[...] Dopo la terribile crisi economica e finanziaria che ha distrutto le banche e l’economia dell’Islanda, gli isolani hanno trovato la forza per lasciarsi alla spalle un periodo difficile e, partendo proprio dalla Carta fondamentale, ricominciare un percorso di vita istituzionale da sempre caratterizzato dal rispetto per le regole, da grande tolleranza e un’avanzata concezione dei diritti civili [...]
Al voto, sognando l’Islanda...
di Bruno Gambardella *
Mentre in Italia il presidente del consiglio e quasi tutti i suoi ministri dichiarano (senza arrossire) che non si recheranno ai seggi domenica o lunedì perché i referendum sarebbero inutili, altre nazioni rendono al mondo testimonianza di democrazia, civiltà e senso delle istituzioni.
In Islanda, nonostante la tremenda crisi economica e il fallimento di una classe politica che non è riuscita ad arginare la bancarotta, i cittadini non hanno perso il rispetto delle istituzioni e la voglia di ricostruire. La commissione costituzionale sta lavorando al nuovo testo praticamente “in diretta” attraverso internet e i principali social network. I testi vengono condivisi e ogni articolo della bozza può essere commentato, si producono emendamenti, correzioni formali, ma si può rifiutare del tutto la proposta.
La piccola isola dei ghiacci e dei vulcani vicina al Polo nord conta solo 320 mila abitanti e senza dubbio questo favorisce un contatto diretto tra governanti e governati. La tecnologia è molto diffusa anche perché, durante il lunghissimo e rigidissimo inverno, è naturale cercare la socializzazione attraverso internet: basti pensare che nella repubblica artica due terzi degli abitanti possiede un profilo su Facebook...
Come ha fatto notare in un’intervista al quotidiano inglese Guardian il presidente della commissione, è la prima volta che una Costituzione viene riscritta grazie al contributo fondamentale del popolo della rete. L’opinione pubblica può così assistere alla nascita del nuovo documento. È un procedimento molto diverso rispetto ai vecchi tempi, quando i padri costituenti preferivano rinchiudersi in un luogo fuori mano, privo d’influssi esterni.
Dopo la terribile crisi economica e finanziaria che ha distrutto le banche e l’economia dell’Islanda, gli isolani hanno trovato la forza per lasciarsi alla spalle un periodo difficile e, partendo proprio dalla Carta fondamentale, ricominciare un percorso di vita istituzionale da sempre caratterizzato dal rispetto per le regole, da grande tolleranza e un’avanzata concezione dei diritti civili (basti pensare che la presidente in carica, dopo anni di convivenza, grazie all’approvazione parlamentare dei matrimoni gay, ha di recente sposato la sua compagna).
La Costituzione attualmente in vigore risale al 1944 (l’anno dell’indipendenza) e, ad eccezione dello status repubblicano dello Stato, non è altro che una variante nemmeno troppo significativa di quella vigente in Danimarca, Paese retto da una monarchia.
L’operazione di crowdsourcing (ovvero la condivisione di un progetto con più persone attraverso Internet) fa seguito al forum dello scorso anno dove 950 cittadini sono stati selezionati a caso per partecipare a una giornata di dibattito sulla futura Costituzione. La nuova Carta dovrebbe essere pronta entro luglio e verrà sottoposta a referendum confermativo senza passare dal Parlamento in quanto, vista la sua genesi e sviluppo, sarà un documento scritto dai cittadini per i cittadini.
L’idea che sta alla base è rivoluzionaria e accoglie il meglio che le nuove tecnologie possono offrire, a partire dal coinvolgimento dei cittadini fin dall’inizio il pubblico e non solo alla fine, attraverso il referendum. Il risultato più concreto e immediato è stato il ritorno all’ entusiasmo per un popolo in ginocchio, avvilito, impoverito, ma gli effetti positivi si sentiranno anche nel lungo termine.
Con la nuova costituzione il Parlamento avrà più poteri per controllare quel sistema bancario che è saltato a causa delle speculazioni, saranno profondamente rivisti i criteri d’elezione dei deputati e di nomina dei giudici. Il contatto continuo e diretto con gli islandesi sarà istituzionalizzato e la nuova classe politica non potrà ignorare le critiche e le sollecitazioni dell’opinione pubblica.
La bozza di documento costituzionale già piace alla rete, soprattutto ai giovanissimi, e disegna un nuovo scenario per tutte le democrazie. Certo, l’intera Islanda è abitata da un numero di persone paragonabile a quelle di un quartiere di Roma o di Milano, ma tutto ciò ci lascia sperare anche per questa disastrata Italia, dove i politici affermati sono quasi tutti oltre i 70 anni di età e vivono con fastidio il coinvolgimento diretto degli elettori, ad esempio attraverso la scheda referendaria.
Quando i cittadini potranno esprimersi frequentemente (e dopo un adeguato dibattito) sulle questioni che segnano le vicende di una nazione, le parole dei Cicchitto e dei Gasparri, dei Veltroni e dei Casini sembreranno ancor più dei vuoti esercizi di retorica, reperti archeologici di un’età che si potrà finalmente archiviare...
A proposito di voto: domenica 12 e lunedì 13, qualunque sia il vostro parere sulla privatizzazione dei servizi (in primis l’acqua), sul nucleare e sul legittimo impedimento, andate ai seggi. In attesa di un po’ d’Islanda anche da noi non facciamoci derubare della scheda referendaria... Buon voto a tutti!
* Il Dialogo, Sabato 11 Giugno 2011
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Islanda, stato di eccezione?
di Giacomo Gabellini - eurasia-rivista.org. *
“Sovrano è chi decide lo stato di eccezione”, scrive Carl Schmitt.
Applicando tale enunciato all’isolato caso islandese emerge che il governo di Reykjavik è titolare di reale sovranità, specialmente in relazione alla ricetta adottata per superare il totale dissesto finanziario che aveva provocato il fallimento nazionale del 2008. Durante i periodi di crisi “la normatività - afferma Schmitt - è impotente” e dal momento che nel caso specifico tale “normatività” è eminentemente rappresentata dal Fondo Monetario Internazionale essa è stata sospesa dal governo islandese, che ha abbandonato la tutela dei creditori esteri - inesaustamente raccomandata dal Fondo - per il bene della comunità islandese.
Qualcosa di affine era accaduto durante la Repubblica di Weimar, quando il popolo tedesco richiese l’apertura di uno stato d’eccezione che soppiantasse un ordinamento giuridico finalizzato esclusivamente ad arricchire le grandi oligarchie finanziarie e ad alimentare un circuito falsato di corruzione funzionale al mantenimento di alcuni privilegi di determinati strati sociali a scapito della comunità.
Si tratta quindi di un raro atto di audacia politica, specialmente in relazione alla stagnante realtà europea.
Al momento del crac il debito pubblico accumulato da ogni cittadino islandese ammontava a circa 500.000 euro (a fronte di una popolazione composta da 320.000 persone circa), le principali banche nazionali erano fallite nel giro di poche settimane, l’inflazione aveva superato la soglia del 18% e la recessione aveva toccato la doppia cifra percentuale.
Il debito greco lambisce il 150% del Prodotto Interno Lordo, quello islandese raggiunse nel 2008 il 1.100%.
I primi a fornire assistenza al governo di Reykjavik impegnato a raccogliere le macerie finanziare cui era stata ridotta la nazione furono gli inviati del Fondo Monetario Internazionale, che impartirono direttive affini a quelle attualmente adottate dall’Unione Europea per “salvare” la Grecia; tagli delle pensioni, erosione del Welfare, privatizzazione dei beni statali.
Stessa cosa era accaduta in Argentina.
Buenos Aires aveva iniziato nel lontano 1989 a seguire pedissequamente le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale, privatizzando l’intero patrimonio pubblico (petrolio, acqua, ferrovie, telecomunicazioni, poste, autostrade, elettricità, miniere, compagnie aeree), liberalizzando il commercio estero, riducendo stipendi e pensioni, eliminando il controllo dei cambi e tagliando il personale per contenere il debito pubblico.
La Costituzione venne modificata per fissare la parità tra peso e dollaro onde evitare che moneta potesse essere svalutata.
Parte dei proventi ottenuti per mezzo della dismissione dell’immenso patrimonio pubblico fu dilapidata dalla corrotta e inefficiente classe politica argentina e ciò che restava non fu sufficiente nemmeno a estinguere gli 8 miliardi di dollari di debito pubblico.
Nonostante il debito pubblico del paese crebbe esponenzialmente fino a lambire l’incredibile soglia di 132 miliardi di dollari nell’arco di pochi mesi, il Ministro dell’Economia Domingo Cavallo, molto vicino al Fondo Monetario Internazionale e pianificatore di tutte le manovre finanziarie argentine, fu nominato “eroe liberale dell’anno” dal New York Times.
La ricetta dell’”eroe liberale dell’anno” provocò una recessione economica che si protrasse ininterrottamente per quattro lunghi anni, portando al fallimento nazionale proclamato nel dicembre del 2001.
La lezione argentina è stata evidentemente imparata dall’Islanda, che ha scelto di ignorare i precetti del Fondo Monetario Internazionale svalutando la moneta, trasferendo i risparmi della popolazione sui conti correnti delle tre banche nazionali e congelando i fondi dei creditori stranieri depositati negli istituti di credito in fase di liquidazione.
Sullo sfondo di un’Eurozona che sforna manovre finanziarie “lacrime e sangue” imponendo enormi privazioni alla popolazione, si staglia quindi l’eccezione rappresentata dall’Islanda, che ha ridotto l’inflazione al 5% e che il prossimo anno riuscirà, secondo le stime, a incrementare il proprio Prodotto Interno Lordo del 2,8% rigettando le direttive del Fondo Monetario Internazionale.
* MEGAchip, Scritto da Giacomo Gabellini Mercoledì 05 Ottobre 2011 07:35
Il vescovo cattolico d’Islanda sta prendendo molto sul serio le accuse di abusi sessuali
di Redazione (“Ice News” del 22 giugno 2011 - traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva) *
La Chiesa cattolica in Islanda è l’ultima di una lunga serie ad essere coinvolta in uno scandalo di abusi sessuali.
"Il vescovo sta prendendo le accuse che sono state mosse riguardo a casi di abusi sessuali all’interno della Chiesa d’Islanda molto sul serio. La Chiesa vuole assolutamente sostenere le persone colpite e fornire loro tutti i servizi che essa può offrire".
Così scrive in una Lettera aperta Petur Burcei, il vescovo cattolico di Icelenad, indirizzata a Ogmundur Jonasson, ministro dell’Interno islandese. La Lettera è stata scritta in risposta ad una precisa accusa mossa dal giornale Frettatiminn riguardo a casi di abuso sessuale all’interno della Chiesa cattolica islandese, caso che aveva avuto anche un’ampia copertura dei media in occasione di un recente incontro presso il ministero degli Interni tra il vescovo, il segretario permanente del ministero, il vice ministro degli interni, un rappresentante dell’agenzia di protezione dei bambini e uno della polizia locale.
Monsignor Bürcher scrive nella sua lettera aperta che una cosa che ha chiarito nel corso della riunione è il fatto che la Chiesa cattolica stia lavorando, in collaborazione con le diocesi nordiche, per creare una piattaforma di regole e procedure su come trattare i casi di abuso sessuale quando questi vengono alla luce, a seguito di rapporti.
"A nome della Chiesa cattolica si richiede che una commissione sugli abusi sessuali o degli esperti si prefiggano di richiedere informazioni direttamente dal vescovo, sotto forma di lettera, invece di accusare il vescovo attraverso i media, con accuse di non-azione oppure di mettere tutto a tacere. Infatti è stato concordato nella riunione di cui sopra con il ministro che l’avvocato della Chiesa cattolica dovrebbe inviare tutte le informazioni che possiede”, scrive il vescovo nella sua lettera.
Ha continuato descrivendo le modalità con cui questi casi dovrebbero essere trattati, quando sussistano gravi accuse di crimini sessuali: "Non è né il ruolo delle autorità e neppure della Chiesa, ma piuttosto la magistratura a seguito di un indagine della polizia, che possa decidere sulla colpevolezza o l’innocenza di quell’accusato. La copertura mediatica degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica dovrebbe sottolineare questa questione e altresì i diritti delle persone coinvolte che sono ora decedute”, scrive il vescovo Burcei nella sua Lettera.
* FONTE- FINE SETTIMANA.ORG
Islanda, un paese che vuole punire i banchieri responsabili della crisi
di Jóhanna Sigurðardóttir *
Dal 2008 la gran maggioranza della popolazione occidentale sogna di dire “no” alle banche, ma nessuno ha osato farlo. Nessuno eccetto gli islandesi, che hanno fatto una rivoluzione pacifica che non solo è riuscita a rovesciare un governo e abbozzare una nuova costituzione, ma cerca anche di incarcerare i responsabili della débacle economica del paese.
La scorsa settimana a Londra e Reykjavik sono state arrestate 9 persone per la loro presunta responsabilità nel crollo finanziario dell’Islanda del 2008, una crisi profonda che si è sviluppata in una reazione pubblica senza precedenti che sta cambiando la direzione del paese.
È stata una rivoluzione senz’armi in Islanda, paese che ospita la più antica democrazia al mondo (dal 930), e i cui cittadini sono riusciti a effettuare il cambiamento solo facendo dimostrazioni e sbattendo pentole e tegami. Perché gli altri paesi d’Occidente non ne hanno neppur sentito parlare?
La pressione dei cittadini islandesi è riuscita non solo a far cadere un governo, ma anche a iniziare la stesura di una nuova costituzione (in corso), e sta cercando di incarcerare i banchieri responsabili della crisi finanziaria del paese. Come dice il proverbio, chiedendo le cose con garbo, è molto più facile ottenerle.
Questo tranquillo processo rivoluzionario ha le sue origini nel 2008 quando il governo islandese decise di nazionalizzare le tre maggiori banche, Landsbanki, Kaupthing e Glitnir, i cui clienti erano principalmente britannici, e nord- e sud-americani.
Dopo la presa in carico da parte statale, la moneta ufficiale (krona) precipitò e la borsa valori sospese l’ attività dopo un crollo del 76%. L’Islanda stava andando in bancarotta e per salvare la situazione, il Fondo Monetario Internazionale iniettò 2.100 milioni di dollari USA e i paesi Nordici contribuirono con altri 2.500 milioni.
Grandi piccole vittorie di gente comune
Mentre le banche e le autorità locali ed estere stavano disperatamente cercando soluzioni economiche, gli islandesi si sono riversati in strada e le loro persistenti dimostrazioni quotidiane davanti al parlamento a Reykjavik hanno provocato le dimissioni del primo ministro conservatore Geir H. Haarde e del suo intero gabinetto.
I cittadini esigevano inoltre di convocare elezioni anticipate, e ci sono riusciti: in aprile è stato eletto un governo di coalizione formato dall’Alleanza Social-democratica e dal Movimento Verde di Sinistra, capeggiato dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.
Per tutto il 2009 l’economia islandese continuò a essere in situazione precaria (alla fine dell’anno il PIL era calato del 7%) ma ciononostante il parlamento propose di rifondere il debito alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi con un esborso di 3.500 milioni di euro, somma da pagarsi ogni mese da parte delle famiglie islandesi per 15 anni all’interesse del 5.5%.
La decisione riaccese la rabbia negli islandesi, che tornarono in strada esigendo che, almeno, tale scelta fosse sottoposta a referendum. Altra piccola vittoria per i dimostranti: nel marzo 2010 si tenne appunto tale consultazione elettorale e uno schiacciante 93% della popolazione rifiutò di rifondere il debito, almeno a quelle condizioni.
Ciò costrinse i creditori a ripensare l’operazione migliorandola con l’offerta di un tasso del 3% protratto per 37 anni. Ma anche questo non bastava. L’attuale presidente, al vedere il parlamento approvare l’accordo con un margine esiguo, ha deciso il mese scorso di non ratificarlo e di chiamare il popolo islandese alle urne per un referendum in cui avrà l’ultima parola.
I banchieri scappano per la paura
Tornando alla situazione tesa del 2010, quando gli islandesi si rifiutavano di pagare un debito contratto da squali finanziari senza consultazione, il governo di coalizione aveva promosso un’indagine per stabilire le responsabilità legali della fatale crisi economica arrestando già parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate.
L’Interpol frattanto aveva emesso mandato di cattura internazionale contro Sigurdur Einarsson, ex-presidente di una delle banche coinvolte. Questa situazione ha spaventato banchieri e dirigenti inducendoli a lasciare il paese in massa.
In questo contesto di crisi, si è eletta un’assemblea per redigere una nuova costituzione che rifletta le lezioni apprese nel frattempo sostituendo quella attuale, ispirata alla costituzione danese.
Per far ciò, anziché chiamare esperti e politici, gli islandesi hanno deciso di rivolgersi direttamente alla gente, che dopo tutto detiene il potere sovrano sulla legge. Più di 500 islandesi si sono presentati come candidati a partecipare a tale esercizio di democrazia diretta e a scrivere una nuova costituzione. Ne sono stati eletti 25, senza affiliazioni partitiche, compresi avvocati, studenti, giornalisti, agricoltori e sindacalisti.
Fra l’altro, questa costituzione richiederà come nessun’altra la protezione della libertà d’informazione e d’ espressione nella cosiddetta Iniziativa per i Media Moderni Islandesi, in un progetto di legge che mira a rendere il paese un porto sicuro per il giornalismo d’indagine e per la libertà d’informazione, dove si proteggano fonti, giornalisti e provider d’Internet che ospitino reportage di notizie.
La gente, per una volta, deciderà il futuro del paese mentre banchieri e politici assistono alla trasformazione di una nazione dai margini.
*
Fonte: www.elconfidencial.com
Storie di ordinaria rivoluzione: nessuna notizia dall’Islanda?
di Marco Pala
Qualcuno crede ancora che non vi sia censura al giorno d’oggi?
Allora perchè, se da un lato siamo stati informati su tutto quello che sta succedendo in Egitto, dall’altro i mass-media non hanno sprecato una sola parola su ciò che sta accadendo in Islanda?
Il popolo islandese è riuscito a far dimettere un governo al completo; sono state nazionalizzate le principali banche commerciali; i cittadini hanno deciso all’unanimità di dichiarare l’insolvenza del debito che le stesse banche avevano sottoscritto con la Gran Bretagna e con l’Olanda, forti dell’inadeguatezza della loro politica finanziaria; infine, è stata creata un’assemblea popolare per riscrivere l’intera Costituzione. Il tutto in maniera pacifica. Una vera e propria Rivoluzione contro il potere che aveva condotto l’Islanda verso il recente collasso economico.
Sicuramente vi starete chiedendo perchè questi eventi non siano stati resi pubblici durante gli ultimi due anni. La risposta ci conduce verso un’altra domanda, ancora più mortificante: cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei prendessero esempio dai "concittadini" islandesi?
Ecco brevemente la cronologia dei fatti:
2008 - A Settembre viene nazionalizzata la più importante banca dell’Islanda, la Glitnir Bank. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività: il paese viene dichiarato in bancarotta.
2009 - A Gennaio le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir Haarde e di tutto il Governo - la Alleanza Social-Democratica (Samfylkingin) - costringendo il Paese alle elezioni anticipate. La situazione economica resta precaria. Il Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 MILIARDI di Euro che avrebbe gravato su ogni famiglia islandese, mensilmente, per la durata di 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5%.
2010 - I cittadini ritornano a occupare le piazze e chiedono a gran voce di sottoporre a Referendum il provvedimento sopracitato.
2011 - A Febbraio il Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare. Le votazioni si tengono a Marzo ed i NO al pagamento del debito stravincono con il 93% dei voti. Nel frattempo, il Governo ha disposto le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo. L’Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l’Islanda. In questo contesto di crisi, viene eletta un’Assemblea per redigere una Nuova Costituzione che possa incorporare le lezioni apprese durante la crisi e che sostituisca l’attuale Costituzione (basata sul modello di quella Danese).
Per lo scopo, ci si rivolge direttamente al Popolo Sovrano: vengono eletti legalmente 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, tra i 522 che si sono presentati alle votazioni. Gli unici due vincoli per la candidatura, a parte quello di essere liberi dalla tessera di qualsiasi partito, erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori. La nuova Assemblea Costituzionale inizia il suo lavoro in Febbraio e presenta un progetto chiamato Magna Carta nel quale confluiscono la maggiorparte delle "linee guida" prodotte in modo consensuale nel corso delle diverse assemblee popolari che hanno avuto luogo in tutto il Paese. La Magna Carta dovrà essere sottoposta all’approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative che si terranno.
Questa è stata, in sintesi, la breve storia della Ri-evoluzione democratica islandese.
Abbiamo forse sentito parlare di tutto ciò nei mezzi di comunicazione europei?
Abbiamo ricevuto un qualsiasi commento su questi avvenimenti nei noiosissimi salotti politici televisivi o nelle tribune elettorali radiofoniche?
Abbiamo visto nella nostra beneamata Televisione anche un solo fotogramma che raccontasse qualcuno di questi momenti?
SINCERAMENTE NO.
I cittadini islandesi sono riusciti a dare una lezione di Democrazia Diretta e di Sovranità Popolare e Monetaria a tutta l’Europa, opponendosi pacificamente al Sistema ed esaltando il potere della cittadinanza di fronte agli occhi indifferenti del mondo.
Siamo davvero sicuri che non ci sia "censura" o manipolazione nei mass-media?
Il minimo che possiamo fare è prendere coscienza di questa romantica storia di piazza e farla diventare leggenda, divulgandola tra i nostri contatti. Per farlo possiamo usare i mezzi che più ci aggradano: i "nostalgici" potranno usare il telefono, gli "appassionati" potranno parlarne davanti a una birra al Bar dello Sport o subito dopo un caffè al Corso. I più "tecnologicamente avanzati" potranno fare un copia/incolla e spammare questo racconto via e-mail oppure, con un semplice click sui pulsanti di condivisione dei Social Network in fondo all’articolo, lanciare una salvifica catena di Sant’Antonio su Facebook, Twitter, Digg o GoogleBuzz. I "guru del web" si sentiranno il dovere di riportare, a modo loro, questa fantastica lezione di civiltà, montando un video su YouTube, postando un articolo ad effetto sui loro blog personali o iniziando un nuovo thread nei loro forum preferiti.
L’importante è che, finalmente, abbiamo la possibilità di bypassare la manipolazione mediatica dell’informazione ed abbattere così il castello di carte di questa politica bipartitica, sempre più servile agli interessi economici delle banche d’affari e delle corporazioni multinazionali e sempre più lontana dal nostro Bene Comune.
In fede,
il cittadino sovrano Marco Pala
(alias "marcpoling") 21/06/2011
NELLA SEDE DELL’ITALIA DEI VALORI, PROMOTRICE DI DUE QUESITI, GIÀ SI FESTEGGIA
Referendum, il quorum c’è: vota il 57%
Vertice della Lega: «Basta sberle»
Vittoria netta dei sì in tutti i quesiti. Anche -Berlusconi aveva ammesso: «Addio al nucleare» *
MILANO - Il quorum è stato raggiunto. Quella che fino a lunedì mattina sembrava solo una eventualità più che probabile (dopo il 41% di votanti registrato nella rilevazione di domenica sera) è diventata una certezza con l’arrivo dei primi dati ufficiali del ministero dell’Interno: l’affluenza alle urne per i quattro referendum si è infatti attestata al 57%. Lo stesso Silvio Berlusconi, in mattinata, a voto ancora in corso, aveva rotto il silenzio elettorale ammettendo che «dovremo dire addio al nucleare in seguito del voto popolare» e che «dovremo impegnarci sulle energie rinnovabili». Un concetto poi ribadito a risultato ormai conclamato: «La volontà degli italiani è netta su tutti i temi delle consultazioni».
I RISULTATI - Insomma, un risultato decisamente positivo per i comitati referendari, che per la prima volta da 16 anni a questa parte riescono nell’obiettivo di ottenere una partecipazione di popolo tale da garantire la validità della consultazione. In tutte le precedenti occasioni, infatti, il fronte dei no ha sempre preferito optare per una campagna pro-astensione, con l’obiettivo di far fallire il voto assommando il proprio non voto a quello degli astensionisti fisiologici, coloro che cioè non vanno a votare neppure per le elezioni politiche. Ma questa volta il «fuori gioco» referendario non è scattato. E il risultato alla fine è stato scontato: i sì per i diversi quesiti, senza significative variazioni per i diversi temi affrontati, risultano attorno al 95-97%.
RIPERCUSSIONI SUL GOVERNO - Resta ora da verificare se vi saranno ripercussioni sul governo, visto che il referendum sul legittimo impedimento coinvolge direttamente il premier Silvio Berlusconi e che gli altri tre sono comunque legati a provvedimenti approvati dal governo o legati al programma elettorale del centrodestra. Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, e il ministro Ignazio La Russa, che del partito è coordinatore, si sono affrettati a dire che gli italiani hanno votato su quesiti specifici e non sulla tenuta dell’esecutivo. Le opposizioni, dal canto loro, sono immediatamente partite all’attacco. Per il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, Berlusconi a questo punto avrebbe solo un passo da compiere: «Si dimetta e vada al Colle».
IL VERTICE DELLA LEGA - Ma non è solo l’opposizione ad analizzare il secondo risultato negativo per il centrodestra a distanza di poche settimane dalla debacle delle amministrative. Da più parti gli analisti, anche dell’area pidiellina, parlano di disaffezione degli elettori moderati e di necessità di rivedere la politica della maggioranza. La Lega ha riunito in via Bellerio il proprio stato maggiore: ci sono Bossi e i principali ministri. E anche se questi incontri sono la norma il lunedì nella sede del Carroccio, appare certo che le valutazioni che il Senatur si accingono a fare riguarderanno non solo l’esito della consultazione ma anche i rapporti interni alla coalizione. A maggior ragione considerando che domenica prossima ci sarà il tradizionale raduno di Pontida nel corso del quale Bossi parlerà al popolo leghista reduce dalla doppia sconfitta al referendum e alle elezioni amministrative, con il tracollo di Milano. Particolarmente esplicito Roberto Calderoli: «Diremo a Berlusconi cosa dovrà portare in aula il 22 giugno. Siamo stanchi di prendere sberle...».
Al. S.
DIRETTA
Seggi aperti, l’Italia alle urne
Affluenza alle ore 22 al 40,7 % *
Votazioni per il referendum Urne chiuse alle ore 22, si torna a votare lunedi mattina dalle 7 fino alle 15. Quattro i quesiti: due riguardano l’acqua, nucleare e legittimo impedimento. Il Viminane inizia a diffondere il dato della terza rilevazione sull’affluenza. Ottimismo per il raggiungimento del quorum dopo il dato delle 19, che il Ministero dell’Interno rileva dal 2003. Da allora, solo un caso di referendum confermativo, nel 2006: alle 19 l’affluenza era al 22% e si raggiunse il quorum. Il numero "magico" è 25.209.345. L’affluenza alle ore 12 era già la più alta dopo quella del voto sul divorzio (1974) e sul finanziamento pubblico dei partiti (1978). Incognita sugli italiani all’estero. Bersani: "Col 50% si cambia la storia". Berlusconi: "Non accadrà niente". A Roma hanno votato Napolitano e Ciampi, a Napoli De Magistris, a Milano il cardinal Tettamanzi. Prossima proiezione sui votanti alle 22
Seggi aperti, l’Italia alle urne
Affluenza alle ore 22 al 37,9% *
Votazioni per il referendum Si vota fino alle 22, domani dalle 7 alle 15, quattro i quesiti: due riguardano l’acqua, nucleare e legittimo impedimento. La seconda rilevazione, delle ore 19, conferma il dato positivo per il fronte del sì. Il Viminane inizia a diffondere il dato sull’affluenza rilevato alle ore 22. Ottimismo per il raggiungimento del quorum dopo il dato delle 19, che il Ministero dell’Interno rileva dal 2003. Da allora, solo un caso di referendum confermativo, nel 2006: alle 19 l’affluenza era al 22% e si raggiunse il quorum. Il numero "magico" è 25.209.345. L’affluenza alle ore 12 era già la più alta dopo quella del voto sul divorzio (1974) e sul finanziamento pubblico dei partiti (1978). Incognita sugli italiani all’estero. Bersani: "Col 50% si cambia la storia". Berlusconi: "Non accadrà niente". A Roma hanno votato Napolitano e Ciampi, a Napoli De Magistris, a Milano il cardinal Tettamanzi. Prossima proiezione sui votanti alle 22
(Aggiornato alle 22:10 del 12 giugno 2011)
* la Repubblica, 12.06.2011
Referendum . Un nuovo modello di sviluppo, questo l’obiettivo dei SI
di Ugo Mattei (il manifesto, 10.06.2011)
Siamo vicinissimi al quorum e con un ultimo sforzo possiamo farcela. Le circostanze ci sono favorevoli. L’incredibile autogol prodotto dal tentativo di scippare il referendum pesa sugli umori del fronte del no. Ma è importante che l’allargamento del perimetro del sì non faccia perdere di vista l’essenza politica di questo voto: un’inversione di rotta rispetto a un ventennio di politiche liberiste e un modello di sviluppo nuovo, fondato sulla qualità della vita e finalmente libero dalla schiavitù del Pil, del pensiero economico mainstream dei Draghi e dei poteri forti, del falso realismo conservatore. Un sì che legittima politicamente la realizzazione delle idee (sul manifesto del 7 giugno Viale ne ha esposte alcune di grande importanza) che ci possono consentire di uscire davvero dalla crisi. Tutti quei sì metteranno all’ordine del giorno la riforma del servizio idrico proposta dai Forum con la legge di iniziativa popolare mai discussa in Parlamento, e la riforma della proprietà pubblica della Commissione Rodotà, a sua volta giacente in Senato, che per prima definisce giuridicamente i beni comuni.
Il modello di sviluppo attuale ha causato Fukushima e la crisi economica che colpisce i più deboli. Un modello figlio del tatcherismo e della destra liberista degli anni ottanta e che in Italia è stato sdoganato anche a sinistra all’inizio della cosiddetta Seconda repubblica: in Toscana ed Emilia l’acqua ha subito le prime privatizzazioni, rese possibili dalla legge Galli. L’ingresso dei privati nei servizi pubblici, pur in quote minoritarie, porta sempre con sé un amministratore delegato attento solo al profitto di breve periodo. Al pubblico resta il Presidente, una figura politica scelta al di fuori di qualunque criterio di competenza specifica. Certo, il pubblico ha dei limiti, siamo i primi a riconoscerlo, ma rinunciare a individuarne la natura istituzionale al fine di correggerli è una resa al privatismo che gli italiani non possono più accettare. Il pubblico va curato insieme, con umiltà, dedizione e fantasia istituzionale. Smantellarlo a favore del privato è una scorciatoia pigra, cinica e disonesta che vogliamo sconfiggere per sempre.
Abbiamo iniziato la campagna di raccolta firme, in compagnia di migliaia di iscritti e militanti del Pd che si mobilitavano con noi nonostante i distinguo e le critiche dei D’ Alema, dei Veltroni e dei Bersani. Tutti possono oggi cambiare idea e non siamo noi a offenderci perché ai talk show invitano solo politici di professione. Ma su una cosa non possiamo transigere, quali che siano le logiche della società dello spettacolo. Non è vero che quei milioni di voti che otterremo per il sì vogliono aprire una discussione sui territori per scegliere se l’acqua vada gestita in modo pubblico, privato o misto. Il senso della scelta è chiaro fin dal 12 gennaio, quando la Corte ha ammesso i nostri due referendum. Tutti i sì che riceveremo sull’acqua bocciano senza appello e per sempre i sistemi privatistici nel governo dei beni comuni, riconoscendoli come beni da porsi fuori commercio, le cui utilità sono funzionali alla soddisfazione di diritti fondamentali della persona e che vanno governati anche nell’interesse delle generazioni future (è l’essenza della definizione che ne diede la Commissione Rodotà).