L’Associazione Nazionale Giuristi Democratici:
Premesso che:
ha appreso a mezzo stampa dell’irruzione senza mandato degli Agenti del Commissariato
Arenella in Napoli, presso il Policlinico II, in data 11 febbraio 2008, a fronte di presunta
notizia anonima di feticidio;
ha appreso che in tali circostanze, pur rassicurati sulla legittimità dell’aborto dal personale medico, le forze dell’ordine comunque abbiano proceduto al sequestro del materiale biologico espulso e della cartella clinica della donna, procedendo immediatamente all’interrogatorio della donna, immediatamente a seguito dell’intervento di IVG cui era stata sottoposta;
ha appreso che nell’ambito di tale intervento le forze dell’ordine abbiano mostrato alla donna il materiale biologico espulso, e, sempre in quella sede, abbiano proceduto all’interrogatorio di una donna allocata nella stessa stanza dell’indagata, donna peraltro in stato di gravidanza a rischio;
Considerato che:
le modalità ed i tempi con cui si è esperito l’intervento vanno ad incidere in maniera
rilevante sulla salute psicofisica sia della donna indagata, da pochi minuti sottoposta ad IVG, sia
della donna interrogata, in stato di gravidanza a rischio;
il sequestro del materiale biologico espulso, alla luce della rilevanza dei referti presentati
e delle testimonianze dei medici coinvolti, appariva del tutto inutile ad effettuare ulteriori
riscontri;
l’interrogatorio reso senza adeguate garanzie, nell’immediatezza dell’operazione di IVG,
era manifestamente nocivo per l’indagata, costretta, in un momento di vulnerabilità e debolezza psicofisica, a motivare e giustificare una scelta attuata nel suo interesse fondamentale alla salute ed in conformità con le procedure previste dalla legge;
alla luce del particolare contesto, stante la documentazione medica prodotta, inutile era l’interrogatorio alla donna: qualora riscontrate irregolarità nei referti, di queste semmai andavano interrogati io medici, piuttosto.
altrettanto in commentabile appare la scelta di ostensione del materiale biologico espulso, quanto censurabile la sua valenza moralmente punitiva.
Tanto più l’intera procedura pare criticabile, essendo stata posta in essere a seguito di denuncia anonima.
Ricordando che:
il Governo Italiano già è stato ammonito dal Comitato per l’applicazione della CEDAW in merito alla insufficienza di dati e informazioni sull’impatto delle politiche sanitarie sulle donne, in particolar modo rispetto all’impatto della privatizzazione della sanità sulla salute femminile, e alla mancanza di dati e di informazioni analitiche sull’assistenza sanitaria disponibile per le donne nel Sud del Paese, (raccomandazione 33) e che sempre il Comitato ha richiesto (raccomandazione 34) allo Stato membro di monitorare l’impatto delle proprie politiche sanitarie sulle donne, compreso il Piano Sanitario Nazionale, e di fornire nel suo prossimo rapporto informazioni statistiche ed analisi dettagliate sulle misure adottate per migliorare la salute delle donne, compreso l’impatto di tali misure, in conformità con la raccomandazione generale 24 del Comitato sulle donne e la salute. Il Comitato ha richiesto inoltre allo Stato membro di fornire informazioni sulle politiche sanitarie in atto per le donne del Sud, politiche ad oggi inesistenti;
il delitto di “feticidio”, e lo stato di abbandono morale e materiale della donna che questo presume, mal si addice a chi scelga di operare legittimamente un aborto in una clinica universitaria, seguita da professionisti. Sarebbe un uso indebito dello strumento penale, se tale imputazione servisse quale mezzo di controllo (a posteriori) della legittimità della valutazione dei sanitari sullo status di salute delle donna e sulla richiesta di interruzione della gravidanza o di aborto terapeutico. Ciò infatti negherebbe la capacità professionale e morale dei sanitari di valutare insieme alla donna, con coscienza e responsabilità, la opportunità e legalità del ricorso all’aborto nella sua specifica situazione.
In luce di quanto sopra esposto, l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici esprime:
la propria solidarietà alle donne coinvolte;
il proprio malessere a fronte del censurabile intervento delle forze dell’ordine;
profonda preoccupazione ed attenzione per quanto nel complesso accaduto presso il Policlinico di Napoli;
Si auspica:
che prontamente vengano posti in essere i necessari accertamenti per verificare la legittimità delle operazioni effettuate;
che non si addivenga a superflue ed arbitrarie compressioni dell’autodeterminazione femminile nella scelta di sottoporsi ad IVG, nei limiti e con le procedure previste dalla legge, criminalizzando o tentando di criminalizzare a posteriori scelte già valutate e adeguatamente documentate come legittime dal personale medico incaricato di seguire la donna nell’iter abortivo;
che non si tenti, attraverso un utilizzo indiscriminato dello strumento penale, lontano da una sua applicazione costituzionalmente orientata, di sviare l’attenzione dai problemi che affliggono la società tutta, quella campana in maniera particolare, fomentando gli animi a dispute ideologiche, etiche e morali che non attraverso il piano repressivo possono svilupparsi o radicarsi come affermate;
che si ponga invero maggiore attenzione alla carenza di formazione e informazioni sulla salute delle donne, specialmodo nel Sud Italia, e si concentri la propria attenzione sul rafforzamento delle strutture consultoriali di supporto alla libera determinazione della donna, piuttosto che minarne l’esercizio attraverso il controllo penale, che potrebbe esacerbare il problema pur ancora presente degli aborti clandestini;
che tale episodio non sia prodromico ad una strumentalizzazione politica volta a mettere in discussione diritti fondamentali costituzionalmente garantiti e giuridicamente acquisiti che fanno ormai parte della consapevolezza collettiva quali l’autodeterminazione della donna ed il diritto alla salute della donna in gravidanza.
Si impegna:
nel sostenere l’informazione e la tutela giurisdizionale del diritto alla salute delle donne in
gravidanza.
Bologna-Napoli-Torino, 12 febbraio 2008
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
ABORTO, LE DONNE IN PIAZZA IN TUTTA ITALIA (FOTO - LA REPUBBLICA)
Legge 194, la minaccia delle troppe obiezioni
di Silvia Ballestra (l’Unità, 23.10.11)
Un diritto conquistato, acquisito e in via di estinzione: il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza sancito dalla legge 194. L’allarme arriva dai ginecologi della «Laiga», (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’ Applicazione della 194) ed è chiaro e semplice: i medici che praticano l’aborto nelle strutture pubbliche italiane non sono più di 150, mentre la percentuale di obiettori supera il 70 per cento. A farla breve, tra cinque anni in Italia sarà impossibile abortire legalmente in strutture pubbliche, cioè si cancellerà un diritto e si affosserà una legge che ha dato eccellenti risultati (aborti entro la dodicesima settimana più che dimezzati dal 1982).
Perché accade questo? Possibile che tutte le obiezioni di coscienza abbiano solide radici morali o religiose. Certo che no. Con i non obiettori costretti a rispondere da soli alla domanda di interventi, infatti, accade che chi obietta abbia più possibilità di carriera, promozioni più facili, agevolazioni, promozioni più veloci, complici le gerarchie sanitarie.
Naturalmente intervenire sarebbe semplice e basterebbe qualche minimo ritocco alla legge. Per esempio continuare a garantire ai medici (e anestesisti, paramedici, ecc.) il diritto all’obiezione di coscienza, vincolandolo però ad alcune condizioni (scatti meno frequenti, minor retribuzione, limitate possibilità di carriera). Potremmo in questo modo salvaguardare un diritto che ha salvato la vita a molte donne e al tempo stesso non è un dettaglio verificare la sincerità di tante scelte «morali» che nascondono dietro le sbandierare convinzioni pro-vita le loro egoistiche aspirazioni pro-carriera.
L’aborto è di Stato
di Ida Dominijanni (il manifesto, 15 febbraio 2008)
C’è fra lo Stato moderno e le donne un’antica inimicizia, fatta di esclusione da una parte e di estraneità dall’altra, che la costruzione della cittadinanza non è mai riuscita a sanare del tutto ma solo a lenire. La legge italiana numero 194 è stata una tappa cruciale di questo lenimento: siglando, fra donne e Stato, non la pace ma un armistizio. La procura di Napoli che ha ordinato il blitz del Policlinico, i poliziotti che l’hanno eseguito con zelo in eccesso, i politici che lo approvano, lo sdrammatizzano o lo spoliticizzano, i predicatori che lo cavalcano per testare (scusate la volgarità della citazione letterale) la grandezza dei propri genitali, devono sapere che hanno rotto questo armistizio e assumersene, da adulti e non da bambini, da padri e non da figli in perenne rivolta edipica contro le madri e contro la Madre, le dovute responsabilità.
Da oggi sul tappeto non c’è solo la questione dell’aborto, o la difesa della 194. E sbaglierebbero anche le donne se si lasciassero prendere nella trappola strumentale di questo perimetro. La questione sul tappeto è quella dello Stato costituzionale di diritto. Quello che garantisce - o dovrebbe - che le leggi siano applicate correttamente e non in un clima di emergenza permanente, quello che stabilisce - o dovrebbe - procedure giudiziarie corrette, quello che ci tutela - o dovrebbe- dagli abusi delle forze dell’ordine, quello che difende - o dovrebbe - il rapporto fra medico e paziente da aggressioni e interferenze indebite. Prima di discutere dell’aborto si discuta di questo: a quando un’ispezione nella procura di Napoli? Da quando una telefonata anonima è quanto basta per ordinare un blitz? L’infermiere anonimo verrà gratificato con un encomio allo zelo pro-life? Noi comuni mortali dovremo munirci di avvocato prima di entrare in una sala operatoria? E i medici, prima di fare una disgnosi fetale, dovranno dare un’occhiata ai giornali per vedere che aria tira?
Non è la prima volta e non sarà l’ultima che l’aborto si fa segno di più generali questioni: proprio perché l’aborto, al contrario di quanto sostiene la scellerata campagna sulla sua «faciloneria», si colloca su un delicato crinale, fra coercizione e libertà, fra garanzie collettive e decisione individuale, fra specie e singolarità. Bombardare questo delicato crinale a colpi di cannone significa bombardare, con la cittadinanza femminile, l’edificio dello Stato di diritto, tornare a uno Stato violento da un lato e paternalista dall’altro, che si fida più dei poliziotti che delle donne, e delle donne fa quando va bene delle vittime incapaci di intendere e di volere, quando va male delle assassine: feticide, come recita il brillante neologismo. Lasciare tutto questo fuori dalla campagna elettorale, come va predicando la premiata ditta V&B, è un’illusione falsa e truffaldina, che serve a Veltroni per non sbarrarsi il voto cattolico, a Berlusconi per non sbarrarsi il voto femminile. Siamo abituati a una politica che si nutre di confusione, ma ci sono questioni che domandano chiarezza. E se non la ricevono, la fanno.
Manifestazioni a Roma, Napoli, Milano, Bologna, cortei spontanei e sit-in
Momenti di tensione nella capitale: sfondato il blocco della polizia
Aborto, le donne in piazza
"Nessuno tocchi la 194"
ROMA - Donne (e uomini) in piazza a Napoli, Milano, Roma, Bologna, sit-in e cortei in difesa della legge 194 e per protestare contro il blitz della polizia al Policlinico Federico II di Napoli per una presunta interruzione di gravidanza illegale. E’ stata la giornata della protesta, sfociata in cerrti casi anche in momenti di tensione. Come nella capitale, quando centinaia di manifestanti hanno sfondato lo schieramento delle forze dell’ordine per dirigersi verso il centro storico. La mediazione di parlamentari, in particolare di Franca Rame, ha contribuito a rasserenare il clima. Le manifestazioni hanno avuto le adesioni dei ministri Livia Turco, Giovanna Melandri, Paolo Ferrero, e di numerose associazioni, come l’Arcigay. E non sono mancati slogan e striscioni contro Giuliano Ferrara.
Tensione a Roma. Nella capitale gli incidenti sono iniziati quando le donne, riunite sotto il ministero della Salute per un sit-in, hanno forzato il blocco della polizia per dirigersi dal Lungotevere verso piazza Argentina. Lì si sono avuti i momenti più forti di tensione, con il fermo di una donna e il traffico bloccato da parte delle manifestanti. La strada è stata liberata quando la giovane fermata è stata rilasciata. Franca Rame ha invitato le donne a liberare la strada e, come atto pacificatore, ha baciato sulle guance un dirigente del commissariato di polizia. La manifestazione, alla quale - seecondo gli organizzatori - hanno partecipato quattromila persone, è poi proseguita in modo pacifico. In precedenza, il ministro Turco aveva incontrato le donne sotto il suo ufficio: "Quanto accaduto a Napoli non deve più succedere. Sono contenta che le donne siano qui - ha detto - per difendere una legge importante, applicarla bene e riaffermare un valore, quello della responsabilità e dell’autonomia delle donne".
La protesta a Napoli. Alcune centinaia di donne hanno partecipato alla manifestazione indetta dall’Udi. Piazza Vanvitelli, nel quartiere del Vomero, è stata occupata da gruppi di donne dei partiti di sinistra e di movimenti femministi. Presenti anche le senatrici di Prc Lidia Menapace, Maria Luisa Boccia, Olimpia Vano e Erminia Emprin. Tra i parlamentaro, anche Raffaele Tecce e Tommaso Sodano (Prc) e Maria Fortuna Incostante (Pd). Cartelli e slogan contro il Vaticano, contro Papa Ratzinger e contro Giuliano Ferrara, definito "il talebano italiano".
Corteo spontaneo a Bologna. E’ nato come un presidio, davanti al reparto di ginecologia del policlinico Sant’Orsola-Malpighi, è diventato un blocco del traffico e poi un corteo di diverse centinaia di persone che, partito da fuori le mura del centro storico, ha raggiunto piazza Maggiore. La protesta ha coinvolto donne e uomini di tutte le età: tanti i cartelli e gli slogan, è ricomparso anche lo storico "Tremate tremate / le streghe son tornate", o "La 194 non si tocca / la difenderemo con la lotta". Anche qui cori contro Giuliano Ferrara e contro l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra. Iniziato con alcune centinaia di persone, il corteo ha superato il migliaio di partecipandi. Fra questi, anche la parlamentare Katia Zanotti (Sd) e il collega Franco Grillini (Sdi).
Gli "indignati" a Milano. Anche a Milano erano centinaia le donne, e anche gli uomini, scesi in piazza San Babila per denunciare la loro "indignazione sia riguardo i fatti di Napoli, sia riguardo chiunque voglia toccare la normativa". Analoga protesta si è tenuta davanti alla clinica Mangiagalli, vicino al Policlinico. Protagoniste dell’iniziativa sono state molte associazioni femminili fra cui la "Rete regionale lombarda". Presenti anche esponenti del mondo sindacale e politico, fra Cgil, Sdl, Prc, Verdi, Pd.
* la Repubblica, 14 febbraio 2008.
«Siamo tutte parte lesa» Le donne in piazza per la 194 A Roma tafferugli con la polizia
di Paola Zanca *
Più che di salute, quello che è successo a Napoli è una questione di giustizia. E a Roma le donne scese in piazza per rivendicare il loro diritto all’autodeterminazione, lo fanno capire chiaro e tondo: il sit in convocato davanti al ministero della Sanità, si trasforma presto in un corteo che arriva fino al ministero di Grazia e Giustizia. Polizia volente o nolente.
Già dall’inizio la manifestazione era iniziata tesa: le centinaia di donne - ma c’è anche qualche uomo, pochi purtroppo - bloccano il traffico di Roma e nessuno sembrava averlo previsto. Lungotevere in tilt, vigili urbani nel panico e automobilisti arrabbiatissimi. Insomma, obiettivo raggiunto: «Bisogna creare disagio, perché non se ne può più - gridano le manifestanti - Vi rendete conto di come si è sentita quella donna?». Già, quella donna, Silvana. Il suo nome è scritto su centinaia di cartelli che le dicono «siamo tutte con te». Nessuna, dalla più giovane fino alle donne che di storie simili a questa ne hanno viste e vissute tante, riescono a capacitarsi di come possa essere successo. La polizia a indagare su un aborto.
Tanti gli striscioni contro Giuliano Ferrara e la sua lista antiaborista. Come preannunciato, in strada c’è anche il ministro Livia Turco, che è qui a «affermare il grande valore della responsabilità e l’autonomia delle donne». Molte le parlamentari da Elettra Deiana a Titti de Simone, da Tana de Zulueta a Heidi Giuliani. C’è l’esponente del Pd e di GayLeft Paola Concia, già protagonista di un’accesa querelle con la senatrice Paola Binetti è felicissima: «Sono uscite tutte!» esclama guardando la strada gremita. C’è Dacia Maraini, scrittrice e femminista, che per descrivere le contraddizioni della Chiesa, usa una metafora di stretta attualità: «Non si può proibire l’aborto - spiega - se non hai alternative alla castità. Sarebbe come dire “combattiamo le morti bianche” e allo stesso tempo vietare l’uso di caschi e imbracature».
Poi, di caschi se ne vede qualcuno. Sono quelli della polizia che arriva in assetto antisommossa. Le manifestanti sono riuscite a “far fuori” la sparuta manciata di poliziotti che presidiava il sit in. Le donne vogliono fare un corteo, e lo fanno. «Mettetevi nei nostri panni, non è giusto, queste cose vanno autorizzate», le implora il delegato del questore. Loro insistono che «nemmeno quello che è successo a Napoli è giusto». Si trova l’accordo, ma ogni metro in più è un mezzo tafferuglio. Alla fine, si arriva agli spintoni, e c’è pure una donna fermata e subito rilasciata. Nel corteo fiero e triste tutte mormorano: «...Capirai, mo’ se vince la destra...»
* l’Unità, Pubblicato il: 14.02.08, Modificato il: 14.02.08 alle ore 20.32
Aborto, migliaia in piazza in tutta Italia
"Basta attacchi alla 194". Tensione a Roma *
19:53 Le promotrici: "Quattromila a Roma" "Abbiamo sfilato in oltre 4mila". È la stima fatta dalle organizzatrici al termine della manifestazione delle donne in difesa della legge sull’aborto. "Il corteo è nato spontaneamente e l’intenzione era di fermarci al Fatebenefratelli - ha spiegato un’organizzatrice - ma eravamo così numerose che abbiamo deciso di proseguire"
19:37 Lettera appello delle intellettuali alla sinistra Caro Veltroni, caro Bertinotti, cari dirigenti del centro-sinistra tutti, ora basta!". La lettera-appello firmata da 12 donne autorevoli in diversi campi aprirà il prossimo numero speciale di MicroMega. L’appello è firmato da: Simona Argentieri, Natalia Aspesi, Adriana Cavarero, Isabella Ferrari, Sabina Guzzanti, Margherita Hack, Fiorella Mannoia, Dacia Maraini, Alda Merini, Valeria Parrella, Lidia Ravera, Elisabetta Visalberghi. Nell’appello si denuncia "L’offensiva clericale contro le donne - spesso vera e propria crociata bigotta - ha raggiunto livelli intollerabili. Ma egualmente intollerabile appare la mancanza di reazione dello schieramento politico di centro-sinistra, che troppo spesso è addirittura condiscendenza".
[...]
* la Repubblica, 14.02.2008 (ripresa parziale)
Perchè le donne si sono riprese la parola
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 16/2/2008)
Dopo settimane di continuo, violento attacco al diritto delle donne di decidere se portare a termine una gravidanza da parte sia dei massimi vertici della Chiesa cattolica che dei vari teodem e teocon, le donne si sono ripresa la parola e lo spazio pubblico da cui di fatto quell’attacco cerca di estrometterle. Prima ancora che una manifestazione a difesa della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la manifestazione spontanea di giovedì è stata la rivendicazione del diritto prioritario delle donne a decidere su ciò che riguarda innanzitutto loro e che per esistere deve passare attraverso il loro consenso e accoglimento.
Di fronte al silenzio imbarazzato dei partiti, incluso il Pd, timorosi di urtarsi con la Chiesa e per questo troppo spesso dimentichi della necessità di difendere i diritti civili, a partire da quello fondamentale dell’habeas corpus, le donne che sono scese in piazza ricordano che il corpo delle donne non è, come denunciava già anni fa la filosofa tedesca Barbara Duden, luogo pubblico, su cui tutti, salvo loro stesse, hanno diritto di intervenire. La mediazione necessaria del corpo femminile per mettere e venire al mondo non può che passare dal riconoscimento della libertà e della dignità femminile.
La manifestazione di giovedì reagisce alla degenerazione del dibattito pubblico attorno alla questione dell’aborto, che ha raggiunto nel nostro Paese impensabili abissi d’inciviltà e mancanza di rispetto per le donne e le loro scelte difficili. È vero che i teodem, che fino a ieri appoggiavano entusiasticamente Ferrara, al punto che sembrava volessero farlo «santo subito» cominciano a prendere cautamente le distanze rispetto alla sua lista pro-life. E l’Osservatore Romano addirittura raccomanda di abbassare i toni e evitare «strumentalizzazioni ad uso elettorale sui temi etici», auspicando un «dibattito sereno e obiettivo». Ma non possono facilmente chiamarsi fuori dalla responsabilità di aver creato questo clima violento, che pretende di zittire chi la pensa diversamente sull’esistenza di una vita umana fin dal concepimento e ha ridotto tutta la discussione sul diritto alla vita al diritto dell’embrione. Non si sente infatti, da parte di questi difensori degli embrioni, un’indignazione, una proposta di mobilitazione, neppure vagamente paragonabile per le condizioni di povertà, malattia, sfruttamento in cui si trovano a vivere molti bambini e alla violenza e negazione di sé cui sono condannate le donne in molte parti del mondo. La vita sembra contare ed evocare solidarietà solo prima che ci siano esseri umani in carne ed ossa. Poi diviene molto meno importante, se non irrilevante. Molte delle donne che sono scese in piazza sono madri, figlie, compagne, che quotidianamente costruiscono le condizioni di una vita decente per i loro figli, mariti, compagni, genitori anziani, nella cura quotidiana richiesta dalla riproduzione della vita. Sono scese in piazza perché loro e le altre possano continuare a farlo liberamente. C’è ancora molto da fare perché le condizioni di questa libertà siano garantite nel nostro Paese. Ma l’ultima cosa da fare è obbligare le donne a mettere al mondo un figlio che non vogliono o non possono avere, mettendo sotto tutela il loro corpo e impedendo loro di decidere su di sé.