"Non lasciateci soli".

SALVARE Il manifesto !!! Ciò che è in gioco è la libertà d’informazione, la democrazia - a cura di Federico La Sala

Non è come le altre volte, non è la solita ciclica difficoltà, è una faccenda molto più seria.
mercoledì 1 ottobre 2008.
 

LA RESA DEI CONTI. ECCO PERCHE’ RISCHIAMO LA PELLE

di Francesco Paternò (il manifesto, 24 giugno 2006)

E’ anomalo che un’anomalia duri da più di trentacinque anni, ma la difficile esistenza de il manifesto è tutta qui. Siamo un mostro. Da salvare, perché se muore non si riproduce più. Perché proprio adesso rischiamo di chiudere, perché abbiamo difficoltà a pagarci gli stipendi da febbraio: è una storia singolare da giornale libero e di mercato, un’anomalia mondiale. E che vuole risanarsi per ripartire. Più o meno la stessa missione - fatte le dovute proporzioni - del ministro Tommaso Padoa Schioppa.

L’attuale pericolosissima crisi nasce da lontano. Su un fatturato di 17,5 milioni di euro e 121 dipendenti, il contributo della legge per l’editoria alla nostra cooperativa vale il 25% mentre quello da incassi pubblicitari il 9,6% contro circa il 50% degli altri giornali. Il resto delle entrate sono da vendite da edicola e dalle poche promozioni che siamo in grado di fare - perché le promozioni necessitano di investimenti importanti - e comunque tutte rigorosamente in utile. Dai libri alla musica dei cd, dove il manifesto ha affermato in poco più di dieci anni un vero marchio di qualità. Nonostante abbiamo ridotto gli oneri degli interessi passivi dal 10 al 5% fin dagli inizi del millennio, il peso del debito ci sta stritolando. Pure a fronte di un risanamento patrimoniale cominciato nel 2001 che ha portato a una secca riduzione del debito oneroso e a fronte di bilanci che, tra alti e bassi, non producono più da anni voragini nel conto economico e indicano anzi un certo equilibrio di gestione.

Il 2005 abbiamo chiuso con una buona media di 29.000 copie vendute, a causa però di eventi eccezionali come la vicenda del sequestro della nostra Giuliana e la morte di Nicola Calipari. O addirittura per la scomparsa di Giovanni Paolo II. Quel che ci sta spingendo sull’orlo del baratro è però il peso del debito, che sacrifica le risorse finanziarie correnti e azzera ogni possibilità di investimento. Quel che incassiamo serve a far fronte al piano di ammortamento del debito a breve e medio termine.

Ogni volta che discutiamo una nuova possibile iniziativa ci chiediamo: e il budget? E’ sempre zero, facciamo qualche miracolo, certamente si può e si deve provare a far meglio, ma la situazione è questa. La campagna che lanciamo oggi sta nell’esigenza di trovare subito risorse straordinarie per equilibrare i flussi finanziari, per stare contemporaneamente dietro al debito pregresso e avere denari per investire. Dove? Sul giornale innanzitutto, il cuore del mostro; su nuove iniziative editoriali che abbiano un peso sul mercato culturale e politico, come è successo con il nostro supplemento dei trentacinque anni; sul web, strumento principe per crescere nella comunicazione mentre è in atto una crisi mondiale della forma quotidiano, come evidenzia l’erosione di copie vendute dal New Yok Times a Le Monde e Libération per arrivare fino al nostro piccolo, grande manifesto. Internet e carta, connessioni e concorrenza, il futuro prossimo.

E’ di pochi mesi fa uno studio del Washington Post su se stesso che poneva due domande oggi ineludibili per chi fa informazione: quanto perdiamo con il giornale on line? E quanti soldi avremmo perso se non avessimo fatto l’edizione on line? Questa erosione globale delle vendite dei quotidiani (complice anche la crescita della diffusione free press) ci ha investito all’inizio del 2006. Sicuramente ci abbiamo messo del nostro, con molti errori. Abbiamo provato a rispondere con il nuovo giornale messo in edicola il 28 aprile scorso. Addio all’elegante formato americano, ecco il giornale che state leggendo più compatto nella formato, per tagliare i costi di carta e stampa (nel 2006 il prezzo della carta è aumentato principalmente per il caro-petrolio dell’8,5% e rischia di salire oltre l’11% entro dicembre), e più soggettivo nei contenuti, in particolare con la pagina 2 riservata agli editoriali e ai contributi dei lettori.

Una scelta che scarta con il resto del panorama editoriale italiano. Un giornale che ha dato nel primo mese segnali positivi, ma che non bastano più. Come non bastano più i 5.892 abbonamenti in essere tra postali, coupon e web, un record nella storia della nostra impresa ma al di sotto dell’obiettivo dei 7.000 indicato da Valentino Parlato all’inizio della campagna 2005-2006, nello scorso novembre. Un obiettivo mostruoso, verrebbe da dire. Salviamo il mostro. Perché sappiate che questo nostro esperimento antimercato rischia di chiudere. Noi ce la mettiamo tutta ma la risposta spetta a voi lettori de il manifesto e ai non lettori che tuttavia pensano che questo giornale sia un utile personaggio nella commedia, o tragedia, che stiamo vivendo.

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-  Il decreto Tremonti mette in ginocchio il quotidiano.
-  Martedì evento per la raccolta fondi. E i lettori organizzano cene e pic-nic

-  Un giorno al "manifesto" sull’orlo del baratro
-  "Non lasciateci soli".
-  E Celentano li sostiene

Parlato: ci servono 4 milioni per salvarci dalla morte, questa è la crisi più difficile

di Alessandra Longo (la Repubblica, 1.10.2008)

ROMA - Potrebbero chiudere, potrebbero fallire, «anche domani», se solo i numerosi creditori decidessero che ne hanno abbastanza, che rivogliono i loro soldi, subito. Al «manifesto» lo sanno di essere ad un passo dal burrone. Il giornale esce con un simbolico lucchetto che imprigiona una lettera della testata. Non è come le altre volte, non è la solita ciclica difficoltà, è una faccenda molto più seria.

Il decreto Tremonti, cancellando il diritto soggettivo ai contributi diretti per i giornali cooperativi, non profit e di partito, taglia le gambe ad ogni sogno, ad ogni progettualità e pone una questione di fondo, di democrazia, che va oltre le logiche individuali d’azienda.

Mancano quattro milioni di euro. Se lo Stato non li dà, bisogna comunque trovarli. La sottoscrizione è partita ed è una corsa contro il tempo: «Quattro milioni per salvarci dalla morte, organizzarci la vita, arrivare al punto di pareggio, a quelle trentamila copie che servono a stare sul mercato», dice Valentino Parlato. Lui, che ha vissuto tutti gli alti e bassi del quotidiano, assicura: «Questa è la crisi più difficile, la peggiore di tutte».

La nuova redazione di via Bargoni, anonima e funzionale, affaccia sugli striscioni anti-Gelmini appesi alle cancellate di una scuola elementare, il clima è più di battaglia che di rassegnazione. Qui lavora gente, 60 giornalisti e trenta tecnici, che non prende lo stipendio da tre mesi ma non molla. Gabriele Polo, il direttore, ha in mano il cd con lo spot salva-vita che da oggi apre il sito online del manifesto e apparirà su diversi quotidiani. Una richiesta di aiuto: «Fateci uscire, non lasciateci soli, sottoscrivete».

Non lasciateci soli. Non c’è spocchia in questo collettivo di lavoro, accusato, in passato, di un certo approccio settario con il resto del mondo. C’è, piuttosto, una sfida da dividere con altri colleghi di altre testate piccole e povere, con tutti i lettori «che hanno a cuore il pluralismo» e temono il pensiero unico. Per martedì prossimo, al Circolo degli artisti di Roma, «il manifesto» ha organizzato un evento, «parole e musica», in difesa della «cara libertà». Aprirà un video di Maurizio Crozza, chiuderà una cena. Raccolta fondi, battaglia politica, anche in leggerezza. Come leggeri e ironici sono gli epigrammi di Tommaso Di Francesco che, in un libro, prende affettuosamente di mira i colleghi. Mariuccia Ciotta, direttore con Polo, è «il gatto Silvestri» con un debole per Clint Eastwood («Ecco che il cuore le fa confusione»), Rossana Rossanda è «la non Comune di Parigi», Ida Dominjanni «Il capo cosparso di genere». Sabato 4, lettura ad alta voce, per il pubblico. «Da soli non bastiamo», dice Polo.

Soli, per la verità, non sono. L’establishment politico si è mosso, scrivono lettori comuni e non. Ieri, a sorpresa, l’incoraggiamento di Adriano Celentano: «Vi leggo, non vorrei che, improvvisamente, non ci foste più». Chi telefona, chi manda mail, chi manda soldi. Al "call center" del manifesto, Michela Gesualdo cerca di mettere ordine nell’abbraccio dei lettori: «Stanno organizzando pic-nic, cene, precari e studenti donano quel che possono, anche dieci euro». Con la crisi economica, però, la meta è lontana. Sono a quota sessantamila euro.

E comunque non bastano i soldi, ci vuole, contemporaneamente, la battaglia politica. Dice Parlato: «Le leggi si possono anche cambiare». «No, la nostra vita non può essere appesa alla discrezionalità del governo», aggiunge Ciotta. Il nodo vero è proprio questo, la libertà d’informazione, la democrazia. Integra Polo: «Si restringono gli spazi di libertà, si trasforma un diritto in una concessione, il cittadino in suddito. La nostra vicenda è paradigmatica. Questo governo può decidere se farci vivere o morire a seconda delle disponibilità di bilancio. Eccolo il vulnus: la mercificazione dell’informazione».

E invece vogliono vivere, i colleghi del «manifesto», e anche gli altri di Liberazione, dell’Unità. Vuol vivere «il manifesto», solo a giugno passato con successo al colore, e diventato quasi disciplinato, nell’organizzazione, in ossequio alla ricetta risanatrice di Sergio Cusani. Vuole vivere il giornale di Pintor per parlare, dice Polo, «a tutti quelli che pensano che un’opinione comune sulla vita pubblica vada ricostruita, a tutti quelli che si oppongono alla gestione feudale di Berlusconi, a tutti quelli che cercano di dare una nuova identità alla parola sinistra».


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