La Prigioniera *
Nel Paese dei Folli si diceva:
"Volare verso l’inferno".
Parole Vere fermarono quel volo.
Non si erano mai viste
giornate così chiare
e così tante rose nel vento.
"Chi sei?" chiese nel sonno
la Prigioniera
(una voce l’aveva raggiunta
nella Torre Lunare).
Catene tintinnarono,
lei si destò, la Voce
- umana, finalmente -
la liberò.
Da oggi la data dell’11 settembre ci ricorderà anche un evento positivo.
La cittadina iraniana scappata in Inghilterra per sfuggire a una condanna a morte per omosessualità è stata rilasciata dal Yarls Wood Immigration Removal Centre di Clapham e si trova a casa di amici. Il suo status passa da quello di immigrata clandestina a quello di rifugiata
Roma, 11 sett. (Ign) - Pegah Emambakhsh la cittadina iraniana rifugiatasi in Inghilterra per sfuggire a una condanna a morte per omosessualità è stata liberata dal Yarls Wood Immigration Removal Centre di Clapham (Bedfordshire, UK) ed è al momento ospite di amici a Sheffield.
Questo significa che il suo status secondo la legge britannica non è più quello di persona accusata di immigrazione clandestina ma di rifugiata in attesa di permesso di soggiorno. Nelle prossime 2 settimane Pegah sarà ascoltata per la prima volta dalla Corte d’Appello. Nei seguenti 5 mesi la donna testimonierà ancora per illustrare al meglio la sua vicenda che è quella di un’iraniana fuggita dal proprio Paese per evitare una condanna a morte, conseguenza diretta delle sue inclinazioni sessuali.
Pegah Emambakhsh era fuggita nel 2005 nel Regno Unito dopo che la sua compagna era stata arrestata e aveva chiesto asilo. Asilo che dopo due anni di attesa le è stato negato. Il 13 agosto scorso infatti era stata arrestata. Non solo, il pm Jacqui Smith, Home Secretary e Membro del Parlamento, aveva decretato anche la sua deportazione a Teheran, dove l’attendeva una condanna certa a 100 frustate comminate con un nerbo semirigido e tagliente e probabilmente la condanna alla lapidazione, essendosi dichiarata lesbica e avendo chiesto aiuto, atteggiamento che le leggi iraniane equiparano a immoralità e cospirazione, ovvero reati capitali.
La vicenda di Pegah aveva visto la mobilitazione di diversi movimenti tra i quali si era distinto il gruppo EveryOne guidato da Roberto Malini, Dario Picciau e Matteo Pegoraro, che era arrivato a toccare le corde del sistema giudiziario inglese fino a far ipotizzare un possibile trasferimento di Pegah in Italia. Sempre su iniziativa di EveryOne era nata la singolare protesta ’Flowers for Pegah’ che, sottoscritta via internet da oltre 20mila persone, aveva portato nel carcere inglese quasi 30mila mazzi di fiori per l’iraniana intasando la struttura burocratico-postale del carceredove non era consentito consegnare posta. Per la commozione di un secondino Pegah aveva però ricevuto alcuni petali ed era stata messa al corrente del successo dell’iniziativa.
* Roberto Malini: Anne’s Door. La cultura a difesa della vita.
A Venezia, una casa rifugio per Pegah Emambakhsh
Intervista ad Alberta Basaglia, responsabile del Centro Antiviolenza del Comune di Venezia
di Nella Condorelli *
La prima e’ stata Venezia, seguita quindi da Roma, e poi dalla regione Toscana. Gli enti locali si impegnano per Pegah Emambakhsh, l’iraniana lesbica in prigione in Gran Bretagna che rischia la lapidazione, se dovesse essere espulsa e rimpatriata a Teheran. Per lei, braccata dall’intolleranza dei mullah, si sono mobilitati nelle scorse settimane societa’ civile, rappresentanti della politica, della cultura e delle istituzioni. In testa, la ministra dei diritti e delle pari opportunita’ Barbara Pollastrini che, di concerto con il presidente del consiglio Prodi, ha dichiarato la disponibilita’ dell’Italia ad accogliere la govane iraniana qualora le autorita’ inglesi dovessero decidere di non concederle asilo, dopo l’ormai stra-nota e stra-discutibile decisione dell’Asylum Seeker Support Initiative di Sheffield di richiederle “la prova della sua omosessualita’”.
In attesa che la Gran Bretagna sciolga la riserva, la mobilitazione per Pegah segna adesso un altro punto a favore: la decisione del comune di Venezia di mettere a disposizione della donna iraniana una casa. Per l’esattezza, una “casa protetta”, come sono chiamate nella citta’ lagunare (e non solo) gli appartamenti destinati ad accogliere ed aiutare le donne maltrattate o vittime di violenza. Case-rifugio, indirizzo top secret, qui nate al tempo della prima sindacatura Cacciari e direttamente gestite dal Comune, ma frutto del piu’ antico incontro-scontro tra associazioni femministe cittadine e amministrazione civica.
Alberta Basaglia e’ la responsabile del Centro Antiviolenza del Comune di Venezia, e del Servizio Partecipazione giovanile e Cultura della pace. Nei fatti, e’ lei che si occupa della gestione delle Case protette, e se Pegah dovesse arrivare in citta’, toccherebbe a lei gestire a livello operativo la sua vita quotidiana.
Dottoressa Basaglia, il sindaco Cacciari l’ha annunciato: a Venezia e’ pronta una Casa protetta per Pegah, segno tangibile d’impegno e solidarieta’ delle istituzioni verso una donna discriminata a causa del suo lesbismo. Pegah come le donne maltrattate e violentate. Come si e’ giunti a questa decisione?
Dopo la disponibilita’ dichiarata del Governo a darle asilo in Italia, il sindaco ha offerto alla signora Emambakhsh la possibilita’ di abitare in una nostra Casa protetta, come prima, immdiata possibilita’ di vita. Una casa dove Pegah potra’ rimanere quanto le pare, per poter decidere in tutta liberta’ cosa fare e dove andare. Questa offerta del sindaco si inscrive in una doppia tradizione cittadina: Venezia sostiene da piu’ di ventanni politiche attive contro la violenza sulle donne, e non e’ nuova nell’ aprire le porte ad intellettuali perseguitati a causa delle loro idee, dei loro scritti, della loro condizione esistenziale. Il Centro Antiviolenza che dirigo ha una lunga storia alle spalle, esiste da ventisei anni, ha assistito migliaia di casi: donne maltrattate in famiglia, donne violentate da parenti o da sconosciuti, donne per le quali la violenza si nutre anche delle piu’ disparate forme di discriminazione. C’e’ chi e’ stata emarginata perche’ ha rotto il silenzio sui maltrattamenti subiti, spesso vere e proprie sevizie continuate da parte di mariti, padri, fratelli o anche figli violenti, chi e’ stata discriminata perche’ ha rotto il tabu’ della “nornalita’” dichiarando il proprio lesbismo...Parlo della capacita’ della nostra amministrazione di cogliere tutti gli aspetti della condizione femminile, comprendendo nello spettro della violenza ogni sua componente, tra cui la discriminazione legata all’orientamento sessuale. In questo senso, l’equivalenza tra discriminazione e violenza chr riguarda Pegah e’ una continuazione del lavoro che facciamo da anni: la donna che subisce violenza non e’ solo quella violentata per la strada, ci sono tanti tipi di violenza, discriminare una donna perche’ lesbica e’ violenza.
Parliamo delle “case protette” per donne maltrattate. Nei primi anni Ottanta, quando il movimento femminista comincio’ a raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare contro la violenza sulle donne, allora considerata reato contro la morale e non contro la persona, molte femministe iniziarono anche ad interrogarsi sul “come” aiutare le donne vittime a ridefinire la propria identita’ di genere. Siamo negli anni in cui il femminismo si e’ ritirato dalle piazze, e sta costruendo luoghi di donne: centri, librerie, universita’...anche le “case per le donne maltrattate” fanno parte di questo patrimonio politico. Che cosa rimane di tutto cio’ nell’esperienza veneziana, quali segni?
Lo sviluppo dell’attenzione istituzionale per il diritto all’orientamento sessuale nasce certamente dalle lotte femministe degli anni Settanta, dall’affermazione della liberta’ femminile e della differenza. Se oggi siamo arrivati al suo riconoscimento da parte delle istituzioni, vuol dire che un segno le lotte delle donne lo hanno lasciato: e’ la battaglia per la differenza sessuale che ha portato anche alla valorizzazione delle differenze di orientamento sessuale. Il valore sociale che l’amministrazione comunale mette oggi in campo e’ la non-discriminazione, il superamento della “diversita” come negazione di diritti che devono essere eguali per tutti. Ma facciamo un passo indietro.
Tanto il Centro Antiviolenza che dirigo quanto le Case protette sono una filiazione diretta del Centro Donna fondato dalle femministe cittadine agli inizi degli anni Ottanta. Qualche anno prima, era il 1977, alcuni gruppi avevano occupato una vecchia villa abbandonata di Mestre, chiedendo al comune di sostenervi una casa per le donne. Fu la prima battaglia delle femministe veneziane in questo ambito, nacque il Centro Donna allora a gestione congiunta con il Comune. Il Centro esiste dunque da ventisei anni, e sin dall’inizio vi si parlava di case protette, con indirizzo segreto, in grado di assicurare alle donne vittime di maltrattamenti e violenza un ambiente capace di tutelarle in tutti i sensi. Oggi le case sono gestite direttamente dal Comune, tramite un servizio apposito. Le piu’ recenti, due, erano parte del patrimonio immobiliare dei boss della “mala del Brenta” ( che le usavano per riciclare il denaro sporco), e gli sono state sequestrate grazie alla legge sull’utilizzo sociale dei beni sequestrati ai mafiosi. Anche la casa offerta per accogliere Pegah, che per noi e’ una donna maltrattata, fa parte di questo patrimonio sequestrato, e donato alla fruizione della nostra collettivita’.
Come e quanto e’ cambiata in questi ventanni, se e’ cambiata, l’utenza delle Case protette?
La prima Casa risale all’inizio degli anni Novanta, la sua segretezza era totale e sancita dalla delibera comunale che la istituiva. Nessuno, nemmeno la polizia, sapeva dove si trovasse, a quale indirizzo, strada e numero civico erano sbianchettati anche nei documenti comunali. In quella prima Casa avevano trovato rifugio alcune donne maltrattate dai mariti violenti, e altre schiavizzate e violentate dagli sfruttatori. La seconda Casa, quella nata nel 2000, prevedeva accanto ai servizi tradizionali di accoglienza e aiuto medico e psicologico anche nuovi servizi, per esempio la possibilita’per le donne ricoverate di ricevere amici, di seguire corsi per il reinserimento sociale, di iscrivere i figli a scuola.
Nelle due Case che l’assessorato al patrimonio ha messo a disposizione di recente, quelle di cui parlavo prima, verra’ avviata anche un’esperienza di convivenza tra donne di cultura diversa.
In ventanni siamo passati infatti da un’utenza quasi esclusivamente italiana ad una forte presenza di straniere. Sino a poco tempo fa, il profilo della donna che arrivava al Centro era quello di una donna italiana adulta, di media scolarita’, con figli grandi, che decideva di denunciare maltrattamenti e violenze solo perche’ ormai sicura di essersi sottratta al piu’ grande e doloroso dei ricatti: la sottrazione dei figli. Oggi, su circa 400 nuove richieste di aiuto che ci giungono in media ogni anno, e che vanno a sommarsi a quelle gia’ esistenti, il 20% e’ fatto di straniere. Una percentuale che nelle Case sale al 40%, perche’si tratta spessissimo di donne sole, senza una parente cui appoggiarsi, che quando scappano dal loro inferno di violenza quotidiana non hanno veramente piu’ niente e nessuno. Questa nuova emergenza comporta per le operatrici nuove responsabilita: la consapevolezza della violenza subita e’ diversa da cultura a cultura.
Venezia e’ la prima citta’ italiana associata alla International Lesbian and Gay Association. Qual’e’stata la reazione dell’ILGA alla proposta di dare casa a Pegah, come vi ha sostenuto? Cosa vi aspettate adesso?
L’ILGA ha accolto molto favorevolmente la proposta del sindaco, e la sostiene. Abbiano coinvolto sin da subito il suo presidente e il gruppo Everyone, che ci ha costantemente aggiornato sugli sviluppi della situazione. La mobilitazione locale e’ stata condotta dall’Osservatorio GLBT - Gay Lesbiche Bisex Transgeder - anch’esso gestito dal Comune di Venezia, di cui e’ responsabile Franca Bimbi, deputata, consulente del sindaco per i Diritti alla Differenza, che segue da anni questo settore e alla quale si devono tanti obettivi raggiunti. L’Osservatorio e’ molto attivo, soprattutto nelle scuole, tra i ragazzi, con progetti e iniziative che riguardano il superamento degli stereotipi e della discriminazione verso gli omosessuali. In questa occasione, l’Osservatorio ha promosso una serie di azioni per far arrivare in tutte le sedi utili, comprese le autorita’ inglesi e italiane, la notizia della disponibilita’ del Comune di Venezia a dare una casa a Pegah. L’onorevole Bimbi ha anche sollecitato la Rete delle citta’amiche degli omosessuali, GLBT Friendly, a mobilitarsi nella stessa direzione.
Che cosa ci aspettiamo? Certo, di salvare la vita a questa donna iraniana, e di contribuire a restituirle la dignita’ della persona umana, ma siamo tutti convinti che questa non sia solo “una battaglia per Pegah” ma una battaglia di civilta’ per una societa’ piu’ giusta, piu’ egualitaria.
*Da: http://www.articolo21.info/notizia.php?id=5346 - 5 settembre 2007.
* Anne’s Door. La cultura a difesa della vita.
Nel sito, si cfr.:
Nella rete, si cfr.:
Pegah Emambakhsh: il Governo Britannico ci spiega le sue verità
martedì 29 gennaio 2008
Ricorderete tutti la storia di Pegah Emambakhsh, la presunta lesbica iraniana la cui storia ha tenuto tutti con il fiato sospeso per diversi giorni lo scorso mese di agosto, quando la Gran Bretagna intendeva deportarla in Iran nonostante rischiasse la pena di morte per lapidazione.
Allora il web fu un’esplosione di solidarietà verso questa fragile donna iraniana. Ci furono petizioni, migliaia di mail furono spedite al Foreign Office, gruppi per la difesa dei diritti umani si mobilitarono in massa per far si che non venisse deportata. Persino il Governo italiano e molti politici si mossero, dando la disponibilità ad ospitare Pegah nel caso la Gran Bretagna avesse continuato con l’intenzione di deportarla.
Tutte queste pressioni portarono all’ultimo secondo alla momentanea scarcerazione di Pegah e di conseguenza allontanarono lo spettro della deportazione, questo in attesa che un tribunale rivedesse la sua posizione di “richiedente asilo” e soprattutto che rivedesse le motivazioni che la spingevano a tale richiesta.
Di Pegah non se ne è più parlato, forse anche per espresso volere della ragazza o delle autorità britanniche che in attesa di giudizio avrebbero preferito il silenzio sulla vicenda, questo fino a oggi, fino a quando cioè sono tornate alla ribalta voci non verificate riguardanti la deportazione di Pegah.
Allarmati da queste voci abbiamo chiesto, per correttezza e prima di tutti, informazioni all’associazione inglese che all’epoca si era interessata alla ragazza iraniana dando nel contempo, come allora, la nostra completa disponibilità nel caso queste voci fossero risultate vere. Dopo due settimane non è arrivata nessuna risposta se non qualche scaribarile in merito a chi fosse la persona che curava gli interessi di Pegah. Un vero mistero. Eppure crediamo fermamente che il bene di Pegah vada oltre qualsiasi protagonismo o interesse personale.
Partendo da questo presupposto ci siamo quindi attivati attraverso alcune conoscenze iraniane in Gran Bretagna e soprattutto attraverso un contatto diretto con il Foreign Office Britannico. Per la verità non ci aspettavamo alcuna risposta dai britannici, invece con nostro estremo stupore abbiamo trovato alcune persone molto collaborative che ci hanno spiegato con chiarezza l’attuale situazione di Pegah Emambakhsh.
Innanzi tutto va detto che la prima richiesta di asilo, basata esclusivamente sul fatto che la ragazza fosse omosessuale, era fondamentalmente sbagliata, non tanto per il fatto in se, quanto piuttosto perché la legge internazionale impone al richiedente asilo di dimostrare con chiarezza il motivo per cui detto asilo viene richiesto, cosa chiaramente impossibile nel caso di omosessualità in quanto, a meno che non si pretenda un rapporto sessuale pubblico, la condizione di omosessuale riguarda la sfera emotiva e personale.
Si è quindi tentato di far rientrare Pegah in un gruppo sociale perseguitato, ma continuando sempre a battere esclusivamente sulla presunta omosessualità della ragazza e quindi a rischio di persecuzione. Si sono quindi mobilitati i gruppi omosessuali di tutto il mondo, facendo di Pegah una vera e propria bandiera di una battaglia (anche politica) sui diritti degli omosessuali e non sui diritti di Pegah stessa o delle donne iraniane, escludendo dalla richiesta di asilo tutte le altre voci che invece le avrebbero garantito l’asilo.
Fermo restando il problema della “presunta” omosessualità della ragazza, è limpido che nel caso venisse deportata in Iran Pegah rischierebbe la vita, non solo perché ormai è “la lesbica iraniana” ma anche per tanti altri motivi che vanno dalla persecuzione religiosa alla discriminazione sessuale in quanto donna, fino al tradimento e chi più ne ha più ne metta. Di certo ai giudici iraniani non mancano gli argomenti per condannarla a morte.
Tuttavia rimane il problema della richiesta di asilo impostata esclusivamente sulla omosessualità di Pegah, richiesta che allo stato attuale non può essere accolta così com’è in quanto aprirebbe un caso di immensa portata sui richiedenti asilo e che comunque necessiterebbe di un apposito decreto che riconosca la “non dimostrabilità” della propria omosessualità Una cosa, questa, che potrebbe avere un rovescio della medaglia e aprire la strada della richiesta di asilo a chiunque si dichiari omosessuale pur non essendolo.
Chiarito questo aspetto fondamentale, non rimane altro che presentare la richiesta di asilo per Pegah sotto un’altra forma che non sia esclusivamente basata sulla presunta omosessualità della ragazza, ma soprattutto occorre mettere da parte gli interessi politici dei vari personaggi che ruotano attorno a questa vicenda i quali vorrebbero creare un precedente che, in questo momento, la Gran Bretagna non si può permettere. Insomma occorre mettere il bene di Pegah al di sopra di qualsiasi interesse politico o personale. Lo so che il caso può offrire una grande visibilità, ma cercare la notorietà a discapito della salvaguardia della vita di Pegah non è ammissibile. Prima deve venire il bene e il diritto di Pegah, se poi ne avanza chi vuole potrà attribuirsi i meriti che ritiene e farsi bello di fronte al mondo, ma non prima e non a discapito delle possibilità “reali” che Pegah ha di rimanere in Gran Bretagna.
Per la cronaca, l’avvocato che segue la vicenda sta preparando una richiesta di asilo basata anche su altre argomentazioni che permettano al Governo britannico di accettarla senza necessariamente creare un precedente pericoloso. In ogni caso (anche in quello in cui le venga rifiutato l’asilo) Pegah non verrebbe deportata in Iran ma verrebbe espulsa verso un qualsiasi paese disposto a ospitarla, tra i quali ricordiamo c’è l’Italia. Non verrebbe nemmeno accettata una eventuale richiesta di estradizione fatta dall’Iran essendoci in Europa il divieto di estradare qualsiasi persona verso paesi dove la persona estradata sia a rischio di condanna capitale o disumana.
Concludo ribadendo la necessità di rimanere vigili ma senza falsi allarmismi e soprattutto senza campagne medianiche mirate a ottenere un ritorno di immagine o politico a discapito della salute, già fragile, di Pegah Emambakhsk.
Miriam Bolaffi
Pegah esce dal centro di detenzione
di Farian Sabahi *
Pegah Emambakhsh è uscita ieri sera dal centro di detenzione inglese di Yarl’s Wood e si trova a casa di amici a Sheffield. La quarantenne iraniana che ha chiesto asilo nel Regno Unito ha rischiato di essere deportata a Teheran, dove sarebbe stata condannata per avere amato un’altra donna.
Per gli avvocati è un’ottima notizia “perché Pegah non è più considerata una clandestina ma una profuga con diritto d’asilo. Entro due settimane sarà sentita per la prima volta dalla Corte d’Appello e nei prossimi cinque mesi sarà ascoltata ancora, fino alla concessione dell’asilo, ormai molto probabile”.
A imprimere una svolta è stata la campagna “Fiori per Pegah” organizzata dal gruppo italiano EveryOne di Roberto Malini e Matteo Pegoraro che fanno osservare come “questo caso sia una pietra miliare nella difesa di coloro che sono perseguitati per l’orientamento sessuale”.
* La Stampa, Blog di Farian Sabahi - ISLAM E DEMOCRAZIA. 12/9/2007
Uscita ieri sera dal carcere inglese dove si trovava per l’accusa di immigrazione clandestina
Fuggita in Gran Bretagna da Teheran: qui l’attendeva la condanna a morte per omosessualità
Londra, libera la lesbica iraniana Pegah
Rischiava il rimpatrio e la lapidazione
Poettering scrive a Gordon Brown: "Assicuriamoci che non venga fatta tornare nel suo Paese" Grande mobilitazione internazionale, anche l’Italia disponibile ad accoglierla e darle asilo*
LONDRA - Pegah, la donna lesbica iraniana che dalla Gran Bretagna rischiava l’estradizione nel suo paese e la morte, "è libera". A dare l’annuncio è il gruppo EveryOne, che ha promosso la mobilitazione per la sua vita, e che fa sapere che la donna "si trova a casa di amici a Sheffield".
La notizia della liberazione di Pegah Emambakhsh dal centro di detenzione di Yarl’s Wood di Clapham - fa sapere il gruppo EveryOne - è arrivata nella tarda serata di ieri. La sua liberazione, dicono con soddisfazione dall’organizzazione, è frutto della mobilitazione internazionale ha cui hanno aderito migliaia di cittadini e centinaia di associazioni e organizzazioni per i diritti umani.
La donna si era rifugiata in Inghilterra per sfuggire una condanna a morte per omosessualità. Ora il governo britannico ha cambiato posizione ed il suo status non è più quello di persona accusata di immigrazione clandestina ma di rifugiata in attesa di permesso di soggiorno. Non sarà quindi costretta a tornare in Iran.
L’appello di Poettering a Brown: "Trattare con urgenza il caso". In una lettera al primo ministro britannico Gordon Brown il presidente del Parlamento Europeo Hans Gert Poettering ha chiesto ufficialmente al governo britannico di "trattare con urgenza il caso di Pegah Emambakhsh e agire in modo tale che la signora non venga rimandata nel suo Paese d’origine, dove l’attenderebbe la morte certa". Un appello, quindi, a trovare una soluzione certa e definitiva per la donna.
"Ora che Pegah è fuori del carcere possiamo tirare un sospiro di sollievo - ha detto Matteo Pegoraro di EveryOne - queste ultime ore sono state piene di tensione, eravamo preoccupati per la salute di Pegah e ci attendevamo una risposta da Yarl’s Wood, dopo le nostre ultime campagne per la sua liberazione".
Una campgana internazionale. La campagna lanciata via Internet dal gruppo EveryOne ha raccolto oltre 20 mila adesioni e sono giunti nel carcere inglese - secondo quanto riferisce lo stesso gruppo - quasi 30 mila mazzi di fiori indirizzati alla donna. Nell’arco di due settimane - conclude EveryOne - Pegah verrà ascoltata dall’Immigration Court, ossia la Corte d’Appello inglese, cui i legali si sono rivolti per una definitiva risoluzione del caso.
"Vigileremo con attenzione - osserva Pegoraro - rimanendo accanto a Pegah, ansiosi di conoscere la decisione finale della Corte in merito alla sua richiesta di asilo come rifugiata nel Regno Unito".
Nel 2005 la fuga da Teheran. La donna, il cui caso ha avuto un’enorme eco internazionale - anche l’Italia non aveva escluso di accoglierla e concederle asilo per evitarne la condanna a morte in patria - era fuggita nel 2005 nel Regno Unito dopo che la sua compagna era stata arrestata, ed aveva chiesto asilo. Asilo che dopo due anni di attesa le era stato negato. Il 13 agosto scorso, infatti, era stata arrestata e l’Home Secretary, Jaqui Smith, aveva deciso la sua deportazione a Teheran, dove l’attendeva una condanna certa ad almeno 100 frustate e, con ogni probabilità, la lapidazione.
Dopo molti momenti di tensione e parecchie notti in bianco, in collegamento continuo con l’Inghilterra, finalmente la buona notizia, ricorda ancora Pegoraro. "Ora restiamo in attesa di una risposta chiara da parte del governo britannico sulla sua sorte definitiva. Vigileremo perché non si sa mai cosa può accadere e speriamo che il governo italiano, che si è interessato al suo caso, non abbassi la guardia" aggiunge Pegoraro.
"La storia di Pegah è esemplare ma è solo la punta di un iceberg di moltissimi casi simili, ugualmente gravi e disperati, che in Europa non devono più restare ignorati" conclude.
Anche Barbara Pollastrini, il ministro per i Diritti e le Pari Opportunità che da subito si è interessata al caso ha accolto la notizia con gioia. "E’ una prima bella notizia che ci fa tirare un sospiro di sollievo", dice, aggiungendo: "Ribadisco la fiducia nei confronti delle autorità britanniche e nella possibilità di trovare una soluzione definitivamente positiva. Da parte mia assicuro il massimo impegno".
* la Repubblica, 12 settembre 2007.