Per la pace e per l’ ecumenismo ....

MOSE’ GESU’ E MUHAMMAD CONTRO I "PADRONI DI DIO". Una nota di Giovanni Sarubbi, direttore del sito e della rivista "Il dialogo" - a cura di pfls

lunedì 1 ottobre 2007.
 

Editoriale

Né mercanti né grandi sacerdoti

di Giovanni Sarubbi *

(Le foto rappresentano la cacciata dei mercanti dal tempio - quadro del pittore El Greco (1541-1614) - ed il profeta Muhammad in preghiera davanti alla Ka’bah).

La vita di Gesù di Nazareth e di Muhammad è stata caratterizzata da un episodio del tutto identico. Il primo ha cacciato i mercanti dal tempio, episodio riportato in tutti e quattro i Vangeli; il secondo ha cacciato gli oltre trecento idoli che i mercanti della Mecca avevano posto nella Ka’bah, antico altare eretto da Abramo al Dio unico. La loro missione profetica è iniziata da qui, da una lotta senza quartiere contro l’uso della religione per opprimere l’umanità, contro l’uso del sacro per sostenere sistemi di potere che stanno portando l’umanità alla sua autodistruzione.

Si discute molto fra cristiani e musulmani su ciò che li unisce e su ciò che li divide. I nemici del dialogo mettono ovviamente l’accento su ciò che divide perché in questo modo si può aizzare l’odio reciproco. Si discute di velo alle donne, delle differenti abitudini alimentari, del tipo di rapporto fra maschi e femmine, persino la lingua araba viene considerata un pericolo tanto che si vuole imporre agli imam di tenere i loro sermoni in italiano, cosa che fra l’altro già avviene. E chi divide, chi semina odio ha un animo malevole o, per dirla con terminologia biblica, è un “diavolo”, un nemico del bene.

Della cacciata dei mercanti dal tempio e della cacciata degli idoli dalla Ka’bah nessuno parla. Eppure sono questi gli episodi cruciali della vita di Gesù e di Muhammad. Nei Vangeli Sinottici quest’episodio è narrato alla fine dei rispettivi vangeli ed è considerato come il motivo ultimo che portò poi Gesù alla crocifissione. Nel Vangelo di Giovanni questo episodio è narrato invece all’inizio del Vangelo, come segno costitutivo dell’azione di Gesù.

La cacciata degli idoli dalla Ka’bah costituisce per Muhammad il punto di svolta decisivo per la sconfitta dei padroni della Mecca e per il ristabilimento del monoteismo nella penisola arabica. E’ un episodio molto ben raccontato in un film di molti anni fa, intitolato “Il messaggio”, con attori principali Antony Quinn ed Irene Papas, realizzato sotto la supervisione della università islamica del Cairo. E’ un film che consigliamo vivamente di vedere per comprendere appieno lo spirito che animò Muhammad. In questo film si vede per esempio che la lotta contro l’idolatria è stata per Muhammad strettamente legata alla lotta contro lo schiavismo e l’oppressione delle donne, altro elemento che lo unisce strettamente a Gesù la cui resurrezione venne annunciata da donne, la cui testimonianza in Israele era assolutamente nulla.

Le radici che uniscono cristiani e musulmani sono dunque molto forti e solide. E sono le stesse radici che è possibile ritrovare in tutti i testi dei profeti di Israele, che hanno contestato l’uso distorto della Torah che la classe sacerdotale e i vari Re che si sono susseguiti avevano imposto al popolo ebreo. Basti ricordare, fra l’altro, l’episodio del Vitello d’oro distrutto da Mosè come primo esempio di ciò che fecero poi Gesù e Muhammad secoli dopo.

Dio non appartiene a nessuno, né ai mercanti né ai grandi sacerdoti. Questo il messaggio che ci trasmettono le azioni di Gesù e di Muhammad e di tutti i profeti prima di loro. Nessuno può usare Dio a proprio uso e consumo. Nessuno è proprietario di Dio e nessuno se ne può fare interprete esclusivo. Nessuno può usare Dio per decidere sulla sorte dei popoli o dell’intera umanità. Quando ciò avviene, sia nell’ambito cristiano che in quello islamico, vi è la negazione delle radici di fondo di entrambi questi movimenti la cui origine è la liberazione dei popoli dall’oppressione religiosa dei “padroni di dio”, dei trafficanti che sulla paura hanno costruito i loro imperi economici, politici e militari..

Ed è questo il messaggio di fondo che abbiamo scritto ai nostri fratelli musulmani in occasione della sesta giornata del dialogo cristiano islamico a cui dedichiamo gran parte di questo numero. Riscopriamo le nostre radici comuni, le più importanti, quelle che ancora oggi sono fondamentali per dare un futuro all’umanità e che vedrebbero sicuramente insieme Gesù, Muhammad e tutti i profeti che li hanno preceduti e tutti coloro che dopo di loro hanno deciso di seguire le loro tracce. Non serve a nulla litigare sul velo, o su altre norme legate a specifiche tradizioni culturali. Impegniamoci invece a cacciare dal tempio chi ancora oggi utilizza il nome di Dio per fomentare odio e per costruire imperi.

Crediamo fermamente che tutte le religioni oggi esistenti possano vivere insieme senza alcun problema se esse si sapranno liberare dalla tentazione dell’idolatria, dal trasformare se stesse in altrettanti idoli da adorare, in regole senza le quali si verrebbe esclusi dalla salvezza o dal paradiso di questa o quella divinità. E le contrapposizioni nascono proprio dalla perdita delle radici ideali originarie dei fondatori delle rispettive religioni. Paradossalmente sia il cristianesimo che l’islam sembrano aver dimenticato che sia Gesù sia Muhammad si sono battuti per la liberazione femminile.

E quando la religione diventa rito, regole, organizzazione con tanto di casta sacerdotale incaricata di gestire il rapporto con Dio, li nasce l’odio, la violenza nei confronti di altre religioni, la pretesa di essere gli unici depositari della verità e della “salvezza”. In campo cristiano emblematico di tale situazione patologica è lo stato dell’ecumenismo che, dopo l’impulso del Concilio Vaticano II, è oggi sicuramente in crisi, come si è visto nella recente assemblea ecumenica tenutasi a Sibiu in Romania dal 4 al 8 settembre scorso. La crisi la si tocca con mano leggendo il documento finale dove non aleggia alcuno spirito profetico, tutto attento a bilanciare i vari interessi ecclesiali e a riproporre una visione molto particolare di ecumenismo, quello sulle cose cattive, quelle azioni che negano lo spirito dell’evangelo e che vedono oggi, per esempio, le chiese cristiane assolutamente impotenti se non addirittura schierate a favore della guerra mondiale che stiamo vivendo. Così come c’è ecumenismo fra le chiese cristiane sul sostegno ai rispettivi sistemi economici, siano essi protestanti che cattolici o ortodossi. In realtà l’ecumenismo ha molte facce e si presta a molteplici usi.

Lo spirito profetico della “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II è stato via via annacquato e progressivamente distorto. Le profezie hanno bisogno di testimoni viventi che ne incarnino la forza e la propaghino ulteriormente trasformando le idee in vita vissuta di milioni e milioni di persone. Poco importa sapere al bambino dell’Africa che muore di fame o sotto un bombardamento che questa o quella chiesa è depositaria dei “doni della salvezza divina” elargiti da questa o quella divinità. Quel bambino terrà invece in gran conto tutti quei cristiani che dal basso si impegnano a buttare fuori i mercanti dal proprio tempio e schierino le proprie chiese contro la guerra, contro la distruzione dell’ambiente, per la condivisione delle risorse.

Ed è questo che manca oggi. Mentre l’ecumenismo di vertice, quello basato sulle cose cattive, sui rispettivi insulti o pretese di superiorità, sulla negazione dei principi di fondo enunciati nei Vangeli è vivo e vegeto, l’ecumenismo dal basso, quello di chi si riconosce cristiano non per le troppe chiacchiere che ognuno dice ma per le azioni concrete che attualizzano il Vangelo, batte la fiacca, c’è paura di prendere posizione, di schierarsi contro questo o quel “grande sacerdote” dimenticando la testimonianza dei profeti come Gesù o Muhammad che non hanno badato alla propria vita per opporsi alle nefandezze dei padroni del sacro dei loro tempi. E questo impegno non lo si può delegare a nessuno, ognuno deve dare il proprio contributo, ognuno deve spendere la propria vita per dare una prospettiva a questa umanità. Dunque né mercanti né grandi sacerdoti, ma uomini e donne impegnati a dare il meglio di se stessi per un mondo nuovo, un mondo di pace, un mondo dove ci si possa rispettare come membri dell’unica umanità a cui tutti apparteniamo.

Editoriale del Numero 9 stampato del nostro periodico

* Il dialogo, Lunedì, 01 ottobre 2007


Rispondere all'articolo

Forum