UN PRINCIPIO DELLA COSTITUZIONE (ART. 9): «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

LA LEZIONE DEL MERCANTE DI PRATO, L’ITALIA, E IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO. Una nota di Tomaso Montanari - a c. di Federico La Sala

Quando pensiamo al «patrimonio» pensiamo sempre a cose famosissime: il David di Michelangelo, il Colosseo, i Bronzi di Riace... Vero. Ma forse capiamo meglio quanto è grande il «patrimonio» se pensiamo a una casa. Per esempio alla casa di Francesco Datini, a Prato.
martedì 22 ottobre 2013.
 

La stanza segreta di Francesco

di Tomaso Montanari (Il Fatto Quotidiano,21.10.2013)

Oggi voglio parlarvi di una cosa un po’ difficile: il «patrimonio storico e artistico». Il ’patrimonio’ è quello che i padri (e le madri!) lasciano ai figli: un insieme indivisibile di cose materiali (case, denaro, terreni, oggetti) e spirituali (idee, speranze, parole) che ci lega al passato e ci permette di costruire il futuro. Già, perché se mentre andate a scuola voi vi dimenticaste chi siete, non sapreste nemmeno dove andare.

La Costituzione (il patto che rende gli italiani una comunità) dice che tutti insieme dobbiamo proteggere il «patrimonio storico e artistico»: e cioè i quadri, le statue, i palazzi, le biblioteche, gli archivi, i teatri, le orchestre e tantissime altre cose. Perché se li perdessimo non sapremmo più dove andare.

Quando pensiamo al «patrimonio» pensiamo sempre a cose famosissime: il David di Michelangelo, il Colosseo, i Bronzi di Riace... Vero. Ma forse capiamo meglio quanto è grande il «patrimonio» se pensiamo a una casa. Per esempio alla casa di Francesco Datini, a Prato.

Francesco è vissuto seicento anni fa, e non faceva né il re né il papa: era un mercante. Vendeva le stoffe, e diventò ricchissimo. Sappiamo moltissime cose, di lui: perché volle costruirsi «una casa fatta per durare mille anni» (così diceva). È una casa fatta così bene che in seicento anni non si è mai dovuta rifare la facciata: che ha ancora l’intonaco che volle Francesco.

E, proprio come il patrimonio, quella casa racconta una storia. A un certo punto ci si è accorti che la casa aveva un segreto speciale: una stanza murata, che raccoglieva tutte le carte di Francesco. I suoi conti, le sue lettere, alcuni suoi oggetti: perfino i campionari delle sue stoffe. Così grazie a chi ha letto quelle carte conosciamo Francesco, quasi come se fosse vivo. Come è vivo il «patrimonio»: che è fatto anche del lavoro di chi lo studia.

Quando Francesco sentì che la morte era vicina, cercò un modo per non morire del tutto. E così lasciò la sua casa e il suo denaro a tutti i suoi concittadini. C’è un suo ritratto, a casa sua, che ha come un fumetto che dice: «Francesco io son che lasciai di mie sostanze eredi i miei pratesi, perché la Patria mia più che altro amai».

Francesco era diventato ricco perché era bravo, ma anche perché aveva saputo organizzare il lavoro di tante altre persone che lavoravano per lui: e così è giusto che abbia lasciato tutto alla patria. Cioè alla sua città, alla sua comunità. Ed è per questo che ’patrimonio’ è ha la stessa origine di ’patria’: perché appartiene a tutti noi.


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