MANIFESTO ALLA SINISTRA CRISTIANA E A QUANTI AMANO LA GIUSTIZIA
PER UN RITORNO ALLA POLITICA NEL TEMPO DELLA CRISI
Siamo tutti vittime di una disfatta della politica che, dopo la rimozione del muro di Berlino, vissuta come la vittoria ultima di una parte sull’altra, ha rinunciato a fare un mondo nuovo preferendo rilanciare il vecchio, a cominciare dal suo ancestrale sovrano “diritto alla guerra”. Ciò facendo i poteri dell’Occidente hanno abdicato alla responsabilità di guidare il corso storico, mettendo tutto nelle “mani invisibili” del Mercato, del quale si sono fatti sudditi, guardiani e sacerdoti. E questo lo dice pure Tremonti, dal fondo del pensiero reazionario Ma poiché il meccanismo così innescato ha creato isole di ricchezza in un oceano di naufraghi, incrementando povertà, insicurezza e disordine, la politica si è fatta polizia per domare terroristi e riottosi, alzando il livello di violenza preventiva e repressiva e mettendo sotto i piedi verità, diritto, Costituzioni e Convenzioni internazionali, ivi comprese quelle umanitarie. E questo non lo fa solo Tremonti, lo hanno fatto classi dirigenti di destra e di sinistra, anche in regimi inutilmente bipolari. Oggi non solo c’è bisogno di tornare alla politica da cui molti con giusto disappunto si sono allontanati, come hanno fatto due milioni e mezzo di nuovi astenuti nelle ultime elezioni, ma c’è bisogno di una politica “altra”; né del resto alla vecchia politica questo ritorno sarebbe possibile, né ad essa possibile l’approdo dei giovani; c’è bisogno di una ricostruzione della politica come un “essere per gli altri”, a cui tutti sono chiamati. Perciò rivolgiamo questo
APPELLO ALLE DONNE E AGLI UOMINI CHE VOGLIONO OPERARE PER LA GIUSTIZIA
per un ritorno alla politica. Proponiamo pertanto di promuovere con il nome di Sinistra cristiana una rete di Gruppi, di aggregazioni e di servizi “PER LA COSTITUZIONE, LA LAICITA’ E LA PACE”: cioè per l’unità degli uomini nella giustizia e nel diritto, per la responsabilità comune di “credenti” e “non credenti”, per la crescita del mondo.
Dire Sinistra cristiana non significa qui riferirsi alla pur positiva esperienza che ebbe questo nome dal 1938 al 1945, né crearne oggi una nuova, ma fare appello a quella sinistra cristiana che è già nel Paese ed è nascosta nel fondo di molti di noi. Ciò comporta una scelta di campo di sinistra, cosa che in un’Italia drasticamente divisa in due sole parti politiche non significa più sposare una determinata ideologia, ma assumere il peso della contraddizione, mentre della sinistra rivendica la dignità, contro tutte le delegittimazioni e diffamazioni.
Si tratterebbe di dar vita ovunque sia possibile, nel territorio nelle istituzioni e nelle assemblee elettive, a un “Servizio politico” che da un lato abbia lo scopo di favorire la partecipazione politica dei cittadini, offrendo loro, indipendentemente dalle rispettive opinioni, dei servizi e degli aiuti per agevolarli nell’adempimento dell’art. 49 della Costituzione; dall’altro che abbia lo scopo, come parte tra le parti, di promuovere in modo associato iniziative, corsi e scuole di formazione politica, riattivare canali di comunicazione coi giovani, elaborare culture, soluzioni e proposte legislative, intervenire nel dibattito pubblico e, se necessario, partecipare anche direttamente all’azione politica per concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale e instaurare la giustizia e la pace tra le nazioni, sempre promuovendo alternative costruttive e nonviolente nei conflitti; e ciò entrando nelle contraddizioni in atto, tra cittadini e stranieri come tra uomini e donne, tra regolari e clandestini, tra necessari ed esuberi, e cercando di ristabilire i legami tra il quotidiano, la cultura, la politica e una speranza nuovamente credibile; sapendo che se non subito si può cambiare il mondo, si può intanto cambiare il modo di stare al mondo.
La definizione di questa rete di Gruppi e di iniziative come “Servizio politico”, intende non solo identificare il criterio della politica nel servizio e non nel potere, ma anche riprendere la radicale illuminazione secondo la quale il vero modo per evitare che nella vita collettiva gli uni siano nemici degli altri, è che tutti si riconoscano servi gli uni degli altri.
Il nome di Sinistra cristiana, poi, non comporta un’identificazione confessionale, che in nessun modo può confondersi con una divisa politica, ma intende alludere a un mondo di valori, tutti negoziabili, ossia non imposti, purché prevalgano l’amore e la libertà, vuole indicare come discriminante il principio di eguaglianza e, nel conflitto, significa fare la scelta dei poveri delle vittime e degli esclusi. Si tratta dunque di un nome nuovo che si riferisce tuttavia a una ricca e variegata tradizione di impegno politico che va da Murri a Sturzo a Dossetti, dai cristiani della Resistenza ai “professorini” della Costituente, da Rodano a Ossicini a Gozzini, dalla cruenta testimonianza di Moro a quella della salvadoregna Marianella Garcia Villas, che hanno attraversato il Novecento italiano. Quanti intendono associarsi a questo appello sono invitati a farsi promotori delle relative iniziative nelle realtà a cui ciascuno appartiene, salvo poi ogni possibile coordinamento. E se per ottenere risultati è necessario coinvolgere molti, anche due o tre che si riuniscano per queste cose già compendiano tutto il significato dell’azione.
Per un incontro di carattere nazionale, da convocarsi a settembre, si può prevedere fin da ora di mettere all’ordine del giorno, come primissime urgenze, il ritorno alla rappresentanza proporzionale senza snaturamenti maggioritari, e l’affermazione del principio che i diritti sono uguali per tutti: dove la proporzionale è la condizione per non dare troppo potere a qualunque “sovrano del popolo” e perché anche una minoranza possa continuare a rivendicare diritti uguali per tutti contro maggioranze che li neghino.
Raniero La Valle, Patrizia Farronato, Giovanni Galloni, ex vice-presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Rita Borsellino, Adriano Ossicini, presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, Carla Busato Barbaglio, Mimmo Gallo, magistrato di Cassazione, Giuseppe Campione, presidente della Regione siciliana nel 1992-93, Boris Ulianich, storico del cristianesimo, Giacoma Cannizzo, ex sindaco di Partinico, Annamaria Capocasale, segretaria della Scuola “Vasti”, Roberto Mancini, ordinario di filosofia teoretica all’università di Macerata, Amelia Pasqua, don Mario Costalunga, Laura Brustia, Francesco De Notaris, Agata Cancelliere, insegnante, Giovanni Franzoni, ex abate di San Paolo, Renata Ilari, Giovanni Avena, direttore editoriale di ADISTA, Emilia Carnovale, Giulio Russo, responsabile del Centro di servizi per il volontariato, Nicola Colaianni, giurista, Padre Nicola Colasuonno, direttore di Missione oggi, Donatella Cascino, Pasquale Colella, ecclesiasticista, Franco Ferrara, sociologo, Padre Alberto Simoni, direttore di Koinonia, Bernardetta Forcella, insegnante, Giovanni Benzoni, Angelo Bertani, giornalista, Enrico Peyretti, Francesco Comina, Chiara Germondari, Ettore Zerbino, Alessandro Baldini (Comitati Dossetti per la Costituzione, Associazione “Salviamo la Costituzione”), Claudio Bocci, Antonio Cascino, Anna La Vista, Federico D’Agostino, sociologo, Pasquale De Sole, Franco Ferrari, Gianvito Iannuzzi, Luca Kocci, Angela Mancuso, Gianfranco Martini, Giuseppe Mirale, Francesco Paternò Castello, Maria Antonietta Piras, Fiammetta Quintabà, Corrado Raimeni, Maurizio Serofilli (Comitati Dossetti per la Costituzione), Gabriella Saccami Vezzami, Luca Spegne, Maria Rosa Tinaburri, Paola e Claudio Tosi, Angelo Cifatte, Piero Pinzauti, Nanni Russo, avvocato, ex senatore, Alessandra Chiappini, presidente dell’Istituzione Servizi educativi, scolastici e per le famiglie del comune di Ferrara, Enrico Grandi, prof. Ass. di anatomia patologica all’Università di Ferrara, Franco Borghi, Tonio Dell’Olio, Pax Christi, Nando e Paola Peloso, Antonio De Lellis, Giovanni Bianco, giurista, Adele Tomassini, Nadia Neri, psicanalista, Mauro Murino, dirigente scolastico, Carlo Crocella, Mario Corinaldesi, Carlo Ciarrocchi, insegnante di religione, Pio Russo Krauss, medico, Nazzareno Serra, Fabio Ragaini (Gruppo Solidarietà), Gabriella De Blasi, insegnante di informatica, Esposito Angelillo, funzionario P.A., Anna Doria, insegnante, Gabriele Grassi, Giovanni Dazzi, infermiere, Adriano Declich, giornalista, Orietta Citoni Declich, insegnante, Francesco Auricchio, insegnante, Giovanni Cresci, astronomo, Antonello Miccoli, Giovanni Panettiere, giornalista, Pierangelo Monti, insegnante di religione, Pippo La Barba, giornalista, Andrea Volpe, ingegnere, Simone Triglia, Carola Gugino. Pasquale Iannamorelli, “Quale vita”, Renzo Dutto, Massimo De Magistris, studente, Citto Saija., Fiorella Ferrarini, assessore scuola di Quattro-Castella (R.E.), Amedeo Tosi, giornalista, Lauro Magnani, Walter Loddi, insegnante, Adelina Bartolomei, psicologa, Chino Piraccini, Nadia Piraccini, Rosa Pia Bonomi, Paolo Bertagnolli.
Roma, 10 luglio 2008.
Per aderire a questo appello si può utilizzare l’ospitalità di Adista inviando una mail all’indirizzo manifestosinistracristiana@adista.it, specificando nome, cognome, indirizzo, professione e recapito postale telefonico e informatico, e mandando un contributo simbolico di 10 euro per le spese; si può usare, anche per inviare maggiori contributi, il conto di “Pace e diritti” presso la BNL del Senato, IBAN IT36V0100503373000000010470, oppure il Conto corrente postale n. 10654507 intestato a “Comitato per i campi di pace in Toscana”, v. Valdibrana 23, 51100 Capostrada. I firmatari saranno poi invitati a una riunione costituente per decidere come condurre il seguito dell’iniziativa.
Perché questo appello. L’idea è nata nei circoli della Scuola di antropologia critica “VASTI, che cos’è umano?”, al termine di un ciclo di seminari dedicato alla convivenza in cui si sono anche discussi i più recenti contributi in tema di teoria generale del diritto e della democrazia e di rapporti fede-mondo. Il punto di partenza è stato l’analisi della gravissima crisi interna e internazionale, giunta ormai nel nostro Paese, con la lotta agli immigrati, i Rom trattati come lo furono gli ebrei e con la sottrazione dei processi ai giudici, ad attaccare gli stessi diritti primari di libertà ed eguaglianza; ed è giunta nel mondo, con la scelta di produrre petrolio invece di cibo, di costruire muri invece di porte e di armare la vita quotidiana, a dare per perduta e nemica una gran parte della popolazione della terra. Tutto ciò rischia di risolversi in un fascismo strutturale sia in Italia che nel mondo. E in tali frangenti i cristiani dove sono? E Dio dov’è? Le autorità della Chiesa si fanno vedere, ma i cristiani non ci sono. Prima di tutto non ci sono perché non c’è più il popolo, che pur doveva essere il grande protagonista della democrazia; il popolo non c’è perché all’economia non serve, quando riduce i cittadini a clienti, i sindacati lo hanno perduto, intenti come sono a salvare il salvabile (ed è poco) con il concerto piuttosto che col conflitto, e i politici si nominano da soli. Fuori del popolo, inteso come organismo, le famiglie ideali non ci sono, le identità franano nell’amalgama della secolarizzazione di massa e le differenze finiscono in ostilità non più politicamente mediate.
Ma i cristiani non ci sono anche perché sono caduti in equivoco sulla laicità. Hanno creduto anch’essi, come fa la modernità, che la laicità consista nel non essere o non manifestarsi credenti, mentre essa consiste nel vivere ogni realtà creaturale come profana e non come sacra, cioè disponibile all’uomo, non sottratta all’uso e alle responsabilità comuni, non gravata da riserve e da interdetti, non sequestrata da specialisti togati a ciò specialmente consacrati. Questa laicità non si contrappone a fede o a religione, perché il sacro non è la stessa cosa di Dio, non è la stessa cosa della Chiesa ma, fuorviato, diventa piuttosto la custodia cautelare con cui Dio è tenuto sotto controllo, la forma del suo esilio dal mondo, del mettersi al riparo da lui, una contraffazione e una copia di Dio, come si può sapere almeno da quando Gesù di Nazaret, come dice il vangelo, ce lo ha fatto “vedere”.
Per far fronte alla crisi anche i cristiani ci vogliono, ed è strano che la sinistra se lo sia dimenticato mentre il partito comunista lo aveva capito. Ma non ci vogliono i cristiani come categoria politica, perché questo significherebbe ricadere in vecchie pratiche integriste e confessionali, bensì ci vogliono come il grido che reclama una qualità della politica che dovrebbe essere a tutti comune. Una qualità della politica che l’imperatore Giuliano riconosceva ai cristiani, quando nel ripristinare il paganesimo, voleva però emulare e anche superare l’amore che essi mettevano nella vita sociale; una qualità della politica che consiste “nell’agire in modo che comportamenti atti o scelte nell’operare quotidiano non siano spiegabili soltanto sulla base di mere opportunità politiche o di convenienze personali”, come rispondeva don Giuseppe De Luca a chi lo interrogava sullo specifico cristiano nell’azione comune con i non credenti; una qualità che consiste nel non contentarsi di aver vinto ma andare oltre per una ulteriore giustizia, come diceva don Lorenzo Milani a Pipetta; nel mantenere sempre “un principio di non appagamento” rispetto a ogni società data, come diceva Aldo Moro; nel percepire che “l’altro non va solo rispettato, ma amato; che l’altro non è solo una persona, è anche un fratello, che la libertà dell’altro non solo è il limite della libertà mia, ma è la condizione della libertà mia, che se l’altro non è libero non sono libero neanche io”, come diceva Claudio Napoleoni quando si chiedeva “se solo un Dio ci può salvare”; una qualità della politica che consiste nel ricordarsi che la cosa più importante non è difendere la propria sicurezza e la propria vita, perché la speranza supera la sicurezza e la vita si può perdere per guadagnarla. In ciò, almeno nell’ambito di quella piccola scuola, ma non solo in questa, si sono trovati e sono d’accordo cattolici e valdesi, cristiani e non cristiani, “credenti” e “non credenti”.
Venerdì 11 luglio La Repubblica Palermo
L’iniziativa “Sinistra cristiana” nasce un manifesto
“Per un ritorno alla politica nel tempo della crisi” cattolici e valdesi, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti firmano un manifesto “per una Sinistra Cristiana”. Il manifesto, presentato ieri pomeriggio a Palermo, ha tra i suoi primi firmatari Raniero La Valle, Rita Borsellino, Giovanni Galloni, Giovanni Franzoni, Giovanni Avena, Nicola Colasuonno, Alberto Simoni, Giovanni Benzoni, Angelo Bertani, Adriano Ossicini, Giuseppe Campione e Boris Ulianich. La sfida è quella di riunire “una rete di gruppi, di aggregazioni e di servizi per la Costituzione, la laicità e la pace, che intendano la politica come servizio”. Sinistra, spiegano i promotori, “perché nell’Italia bipolare è necessaria una ‘scelta di campo’, che non significa più sposare una determinata ideologia”. La definizione di cristiana, poi, “non comporta un’identificazione confessionale, ma allude a un mondo di valori, tutti negoziabili, cioè non imposti, purché prevalgano l’amore e la libertà, e vuole indicare come discriminante il principio di eguaglianza. Nel conflitto significa fare la scelta dei poveri, delle vittime e degli esclusi”.
Venerdi 18 luglio Gazzetta del sud Messina
Non si sono spenti i commenti alla presentazione avvenuta ieri sera alla libreria Feltrinelli del manifesto della sinistra cristiana e al lungo dibattitito che ne è seguito.
Oggi non solo c’è bisogno di tornare alla politica da cui molti con giusto disappunto si sono allontanati, come hanno fatto due milioni e mezzo di nuovi astenuti nelle ultime elezioni, ma c’è bisogno di una politica "altra"; né del resto alla vecchia politica, dicono la Borsellino , Galloni, Ossicini, Giuseppe Campione, Giovanni Franzoni e molti altri, questo ritorno sarebbe possibile; c’è bisogno di una ricostruzione della politica come un "essere per gli altri", a cui tutti sono chiamati. Perciò rivolgiamo questo appello della sinistra cristiana, ha detto, il primo firmatario del manifesto, Raniero La Valle per un ritorno alla politica. E per riassumerne il peso della contraddizione.
Si tratta di un nome nuovo che si riferisce tuttavia a una ricca e variegata tradizione di impegno politico che va da Murri a Sturzo a Dossetti, dai cristiani della Resistenza ai "professorini" della Costituente, da Rodano a Ossicini a Gozzini, dalla cruenta testimonianza di Moro a quella della salvadoregna Marianella Garcia Villas, che hanno attraversato il Novecento italiano. Ha concluso i lavori il prof. Pippo Campione, ordinario a Milano di geografia politica, che ha presieduto la Sicilia dopo le stragi Falcone e Borsellino,
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. Salviamo la Costituzione
Ai primi firmatari del «Manifesto alla Sinistra cristiana»
di Raniero La Valle *
Testo definitivo del "manifesto" *
Roma, 26 luglio 2008
Cari amici,
il “manifesto alla sinistra cristiana” è stato pubblicato sul n. 55 di “Adista” il 19 luglio, su “Liberazione” l’11 luglio ed è stato presentato a Palermo giovedì 10 luglio in una conferenza-stampa tenuta da me e da Giuseppe Campione, che fu presidente della Regione siciliana in anni difficili, con l’adesione di Rita Borsellino e di Giacoma Canonizzo, l’ex coraggiosa sindaco di Partinico. Dell’evento palermitano vi accludo la notizia datane dalla “Repubblica” di Palermo e dalla “Gazzetta del sud” di Messina.
L’appello ha superato d’un balzo i primi cento promotori, ed è a questi primi firmatari che è ora indirizzata questa e-mail. Spesso le adesioni sono state accompagnate da espressioni di vero entusiasmo, come per l’arrivo di un’occasione intensamente attesa, ciò che ci incoraggia ad andare avanti nel nostro difficile tentativo. Qualcuno ha scritto: “aderisco rallegrandomi per questa voce così importante che sembrava muta e che invece riprende forza e coraggio in una nuova e nobile concezione della politica”; e un altro: “mi stavo proprio chiedendo come mai nessuno elaborasse un progetto per arginare (finché. è possibile) questa valanga che ci sta sommergendo”. “Sono pienamente consenziente, soprattutto nell’aggettivo ’cristiana’”. E ancora: “entusiasta di questa iniziativa”; “arricchire la costruzione di una nuova idea di sinistra in Italia”; “il fatto che la laicità sia assunta come propria da un movimento di ispirazione cristiana avrebbe un forte valore simbolico per svelare alla pubblica opinione l’apparente paradosso che, nella vulgata, contrappone laici e credenti”; “l’uomo di questo Mondo del Servizio come il documento lo prospetta, una volta che sia pienamente dispiegato ed attuato realizza il più alto sviluppo della autonomia spirituale e morale di tutta la storia umana”; “è utile per il Paese dare voce politica ai cristiani che guardano agli ultimi: una cittadinanza politica che in Italia non si è mai affermata”; “gli ideali e i concetti esposti nel manifesto sono da me inseguiti da molto tempo ormai anche se con poco successo”; “nel deserto tempestoso della politica dei nostri giorni e della sinistra in particolare questa iniziativa appare come una delle poche novità di grande respiro degli ultimi mesi”.
Analoghe attese sono state manifestate da molti in molti modi. Da nessuno è stata avanzata una pur prevedibile obiezione sull’opportunità di chiamare in causa il movente cristiano, segno che è stato ben compreso che esso non allude ad alcuna rappresentanza dei cristiani come tali, la cui identità va ben oltre la politica, non è in contrasto con la laicità, e non è esclusivo di altri moventi, compresi quelli derivanti da altre culture e altre fedi. Ciò che lo distingue e lo qualifica è in questo caso la scelta di campo a sinistra, pur nel dilagare del “pensiero di destra e di guerra”, e l’adozione delle tre grandi direttrici della Costituzione, della laicità e della pace. È in ogni caso molto positiva la verifica della possibilità di sdoganare il nome cristiano, come significativo di un modo di stare nella politica, fuori dalle secche dell’integralismo e della riduzione clerico-moderata.
Si tratta ora di consolidare e di allargare questo primo risultato. Per questo vi accludo l’edizione definitiva del “manifesto” con i primi firmatari, pregandovi di farlo circolare sia nelle reti internet e tradizionali cui potete accedere, sia nella realtà territoriale cui ciascuno appartiene, dove dovrebbero cominciare a germogliare i primi gruppi.
Nel far nota l’iniziativa è importante che sia chiaro che essa non ha lo scopo di offrire una casa politica a cattolici senza fissa dimora o delusi dai partiti o giustamente angosciati per la situazione presente, ma ha lo scopo di attivare nuove energie e di fare appello a cittadini consapevoli in tutta la forza della loro ispirazione e delle loro speranze, per affrontare in modo responsabile e propositivo una crisi di portata globale che ha bisogno di risposte non ancora date, di pensieri non ancora pensati e di azione non ancora esperite. Riservo a una prossima lettera, nello sviluppo del dialogo già attivato tra noi, qualche proposta per il convegno costituente da convocare a settembre, per mettere a tema la proporzionale e l’eguaglianza dei diritti, oltre il discrimine della cittadinanza, come è già indicato nel “manifesto”, ma anche per cominciare a formulare qualche idea sulla nuova contraddizione, apertasi nella stessa destra, tra capitalismo e mercato sul piano globale, in vista di mediazioni e sintesi nuove.
Con i più cordiali saluti
Raniero La Valle
* Testo definitivo del "manifesto"
* Il dialogo, Martedì, 29 luglio 2008
PERCHÉ SONO IN SINTONIA CON LA PROPOSTA DI RANIERO LA VALLE **
di Roberto Mancini *
Vorrei esprimere una sintonia con la proposta che è venuta da Raniero, che mi pare da un lato vada a fronteggiare un vuoto, una latitanza non accettabile, dall’altro possa rappresentare, se sviluppata, un’alternativa rispetto al triplice vicolo cieco per cui o c’è l’integrismo (l’idea di un’unità monolitica dei cattolici in quanto cattolici), oppure l’equivocità (Casini, quando era ancora presidente della Camera, in campagna elettorale, disse: “noi difendiamo i valori cattolici, i BOT, i CCT e la prima casa”; il guaio è che nessuno gli abbia obiettato che non sta lì il Vangelo), oppure - ed è il terzo vicolo cieco - la privatizzazione. Dio non si privatizza; non si impone, ma neppure si privatizza la relazione di fede con Dio per essere “politicamente corretti”. Qual è una possibilità che non ci blocchi con questo complesso di essere “politicamente corretti” e non ci costringa a tenerci Dio solo per le cose personali? Infatti anche l’assenza di Dio, l’assenza di un riferimento credibile, non appropriativo, non integrista, non di potenza a Dio, è foriera di problemi negativi.
Mi pare che, come prospettiva che può crescere, l’idea di gruppi di Sinistra cristiana sia positiva; da un lato permette la possibilità, io direi, di un nuovo ascolto della Parola: penso alla situazione dei cristiani tedeschi negli anni ’30, che arrivarono alla confessione di Barmen nel 1934; la loro situazione era catastrofica, e dissero: noi partiamo dall’ascolto della Parola; quindi riportano nel concreto del loro contesto sociale storico quella Parola e dicono, come fanno Barth, Bonhoeffer, che un’altra parola, per esempio la parola del Führer, porta all’omicidio; la parola di Dio non porta all’omicidio, porta alla liberazione.
Declinare la speranza
Allora non possiamo saltare questa esperienza di risveglio; quello che a noi manca è il risveglio; ma non dobbiamo vedere solo i problemi che ci sono; dobbiamo anche vedere il positivo che resta impensato e insperato; tutto il male che noi vediamo lo vediamo come realizzazione di un incubo; se non siamo capaci di vedere un’alternativa positiva, di sognarla, di sperarla, anche il tentativo di trovare degli antidoti non è che una forma dell’angoscia che abbiamo incamerato, e non faremo tanti passi avanti. Oltre tutto la dimensione del problema è tale che se siamo lucidi sentiamo subito che non siamo all’altezza di fronteggiare un sistema di dominio, un sistema di mistificazione così grande che biblicamente si potrebbe chiamare idolatria; però l’idolatria va in crisi quando si affaccia la speranza vera.
Ora a me pare che il compito dei gruppi della Sinistra cristiana, nel loro piccolo, senza presunzioni di potenza, è quello di portare all’attenzione, di tradurre le conseguenze politiche della speranza, perché l’essere umano se non spera non vede e se non vede fa disastri. Guardate le culture correnti: sono capaci di una speranza ma di una speranza che sia universalmente umana, cioè che non sia una speranza di qualcuno contro qualcun altro, che non sia necessariamente segnata dall’esclusivismo? Questo è veramente rarissimo. Le Chiese per prime, le religioni per prime attestano (quando va bene) una speranza esclusiva oppure paura e angoscia; perciò è chiaro che non sono credibili e finiscono per adornare i processi della globalizzazione; diventano anche loro folclore e moralismo, e poco di più.
Invece tradurre le conseguenze politiche della speranza vuol dire vivificare delle energie che legano il quotidiano, la cultura e la politica. Noi diciamo spesso: è un problema di cultura, di mentalità; ma non pensiamo che una cultura degenera, muore, si riduce a schema comportamentale di sopravvivenza se non spera, se non vede. I valori oggi non vengono visti, nell’istruzione abbiamo solo informatica, inglese e teoria dell’impresa, cioè addestriamo i giovani fin dalle scuole elementari ma non li educhiamo, perché una cultura decade se non ha una speranza. Dunque recuperare un orizzonte di speranza quotidiana, credibile, connette quello che noi chiamiamo cultura a quello che noi chiamiamo politica.
Dire speranza per tutti, secondo me vuol dire imparare in Italia a declinare al positivo la categoria di laicità. Il nostro problema è che noi pensiamo la laicità solo in chiave contrappositiva, negativa; nella società “laico” vuol dire non religioso, non cattolico, nella Chiesa vuol dire che non sei prete, non sei religioso, sei “solo” un laico.
I nomi della laicità
Ma quali sono i nomi positivi di laicità? Prima di tutto un nome positivo è corresponsabilità, cioè generare situazioni di corresponsabilità nel circuito tra diritti e doveri umani, tra responsabilità politiche e tutela delle persone, delle popolazioni. L’altro nome che sembra più astratto, ma poi diventa concretissimo, è creaturalità, cioè riscoprire quel dato comune costitutivo per ognuno di noi che è l’essere creature; purtroppo le antropologie correnti, le sociologie correnti, le visioni più o meno alte dell’uomo oggi vigenti, al massimo considerano due dimensioni: natura e cultura. La natura è ambivalente, è lotta, è bellezza, è dono, è di tutto; noi proiettiamo la nostra ferocia e diciamo la natura è lotta; sì, ma è anche bellezza, è anche dono, dunque è ambivalente. Essa attende di essere custodita, tolta alla sua ambiguità. Biblicamente l’indicazione è questa; se la cultura non scopre una vocazione che la porti a trasfigurare la natura è una cultura arbitraria, tendenzialmente violenta, tant’è vero che la nostra si è costruita come negazione della natura; per questa ragione porta nel suo DNA la negazione e la distruttività.
Le prove sono clamorose, sono davanti a tutti; invece c’è un terzo livello che è trasversale. a natura e cultura ed è creaturalità, essere creature, cioè essere tutti chiamati ad un’esistenza non distruttiva: questo vuol dire responsabilità. Allora se noi riscoprissimo la comune condizione creaturale - il che non significa necessariamente che c’è un Dio creatore, a questo crede chi ha la fede - comprenderemmo che in quanto creature non ci risolve la modernizzazione, ci risolve l’armonizzazione; ci salviamo come creature nell’armonizzare le relazioni di cui siamo intessuti, perché siamo un fascio di relazioni; nell’armonia possiamo fiorire, senza armonia alla fine restiamo distrutti.
Questa condizione creaturale è di tutti, è il nome diciamo così ontologico della laicità, non è una situazione particolare di chi crede in Dio. Recuperare questi spazi alla nostra vista, aiutare una società a vedersi, in spazi che normalmente non vengono percepiti, mi pare essenziale per cambiare i sistemi motivazionali delle persone, dalle scelte elettorali alle scelte quotidiane. Se oggi noi ci chiediamo quali sono i sistemi motivazionali più influenti in base a cui le persone decidono i loro comportamenti, vediamo che sono due: primo, l’egoismo economico, di clan, di famiglia, di impresa, ed è quello che ci porta dritti alla guerra di tutti contro tutti, anche se il conflitto, ma neppure tanto, è sublimato in forma economica; l’altro sistema motivazionale dominante è la religione, ma la religione nel senso sociologico, la religione nel senso a volte anche più deteriore del termine; in Italia essere cattolico significa pensare che Bruno Vespa è un bravo giornalista, Giulio Andreotti è un bravo politico e padre Pio un modello di santità. Se sono cattolico così è chiaro che non cambio il mondo e non prospetto alternative ad una situazione di degrado come quella in cui viviamo.
Allora si tratta di riuscire a cambiare sguardo, di rendere evidente un’altra via, un altro modo di motivarsi nello stare al mondo, un modo però che sprigioni una forza di attrazione; si può uscire dalla disgregazione, dalla frammentazione, solo se c’è un polo di attrazione, se c’è, come dicevo, una speranza che ti attrae, ti porta oltre i moventi più rudimentali del tuo agire, quelli banalmente egoistici in senso economico o quelli devozionistici, ideologici di una religione che decora la vita ma la lascia intatta con tutti i suoi egoismi. Altrimenti sarebbe scomoda, è molto comodo fare processioni alla festa del santo patrono in territori di alta criminalità ma poi lasciare tutto come prima: occorre cambiare i sistemi motivazionali.
Gruppi di questo tipo sul territorio dovrebbero permettere un ascolto della Parola; questa volta non come trent’anni fa, non come cinquant’anni fa: ci sono oggi i doni della rivoluzione interculturale, il che vuol dire che le Scritture delle fedi si corrispondono, si parlano, si ascoltano; si è pronti ad ascoltare il Corano, ad ascoltare la Torà, ad ascoltare i Vangeli; basta avere un minimo di esperienza anche non di studi filologici, per accorgersi che le Scritture tra loro si parlano, sono correlate, non permettono l’esclusivismo, l’integralismo, le persecuzioni, lo scontro di civiltà, e per fare emergere dentro un contesto sociale una parola come liberazione, giustizia, consolazione: perché noi vediamo attraverso le parole.
Quando Paolo Freire in Brasile con i contadini faceva i cartelli su cui metteva insieme le immagini e le parole, i contadini dicevano che cosa significa libertà, che significa la terra, che significa comunità. Quando noi abbiamo una parola vediamo la realtà, quando ci manca la parola quella realtà non la vediamo più. Siamo costretti a dire non violenza, perché non vediamo una vera alternativa alla violenza, ci mancano le parole, ci manca la visione. Allora gruppi che portino all’attenzione di una comunità, di un contesto sociale, almeno una parola che permetta di vedere in modo diverso, farebbero sì che questa visione, questa parola diventino operative e concrete.
Tre tipi di azione
Per questi gruppi sul territorio io vedrei poi tre tipi di azione: primo, l’azione restituiva, cioè la giustizia che reintegra le persone nel godimento dei diritti; la giustizia è la giustizia restituiva, non tanto la giustizia che colpisce, ma la giustizia che risana, che si fa carico delle situazioni; ma questo allora vorrebbe dire che l’azione di questi gruppi è uno spostamento, cioè un portarsi sul confine delle contraddizioni, è lì che si gioca l’armonia possibile per le persone, per le comunità: la contraddizione tra donna e uomo; la contraddizione tra pace e guerra, e io direi tra violenza e non violenza, per chiarire qual è il percorso unico possibile per la pace; la contraddizione tra nativi e stranieri, la contraddizione tra capitale e lavoro, la contraddizione tra umanità e natura. Se un gruppo territoriale dice: nel mio territorio io vivo la contraddizione di fronte alla mafia, oppure la contraddizione di fronte alla distruzione della natura, oppure la contraddizione tra nativi e stranieri, quel gruppo deve portarsi sul confine di quella contraddizione per sollevare i pesi che quella contraddizione lasciata a se stessa comporta sulla vita delle persone, e soprattutto di quelle più deboli. Un gruppo di questo tipo può partire allora non tanto dai bisogni ma da una risposta restituiva rispetto ai bisogni: dai bisogni parte pure la camorra a Napoli quando promette lavoro, soldi, protezione; non basta partire genericamente dai bisogni, ma da una risposta restituiva ai bisogni, cioè in termini di diritti e di doveri.
Un secondo tipo di azione è un’azione riconduttiva, che metta in relazione il problema che si è incancrenito con i doveri elusi, cioè che ricostruisca il filo delle responsabilità. Se c’è una situazione che è degenerata, dall’immondizia, agli ospedali, alla scuola, qual è il filo delle responsabilità? Non è possibile che siano tutti problemi senza responsabili; perciò serve un’azione di denuncia per l’appunto “riconduttiva” nel senso che ricollega problemi e diritti a doveri e usi; i diritti umani, se non ci sono i doveri umani, restano lettera morta, come la Costituzione resta un testo se non è una prassi diffusa, e diventa quindi facilissimo cambiarla e stravolgerla; se c’è una prassi diffusa in un popolo è molto più difficile stravolgerla, anche se manipoli le leggi.
Ultimo tipo di azione, un’azione educativa: dobbiamo curare in modo sistematico l’educazione; penso per esempio al rapporto con la scuola, penso a gruppi di insegnanti, a un movimento di insegnanti, a singoli insegnanti che nonostante tutto fanno il loro dovere in una prospettiva di speranza, non di adeguamento alla società così com’è; ma se non ci curiamo di questo, qualunque azione politica si taglia l’erba sotto i piedi, cioè non riesce a generare futuro; pertanto un’azione che sia restituiva, riconduttiva, deve essere nel contempo un’azione che favorisce i processi educativi.
In conclusione, a mio avviso ha senso promuovere gruppi di “Sinistra cristiana” con un tono particolare direi umile, con un senso autoironico di questa qualificazione: non è un’identità sostantiva, definitiva, compatta, non è un primato, non è un privilegio; è una identità di servizio che si chiama per nome perché è cosciente della sua particolarità, non perché si ritiene prioritaria o definitiva e nemmeno esclusiva nella rappresentanza della fede cristiana; non pretende di rappresentarla, pretende nel suo piccolo di viverla, che è un’altra cosa; il testimone vero non è mai un proprietario, non dice la verità è la mia, dice: mi metto al servizio di; non è un proprietario quindi non si arroga quel diritto.
Penso dunque a gruppi di questo tipo, coordinati nazionalmente, che per prima cosa riportino l’attenzione sulla parola di Dio o, per chi non crede, sul senso della vita; e ciò nelle molte tradizioni che tra loro si parlano; infatti è solo l’ignoranza o il fanatismo che fanno sì che non si parlino; il secondo elemento è che però devono essere gruppi che non permettono la strumentalizzazione della parola di Dio: cioè non è più possibile fregiarsi di titoli religiosi per coprire l’ingiustizia; lasciare che questo accada è veramente irresponsabile; neppure col giusto motivo di non essere integralisti si può cadere nell’estremo opposto di lasciare nel silenzio che ci sia l’abuso della parola di Dio. Terzo elemento: gruppi che favoriscano il coagulo di varie realtà che si muovono nella stessa direzione; non dico il coordinamento, io non penso a gruppi che arrivano e pretendono di coordinare movimenti, realtà, partiti, sindacati esistenti, questo sarebbe fallimentare già dall’inizio; però si può operare per sollecitare un risveglio, per indurre a quello spostamento sulle questioni di confine, sulle contraddizioni più acute presenti in un territorio. Rispondono i sindacati? Risponde il Partito Democratico? Qualche altro partito più a sinistra? Rispondono gruppi di insegnanti, rispondono gruppi del volontariato critico?
Benissimo. L’importante è favorire questo risveglio, questo concentrarsi sulle contraddizioni concrete promuovendo quei tre tipi di azione restitutiva, riconduttiva, educativa, di cui dicevamo. Deve trattarsi di gruppi che non considerano “un tesoro geloso” la loro identità ma la intendono con autoironia come una identità di servizio: perché se davvero hanno una memoria cristiana si ricordano che i credenti in realtà sono un’anticipazione, un elemento simbolico per l’identità di figli che riguarda tutti, credenti e non credenti; si ricordano che l’identità si misura dai frutti e non si misura dalla presunzione, dall’orgoglio di averla in qualche modo come un appannaggio, come un monopolio.
Allora secondo me la traduzione concreta di questa idea che qui si discute e che va sviluppata, va articolata, è proprio quella di dire: siamo o non siamo in grado di coltivare una speranza che non sia ideologica, che non sia religiosa nel senso negativo, cioè che non sia esclusiva, una speranza che sia all’altezza della condizione umana, e siamo soprattutto in grado di operare le conseguenze politiche della speranza?
Roberto Mancini
Articolo tratto da:
FORUM (107) Koinonia
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