Chi balla sulla tomba di Don Milani? *
Dopo decenni di totale disinteresse verso la storia ed i luoghi di Don Lorenzo Milani, l’Amministrazione del Comune di Vicchio (Firenze) decide di ritirare le chiavi della Biblioteca, fino a oggi sede del Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana. Nel contempo, al Presidente Nanni Banchi, la stessa Amministrazione ha proposto un protocollo di intesa assolutamente inaccettabile, nel quale clausole abilmente inserite minano alla radice lo spirito ed i contenuti documentali dell’Associazione, che ha negli anni salvaguardato, a partire da Vicchio e Barbiana, la memoria e la diffusione nel mondo intero, del pensiero pedagogico e politico di Don Lorenzo Milani.
G. Z.
Scrive Nanni Banchi:
Vicchio, 1 febbraio 2007
Mi è stato chiesto di descrivere un po’ quello che c’è in giro intorno alla grande figura del sacerdote (profeta) Don Lorenzo Milani fondatore, insieme ai suoi montanari, contadini, operai analfabeti, della Scuola di Barbiana che ormai insegna a tutto il mondo come bisogna essere dentro di noi per fare una scuola evangelica, per innalzare la dignità degli ultimi della terra, portandoli alla pari di quelli che hanno soldi e centinaia di libri in casa.
Quindi... ingiro c’è quello che c’è sempre stato: l’odio dei partiti verso di lui, come ai tempi della Scuola, l’odio delle Amministrazioni e degli amministratori.
L’atteggiamento abbastanza ambiguo della Chiesa, che non si sa da che parte sta, se sta con l’insegnamento di don Lorenzo Milani o con la Scuola Italiana che crea un insegnamento che ci ha portato al penultimo posto, a livello culturale, in Europa.
Nessuno dei sopracitati ha fatto qualche passo verso il Suo insegnamento. L’unica cosa che queste istituzioni fanno, e sanno fare, sono le feste, le ricorrenze, i convegni e convegnini, come qualcun altro ha fatto dentro la Scuola di Barbiana. Così tutti lo tirano per la tonaca e tutti lo vorrebbero dalla sua parte, e tutti ne vorrebbero la paternità; però, purtroppo, nessuno ne segue le tracce. Con alcune eccezioni: per esempio Francuccio(1) che di tutti gli allievi è rimasto il più vicino insieme a Edoardo(2) che si sta battendo insieme a decine di scuole, di qualsiasi ordine e grado, per inserire nella nostra scuola progetti di scuola milaniana, e tantissimi missionari, preti, suore e anche gente comune che ha aperto scuole tipo Barbiana in tutto il mondo.
Inoltre posso anche dire che ci sono in Italia persone comuni, e sacerdoti, e non, che fanno scuola nelle realtà difficili delle città italiane, mettendo a rischio la propria vita, e che lo Stato non ci pensa nemmeno ad aiutarli.
Però la cosa più tragica è quella, per me, che vivendo nel paese dove ha vissuto Don Lorenzo Milani gli amministratori, perché hanno il potere, ci vogliono togliere la parola, inserendo regole e limitazioni(3) al funzionamento del Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana, che presiedo, che tradiscono completamente il pensiero del nostro Priore.
Nanni Banchi, falegname di Barbiana
1) Francuccio Gesualdi, fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo 2) Edoardo Martinelli, allievo di Don Milani, coautore di Lettera a una professoressa 3) vedi il filmato con le interviste a Nanni e Nevio (allievo di don Milani coautore di lettera a una professoressa)
Giovanni (Nanni) Banchi, classe 1937, ha personalmente vissuto l’epoca di Don Lorenzo Milani, è stato il falegname di Barbiana ed ha visto crescere sotto i suoi occhi gli allievi della Scuola di Barbiana. 25 anni fa ha salvato Barbiana dallo sfacelo dell’abbandono e, nel completo disinteresse delle amministrazioni che si sono succedute negli anni, da allora è punto di riferimento per le decine di migliaia di persone che hanno visitato Barbiana in questi anni, accogliendoli, accompagnandoli nei luoghi e testimoniando il pensiero milaniano.
Aderisci alla petizione a
supporto del Centro Formazione e Ricerca Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana
N.A.Di.R. informa | altre lettere di N.A.Di.R. informa
A Barbiana il sentiero della Costituzione
Nasce a Barbiana in provincia di Firenze, per iniziativa della Fondazione don Lorenzo Milani, «Il sentiero della Costituzione». *
Saranno allestiti in modo permanente, lungo il sentiero nel bosco che sale per 1,5 km. fino alla Scuola di Barbiana, cinquanta grandi pannelli con gli articoli della Costituzione italiana, illustrati con immagini disegnate da ragazzi di diverse scuole italiane. Una sorta di libro di strada per stimolare le scolaresche, che sempre più numerose si recano a Barbiana, a riflettere sui valori costituzionali. Il Sentiero è lo stesso che percorse don Lorenzo Milani quando arrivò la prima volta a Barbiana. All’epoca, alla canonica si accedeva unicamente per quella mulattiera. Il percorso costituzionale sarà presentato durante una conferenza stampa oggi, mercoledì 14 aprile, nella sede della Provincia a Firenze.
* Avvenire, 14.04.2010
LETTERA DI DON LORENZO MILANI A GAETANO CARCANO - MILANO *
Barbiana, 3.9.1958
Caro signor Carcano,
ho ricevuto il suo dattiloscritto e l’ho letto più volte con cura. Ho anche cercato di annotare qualcosa. Ho dovuto però concludere che non ci potevo far nulla.
Se dovessi presentarmi io al Convegno vorrei andare subito al nocciolo del problema degli operai e dei contadini lontani: l’atteggiamento politico e sociale del clero.
Ho nel mio vecchio popolo di San Donato una ventina di licenziati della R. [Importante fabbrica di Sesto Fiorentino]. Gente che ci ha lavorato anche decine d’anni e ci ha rimesso magari anche la salute (silicosi e reumatismi) e che s’è sentita leggere dopo la guerra una lettera che veniva da Milano e diceva che la direzione non avrebbe mai dimenticato quello che gli operai di Sesto avevano fatto per la R. (salvato gli impianti e il museo dai tedeschi. Gesù ebbe un Giuda su 12, la R. tra tutti i suoi operai non l’ebbe). Ora questi operai sono stati licenziati e beffati. E l’uomo che li ha sfruttati (ci si è arricchito in modo inverosimile, il loro lavoro «svogliato» a lui ha fruttato tanto che la loro vecchia fabbrica ne ha fatte nascere altre sette), l’uomo che li ha ingannati e traditi, i preti, proprio i preti (Comitati Civici) lo hanno fatto mettere nella lista di un partito che osa profanare così il nome di cristiano.
Che serve avere una bella chiesa senza immagini di cattivo gusto, non dire «scherzi da. prete», avere canti armoniosi, panche comode, libri di canto unificati, preghiere unificate, mitre che si levano e mettono, fiori naturali invece che finti, messali con la chiara indicazione di Ambrosiano o Romano, zie del prete che non si danno il rossetto, se poi c’è in chiesa la vittima del signor V. [Principale azionista della ditta R.] la quale ha in tasca un volantino comunista dove c’è una fotografia del V. inginocchiato davanti al Papa non per ricevere le invettive evangeliche («Guai a voi...») o scomuniche, ma una benevola benedizione?
Quell’operaio potrà perdonare il Papa, potrà aver pietà di quel povero vecchio ignaro non per sua colpa di tutto ciò che è vita cruda e vera, ma non potrà perdonare il suo prete che non è corso a avvertire il Papa e non inveisce dall’altare in difesa dell’oppresso (non ne aveva tempo, aveva da costruire con l’aiuto economico del Papa un campo sportivo da 11 milioni).
Lei forse dirà: «Questi sono episodi laterali». Ma quell’operaio non li trova affatto laterali e non solo perché c’è di mezzo il pane dei suoi bambini (cosa tutt’altro che laterale), ma anche perché c’è di mezzo la sua dignità di cittadino d’una repubblica che si dice democratica ma manda la Celere solo a difendere i beni del V. contro l’operaio, mai il bene dell’operaio contro il V. che lo calpesta, e poi c’è di mezzo la sua coscienza di cristiano che si ribella all’ingiustizia e alla crudeltà e vede che il suo prete difende il partito che vuol mandare il V. a far le leggi! (come se le leggi non fossero tutte già abbastanza a favore del V. e contro al povero) e vede che il suo prete non inveisce questa volta con la stessa forza con cui inveisce (giustamente) ogni volta che parla di ingiustizie e crudeltà comuniste.
Caro signor Carcano, non vada al Convegno a dir cose laterali e secondarie. Vada a dire che ne aveva pensate tante e poi a un tratto le è apparso davanti agli occhi che c’era una sproporzione tra quelle piccole cose e una cosa grande e grave: i lontani sono lontani perché i preti hanno voluto immischiarsi nelle cose terrene e ci han perso la serenità di giudizio. E hanno consacrato l’attività dell’Azione Cattolica in campo politico (Comitati Civici) e non hanno separato la loro responsabilità da quella dell’Azione Cattolica quando si seppe che i Comitati Civici avevano mercanteggiato con la Confintesa i seggi «cristiani», cioè di ingannare milioni di poveretti che credono in Dio e hanno fiducia nel loro parroco (questa notizia non l’ha data «L’Unità» ma «Il Popolo» e nessuno l’ha smentita).
Ho visto sì anche nel suo questionario qualche domanda generica su questi argomenti, ma se lei ha la fortuna di potersi rivolgere anche per mezz’ora sola a un’accolta di preti e di vescovi non ci vuole una domanda generica e moderata, di quelle che non urtano nessuno, e tanto meno attenuata da tante domande insignificanti che ha accanto. Ci vuole una parola dura, affilata, che spezzi e ferisca, cioè una parola concreta come sono i due esempi qualsiasi che le ho fatto e i tanti altri che lei può leggere sul mio libro. Tagliare e colpire crudelmente come fa il chirurgo perché la maggior pietà del chirurgo è di non aver pietà.
E se tutto questo crede di non poterlo fare, allora per piacere non parli. Non dia ai preti che l’ascolteranno l’illusione di avere ascoltato per bocca sua i bisogni della famiglia cristiana. La famiglia cristiana dell’operaio e del contadino ha bisogno di un prete povero, giusto, onesto, distaccato dal denaro e dalla potenza, dalla Confida, dal Governo, capace di dir pane al pane senza prudenza, senza educazione, senza pietà, senza tatto, senza politica, così come sapevano fare i profeti o Giovanni il Battista. Un prete che chiarisca cosa è bene e cosa è male in fatto di rapporti di lavoro e che si schieri dalla parte del giusto, del vero, del debole e smetta di difendere i «suoi» per partito preso, ma li difenda solo in quei pochissimi casi in cui la loro causa coincida perfettamente con la causa cristiana.
Vorrei dirle ancora molte altre cose, ma ne ho scritte già tante nel mio libro e scritte con la brutalità che si meritano e che le assicuro non è troppa. Se lei dunque vuol giovarsene faccia pure, ma la prego non attenui, non accomodi, non presenti signorilmente le cose che io dico e che non sono affatto signorili.
La presente lettera è uno sfogo privato con lei. Il mio libro le ha già mostrato che non ho paura delle conseguenze delle mie parole, ma se lei vuoi fare uso pubblico di qualche affermazione che qui le ho fatto la prego di avvertirmene perché io possa rivedere, precisare, documentare, portare insomma al livello e allo stile che ho usato nel libro. In questo momento non ho tempo di farlo perché ho qui i ragazzi a scuola che mi distraggono e perché non voglio tardare ancora a darle la risposta che mi ha chiesto. Un saluto affettuoso e mi scusi, suo
Lorenzo Milani
*
Da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Arnoldo Mondadori, 1970, pp.78-82
Il destinatario di questa lettera, che allora era segretario del Comitato milanese del Fronte della Famiglia, doveva partecipare con una relazione a un convegno di aggiornamento sociale. Ammiratore di “Esperienze pastorali”, prima del convegno aveva mandato in lettura la sua relazione a don Lorenzo chiedendone un parere.
Articolo tratto da:
FORUM (62) Koinonia
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* Il Dialogo, Lunedì, 09 luglio 2007
A 40 anni dalla morte di don Milani
Giù le mani da don Milani...
di Alberto Bruno Simoni *
Sui giornali del 24 giugno campeggiava una foto di W.Veltroni e D.Franceschini insieme a M.Gesualdi che li guidava nella loro visita a Barbiana. Il fatto non mi ha entusiasmato ed anzi mi ha un po’ infastidito e insospettito, ricordando le parole di don Lorenzo Milani riportate da E.Martinelli nel suo libro: “Quando sarò morto tutti mi esalteranno, ma voi dovrete difendermi da ogni forma di mitizzazione!”.
In effetti, su L’Unità del giorno avanti, lo stesso M.Gesualdi, in una intervista, affermava: “Quando don Lorenzo morì, lo fece in una estrema solitudine, nessuna cattedrale, non c’erano né autorità civili né religiose, ma soltanto due pretini, gli altri preti stavano tutti lontani Ora lo tirano per la giacchetta, facendogli dire a volte cose che non ha mai detto. Chi pensa di rappresentare la società cerca di appropriarsene e paradossalmente era anche la sua paura, che dopo la sua morte se ne sarebbero appropriati non gli ultimi ma il mondo borghese da cui veniva... Non capisco quale parentela intellettuale possa esserci fra la Moratti e don Lorenzo. Se questi politici volessero fare le cose sul serio dovrebbero solo tacere” (L’Unità, 23 giugno 2007). E forse cercare meno visibilità - fosse pure a Barbiana - mi permetto di aggiungere io!
Non so se queste parole M.Gesualdi le abbia ripetute agli illustri ospiti o se abbia tentato di dire loro quanto avrebbe detto il suo Priore a persone così esposte e rappresentative. Avrebbe certamente potuto ripetere le parole stesse di Gesù riguardo a Giovanni Battista: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te” (Mt 11, 7-10).
In effetti, don Lorenzo ha esercitato in un piccolo angolo quel ruolo di precursore, che il beato Giovanni XXIII assumerà per se stesso e per la chiesa intera: quello di “preparare al Signore un popolo ben disposto”! E mentre Papa Giovanni guarderà alla “chiesa dei poveri”, per don Milani sono i poveri in carne ed ossa la molla della sua azione pastorale. Tutto il resto per lui è modo, via e mezzo, mentre al di fuori di questa prospettiva tutto diventa visione unilaterale e strumentale, non rispettosa di lui.
Sempre sulle pagine de L’Unità, dedicate opportunamente al Priore di Barbiana, Enzo Mazzi ci richiama a questa realtà di base imprescindibile, e fa una osservazione indicativa di un metodo e di una prassi: “Il Priore di Barbiana non era in grande sintonia con le comunità di base eppure la comunità di vita e di studio a cui ha partecipato era molto simile ad una comunità di base, non nelle intenzioni ma certamente nella pratica: una pratica (fortunatamente) contraddittoria come lo è sempre la realtà della vita”.
Il rilievo di E.Mazzi relativamente alle comunità di base evidenzia un’attitudine costante di don Milani, che potrebbe essere vera anche riguardo al Concilio, all’aggiornamento della Chiesa, alla scuola, alla società e alla politica: egli sembra rimanere formalmente estraneo alle situazioni e ai movimenti esterni, ma in realtà porta la scure alla radice e produce soluzioni ai grandi problemi che altri agitano, senza darsi arie o etichette. Ma venendo al fatto specifico di cui sopra - la visita di Veltroni e Franceschini - c’è da impedire che don Milani venga giocato politicamente, quando invece solleciterebbe tutti a riportare l’azione politica alla sua radice personale di prassi umana o anche di credenti, a quel qualcosa che nasce e si consuma nel cuore di ciascuno e in rapporto all’altro, prima di ogni schieramento ideologico o partitico.
In termini laici di potrebbe parlare di etica o di stile, mentre in chiave religiosa si tratta di spiritualità: qualcosa che don Milani sembra quasi aver tradito, ma che in realtà ha prodotto in abbondanza, facendo giustizia di tante sue forme spurie. Forse sarebbe il caso di parlare anche di una “spiritualità sacerdotale” del Priore di Barbiana, ma soprattutto della sua coscienza di cristiano o di “neofita”. E se ossassimo parlare di “spiritualità politica!?
Uno squarcio di questa spiritualità ce lo offre opportunamente Massimo Toschi, che sempre su L’Unità del 23 giugno ci parla del “paradosso di Barbiana”.
Alberto Bruno Simoni
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FORUM (60) Koinonia
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* Il Dialogo, Mercoledì, 27 giugno 2007
Ricordo di un maestro diverso dagli altri. E sono passati 40 anni
Di Sandro Lagomarsini (Avvenire, 20.06.2007)
«La povertà non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale» (Esperienze Pastorali, p. 209). «Lo sai te cos’è per me la scuola popolare, vero? È la pupilla destra del mio occhio destro» (Lettere, p. 5). «Dammi altri trent’anni di scuola popolare e vedrai se non si comincerà a vedere qualcosa» (Lettere, p. 29). «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio a averla piena. Insistono perché scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola» (Esperienze Pastorali, p. 239). «La scuola mi è sacra come un ottavo Sacramento» (Esperienze Pastorali, p. 203). «Vedo che leggete moltissimo e vi tenete sempre al corrente di tutto quello che di moderno e di geniale viene partorito nel mondo; io invece passo gran parte della giornata a far chiacchierare degli analfabeti per far del bene a loro e per arricchirmi io d’un mucchio di cose che da loro posso imparare» (Lettere, p. 32). «La differenza tra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia tra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola» (Lettere, p. 57). «Il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso» (Lettere, p. 250). «La scuola non può essere che aconfessionale e non può essere fatta che da un cattolico e non può esser fatta che per amore (cioè non dallo Stato). In altre parole la scuola come io la vorrei non esisterà mai altro che in qualche minuscola parrocchietta di montagna oppure nel piccolo d’una famiglia dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro bambini» (Lettere, p. 143). Sono pensieri di Lorenzo Milani, nato il 27 maggio 1923, morto parroco di Barbiana (Fi) il 26 giugno 1967.
Barbiana, don Ciotti
ricorda don Milani *
Il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) organizza un incontro a Barbiana, il 21 giugno prossimo, nel 40° anniversario della morte di don Milani. Una messa in ricordo del sacerdote sarà celebrata alle 11,30 nella chiesa di Barbiana da don Luigi Ciotti. L’iniziativa prevede anche una visita alla casa e al Centro Studi «Don Milani» di Vicchio. L’anniversario è per il Cnca l’occasione per ricordare l’importanza che ha avuto don Milani sull’elaborazione delle pratiche dell’accoglienza e per ripensare, oggi, la proposta educativa della comunità che fanno capo all’associazione.
* Avvenire, 16.06.2007
ANNIVERSARI
Il Priore moriva e a Torino nasceva il «Gruppo Abele». Parla don Ciotti
Don Milani, 40 anni sulla strada
«Le Barbiane dei nostri tempi sono ancora tante, in Africa o sulle spiagge dove le onde depongono i cadaveri dei clandestini»
di Luigi Ciotti (Avvenire, 13.06.2007)
Don Lorenzo Milani. Quando morì, quarant’anni fa, il Gruppo Abele cominciava appena a muovere i primi passi sulla strada, luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e domande in continua trasformazione che è stato elemento costitutivo della nostra identità e punto di riferimento del nostro lavoro. Ma è proprio su quella strada - misurandoci con l’incertezza e la complessità, educandoci a non selezionare i compagni di viaggio, nel dialogo e nella responsabilità reciproca - che abbiamo «incontrato» tante volte don Milani, toccati dal suo insegnamento, dalle sue sintuizioni, dalla viva eredità che ci ha lasciato. Ricordo un giorno, molti anni fa. Ero andato a Barbiana assieme a ragazzi del «Gruppo», alcuni dei quali segnati da dolorose e difficili storie di emarginazione. Percorremmo quella via in salita, lasciammo una firma sul quaderno del piccolo cimitero nascosto tra i boschi, ci sentimmo immersi nell’atmosfera di austerità e di essenzialità che avvolgeva quel luogo sperduto dell’Appennino.
Di certi posti aspri e selvatici si usa dire che sono «abbandonati da Dio». L’emozione di quel giorno - un’emozione che si rinnovò anche nelle occasioni successive - mi fece capire che, proprio a Barbiana, Dio aveva trovato in don Milani un testimone straordinario, capace di saldare il Cielo e la Terra, il Vangelo e la giustizia sociale, l’essere cristiani e cittadini in questo mondo e per questo mondo. Se il Gruppo Abele ha scelto come punto di riferimento la strada - e proprio «Università della strada» avremmo chiamato, alla fine degli anni Settanta, la nostra attività di formazione del sociale - fu anche grazie al coraggioso slancio di don Milani e di quella Chiesa che non aveva mai avuto paura d’incontrare e mischiarsi all’umanità più oppressa e fragile, in doppia fedeltà a Dio e all’uomo che non è un dividersi ma un rafforzare l’Uno attraverso l’amore dell’altro.
Suona allora perfino ovvio, a 40 anni dalla morte, parlare di attualità di don Milani. La st rada che ci ha indicato è infatti ancora lunga da percorrere. Nel mondo l’ingiustizia e la povertà non sono certo diminuite, e la Barbiana degli anni Cinquanta si riflette nelle tante Barbiane del nostro tempo: quelle dell’Africa e dell’America Latina, quelle delle zone di guerra e di certe spiagge del Mediterraneo, dove a volte le onde depongono i corpi delle vittime della fame, della schiavitù e dell’ingiustizia globale: 1582 nel solo 2006. Ma anche le Barbiane di chi dall’altra parte è approdato, senza però trovare pace e dignità: quelle delle baraccopoli e dei quartieri ghetto, delle case sovraffollate e dei rifugi di fortuna, quelle di chi cade in mano alle mafie del caporalato e della prostituzione.
Attuale è don Milani anche per la radicalità, la passione, la coerenza con cui ha percorso il suo tratto di strada. Una coerenza e una radicalità che non smettono di provocarci, essere pungolo alle nostre coscienze, animate da una fede che, scrive giovanissimo in Esperienze pastorali, non è qualcosa da «infilare alla prima occasione nei discorsi», ma un «modo di vivere e di pensare».
È in questa tensione spirituale ed etica che nasce e matura l’esperienza straordinaria della scuola. Don Milani riconosce grande importanza alla «parola», strumento non solo di salvezza ma anche di liberazione umana: «Ogni parola che non conosci è una pedata in più che avrai nella vita». La sua esperienza con i ragazzi della Scuola di Barbiana sta tutta in questo impegno: nel cercare di costruire, coinvolgendosi in prima persona, un’esperienza educativa volta a offrire a tutti, e specialmente ai più fragili, la conoscenza e il dominio della parola in quanto strumento essenziale per leggere la realtà, individuarne le contraddizioni e le disuguaglianze, e diventare così consapevoli dei propri diritti, della propria inviolabile dignità di persone e di cittadini. È in questo senso che va interpretato il famoso passo sulla disobbedienza che non è più virtù: non come un generico invito al la ribellione, ma come un’esortazione ad ascoltare la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante e ci chiama sempre a quella responsabilità che proprio l’obbedienza acritica permette di eludere. In un mondo dominato dal sistema consumistico, dove i giovani sono continuamente soggetti alle lusinghe di un mercato che vorrebbe trasformarli in massa indifferenziata, la proposta di don Milani è destinata paradossalmente a farsi sempre più strada. Perché è una proposta liberante, che invita a essere critici, attenti a ciò che davvero è sostanziale, andando così incontro al bisogno di differenza presente nel cuore di ogni essere umano ma soprattutto in quello dei giovani, perché la vita in loro è ancora informe e quindi desiderosa di scoprirsi nella sua unicità, diversità, libertà. Libertà di cui don Milani è stato indubbiamente un maestro. A noi spetta il compito di esserne, almeno, testimoni credibili.
LETTERA AL PRIORE DI BARBIANA *
di Alberto B. Simoni
Caro don Lorenzo,
la lettera è la forma letteraria che hai privilegiato, non solo per comunicazioni personali, ma anche per interventi pubblici, fino a quella “Lettera ad una professoressa” che ci hai lasciata come tuo testamento. Ricordo il giorno della prima presentazione a Roma, a cui partecipai, e fin da quel momento sentii il desiderio di scriverti, semplicemente per dirti grazie. Perché mi rendevo conto di quanto ti fosse costato tutto quel lavoro con i tuoi ragazzi e di quale dono ci aveste fatto..
Anche senza essere un custode della tua memoria e conoscitore di tutti i tuoi scritti (ma so che non ha dato patenti od esclusive a nessuno!), voglio dirti grazie per la tua vita di uomo, di cristiano, di prete: per la tua testimonianza, che hai racchiuso nelle parole “I care”. Ci dicono tutta la tua passione, dedizione, combattività e perseveranza nel cercare ed indicare vie nuove di servizio del Vangelo, perché arrivasse ai suoi destinatari senza troppe mediazioni e con terreno ben preparato. Non a tavolino, ma tra la gente e con la gente, in simbiosi con loro. Grazie per quello che sei stato ed hai vissuto, prima ancora che per il simbolo che sei diventato e che forse non avresti voluto mai essere!
Ma proprio questo innocente tradimento - che ti mette in cattedra, quando tu preferivi metterci i tuoi ragazzi - mi induce a chiederti di perdonarci, per come ti abbiamo utilizzato senza seguirti. Sì, ti abbiamo fatto a pezzi, e ciascuno ha preso quello che meglio credeva a proprio uso e consumo, mentre tu sei stato sempre tutto di un pezzo, senza mai cedere a mode, lusinghe, minacce, condanne. Ti abbiamo trasformato in suggeritore di formule, di proposte, di proteste, di ribellioni, senza mai andare al di là della tua scorza, per solidarizzare per quanto possibile con te e prendere in mano il tuo testimone, fatto di consacrazione piena al servizio del Vangelo per i più poveri, fino a fare “esperienze pastorali” e fare “scuola”, in modo da ridare dignità e sovranità alle persone, ai cristiani, alla Chiesa stessa. Abbiamo colto i frutti di stagione, ma non ci siamo innestati sul tronco di cui sei stato robusta pianta. Sei diventato per molti maestro di pedagogia e di viva coscienza civile - che non è poco. Ma purtroppo è andata dispersa o si è volatilizzata quella linfa vitale che avresti voluto immettere nella Chiesa, che ha avuto paura di essere da te contagiata e di sentirsi costretta a capovolgere la sua abituale e tradizionale scala di valori. Magari questa chiesa ha fatto di te un fiore all’occhiello per la sua credibilità davanti al mondo, ma continua - continuiamo - a tenerti alla porta, dove del resto hai preferito stare, nel senso in cui dicevi a Pipetta. Con la tua parola di verità, hai fatto giustizia di tante sue incrostazioni e avresti voluto ridarle un volto umano. Non sei stato riconosciuto e accolto tra i tuoi, e noi oggi siamo daccapo a dover ritrovare l’essenzialità tra le tante cose spurie di cui siamo ripieni e appesantiti e tra le troppe parole inutili di cui dovremo rendere conto. Nel tuo laboratorio umano sempre aperto, non ti sei stancato di inventare e cercare, sapendo che Dio può far nascere i suoi figli anche dalle pietre: sempre sensibile a chi ti stava accanto e attento a quanto succedeva intorno, non hai mai sperso di vista il tuo obiettivo e alla fine non l’hai mancato: entrare nella giustizia del Regno dei cieli passando per le cruna di un ago..
Ma anche se non ti abbiamo preso abbastanza sul serio, ci hai dimostrato che è possibile venirne a capo, o, come dicevi meglio tu, “sortirne” e sortirne insieme. A patto che rinunciamo a risonanze fatue, a soluzioni facili, a consensi, a paure, a stanchezze e condividiamo con te convinzione e determinazione, come chi ha messo mano all’aratro e non deve voltarsi indietro. Spesso ci siamo rifatti all’insegnamento che ci hai dato con la lettera a Pipetta, per non diventare dei conquistatori e vincitori, ma rimanere solidali con quanti necessitano di pari dignità ed opportunità. Per farci aiutare dalle tue parole a guardare in faccia le cose, abbiamo ora ripreso la “Lettera dall’oltretomba” (ancora una lettera!) e un passo dal libro che, oltre fatica e sofferenza, ti è costato l’emarginazione: “Esperienze pastorali”. E questo perché ci stiamo interrogando - non accademicamente, ma sollecitati dai fatti - sull’essere cristiani, quando le tue previsioni sono ormai realtà e i rimedi che suggerisci sono sempre validi. Ammesso che ci stiamo risvegliando ora, chissà che non sia ormai troppo tardi, e forse continuiamo a mescolare troppe estranee cause con quella di Cristo.
Ci solleciti a riconoscere l’illogicità del nostro modo di essere cristiani e a deciderci per una scelta coraggiosa e coerente, ma tutto sembra cadere nel vuoto, perché perdura lo stato di inferiorità e minorità culturale degli uditori e siamo immersi nella esteriorità e nella massificazione religiosa. Siamo impegnati ad uscire da questo stato di cose cercando di adottare il tuo metodo di riflessione e scrittura collettiva, ma le condizioni ed i tempi non sono molto propizi. Non per questo ci rinunciamo e cerchiamo di far tesoro di tutte le occasioni, le opportunità e le disponibilità, per riportarci ai motivi più profondi della nostra esistenza, umana, cristiana ed ecclesiale.
A tenerti presente in mezzo a noi e a mantenere viva la tua memoria ci aiuta ora uno dei tuoi ragazzi-figlioli, Edoardo Martinelli, che rivisita e rivive il suo rapporto con te per metterti in rapporto con noi tutti col suo libro (Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasionale al motivo profondo) di cui parleremo insieme il giorno 16 giugno, per vedere se anche noi, a partire da queste opportunità, riusciamo ad andare in profondità e a condividere la tua testimonianza di ricerca con tutte le forze della tua anima di ciò che era al centro del tuo cuore: Dio e la vita eterna!
Sì, “Dio e la vita eterna” erano i tuoi punti di riferimento in tutte le circostanze della vita, vissuta in obbedienza al Signore Gesù che invitava a cercare il prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, come tu hai sempre fatto. No, non ti spaventare, non voglio fare di te un santino e gridare “subito santo”, ma ti voglio pensare col tuo Dio e nella pienezza della vita eterna. Ed allora il rapporto con te diventa comunione dei santi e anche - perché no? - preghiera.
A proposito, sarebbe buona cosa se in questa luce la Chiesa fiorentina si proponesse di ricordarsi di te nel giorno del tuo passaggio da questo mondo al Padre, magari con una Eucarestia concelebrata non tanto per dare qualcosa a te, ma per arricchirsi della tua testimonianza e risvegliarsi davanti alle urgenze del momento, magari battendosi il petto. Nel nostro piccolo, ti ricorderemo insieme nel nostro incontro del 3 giugno insieme a Giovanni XXIII per il suo anniversario. Siete in qualche modo simili: l’impianto della vostra fede e spiritualità era dei più classici e tradizionali, ma questo non vi ha impedito di “preparare al Signore un popolo ben disposto”, che sapesse andare per le vie di un mondo non solo del tutto nuovo, ma in continua trasformazione.
La misura del tuo agire erano non genericamente gli “altri”, ma le persone, il prossimo-prossimo in carne ed ossa: non solo vorremmo avere presente questa tua lezione evangelica, ma cercare di tenere presente te come persona che ha “consacrato la sua vita al nome di Cristo Signore”, anche se a molti non sembrava così. Grazie per tutti, don Lorenzo, e continua a darci una mano per mantenere viva la nostra speranza.
Alberto B. Simoni
Articolo tratto da:
FORUM (55) Koinonia
http://utenti.lycos.it/periodicokoinonia/
* IL DIALOGO, Lunedì, 21 maggio 2007
CONVEGNO: DON MILANI 40 ANNI DOPO *
Pescara, martedì 3 aprile 2007
PESCARA, PALAZZO DI CITTA’
AULA CONSILIARE
MARTEDI’ 3 APRILE 2007 ORE 16.30
CONVEGNO SUL TEMA:
DON LORENZO MILANI 40 ANNI DOPO
INTRODUCE:
GIANNI MELILLA
Presidente del Consiglio Comunale
RELAZIONI:
EDOARDO MARTINELLI
Allievo Scuola di Barbiana di Don Milani
TIZIANA FIDANI
Educatrice
LIANA FIORANI
Ricercatrice
* Il Dialogo, Venerdì, 30 marzo 2007
Convegno per i 40 anni dalla morte di Lorenzo Milani
Napoli, Giovedì 22 Marzo 2007 - iSTITUTO DI STORIA DEL CRISTIANESIMO ------ PROGRAMMA
concorsi
don milani nel 2007 *
Nel quarantesimo anniversario della pubblicazione di «Lettera ad una professoressa», il libro nato durante l’esperienza della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani, il comune di Vicchio (Firenze) propone un concorso articolato in due sezioni: la prima rivolta agli studenti i quali, a partire dalla lettura del libro, realizzeranno elaborati di vario tipo, dal semplice testo al filmato o al cd, trasferendo il pensiero di Barbiana all’oggi; la seconda dedicata invece a chi ha vissuto in prima persona il profondo cambiamento della scuola e dell’educazione di quegli anni ed ha testimonianze dirette o storie di scuola da riportare. I lavori dovranno essere invitati entro il 15 aprile; per informazioni, www.comune.vicchio.fi.it o www.quarantesimobarbiana.it.
* Avvenire, 01.03.2007
La visita nel luogo dove il religioso fondò la sua famosa scuola
Il prossimo candidato alla guida del Pd: "Oggi siamo tutti parchi"
Veltroni nel paese di Don Milani Il sindaco assieme a Franceschini
E per spiegare l’attualità e l’importanza del messaggio di Barbiana cita
la canzone del bimbo profugo del Darfur, pubblicata su Repubblica.it *
BARBIANA - La prima volta venne nel novembre 1999 quando era segretario dei Ds. Oggi è tornato da sindaco di Roma e probabile candidato alla guida del Partito democratico. Walter Veltroni, è arrivato in mattinata a Barbiana, borgo della provincia di Firenze di cui fu parroco don Lorenzo Milani e che qui ebbe la sua scuola. Il motivo della visita sono i 40 anni di "Lettera a una professoressa" scritto dal religioso con i ragazzi della scuola.
Ad accompagnare Veltroni c’è Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo alla Camera, che da molti viene indicato come il quasi certo suo vice al vertice del nuovo soggetto politico. Ma l’occasione non è proprizia per l’attualità. Veltroni liquida infatti i giornalisti con un secco: "Oggi siamo parchi". Bisogna aspettare mercoledì quando Veltroni, a Torino, darà l’annuncio della sua candidatura.
Quanto al motivo di questa nuova trasferta a Barbiana, il sindaco di Roma la spiega così: "È stata pubblicata su internet (su Repubblica.it, ndr) una canzone di un bimbo del Darfur che racconta e dice ’io studierò e ce la farò’ (ascolta l’audio). Questo è il messaggio di Don Milani". Poi spiega che in questa società "c’è Don Milani più di quanto si pensi. Non sono per una società cinica, questa società è però piena di solidarietà e lo è di gente che non si fa vedere. O è così o la vita diventerà infernale per tutti noi".
E oggi, per lui, c’è un regalo da parte di Michele Gesualdi, presidente della Fondazione don Milani. Un libro ("Lettere ad una professoressa quarant’anni dopo") e una dedica: "Con amicizia, stima e speranza...". "E quel che conta - sorride Gesualdi - sono i puntini di sospensione". E l’attualità si riaffaccia prepotente.
* la Repubblica, 23 giugno 2007
VELTRONI A BARBIANA: IL MIO VIAGGIO COMINCIA QUI
dell’inviata Chiara Carenini *
BARBIANA (FIRENZE) - Per Dario Franceschini é la prima volta, per Walter Veltroni no: per il sindaco di Roma, la cui storia "é cominciata qui, con la lettura di Lettera ad una professoressa", don Milani e la sua scuola sono stati "l’inizio di un cammino". Barbiana, 23 giugno, un paese formato da un’idea e da una chiesa, è, con la visita privata di Veltroni e Franceschini, la metafora di una politica che nasce. Non si parli di ticket, nemmeno di leadership di Partito democratico.
Di questo Veltroni parlerà a Torino mercoledì (al PalaFuksas, all’ex Moi o in piazza San Carlo, è tutto ancora da decidere) dopo il viaggio in Romania. Oggi si parla di don Milani, per una visita congiunta di due protagonisti della politica che hanno, dice Veltroni, "molte cose in comune, soprattutto queste radici e queste origini". E’ protagonista di questa giornata il prete che ha rivoluzionato la società del dopoguerra, la scuola e, in un certo modo, anche la Chiesa.
La sua scuola di Barbiana "é un luogo gigantesco - osserva Veltroni - da cui sono partite cose gigantesche" dove tutto è cambiato: "Per quei ragazzi è cambiata la vita, il modo di pensare il relazione agli altri, il modo di fare scuola". Lo chiama "profeta" Veltroni: grazie a don Milani "e al lavoro di questi ragazzi, molto è cambiato". Parla Veltroni, ma mai di politica: parla di don Milani e delle due frasi che "da anni mi ronzano nella testa: il riconoscimento che il tuo problema è il mio e che la scuola deve servire a includere e non ad escludere", come "la società".
Barbiana, incastonata sotto il sole tra le colline del Mugello, è l’esempio, la via da seguire: lunga, forse, e difficile come la strada sterrata che porta alla chiesa dove Franceschini e Veltroni ascoltano attenti il racconto del presidente della Fondazione don Milani, Michele Gesualdi, ex allievo del prete di Barbiana. Una via necessaria, come necessaria è la formazione, "il grande problema del nostro tempo". Veltroni e Franceschini, maniche di camicia e "uguale sentire" in questi luoghi. Insieme scendono il prato per salutare il luogo dove riposa don Milani, insieme entrano nella cappella e nella scuola, dove ancora si trova l’astrolabio costruito dal prete, la sua rappresentazione della società, le mappe geografiche disegnate a mano libera. Insieme perché "io e Dario - spiega Veltroni - abbiamo molte cose in comune da molto tempo".
Una di queste è Barbiana, la sua filosofia, la sua semplicità, la sua politica dirompente. E’ talmente pregnante la presenza di quel prete che Franceschini si ritrova a dire: "Penso che don Milani da noi non voglia solo il suo ricordo, ma ci chieda di rimboccarci le maniche contro le ingiustizie e le ineguaglianze". Barbiana, 23 giugno: in questo luogo nato attorno a una chiesa e a un’idea, Veltroni e Franceschini sono d’accordo ancora una volta: "Servono idee per influenzare la società e la politica; servono la passione, il disinteresse - dicono - la voglia di stare con gli altri e di essere per gli altri".
* ANSA » 2007-06-23 19:24
ANNIVERSARIO
Provocatorio e critico, fu «scomodo» a molti; ma ormai la Chiesa ha accolto il messaggio del Priore morto 40 anni fa
L’eredità di don Milani
C’è chi chiede di «riabilitarlo» però i due vescovi di Firenze Piovanelli e Antonelli hanno detto più volte e dimostrato con i fatti quanto ancora oggi don Lorenzo sia attuale. Gli manca l’aureola, è vero, anche perché la sua dovrebbe pungere come una corona di spine... La sua lezione comunque è filtrata
di Giovanni Gennari (Avvenire, 26.06.2006)
Morto da 40 anni e più vivo che mai: don Lorenzo Milani. Come lo prendi... punge. Sempre così. Decise di entrare in seminario per farsi prete, ma avvertì la madre solo la sera prima, sedendosi a cena: «Domani vado via!». Lasciava senza fiato. Unicamente prete: anche maestro, indagatore di fenomeni sociali, catechista, provocatore sì, ma da prete. E prete della Chiesa cattolica fiorentina, orgoglioso di esserlo nonostante incomprensioni e difficoltà. Letto di recente su un giornale: «Ma è così difficile riabilitare Don Milani?». Colleghi in ritardo. Due cardinali arcivescovi di Firenze, Piovanelli e Antonelli, lo hanno detto e mostrato con i fatti. Attuale e da ascoltare anche oggi. Qual è il segreto di quest’uomo, di questo prete? Nel metodo, parole come sassi, o anche come spine. Sassi di un David moderno contro i Golia di sempre. Perciò i soliti incorreggibili, che già da vivo non lo sopportavano, sempre più soli dicono che oggi è superato, che la sua visione del mondo è manichea... Lui ha scelto i poveri e li ha resi coscienti della loro dignità: uomini e figli di Dio. Superato? Oggi tre quarti del mondo sono ancora più poveri dei ragazzi di Barbiana che lui, come diceva, ha «tirato su». Benedetto XVI ricorda spesso la fame, le ingiustizie, le umiliazioni di miliardi di figli di Dio! E allora? Don Lorenzo nasce nel 1923, studia, fa l’artista, conosce il mondo, a 20 anni trova Cristo e va in seminario, a 24 è prete. Il resto è conseguenza. Maestro a Calenzano, fa una scuola strana e disturba tanti, a 31 anni lo mandano in un paesino sperduto tra le montagne. Obbedisce, e insiste: prete per tutti e maestro per i ragazzi: 365 giorni all’anno, 12 ore al giorno. Intanto pubblica, con la prefazione calda e prudente di un vescovo, monsignor Giuseppe D’Avack, un libro che racconta le Esperienze Pastorali di Calenzano: analisi sociali, prospettive antropologiche, ipotesi di catechesi, riflessioni pastorali... Roba che pesa, come i sassi di David, e tanti hanno paura di prender li in fronte. Il libro è stroncato da riviste cattoliche e viene ritirato per ordine dell’allora Sant’Uffizio. Così si spiega - lo ha chiarito molte volte monsignor Capovilla - un giudizio duro di Giovanni XXIII ancora Patriarca a Venezia: aveva letto solo le stroncature di Civiltà Cattolica, poi ha mutato parere. Giovanni Battista Montini ha già allora un giudizio diverso, e pur nella prudenza anche da Papa ama e aiuta don Lorenzo, già malato, che gliene è gratissimo. Lui con i ragazzi vive, parla, scrive e testimonia, è irritato da chi cerca di utilizzarlo per dir male della sua Chiesa, cui nella fede ubbidisce sempre anche quando gli ordini paiono crudeli e mentre in ben altri contesti dà scandalo ricordando a tutti che «l’obbedienza non è più una virtù». Sta con i poveri, ma ammonisce - per tutti i Pipetta che sta crescendo - che il Vangelo ha l’ultima parola di beatitudine per la povertà nello Spirito Santo. Critico e autocritico, rigoroso con sé prima che con gli altri, tutto donato a Dio attraverso i suoi ragazzi... Fino alla fine, che arriva il 26 giugno 1967. Fine? Comincia allora la sua definitiva testimonianza, e dura da 40 anni. Ha avuto difficoltà con uomini di Chiesa come il cardinale Florit, che forse non riuscivano a vedere oltre la misura della loro cultura e dei loro limiti... In breve: un santo prete. Provocatorio? Pungente e spinoso? Sì, ma è la traduzione di altre spine, quelle della corona sulla Croce. Le ha portate il Maestro, chi lo segue davvero le indossa, e pungono ancora. Riabilitare Don Milani? Già fatto, quasi da sempre. 30 (trenta!) anni or sono, qui su Avvenire, 24 giugno 1977, pagina 5, titolone: «Don Milani, un messaggio da riscoprire: ha vissuto solo di fede». E il giorno dopo, ancora pagina 5: «I suoi connotati: l’esperienza radicale della fede, l’amore e la passione per una Chiesa presente agli uomini...». Per caso: stesso giornale, proprio lì accanto, tre colonne: «Commosso saluto di Firenze al cardinale Florit». La fantasia di Dio, misericordiosa e giusta, talora si firma.