Adjmal, il dolore di Mastrogiacomo "Assassini, non avete rispettato i patti"
"Sono affranto, distrutto: è un omicidio orribile, gratuito, vigliacco"
di DANIELE MASTROGIACOMO
Sono affranto, distrutto, di nuovo catapultato in un incubo che sembra non finire mai. E’ un omicidio orribile, gratuito, vigliacco. Adjmal Nasqebandi era un giornalista. Come me, come tanti che fanno il nostro mestiere in giro per il mondo. Non c’era e non c’è mai stata differenza tra me Ajmal e Saeed Nagha, l’autista che ci ha accompagnato nel sud dell’Afghanistan per fare un’intervista ad un comandante militare.
Paga un prezzo altissimo e la responsabilità ricade interamente sui Taliban: hanno mostrato al mondo la loro vera faccia, quella che rimproveravano a noi giornalisti di non volere raccontare all’esterno. E’ quella che ci hanno annunciato con una telefonata alle agenzie di stampa. Non sono stati ai patti: ci hanno tolto le catene e ci hanno detto che eravamo liberi. Ho visto il mio amico e interprete pronto ad imbarcarsi su un convoglio che lo avrebbe consegnato a degli emissari. Così hanno detto i Taliban che ci tenevano prigionieri, così hanno continuato a ripetermi durante il mio trasferimento al luogo dove sarei stato liberato.
Erano tutte bugie, solo bugie. Lo hanno ripreso e tenuto segregato per altri 16 giorni. Non hanno ascoltato gli appelli, a centinaia, lanciati da ogni angolo del mondo: hanno deciso di ucciderlo, con 24 ore di anticipo sull’ultimatum, per ribadire quello che sono: dei semplici assassini. Alla famiglia di Ajmal va tutto il mio affetto in questo tragico e difficilissimo momento, assieme alla durissima condanna, all’orrore di un omicidio che non ha alcuna spiegazione.
(la Repubblica, 8 aprile 2007)
Per la liberazione di Rahmatullah Hanefi e Adjmal Nashkbandi
Siamo angosciati per la sorte di Rahmatullah Hanefi. Il responsabile afgano dell’ospedale di Emergency a Lashkargah è stato prelevato all’alba di martedì 20 dai servizi di sicurezza afgani. Da allora nessuno ha potuto vederlo o parlargli, nemmeno i suoi famigliari. Non è stata formulata nessuna accusa, non esiste alcun documento che comprovi la sua detenzione. Alcuni afgani, che lavorano nel posto in cui Rahmatullah Hanefi è rinchiuso, ci hanno detto però che lo stanno interrogando e torturando “con i cavi elettrici”.
Rahmatullah Hanefi è stato determinante nella liberazione di Daniele Mastrogiacomo, semplicemente facendo tutto e solo ciò che il governo italiano, attraverso Emergency, gli chiedeva di fare. Il suo aiuto potrebbe essere determinante anche per la sorte di Adjmal Nashkbandi, l’interprete di Mastrogiacomo, che non è ancora tornato dalla sua famiglia.
Domenica 25, il Ministro della sanità afgano ci ha informato che in un “alto meeting sulla sicurezza nazionale” presieduto da Hamid Karzai, è stato deciso di non rilasciare Rahmatullah Hanefi. Ci hanno fatto capire che non ci sono accuse contro di lui, ma che sono pronti a fabbricare false prove.
Non è accettabile che il prezzo della liberazione del cittadino italiano Daniele Mastrogiacomo venga pagato da un coraggioso cittadino afgano e da Emergency. Abbiamo ripetutamente chiesto al Governo italiano, negli ultimi giorni, di impegnarsi per l’immediato rilascio di Rahmatullah Hanefi e il governo ci ha assicurato che l’avrebbe fatto. Chiediamo con forza al Governo italiano di rispettare le parola data.
Emergency
Per aderire, andare sul sito di: emergency
Emergency, domani sit-in «Libertà per Hanefi» *
Si svolgerà davanti all’ambasciata dell’Afghanistan, a Roma, il Sit-in promosso dall’Ong Emergency, Arci, Cgil e altre sigle della rete dei movimenti, come Action, Left e Rinascita. Le associazioni scenderanno in piazza giovedì 19 aprile alle ore 17,30 di fronte alla sede diplomatica afghana in Italia, per chiedere il rilascio immediato da parte delle autorità del governo di Kabul di Rahmatullah Hanefi, l’uomo che - come spiegano i movimenti nel loro annuncio - ha svolto un ruolo essenziale nella liberazione del giornalista di "Repubblica" Daniele Mastrogiacomo, Hanefi opera da anni a fianco nel Paese martoriato dalla guerra a fianco della popolazione civile». Se di professione Rahmatullah Hanefi fa il responsabile del personale di Emergency nell’ospedale di Lashkar Gah, da quasi un mese Rahmatullah è in un carcere del governo di Kabul, senza che gli sia stata mossa alcuna imputazione. Il che è accaduto nei giorni successivi alla liberazione di Mastrogiacomo, ma l’uccisione di due cittadini afghani (uno dei quali Adjmal, l’interprete di Mastrogiacomo) ha tragicamente oscurato la vicenda. «Chiediamo al governo afghano di liberare immediatamente Rahmatullah hanefi e di creare il clima favorevole affinché Emergency possa riprendere normalmente il lavoro», spiega la rete dei movimenti nel loro comunicato. Che aggiunge: «Chiediamo anche al governo italiano di usare tutti i mezzi disponibili, ufficiali e informali, per ottenere questi obiettivi».
Il tutto riguardo anche alle vicende alle quali è andata incontro Emergency a partire dal giorno dopo alla liberazione di Mastrogiacomo. «Respingiamo le vergognose dichiarazioni del governo Karzai - ricordano i movimenti - che ha accusato Emergency di fiancheggiamento con i terroristi». Al presidio, organizzato per giovedì, prenderà parte anche la "Sinistra Critica" di Salvatore Cannavò, l’ala sinistra dello schieramento di Rifondazione comunista, e alcuni gruppi di Rc.
* l’Unità, Pubblicato il: 18.04.07, Modificato il: 18.04.07 alle ore 14.48
Stamane su un volo dell’Onu si sono imbarcati 30 italiani e 8 di varie nazionalità Sul posto, nei tre ospedali e nei 28 pronto-soccorso, rimane il personale afgano
Emergency, lo staff straniero
ha lasciato l’Afghanistan
Strada: "Non ci sono più le condizioni di sicurezza" Partenza non definitiva: ulteriori decisioni entro domani *
KABUL - Il personale italiano e internazionale di Emergency ha lasciato stamane l’Afghanistan. "Quando il governo del paese in cui lavori si pone come nemico - dice Gino Strada dal sito Peacereporter spiegando i motivi di una scelta così drastica e clamorosa - le motivazioni - non ci sono le condizioni di sicurezza per continuare a lavorare". I 30 italiani che lavoravano per i tre ospedali di Emergency in Afghanistan, oltre ad altre otto persone di varia nazionalità, si sono già imbarcati su un volo dell’Onu, diretto a Dubai. Gli ospedali di Emergency non sono stati tuttavia chiusi: al momento il personale afgano sta continuando a lavorare. (Il comunicato della ogn, pdf)
Dalla sede italiana di Emergency viene chiarito che la partenza non è, per ora, definitiva e che il personale che ha lasciato l’Afghanistan si incontrerà, all’estero, con componenti il direttivo dell’organizzazione per decidere insieme, fra oggi e domani, se continuare a operare nel Paese.
’PeaceReporter’ ha riferito anche che tutto il personale di Emergency dislocato in vari località dell’Afghanistan era stato convocato a Kabul per poter "discutere la situazione e, anche, per decidere provvedimenti a garanzia dell’incolumità degli operatori dell’ospedale di Lashkargah, il più esposto in questi giorni a rischi".
Il vicepresidente dell’organizzazione umanitaria, Carlo Garbagnati, ha spiegato che il motivo del trasferimento consiste nella mancanza di "condizioni di sicurezza" e "nell’assenza di una significativa reazione e azione del governo", come era stato chiesto nei giorni scorsi.
La notizia era nell’aria da giorni dopo l’arresto di Rahmatulah Hanefi, il mediatore di Emergency detenuto nelle carceri afgane e accusato dai servizi di Kabul di aver avuto un ruolo nel rapimento del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo.
Il fondatore di Emergency Gino Strada per giorni aveva spiegato alle autorità afgane e italiane che l’attività di assistenza dell’associazione era in grave crisi a causa dell’arresto di Hanefi, e aveva lanciato un ultimatum: "Resteremo in Afghanistan solo se Rahmatullah sarà liberato e se ci sarà data la possibilità di lavorare in sicurezza".
* la Repubblica, 11 aprile 2007
Il ricordo di Adjmal senza catene, portato via dalla prigione su un convoglio separato.
Mi diceva: non è difficile intervistare i leader Taliban, l’ho già fatto tante volte
L’ultimo sorriso del mio amico
"Siamo liberi, tutti e due"
di DANIELE MASTROGIACOMO *
Mi lancio sul mio amico, lo abbraccio: restiamo così, stretti in questa morsa, per lunghi secondi, le lacrime che ci rigano il viso sporco, pieno di polvere mista a terra. Adjmal sussulta per i singhiozzi che trattiene a fatica. Scuote il capo, non ci crede, non vuole crederci, ha paura di subire l’ennesima delusione. E’ accaduto tante volte, può succedere ancora.
Adjmal Naqeshbandi aveva 23 anni, due sorelle e tre fratelli. Si era sposato da sette mesi: un matrimonio con la sua giovanissima fidanzata, 17 anni appena, figlia di un noto chirurgo della provincia di Loghar, a sud di Kabul. Lo avevo conosciuto nel 2001, in piena seconda guerra del Golfo. Si era presentato nella base del contingente italiano, lungo la Jalalabad road, e si era offerto come interprete. Con altri colleghi avevamo alloggiato nella guest house, la Heverest guest house, che Adjmal gestiva insieme al fratello Kebher. Una casa semplice ma accogliente che avrei frequentato per altri tre anni, a volte due mesi di fila, tra la neve che ci assediava nei freddi inverni e il caldo opprimente dell’estate. Lui era sempre lì, sorridente, grassottello, il viso largo, gli occhi scuri, dolci, il filo di barba che si chiudeva in un pizzetto che trattava con cura. L’aria un po’ saccente, l’inglese perfetto studiato in Pakistan negli anni dell’esilio durante la lunga guerra civile, il sogno di diventare un giornalista.
I miei viaggi in Afghanistan erano diventati più rari, ma ci sentivamo spesso al telefono, ci scrivevamo molte mail. Mi raccontava dei suoi progressi, dei contatti che aveva accumulato durante la mia assenza. Scriveva per un quotidiano giapponese, collaborava alla Bbc in lingua pashtun, forniva notizie e servizi per giornali statunitensi e britannici. Seguiva i miei consigli, accettava le mie critiche, capiva quando lo avvertivo di fare molta attenzione a chi conosceva, chi incontrava, di verificare sempre, più volte, le sue fonti. Lo mettevo in guardia sui doppi, tripli giochi della realtà afgana. Lui sorrideva. "Stai tranquillo, ho combattuto con Massud", amava ricordare.
Siamo ancora nella cella. Adjmal è scettico, non crede a quello che dice il comandante Haji Lalai. Ma è vero, ci liberano: i nostri carcerieri, ragazzi poco più che ventenni, irrompono nella nostra stanza con salti di gioia e grida di entusiasmo. Ci abbracciano, ci toccano, ci stringono le mani. Ripetono in coro: "Free, free, you are free". Si avventano sui lucchetti che chiudono le nostre catene ai piedi. Non si possono aprire, non sono mai stati aperti in 15 giorni: hanno perso le chiavi nel deserto. Ci provano in due, poi in tre, quattro, con tutto quello che trovano a disposizione. Iniziano con Adjmal: sono in fondo felici di vederci liberi e di non essere stati costretti ad ucciderci.
Lo avrebbero fatto, senza incertezze: sono dei soldati, e dei soldati fanatici. Colpiscono con furia, poi in modo metodico, con le pietre del deserto, rompono le catene. Il mio interprete allarga finalmente le gambe, saltella, allunga i passi fino al giardino esterno. Ora tocca a me, è un lavoro più facile, i lucchetti saltano dopo i primi colpi con una pietra e un punteruolo. "Bisogna andare, adesso", esorta il comandante, il capo di questa banda di assassini.
All’esterno di questa fattoria, immersa nel distretto di Gramser, sud di Helmand, cuore del territorio Taliban, sono già pronti due convogli. Mi spingono verso il primo, mi volto, saluto con un gesto della mano Adjmal. Mi risponde, lo vedo finalmente sorridere. E’ felice, sta andando via dalla prigione; ci crede anche lui. Lo scortano verso un secondo gruppo di auto. "Ci vediamo a Kabul, forse in Italia", mi grida in inglese.
Con la coda dell’occhio vedo Adjmal che sale su un pick up. Chiedo di lui, dove sarà liberato. Il comandante Haji Lalai è generico. "Lo consegniamo ad altri amici". Insisto per conoscere il mio destino. "Tu vai con gli italiani, lui con gli afgani. Helder, capi tribù che garantiranno per noi e per voi". Resto teso, le fasi delle liberazione sono quelle più pericolose. Ma sono felice, torniamo a casa. Entrambi.
Adjmal non lo rivedrò mai più. Sparito, inghiottito nel buco nero dei Taliban. Libero e di nuovo fatto prigioniero. Ancora ostaggio della banda del mullah Dadullah. Forse di nuovo picchiato, interrogato, punito. Minacciato di morte. Ucciso, decapitato. Come Sayed Agha, l’autista, l’altro nostro compagno di viaggio e di lavoro, assassinato in una landa deserta sulla riva del fiume Helmand. Sgozzano Adjmal alle 11 e 30 di domenica 8 aprile, giorno di Pasqua, poco prima della grande preghiera del pomeriggio. I Taliban sono fiscali perfino nei loro comunicati stampa. Una sentenza letta in nome di Allah, scandita dai canti di battaglia degli studenti coranici, le mani legate dietro la schiena, una benda sugli occhi, quattro braccia robuste che ti trascinano sulla sabbia, ti soffocano, un coltello che ti trancia la trachea e poi avanti e indietro, con calma, in un silenzio agghiacciante, fino a tagliarti tutto il capo, il tronco monco che si dibatte, il sangue che schizza da tutte le arterie: così io e Adjmal avevamo visto uccidere Sayed. Un gesto barbaro, crudele. Una morte ingiusta, gratuita, vigliacca.
Avevo rivisto Adjmal il 21 febbraio scorso. Era raggiante di lavorare di nuovo con me. Ma era diverso, cambiato. Nel fisico e nell’animo. Restava spesso assorto nei suoi pensieri, non mi parlava più con lo slancio e l’entusiasmo di prima. "La mia famiglia", ripeteva spesso, "conta solo su di me. Sono io a dover provvedere a tutto". I grandi progetti di una nuova pensione, un ristorante, persino di una stazione di benzina con autolavaggio erano rimasti nel cassetto. Il fratello maggiore era emigrato in Belgio come esiliato politico. Quello minore, tutto proiettato nel suo futuro di tecnico informatico. Ma conservava anche molti segreti, insondabili, che non mi rilevava. Adjmal aveva scelto di fare il reporter, teneva strette le sue fonti. Viveva di queste. Ci era riuscito. E lo dichiarava con orgoglio: "Senza togliere meriti a nessuno, sono l’unico che ha veri contatti con i Taliban. Ho già realizzato, la settimana scorsa, tre interviste con il mullah Dadullah. Con un collega inglese di al Jazeera, una francese e tre afgani. Possiamo farla anche noi. E’ tutto pronto, ci aspettano". Niente scoop, quasi una routine. L’ultimo colpo, vittime di una trappola più grande di noi.
* la Repubblica, 10 aprile 2007
Strada attacca Prodi e Karzai
"Responsabili per la prigionia di Hanefi"
Ma il fotoreporter rapito in ottobre dice: "Per me nessun riscatto" *
KABUL - E’ un fiume in piena Gino Strada. Il fondatore di Emergency torna a chiedere la liberazione del direttore afgano dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, Rahmatullah Hanefi, che i servizi segreti afgani accusano di aver collaborato con i Talebani per il sequestro Mastrogiacomo. Usa toni forti Strada. Chiama in causa Prodi e Karzai ("Responsabili per la prigionia di Rahmatullah"), e alcune agenzie di stampa rilanciano frasi con le quali il chirurgo imputa ai leader di Roma e Kabul la morte di Adjmal. Frasi che lo stesso chirurgo smentirà poco dopo: "Non l’ho mai detto, ho parlato solo di loro responsabilità per la prigionia del nostro collaboratore".
A questo proposito, il fondatore di Emergency attacca i servizi di Kabul ("gentaglia, tagliagole, assassini e delinquenti mettere in giro simili calunnie") e rivela: "E’ stato Rahmatullah che portò i due milioni di dollari che il governo italiano pagò per ottenere la liberazione di Gabriele Torsello". Torna così d’attualità la vicenda del fotoreporter sequestrato in Afghanistan dai Talebani il 12 ottobre scorso e liberato il successivo 3 novembre. Una ricostruzione che però Torsello non conferma affatto: "Dovrebbe essere anche in grado di dare più dettagli. Per quello che mi riguarda, da quello che io so, non è stato pagato nessun riscatto".
Ma Strada non arretra e chiama in causa il governo italiano: "E’ stata fatta questa insinuazione assolutamente infame e infondata che Rahmatullah possa essere addirittura dietro il rapimento di Mastrogiacomo. Mi sarei aspettato dal governo italiano una dichiarazione immediata per dire chi è Rahmatullah Hanefi, quanto sia affidabile".
Ed è a questo punto che il fondatore di Emergency rivela il ruolo che il suo collaboratore ebbe nel sequestro Torsello. "A Rahmatullah Hanefi furono affidati esattamente due milioni di dollari che arrivavano dal governo italiano per riportare a casa Torsello - continua Strada -. Quante persone conoscono, quelli del governo, che con due milioni di dollari non prendono la prima strada a destra o a sinistra e spariscono nel nulla? Rahmatullah non è sparito". "Al governo italiano chiediamo una cosa sola, di restituirci Rahmatullah Hanefi, non vogliamo nessun grazie dalla politica" conclude il fondatore di Emergency.
Parole che cozzano con la ricostruzione che i servizi segreti afgani fanno del ruolo avuto da Hanefi. Per Kabul infatti sarebbe stato lui a consegnare Mastrogiacomo, il suo autista e il suo interprete a Haji Lalai, ad un collaboratore del mullah Dadullah. Una ricostruzione che Strada bolla senza mezzi termini: "Solo calunnie di una cricca di tagliagole".
* la Repubblica, 9 aprile 2007
Dagli 007 pesante attacco all’esponente di Emergency Rahmatullah Hanefi.
Durissima la replica di Gino Strada: "Calunnie di una banda di tagliagole"
Mastrogiacomo, accuse dai servizi afgani
"Il mediatore è coinvolto nel sequestro"
Il direttore dell’ospedale di Lashkar Gah era stato decisivo nelle trattative per il rilascio *
KABUL - Il portavoce dei servizi segreti afgani Said Ansari ha accusato oggi il direttore afgano dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, Rahmatullah Hanefi - attualmente detenuto - di essere coinvolto nel rapimento del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo e dei suoi due collaboratori. Lo riferisce l’agenzia afgana Pajhwok. Secondo Ansari, Rahmatullah consegnò gli ostaggi a Haji Lalai, un collaboratore del mullah Dadullah, il comandante militare dei taliban, nel distretto di Sangin, nella provincia meridionale di Helmand. Il portavoce ha poi precisato che Rahmatullah è sempre sotto la custodia dei servizi, che le indagini stanno continuando e che presto saranno resi pubblici nuovi elementi.
Alle accuse degli 007 di Kabul il fondatore di Emergency Gino Strada ha replicato duramente. Quanto sostengono i servizi segreti afgani, ha detto, sono "calunnie" che arrivano da una "cricca di assassini". "Sono stufo - dice ancora Strada - di sentire gentaglia, tagliagole, assassini e delinquenti mettere in giro simili calunnie". Il chirurgo non è neppure sfiorato dall’idea che quanto sostenuto dai servizi afgani possa avere un fondo di verità.
"Sono una cricca di assassini - ripete - gli stessi a cui il nostro governo ha dato cinquanta milioni di euro per rifare il sistema di giustizia afgano". Quanto alle prossime mosse di Emergency, alla luce della piega che sta prendendo la vicenda, Strada non si esprime. "Ci penseremo e valuteremo", si limita a dire. Anche se nei giorni scorsi aveva prospettato l’ipotesi di abbandonare l’Afghanistan se Hanefi non fosse stato liberato.
* la Repubblica, 8 aprile 2007
Il cordoglio del direttore di Repubblica: "Abbiamo sperato fino all’ultimo". "Lo piangiamo come un compagno di lavoro. I Taliban disprezzano la libertà d’informazione
Ezio Mauro: "Omicidio barbaro
di un giornalista al lavoro"
di EZIO MAURO *
Abbiamo sperato fino all’ultimo che non fosse vero. E’ un omicidio barbaro e senza alcuna ragione, nemmeno in una logica di guerra. Un gruppo di lavoro composto da un giornalista, dal suo interprete e dal loro autista è stato sequestrato un mese fa dai taliban a scopo terroristico, mentre svolgeva un reportage nel sud dell’Afghanistan.
Mentre era in corso un negoziato per arrivare ad uno scambio di prigionieri Saeed, l’autista, è stato trucidato barbaramente. Quando il negoziato si è concluso Daniele Mastrogiacomo e il suo interprete Adjmal sono stati liberati insieme dalle catene che li avevano imprigionati per 15 giorni e sono stati avviati su due convogli per essere condotti fuori dal campo taliban. Daniele ha raggiunto la libertà e per fortuna non dobbiamo piangere oggi anche la sua morte. Adjmal è stato ricatturato oppure ceduto ad un’altra banda, per intavolare una nuova trattativa con il governo afgano.
Nonostante gli appelli, l’intervento di Emergency, la conferma che si trattava di un giornalista spinto in quella zona esclusivamente da ragioni di lavoro, oggi riceviamo la notizia che Adjmal è stato ucciso senza neppure aspettare la scadenza del’ultimatum.
Noi di Repubblica lo piangiamo come un compagno di lavoro mentre denunciamo l’impossibilità per i giornalisti di svolgere la loro funzione nelle zone controllate dai taliban che disprezzano non solo la libertà d’informazione e i diritti dei prigionieri ma anche la vita umana.
* la Repubblica, 8 aprile 2007
Una dichiarazione del direttore di Repubblica
Ezio Mauro: "Ore di angoscia
Adjmal faceva solo il suo lavoro" *
ROMA - Dopo l’annuncio della presunta esecuzione di Adjmal Naqshbandi, il direttore di Repubblica Ezio Mauro ha rilasciato una dichiarazione: "Viviamo ore di angoscia: tutta Repubblica, insieme con Daniele Mastrogiacomo, davanti alla notizia, non ancora confermata, del possibile assassinio di Adjmal - l’interprete di Daniele - per mano dei terroristi taliban.
Questa vicenda è già costata una vita, quella di Sayeed, l’autista che aveva accompagnato Daniele e Adjmal nel loro reportage al sud dell’Afghanistan. Per giorni abbiamo chiesto ai taliban di non macchiarsi di altro sangue , di evitare un nuovo lutto e di restituire Adjmal alla sua famiglia. L’interprete non ha alcuna colpa, è un uomo che come Daniele e Sayed è andato in quella zona esclusivamente per le ragioni del suo lavoro.
Contemporaneamente abbiamo chiesto al governo afgano di fare tutto che ciò riteneva giusto e possibile per salvare la sua vita. Ora leggiamo con sgomento le notizie che arrivano dal campo talibano. Speriamo ancora che non trovino conferma. In queste settimane, insieme con Emergency, avevamo chiesto che tutto il gruppo di lavoro di Daniele potesse essere liberato. Daniele fortunatamente è vivo, vogliamo continuare a sperare che anche Adjimal riesca a uscire vivo da questa tragedia".
* la Repubblica, 8 aprile 2007
Afghanistan: "Abbiamo ucciso l’interprete di Mastrogiacomo" *
KABUL - I talebani avrebbero ucciso Adjmal, l’interprete del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Lo ha detto Shahabuddin Aaatil, un portavoce del capo militare dei talebani, Mullah Dadullah, in una telefonata all’agenzia di stampa Reuters.
* la Repubblica, 08-04-2007
Strada: per Ramatullah chiedo un passo ufficiale del governo *
«I canali della politica appaio rinsecchiti, privi di capacità di comunicazione e dialogo. Gli spazi di manovra di restringono. Non intendo tuttavia suggerire al governo di Roma quali passi compiere, ma, la prossima settimana chiederemo cose precise nella vicenda di Ramatullah e non potranno sottrarsi». Cioè? «Chiediamo una richiesta ufficiale e pubblica, non privata, in favore della liberazione di Ramatullah Hanefi in quando lavorava per un’organizzazione alla quale il governo Prodi ha chiesto di assumere quel ruolo. Deve essere liberato perché lavorava per il governo italiano! Se poi riceveranno come risposa un No faranno i loro bilanci politici».
Così Gino Strada in un’intervista raccolta da Toni Fontana che appare su l’Unità di domenica 8 aprile. Nell’intervista l’animatore di Emergency parla di Ramatullah, l’uomo che per Emergency e per il governo italiano ha trattato per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Da allora è detenuto nelle prigioni segrete di Kabul senza che si abbiano sue notizie. «Noi, la sua famiglia, nessuno sa nulla. Ramatullah è un "desaperecido" di un paese nel quale ciò è ritenuto "legale"» dice Strada.
Sulla vicenda interviene anche Silvio Sircana, portavoce del governo, in riferimento alle dichiarazioni del presidente afgano Kharzai che avrebbe parlato di uno scambio con i talebani «per impedire una crisi politica del governo Prodi». «Nei numerosi colloqui con Kharzai, non è stata mai sollevato il tema della sopravvivenza del governo - ha detto Sircana intervistato da Sky Tg24 - connessa alla detenzione di Mastrogiacomo. Si è semplicemente chiesto al governo afgano di fare tutto quello che era nelle loro possibilità per favorire il rilascio di Mastrogiacomo».
Sircana ha anche auspicato che si arrivi presto «alla liberazione dell’altro ostaggio nelle mani dei talebani e del collaboratore di Strada». Il portavoce del governo ha spiegato che «il governo sta lavorando con i numerosi contatti tenuti dall’ambasciatore Sechi e dalla Farnesina».
* l’Unità, Pubblicato il: 07.04.07, Modificato il: 07.04.07 alle ore 20.08
L’emittente inglese ha letto e tradotto in lingua pashto una lettera del giornalista di "Repubblica" rivolta direttamente ai talebani
Mastrogiacomo, appello sulla Bbc
"Liberate il giornalista Adjmal" *
Daniele Mastrogiacomo ha rivolto un appello direttamente ai talebani che tengono prigioniero Adjmal Nashqebandi. L’appello del giornalista di Repubblica per la liberazione del suo interprete è stato letto e diffuso in lingua pashto dalla Bbc.
Ecco il testo in italiano e in inglese
Sono Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica rimasto vostro prigioniero per due settimane. In nome del Dio di cui abbiamo tanto parlato e discusso assieme, mi appello alla vostra sensibilità di musulmani e vi chiedo di lasciare in vita il mio amico e interprete Adjmal Nashqebandi.
E’ un giornalista come me. Siamo venuti entrambi nel sud dell’Afghanistan, nella provincia di Helmand, per fare un’intervista ad un dirigente dei Taliban e raccontare al mondo chi siete e cosa pensate. Siamo venuti in pace, muniti soltanto dei nostri bloc notes e delle penne. Quando ci siamo lasciati mi avevate detto che saremmo stati liberati entrambi. Da altri 15 giorni continuate invece a trattenere Ajmal. Ora minacciate di ucciderlo.
Siamo stati arrestati, fatti prigionieri e trattenuti nelle vostre terre come ostaggi, senza aver fatto nulla di male. Adjmal è un uomo per bene che chiedeva solo di fare il suo lavoro. Come uomo, come giornalista, come persona che avete conosciuto da vicino, chiedo a chi lo tiene ancora in mano, al mullah Dadullah, di risparmiare la vita del mio amico, di evitare un nuovo lutto, di lasciarlo libero, all’affetto della sua famiglia e a quello della sua giovane moglie.
I am Daniele Mastrogiacomo, the reporter of Repubblica who has been your prisoner for two weeks. In the name of the God about whom we have talked and argued for a long time together, I appeal to your understanding as Muslims and call for the release of my friend and interpreter Adjmal Nashqebandi.
He is a journalist, just like me. We had both gone to the South of Afghanistan, in the province of Helmand, in order to interview a Taliban leader and tell the world about you, who you are and what you think. We came in peace, with notebooks and pens only. When we parted, you told me we would both be released. But you have been holding Ajmal for fifteen days and now you are threatening to kill him.
We have been arrested, held as prisoners and kept in your lands as hostages without having done anything wrong. Ajmal is a respectable man, who wanted to do his job. As a man, as a journalist, as someone you have closely known, I ask whoever is holding him, Mullah Dadullah, to save my friend’s life, to avoid another death, to release him, and to let him go back free to his family and his young wife.
* la Repubblica, 7 aprile 2007
Repubblica, appello a Karzai
"Faccia di tutto per salvare Adjmal"
Dopo l’ultimatum di Dadullah, il direttore di Repubblica Ezio Mauro, Daniele Mastrogiacomo hanno voluto lanciare un nuovo appello, in nome della vita di Adjmal Nashkbandi.
L’appello di Ezio Mauro
"Tutta Repubblica segue con angoscia questa vicenda fin dal primo giorno del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi due compagni di lavoro. Daniele ha potuto ritornare libero alla sua famiglia e al suo lavoro ma l’angoscia rimane. Questa vicenda è già costata la vita di Sayed Agha e siamo vicini a sua moglie e ai suoi figli. Non vogliamo che ci siano altri lutti. Per questo chiediamo al Presidente Karzai di fare tutto ciò che ritiene giusto e possibile per salvare la vita di Adjmal.
A chi tiene prigioniero Adjmal chiediamo di restituirgli la libertà ricordando che è andato nel sud dell’Afghanistan, insieme con Daniele e Sayed, soltanto per ragioni di lavoro ed esclusivamente per un compito giornalistico.
Non uccidete ancora: fate in modo che Adjmal possa ritornare dalla sua famiglia".