloccare la trattativa; c’è una intera categoria senza contratto da un numero di giorni esagerato, 1.347, quasi 4 anni; c’è - e vien da dire "soprattutto" - la paura del bavaglio. Ma c’è anche l’assalto squadrista dell’altra notte al Tg3, contro il programma "Chi l’ha visto?" di Federica Sciarelli.
"Aiutateci a difendervi" è scritto sul volantino che viene distribuito ai passanti, mentre al Cinema Capranichetta (proprio sulla piazza Montecitorio) è in corso un’affollatissima assemblea: il problema è, ancora una volta, il disegno di legge sulle intercettazioni, quello che non serve a garantire la privacy del cittadino comune, ma che senz’altro impedirà di sapere, di avere notizie, sulle truffe-bond, sulle cliniche degli orrori, sulla malagiustizia, sulla malasanità, sulla malafinanza, sulla malapolitica, sulla malavita, su tutto questo finché l’iter giudiziario non approda in tribunale. E si sa quanto tempo può passare...
Purtroppo il nostro Paese è sempre lì, nella classifica della libertà di stampa: al 44esimo posto. La Federazione della Stampa, che ha organizzato la manifestazione insieme all’Unione cronisti, denuncia le leggi bavaglio. E c’è, tra le peggiori, il disegno di legge Alfano, che prevede anche il carcere per i giornalisti, contro la pubblicazione di informazioni di importante interesse per l’opinione pubblica, ma che siano rilevate da atti di indagini giudiziarie.
«Libertà di informare, libertà di conoscere»: anche questo i giornalisti si sono "scritti addosso", sulle magliette, visto che in pochi lo possono scrivere sui loro giornali. Alla manifestazione intervengono il segretario della Fnsi, Franco Siddi, il presidente dell’Ordine, Lorenzo Del Boca, dell’Unione Cronisti, Guido Columba e il presidente Fnsi, Roberto Natale che annuncia nuove mobilitazioni e anche possibili scioperi.
* l’Unità, Pubblicato il: 05.11.08, Modificato il: 06.11.08 alle ore 10.34
Giornata europea di mobilitazione dei giornalisti, presidio a Roma *
Mercoledì 5 novembre è la giornata europea di mobilitazione per la dignità del giornalismo Stand up for journalism. E anche in Italia, i giornalisti scendono in piazza con un sit in davanti a Montecitorio. La Fnsi, «in contemporanea con tutti i sindacati di categoria europei, organizzerà al Cinema Capranichetta, a Roma in Piazza Montecitorio dalle ore 10 alle 14, una giornata straordinaria di dimostrazione e di riflessione, per poi, dalle 13 alle 14, dirigersi davanti a Palazzo Montecitorio».
«In Italia - spiegano dal sindacato - l’iniziativa è molto sentita giacché nei confronti del giornalismo si stanno moltiplicando pericolose iniziative volte a ridurre l’autonomia della professione attraverso norme, come il disegno di legge Alfano che prevede anche il carcere per i giornalisti, contro la pubblicazione di informazioni di importante interesse per l’opinione pubblica che siano rilevate da atti di indagini giudiziarie».
I giornalisti indosseranno delle magliette bianche su cui sono stati stampati alcuni slogan colorati come «No alle notizie sotto chiave», «No alla censura, no ai bavagli». In piazza a Roma mercoledì ci saranno anche i giornalisti de La7 in sciopero. Nell’emittente tv, come spiegano dal Comitato di redazione, ci sono «25 giornalisti licenziati senza sapere perché, 12 contratti a termine già cancellati, l’azienda che calpesta la legge e con una procedura infondata non fornisce trasparenza sul bilancio impedendo al sindacato di avviare una vera trattativa; il direttore che firma i licenziamenti e ostacola ogni giorno il lavoro dei colleghi».
* l’Unità, Pubblicato il: 04.11.08, Modificato il: 05.11.08 alle ore 1.19
MANIFESTATEVI - INTERVISTA
Furio Colombo: «Ora per il manifesto non c’è più la borghesia illuminata»
«Così il governo autoritario cancella ogni dissenso»
Intervista all’editorialista de l’Unità : «È particolarmente grave che un governo populista-autoritario, dove il premier è padrone di quasi tutta l’editoria, diventi la museruola di ciò che rimane della stampa politica libera. Torna in mente la mancanza di un’opinione pubblica in Italia»
di Tommaso Di Francesco (il manifesto, 27.09.2008)
Non si è mai tirato indietro Furio Colombo nel denunciare il cosiddetto «conflitto d’interessi». Lo abbiamo visto, quasi solo, scagliarsi contro le leggi ad personam approvate in parlamento. A lui, editorialista de l’Unità e da sempre impegnato sui nodi dell’informazione, abbiamo rivolto alcune domande.
Passiamo da una legge per l’editoria vecchia e inappropriata ad una situazione in cui il governo taglia i fondi per il 2008, li dimezza per noi che siamo una cooperativa, e attiva un «regolamento» che sarà scelto ogni anno dal governo. La stampa diventa appendice dell’esecutivo?
Meriterebbe resistenza e opposizione qualunque governo che proponesse di ridurre al silenzio la piccola stampa politica, che vive anche di contributi pubblici, gli stessi che provvedono alle scuole e devono anche tutelare un minimo di informazione libera. Il fatto diventa particolarmente odioso e degno di essere notato come caratteristico di questo brutto momento italiano, che il provvedimento venga da un governo che controlla praticamente tutta l’editoria scritta, quasi tutta nelle mani di imprenditori di altro tipo di imprese. E il presidente del Consiglio controlla non solo Mediobanca, cuore dell’armonizzazione finanziaria, ma anche tutta l’informazione televisiva, basta vedere il braccio di ferro sul presidente della Commissione di vigilanza Rai. Che pur spettando - come commissione di garanzia - all’opposizione, vuole essere scelto dalla maggioranza. Poi ci sono le tre televisioni private e l’impero editoriale privato che fa riferimento diretto alla famiglia del presidente del Consiglio, usato ormai senza vergogna e esitazione. Sull’onda di un populismo incoraggiato da un voto legittimo che però ha instaurato un tipo di governo autoritario. Ora, che un governo autoritario diventi la museruola di ciò che rimane della stampa libera è particolarmente grave e torna in mente il discorso sulla mancanza di un’opinione pubblica in Italia. Anni di vita rigorosamente partitica che si è svolta dentro contenitori in cui solo qualcuno a nome di tutti reagiva, ma non richiedeva la reazione e la partecipazione popolare - ad eccezione del breve ’68 - hanno stabilito che l’opinione pubblica italiana è abituata a non mobilitarsi, a non vedere i pericoli che non sono quelli immediati del corso della vita.
Che società è ormai questa del Belpaese, appeso all’isola dei famosi e silenzioso sulla libertà di stampa?
Stiamo a metà del guado di una situazione ben descritta dal libro di Tremonti La paura e la speranza , che mostra di condividere le nostre paure nella prima parte del libro. Nella seconda parte invece ci assicura che la risposta sono dio, patria e famiglia. Una rigorosa conformità ai valori della cultura dominante che non vanno messi in discussione. Nomino Tremonti perché è l’autore della legge di cui stiamo parlando, è la persona che ci descrive come «speranza» un mondo rigorosamente irreggimentato, raccolto intorno a famiglie e clan descritte in modo primitivo con la parola leghista «popoli». Dove non c’è più bisogno, pena il sentirsi soli ed isolati, di voci di dissenso. Si sta teorizzando una forma di fascismo non violento. Nonostante la vetero-memoria di La Russa e Maroni, non sono più necessari soldati e carri armati, bastano le televisioni, la persuasione e il populismo che arruola sempre più consenso.
C’è «speranza» per chi, come il manifesto , una cooperativa indipendente di giornalisti e lavoratori, vuole continuare ad esistere?
Molti di noi che il manifesto lo hanno sempre visto da fuori, sono portati a pensare con simpatia e ottimismo: « il manifesto è un gatto a sette vite, ce la farà anche stavolta». Ma il tempo che viviamo è molto, molto peggiore del passato. Intanto non c’è più tutta la sinistra, che definiva comunque un humus favorevole, e dal punto di vista del manifesto c’è qualcosa di peggio: non c’è più quella borghesia intellettuale - una volta c’era il partito d’azione - che amava sentirsi indipendente e che poteva arruolarsi in una festosa sottoscrizione purché vivesse una voce in più come il manifesto , considerato, a differenza di altra stampa di sinistra, elegante, raffinata, con un di più anche informativo che faceva comodo includere anche per i manager d’azienda nel pacco dei giornali. Così il vostro progetto di una super sottoscrizione per contrastare una super legge liberticida, stavolta incontra difficoltà più grandi. Impossibile qui l’operazione The Nation , la rivista della sinistra americana comprata da una lungimirante e abbiente famiglia newyorkese, vicina ai grandi amici di Robert Kennedy, che ora vende 250mila copie, ha una risoluta presenza nella vita politica americana e ora sostiene da sinistra, criticamente, Obama. A meno che - perché non desiderarlo con un po’ di disperazione ma anche di ostinazione - il vostro appello non sia ricevuto, creando così una sorpresa rispetto alle condizioni in cui stiamo vivendo.
FURIO COLOMBO
Già professore del Dams di Bologna sul linguaggio televisivo, è stato corrispondente de «La Stampa» e de «la Repubblica» dagli Usa, negli stessi anni ha scritto per il New York Times. Direttore de «l’Unità» dal 2001 al 2004, è parlamentare del Pd. Esperto di crisi internazionali, tra i libri pubblicati sull’editoria, il «Manuale di giornalismo internazionale» e «Post-giornalismo»
EDITORIA
Come uccidono la nostra libertà
Dopo la cancellazione per legge del «diritto soggettivo» e i tagli della Finanziaria,
il governo vara un regolamento per ciò che resta dei finanziamenti pubblici all’editoria non profit.
Norme aleatorie e vincolate alla «variabilità» dei bilanci.
La stampa libera perde cittadinanza e diventa suddita
di Giancarlo Aresta (il manifesto, 21.09.2008)
Mercoledì 17 settembre è stato presentata alle associazioni degli editori, ai sindacati e alle organizzazioni del settore una bozza del Regolamento, che - sulla base dell’art. 44 del Decreto Tremonti - definisce i nuovi criteri di erogazione dei contributi sia diretti che indiretti all’editoria. Erano presenti il sottosegretario con delega all’Editoria Bonaiuti, il ministro della Semplificazione Calderoli e il professor Masi, segretario generale alla presidenza del Consiglio e capo del dipartimento Editoria. Ne scriviamo solo oggi, perché c’è voluto un po’ di tempo per riprenderci dal trauma di quell’incontro. Il settore è in una crisi profonda, che ha toccato oggi - dopo anni di utili assai alti - anche i grandi gruppi, colpiti dalla liquefazione delle vendite degli «allegati» (enciclopedie, libri e quant’altro), che per oltre 5 anni hanno rappresentato la droga dei loro bilanci, anche quando le vendite delle proprie testate scendevano. Ma di questo malessere nell’incontro non si vedeva traccia. Mentre era assai forte la tendenza a mettersi al servizio del nuovo «principe». Ma veniamo al merito. Per quanto riguarda i contributi diretti, il nuovo Regolamento cambia profondamente le vecchie norme legislative, ma va collocato all’interno della nuova norma, prevista dall’articolo 44 del Decreto Tremonti. In sintesi, non stabilisce i contributi, che i giornali cooperativi, non profit e di partito avranno, ma quanto gli spetterebbe se ci fossero i soldi (che fino a oggi non ci sono, o in ogni caso non bastano). Ed interviene anche sui criteri di erogazione degli indiretti. Rappresenta, insomma, il profilo virtuale del riparto delle risorse nel settore.
Meno diritti
Sui criteri di attribuzione dei contributi diretti, c’è un’operazione di semplificazione fortissima. Le testate ammesse riceveranno 2 milioni, purché non superino il 50% dei costi di testata, più 0,90 centesimi a copia, fino a 25 milioni di copie diffuse nell’anno (entro il limite massimo del 60% dei costi). Si tratta di una leggera tosatura (dal 4 al 7%) per la maggioranza dei quotidiani, mentre ha un esito molto diseguale, in specifici casi veramente pesante, sui periodici. Il limite dei 25 milioni di copie bastona tre testate, le più grandi, l’Unità, l’Avvenire e Libero (con quest’ultima, che lascerebbe sul campo oltre il 40% degli aiuti di Stato, che peraltro riceve a forza di espedienti).
I giornali di partito vengono equiparati ai non profit (e questa è una cosa positiva), e perdono mediamente attorno al 15% Viene accolta una rivendicazione da tanto tempo avanzata da Mediacoop, che riteneva indecente che venisse permesso agli ex giornali di movimento politico (quelli ammessi negli scorsi decenni ai contributi in rappresentanza di fantomatici movimenti creati da un deputato e un senatore, norma poi cancellata) di continuare a percepire i contributi, se trasformati in cooperative, anche se non di lavoro. Domani anche questi dovranno avere almeno la metà dei giornalisti tra i loro soci, almeno la metà dei loro soci dipendenti, e fare entrare in cooperativa tutti i giornalisti dipendenti che ne facciano richiesta.
Un fatto, che coinvolge, ad esempio, Il Foglio e Il Riformista , ma a cui sfugge Libero, che si è sottratto a questo rischio trasformandosi in quotidiano controllato da una Fondazione l’ultimo giorno in cui questo era possibile (da tre anni le Fondazioni non sono più ammesse ai finanziamenti, se non le preesistenti). Si passa, per attribuire le risorse, dal concetto di «tiratura» a quello di «distribuzione»: verranno cioè conteggiate non tutte le copie stampate, ma solo quelle diffuse nel circuito delle edicole o in quello della sperimentazione (supermercati, bar e altri negozi) o vendute in abbonamento. E anche questa dovrebbe essere un’indicazione positiva. E non si tiene conto, al fine dei contributi, delle copie vendute in blocco, che rappresentavano uno scandalo, perché permettevano ad alcuni editori di far risultare più alta la diffusione, con vendite di comodo a prezzi irrisori. Ma nello stesso tempo si abbassa di molto il parametro tra distribuzione e vendita (dal 25% al 15% per i giornali nazionali e dal 40% al 30% per i locali), che era e resta un requisito di accesso ai contributi, permettendo a molti ’amichetti’ di rifarsi per le perdite subite: soprattutto ai giornali che stampano 4 o 6 pagine. Si fissano parametri di occupazione (altra richiesta «storica» di Mediacoop), ma sinceramente ridicoli per i quotidiani (almeno 5 dipendenti giornalisti o poligrafici, per chi dovrebbe ricevere 2 milioni di contributo). Mentre sono più rigorosi per i periodici, le radio e le agenzie.
Più pubblicità
Dulcis in fundo Si abolisce, in modo apparentemente incomprensibile, il tetto del 30% di entrate pubblicitarie sui costi. Ma se questa legge era nata per sostenere quelle testate, che avevano un carattere autogestionario e non profit, ma soprattutto erano discriminate sul mercato pubblicitario, che rappresenta circa le metà delle entrate di tutti gli altri editori? Si tratta di una spinta agli editori finanziati ad «andare sul mercato»? Non diciamo sciocchezze. È il mercato che discrimina i giornali politici e di idee, per quanti sforzi facciano e malgrado l’influenza seria che queste testate hanno sui loro lettori (dal manifesto all’ Avvenire , dall’ Unità a Liberazione o Il Secolo ). Pur avendo una grande forza di attrazione su di essi, non arrivano a toccare il 15%. Semmai può essere una valvola di sfogo per Libero , che recentemente ha visto crescere in modo esponenziale le entrate pubblicitarie (dai 4,788 milioni del 2006 agli 8,294 del 2007, pur in presenza di un leggero calo di vendite: da 28,099 milioni a 28,013), e che con un ’aiutino’ potrebbe recuperare di qui ciò che perde per altra via. Sui contributi postali, c’è un’innovazione seria, che può produrre un risparmio significativo. Lo Stato si ripromette di smetterla di fare la parte del cretino, che - trattando a nome del più grosso cliente italiano: tutti gli editori di giornali e periodici, le forze politiche, le associazioni, il volontariato - concorda con le poste la tariffa piena, rispetto alla quale sostiene gli editori, pagandone il 60%. Chiede che le Poste italiane, che da società per azioni quale sono negoziano da 10 anni le tariffe con i loro maggiori utenti, diano all’editoria il trattamento della migliore convenzione fatta con i privati. Così la spesa si può ridurre almeno del 40%. Il governo interverrebbe, alleggerendo gli editori del 50% dei costi, «nei limiti dello stanziamento disponibile». Insomma, anche i contributi indiretti perderebbero la qualità di diritto soggettivo, ma questo solo tra un anno.
Soluzione pessima
La nostra campagna sulla montagna di soldi percepiti dagli editori quotati in borsa sembrerebbe aver lasciato il segno nel comma 2 dell’art. 22 del Regolamento. Ma la soluzione fa un po’ rabbrividire. Lì si stabilisce che il ministro dell’Economia e delle Finanze «definisce annualmente le tariffe agevolate delle imprese editoriali quotate in Borsa, tenendo almeno conto delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo». Insomma, il governo tratta con i più grandi editori italiani le sue elargizioni annuali (ma questi ultimi hanno già una garanzia di incremento, seppur quello misero «delle famiglie degli operai e degli impiegati rilevato dall’Istat»), così come annualmente decide quanto dare ai non profit e ai giornali politici e - volendo - con che criteri darlo. Complimenti! Stiamo tornando, senza darlo a vedere, al Minculprop? L’insieme di questi criteri definiscono soltanto un diritto virtuale. Possono, in parte, introdurre un cambiamento utile. Ma sono, lasciatecelo dire schiettamente, l’abito con cui il condannato a morte viene accompagnato al patibolo, se non si ricostruiranno certezze - come è necessario e urgente fare - e non si doterà il Fondo editoria delle risorse necessarie.
IL LIBRO
In edicola con l’Unità il primo d’una serie di saggi di Furio Colombo. Esordio con un’indagine sulla metamorfosi del mestiere di giornalista. Dal New York Times a Le Monde il cancro è lo stesso
Il bavaglio, la malattia che uccide i giornali
di Furio Colombo (l’Unità, 13.09.2008)
Il nuovo titolo non è una trovata per dare un segno vivace a una nuova edizione. Intende rendere evidente un aggravarsi del sistema delle informazioni in Italia dopo la clamorosa vittoria di Berlusconi nell’aprile del 2008. Con il suo ritorno al governo, che implica anche un progetto di vasta revisione costituzionale, piú o meno condiviso con l’opposizione, Berlusconi riporta al centro dello Stato il peso del suo impero mediatico, sommato al controllo sulla televisione di Stato, che gli è garantito dalla legge Gasparri, rimasta in vigore durante il breve governo del centrosinistra, sommato alla vastità della sua ricchezza, dunque capacità di influenza o potere sui consigli di amministrazione dei più importanti gruppi editoriali italiani. Il problema - in questa fase difficile per le democrazie occidentali, ansiose, insicure e inclini a rinunciare a diritti inalienabili come la libertà di stampa in cambio di una illusione di sicurezza - non è solo italiano, come testimonia Barbara Spinelli su La Stampa del 18 maggio 2008.
«Sono tante le democrazie alle prese con una informazione che fallisce la prova, che al cittadino non rende visibile l’invisibile, che dal potere politico si fa dettare l’agenda, le paure, gli interventi prioritari. Che è vicina alle lobby e ai potenti piú che ai lettori». Basterebbe ricordare lo scandalo del Pentagono che fin dall’inizio della guerra in Iraq ha fatto in modo che ex ufficiali venissero assunti come «esperti militari» dalle maggiori reti televisive americane, in modo da assecondare autorevolmente, in ogni telegiornale o talk show le notizie preferite dal Pentagono. Basterebbe citare lo scandalo del New York Times che per anni ha passato le «veline» della Casa Bianca al New York Times attraverso la principale notista politica di quel giornale (poi scoperta per caso e licenziata, come si narra in questo libro). Basterebbe riferirsi ai tormenti del quotidiano Le Monde, uno dei piú autorevoli del mondo, che non riesce ad uscire da una crisi che in parte è economica e in parte di capacità e volontà di confermare senza compromessi la propria missione.
Ma vede giusto la Spinelli quando aggiunge alla sua dura diagnosi il quadro, peggiore, della situazione italiana: «Quel che ci rende originali (noi italiani, ndr) è il fallire del sistema immunitario che altrove funziona. Non sappiamo liberarci dalle patologie, dalle loro cellule». L’informazione italiana non produce anticorpi atti a ristabilire un contatto con la società. Il risultato è palese, oggi, e lo storico Adriano Prosperi lo descrive con nitidezza: «Un venticello dolce di mutuo rispetto tra maggioranza e opposizione, un gusto di correttezza, un’aria di intesa e di pace. Fuori, intanto, una guerra tra poveri e pogrom moltiplicati contro Rom e diversi. Il guaio è che anche la stampa è palazzo: incensa serenità politiche ritrovate e scopre, d’improvviso, una società inferocita da tempo, ormai indomabile dalla destra che l’ha sobillata».
Il fatto è che la stampa e la tv, come buoni e fedeli retrievers trovano ciò che devono trovare e lo portano dove lo devono portare, in onda o in pagina, proprio come in una partita di caccia fruttuosa e bene organizzata. Una pesante anomalia in piú a carico dell’Italia e del suo sistema di notizie, che è casta-specchio della casta del potere.
In Italia, di frequente, e anche nel mezzo di drammatiche vicende nazionali e internazionali, i telegiornali aprono con interventi, parole, apparizioni del Papa che non sono notizia, sono buon materiale per i programmi religiosi e per qualche occasione di approfondimento. Invece la capacità della Chiesa cattolica di dirottare il corso delle notizie a vantaggio della propria prominenza si esprime in un vero, incontrastato dominio delle redazioni che il «silenzio stampa» italiano, preso nella doppia morsa del potere commerciale di Berlusconi e del potere religioso della Chiesa, segnato dalla resistenza esangue di un sistema immunitario allo stremo, di una contrapposizione politica fragile e smarrita, è un fatto tristemente evidente. Ma poiché sarà sempre contestato sia dalla malafede di chi - come abbiamo detto - domina la scena (la strategia vincente è sempre quella di farsi passare per parte minoritaria, perseguitata, un underdog che esercita con le unghie e coi denti un diritto alla sopravvivenza), sia da chi, in buona fede, e senza vedere la camera stagna in cui è racchiuso vuole difendere ciò che crede il suo buon, onesto lavoro, potrà essere utile offrire qui, all’inizio di questa breve esplorazione dell’infelice giornalismo italiano contemporaneo, la narrazione e documentazione di un fatto italiano e televisivo di ordinaria amministrazione che però è apparso tanto allarmante quanto esemplare a chi ha ancora memoria di giornalismo libero. È il caso Travaglio, il caso di un giornalista che, invitato ad una intervista giornalistica intesa come occasione mondana, si è preso la responsabilità di trasformarla in occasione politica. La Rai si è scusata con il pubblico, si è dissociata dall’intervistato-ospite, ha dichiarato che l’ospite risponderà personalmente dei danni, come se avesse devastato lo studio invece di raccontare ciò che sa e ha dimostrato di sapere di un personaggio delle istituzioni. Perciò abbiamo ritenuto di aggiungere un nuovo capitolo dedicato a questa strana avventura televisiva che offre una preziosa chiave di lettura per il materiale e le opinioni che seguono sullo stato del giornalismo italiano. Intanto Berlusconi torna a governare e si avvia, con tutto il peso delle sue vettovaglie, verso la presidenza della Repubblica.
"Gomorra al Nord", perquisizione a l’Espresso e a casa di tre giornalisti *
Perquisizione alla redazione de L’Espresso a Roma, per ordine della procura di Napoli. A denunciare l’accaduto è il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, che parla di una «azione invasiva grave e sconcertante». La perquisizione sarebbe motivata, spiega il segretario del sindacato dei giornalisti, dalla ricerca di prove sui responsabili di presunte fughe di notizie relative all’inchiesta con il titolo Gomorra al Nord pubblicata sul numero in edicola dai giornalisti Giuliano Di Feo ed Emiliano Fittipaldi.
«La gravità e lo sconcerto - dice Siddi - è data anche dal fatto che la perquisizione avviene a redazione chiusa in assenza dei colleghi nei confronti dei quali è condotta l’indagine. C’è da chiedersi -prosegue - cosa valgano a questo punto le ripetute sentenze della corte di cassazione , che formano giurisprudenza , che hanno giudicato illegittime azioni di questo tipo in quanto arrecano potenziali e reali limitazioni alla libertà di stampa».
Le ispezioni della Guardia di finanza sono in corso dalle 7 del mattino anche nelle abitazioni dei due cronisti e in quella di un collaboratore di Napoli dell’ Espresso, Claudio Papaianni, che non ha firmato tra l’altro nessun articolo dell’inchiesta. Di Feo però e fuori Roma e quindi gli investigatori, riferisce ancora Siddi, sono rimasti a piantonare la porta dell’appartamento.
Fittipaldi e Di Feo «sono indagati di pubblicazione di atti coperti dal segreto giudiziario e di favoreggiamento - dice il segretario Fnsi - ipotesi accusatoria che appare del tutto fuori luogo, fantasiosa e illogica, se non quasi una scusa per giustificare la gravità del provvedimento adottato». Per i due giornalisti de L’Espresso è la seconda perquisizione a distanza di una settimana (la prima era già avvenuta dopo la pubblicazione nel numero precedente del settimanale di un servizio di copertina sui rifiuti a Napoli dal titolo “Così ho avvelenato Napoli” ).
In casa di Fittipaldi, secondo quanto risulta a Siddi, gli uomini della finanza non avrebbero trovato «nulla di quanto cercavano, com’era ovvio». A Napoli, in casa di Papajanni, sarebbe stato sequestrato invece «persino il pc della moglie del collega, del tutto estranea all’inchiesta». «È paradossale e intollerabile - conclude Siddi - che nei giorni della mattanza di Castelvolturno e di drammatici episodi di criminalità sui quali la stampa è esposta ad ogni rischio per assicurare il diritto all’informazione, i delinquenti incalliti la facciano franca e i giornalisti siano trattati come i peggiori farabutti del Paese».
* l’Unità, Pubblicato il: 20.09.08, Modificato il: 20.09.08 alle ore 12.25
Manovra, tagli anche all’editoria: preoccupazione dell’Fnsi *
Tagli anche all’editoria. La manovra economica su cui il governo ha posto lunedì la fiducia alla Camera prevede sforbiciate anche ai finanziamenti per i giornali. La Federazione Nazionale della Stampa, in una nota, ha voluto esprimere la sua «preoccupazione»: «La sforbiciata, decisa a oltre metà anno, quando le programmazioni sono definitivamente impostate - si legge nella nota - mette in difficoltà soprattutto i giornali di idee e gestiti in cooperativa, che non godono di contributi indiretti. Si pone un problema per la tenuta delle testate e per l’occupazione che, viceversa, un precedente emendamento governativo intende giustamente considerare come elemento importante (insieme alle copie realmente tirate e diffuse) per la parametrazione delle voci di sostegno».
«Ci sono imprese -sottolinea la Fnsi- non meramente mercantili per le quali, nel rispetto della trasparenza e della correttezza, è giusta l’assunzione di un onere pubblico quale intervento sui costi della democrazia, di cui l’informazione è un asse fondamentale. Prima di tagli generalizzati, oggi motivo di incertezza per il futuro anche per chi ha le carte in regola, è necessario avviare e definire una seria riforma dell’editoria che faccia giustizia dei luoghi comuni, che faccia economia di spese eliminando il sostegno alle imprese pirata, che non travolga anche chi merita perché fa vera informazione, arricchendo il panorama del pluralismo e assicurando il corretto impiego del lavoro giornalistico».
La Giunta dell’Fnsi ha chiesto un incontro urgente al Sottosegretario all’editoria Bonaiuti.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.07.08, Modificato il: 22.07.08 alle ore 18.26
Ansa» 2008-05-03 14:34
INFORMAZIONE: NAPOLITANO, DOVEROSO OMAGGIO AI CRONISTI UCCISI
ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata del ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, ha inviato al presidente dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, Guido Columba, un messaggio nel quale sottolinea che la manifestazione organizzata in Campidoglio a Roma "rappresenta un doveroso e significativo omaggio a quanti hanno sacrificato la vita per onorare la professione giornalistica e i suoi valori, dando testimonianza di coraggio personale, impegno civile e dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà".
La Giornata, che si celebra in concomitanza con la Giornata internazionale della libertà dell’informazione indetta dalle Nazioni Unite, costituisce "una occasione di riflessione sul ruolo essenziale dell’informazione e sul principio costituzionale su cui la libertà di informare si fonda". Nel messaggio, Napolitano ha espresso "i più sentiti auspici affinché l’esempio dei tanti giornalisti deceduti in aree di crisi e in zone di guerra costituisca parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle giovani generazioni".
ALEMANNO,GIORNALISTI VITTIME DELLE MAFIE EROI MODERNI - "Considero i giornalisti vittime delle mafie e del terrorismo come degli eroi moderni perché hanno portato all’attenzione della opinione pubblica profonde verità su fatti che venivano negati". Lo ha affermato il sindaco di Roma, Gianni alemanno, nel corso del suo intervento alla giornata della memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo organizzata dall’Unione Nazionale Cronisti Italiani nel giorno in cui si festeggia la Giornata mondiale della libertà di stampa. "C’era un tempo in cui si diceva ’brigate rosse, rossissime anzi nere’ - ha proseguito Alemanno - si negava l’esistenza del terrorismo rosso. Si pensava che tutto il terrorismo fosse di destra e per molti anni si è fatto finta che le Br non esistessero. Tutto questo sino all’omicidio di Moro, ma grazie all’attività di giornalisti si è fatta una operazione di trasparenza". Al termine del suo intervento nella sala della Protomoteca ai cronisti che gli chiedevano del rischio della rinascità in Italia del fenomeno terroristico, Alemanno ha risposto: "c’é sempre un rischio di fronte a noi anche se oggi le emergenze sono altre. Non credo nella risorgenza del terrorismo politico e non esasperando gli animi: oggi non c’é emergenza ma dobbiamo stare attenti".
SCHIFANI, SOSTEGNO A CRONISTI CONTRO MAFIA - "E’ con gratitudine che il nostro pensiero si rivolge a quanti tra i giornalisti hanno messo a rischio la vita ed in particolare ai tanti, troppi, operatori dell’informazione caduti per mani mafiose o terroristiche: uomini che ad occhi aperti hanno affrontato la morte per aprire gli occhi ai cittadini in nome della verità".. E’ quanto si legge nel messaggio che il Presidente del Senato, Renato Schifani, ha inviato al Presidente dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, Guido Columba, in occasione della cerimonia celebrativa della Giornata del ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, che si tiene oggi a Roma, in Campidoglio. "Il già difficile compito al servizio della verità, che è proprio dei giornalisti e tutelato dalla nostra Carta costituzionale - afferma il Presidente del Senato - ha visto eroi civili affrontare con vera consapevolezza il rischio della vita. Ha commosso e commuove la loro passione, il loro coraggio e la essenzialità dell’approccio con il loro lavoro. Proprio questa loro consapevolezza nell’esercizio della loro missione ci rende maggiormente debitori ammirati e ci motiva ad un sostegno quotidiano e senza riserve". "La verità, parola affascinante e spietata - conclude il messaggio del Presidente Schifani -, ha sempre avuto ed avrà bisogno della nobile complicità dei giornalisti".
LOMBARDO, NON DIMENTICARE MORTI A SHARM SHEIKH - "Occorre mantenere e trasmettere il ricordo di quanti hanno sacrificato la loro vita nell’esercizio di una delle libertà fondamentali, quella d’informazione". Lo dice il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, nel giorno del ricordo dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo. "In tempi in cui l’informazione diviene a volte un’arma per attaccare e calunniare - prosegue Lombardo - gli uomini e le donne che commemoriamo in questo giorno sono l’esempio della devozione a un’idea di giornalismo che parte dalla libertà di raccontare storie, persone o semplici accadimenti, non facendo venire mai meno l’onestà verso gli altri e verso se stessi. Un modello di correttezza intellettuale che dovrebbe essere adottata in tutte le altre professioni". Per Lombardo "in tanti purtroppo sono stati a perire per un’idea" e ricorda "con affetto in particolare Rita Privitera e Giovanni Conti, giovani cronisti di un’emittente locale catanese, rimasti uccisi nel 2005 in un attentato terroristico a Sharm el Sheikh, che si affacciavano a questa professione con entusiasmo e voglia di crescere". "Il loro ricordo - conclude Lombardo - e quello di tutte le vittime deve servire a tutti e alle istituzioni in particolare, affinché siano sempre dalla parte della libertà di stampa e del pluralismo nell’informazione".
UE, LIBERA STAMPA RESTA SOTTO ATTACCO NEL MONDO - "La libertà di stampa è ancora seriamente sotto attacco in tutto il mondo": è l’allarme lanciato dalla Commissione europea nella giornata mondiale per la libertà di stampa promossa dalle Nazioni Unite. La Commisione europea - si legge in un comunicato del commissario Ue alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner - ribadisce il suo fermo impegno a favore "della libera espressione, dell’indipendenza dei media e di un rafforzamento delle competenze e dell’etica nel giornalismo" con l’obiettivo della difesa dei diritti umani. "La promozione della democrazia e dei diritti umani - sostiene il commissario Ue - è un elemento essenziale della nostra politica estera. La libertà di espressione è un diritto fondamentale e deve essere sostenuto in tutto il mondo per favorire la crescita di società civili vivaci e far sì che i popoli partecipino al dibattito democratico e alle decisioni che li riguardano. Sfortunatamente - conclude Ferrero-Waldner - la libertà di stampa è ancora sotto serio attacco in molti Paesi, e non solo in quelli autoritari. I giornalisti sono minacciati, censurati e uccisi a causa del loro impegno sul fronte di un’informazione imparziale e veritiera".
Fondata al fine di rendere indipendente la categoria dal potere politico ed economico E’ il sindacato unitario nel quale si confrontano democraticamente visioni diverse
La Fnsi compie cento anni
Napolitano alle celebrazioni
ROMA - Stamattina al Teatro Capranica di Roma si sono aperte le celebrazioni per il centenario della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi) sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, che ha inaugurato l’evento ricevendo al Quirinale una delegazione di giornalisti, guidata dal presidente, Roberto Natale.
Il capo dello Stato ha voluto esprimere la sua opinione sulla stampa italiana in occasione della cerimonia: "In un mondo aggressivamente multimediale ci sono sollecitazioni a cui bisogna saper resistere per garantire libertà e dignità della stampa". "Siete una grande realtà - ha detto il presidente a proposito della federazione -. Una stampa libera capace di investire nel rapporto con i lettori e di esprimere libertà e indipendenza. Questo è un elemento di democrazia". Napolitano si dichiara "fortemente assertore del principio della libertà di stampa" e anche "sensibile al concetto di responsabilità che è nell’esercizio misurato della professione, nella coscienza dei valori a cui dare priorità". Il presidente spera che la stampa italiana farà attenzione agli indirizzi costituzionali in un momento in cui ci sono "voci critiche", perché sostiene che "è importante avere il vostro occhio e intervento su queste questioni".
Fondata nel 1908, con il concorso di alcune associazioni regionali di giornalisti, allo scopo di rendere indipendente la categoria dal potere politico ed economico, la Fnsi fu ricostituita nel luglio 1943, subito dopo la caduta del fascismo per ripristinare la libertà e l’autonomia negata in quel periodo. Al centro della sua azione pone proprio la difesa della libertà di stampa, la pluralità degli organi di informazione, la tutela dei diritti e degli interessi morali e materiali della categoria. Oggi l’organizzazione include venti associazioni e sindacati regionali, tre associazioni di giornalisti italiani all’estero (in Francia, Germania e Inghilterra) ed è il sindacato unitario dei giornalisti italiani nel quale si riconoscono e si confrontano le diverse visioni culturali e politiche.
La cerimonia che ha come slogan "Un secolo di idee, lavoro e impegno per la libertà d’informazione", si è aperta alle 10. Il Presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale il presidente e il segretario della Fnsi, Franco Siddi. Poi, alle 10.30, al teatro Capranica, si è aperto un ciclo di interventi, filmati e discussioni che vedono come protagonista l’associazione e la sua storia. All’interno del teatro è stata inoltre allestita una mostra che illustra i 100 anni della notizia a testimonianza dell’impegno dell’informazione sui più importanti fatti e cronache del secolo. Nel pomeriggio, alle 15, nella sede della Fnsi si terrà il consiglio nazionale sulle vicende contrattuali e la Carta dei rifugiati.
Per il centenario le Poste Italiane emettono un francobollo commemorativo e assicurano l’annullo speciale. Saranno disponibili cartoline che riproducono gli acquerelli di Ettore Roesler Franz, con immagini storiche dei luoghi di Roma in cui sorge la sede della Fnsi. Nel corso dell’evento sarà presentato il libro "La conquista della libertà - il giornalismo italiano da Amendola alla liberazione, a cura di Franco Siddi con la prefazione di Arrigo Levi. La prima copia del volume è stata consegnata simbolicamente al Presidente Napolitano.
* la Repubblica, 23 aprile 2008.
Fnsi, l’affondo di Bertinotti: «Senza il contratto dei giornalisti si corrode la democrazia»
di Marcella Ciarnelli *
Con un invito all’unità della categoria Paolo Serventi Longhi ha concluso il suo ultimo intervento da segretario del sindacato dei giornalisti. L’ha salutato un lungo applauso. Dei delegati della maggioranza ma anche dei rappresentanti dell’opposizione che qui, a Castellaneta, sono riuniti per eleggere la nuova dirigenza sindacale cui spetta il difficile compito, per prima cosa, di aprire un tavolo di trattativa con gli editori e cercare di firmare un contratto che la categoria aspetta da 1004 giorni. Non essere riuscito a firmare quel contratto è il primo rammarico per Serventi Longhi. L’altro, sottolineato durante il suo intervento finale, è quello di «non essere riuscito ad allargare la maggioranza». Ma l’invito a chi gli succederà è di «riprovarci» perché c’è bisogno, in una categoria che vede sempre più a rischio i propri diritti con lo spettro del precariato e di un lavoro senza tutele sempre più pressante, di «ritrovare il senso di un’unità vera». Un categoria che deve vedersela con i conflitti d’interesse, che deve battersi per il pluralismo e la dignità di «tutti i giornalismi».
I successori, Franco Siddi finora presidente della Fnsi, e Roberto Natale che ne prende il posto, sono intervenuti in successione. Promettendo Siddi «un sindacato della concretezza e dei bisogni». E Natale invitando gli esponenti dell’opposizione ad un tavolo per «riscrivere le regole». Ma impegni espliciti per la salvaguardia degli scatti di anzianità e sulla possibilità di indire un referendum sul contratto, una volta che sarà stato sottoscritto (le richieste della minoranza) se ci sono stati sono stati solo formali e non concreti. Le votazioni per l’elezione del segretario sono cominciate a tarda sera.
Il contratto. Regole per giornalisti ed editori. Una garanzia «di coesione sociale» ha detto il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, intervenuto nella sessione conclusiva del congresso, subito dopo il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola che, a proposito della vicenda Rai-Mediaset, ha parlato «dell’onore perduto del servizio pubblico» mentre per Bertinotti «la Rai non è in grado di creare una coscienza e una cultura nazionale e di sottrarsi all’omologazione dell’informazione. Se il linguaggio della tv il linguaggio delle curve questo diventa quello prevalente nella società». «Il contratto - ha detto il Presidente - è un elemento inalienabile che, quando non c’è, corrode la democrazia». «Quello che si sta creando è un mondo del lavoro che fa della precarietà un sistema». Si punta, insomma, «a forme di lavoro dipendente che siano anche autonome. Una contraddizione in termini». Le istituzioni hanno il dovere di intervenire.
Anche il sottosegretario all’editoria, Ricardo Franco Levi, titolare della riforma che avvierà il suo iter «subito dopo la Finanziaria» ha convenuto che «il rinnovo del contratto è un pezzo essenziale della normalizzazione del settore. Il governo farà la sua parte fino in fondo. Una riforma senza contratto non è immaginabile».
* l’Unità, Pubblicato il: 30.11.07, Modificato il: 30.11.07 alle ore 9.48
Giornalisti, Fnsi: «Mille giorni senza contratto. Un record intollerabile»
«Mille giorni senza contratto. Una cifra tonda, un record triste per tutti i giornalisti italiani». Così la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) in una nota apparsa sul loro sito web (www.fnsi.it). «Quella di sabato 24 novembre è una ricorrenza intollerabile per il Paese e per la contrattazione», afferma il sindacato dei giornalisti.
«La segreteria della FNSI lo ricorda alle giornaliste e ai giornalisti, agli editori della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali, ndr) e all’intero sistema delle imprese, alle istituzioni. Mille giorni di duro scontro, la cui responsabilità è degli editori che una ripresa immediata del dialogo e delle relazioni sindacali, può comporre restituendo serenità all’intero settore».
I mille giorni senza contratto cadono alla vigilia del 25esimo congresso FNSI che si apre lunedì prossimo a Bari e nel corso del quale saranno rilanciate le ragioni del negoziato, la disponibilità dei giornalisti a trattare senza pregiudiziali.
* L’UNITà, Pubblicato il: 23.11.07, Modificato il: 23.11.07 alle ore 16.13
GIORNALISTI: GIORNATA DI SILENZIO DELL’INFORMAZIONE *
ROMA - Giornata di silenzio dell’informazione, proclamata dalla Federazione nazionale della stampa per "respingere l’attuale pesante attacco all’autonomia del giornalismo e al diritto di cronaca": scioperano i giornalisti dei quotidiani, delle agenzie di stampa, dell’emittenza radiotelevisiva pubblica e privata e degli uffici stampa. Il sindacato sottolinea, in particolare, "la gravità del disegno di legge Mastella sulle intercettazioni" e chiede "la rapida approvazione delle leggi che riguardano la comunicazione, la riforma delle leggi sull’editoria e sulla Rai e l’attuazione della legge 150 negli uffici stampa pubblici".
La Fnsi protesta anche "per il persistere del blocco al rinnovo del contratto di lavoro da parte degli editori della Fieg". Queste le modalità dello sciopero: - I giornalisti dei quotidiani si asterranno dal lavoro nella giornata di sabato 30 giugno per impedire la pubblicazione dei quotidiani nella giornata di domenica primo luglio. - I giornalisti delle agenzie di stampa, dei service, delle strutture sinergiche nazionali e locali, dei giornali telematici, dei siti web e dei portali internet si asterranno dal lavoro dalle ore 7:00 di sabato 30 giugno alle ore 7:00 di domenica primo luglio. - I giornalisti freelance, i collaboratori e i corrispondenti si asterranno dal lavoro per l’intera giornata di sabato 30 giugno. - I giornalisti dell’emittenza radiotelevisiva nazionale pubblica e privata, analogica e digitale, e dei canali tematici satellitari legati o no a network terrestri si asterranno dal lavoro nella giornata di sabato 30 giugno, dalle ore 6:00 di sabato 30 giugno alle ore 6:00 di domenica primo luglio. - I giornalisti degli uffici stampa si asterranno dal lavoro per l’intera giornata di sabato 30 giugno.
Nel corso dello sciopero nell’emittenza radiotelevisiva saranno assicurati soltanto i notiziari in forma ridotta previsti da eventuali accordi aziendali. Pertanto, non andrà in onda nessuna trasmissione o rubrica giornalistica, né andranno in onda trasmissioni registrate in giornate precedenti, che abbiano come conduttori o protagonisti giornalisti, né avvenimenti sportivi con la cronaca di giornalisti. In ogni caso sarà assicurata la presenza dei Cdr in tutte le redazioni al fine di predisporre notiziari straordinari in presenza di eventi di particolare gravità e interesse per l’utenza. Non sono previste deroghe di alcun tipo.
* ANSA» 2007-06-30 00:22
Stampa e libertà
di Furio Colombo *
Due lampi illuminano all’improvviso il cielo grigio delle notizie che, in disordine, fanno ossessivamente il giro del mondo, narrano sempre le stesse storie e poi spariscono. È accaduto il 13 giugno 2007, quando è stato pubblicato il temerario discorso di accusa di Tony Blair, Primo Ministro a fine carriera del Regno Unito (in Italia La Repubblica, 13 giugno). È accaduto il 14 giugno quando il New York Times ha pubblicato un testo di Patricia Cohen che - basandosi sul lavoro di economisti e politologi come Michael Mandelbaum, Joseph Stieglitz (il premio Nobel per l’economia) e Bruce Scott (economista di Harvard) - si domanda se valga ancora il legame ritenuto inscindibile (e anzi garanzia reciproca) fra capitalismo e democrazia. E dunque fra capitalismo e libertà delle notizie.
Il legame fra i due sorprendenti interventi è chiaro e - per l’Italia di oggi - di rilevanza immediata. La domanda è: c’è ancora - e serve a qualcuno o a qualcosa - la libertà di notizie, informazioni, comunicazioni, dunque la mitica e celebrata “libertà di stampa” ritenuta finora il cuore della democrazia?
Tony Blair, forse il più carismatico e certo, per qualche tempo, il più popolare leader della sinistra europea in molti decenni, si assume un compito che condivide con tutta la classe politica occidentale ma che, dimostra Blair, in questo periodo tormenta soprattutto la sinistra.
Il senso del discorso di Tony Blair ormai è noto e ha suscitato la sua parte di plauso (dai politici di ogni denominazione) e di condanna (da parte dei più autorevoli giornali inglesi) fra l’indifferenza infastidita di una vasta opinione pubblica che si sente estranea all’uno e all’altro lato della polemica (e questa è la vera notizia sullo stato delle cose).
Tony Blair attacca, condanna e disprezza la stampa che descrive come una belva che azzanna per nutrirsi di scandalo, utilizzando senza scrupoli il sangue delle persone che sono in vista perché si sono assunti la responsabilità della politica e sono da distruggere perché sono in prima fila ed hanno successo.
I politici dunque sono la vittima ideale della belva e la belva risponde ai suoi istinti ferini, non alla missione di informare. Sostiene Tony Blair che la notizia è un trucco per tendere trappole mortali ai politici.
Il lettore non farà fatica a cogliere curiose analogie con la situazione italiana di questi giorni. La stampa italiana ha scelto di ospitare con abbondanza tutti gli spunti possibili di intercettazioni telefoniche che contano, forse, sul piano del buon gusto e delle buone maniere ma niente dal punto di vista dei processi di cui queste intercettazioni sono storie laterali. E ha scelto di farlo lasciando scorrere tutto senza alcun filtro critico o almeno qualche “guida alla lettura” che distingua il giudizio morale e politico (conta o non conta una certa frase?) dal fastidio mediatico e dal disturbo del gusto. In realtà fra la storia italiana e la storia inglese c’è una importante differenza. Tony Blair attacca “la belva” non perché infastidito da sgarbi e critiche malevoli, ma a causa di un violento scontro frontale che segna un’epoca. Lo scontro, di cui Tony Blair è stato iniziatore e protagonista, si è compiuto sulle ragioni della guerra in Iraq.
Quelle ragioni, come è noto al mondo erano false. Ovvero era falsa tutta (tutta) la proposta, la argomentazione e la prova dei fatti (se vi fossero in Iraq armi di distruzione di massa puntate sul mondo e pronte ad entrare in azione in 45 minuti), mentre era ovviamente aperta al dibattito la questione politica (se Saddam fosse il tiranno contro cui usare subito la potenza del mondo).
Dunque c’è qualcosa di unico in ciò che Tony Blair, leader carismatico e popolare della sinistra europea, ha scelto di fare. Ha usato, con piena conoscenza di causa, argomenti che gli sono stati messi a disposizione dalla destra politica e militare del mondo per sostenere una guerra che si è rivelata un immenso errore militare e politico le cui conseguenze, fino alla guerra civile in Iraq, in Libano, in Palestina, fino al rischio di sopravvivenza dello Stato di Israele, sono ancora in corso, lontano da ogni possibile esito positivo.
Tony Blair, ha usato e giocato con la stampa in due modi. Come dimostra il recente libro americano The italian letter di Peter Eisner e Knut Royce, si è avvalso di un documento falso preparato in Italia nella redazione di un settimanale politico italiano, usando personaggi periferici del sottomondo spionistico per pronunciare il famoso discorso: «Ci possono distruggere in 45 minuti». E ha esercitato tutte le pressioni politiche disponibili ad un potere democratico per ottenere che la diffusione della falsa motivazione della guerra non fosse ostacolata o intercettata da argomenti critici al tempo in cui il leader Blair chiedeva per la sua guerra il sostegno della opinione pubblica inglese. È il periodo in cui uno scienziato che non voleva offrire il suo sostegno alla tesi dei «45 minuti per distruggere il mondo» si è tolto la vita. E il Direttore Generale della BBC, responsabile dei servizi giornalistici inglesi che non si erano sottomessi, è stato costretto alle dimissioni. È con un record tutt’altro che esemplare che Tony Blair si presenta alla tribuna di accusatore della stampa persecutrice dei politici.
La storia dimostra che invece - come è accaduto per George W. Bush negli Stati Uniti, per la stessa ragione (le false motivazioni di una guerra presentata come urgente e necessaria) - la vera salvaguardia della democrazia, e dunque della libertà delle notizie, sta nel tempo. Anche nella pienezza delle garanzie democratiche, un leader politico può imporre notizie false. Ma si tratta di un atto soggetto a scadenza. Evidentemente entrambi i leader hanno scommesso su una vittoria così rapida e clamorosa da trascinare l’opinione pubblica a ignorare la libertà di stampa. Brutta scommessa. Comunque, a causa del grave insuccesso, non ha funzionato. Adesso la stampa esige il risarcimento di un minimo di verità. Curiosamente Bush si è mostrato più cedevole del Primo Ministro inglese che ha scelto come difesa l’accusa ed esce di scena inseguito dalle denunce della stampa inglese che - a causa di quella accusa - gli ripetono e consegnano al futuro, con prove dettagliate, la sua fama di leader che mente.
* * *
Come si vede una garanzia contro la falsità della politica c’è, finché un Paese è democratico. Ma democrazia e capitalismo si sostengono a vicenda, come ci è stato sempre detto (i mercati vogliono la libertà come i partiti, per le stesse ragioni di competizione) oppure il capitalismo può, oggi, fare a meno della democrazia senza soffrirne, anzi sviluppandosi a ritmi sempre più stretti?
La domanda posta dall’intervento di Patricia Cohen sull’International Herald Tribune del 14 giugno ha molte motivazioni. Sono nei testi allarmati e dubbiosi di alcune grandi firme della politologia e dell’economia, ma anche nella constatazione del rapido e grandioso sviluppo economico di Paesi industriali e capitalistici tutt’altro che liberi, come la Cina e la Russia. Nella Russia di Putin, invece di fermarsi all’invettiva di Blair («la libera stampa è una belva») la belva viene uccisa. Il mondo momentaneamente appare costernato quando la belva ha il volto della coraggiosa giornalista Olga Politovskaia. Ma, dopo un po’, dimentica. La Cina conduce un controllo preventivo che - prima che portare alla morte - impedisce la nascita di una Olga Politovskaia. Ma intanto si sviluppa, si arricchisce - e arricchisce una parte dei suoi cittadini, lungo tappe successive di una espansione mai vista. Due studiosi americani, il politologo Scott e l’economista Stieglitz non pensano alla Cina ma all’Occidente quando dicono «è un errore pensare che tutto quel che ti serve per vivere in democrazia siano una costituzione e un voto» (Bruce Scott) e «abbiamo riflettuto su quanto sia facile, oggi, manipolare una elezione?» (Joseph Stieglitz). I due studiosi non si voltano indietro a ripensare il Cile, dove, sotto Pinochet, si sono fatte “riforme” (come quella delle pensioni, che viene raccomandata anche a noi, anche oggi, come quella della flessibilità del lavoro suggerita dai “Chicago Boys”, che a quel tempo non si chiamavano ancora “Neocon”). Li angoscia la impenetrabilità della Cina e della Russia capitalistica alla democrazia.
Ma li impressiona ancora di più la fragilità delle più grandi e celebrate democrazie. Da un lato si intravede la crepa dell’imbroglio (abbiamo appena parlato di Blair, ma per l’Italia si veda la denuncia ripetuta da Enrico Deaglio con il film dvd Gli imbroglioni, a proposito di molti punti strani e oscuri nelle elezioni politiche italiane del 2006; ma anche le prove di broglio denunciate da Leoluca Orlando dopo le recenti elezioni comunali a Palermo; ma anche la questione sollevata invano dagli interessati, di otto senatori forse spariti dalla lista di eletti alla “camera alta” italiana dopo contestati e mai discussi scrutinii delle ultime elezioni politiche). Dall’altra una stampa esangue che negli Usa ha risposto tardi (con le scuse formali e congiunte ai lettori dei direttori del New York Times e del Los Angeles Times e la pubblicazione, a cura di Frank Rich, delle notizie omesse per non dispiacere al governo di Bush). In Inghilterra si reagisce adesso. E in Italia si continua a sentire il fiato caldo del potente politico-editore Berlusconi sul collo di chi fa informazione. E si preferisce, anche adesso, non imbarcarsi in argomenti sbagliati o pericolosi, lasciando che siano Bruno Vespa o Minzolini a dirci, anche adesso, anche oggi, qual è il menù delle notizie del giorno.
Se Berlusconi dice che per togliere di mezzo Prodi lo strumento più adatto è il regicidio, cioè il delitto, ti dicono di non disturbare, ti avvertono che si tratta solo di “uno scherzo”.
Ricordate le violente accuse a questo giornale, definito, esclusivamente per le sue critiche politiche, “testata omicida” da tutta la stampa e le televisioni di proprietà o sotto controllo di Berlusconi? Se poi la Lega occupa i banchi del governo ostentando il giornale da statisti di quel Gruppo, che intitola “Fuori dalla balle”, compiendo dunque un gesto probabilmente non consentito in Guatemala, tutto viene narrato (e molto brevemente) come una ragazzata. Dice festosamente il Tg1 del 15 giugno: «È subito baruffa» notare la parola bonariamente goldoniana. Segue, regolare, per tutti coloro che si indignano, si scandalizzano, protestano, o anche solo si sentono imbarazzati, la raccomandazione «ad abbassare i toni».
La fine della storia è nell’iniziativa della nascente leader politica Brambilla, il nuovo cyborg di Berlusconi, che fonda un giornale “della libertà” nel giornale di Berlusconi e una televisione “della libertà” nella televisione di Berlusconi. Altrove democrazia e libertà di stampa rischiano il loro destino nel dramma. Da noi nel ridicolo.
* l’Unità, Pubblicato il: 16.06.07, Modificato il: 17.06.07 alle ore 12.53
I giornalisti hanno deciso di astenersi dal lavoro da oggi, 16 aprile, a domenica 22
"Repubblica.it" riprenderà le pubblicazioni il 23, il quotidiano sarà in edicola il 24
Repubblica, il Cdr proclama
sette giorni di sciopero
Il Comitato di Redazione di Repubblica ha deciso sette giorni di sciopero dei giornalisti a partire da oggi, 16 aprile, fino a domenica 22. Il sito di "Repubblica.it" riprenderà dunque le pubblicazioni lunedì 23, il quotidiano tornerà in edicola da martedì 24. Il Cdr comunica che alla base della protesta c’è la decisione dell’azienda di non procedere a sostituzioni di giornalisti assenti per malattia lunga, in quanto non previste dal contratto. Il Cdr inoltre contesta la decisione dell’azienda di respingere qualsiasi proposta di confronto sull’organizzazione del lavoro, come pure qualsiasi ipotesi di accordo aziendale. Inoltre, c’è sempre in piedi la vertenza per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei giornalisti, scaduto da oltre due anni.
Il Cdr di Repubblica con questa protesta intende sollecitare il coinvolgimento del mondo della politica, sinora apparso sostanzialmente assente - dice il sindacato - sui temi contrattuali della categoria.
* la Repubblica, 16 aprile 2007
Il parto difficile della libertà di stampa
di Tonino Cassarà *
A notte fonda, in un’Aula drammaticamente spaccata a metà, il 14 aprile 1947, veniva approvato l’Art. 16, attuale Art. 21, della Costituzione. Nella storia dell’Assemblea Costituente, per nessun altro argomento, neppure nel caso del famigerato Art. 7, si assisterà alle polemiche e alle lacerazioni che caratterizzarono il dibattito e l’approvazione all’articolo che avrebbe sancito la Libertà di stampa. D’altra parte, che i lavori relativi ad un tema così delicato sarebbero stati segnati da aspri scontri, lo si era capito già il 26 settembre del ’46 quando per la prima volta l’Assemblea aveva trattato dei princìpi che avrebbero regolato la libera espressione del pensiero. Sin da quel momento era stata infatti palese la contrapposizione fra chi, le destre e una parte della democrazia cristiana, sosteneva il mero principio ottocentesco, basato su quella che la giurisprudenza definisce «libertà negativa», di una stampa libera e di una legge che ne reprime gli abusi, e chi al contrario, la quasi totalità della sinistra e democristiani di grande prestigio come Fanfani e Gronchi, riteneva irrinunciabile far prevalere i princìpi di «libertà positiva» perché, come ebbe a dire Togliatti nella seduta del 27 settembre: «L’astratto principio della libertà di stampa non può più essere accettato.
Il principio della libertà di stampa mette sullo stesso piano l’onesto organo di informazione e lo strumento che viene creato da colui che ha accumulato ricchezze, e si serve di queste ricchezze per disorganizzare la vita economica e sociale del paese... Ormai si è usciti dal periodo del liberalismo ed è bene che si introduca nella Costituzione una formula che dia al legislatore la possibilità di disporre cautele finanziarie e controlli sugli organi di stampa». Per i sostenitori degli aspetti di «libertà positiva» si trattava insomma di affiancare alla dichiarazione di principio anche una serie di garanzie affinché vi potesse essere un controllo sulle fonti di finanziamento e sulla veridicità delle notizie, che impedisse a gruppi finanziari di manipolare il mondo dell’informazione e al contempo assicurasse a tutti l’effettiva possibilità di godere del diritto sancito. A questo proposito è significativo l’emendamento, rigettato dall’Assemblea, presentato da Fanfani e Gronchi nella seduta del 14 aprile ’47: «Per garantire a tutti i cittadini l’effettivo esercizio di questo diritto, la legge può regolare l’utilizzazione delle imprese tipografiche e di radiodiffusione». E l’Unità di martedì 15 aprile, commentando l’articolo appena approvato, scriveva: «La libertà di stampa deve significare la possibilità completa e reale per tutti di elevare una libera voce», e per «proteggere la nuova democrazia italiana dal pericolo d’una stampa che tenti di trarla nelle tenebre» è necessario «che la carta e gli impianti tipografici non siano monopolio di pochi».
L’Azionista Schiavetti, nella seduta del 28 marzo, era andato oltre, sottolineando come le forme di tutela della stampa non potessero però prescindere dall’indipendenza della professione: «Una tutela che può essere esercitata in certi casi dagli stessi organismi del giornalismo organizzato; la stampa deve difendere la propria indipendenza e la propria dignità anche contro la potenza del denaro, contro le minoranze plutocratiche faziose». Dall’altra parte c’era però chi, come Andreotti, riteneva che dal punto di vista economico «il controllo finanziario» era da considerarsi un assurdo e per questo «i finanziamenti delle banche o dei privati» non dovevano essere letti come «un’offesa alla libertà di stampa, bensì come una sua forma di tutela».
Lo scontro più duro si ebbe però sul quarto comma, quello relativo al sequestro di polizia. Fu su questo punto che saltarono infatti i tradizionali schemi fra gli schieramenti e ci si trovò di fronte ad un’Assemblea dove non era più possibile, anche fisicamente, distinguere la destra dalla sinistra. Tanto che La nuova Stampa, il giorno successivo titolava: «Le alleanze dei partiti nella battaglia per la stampa»: «Per quanto riguarda il quarto comma abbiamo avuto i democristiani ed i comunisti uniti contro il resto dell’Assemblea. Questa divisione è stata materialmente evidente perché la votazione è avvenuta per separazione ed i democristiani hanno dovuto abbandonare il proprio settore per unirsi ai comunisti, mentre i socialisti si sono spostati vero la destra. L’opposizione occasionale formata dai socialisti fusionisti, saragatiani, azionisti, repubblicani e demolaburisti, oltre ai monarchici, liberali e qualunquisti, ha mal sofferto l’approvazione di questo comma ed ha voluto continuare a sedere sui banchi della destra durante il proseguimento della discussione».
Era successo che nella seduta antimeridiana, da ogni settore dell’Assemblea era stata presentata una lunga serie di emendamenti sul quarto comma. La Commissione ne aveva quindi accettato la soppressione, ma un gruppo congiunto di sei commissari democristiani e cinque comunisti aveva presentato al presidente un ulteriore emendamento che venne sottoposto dell’Assemblea; evidentemente si trattava di un estremo tentativo, poi riuscito, di salvare quel comma che avrebbe dovuto permettere la possibilità del sequestro non solo all’Autorità giudiziaria. La vittoria democristiana e comunista aveva però scatenato le ire del resto dell’Assemblea e una dura polemica che si sarebbe trascinata per mesi sulla stampa. Sul Corriere della Sera del 16 aprile, in un articolo di durissimo attacco a comunisti e democristiani, si legge: «Hanno vinto con 189 voti... dopo aver suscitato una reazione che non prevedevano, hanno l’aria di volersi far perdonare la loro vittoria. Forse è esagerato dire, come qualcuno disse alla Camera che la libertà di stampa era stata uccisa. Certo è stata, e seriamente, ferita».
Il 18 aprile il Popolo Nuovo, rispondeva alle critiche con un editoriale: «Si accusa un preteso connubio democristiano-comunista, si oppone un fronte liberale ad una pretesa coalizione illiberale dei due partiti “sfondo apertamente confessionale”, si tenta di trasformare un fondamentale problema di libertà in un complesso di manovre di partiti, che ne rimpiccioliscono il valore». Il quotidiano della Dc sottolineava come i grandi problemi della stampa stessero sì nel salvaguardare la libertà e nel reprimere gli abusi, ma essi stavano anche nel cercare una salvaguardia dal capitale, nel cercare di dare a tutti la possibilità di far sentire la propria voce e non ultimo nel cercare di limitare il potere dei gruppi finanziari nella manipolazione delle opinioni. Nel leggere gli atti dell’Assemblea Costituente relativi a quel dibattito, si ha come l’impressione che democristiani, comunisti e socialisti fossero spesso guidati dal timore che in futuro qualsiasi tipo di regime avrebbe potuto servirsi dell’eventuale genericità della norma per violare il diritto. Un fatto questo che li spinse probabilmente ad operare una scelta di libertà rinchiusa entro il recinto della paura della piena libertà. In sostanza si preferì una sicura libertà limitata ad una forse più ampia ma meno certa. Eppure malgrado quelle scelte sofferte non sembra che a sessant’anni di distanza quelle garanzie tanto care ai costituenti abbiano trovato effettivo riconoscimento.
* l’Unità, Pubblicato il: 14.04.07, Modificato il: 14.04.07 alle ore 12.19
GIORNALISTI: DA DOMANI TRE GIORNI DI SCIOPERO *
ROMA - La Fnsi proclama tre giornate consecutive di sciopero dei giornalisti: 21,22 e 23 dicembre. A scioperare saranno i giornalisti di agenzie, web, uffici stampa pubblici e privati e stampa per impedire l’uscita dei giornali venerdì, sabato e domenica. Lo sciopero è stato proclamato nell’ ambito della vertenza con la Fieg per il rinnovo del contratto nazionale.
LE MODALITA’ DELLO SCIOPERO
I giornalisti dei quotidiani del mattino si asterranno dal lavoro nelle giornate di giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 dicembre per impedire l’uscita dei quotidiani nelle giornate di venerdì 22, sabato 23 e domenica 24 dicembre; i giornalisti dei quotidiani del pomeriggio si asterranno dal lavoro in modo da impedire l’uscita dei quotidiani nelle giornate giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 dicembre;
i giornalisti delle agenzie di stampa, dei service, delle strutture sinergiche nazionali e locali, dei giornali telematici, dei siti web e dei portali internet si asterranno dal lavoro dalle ore 07.00 di giovedì 21 alle ore 07.00 di domenica 24 dicembre;
i giornalisti free-lance, i collaboratori ed i corrispondenti si asterranno dal lavoro per le intere giornate di giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 dicembre;
i giornalisti degli uffici stampa pubblici e privati si asterranno dal lavoro per le intere giornate di giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 dicembre.
Non sono previste - conclude la Fnsi - deroghe di alcun tipo.
ANSA » 2006-12-20 18:11
Giornalisti, la precarietà nero su bianco
di Paola Zanca *
Pensionati e giornalisti a tempo perso. La strada più fantasiosa per sfuggire alle norme contrattuali che regolamentano la professione giornalistica, l’ha trovata il gruppo editoriale proprietario de "La provincia" di Como e di altre tre testate locali. Un’ispezione dell’Inpgi, l’ente previdenziale dei giornalisti, aveva segnalato una quarantina d’irregolarità, cioè di collaboratori che di fatto svolgevano attività redazionale ma che non venivano riconosciuti come lavoratori subordinati. Insomma, l’annosa questione dei contratti a progetto per lavoratori che a progetto non sono. Lo stesso fenomeno che si verifica nei call center, per intenderci. Ma che se applicato ad un campo delicato come quello dell’informazione, per usare le parole del segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, «non può che disegnare un giornalismo meno libero, più condizionato dalla volontà delle imprese». Nel caso de "La provincia" di Como, infatti, gli editori, per evitare grane sindacali, hanno pensato bene di affidare tutti i rapporti di collaborazione solo a pensionati o a persone che svolgono già un’altra professione e fanno i giornalisti come secondo lavoro. In sostanza, la negazione della professionalità. E soprattutto, un lavoro redazionale quasi a costo zero.
Nel mondo del giornalismo, ormai, è quasi la regola. A partire dal grande business degli stage. Quella che dovrebbe essere un’attività formativa, che consente agli aspiranti giornalisti un primo approccio al lavoro di una redazione, è diventata ormai una vera e propria fucina di lavoratori volontari. Sì, perché lo stage è gratuito, migliaia di studenti delle 19 scuole di giornalismo attualmente riconosciute dall’Ordine sono pronte, primavera, estate, autunno e inverno, a colmare i buchi nelle redazioni che gli editori non hanno più interesse a mantenere a livelli occupazionali adeguati. Il tutto senza poter nutrire troppe speranze per il proprio futuro lavorativo: nel 2005, 1400 candidati si sono presentati all’esame di iscrizione all’Albo dei professionisti. Il migliaio che l’ha superato, ora dovrà fare i conti con i risicati 225 posti che si stima vengano "liberati" in un anno. E con i 2500 giornalisti disoccupati che affollano le liste di collocamento.
Il professionismo, dunque, diventa un deterrente all’assunzione di un giornalista, e oggi, come insegna la vicenda del comasco, perfino a una semplice collaborazione esterna. È così che furoreggia quello che la Federazione Nazionale della Stampa chiama abusivato, e che in realtà è lavoro nero. Il libro bianco sul lavoro nero presentato lunedì dalla Fnsi disegna un quadro desolante. L’abusivato dura in media 2/3 anni, ma non sono rari i casi in cui la precarietà si prolunga fino a 6/7 anni. Situazioni che vanno da chi ha un contratto a tempo determinato, una collaborazione a progetto fino ai veri e propri cottimisti, giornalisti pagati ad articolo. Tutti uniti da uno stesso minimo comun denominatore: non godere di nessun tipo di tutela, né sanitaria, né previdenziale, né assicurativa. E senza nessun diritto alla contrattazione. Soldi pochi, e quando, non si sa. I prezzari delle testate vanno dai 3 euro di una breve notizia ai 20 euro scarsi per un articolo di apertura. La legge 231 del 2002, inoltre, imporrebbe il pagamento delle prestazioni giornalistiche a 30 giorni. In realtà, i dati raccolti dal sindacato della stampa, mostrano come i tempi per ricevere il compenso oscillano dai 60 ai 500 giorni.
L’idea in cantiere, intanto, è quella di un bollino blu agli editori che non abusano dei giornalisti, ovvero erogare finanziamenti pubblici solo alle testate che presentano questa sorta di certificazione etica. L’obiettivo è quello di arrivare ad una riforma della legge sull’editoria che tenga conto di tutti i pezzi del mosaico: i giornalisti, l’azienda, il prodotto, la pubblicità, la distribuzione, la normativa antitrust, i finanziamenti. L’editoria - ha spiegato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Ricardo Franco Levi - «merita sostengo per il ruolo sociale e civile che esercita», ma non è «la respirazione bocca a bocca ad un settore che ha seri problemi di sopravvivenza ciò che le provvidenze pubbliche possono fare». «Dopo Natale - ha aggiunto - partiranno le audizioni per arrivare, in aprile, alla nuova legge che affronterà anche nuove responsabilità importanti, non solo per quanto riguarda il contributo all’informazione, ma anche nei confronti dei diritti delle persone». Al termine dell’incontro, l’intervento del presidente della Camera Fausto Bertinotti, che ha voluto sottolineare come la precarietà vada «in qualche modo accettata e inserita in un sistema di regole. Alla diffusione generalizzante del precariato bisognerebbe apporre una diversa coppia, che è la coppia lavoro stabile e riconosciuto e lavoro autonomo». Ma - ha concluso - «se un lavoro viene chiamato autonomo, autonomo deve essere, non può servire solo ad aggirare le regole di un contratto».
Nel frattempo, le giornate da qui alla fine dell’anno si preannunciano calde sul fronte degli scioperi. Il 18 e il 19 incroceranno le braccia gli operatori di radio e tv. La carta stampata, dopo le astensioni dalla firma dei giorni scorsi, minaccia scioperi a sopresa, in attesa del rinnovo del contratto scaduto da oltre 600 giorni.
* l’Unità, Pubblicato il: 11.12.06, Modificato il: 11.12.06 alle ore 17.53
24ore Roma, 23:36 *
GIORNALISTI: FNSI, DA EDITORI RIFIUTO ARROGANTE E IMMOTIVATO
La Federazione Nazionale della stampa Italiana in un comunicato spiega le ragioni dello sciopero dei giornalisti proclamato domani. Ecco il testo: "La Giunta della Federazione della Stampa ha deciso a grande maggioranza una giornata di sciopero senza preavviso dei giornalisti dei quotidiani e delle agenzie di stampa. Il Sindacato dei Giornalisti intende cosi’ protestare contro il nuovo rifiuto degli editori della Fieg alla proposta del Governo di riaprire il negoziato contrattuale nell’ambito di un confronto sulla riforma dell’editoria. Un rifiuto arrogante e immotivato che segue la ripetuta indisponibilita’ degli editori persino ai tavoli tecnici contrattuali proposti dal Ministro del Lavoro. L’atteggiamento degli editori e’ tanto piu’ grave dopo una manifestazione nazionale nella quale la Fnsi ha nuovamente espresso la volonta’ di aprire un tavolo di negoziato senza pregiudiziali su tutti i temi posti dalle due parti. Governo, esponenti del Parlamento, delle organizzazioni Sindacali Confederali, dell’associazionismo e dei consumatori si sono espressi stamane a favore di una trattativa vera. La Fieg, che esprime una linea incomprensibile, frutto dell’oltranzismo dei principali editori, e’ sempre piu’ isolata nel Paese e rischia di aggravare la situazione di tutte le aziende. A questo punto il Governo non puo’ non valutare l’opportunita’ di una iniziativa legislativa tesa a modificare i criteri con i quali vengono elargiti i contributi all’editoria subordinando gli stessi alla regolarizzazione dei giornalisti precari. Gli Stati generali dei giornalisti proseguono per valutare le altre iniziative di lotta proposte dalla Giunta della FNSI".
* la Repubblica, 14.11.2006
Nuovo no della Fieg al rinnovo del contratto giornalistico. La decisione presa con voto di maggioranza.
Domani sciopero generale dei quotidiani Serventi Longhi: "Una decisione difficile"
Damiano: "Mancato rinnovo un problema per la democrazia del paese" *
ROMA - Proclamato per domani, mercoledì 15, uno sciopero generale di quotidiani e agenzie. La decisione è stata votata a maggioranza dalla giunta della Federazione nazionale della stampa. La giunta, convocata mentre sono in corso gli stati generali sulla vertenza contrattuale, conferma anche lo stato di agitazione, il blocco degli straordinari e la convocazione di assemblee durante l’orario di lavoro.
La decisione di proclamare uno sciopero immediato arriva come risposta della categoria al rifiuto degli editori del tavolo proposto dal governo nell’ambito della riforma sul sistema dell’editoria.
Questo pomeriggio il governo aveva convocato Fieg ed Fnsi a palazzo Chigi per mercoledì 22 per discutere di una possibile modifica della legge sull’editoria e, contestualmente, aprire un tavolo di trattativa sul contratto scaduto 624 giorni fa. In serata, gli editori hanno risposto dicendosi disponibili a discutere della legge sull’editoria ma non ad aprire il confronto sul contratto con la Fnsi. A questo punto, numerosi comitati di redazione presenti agli stati generali hanno chiesto all’esecutivo della Federazione di dare una risposta immediata alla nuova chiusura proveniente dal fronte editoriale.
In un comunicato diramato dalla Fieg si legge che la federazione "e’ pronta a recarsi in ogni momento al Dipartimento dell’Informazione e dell’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri per esprimere le sue idee e per apportare il proprio contributo in vista di una futura legge di riforma del settore dell’editoria’’. Ma sul il rinnovo del contratto, la nota spiega che "la Federazione degli Editori puo’ solo ribadire la posizione già ripetutamente espressa a questo riguardo. Il Governo non ignora certamente che il problema presuppone l’intesa delle parti e comunque non puo’ essere affrontato nel quadro di consultazioni di altra natura e destinate a tutt’altro fine’’.
Il segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, nell’annunciare la decisione, ha detto che "proclamare uno sciopero per domani è stata una decisione non facile, per via dei problemi legati alla tempistica ed alla necessità di avvertire tutti i colleghi. Alla fine, ha prevalso la volontà di dare una risposta immediata all’ennesima chiusura che viene dagli editori". L’assemblea degli stati generali continua ad oltranza.
Preoccupazioni dal ministro del Lavoro Cesare Damiano che aveva convocato formalmente le parti insieme al sottosegretario alla presidenza del consiglio Ricardo Franco Levi per fissare ’’tempi e modalità’’ della ripresa del confronto e della riforma generale del sistema dell’editoria. Il ministro Damiano ha detto di ’’essere seriamente preoccupato’’ e che tutto questo ritardo nella vertenza ’’crea non solo un problema per l’informazione ma anche per la democrazia nel nostro paese’’.
Nella nota in cui il ministro convoca Fieg e Fnsi si legge: "Chiediamo alla Federazione Italiana degli Editori e alla Federazione Nazionale della Stampa un incontro da tenersi presso la sede del Dipartimento dell’Informazione e dell’Editoria della Presidenza del Consiglio il giorno 22 novembre alle ore 10.00 per affrontare il tema della riforma del settore dell’editoria e, in questo quadro, del rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti. La piena affermazione e la difesa dei valori costituzionalmente garantiti del pluralismo dell’informazione, della libertà d’impresa e della dignità del lavoro e le sfide poste dall’innovazione tecnologica richiedono un impegno forte e condiviso di editori e giornalisti ed il sostegno attivo da parte del governo. Siamo fiduciosi che dai rappresentanti degli editori e dei giornalisti verranno risposte sollecite e positive alla nostra richiesta".
( la Repubblica, 14 novembre 2006)
Giornalisti contro editori: 6 giorni di sciopero in vista *
Continua, sempre più duro, il braccio di ferro tra giornalisti e editori. È appena finita la protesta che per due giorni ha bloccato i servizi d’infomazione televisivi, che già si annunciano altri pesantissimi scioperi. «La Giunta della Federazione della Stampa ha deciso all’unanimità di proporre ai giornalisti della carta stampata e delle agenzie di informazione e del web una settimana di sciopero consecutivo prima delle festività natalizie e senza alcun preavviso» spiega una nota della Fnsi.
«La decisione definitiva su questa durissima azione di lotta, la prima del genere nella storia del Sindacato dei giornalisti - aggiunge la nota - sarà presa nel corso di una grande assemblea nazionale di tutte le strutture del sindacato, dei comitati e fiduciari di redazione, del Consiglio Nazionale e della Commissione Contratto, che si svolgerà a Roma nella prima quindicina di novembre ed alla quale sono invitati tutti gli organismi della Associazioni Regionali di Stampa, dell’Inpgi, della Casagit, del Fondo di Previdenza Complementare e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti».
«Martedì prossimo 31 ottobre si riunirà nuovamente la Giunta Federale e, per la prima volta, un gruppo di lavoro allargato della Giunta stessa e delle Associazioni Regionali, insieme a tutte le componenti del Sindacato, per decidere altre forme di mobilitazione e di lotta, a livello territoriale e aziendale, in aggiunta alla settimana di scioperi consecutivi, che rendano difficile la normale produttività delle redazioni nei prossimi mesi. Il gruppo di lavoro - sostiene la Fnsi - ha anche il compito di discutere l’organizzazione di una manifestazione nazionale dei giornalisti a Roma finanziata con il Fondo di solidarietà e di resistenza della categoria.
Assemblee di gruppo o di testata saranno organizzate, anche a livello regionale e interregionale, d’intesa con le Associazioni Regionali di Stampa. Nei prossimi giorni la Giunta della Federazione deciderà se estendere la dura protesta alle colleghe e ai colleghi che lavorano negli uffici stampa della pubblica amministrazione se non sarà aperto nei prossimi giorni l’annunciato, e sempre rinviato, tavolo ministeriale».
Spiega il sindacato che «il profondo disagio e la protesta dei giornalisti italiani costringe la Fnsi a proporre alle giornaliste e ai giornalisti, che hanno già attuato dodici giorni si sciopero, un eccezionale sacrificio per difendere il diritto all’autonomia, alle tutele ed a uno stipendio dignitoso sia per i giornalisti dipendenti sia per le migliaia di collaboratori sfruttati e mal pagati. Gli editori, inoltre, stanno conducendo una sempre più esplicita campagna contro l’autonomia e la solidità finanziaria dell’Istituto di Previdenza di categoria, l’Inpgi, cercando di ottenerne il controllo per bloccare l’attività di ispezione e di vigilanza sulle violazioni contributive di molte aziende editoriali.
* www.unita.it, Pubblicato il: 26.10.06 Modificato il: 26.10.06 alle ore 11.34
Giornalisti, nuovo sciopero il 5 e 6 ottobre *
A 18 mesi dalla scadenza del contratto, la Fieg, gli editori e datori di lavoro, si rifiuta ancora di sedere al tavolo delle trattative per un nuovo contratto. E così è sciopero il 5 e 6 ottobre per agenzie e quotidiani, dopo i due giorni della scorsa settimana. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a scendere in campo in difesa dei giornalisti, dicendo che «bisogna riconoscere loro i loro diritti, primo tra tutti quello ad avere un contratto rinnovato a tempo debito».
«Non chiediamo privilegi ma solo che vengano rispettati i nostri diritti fondamentali», spiega bene Paolo Serventi Longhi, segretario generale della Fnsi, sintetizzando le motivazioni che stanno alla base dello sciopero nazionale. «Io credo -ha aggiunto Serventi- che gli editori siano finiti fuori strada: sono convinti che i giornali e l’informazione possano essere fatti senza i giornalisti e senza il rispetto umano e morale di chi ogni giorno deve offrire un servizio ai lettori, attraverso notizie corrette, degne, verificate? Insomma, hanno perso la cognizione di quello che è lo scopo originario di un’attività che non ha il compito di produrre bulloni, ma informazione».
La Fieg ha presentato una piattaforma con 45 proposte da opporre a quelle avanzate dal sindacato: «Sono proposte -afferma Serventi Longhi- che tendono ad umiliare i lavoratori dell’informazione e nello specifico i giornalisti: volte a tagliare del 30% gli stipendi base, a ridurre le pensioni, perché se si riduce lo stipendio si riducono anche le contribuzioni, atte a svilire sempre più il lavoro serio di chi fa informazione ad alti livelli e con un lavoro stabile, ma soprattutto a penalizzare i free-lance che vengono pagati tra i 2,18 e i 4 euro ad articolo. Questa è una vera indecenza».
Ma sono anche altri i punti che vengono contestati e che, secondo la Fnsi causano un peggioramento del sistema informativo a discapito del pluralismo e della libera informazione: la libertà di licenziare i capiredattori (come avviene per i direttori e vicedirettori) e la reversibilità delle cariche gerarchiche. «Allo stato attuale, gli editori mostrano solo di essere interessati a migliorare i profitti contenendo i costi e fregandosene della qualità editoriale e del lavoro che serve per produrre informazione», sostiene Serventi Longhi che auspica un più deciso intervento da parte del governo.
Con la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto giornalistico, scaduto nel marzo del 2005, la Fieg «ha assunto una posizione politica di delegittimazione di se stessa e della Fnsi e di attacco a tutto il sistema di protezioni e tutele del giornalismo italiano», ha spiegato Serventi Longhi. Preoccupata per la gravità della situazione la Fnsi chiede comunque al ministro del Lavoro Cesare Damiano che convochi un tavolo con entrambe le parti come aveva comunicato che sarebbe accaduto, dopo la presentazione della finanziaria. Serventi Longhi ha presentato anche uno studio elaborato di dati Inpgi da cui risulterebbe che «è assolutamente priva di fondamento» la tesi sostenuta dalla Fieg nel corso della vertenza contrattuale secondo la quale «le aziende editoriali non sarebbero più in grado di sopportare gli oneri derivanti dagli automatismi contrattuali, i quali comporterebbero un incremento automatico medio delle retribuzioni del 3% annuo».
«Dallo studio emerge che le retribuzioni medie dei giornalisti nel 2005, rispetto al 2004, sono diminuite - ha spiegato Serventi Longhi - di 600 mila euro complessivi. Nel 2005 la retribuzione media di tutto il settore nei comparti produttivi rappresentati dalla Fieg (quotidiani, periodici, agenzie di stampa) è diminuita rispetto all’anno precedente dell’1%». Se si esaminano i dati per singolo settore si vede che nel 2005 rispetto al 2004 la retribuzione media nei quotidiani è diminuita del 1,96%, mentre si è incrementata nei periodici e nelle agenzie di stampa dello 0,29%. Si tratta dunque di un decremento complessivo dell’1% e di un lieve incremento in due settori che comunque non raggiunge il tasso d’inflazione che nel 2005 rispetto al 2004 è stato del 2,1%. «Gli editori hanno dichiarato il falso per un anno e mezzo - ha sottolineato il presidente della Fnsi, Franco Siddi - Il loro è uno schiaffo ai giornalisti e chiama in causa la politica tutta». Per il presidente dell’Inpgi, Gabriele Cescutti, «un atteggiamento del genere da parte della Fieg non è spiegabile se non con una volontà di arretrare in maniera consistente la categoria e il sindacato» e si augura che si possa uscire da «questo pertugio oscuro».
Il quotidiano «la Repubblica» non sarà in edicola anche giovedì. Lo rende noto il Cdr al termine dell’assemblea che ha approvato la decisione. «Impediamo al giornale di uscire anche domani - spiega il Comitato di redazione - per protestare contro l’azienda che oggi e nei giorni scorsi ha aumentato la foliazione per incrementare la pubblicità "annullando" in questo modo gli effetti dello sciopero. Avevamo anche messo in allerta l’azienda di non compiere un’azione simile ma non siamo stati ascoltati».
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www.unita.it, Pubblicato il: 28.09.06 Modificato il: 04.10.06 alle ore 19.59
Serventi Longhi: «Situazione drammatica: si apra la trattativa»
di Natalia Lombardo*
«Siamo molti contenti del risultato dello sciopero, ma la situazione è drammatica: da un anno e mezzo gli editori rifiutano un tavolo di trattativa», avverte Paolo Serventi Longhi, segretario nazionale della Federazione della Stampa.
Com’è andato lo sciopero?
«I dati sono positivi. Molti giornali che altre volte sono andati in edicola, stavolta non sono usciti».
Per esempio?
«Il Riformista, il Giornale di Sicilia che uscì utilizzando il lavoro di precari, la Gazzetta del Sud e tanti giornali locali. E quelli editi da cooperative sono usciti un giorno su due. Con dispiacere, però, vedo che tutti i quotidiani vicini al centrodestra erano in edicola, mentre quasi tutti quelli di centrosinistra no».
Un problema, sotto la Finanziaria. Si sarebbe potuto spostare lo sciopero?
«Sono molto rammaricato, ma abbiamo proclamato la sciopero un mese fa e da allora sia la Fnsi che il ministro del Lavoro, Damiano, abbiamo fatto di tutto. Ma non possiamo far dipendere uno sciopero da un evento, se non catastrofico, né la politica o il governo possono farsi condizionare da uno sciopero dei giornalisti. Le tv hanno comunque dato un’ampia e corretta informazione, checché ne dica il centrodestra».
Ma chi ha comprato Il Giornale per una volta ha letto la Finanziaria come una strage fiscale...
«Sono il primo ad essere rammaricato, ripeto, ma abbiamo di fronte altri dieci giorni di sciopero per la carta stampata e dodici per radio e tv. Venerdì e sabato ci sarà un totale black out nell’informazione, è possibile che siano altri eventi importanti. Eppure molti colleghi nella giunta della Fnsi ci chiedono di scioperare per otto giorni consecutivi».
Non sarebbe pericoloso un black out informativo così lungo?
«Dobbiamo valutare bene, infatti. Il ministro Damiano rafforzerà il suo impegno. Mi sembra stia sfumando il sogno degli editori che il sindacato si sfasci e che la tutela collettiva col rinnovo del contratto si vanifichi. Noi teniamo duro, e loro pure. Serve un compromesso, ma non lo vedo per l’intransigenza degli editori. Le parole del presidente Napolitano sul diritto a un contratto, non solo giornalistico, sono importanti. Si tratta anche di diritto a un negoziato che non c’è. Mi appello agli editori e alle istituzioni: la situazione è drammatica e non può protrarsi. Dateci un tavolo di trattativa e come sindacato moderno saremo disponibili alle mediazioni».
I grandi editori compensano lo sciopero recuperando la pubblicità i giorni prima. I giornali di destra escono, i piccoli vengono penalizzati di più. Il sindacato ha pensato a diversificare le forme di sciopero?
«È una possibilità sulla quale stiamo ragionando. È chiaro che chi vive di sole vendite perde di più, chi recupera parte della pubblicità molto meno, anche se non tutta si può "spalmare" nei giorni. Ed è per questo che anche i comitati di redazione di grandi giornali ci chiedono di accorpare gli scioperi. Ma saranno colpiti anche i grandi gruppi, come la Rcs o la Mondadori di Berlusconi che hanno quotidiani e i periodici che non usciranno. Io non sono così favorevole agli scioperi accorpati, perché voglio tenere unita la categoria spero che lo sia ancora di più tra carta stampata e tv».
Quindi nessun cambiamento?
«Decideremo cosa fare dopo gli scioperi di questa settimana. Il problema dei giornali con poca pubblicità è a lato, ed è grave. Se nella Finanziaria ci saranno tagli all’editoria, quest’anno di uno o due milioni di euro, e il prossimo 50 milioni, si va in senso contrario anche alle disponibilità che mostra il governo, per esempio con le modifiche alla Legge Gasparri. Il rischio di colpire i giornali di opinione, di partito, cattolici o laici, va quindi monitorato».
La Fnsi ha contestato la sospensione dall’Ordine dei giornalisti di Renato Farina per solo un anno. Doveva essere radiato?
«Io non sono per abrogare l’Ordine, quanto per riformarlo radicalmente, ma la sentenza dell’Ordine della Lombardia è vergognosa anche nel suo dispositivo: l’hanno detto anche molti colleghi del centrodestra».
Vergognosa perché?
«Si dice che la "gogna mediatica" che Farina ha subito è già una punizione di per sé. Gogna? Ma se fossi stato io il suo direttore avrei fatto fior di commenti... Piuttosto credo che l’Ordine milanese e Abruzzo abbiano dato una strizzatina d’occhio all’elettorato vicino a Farina, dato che presto si rinnoveranno le cariche dell’Ordine. Ecco, vorrei che le istituzioni fossero più attente a cosa avviene nel mondo dei giornalisti».
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www.unita.it, Pubblicato il: 02.10.06 Modificato il: 02.10.06 alle ore 9.03
40 milioni in meno ai giornali
di Maristella Iervasi *
Blitz del Tesoro sulle risorse per l’editoria. Quaranta milioni di euro in meno (contributo diretto) per le testate di partiti politici che hanno il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o che sono editi da cooperative di giornali. Una mossa quella del dicastero di Padoa-Schioppa che ha spiazzato tutti. A cominciare dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega all’editoria, Riccardo Levi, che a più riprese nelle settimane scorse aveva assicurato: «Il governo non farà tagli selvaggi». Anzi, era stato dato per certo un ripiano di risorse, per sopperire ai tagli previsti in precedenza: un emendamento alla Finanziaria 2007 di circa 40milioni di euro, a nome del deputato diessino relatore della manovra di bilancio Michele Ventura, avrebbe dovuto sanare tutto.
E invece il taglio c’è stato e pure corposo. Il contributo diretto dello Stato (tabella C) è stato per il 2005 di circa 140milioni di euro; con il taglio-blitz diminuisce di 40milioni di euro, del 22% in meno. E non finisce qui: nel maxi emendamento che accompagna la Finanziaria 2007, che verrà sottoposta oggi al voto di fiducia, ci sarebbero anche notevoli tagli ai contributi indiretti (telefoni, tariffe postali, ecc..).
Stupore e preoccupazione per il blitz hanno subito espresso Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione nazionale della Stampa e Franco Siddi, presidente della Fnsi e membro del Consiglio generale degli italiani all’estero. E in serata il sottosegretario Levi ha detto: «I conti sulle risorse per l’editoria vanno fatti dopo il passaggio della Finanziaria al Senato». Il responsabile del governo per l’editoria ammette di fatto il taglio dei 40 milioni di euro (e il mancato recepimento dell’emendamento Ventura) e precisa: «Sui fondi della Tabella C era stato chiesto un aumento che ancora non è stato accordato. È opportuno dunque - conclude Levi - attendere l’esame della manovra al Senato prima di trarre delle conclusioni».
L’Unità riceve all’anno circa 6 milioni di euro. Se questo taglio fosse confermato il contributo si ridurebbe di più di un milione e mezzo di euro all’anno, che con l’andamento attuale del mercato della carta stampata potrebbe significare un’isormontabile difficoltà. Se il Tesoro non avesse ostacolato l’emendamento Ventura, ci sarebbero stati tagli alle risorse per l’editoria ma si sarebbe privilegiato il criterio di assegnazione dell’importo complessivo. Salvaguardando i giornali con un struttura redazionale certa, un progetto industriale e di distribuzione importante sul territorio. In pratica, nessun piano regolatore dell’editoria ma la sicurezza di risorse pubbliche. Effettuando controlli e ritocchi alle storture del sistema, per evitare anomalie. Più o meno quello che aveva detto il sottosegretario Levi, nell’ottobre scorso, alla Commissione Affari Costituzionali del Senato: «Occorre lavorare sul settore dell’editoria usando le provvidenze pubbliche, gli aiuti dello Stato, per avere imprese editoriali più solide, che possono occupare più giornalisti e far fronte al rinnovamento delle tecnologie».
Paolo Serventi Longhi, segretario Fnsi, vuole capirne di più. «Prediamo atto con preoccupazione di questi mancati aumenti e di possibili ulteriori tagli all’editoria - ha detto -. Nei prossimi giorni cercheremo di leggere i testi. Non vorremmo che si tagliasse a chi fa informazione corretta, in condizioni difficili, rispettando le leggi e i contratti, e si premiassero le aziende ricche, che fanno utili e utilizzano il precariato per sostituire il lavoro dipendente».
* www.unita.it, Pubblicato il: 18.11.06 Modificato il: 18.11.06 alle ore 16.53