LA TERRA VISTA DAL SOLE. La casa del genere U-ma-No .... e della "pace perpetua"(Kant) .

ALLAH, ISLAM, CORANO. PICCHIARE DONNE, UCCIDERE UOMINI, TERRORIZZARE E DISTRUGGERE TUTTO. QUESTI, PROPRIO QUESTI, SONO GLI INSEGNAMENTI DEL PROFETA MAOMETTO?! Un’intervista a Laleh Bakhtiar, autrice di una nuova traduzione del Corano, e un intervento di Mohsen Hamzehian dell’Unione per la Democrazia in Iran.

domenica 23 settembre 2007.
 


Laleh che legge il Corano

Una nuova traduzione del libro di Allah nega che Maometto predicasse di picchiare le mogli. La firma una studiosa iraniana. E negli Usa è diventata un caso

di Francesca Caferri *

Laleh Bakhtiar lavorava già da due anni alla sua traduzione del Corano quando ha pensato di smettere. A bloccarla una sola parola. Anzi, un verbo: daraba. "Non sapevo davvero cosa fare", racconta oggi, "erano anni che inserivo ogni singola parola del Corano in un database, da cui poi programmavo di ripescarle a una a una e arrivare a una traduzione "scientifica" del libro sacro. Ma di fronte a daraba mi sono arenata e ho pensato di buttare via tutto". Daraba in arabo significa principalmente "picchiare", "battere": è solo la terza persona di un passato, l’equivalente di un infinito per l’italiano, ma per secoli è stata, a seconda dei punti di vista, una parola d’ordine, un precetto sacro, uno spauracchio da temere. Nella Sura (capitoli, a loro volta suddivisi in versetti) 4 del Corano, "daraba" è quello che Allah, tramite Maometto, dice agli uomini di fare alle mogli che non ubbidiscono, dopo aver provato ad ammonirle e a farle dormire in luoghi separati: "Battetele".

Per secoli, questo versetto è stato l’appiglio usato da molti musulmani per usare violenza alle mogli. "Ma io ci ho pensato. Secondo la tradizione, Maometto non ha mai picchiato nessuna delle sue mogli: quando ha avuto diverbi con loro le ha allontanate, ma mai le ha battute. E poi l’Islam è compassione: non potevo credere che Allah imponesse di usare la violenza sulle donne", spiega ancora Bakhtiar. Così, rovistando con cura tra le pagine del dizionario, ha cercato altri significati e ha trovato "mandare via". Da questa sottigliezza linguistica è nata la sua personale rivoluzione cartesiana: una nuova edizione del Corano in lingua inglese che nega agli uomini la possibilità di picchiare le donne.

Arrivata in libreria negli Stati Uniti in aprile, la traduzione del Corano di Laleh Bakhtiar ha creato non poche discussioni in America, riaprendo il dibattito su un tema molto sentito nell’Islam: è possibile "rileggere" il Corano dopo tanti secoli? C’è ancora spazio per nuove interpretazioni della parola di Allah? Secondo i tradizionalisti no: "chiusura delle porte dell’ijthiad" è l’espressione con cui gli esperti spiegano la fine della possibilità di dire qualcosa di nuovo - letteralmente, di interpretare - sul testo sacro dei musulmani. Per tradizione, questa chiusura si situa intorno al XII secolo: da allora, ripetono i sostenitori di questa idea, qualunque cosa sul Corano è già stata detta, e non è lecito discostarsi dalle interpretazioni classiche.

Negli ultimi anni molti hanno provato a riaprire le porte. Il caso più clamoroso è quello di Nasr Abu Zayd, uno dei massimi intellettuali musulmani contemporanei, costretto nel 1995 a lasciare il suo Paese dopo essere stato condannato per apostasia: la sua colpa era quella di voler inquadrare il Corano nell’epoca in cui fu scritto, per distinguere le verità assolute, quelle della fede, dalle norme relative ai tempi di Maometto e oggi non più attuali. Due casi diversi, ma che si possono inserire nella stessa tendenza: "Si tratta di applicare al Corano le norme dell’ermeneutica, per arrivare ad attualizzarne il messaggio", spiega Maria Luisa Albano, docente di lingua e letteratura araba all’università di Macerata ed esperta di letteratura islamica femminile. "È parte di un movimento riformista che sta acquistando forza fra gli intellettuali, ma non funziona in un mondo islamico ancora molto chiuso". Per Albano, così come per altri esperti, "picchiare" è il senso primario di daraba in arabo, ma questo non esclude che non ci sia spazio per altre interpretazioni.

"Più di uno studioso in America ha già detto che tradurre daraba con "mandare via", invece che "picchiare" è ammissibile", dice Margot Badran, membro del Center for Muslim-Christian Understanding alla Georgetown University, specializzata in studi di genere nelle società musulmane, "ma per me il senso più importante di questo nuovo Corano non è tanto nella singola parola, quanto nel dibattito che ha suscitato".

Per Badran il fatto che sull’opera della Bakhtiar si sia accesa una discussione tanto forte è il segno che è forte l’esigenza di ridiscutere verità per lungo tempo date per scontate. "La maggior parte delle traduzioni del Corano in inglese non rispecchiano la lingua dei nostri giorni", prosegue la docente, "molte parlano di "uomo" quando il concetto che il testo vuole esprimere è "essere umano". Ben venga dunque una traduzione attenta alle donne. È un bene, e non solo per le fedeli: questo nuovo testo spinge tutti a interrogarsi e a provare a tornare alle origini del messaggio coranico".

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Perché Maometto non ha mai battuto le sue mogli

Lo scopo iniziale era fare una versione del Corano accessibile a tutti: musulmani e non, rendendo il messaggio del Profeta in un inglese il più possibile vicino a quello contemporaneo. Una volta completata, l’opera è diventata però oggetto di discussione, e non solo fra gli specialisti di scienze islamiche. E Laleh Bakhtiar, 68 anni, origini iraniane e passaporto americano, autrice e traduttrice di una ventina di volumi sull’Islam, si è trovata al centro di una discussione sempre più accesa, quella sulle donne e il loro rapporto con la religione del Profeta. Al telefono dal suo ufficio di Chicago spiega perché il caso attorno al suo libro fosse inatteso e come però sia ben lieta del dibattito che si è scatenato.

Come mai ha sentito l’esigenza di tradurre di nuovo il Corano? In fondo ne esistono già decine di versioni in inglese: è partita con l’idea di un approccio "femminile"?

"No, affatto. Volevo solo fare una versione accessibile a tutti. Tutte quelle che avevo letto, ed erano decine, mi erano sembrate "respingenti" nei confronti dei non musulmani, difficili, troppo letterarie: io ho voluto dare vita a una traduzione che fosse apprezzabile per tutti, non solo per chi conosce già l’Islam. Ci ho lavorato per sette anni: al secondo, quando mi sono scontrata con daraba, ho pensato di smettere. Oggi sono felice di aver proseguito".

Parliamo appunto di questa parola: come è arrivata a tradurla con "mandar via", quando invece per secoli è stata letta come "picchiare"?

"Ho guardato nelle tremila pagine del vocabolario di Edward William Lane. E ho trovato che daraba vuol dire sì picchiare, ma anche "mandare via". Ho pensato che fosse proprio questo quello che Maometto voleva dire: "mandate vie" le mogli con cui non andate d’accordo, non certo "picchiatele". Del resto, Maometto non ha mai picchiato le sue mogli".

Come di certo saprà, a marzo un giudice tedesco ha assolto un tedesco-marocchino che aveva picchiato la moglie motivando la scelta proprio con il versetto della Sura 4 del Corano. E se davvero invece di "picchiate" Maometto avesse voluto dire "allontanate"? Il giudice, e tanti prima di lui, avrebbe fatto un grosso errore...

"Niente se. Io sono certa che il Profeta non volesse dire di picchiare le donne. C’è un altro verso del Corano, nella Sura 2, di cui nessuno contesta il significato, che dice che se un marito vuole divorziare lo deve fare in modo equo e umano, e che la donna non deve subire abusi né essere trattata con la forza anche se è lei a voler divorziare. Basta leggere questo per capire il resto: se una donna che divorzia non può essere maltrattata, perché dovrebbe esserlo una moglie che disubbidisce? Se così fosse, il Corano promuoverebbe il divorzio invece del matrimonio. Quando ho riflettuto su questo, mi è stato chiaro che l’interpretazione corrente di daraba era sbagliata".

La sua interpretazione è piuttosto contestata, lo sa?

"Certo che lo so. Ma io non voglio fare nessuna rivoluzione, dico soltanto che quella parola ha 25 significati, che secoli fa è stato scelto quello che parla di violenza e che da allora è stata seguita questa traduzione: io non contesto il Corano, contesto una certa interpretazione che ne è stata data e che secondo me, dopo tanti secoli, va guardata con spirito critico, non accettata in maniera pedissequa". Perché nessuno lo ha fatto prima di lei? "In molti lo hanno fatto, su molte parti diverse del Corano. Io mi sono concentrata su questa e sono arrivata a questa conclusione. In linea generale posso dirle che molte autorità religiose non vogliono cambiare lo status quo che è stato loro insegnato e che insegnano: quindi contestano chiunque provi a interpretare il Corano in modo diverso dalla tradizione".

I suoi contestatori dicono anche che lei non parla davvero arabo.

"Io sono iraniana di origine e cittadina americana. Ho imparato l’arabo letterario anni fa, per il mio lavoro di traduttrice. Ho tradotto decine di libri: capisco e leggo senza nessun problema l’arabo classico". L’hanno criticata in tanti? "Sì, ma ho anche incontrato molte persone che mi hanno espresso gratitudine. La prima volta che ho parlato della mia traduzione, è stato a una conferenza del Wise, Women’s islamic initiative in spirituality and equity, lo scorso novembre a New York. C’erano 150 donne arrivate da tutto il mondo, la maggior parte aveva meno di trent’anni: erano credenti come me, e avevano, come me, entusiasmo e orgoglio per la nostra fede comune. Erano entusiaste del mio lavoro. Le donne sono una parte importante dell’Islam, ma hanno bisogno di spazio e voce. Molte mi hanno raccontato di essersi riavvicinate alla religione dopo l’11 settembre, perché si erano sentite insultate da persone che dicevano di agire in nome dell’Islam. È di credenti come loro che è fatto l’Islam oggi. Anche io sono credente: credo e accetto la parola di Dio e la metto in atto con più amore oggi che so che non ha mai detto di picchiare le donne. So che molte persone non sono d’accordo, ma spero che rispettino il punto di vista di una credente".

Cosa c’è di diverso nella sua versione del Corano rispetto alle altre, daraba a parte?

"Ho usato un metodo di traduzione diverso da quelli tradizionali. Per cinque anni ho tradotto una per una le parole del Corano, che sono 90mila, e creato un database: negli ultimi due anni di lavoro ho ricomposto il testo. In questa maniera ho dato a ogni parola il suo significato originario e non mi sono persa in sinonimi che alla lunga diventano fuorvianti: ho rispettato alla lettera lo spirito del testo. Ho scelto di usare termini non violenti, o non respingenti: kufar, che molti hanno tradotto come miscredenti o infedeli, io l’ho reso come ingrati. Sono sempre quelli che non accettano il messaggio di Dio, ma il termine è meno spiacevole. Ho tradotto i nomi dei profeti e degli uomini santi dell’ebraismo e del cristianesimo: Musa e Issa sono Mosè e Gesù. E ho scritto "Dio" invece di "Allah" perché questo è il significato della parola in arabo e penso che così tutti possano sentirla un po’ più vicina a loro. Infine sono stata molto attenta a trasmettere la moralità che c’è nel Corano. È quello che secondo me si perde in molte traduzioni: non riescono a rendere il disegno globale di compassione e amore del nostro libro sacro. E invece è proprio questo quello che c’è bisogno di sottolineare oggi, perché gli estremisti hanno invaso il campo e loro non danno certo un’immagine morale dell’Islam".

Non ha paura che possano prenderla di mira per queste sue parole e per la sua opera?

"Io sono credente: quindi non ho paura. Credo nella volontà di Dio".

* La Repubblica D, 16.06.2007



Terrorismo, guerra e pena di morte in Iran

di Mohsen Hamzehian *

Uccidere, in particolare in pubblico, è considerato un atto barbarico in tutto il mondo civile. Al contrario in Iran è una pratica quotidiana ( 207 impiccati dall’inizio dell’anno). Ufficialmente vorrebbe essere una lezione alle persone che osano disobbedire alle leggi del giureconsulto medioevale della Repubblica Islamica dell’Iran, ma in realtà vengono eseguite per creare paura e terrore in tutta la popolazione .

Gli osservatori e le organizzazioni umanitarie ( Amnesty International, Osservatorio di Human Right e “Nessuno tocchi Caino”), denunciano quotidianamente le violazioni dei diritti umani in Iran. L’ultimo gruppo di 21 persone impiccate in pubblico risale al 5.9.2007 ( in un mese 41 persone sono state impiccate - rispetto al lo stesso periodo nel 2006 l’aumento è stato del 100%). Le accuse sono basate su incerte definizioni giuridiche, appartenendo il codice religioso all’epoca dei callifati del primo millennio d.C. nella penisola arabica.

Siamo di fronte a definizioni non chiare, tipo guerriero contro Dio, degenerati sulla terra e così via. Si tratta di reati contro il regime e di spionaggio, a questi vanno aggiunti altri reati come l’adulterio, l’omosessualità, che sono definiti anche essi, reati contro Dio. La cosa più agghiacciante è che qualora si tratti di reati definiti contro i poteri dello Stato, è il giudice stesso che definisce il grado della Pena ( quasi sempre il massimo della pena, per impiccagione)

Inoltre nel codice penale islamico, sono previste alcune modalità per l’esecuzione capitale, ma il modo in cui viene attuata dipende esclusivamente dal giudice. Il giudice può decidere di fare impiccare la persona condannata in modo tradizionale oppure in modo moderno, mediante scosse elettriche, oppure davanti a un plotone di esecuzione o, addirittura, mediante lapidazione o, infine, decidere l’esecuzione capitale con una propria personale modalità. Se il giudice non dà indicazioni sulle modalità dell’ esecuzione, questa avverrà per impiccagione. www.hoqouq.com/law/article363.html

Nei Paesi ove ancora esiste la pena di morte (purtroppo ci sono ancora 68 Paesi che la praticano), si cerca di non far soffrire il condannato e l’esecuzione dovrà avere luogo lontano dalle persone, addirittura sono vietate le fotografie. In Iran, secondo i dettami del codice penale islamico, il metodo più diffuso è l’esecuzione capitale in pubblico. Esiste anche la crocefissione del condannato, il cui corpo rimarrà esposto al pubblico per tre giorni. La persona condannata, prima di essere inviata all’esecuzione, dovrà essere sottoposta alle procedure di ablazione e purificazione, indossando una tunica bianca ( Kafan). Ciò viene definito un privilegio per il condannato. http://www.ohchr.org/english/law/pdf/protection.pdf

Si possono vedere alcune differenze rispetto alla precedente legislatura di Mohammad Khatami ( decisamente sostenitore del codice penale islamico), poiché nell’ attuale regno dei Passdaran di Mahmmud Ahmadinejad, una buona parte degli impiccati appartengono alle minoranze etniche (kurdi, beluci ecc.). Regna, su questo aspetto, un silenzio da parte di tutte le fazioni islamiche al governo e non, ad esempio l’ex presidente della Repubblica ed altri uomini forti della gerarchia del giureconsulto, spacciati in occidente, come ala riformista, non hanno assunto, fino a questo momento, una posizione chiara e netta sulla pena di morte ed in particolare, contro il massacro dei giovani. Perché dei 207 uccisi, solo 7 risultano con età superiore a 37 anni

Ecco la morale religiosa al potere in Iran, la quale rivendica la libertà di oltre 65 milioni di iraniani, a colpi di Pietra e di corda. Persino nell’Afghanistan ed in Iraq, dopo anni di terrore, di guerra civile e di insicurezza sociale, le esecuzioni capitali dello Stato, non superano le 10 persone. E questo accade mentre in 130 Paesi, tra i 198 nel mondo, non esiste la pena di morte. L’Iran, insieme alla Cina, all’Arabia Saudita e agli USA, rappresenta il 90% del totale delle esecuzioni capitali di tutto il mondo e detiene la medaglia d’argento dopo la Cina.

Come possiamo chiamare il caso iraniano, se non una catastrofe umanitaria?

La maggior parte dei condannati a morte non ha commesso reati come omicidio, tutte le statistiche evidenziano nonostante il numero imprecisato di prigionieri e l’aumento esponenziale di persone uccise, che la società iraniana continua ad essere sempre meno sicura ( oltre 5 milioni all’estero), con narcotrafficanti sempre più potenti (una parte del traffico gestito dai poteri oscuri legati allo Stato). Questo è anche il contributo delle sanzioni economiche prodotte dalle risoluzione dell’Onu (come avevamo già visto nell’Irak di Saddam: le restrizioni non colpiscono chi è nei gangli degli apparati ma la gente che sta alla base della piramide sociale). Chi può guadagnare lo fa di più e meglio, mentre la popolazione continua a soffrire per soddisfare i bisogni primari e la povertà è molto evidente.

Ogni gruppo che viene ucciso (da sempre in Iran le persone condannate vengono uccise in gruppo e in pubblico), viene presentato dai media governativi come costituito da elementi legati alla malavita e al traffico di droga. Si scopre puntualmente che all’interno del gruppo ci sono anche gli oppositori al regime ( studenti, giornalisti, insegnanti, operai, ecc), che sono stati uccisi per aver cercato di rivendicare elementari rivendicazioni democratiche.

Tutto ciò succede in un Paese ove viene alimentato il terrore di un attacco da parte degli Usa e dei suoi alleati. Da alcuni giorni la stampa occidentale, ed in particolare quelle statunitense e britannica, evidenziano la preparazione militare per un attacco rapido e mirato. Continua la singolare convergenza tra le azioni dell’amministrazione Bush, che vorrebbe realizzare il suo progetto del 2002 di un grande Medio Oriente ridotto a marionetta filo-occidentale, ed il governo messianico di Mahmmud Ahmadinejad che puntella il suo apparato di potere proprio sfidando la comunità internazionale, accelerando le sue azioni propagandistiche (come la negazione dello sterminio degli Ebrei e la vicenda del nucleare) per prepararsi all’attacco militare con un paese compattato e controllato.

Certo gli USA, non possono non avere nel mirino l’Iran, per la sua ambizione nella regione (di cui il nucleare è uno dei simboli), per le sue risorse petrolifere e di gas naturale, per bilanciare la perdita di egemonia americana nella zona. Sicuramente la probabilità dell’attacco militare in Iran esiste, ma il momento dell’attacco non è prevedibile, ciò potrebbe succedere anche alcuni giorni prima che Bush junior lasci la presidenza degli Stati Uniti. E’ certo che tutte le premesse per riportare, con l’uso delle armi, l’equilibrio in Medio Oriente è ampiamente fallito e la politica americana (ed israeliana) pare aver posto le condizioni per un conflitto ancora più ampio.

Quali possono essere i movimenti e la diplomazia, che potranno intervenire contro l’attacco militare? Innanzitutto la diplomazia dei Paesi che contano (Russia Cina e UE), e poi il popolo americano che si batte contro la guerra può avere un peso rilevante ed infine tutti i popoli del mondo contro la guerra ed in particolare quello iraniano che dovrà essere compatto contro il regime barbaro della Repubblica islamica e contro l’intervento militare degli Usa e degli Alleati..

Italia, lì 15 Settembre 2007

Mohsen Hamzehian

*

Unione per la Democrazia in Iran(www.updi.org. - updi@libero.it)


Sul tema, nel sito, si cfr.:

CRISTIANESIMO, ISLAM, DIRITTO. La proposta di una fatwa coraggiosa dal Cairo, dalla moschea Al Azhar - non dal Vaticano e da San Pietro.

-  DIO, DONNE, UOMINI ....
-  ISLAM E DONNE - "NON TEMERE IL VENTO AVVERSO, O FALCONE" (IQBAL). Discorso di Syeda Hameed

-  Questione antropologica - Life out of Balance!!!
-  DONNE E UOMINI. L’"UDI": EQUILIBRARE IL CAMPO!!! 50e50: DEMOCRAZIA PARITARIA. Le donne sono l’altra parte del genere umano necessaria affinché l’umanità possa essere se stessa - a cura di pfls
-  "I soggetti sono due, e tutto è da ripensare"(Laura Lilli, 1993).

BUSH E IL CONTO ALLA ROVESCIA CONTRO I SUOI DEMONI. UN "BEL REGALO" DI FINE MANDATO AGLI STATI UNITI, ALL’EUROPA, E AL MONDO INTERO!!!

CHIESA CATTOLICA. PENA DI MORTE NEL CATECHISMO

RATZINGER ... PROFETA DI SVENTURA E DI GUERRA!!!

DANTE PER LA PACE, PER LA PACE TRA LE RELIGIONI.
-  ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Mohammad Iqbal)


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