__ PEGAH E’ LIBERA!!! __
La lesbica iraniana che Londra vuole cacciare
l’espulsione rinviata solo di pochi giorni
Salviamo Pegah dalla lapidazione
di JOHN LLOYD *
LAPIDARE un uomo o una donna fino a farli morire può richiedere molto tempo, specialmente se coloro che scagliano le pietre desiderano di proposito prolungarne l’agonia. Il colpo di grazia alla testa, in grado di portare a uno stato di incoscienza o alla morte, può farsi attendere anche un’ora, mentre le pietre di piccole dimensioni che provocano contusioni sono rimpiazzate poco alla volta da pietre di dimensioni maggiori in grado di frantumare gli arti. Soltanto quando il corpo è in agonia in ogni sua parte può sopraggiungere la morte.
Questa è la sorte che potrebbe attendere Pegah Emambakhsh, una donna iraniana di quaranta anni, il cui crimine è quello di essere lesbica. Pegah Emambakhsh ha trovato rifugio nel Regno Unito nel 2005, in seguito all’arresto, alla tortura e alla condanna a morte per lapidazione della sua partner sessuale (non è chiaro, ad ogni buon conto, se la sentenza è stata eseguita o lo sarà in futuro). La sua domanda di asilo però è stata respinta: secondo l’Asylum Seeker Support Initiative di Sheffield, dove Pegah si trova rinchiusa in un centro di detenzione, quando le è stato chiesto di fornire le prove della sua omosessualità e lei non ha potuto farlo, le è stato riferito che doveva essere deportata. L’estradizione, che doveva avvenire oggi, all’ultimo momento è stata rinviata al 28 agosto: alla fine del mese potrebbe essere già morta.
La Repubblica Islamica Iraniana, si legge in un recente rapporto, è "più omofobica di qualsiasi altro paese al mondo o quasi. La tortura e la condanna a morte di lesbiche, gay e bisessuali, caldeggiate dal governo e contemplate dalla religione, fanno sì che l’Iran sembri agire in barba a tutte le convenzioni sottoscritte a livello internazionale in tema di diritti umani".
Leggere il rapporto, redatto da Simon Forbes dell’organizzazione londinese Outrage, è terribile: vi si leggono storie di giovani uomini e giovani donne perseguitati, arrestati, picchiati, torturati e giustiziati - spesso con soffocamento lento - per avere avuto rapporti omosessuali.
Il brutale giro di vite nei confronti dei gay iraniani - gruppo che non ha mai goduto di grande supporto nel suo stesso paese - è iniziato dopo il 1979 e l’arrivo al potere del regime religioso ispirato dall’Ayatollah Khomeini. All’epoca gli omosessuali colti in flagranza o sospettati di essere gay erano impiccati agli alberi sulla pubblica piazza. In linea di massima si trattava di uomini, ma non mancavano le donne. A quei tempi i diritti degli omosessuali non erano una causa granché popolare da nessuna parte e il nuovo regime, ispirato da un genere di fondamentalismo islamico che non poneva limiti al proprio radicalismo e che addossava a Stati Uniti e Occidente la responsabilità di tutti i suoi mali, non vedeva necessità alcuna di dissimulare le proprie azioni. Tutto ciò è andato avanti fino alla fine degli anni Ottanta, quando i diritti dei gay hanno riscosso ovunque maggiore comprensione: le proteste internazionali hanno iniziato a moltiplicarsi e il regime, preoccupato in maggior misura per la propria immagine a livello internazionale, è diventato meno radicale e ha posto fine a queste dimostrazioni.
Ciò non significa che le esecuzioni fossero cessate. Il 19 luglio 2005 due adolescenti gay della città iraniana di Mashhad sono stati impiccati in pubblico, giustiziati con un lento strozzamento. Sono stati condannati a morte per il fatto di essere gay. Le autorità li avevano accusati di aver rapito e stuprato un minore, ma a loro carico non è mai stata prodotta alcuna prova. La comunità gay iraniana e i gruppi di difesa dei diritti umani non hanno mai creduto alle accuse ufficiali. La loro condanna a morte è servita a rammentare a tutti che l’omosessualità, nell’Iran di Ahmadinejad, è tuttora considerata un reato punibile con la condanna a morte. Per gli uomini o le donne sposate la condanna a morte è eseguita tramite lapidazione, perché nel loro caso il reato è considerato più grave. (Pergah, che ha due figli, ha dovuto contrarre un matrimonio organizzato).
Quantunque negli ambienti della middle-class di Teheran una certa discreta attività gay sia ancora possibile, il rischio - estremo, di morte - lo si corre sempre. Il rapporto di Outrage così commenta: "Affermare che per gli omosessuali del 2006 alcune zone dell’Iran sono più sicure di altre equivale ad affermare che per gli ebrei del 1935 alcune zone della Germania erano più sicure di altre".
Deportare una donna sulla quale incombe una morte tramite lenta agonia per il fatto di esercitare le proprie preferenze sessuali non è azione degna di uno Stato civile: non possiamo che augurarci che le autorità britanniche facciano dietrofront. Una speranza ancora c’è: uno dei membri del Parlamento dell’area di Sheffield dove vive oggi Pegah, Richard Carbon, Ministro dello Sport, alcuni giorni fa ne aveva bloccato la deportazione e le autorità l’hanno rinviata a domani sera. Le associazioni gay hanno diffuso la notizia in tutto il mondo e i media di molti paesi, Italia inclusa, hanno sollevato il caso.
Per la Gran Bretagna in tutto ciò vi è un triste paradosso: essa è stata e rimane il rifugio di molti musulmani che professano apertamente di odiarla, in parte proprio per le sue opinioni relativamente liberali in fatto di omosessualità, e per le sue leggi sui diritti umani. Alcuni musulmani, accusati di istigare al terrorismo, sono stati deportati, la stragrande maggioranza no. Eppure, adesso una donna che in Gran Bretagna ha trovato salvezza da una pena efferata e che ha fatto appello alle autorità perché le considerava tolleranti, potrebbe essere rispedita indietro e, di fatto, mandata a morire. Deportare Pegah Emambakhsh non sarebbe semplicemente un’ingiustizia: sarebbe indegno di uno Stato civile.
Traduzione di Anna Bissanti
* la Repubblica, 23 agosto 2007
«"Meglio morire che tornare in Iran"»
intervista a Pegah Emambakhsh
di Paola Coppola *
Pegah Emambakhsh ha paura. Sa che esporsi, raccontare la sua storia può costarle la vita. Lo ha fatto davanti a un giudice e non è stata creduta. Ripetere ancora perché non vuole tornare in Iran significa ripercorrere un’esperienza terrificante: la fuga, un’attesa di due anni, il sogno di poter vivere alla luce del sole la sua omosessualità e poi la prigione e il terrore di rientrare nel suo Paese dove ha lasciato due figli, nati da un matrimonio combinato, e una compagna, che è stata arrestata, torturata e condannata alla lapidazione. Pegah è provata. Dal 13 agosto è rinchiusa nel centro di detenzione di Yarls Wood vicino a Sheffield, dove ha tentato di togliersi la vita. È stanca, ma in questi giorni ha ricominciato a sperare che alla fine, martedì prossimo, non prenderà quel volo della British Airways diretto a Teheran.
Da due anni vive sospesa fra il desiderio di vivere in un Paese libero e la paura di dover tornare in Iran. Come ha vissuto, finora, questa attesa?
«Sono stanca. All’inizio ero piena di speranza, anche se ero preoccupata per mio padre e mi mancavano i miei figli. Sapevo che il Regno Unito è un Paese aperto, un paese che accoglie tutti. Così ho deciso di venire qui e ho chiesto asilo. A Sheffield ho trovato anche degli amici che mi hanno aiutato. Ogni tanto sembrava che tutto andasse per il meglio e che la mia domanda sarebbe stata accolta e ogni tanto mi dicevano, invece, che l’Home Office non mi aveva creduta e che mi avrebbero costretta a tornare in Iran. In quei momenti avrei voluto essere morta».
Secondo lei, perché non l’hanno creduta?
«Non lo so. Sono fuggita perché sono una donna lesbica, perché mi ero innamorata di un’altra donna ed era sempre più difficile nasconderci. Poi lei è stata arrestata. Io mi trovavo nella sua stessa condizione, se no non me ne sarei mai andata, perché sono molto legata alla mia terra e voglio molto bene ai miei figli. Forse volevano delle prove, ma non so che prove avrei potuto portare». Ha avuto notizie della sua compagna, dopo l’arresto? «Sì. È stata interrogata e condannata alla lapidazione, perché l’hanno giudicata una donna immorale. Mi fa ancora molto male parlare di lei».
Sul suo caso si è creato un movimento: molte persone le sono vicine, soffrono con lei, protestano, inviano lettere all’Home Office, ai governanti, alle ambasciate. Chiedono al Regno Unito di concederle l’asilo perché è un suo diritto. Questo l’aiuta a sentirsi meno sola?
«Sì, queste voci mi aiutano a sperare ancora. Da quando mi hanno portata a Yarls Wood, non ho fatto che pensare alla morte. Non avevo più fede e desideravo morire pur di non tornare in Iran dove mi aspettava qualcosa che è molto più brutto, molto più doloroso della morte. Io credo nella bontà di Dio e a un certo punto è accaduto un miracolo. "Pegah", mi ha detto un giorno al telefono un amico, "tutto il mondo sta parlando di te. È nato un movimento che chiede di salvarti la vita. Il tuo nome è sui giornali, in Internet, è sulla bocca di tutti". Ora tante persone si interessano a me, anche un membro del Parlamento inglese. Ho scoperto di avere amici non solo fra i movimenti inglesi per i diritti degli omosessuali, ma anche in Italia. La persona che mi segue e mi aiuta qui a Sheffield ha creato un nome per queste persone: Friends of Pegah Campaign».
In Iran gli omosessuali sono costretti a nascondersi perché se vengono scoperti, rischiano la tortura, la pena delle cento frustate e, se sono "recidivi", la lapidazione o l’impiccagione. I gay e le lesbiche iraniani seguono il suo caso con trepidazione e la considerano un simbolo. Che prova, pensando a loro?
«Preoccupazione, angoscia. Spero solo che le cose cambino, che le leggi cambino».
Ha un messaggio per le autorità che possono decidere se concedere asilo ai rifugiati omosessuali?
«Salvate le loro vite».
È stata condannata a causa del suo modo di amare, solo perché è diverso da quello della maggioranza. E ha avuto il coraggio di dirlo a tutto il mondo, che rappresenta per lei l’amore?
«È la cosa più importante. Grazie all’amore la maggior parte degli uomini e delle donne creano una famiglia e realizzano la propria vita. È stato l’amore a guidare la mia vita e qualunque cosa mi accada, sarà l’amore a guidarmi».
Se la sua vicenda si concluderà felicemente e i suoi diritti saranno riconosciuti, ha già pensato al futuro, a quali sogni vorrebbe realizzare?
«Voglio camminare in mezzo alla gente, senza guardarmi alle spalle e ripetere dentro di me: "Sono libera"».
* La REPUBBLICA del 26 agosto 2007
URGENT!
Sign the Petition to stop her deportation to death
And
Send flowers to Ms. Pegah Emambakhsh
Pegah Emambakhsh: il Governo Britannico ci spiega le sue verità
martedì 29 gennaio 2008
Ricorderete tutti la storia di Pegah Emambakhsh, la presunta lesbica iraniana la cui storia ha tenuto tutti con il fiato sospeso per diversi giorni lo scorso mese di agosto, quando la Gran Bretagna intendeva deportarla in Iran nonostante rischiasse la pena di morte per lapidazione.
Allora il web fu un’esplosione di solidarietà verso questa fragile donna iraniana. Ci furono petizioni, migliaia di mail furono spedite al Foreign Office, gruppi per la difesa dei diritti umani si mobilitarono in massa per far si che non venisse deportata. Persino il Governo italiano e molti politici si mossero, dando la disponibilità ad ospitare Pegah nel caso la Gran Bretagna avesse continuato con l’intenzione di deportarla.
Tutte queste pressioni portarono all’ultimo secondo alla momentanea scarcerazione di Pegah e di conseguenza allontanarono lo spettro della deportazione, questo in attesa che un tribunale rivedesse la sua posizione di “richiedente asilo” e soprattutto che rivedesse le motivazioni che la spingevano a tale richiesta.
Di Pegah non se ne è più parlato, forse anche per espresso volere della ragazza o delle autorità britanniche che in attesa di giudizio avrebbero preferito il silenzio sulla vicenda, questo fino a oggi, fino a quando cioè sono tornate alla ribalta voci non verificate riguardanti la deportazione di Pegah.
Allarmati da queste voci abbiamo chiesto, per correttezza e prima di tutti, informazioni all’associazione inglese che all’epoca si era interessata alla ragazza iraniana dando nel contempo, come allora, la nostra completa disponibilità nel caso queste voci fossero risultate vere. Dopo due settimane non è arrivata nessuna risposta se non qualche scaribarile in merito a chi fosse la persona che curava gli interessi di Pegah. Un vero mistero. Eppure crediamo fermamente che il bene di Pegah vada oltre qualsiasi protagonismo o interesse personale.
Partendo da questo presupposto ci siamo quindi attivati attraverso alcune conoscenze iraniane in Gran Bretagna e soprattutto attraverso un contatto diretto con il Foreign Office Britannico. Per la verità non ci aspettavamo alcuna risposta dai britannici, invece con nostro estremo stupore abbiamo trovato alcune persone molto collaborative che ci hanno spiegato con chiarezza l’attuale situazione di Pegah Emambakhsh.
Innanzi tutto va detto che la prima richiesta di asilo, basata esclusivamente sul fatto che la ragazza fosse omosessuale, era fondamentalmente sbagliata, non tanto per il fatto in se, quanto piuttosto perché la legge internazionale impone al richiedente asilo di dimostrare con chiarezza il motivo per cui detto asilo viene richiesto, cosa chiaramente impossibile nel caso di omosessualità in quanto, a meno che non si pretenda un rapporto sessuale pubblico, la condizione di omosessuale riguarda la sfera emotiva e personale.
Si è quindi tentato di far rientrare Pegah in un gruppo sociale perseguitato, ma continuando sempre a battere esclusivamente sulla presunta omosessualità della ragazza e quindi a rischio di persecuzione. Si sono quindi mobilitati i gruppi omosessuali di tutto il mondo, facendo di Pegah una vera e propria bandiera di una battaglia (anche politica) sui diritti degli omosessuali e non sui diritti di Pegah stessa o delle donne iraniane, escludendo dalla richiesta di asilo tutte le altre voci che invece le avrebbero garantito l’asilo.
Fermo restando il problema della “presunta” omosessualità della ragazza, è limpido che nel caso venisse deportata in Iran Pegah rischierebbe la vita, non solo perché ormai è “la lesbica iraniana” ma anche per tanti altri motivi che vanno dalla persecuzione religiosa alla discriminazione sessuale in quanto donna, fino al tradimento e chi più ne ha più ne metta. Di certo ai giudici iraniani non mancano gli argomenti per condannarla a morte.
Tuttavia rimane il problema della richiesta di asilo impostata esclusivamente sulla omosessualità di Pegah, richiesta che allo stato attuale non può essere accolta così com’è in quanto aprirebbe un caso di immensa portata sui richiedenti asilo e che comunque necessiterebbe di un apposito decreto che riconosca la “non dimostrabilità” della propria omosessualità Una cosa, questa, che potrebbe avere un rovescio della medaglia e aprire la strada della richiesta di asilo a chiunque si dichiari omosessuale pur non essendolo.
Chiarito questo aspetto fondamentale, non rimane altro che presentare la richiesta di asilo per Pegah sotto un’altra forma che non sia esclusivamente basata sulla presunta omosessualità della ragazza, ma soprattutto occorre mettere da parte gli interessi politici dei vari personaggi che ruotano attorno a questa vicenda i quali vorrebbero creare un precedente che, in questo momento, la Gran Bretagna non si può permettere. Insomma occorre mettere il bene di Pegah al di sopra di qualsiasi interesse politico o personale. Lo so che il caso può offrire una grande visibilità, ma cercare la notorietà a discapito della salvaguardia della vita di Pegah non è ammissibile. Prima deve venire il bene e il diritto di Pegah, se poi ne avanza chi vuole potrà attribuirsi i meriti che ritiene e farsi bello di fronte al mondo, ma non prima e non a discapito delle possibilità “reali” che Pegah ha di rimanere in Gran Bretagna.
Per la cronaca, l’avvocato che segue la vicenda sta preparando una richiesta di asilo basata anche su altre argomentazioni che permettano al Governo britannico di accettarla senza necessariamente creare un precedente pericoloso. In ogni caso (anche in quello in cui le venga rifiutato l’asilo) Pegah non verrebbe deportata in Iran ma verrebbe espulsa verso un qualsiasi paese disposto a ospitarla, tra i quali ricordiamo c’è l’Italia. Non verrebbe nemmeno accettata una eventuale richiesta di estradizione fatta dall’Iran essendoci in Europa il divieto di estradare qualsiasi persona verso paesi dove la persona estradata sia a rischio di condanna capitale o disumana.
Concludo ribadendo la necessità di rimanere vigili ma senza falsi allarmismi e soprattutto senza campagne medianiche mirate a ottenere un ritorno di immagine o politico a discapito della salute, già fragile, di Pegah Emambakhsk.
Miriam Bolaffi
Messaggio di Pegah Emambakhsh a tutti i gruppi e le persone che la stanno aiutando *
Grazie a una persona meravigliosa, una donna iraniana che vive in Italia ed è impegnata da molti anni nel campo dei Diritti Umani, un’amica che siamo orgogliosi di annoverare fra i membri del Gruppo EveryOne, siamo in contatto quasi quotidiano con Pegah, detenuta nel carcere di Yarl’s Wood. Oggi, 8 settembre 2007, Pegah Emambakhsh ha affidato alla nostra comune amica un messaggio rivolto a tutti i gruppi, gli attivisti, le personalità politiche, le persone comuni che si stanno occupando del suo caso:
"Cari amici, care amiche,
come sapete, sto vivendo giorni molto difficili, senza sicurezze per il mio futuro e con tanto dolore nell’anima. Non posso nascondere che ho ancora paura e che il distacco dai miei amati figli mi dà un dolore che a volte sembra insopportabile. Non immaginate neanche quanto mi sia di conforto sapere che ci siete voi. Non mi conoscete neanche eppure vi impegnate per me, vi esponete per me, lottate per me, mi scrivete e mi mandate fiori meravigliosi. Non mi aspettavo nulla di simile, ormai. Persino molti degli iraniani con cui ero in contatto qui nel Regno Unito, mi hanno abbandonata, quando hanno saputo il motivo per cui ho presentato domanda di asilo. Non li sento più, non hanno più intenzione di frequentarmi.
Non immaginavo che esistessero gruppi ed esseri umani come voi. Spero che il futuro mi conceda di conoscere una per una le persone che mi hanno dimostrato tanta amicizia. Sono rasserenata, sono felice di tutta questa protezione, di tutto questo amore che mi infonde energia e volontà di continuare a vivere. Cari amici miei, mantengo freschi i fiori che mi avete inviato. Ne sono così orgogliosa! Qui al centro di Yarl’s Wood hanno suscitato un po’ di gelosia da parte delle altre donne.
Leggo e rileggo le lettere e le cartoline che mi avete spedito. Ho tanto tempo per pensare a quello che mi sta succedendo e, nonostante non mi senta ancora pronta per parlare in pubblico, una volta fuori di qui voglio fare qualcosa per l’umanità. Grazie a tutti voi e a presto.
Pegah Emambakhsh".
Pegah: l’Europa mi ha abbandonata
di Farian Sabahi *
«Sono stanca dì lottare, stanca di attendere la notizia di un asilo che non arriva mai o di una deportazione che sembra sempre più vicina», confessava qualche giorno fa l’iraniana Pegah Emambakhsh.
Quarant’anni, ha rischiato di essere deportata in Iran, dove sarebbe stata condannata a morte per avere amato un’altra donna. Dopo alcuni giorni di silenzio, Pegah ha finalmente accettato di farsi intervistare per telefono grazie alla mediazione dell’amica iraniana V.T., che preferisce restare nell’anonimato, e del Gruppo EveryOne che si è tanto impegnato per ottenere la sua scarcerazione.
Pegah ha passato le ultime settimane nei centro di detenzione inglese di Yarl’s Wood vicino a Clapham, nel Bedfordshire. Il suo caso ha messo in subbuglio le severe regole di questo luogo, anticamera di innumerevoli deportazioni e tragedie. In seguito alla campagna internazionale «Flowers for Pegah» lanciata dal gruppo EveryOne, al centro di detenzione sono arrivati mazzi di rose, gigli e orchidee. E tanti biglietti e messaggi di sostegno con i francobolli inglesi, italiani e spagnoli.
Secondo le rigide procedure del carcere nessun oggetto può però essere consegnato ai detenuti. E quando i fiori sono diventati migliaia le guardie carcerarie hanno preso la decisione arbitraria di gettare tutto nella spazzatura, senza neanche mostrare alla prigioniera quei segni d’affetto e solidarietà da tutto il mondo. Finché una guardia carceraria più umana delle altre si è messa in tasca qualche biglietto, qualche petalo di rosa e, con fare furtivo, li ha passati a Pegah, sussurrandole quello che accadeva fuori.
Quanto è stato importante quel momento?
«È stato in quel preciso istante, quando la solidarietà ha superato il limite posto dal regolamento del carcere, che ho intravisto la speranza. Sto bene. Ho passato momenti terribili, ma adesso mi sento meglio. So che tante persone meravigliose si stanno preoccupando per me e desidero rassicurarle. Spero di uscire presto di qui, perché vorrei ringraziarle una per una».
La data della deportazione e il suo volo per Teheran sono stati fissati tre volte e, grazie all’intervento di alcune associazioni, la macchina della morte si è fermata. L’incubo della fine l’ha abbandonata?
«Sì. quel pensiero se ne è andato via dalla mia anima. Ora sono, serena e ho la speranza in un futuro migliore».
Le mancano i suoi figli?
«Ho due maschi a cui voglio tutto il bene del mondo. Sono anni che non li vedo, li penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Mi mancano tanto e spero che stiano bene, che siano felici. Penso spesso anche a mio padre. E’ vecchio e l’ultima volta che l’ho visto non stava bene, sono preoccupata per la sua salute e prego sempre per lui».
Lei ha lasciato l’Iran nel 2005 e pensava di trovare asilo in Europa. È rimasta delusa?
«Mi era stato detto che il Regno Unito è uno Stato molto accogliente con i profughi, molto attenta ai diritti della persona. Se devo essere sincera, quando sono arrivata qui, ero convinta di essere finalmente al sicuro. Avevo perduto tutto, ma non rischiavo più la pelle. Invece è andata diversamente anche se, devo ammetterlo, in Europa, ho trovato degli amici. Penso ai tanti che si sono presi a cuore il mio caso, e in particolare ai Gruppo EveryOne che ha aderito al sit-in di lunedì scorso a Roma, davanti all’ambasciata del Regno Unito. L’Europa è anche questo, gente che non mi conosce personalmente ma soffre insieme a me. Per questo vorrei incontrare Roberto, Matteo, Dario, Ahmad, Steed e tutti gli altri che lottano per farmi ottenere l’asilo definitivo».
È riuscita a vedere le immagini del sit-in? Ed è stata informata del fatto che il Gruppo EveryOne ha chiesto aiuto al Consiglio d’Europa?
«Ho visto qualche articolo sui quotidia ni, ma nel centro di detenzione di Yarl’s Wood siamo tenuti all’oscuro di quello che succede fuori e non abbiamo la possibilità di usare Internet».
* da: La Stampa del 5 settembre 2007 (cf. anche il blog di Farian Sabahi), ripreso da Anne’s Door. La cultura a difesa della vita.
Essendosi dichiarata lesbica è condannata a morire
Urgente appello al Consiglio d’Europa sul caso di Pegah Emambakhsh *
Partita la richiesta formale per ’’’intervenire tempestivamente sul caso e scarcerare immediatamente la cittadina iraniana’’, facendo pressione ’’affinché venga concesso l’asilo definitivo
Roma, 3 set. (Ign) - Un nuovo e urgente appello a favore di Pegah Emambakhsh è stato inoltrato al Consiglio d’Europa. E’ il Gruppo EveryOne che, scrivendo al Segretario generale del Consiglio d’Europa Terry Davis e al vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer Buquicchio, chiede formalmente ’’di intervenire tempestivamente sul caso’’ per ’’la scarcerazione immediata della cittadina iraniana e facendo pressione affinché venga concesso l’asilo definitivo’’.
Finora sono state molte le ipotesi di asilo che personalità politiche italiane hanno comunicato attraverso i canali diplomatici e la stampa al governo britannico per offrire sostegno alla donna, una lesbica iraniana fuggita nel 2005 nel Regno Unito, dopo che la sua compagna era stata arrestata, chiedendo asilo in accordo con la Convenzione ONU di Ginevra del 1951 (e successivo protocollo del 1967) relativa allo status di rifugiato. Poi, alcuni giorni fa, la decisione di Londra di espatriarla nella Repubblica Islamica.
Nel suo Paese, Pegah è attesa da una condanna a 100 frustate comminate con un nerbo semirigido e tagliente (punizione che distrugge il corpo del condannato e, spesso, risulta letale) e probabilmente alla condanna della lapidazione, essendosi dichiarata lesbica e avendo chiesto aiuto, atteggiamento che le leggi iraniane equiparano a immoralità e cospirazione, due reati capitali. Inoltre il codice locale considera un’aggravante il fatto che Pegah sia sposata; una donna sposata che si macchi di ’atti immorali’ con una persona del proprio sesso è infatti condannata a morire, gettata da una rupe.
Senonché, pochi giorni prima della partenza di Pegah, l’associazione ASSIST di Sheffield ha contattato alcuni gruppi e, in particolare, l’Iranian Queer Organization e il Gruppo EveryOne (Italia), dando vita a una campagna internazionale capillare, diffondendo appelli, inviando articoli alla stampa e ai siti di informazione libera, coinvolgendo inoltre importanti personalità politiche e intellettuali. E la risposta internazionale è stata formidabile: migliaia di voci hanno raggiunto il Regno Unito, i Lord, i Reali, il primo ministro britannico Gordon Brown, l’Home Secretary. Il ’volo della morte’ della British Aiways è stato così annullato all’ultimo istante.
I media italiani hanno dedicato prime pagine e ampi spazi alla vicenda di Pegah; il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e quello di Roma Walter Veltroni hanno offerto asilo e una casa alla profuga, numerosi parlamentari hanno sollevato il problema nelle sedi politiche e alcuni ministri hanno lanciato al Regno Unito la proposta di accogliere Pegah in Italia concedendole asilo.
Il capo dell’Ufficio Politico dell’Ambasciata Britannica a Roma, a nome del governo del Regno Unito, ha così convocato gli attivisti del Gruppo EveryOne - Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau e Steed Gamero - assicurando che il caso sarebbe stato valutato in appello nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra, della Dichiarazione dei Diritti Umani e di tutti i documenti che garantiscono il rispetto della dignità e della vita del Rifugiato.
Pegah Emambakhsh, i media inglesi e il silenzio dei colpevoli
di Roberto Malini
Cara Miriam, cara Elisa, cari amici
di Watch International/Secondo Protocollo,
l’iniziativa "Fiori per Pegah", che il Gruppo EveryOne ha promosso a livello internazionale, ha offerto un grande risultato. Il carcere di Yarl’s Wood, in cui Pegah è rinchiusa, in condizioni di salute fisica e psichica assolutamente precarie, è stato inondato di mazzi di rose, gigli, gerbere, fiori di campo. Il centro di detenzione è entrato in crisi e le autorità, in violazione alle norme che tutelano i profughi, hanno ordinato di gettare fra i rifiuti tutti i fiori e i biglietti di sostegno indirizzati a Pegah.
E’ qualcosa di gravissimo, perchè il Regno Unito nega a Pegah persino il diritto a ricevere corrispondenza. Pensate che persino i nazisti concedevano agli ebrei internati nei lager di ricevere posta. Molti cittadini britannici ci scrivono increduli, affermando di vergognarsi del loro Paese, del loro governo. Noi del Gruppo EveryOne protestiamo in ogni sede, ma l’arroganza dei potenti non ammette ripensamenti e non concede spazio al’umanità: "Pegah deve stare in galera"; "Pegah non può ricevere messaggi dal mondo che le è vicino"; "I fiori per Pegah finiranno nella spazzatura"; "La vita di Pegah è una cosa nostra".
I media, nel frattempo, in ossequio ai potenti, cercano di nascondere la tragedia di Pegah. Ecco il messaggio che, tradotto in lingua inglese, cercheremo di far giungere ai cittadini del Regno Unito, la maggior parte dei quali continua a coltivare la compassione e l’umanità e non si riconosce in questo governo spietato verso i deboli. Rimanete vicini a Pegah e non abandonateci, per favore, in questa azione di umanità. Roberto Malini
Cari amici, la televisione, le radio, la stampa inglese non concedono spazio al caso di Pegah Emambakhsh. E’ semplicemente incredibile. Ascoltate la BBC, sfogliate un quotidiano. Quante notizie futili vengono trasmesse o scritte ogni giorno? Qui parliamo di una profuga fuggita dall’Iran, dove è condannata a 100 frustate (spesso letali e sempre devastanti) perchè è lesbica e alla pena di essere gettata da una rupe, impiccata o lapidata in quanto donna sposata e in quanto fuggita all’estero clandestinamente.
Qui parliamo di uno stato che ha una grande tradizione di civiltà, ma che ha perduto la strada del rispetto dei diritti umani. Uno stato in cui i la vita dei profughi viene decisa in modo affrettato e disumano. Pegah non ha commesso alcun crimine. E’ una donna indifesa che ha chiesto aiuto al Regno Unito. Ma non ha ricevuto Asilo. Hanno tentato di deportarla in Iran, verso la tortura e la morte e adesso si trova in carcere, allo stremo delle forze, senza poter ricevere visite o il sollievo di un mazzo di fiori, che le guardie gettano fra i rifiuti senza neanche farle sapere che qualcuno ha pensato a lei. E’ tutto così atroce, così incredibilmente spietato. E’ un caso su cui si scriveranno libri e si gireranno documentari e film. Eppure i giornali non la ritengono una notizia da divulgare, le televisioni la nascondono.
La BBC ha intervistato me e un altro membro del Gruppo EveryOne. Quando abbiamo chiesto al giornalista perché i media inglesi stanno nascondendo il caso all’opinione pubblica, lui mi ha risposto con orgoglio. "La BBC è diversa e non ha paura di niente. State tranquilli, perché darà ampio spazio alla notizia". Invece niente, l’intervista non è mai andata in onda. State attenti, amici, perché il silenzio é un sipario dietro il quale agiscono i carnefici. La Storia ci insegna che è così, che è sempre stato così.
Con grande civiltà, protestate. Chiedete ai media di informarvi sui fatti che accadono nel Regno Unito, anche se sono scomodi, urtano i potenti e non fanno fare bella figura al Governo. Protestate adesso, alzate la voce adesso, prima che il silenzio divenga ancora più profondo, le urla di dolore siano coperte da jingle pubblicitari e nella profonda quiete apparente comincino a riecheggiare passi ritmici di stivaloni militari. Perché l’orrore ritorna sempre e il silenzio è il suo complice più fedele.
Per il Gruppo EveryOne, Roberto Malini
SAVE PEGAH
di Salvatore Conte *
Cari Amici di Israele,
ho una domanda sul labbro: non Vi sconcerta l’allucinante vicenda della Sig.ra Pegah Emambakhsh, l’esule iraniana perseguitata anche nella "civilissima" Europa, dove se sbagli a compilare un modulo, scatta la pena di morte?
Come è possibile che un Paese, come la Gran Bretagna, che si dice nemico della barbarie e degli "Stati canaglia", si trovi in perfetta sintonia con l’Iran quanto all’esigenza di lapidare una giovane donna innocente?
Non è tutto questo già una bomba atomica nelle mani dell’Iran?
I grandi massacri dell’Europa non sono forse sempre nati dall’indifferenza e dall’aggressione dei più deboli e delle minoranze?
Vi ringrazio moltissimo per aver rilanciato (in alcuni Vs. siti d’informazione) lo struggente articolo di Repubblica con l’intervista alla Sig.ra Pegah: tutti dovrebbero conoscere le sue parole di speranza, amore e giustizia, sperando che non siano le ultime.
E spero con il cuore, è una preghiera, che la Vs. grande cultura e generosità di popolo antico e saggio, a lungo ingiustamente perseguitato, si materializzi in un gesto, anche silenzioso, di grande e superiore civiltà: intervenire per liberare dalla prigionia e dal dolore la Sig.ra Pegah.
Sarebbe una più che meritevole cittadina europea. Un baluardo vivente contro la barbarie e l’odio. Il miglior scudo spaziale contro le bombe atomiche di qualsiasi Paese canaglia.
Io oso sperarlo.
Grazie,
Salvatore Conte
(Roma)
Fiori per Pegah
di Roberto Malini *
Il carcere di Yarl’s Wood, triste luogo di transito che si trova vicino a Clapham, nel Bedfordshire, in cui gli immigrati attendono la deportazione è stato raggiunto da un arcobaleno di colori. Da ieri, infatti, centinaia di mazzi di rose, gigli e gerbere vengono consegnati dai fattorini di Interflora alle guardie, che firmano le ricevute con grande stupore. "E’ una situazione difficile," ha detto un responsabile del centro, "perché non ci era mai accaduto niente di simile. I fiori arrivano a un ritmo incessante e noi non sappiamo cosa fare. All’inizio ci hanno detto di separare i biglietti di accompagnamento e mettere da parte i mazzi e le composizioni, in attesa di disposizioni, ma a un certo punto è diventato impossibile, perché ci perviene una montagna di fiori e la situazione è diventata ingestibile". Sui biglietti e le cartoline che accompagnano i fiori sono scritti messaggi di sostegno, di speranza e di amore: "Presto sarai libera", "Non arrenderti, ti siamo vicini", "Attendiamo con ansia che il Regno Unito ti conceda asilo". I fiori e i messaggi sono tutti per lei, Pegah Emambakhsh, il cui nome è scritto spesso in uno stile elegante e graziato.
La portavoce di un’Associazione che vigila sulle deportazioni dall’interno del Centro ha chiesto informazioni su quella marea multicolore proveniente da tutto il mondo all’associazione "Friends of Pegah Campaign" ed ha appreso così che l’iniziativa è partita dall’Italia grazie al Gruppo EveryOne. In poche ore, grazie all’appoggio di gruppi per i diritti umani, siti internet, forum e gente comune, l’idea si è trasformata in una grande manifestazione di solidarietà. Migliaia di cittadini di ogni età, sesso, razza e condizione sociale hanno cominciato a inviare fiori e si può essere certi che l’ondata non si fermerà tanto presto. "Non sono sicura che le guardie si premureranno di separare i fiori dai biglietti, " ha dichiarato in un primo momento E.G., "perché non sono tutte famose per la loro gentilezza. Può darsi che ora le guardie gettino tutti i mazzi fra i rifiuti e che Pegah non ne sia neanche informata. Però il fenomeno è notevole e può darsi che porti attenzione sul caso di Pegah, anche per intervento dello Staff di Immigrazione e del personale della compagnia privata che gestisce il carcere. Chi può dirlo? Ogni azione è come una lama a doppio taglio. Vorrei dire al Gruppo EveryOne che è meraviglioso tutto quello che stanno facendo per Pegah e il coinvolgimento di gente di tutto il mondo. Una cosa è certa: tutto questo solleverà il morale di Pegah e in questa situazione il suo stato di salute psichica è importante tanto quanto il procedimento giudiziario in corso".
Simon Forbes di OutRage! definisce l’azione "Un gesto di incredibile umanità", mentre dall’interno del carcere giungono notizie rassicuranti: le guardie hanno compreso lo spirito dell’iniziativa e, nei limiti delle loro funzioni, si prodigano per manifestare solidarietà alla detenuta.
Chi volesse inviare una cartolina a Pegah (che sicuramente le sarà consegnata, per regolamento del Centro), può inoltrarla a:
Pegah Emambakhsh
Yarl’s Wood Immigration Removal Centre,
Twinwood Road,
Clapham, Bedfordshire MK41 6HL,
United Kingdom
Telephone 01234 821000
Per chiedere giustizia e asilo per Pegah:
United Nations High Commissioner for Refugee hqls@unhcr.org
The President of the European Parliament Hans-Gert Pötterin: info@europarl.eu.int
European Court of Human Rights Webmaster@echr.coe.int
Prime Minister Gordon Brown: http://www.number-10.gov.uk
British Embassy in Italy: RomePoliticalSectionEnquiries@fco.gov.uk
Per inviare messaggi di sostegno a Pegah:
EveryOne Group (Italy): Roberto.malini@annesdoor.com - matteopegoraro@emergentesgomita.com
Friends of Pegah Campaign (Sheffield): pegahletters@mac.com
FRIENDS EveryOnGroeup
OF PEGAH
CAMPAIGN
EveryOne Group
roberto.malini@annesdoor.com
matteo.pegoraro@infinito.it
t: 0039-334-842-9527
Mercoledì 29 agosto 2007
Comunicato Stampa
Pegah Emambakhsh. Messaggio alle Istituzioni, ai Gruppi e agli Amici.
“Friends of Pegah Campaign”, l’associazione che cura gli interessi della signora Pegah Emambakhsh a Sheffield, Regno Unito, affida all’organizzazione per la tutela dei Diritti Umani “EveryOne Group” il compito ufficiale di comunicare in sede italiana e internazionale alle Istituzioni, alle Organizzazioni e ai singoli attivisti le seguenti informazioni, con preghiera di seguire integralmente le richieste formulate.
Innanzitutto “Friends of Pegah Campaign” desidera ringraziare tutti coloro che di propria iniziativa, seguendo l’attivismo organizzato o in sede istituzionale hanno partecipato attivamente alla campagna a favore della signora Pegah Emambakhsh. I frutti del loro impegno sono di valore umano incalcolabile.
In seguito a un incontro con il Pubblico Ministero che si occupa della signora Pegah Emambakhsh avvenuto ieri mattina, 28 agosto 2007, e alla presentazione del caso alla Border and Immigration Agency da parte del team legale che la rappresenta a tutt’oggi, dichiariamo di essere pienamente soddisfatti della rappresentanza legale e politica, che ora sono pienamente efficienti.
La signora Pegah Emambakhsh ha dunque affidato pieno mandato allo studio legale che si occupa del suo caso nel Regno Unito.
Ora che il vostro straordinario supporto ha generato l’atmosfera serena, improntata al rispetto della dignità dell’assistita, fondamentale per lo svolgimento regolare del procedimento, siamo certi che tutti voi avrete la cortesia di comprendere l’estrema delicatezza dei prossimi sviluppi del procedimento e di rispettare una necessità di Pegah Emambakhsh: quella di affidarsi alle procedure, alle decisioni e alle strategie dei suoi rappresentanti legali.
Adesso dobbiamo attendere finché non conosceremo gli esiti delle prossime fasi e riteniamo che ulteriore pubblicità non sia ora necessaria né utile al caso di Pegah.
Naturalmente vi terremo costantemente informati di tutti gli sviluppi
significativi ogni volta che ci sarà possibile. Vi siamo immensamente grati
per il lavoro impegnativo ed eccezionale in favore della signora Pegah
Emambakhsh: il vostro sostegno è risultato essenziale.
Un ringraziamento a ognuno di voi.
Friends of Pegah Campaign (Regno Unito)
Per il Gruppo EveryOne
Roberto Malini, Matteo Pegoraro,
Dario Picciau, Ahmad Rafat, Steed Gamero
Emamabakhshm, Londra rinvia il rimpatrio in Iran
Sit in di protesta davanti alla sede dell’ambasciata britannica a Roma per sostenere Pegah Emamabakhsh, l’iraniana condannata a morte da Teheran perché lesbica. Il ministro per le Pari opportunità Pollastrini ha annunciato il rinvio del suo provvedimento d’espulsione, che dal 2005 si trova in Gran Bretagna. *
Almeno un centinaio di persone si sono radunate davanti alla sede dell’ambasciata britannica a Roma per il sit-in a sostegno di Pegah Emamabakhsh, l’iraniana condannata a morte dalle autorità di Teheran perché lesbica. Negli ultimi giorni diversi esponenti del governo italiano avevano manifestato la propria solidarietà: in un comunicato, il ministro per le Pari opportunità Barbara Pollastrini ha annunciato il rinvio del provvedimento di espulsione della donna, che dal 2005 si trova in Gran Bretagna.
Il segretario generale di Arcigay, Aurelio Mancuso, ha ringraziato il governo italiano per il suo impegno nella vicenda e ha annunciato un incontro martedì mattina con l’ambasciatore britannico a Roma, Edward Chaplin, al quale sarà presente anche il ministro per le Politiche ambientali Alfonso Pecoraro Scanio.
«All’ incontro - ha detto il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli - parteciperà anche il presidente di Arcigay. Il caso di Pegah è molto grave: quando nei confronti dell’Iran ci sono in gioco interessi economici, si arriva a parlare di embargo; in questo caso, invece, c’è voluto un movimento dal basso e la grande sensibilità del governo italiano».
«Il fatto che l’espatrio di Pegah sia stato perlomeno posticipato è senz’altro un’ottima notizia», fa sapere Ivana Bartoletti, responsabile Diritti Civili dei Ds. « Mi auguro che l’Inghilterra sia disposta a sostenere Pegah, accogliendo il suo desiderio di vivere libera - continua l’esponente Ds -. Qualora così non fosse allora l’Italia dovrà essere pronta ad accoglierla offrendole asilo politico. La libertà delle persone, così come il valore dell’autonomia e della vita sono valori irrinunciabili per la politica, per le istituzioni, per l’Europa».
«Rinnovo il mio impegno perché il nostro paese conceda a questa donna l’asilo politico», ha scritto il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero agli organizzatori e ai partecipanti al sit-in. «Il diritto di Pegah Emambakhsh a vivere e amare come vuole - ha sottolineato il ministro - va garantito, come vanno garantiti i diritti di tutte e tutti: il diritto alla libertà, alla felicità e a vivere la propria vita come ciascuno desidera, in modo libero e sereno. La sua battaglia è una battaglia di libertà e di civiltà che riguarda tutti e di cui tutti si devono sentire parte in causa». Per Ferrero «la mobilitazione che si è realizzata a difesa dei diritti di Pegah Emambakhsh sembra aver già indotto le autorità inglesi a rinviare il rimpatrio della donna in Iran, ora si tratta di intervenire perché la sua vita non sia più in pericolo».
* l’Unità, Pubblicato il: 27.08.07, Modificato il: 27.08.07 alle ore 20.19
ASILO A LESBICA IRANIANA, VERSO RINVIO RIMPATRIO
FRATTINI: LONDRA TENGA CONTO DEI RISCHI DEL RIMPATRIO*
La Gran Bretagna dovrebbe tenere conto del fatto che per Pegah Emamabakhsh "il rimpatrio in Iran potrebbe comportare non solo l’imprigionamento, ma anche la tortura e forse la morte". E’ quanto auspica, parlando con l’ANSA, il vice presidente della Commissione Ue Franco Frattini, che invita le autorità britanniche ad andare oltre "la questione tecnico-giuridica" che impedisce alla Gran Bretagna di riconoscere alla lesbica iraniana di 40 anni lo status di rifugiata politica. Frattini accoglie con favore la disponibilità manifestata dal governo italiano ad accogliere Pegah ("se serve a salvare una vita umana, ben venga questa iniziativa"), ma sottolinea che c’é un problema di "rispetto delle regole", che richiede da parte della Gran Bretagna "un approfondimento dell’ istruttoria".
BUTTIGLIONE: SI DEVE ACCETTARE ASILO
"L’Italia può e deve accettare la domanda di asilo politico di Pegah Embabkashsh, la donna iraniana condannata a morte nel suo paese perché lesbica". Lo afferma Rocco Buttiglione (Udc). "In sede di trasposizione di una direttiva europea sulla non discriminazione - spiega Buttiglione - il Senato ha approvato un emendamento, riformulato in Aula su mio suggerimento, che amplia in modo molto generoso il dettato della direttiva e mette l’Italia all’avanguardia nel mondo civile. Il Senato ha deciso che sia possibile accogliere le domande di asilo di chiunque sia perseguito nel suo paese per comportamenti che in Italia non costituiscono reato. Vi rientra il caso di Pegah come quello dei cristiani perseguitati nel mondo. L’emendamento è stato approvato praticamente all’unanimità". "E’ ovvio - aggiunge - che esso non implica nessuna valutazione moralmente positiva della omosessualità ma semplicemente una corretta distinzione fra la sfera della morale e quella del diritto ed il riconoscimento della trascendente dignità della persona umana che va sempre rispettata, anche quando compia delle scelte che possiamo non condividere. La distinzione fra morale e diritto è (dovrebbe essere) un cardine di una società liberale ed è proprio questa distinzione a non essere recepita dagli integralisti islamici".
POLLASTRINI: RIMPATRIO FORZATO SEMBRA RINVIATO
Sulla vicenda di Pegah "giungono primi segni di schiarita. Il rimpatrio forzato sembra, per il momento rinviato". Lo afferma il ministro dei Diritti e delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini in una lettera inviata al gruppo Everyone in occasione del sit-in a sostegno della donna lesbica iraniana. Il ministro ha sottolineato che "l’impegno del governo Prodi per i diritti umani continuerà in questa come in altre vicende drammatiche".
IL POPOLO DELLA RETE FA APPELLO AL GOVERNO
Si moltiplicano i consensi e le iniziative di solidarietà sui siti internet irlandesi e britannici nei confronti di Pegah Emambakhsh, la lesbica iraniana, detenuta dal 13 agosto scorso nel centro detentivo di Yarls Wood (Sheffield), che dovrebbe essere rimpatriata domani in Iran e rischia la morte per lapidazione una volta messo piede nel suo Paese. Mentre il ministero degli Interni britannico mantiene il riserbo sulla questione, in Rete sempre più persone chiedono infatti al governo di cambiare idea e concedere l’asilo alla donna, che in patria ha avuto due figli in seguito ad un matrimonio combinato e ha perso la compagna, condannata a morte per lapidazione. Il portale di informazione britannico ’UK gay news’, che nei giorni scorsi aveva pubblicato articoli al vetriolo come quello intitolato ’Ashamed to be british’ (’Che vergogna essere britannicì), ha riportato oggi con risalto la notizia secondo la quale l’Italia è pronta a offrire asilo politico a Pegah. Il dibattito italiano ha avuto risalto anche sui media tradizionali: il quotidiano ’Guardian’ ha intervistato alcuni membri del Gruppo EveryOne, che che ha manifestato a Roma in sostegno della 38enne iraniana. Il caso di Pegah, che da giorni tiene anche l’Italia col fiato sospeso, è vissuto insomma con trepidazione da migliaia di persone anche nel Regno Unito. "Pegah must stay", Pegah deve rimanere, dice Queera, una utente del forum irlandese ’Sapphic Ireland’ e cita l’Islamic Punishment Act in vigore in Iran, che dagli articoli 127 a 134 regolamenta il reato dell’omossessualità, prevedendo pene che vanno dalle 100 frustate alla lapidazione. Crabapple, un’altra utente di Sapphic Ireland, suggerisce di fare quello che molti in Gran Bretagna hanno già fatto, cioé scrivere un appello a Jacqui Smith, il ministro degli Interni britannico. La Iranian Queer Organization (l’organizzazione dei gay e delle lesbiche iraniani) ha creato, su petitiononline.com, una pagina per Pegah, dove chiunque può sottoscrivere la petizione contro la sua deportazione.
* ANSA» 2007-08-27 17:31
La risposta di Michael Petrelis alla proposta del dott. Salvatore Conte (fls).
From: MPetrelis@aol.com To: conte@queendido.org ; michael@petrelisfiles.com Cc: aisha.ayari@gmail.com ; matteo.pegoraro@infinito.it ; roberto.malini@annesdoor.com Sent: Monday, August 27, 2007 2:08 AM Subject: Re: Pegah: asylum and why not a simple hosting?
In a message dated 8/26/2007 3:41:13 A.M. Pacific Daylight Time,
conte@queendido.org writes:
Dear Great Man,
please anyone has thought about the legal chance to simply propose a common hosting in Europe for Pegah?
I mean: they say "NO ASYLUM", she’s not omosexual.
But if an European citizen wants to host and to give a job to a foreign citizen, which is the problem?
Actually many persons wish to host Pegah at their houses and myself too I have sent an official will to Minister Pollastrini in Italy, writing her I wish to host Ms. Pegah as a member of my family (I’m not omosexual, I’m married with a daughter, but I’m not a nazist, dear great man).
Which is the legal opposition here?
I commonly host friends from Arabic Countries and I got for them visa to go here in Europe! And Pegah is just here!
Please reflect to this possibility.
He’s not charged with anything of not legal.
She just need a legal hosting in Europe, I think.
Thank you so much,
Salvatore Conte (Rome)
+39.334.9731301
http://laroutedelissa-friends.over-blog.com/
http://www.lavocedifiore.org/
(you find here my proposal to the Minister)
Hello Savlvatore:
Thanks for writing. Please attend the sit-in on Monday at the British embassy in Roma.
Two Italian gays, Matteo and Roberto, are organizing the demonstration in Roma.
Get in touch with them, even if you cannot make it to the demonstration.
Matteo:
matteo.pegoraro@infinito.it,
Roberto:
roberto.malini@annesdoor.com
I remain very hopeful the British will grant Pegah asylum and not deport her back to the murderers in Iran.
Keep in touch, Salvatore.
hugs,
michael
Re: Pegah: asylum and why not a simple hosting?
Dear Michael,
Thank you so much for your reply.
I think Matteo and Roberto and yourself too are Heroes as in the Epic Poems of Classical Age.
You are the confirm of an ancient model, an ancient challenge, where a holy woman is in the middle of a fight between opposite cosmic Entities.
Not everybody understands this and not everybody acts knowing this, but this is the theatre since millenias.
Sit-in informations were very soon published by Prof. Federico La Sala on his well-known journal on-line:
http://www.lavocedifiore.org/
directed by an Italian Representive at European Parliament, On.le Gianni Vattimo.
Prof. La Sala is following with great energy this terrible case. Grazie dal cuore Federico. Guarda se Gianni può fare il miracolo.
I feel very sad, I have not your braveness.
I thank you all for your incredible moral strenghtness.
Last time I tried to do something was for Simona Torretta when she was prisoner in Iraq. But that time the enemy was invisible.
It seems to me incredible to fight against UK Government as if it was the FARC army (relating to Ms. Betancourt) or a group of common bandits as for Ms. Torretta.
Anyway, the best thing is to have met you.
Ms. Ayari, my beloved friend, tells that - in such a way - we are not saving Pegah; Pegah is saving us. I think this is really true.
We, our society, are dying. Her life can save ours.
The Friends of Pegah can do great things, but now it’s forbidden to talk about it because they want to drink her blood.
With no more words and with no more energies.
Thanks to you all, Heroes of Human kind.
Salvatore
(Les Amis d’Elissa)
http://laroutedelissa-friends.over-blog.com/
[Lunedì, 27/08/2007 - 13.14].
Roma - Manifestazione per salvare Pegah Emambakssh
Roma
lunedì 27 agosto 2007
ore 18.30
davanti all’ambasciata della Gran Bretagna
via XX settembre, 80
Manifestazione
Salviamo Pegah Emambakssh dalla lapidazione!
Arcigay nazionale e Arcilesbica nazionale
con l’adesione del Gruppo EveryOne.
Associazione Culturale Esthia
via San Francesco di Sales, 1c
tel. 06.97613311
www.esthia.net
* IL PAESE DELLE DONNE On line, 24 agosto 2007
URGENTE. MESSAGGIO PER SUA ECCELLENZA L’AMBASCIATORE SUL CASO PEGAH E.
Serenissima Eccellenza,
l’amico e magnanimo Eroe italico, Roberto Malini, mi ha esortato a contattarla, fornendomi un indirizzo ad hoc.
Intanto mi scuso per i toni un poco aspri e scortesi delle mie ultime.
Ma spero che lei comprenda che non si può essere troppo raffinati in certe occasioni.
Lei è un uomo potente e forse si chiederà perché un uomo "che non conta niente" come me si interessi tanto o comunque abbastanza di una donna "che non conta niente" (sto rappresentando l’immaginario collettivo della nostra cinica Europa, per me e Roberto, Pegah conta moltissimo), tanto da essere lapidata senza neanche scomodare le righe dei tabloid inglesi o italiani o europei.
Io non so cosa risponderle. A me viene normale, spontaneo. Io sono un poliziotto. Ogni volta che esco in servizio, io ed i miei colleghi siamo pronti a sacrificarci per un innocente. Se qualcuno aggredisce una donna inerme e indifesa, noi sentiamo il dovere di difenderla, anche se siamo fuori servizio.
Ma di solito interveniamo contro dei criminali, dei banditi, dei drogati eccitati dalla cocaina.
Pensare di dover scrivere ad un Ambasciatore inglese per supplicarlo di non lapidare una donna mi sconcerta.
Io non capisco cosa vi sia successo.
Perfino nel romanzo di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni, si narra di una coppia di gentlemen inglesi che pur impegnati nella gara, ritardano di qualche giorno la corsa, per salvare una ragazza dal crudele sacrificio umano dei religiosi Indù.
Quella è la grande Inghilterra che tutti noi conosciamo (non una creazione di Verne) e nella quale sperava anche Pegah.
Si ricorda quella scena, Eccellenza?
L’ha resa famosa il Vs. grande David Niven.
Che cosa vi è successo poi?
Lei ha una figlia, una moglie, un’amica a cui vuole bene?
Perché intendete lapidare una donna indifesa, che non può difendersi e che sta pensando al suicidio?
Why?
Il sig. Malini ha una grande opinione di lei ma io purtroppo non la conosco.
Io avrò una grande opinione di lei dopo che lei avrà stupito il mondo fermando personalmente quell’aereo, rappresentando il sentimento di un popolo che ha percorso con voi 2000 anni di storia e che con voi condivide la medesima lingua, lo stesso Dio, lo stesso concetto di misericordia umana.
Gesù di Nazareth un giorno convinse degli uomini a non lapidare una donna inerme che essi chiamavano prostituta. Lei può fare altrettanto, portando così il massimo onore alla Vs. Grande Regina.
La Vs. Serenissima Nobilissima Altissima Regina, Elisabetta II, che io considero anche la mia Regina, è il Capo della Chiesa Anglicana, che si basa sulla parola di Gesù Cristo, il quale salvò dalla lapidazione quella donna indifesa, ma gli affari correnti sono riservati al Governo inglese e lei è un altissimo funzionario del suo Governo.
Per questo le chiedo, anzi la supplico, da uomo "che non conta niente", di intervenire e far di nuovo grande come poco tempo addietro il suo Paese.
Non potrò mai giovare alla sua carriera, ma forse un giorno lei potrà riconoscermi questo: un uomo che non conta niente, insieme a tanti altri uomini che non contano niente come lui, mi ha dato un buon consiglio. Capita spesso, perché chi è molto in alto, talvolta è preso da tante questioni insieme e rischia di commettere errori che in circostanze normali non commetterebbe mai.
Io invece ho una vita semplice: timbro il cartellino, indosso la divisa e se un bandito cerca di accoltellare una donna indifesa ho l’obbligo di salvarla e sento un mio dovere inderogabile farlo, a qualsiasi ora del giorno.
Una volta, ho tenuto la mano di una ragazza gravemente ferita e l’ho confortata in attesa dell’arrivo dell’ambulanza. Quella ragazza ce l’ha fatta. Io ce l’ho fatta.
Quando fra qualche giorno sapremo che Pegah è stata lapidata, ci sarà perfino qualcuno nelle alte sfere del potere che si indignerà perché "la cosa non era stata adeguatamente considerata".
Eviti tutto questo, la supplico. Se nel suo Paese non hanno capito la cosa, lei adesso l’ha capita.
Fermi lei stesso quell’aereo, anche con il pretesto delle gomme lisce o di una mancata revisione delle turbine. Se vuole qualcuno di noi l’accompagnerà, a nostre spese.
Darà la colpa a noi, se vuole. Ci faccia arrestare, agisca come meglio crede.
A noi interessa solo che una donna "che non conta niente" (sto di nuovo rappresentando l’immaginario collettivo della nostra cinica Europa, per me e Roberto, Pegah conta moltissimo), tanto da essere lapidata senza neanche scomodare le righe dei tabloid inglesi o italiani o europei, possa essere "graziata" e consegnata a qualche civile persona che ancora ricordi le deportazioni naziste in Europa.
Ho parlato fin troppo. A nulla valgono le mie parole di fronte ad una persona intelligente e potente come lei.
Le copio sotto l’umile proposta che le avevo indirizzato all’altro indirizzo e che forse quindi non ha avuto modo di leggere.
In pratica offro la mia ospitalità alla Sig.ra Pegah E., quale cittadino europeo, senza spese per lo Stato. Non conta più l’asilo politico.
Rimarrebbe sotto il comune regime dell’ospite-amico di cittadino europeo, con permesso di soggiorno Schengen.
La prego di contattarmi a qualunque ora se ritiene la cosa giuridicamente praticabile. Sotto ci sono tutti i miei dati personali.
Mi sottometto alla sua autorità, supplicandola di fare tutto il possibile.
Salvatore Conte
Caro Ambasciatore del Regno Unito in Italia,
Amici del British Council
che spesso ho visitato, grato della Vs. ospitalità e della Vs. civile accoglienza,
sono addolorato di rilevare che purtroppo il Vs. Paese,
in altri tempi glorioso, ha questa volta toccato il fondo.
La deportazione in stile nazista della innocente ragazza
iraniana di nome Pegah è la fine della Vs. civiltà
millenaria.
In nulla l’aereo British Airways che porterà a morte
quell’innocente sarà diverso dai treni della morte di
HITLER.
Questa scelleratezza Vi sarà ricordata ogni volta che chiederete asilo
fra gli Esseri Umani.
Parlare di democrazia fra 3 giorni vi sarà impossibile.
Roma e tutti i popoli del Mediterraneo hanno una memoria lunghissima e la bandiera britannica sarà segno di sventura per tutte le persone giuste.
Eppure anche Voi riceveste da Dio il verbo della ragione e la Vs. Onorata Patria nutrì Boudicca e Chaucer e Tommaso Moro e tante insigni persone per giustizia e umanità.
Avete toccato il fondo dell’abominio: fermatevi e ragionate.
Intanto fermate l’aereo della Morte, con il quale sarà deportata nei campi di sterminio, PEGAH EMAMBAKHSH, innocente. O almeno consegnatela ad una delle milioni di persone civili che le darebbero volentieri asilo a casa loro.
Il sangue lapidato di Pegah spegnerà la Vs. Civiltà.
Pensateci solo per un attimo.
Grazie.
Dott. Salvatore Conte (Les Amis d’Elissa) - Paris/Rome/Tunis
http://laroutedelissa-friends.over-blog.com/
RISPOSTA DELL’AMBASCIATA BRITANNICA AL DOTT. SALVATORE CONTE
Gentile dott. Conte,
La ringraziamo per averci contattato.
L’Ambasciata britannica a Roma rende noto di aver contattato il Gruppo EveryOne per fissare un incontro presso la propria sede durante il quale i rappresentanti dell’associazione potranno esporre in prima persona e più diffusamente le loro opinioni rispetto al caso di Pegah Emambakhsh.
L’Ambasciata, consapevole della grande attenzione dedicata al caso negli ultimi giorni dalla stampa e dall’opinione pubblica italiana, ha rivolto questo invito al fine di poter meglio riferire a Londra circa la situazione che ha portato tanti cittadini italiani a manifestare la propria preoccupazione rispetto al caso di Pegah Emambakhsh.
Ambasciata Britannica
Servizio Stampa e Affari Pubblici
Via XX Settembre 80
00187 ROMA RM
Tel 06 4220 2258
Fax 06 4220 2347
E-mail InfoRome@fco.gov.uk
Sito www.britain.it
Misericordia per Pegah!!! Fermatevi!!!
Preg.ma On.le Ambasciata del Regno Unito in Italia,
ringrazio sentitamente per la Vs. civile risposta.
Se tutta la questione relativa alla Sig.ra Pegah E. si risolve in un problema economico e procedurale, in qualità di cittadino italiano ed europeo, legato al Vs. Paese dai Trattati Europei in vigore, assumo formale impegno ad invitare e ad ospitare a casa mia, a Roma, a mie spese, incluso il viaggio da Londra, la Sig.ra Pegah E., e a trattarla come un membro della mia famiglia.
Tale formale impegno è da subito, ovvero da adesso, pienamente valido ed efficace, e mi rendo disponibile in ogni momento a regolarizzare la procedura presso la Vs. Ambasciata.
L’On.le Ministro della Repubblica Italiana, Barbara Pollastrini, che si è dichiarata disponibile a mezzo stampa nazionale a dare asilo in Italia alla Sig.ra Pegah E., ha ricevuto parimenti la mia comunicazione di disponibilità, di cui allego copia sotto, completa dei miei dati personali.
Auspico pertanto una positiva risoluzione del caso.
Ossequi,
Salvatore Conte
pollastrini_b@camera.it
Onorevolissimo Ministro, leggo della sua iniziativa a favore della deportata iraniana, Sig.ra Pegah E.
La sua proposta è quella più semplice e di sicura efficacia, se portata a termine (darle asilo in Italia). Spero però che il tutto non si trasformi in un "Pegah show" mediatico che poi si concluda tragicamente con la morte nei campi di sterminio iraniani della deportata.
Pertanto, concretamente e da subito, senza costi per lo Stato, le do la mia formale disponibilità ad ospitare la perseguitata esule a casa mia e a trattarla con ogni dignità, come un membro della mia famiglia.
Non sono omosessuale né celibe. Sposato con una figlia. Ma legato alla Repubblica e alla sua Costituzione. Moralmente memore delle deportazioni degli ebrei nei campi di sterminio nazisti.
Sono Istruttore di Polizia Municipale a Roma, lavoro nello staff di un Magistrato, impegnato in diverse attività di studio, ricerca e dialogo internazionale (www.queendido.org).
Questo è un piccolo supporto alla sua iniziativa. La parte decisiva spetta a Lei. La prego di fare onore all’Italia e alla Donna che è in Lei.
Nessuno dimenticherà la sua impresa.
Ossequi,
Dott. Salvatore Conte
Via Frascati-Colonna 38
00040 Montecompatri (RM)
cell. 334-9731301
in servizio presso Ottavo Gruppo Vigili Urbani di Roma (06-6769.5100)
www.queendido.org
http://laroutedelissa-friends.over-blog.com/
SALVIAMO PEGAH: LONDRA ATTENDE PASSO FORMALE DI ROMA *
Londra e’ disposta a concedere l’estradizione di Pegah Emambakhsh in Italia, se dal governo italiano arrivera’ una richiesta formale in tal senso. E’ quanto e’ emerso dall’incontro tra i rappresentati del gruppo EveryOne e alcuni funzionari dell’ambasciata britannica a Roma. Il nuovo decreto d’espulsione dalla Gran Bretagna verso l’Iran della donna, che a Teheran rischia la lapidazione perche’ lesbica, fissa per il 28 agosto la sua partenza da Londra. Secondo quanto detto dai diplomatici britannici nell’incontro con Matteo Pagoraro e Roberto Malini, vi e’ pero’ la possibilita’ che l’espusione sia rimandata o sospesa. "L’ambasciata ci ha dato mandato a contattare il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro per le Pari opportunita’, Barbara Pollastrini, affinche’ il governo italiano si impegni con una dichiarazione scritta ad accettare l’iraniana in Italia", ha spiegato Pegoraro. Lo stesso ha precisato di avere ricevuto dai leader radicali garanzie che anche il ministro del Commercio estero, Emma Bonino, s’interessera’ in prima persona del caso. "I diplomatici britannici hanno concordato che l’ipotesi che Pegah si rifugi in Italia sia preferibile a un suo rientro in Iran", ha aggiunto. Arcigay, Arcilesbica e il gruppo EveryOne hanno organizzato una manifestazione nazionale di fronte all’ambasciata britannica per il 27 agosto.
LA RISPOSTA DEL DIRETTORE DELL’AVVENIRE, ALLA LUCE DEL PARAGRAFO n. 2358 («Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. (...) Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione») DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA ... E DEL FATTO CHE SUI GIORNALI INGLESI NON C’E’ TRACCIA DELLA VICENDA!!! Non c’e’ che dire!!! C’è molto marcio non solo in Inghilterra, ma anche in ... Danimarca!!! Gloria a Shakespeare e che "Amleto" viva in eterno!!! (fls)
Pegah, che rischia l’estradizione in Iran *
di Fabrizio Spano
Caro Direttore,
entro la fine di agosto una cittadina iraniana rifugiatasi a Londra potrebbe essere rimpatriata nel suo paese dove l’attende una morte lenta, dolorosa a tal punto da essere inimmaginabile, un’agonia che potrebbe protrarsi per più di un’ora. Se venisse rispedita in Iran, Pegah Emambakhsh verrebbe lapidata. Ciò sarebbe già terribile se si trattasse di un’assassina, di una terrorista, di una donna macchiatasi dei crimini più infamanti. Ma Pegah è una innocente. La sua unica colpa è di essere lesbica, una omosessuale. Io non sono un lettore del suo giornale, né un cattolico. Ma mi rivolgo a lei perché credo che sarebbe importante se il mondo cattolico facesse sentire la propria voce, se la Chiesa si esprimesse su questo caso che è solo uno dei tanti nel mondo. Conosco bene le posizioni della Chiesa sull’omosessualità. Le conosco perché le combatto con tutti gli strumenti che la democrazia mi offre. Ma qui non si tratta di Dico o Pacs o simili. Queste discussioni, questi scontri appaiono insignificanti di fronte a quello che succede in altri posti del mondo meno fortunati. E se mi rivolgo a lei è proprio per questo. Sarebbe bello se la Chiesa dicesse: noi non accettiamo e non accetteremo mai le unioni omosessuali, anzi consideriamo l’omosessualità un peccato. Ma non abbiamo dubbi nel condannare l’emarginazione, le discriminazioni, le violenze e l’omicidio nei confronti degli omosessuali in quanto tali. Lei dirà che non c’è bisogno di dire una cosa del genere. È una cosa ovvia. No, non lo è.Io non sono cattolico. Ma sono italiano. Il cattolicesimo, la Chiesa fanno parte della mia storia, della mia cultura, dei miei ricordi e delle mie esperienze. Quante volte perdendomi per Roma ho ritrovato la strada prendendo come punto di riferimento una chiesa, un campanile, una cupola! Sarebbe bello... Grazie per avermi dedicato un po’ del suo tempo.
Fabrizio Spano
L’omosessualità, in se stessa, - contrariamente a ciò che lei scrive - non è un peccato; per la morale cattolica, infatti, l’inclinazione omosessuale non è una colpa che possa essere addebitata a chi la vive. Il Catechismo della Chiesa cattolica dichiara in proposito: «Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. (...) Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (n. 2358). Parole che mi pare non possono essere fraintese e quindi, ciò che lei si attende, è da tempo non solo convinzione pacifica, ma anche atteggiamento generalmente esercitato nella prassi pastorale. Nessuna discriminazione verso le persone omosessuali, ma appunto «rispetto, compassione, delicatezza», pur ribadendo che gli atti di omosessualità «in nessun caso possono essere approvati» (n. 2357). Non ho, così, alcuna difficoltà ad associarmi al suo appello, confermando peraltro la linea di condotta che abbiamo linearmente mantenuto da sempre, anche di fronte agli stravolgimenti e alle polemiche artatamente rinfocolate da chi riteneva utile alzare i toni contro Chiesa e cattolici. Sono con lei, con una cautela - che spiega perché non abbiamo finora dato risalto alla notizia -: sui media inglesi (Times, Independent, Guardian, Bbc...), solitamente molto solerti nel dare eco alle battaglie in favore dei gay, non risulta traccia della vicenda, che ha trovato spazio solo su testate italiane. Con ciò, resto dell’avviso che sia giusto fare tutto il possibile per impedire che in una qualsiasi parte del mondo una persona sia messa a morte o finisca in prigione solo perché omosessuale. Se questo è ciò che rischia Pegah Emambakhsh, uniamo la nostra voce a chi chiede di salvarle la vita.
* AVVENIRE - IL DIRETTORE RISPONDE/FORUM, 25.08.2007.
Lunedì a Roma sit-in per Pegah Emambakhsh *
La donna iraniana Pegah Emambakhsh rischia la vita perché lesbica. Lo stabilisce - stando a quanto si è finora appreso - la Shari’a o legge islamica che viene applicata in Iran. Secondo alcune ricostruzioni della sua vicenda, la Emambakhsh è fuggita dall’Iran nel 2005 - passando prima in Turchia e poi andando in Gran Bretagna - dal momento che la sua compagna, nel loro Paese di origine, era stata torturata e condannata a morte per lapidazione. Ma non solo: anche il padre di Pegah sarebbe stato arrestato, interrogato e infine torturato dalle autorità per gli spostamenti della figlia. Che poteva rappresentare - evidentemente - una minaccia per la "immagine" del regime.
Adesso, c’è un pronunciamento del governo inglese da attendere. Per ora, si sa che l’asilo le è sempre stato negato, al punto che per martedì 28 agosto è già stato prenotato il volo per rimpatriarla (volo British Airways, numero BA6633). La partenza è stata fissata alle 21,35 ore britanniche. Per questo, lunedì organizzazioni gay e lesbiche italiane e alcuni gruppi - tra cui Verdi, i Radicali Italiani e i Ds - hanno organizzato un Sit-in di fronte all’ambasciate britannica, a Roma, affinché da Londra arrivi un ripensamento e alla Emambakhsh venga concesso asilo.
Ma se così non fosse, afferma il ministro della Giustizia Clemente Mastella, «la mia opinione e quella del mio governo è cioè di fare tutto perché Pegah Emambakhsh, nel rispetto delle leggi vigenti, abbidiritto di asilo». Aggiunge il viceministro degli Esteri italiano Patrizia Sentinelli: «Abbiamo attivato tutti i canali diplomatici per evitare che Londra la rimpatri in Iran dove rischia la vita. Ma se verrà espulsa siamo pronti ad accoglierla».
«È una battaglia di civilità, mobiliti tutte le coscienze», chiede Ivana Bartoletti, responsabile nazionale Diritti civili dei Ds, e poi annuncia la sua partecipazione alla manifestazione. Anche i Verdi aderiscono al sit-in di lunedì pomeriggio per Pegah: «Mobilitarsi per salvare la vita a una persona condannata a morte solo perché accusata di essere lesbica è un dovere civile», afferma il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. «È necessario formalizzare la disponibilità ad accogliere in Italia Pegah avanzata anche dal ministro Barbara Pollastrini perché altrimenti le dichiarazioni non impediranno il rimpatrio. E il tempo sta per scadere», ha dichiarato l’europarlamentare dei radicali Marco Cappato. Ma c’è anche il sindaco di Venezia ,Massimo Cacciari, che a sua volta aderisce «con totale convinzione alla campagna per la salvezza di Pegah Emambakhsh» e offre ospitalità alla donna nella «tradizione di Venezia città-rifugio per i perseguitati, già onorata in un recente passato».
* l’Unità, Pubblicato il: 25.08.07, Modificato il: 25.08.07 alle ore 18.28
Sereni: «I diritti dei gay vanno difesi sempre e ovunque»
di Umberto De Giovannangeli *
«L’Italia fa bene a ricercare il dialogo con l’Iran su grandi questioni che riguardano la stabilità e la pace, ma questa ricerca deve accompagnarsi all’affermazione dell’intangibilità dei diritti fondamentali delle persone, e tra questi diritti inalienabili c’è quello della scelta nella sfera della sessualità. Per questo la vicenda di Pegah Emambakhsh ha una valenza che va anche al di là di quello che resta oggi l’obiettivo fondamentale: salvare la vita ad una donna che rischia la lapidazione per la sua scelta sessuale. Per raggiungere questo obiettivo occorre esplorare tutte le strade possibili: occorre premere sulle autorità britanniche perché concedano alla donna iraniana l’asilo, ma se questa via si dovesse rivelare impercorribile, l’Italia deve esser pronta ad accogliere Pegah». Ad affermarlo è Marina Sereni, vicepresidente del gruppo parlamentare dell’Ulivo alla Camera.
Sono queste ore decisive per Pegah. Qual è il suo pensiero in proposito?
«Per fortuna la mobilitazione e l’informazione hanno portato a conoscenza dell’opinione pubblica il caso della donna lesbica iraniana, un caso che richiama la necessità di difendere i diritti umani di tutte le persone, in ogni condizione e in ogni contesto. Pegah rischia la pena capitale per il suo orientamento sessuale. Noi già nelle scorse settimane avevamo sollevato nuovamente la necessità di una forte pressione sul governo iraniano affinché cessassero le esecuzioni capitali, perché la campagna che l’Italia sta conducendo a livello internazionale assieme a molti altri Paesi per la moratoria universale sulla pena di morte deve avere anche risultati concreti, non può restare solo una testimonianza di principio. Sul rispetto dei diritti umani non vi può essere un "doppiopesismo": questi diritti vanno difesi sempre e ovunque, non possono essere subordinati a interessi economici o a simpatie ideologiche. Sulla difesa dei diritti umani non c’è realpolitik che tenga. E tra i diritti da salvaguardare vi sono quelli inerenti alla sfera degli orientamenti sessuali».
Questa affermazione come si traduce nel caso di Pegah?
«In questo caso specifico, noi condividiamo e sosteniamo la linea seguita dal governo, siamo convinti che sia necessario continuare a esercitare una doppia pressione -politica e diplomatica, anche sulle autorità britanniche, affinché possa essere accolta la richiesta di asilo per Pegah e possa essere evitato il rimpatrio in Iran. Vanno esplorate tutte le strade che possano evitare alla donna il rimpatrio in Iran, inclusa, se necessario, l’accoglienza di Pegah nel nostro Paese. Una decisione che se dovesse essere assunta dal governo, sono certa che otterrebbe il consenso pressoché unanime del Parlamento, a cominciare dal gruppo parlamentare più grande, quello dell’Ulivo».
Salvare la vita di Pegah: è questa oggi la priorità assoluta. Ma più in generale, quali indicazioni è possibile trarre da questa vicenda?
«Ci sono due profili di cui tener conto. Da un lato, occorre sottolineare con forza come gli orientamenti sessuali non possano essere il terreno della violazione dei diritti umani fondamentali, il che significa non sottovalutare che molte discriminazioni hanno come vittime le donne e gli omosessuali. Dall’altro lato, l’Iran è un Paese nei confronti del quale riteniamo che debba essere esercitata un’azione volta ad aprire un dialogo sulle questioni complesse che riguardano la regione - dalla vicenda irachena a quella afghana, dalla stabilità del Medio Oriente alla questione del nucleare. Mettere all’angolo Teheran non giova alla pace. Al tempo stesso, però, non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alle gravi violazioni dei diritti umani che avvengono in quel Paese. Ed è per questo che crediamo giusta la linea seguita dall’Italia: quella di accompagnare quest’apertura e disponibilità al dialogo con una intransigenza sul terreno dei principi e del rispetto dei diritti umani. Dialogo sì, ma senza censure».
Non ritiene che sino ad oggi la difesa degli orientamenti sessuali sia rimasta troppo ai margini dell’iniziativa per la tutela dei diritti umani, come se ne fosse un aspetto secondario?
«Sì, è così, e oggi invece risulta sempre più evidente che la qualità di una democrazia si misura dalla capacità di rispettare tutte le scelte etiche e gli orientamenti sessuali, e che anche in casa nostra, se vogliamo combattere la violenza, non possiamo trascurare quelle specifiche e odiose forme di violenza a sfondo sessuale o animate da odio omofobico».
* l’Unità, Pubblicato il: 26.08.07, Modificato il: 26.08.07 alle ore 8.31
Commissariato Onu: 40 rifugiati omosessuali in 2 anni in Italia *
ROMA - In poco più di due anni in Italia sono 40 le persone omosessuali provenienti da vari paesi (Algeria, Marocco, Colombia) che hanno ottenuto lo status di rifugiato o un permesso umanitario per sfuggire alla persecuzione per orientamento sessuale. A rilevarlo è Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati(Unhcr) in riferimento alla vicenda di Pegah Emamabakhsh, la donna iraniana condannata a morte nel suo paese perché lesbica. "Abbiamo accolto molto positivamente l’interessamento dell’Italia al caso di Pegah - aggiunge - perché è giusto evitare un’espulsione che sottoponga la donna a pericoli seri". "La facoltà di ottenere lo status di rifugiato per chi è perseguitato per il suo orientamento sessuale è prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951 - ricorda Laura Boldrini - che tra i motivi di persecuzione, oltre alle idee politiche, la razza, la nazionalità, la religione, mette anche l’appartenenza a un gruppo sociale".
"Lo stesso - aggiunge - è previsto da alcune direttive Ue e dalle linee guida della commissione nazionale per il diritto d’asilo del Viminale che recepisce l’interpretazione dell’Unhcr sulla persecuzione per motivi di genere". Una persecuzione che viene riconosciuta, dice ancora Laura Boldrini "non solo in presenza di condanne penali ma anche di discriminazioni tali da rendere la vita intollerabile". "In caso di rischio vero - ribadisce la portavoce dell’Unhcr - è altamente raccomandabile evitare il respingimento di una persona perseguitata". Dunque ciò che ci si aspetta dalla Gran Bretagna ora è: "il riesame del caso sulla base della pubblicità che la storia di questa donna ha avuto, che crea nuovi elementi di pericolo per lei in patria e la rende ancor più bisognosa di protezione, o la sospensione dell’espulsione e la concessione di un permesso umanitario". Se tutto ciò non avvenisse, un altro paese europeo, dunque anche l’Italia, in base al regolamento ’Dublino 2’ potrebbe intervenire contro il trasferimento della donna in Iran. "Questo regolamento - spiega Boldrini - prevede la facoltà per gli Stati di fare ’opt in’, assumersi cioé la responsabilità di un caso specifico anche senza averne diretta competenza. Nel caso di Pegah infatti la competenza è della Gran Bretagna perché è lì che è stata presentata domanda di asilo". "E’ sufficiente che l’Italia si dichiari disposta ad esaminare la concessione del diritto di asilo e - conclude Laura Boldrini - che la Gran Bretagna conceda il trasferimento della donna nel nostro Paese".
* ANSA» 2007-08-27 17:31