CASO SAKINEH. DONNE, UOMINI, E VIOLENZA: USCIRE DALLA ’PREISTORIA’. Che si apra finalmente la guerra alla violenza sulle donne ovunque, perché quella sulle donne è violenza capace di tutto e buona a nulla ....

LA BIBBIA, IL CORANO, E LA LAPIDAZIONE: "LA" PIETRA SU CUI SI FONDA "LA" CIVILTA’!!! Una nota di Shukri Said e un’intervista a Franco Cardini di Elisa Battistini

La battaglia per i diritti umani non si fa saltuariamente. Per una Sakineh di cui traspare la triste storia, ci sono nel mondo tante altre donne, troppe, che anonimamente subiscono violenze e torture intollerabili.
venerdì 10 settembre 2010.
 

Sakineh violenza ancestrale

La lapidazione, esclusa dal Corano, era prevista dalla Bibbia fino al fatto dell’adultera con Gesù Ora una battaglia contro le violenze alle donne

di Shukri Said (l’Unità, 10.09.2010)

La lapidazione per adulterio e concorso in omicidio minacciata a Sakineh non è medievale, è ancestrale. Escluso che sia comminata nel Corano, che non la prevede mai, essa è invece prevista dalla Bibbia per il caso di adulterio (Deuteronomio 22: 22, 23).

Il Deuteronomio risale al VI-V secolo a. C., ma Cristiani ed Ebrei hanno abbandonato tale pratica duemila anni fa quando, come riporta il Vangelo (Giovanni 8, 1-11), scribi e farisei portarono a Gesù una donna colta in flagrante adulterio interrogandolo sulla lapidazione prescritta da Mosè. E Gesù, con la famosa frase «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», impose l’abbandono della feroce pratica. Né Maometto, l’ultimo dei profeti, avrebbe voluto ripristinare una così barbara sanzione tanto limpidamente eliminata dal “suo” predecessore Gesù.

In effetti la lapidazione per adulterio fu introdotta nell’Islam con un Hadith di Omar, successore di Maometto (Hadith Sahih Muslim vol. 3, libro 17, n. 4206) e non appartiene all’esperienza diretta del Profeta narrata nel Corano, l’unica da osservare, dove si prevedono (Sura 24, 2-3, “La Luce”) “solo” 100 frustate per l’adulterio conclamato da quattro testimoni, maschi e attendibili, che dichiarino di aver assistito alla penetrazione. Il che equivale alla punizione, non dell’adulterio in sé, bensì dell’oltraggio al pudore (previsto come reato anche in Italia) suscettibile di scuotere, con lo scandalo che ne consegue, le regole di una sana comunità.

Infatti, la sanzione è eseguita dalla folla in un rito di espiazione dell’affronto subito dalla collettività. Invece rimane senza conseguenze l’adulterio “privato” in cui, al marito che accusa con apposita formula coranica, può rispondere pariteticamente la moglie discolpandosi mediante il ribaltamento della medesima formula pronunciata dal marito.

È inammissibile che nel terzo millennio siano considerati interlocutori della collettività internazionale paesi che ammettono ancora la lapidazione. Invece il mondo reagisce a questa barbarie di regime solo quando si lega a un nome.

Salviamo Sakineh oggi come quando salvammo la nigeriana Amina Lawal nel 2003. Queste reazioni internazionali, oltre che a salvare la vittima, mirano anche a sollevare dai sensi di colpa per il silenzio sui casi trascurati ma sicuramente esistenti. Perché chi deve impegnarsi per la salvezza della donna oppressa dai regimi canaglia, sono i governi di quei paesi dove l’opinione pubblica si mobilita e che di volta in volta si cimentano in compromessi per accontentare i loro elettori.

Viene così l’idea che il nome della vittima trapeli in occidente non tanto per l’abilità informatica o informativa di qualche dissidente, quanto per la volontà del regime che della più efferata nefandezza permette il diffondersi della notizia proprio per conquistare il compromesso di cui ha bisogno.

Il caso di Sakineh è la dimostrazione di questo metodo adottato dal regime iraniano per uscire dall’isolamento diplomatico conseguente alla scelta nucleare. È trapelata la sua condanna alla lapidazione per un reato di adulterio che, in occidente, non dà neppure più luogo alla separazione con addebito e, al movimento d’opinione sollevatosi contro il supplizio, si è risposto con una ulteriore condanna a 99 frustate per l’inconcepibile delitto di aver mostrato i capelli in una foto che, addirittura, non riproduceva neppure Sakineh. È questo un chiaro pretesto del regime iraniano per rimanere al centro dell’attenzione di quella comunità internazionale che sarebbe veramente ora che si svegliasse.

La battaglia per i diritti umani non si fa saltuariamente. Per una Sakineh di cui traspare la triste storia, ci sono nel mondo tante altre donne, troppe, che anonimamente subiscono violenze e torture intollerabili.

La violenza di tanti regimi è così antica e feroce che, anche per difendersene, le donne hanno mantenuto nei secoli le loro mutilazioni genitali, cioè la rinuncia alla sessualità. Non possiamo convincerle ad abbandonare definitivamente quelle pratiche se non combattiamo i regimi che infieriscono sulle donne tutte le volte che si affaccia il loro diritto alla femminilità. Se la democrazia non può essere esportata, come esperienze ancora in corso dimostrano, il suo seme può tuttavia essere piantato, ma va tenacemente coltivato.

Vogliamo che la battaglia per Sakineh sia l’ultima con un nome e che si apra finalmente la guerra alla violenza sulle donne ovunque, perché quella sulle donne è violenza capace di tutto e buona a nulla. Da estromettere dal Pianeta Terra con un formidabile rigurgito di dignità internazionale e non con intermittenti singhiozzi.


Antonello da Messina, Annunciata - 18 Kb

Antonello da Messina, Annunciata

Come avviene una lapidazione

“Sassi rotondi e lisci, la famiglia offesa scaglia la prima pietra”

di Elisa Battistini (il Fatto, 10.09.2010)

Tutto il mondo continua a mobilitarsi per salvare Sakineh Ashtiani dalla lapidazione e ancora non si sa se la pena sia stata davvero sospesa (ieri l’avvocato della donna iraniana ha detto di dubitarne). Una certezza però c’è: in alcuni paesi, tra cui l’Arabia Saudita, la Nigeria, il Sudan e l’Iran questa forma di pena di morte continua ad esistere.

Ma cosa significa? E come si svolge un’esecuzione di questo tipo?

Franco Cardini, storico e saggista, docente all’Università di Firenze, racconta la concreta brutalità di questa pratica.

Esistono delle regole per lapidare una persona?

La cosa più importante è che, a scagliare la prima pietra, siano i familiari di chi ha subito il torto. L’esecuzione può avvenire all’aperto o al chiuso, ma non è una prescrizione. Mentre è fondamentale che sia il “clan” di chi è stato offeso dal reato a guidare il sacrificio. Di solito, poi, vengono scagliate altre pietre da altre persone, legate in qualche modo alla famiglia “offesa”. Scagliare pietre è un gesto molto violento, ma il principio di fondo non è differente da quello che permette ai parenti delle vittime, negli Stati Uniti, di assistere in prima fila a un’esecuzione capitale. È una forma di pena di morte, cioè di estinzione del reato attraverso un sacrificio. Nella lapidazione è importante che il primo sasso non sia scagliato da chi non ha nulla a che fare con l’accaduto: sarebbe un gesto grave e inammissibile. Darebbe vita a una nuova spirale di vendetta.

Come devono essere le pietre?

I sassi devono essere lisci, rotondeggianti. L’origine ebraica della pena proviene dai clan di pastori e il sasso era il mezzo più comune per tenere assieme le pecore e punirle se sfuggivano al gregge. Infatti la lapidazione viene comminata solo per certi reati. Chi ruba non verrà mai lapidato. Viene lapidato, invece, chi si è reso colpevole di un crimine privato che offende la comunità perché ne viola i principi. Come l’adulterio, il tradimento della parola data, l’incesto, la mancanza di rispetto verso i genitori, l’omosessualità: sono reati che pongono l’individuo al di fuori del proprio gruppo. L’esecuzione è un sacrificio pubblico per estinguere un’offesa arrecata a tutti.

Quanto dura una lapidazione?

Finché la vittima non è sepolta e ricoperta dai sassi, anche se è già morta. La vittima può anche morire al primo colpo, ma il fine simbolico dell’atto non è la morte in sè. Il sasso è un’arma che non si adopera per gli esseri umani. Viene lapidato chi, con i suoi comportamenti, si è posto al di fuori del consorzio degli uomini. La lapidazione esprime un senso di repulsione, di estraneità. È la cacciata dal consorzio umano. La pietra si usa con le bestie. E la sepoltura del lapidato è un atto rituale: si continuano a scagliare sassi fino a che la persona punita non scompare dalla vista.

Quanto è importante che la persona soffra?

Pochissimo. Non è questo l’obiettivo. L’obiettivo è il “risanamento” della comunità che ha subito un torto considerato molto grave. Il lapidato è il capro espiatorio da punire per ristabilire l’ordine.

Dove avvengono queste pratiche mortali?

Non molto in Iran, che è un paese fondamentalmente occidentalizzato dal 1979. Sono più frequenti invece Arabia Saudita. Noi ci stiamo appassionando al caso della povera Sakineh in modo un po’ pretestuoso: chissà quante persone vengono lapidate e non lo sappiamo. Sakineh è diventata un simbolo. È giusto opporsi. Ma la pratica dell’iniezione letale di fronte alla famiglia della vittima non mi pare più civile.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

ALLAH, ISLAM, CORANO. PICCHIARE DONNE, UCCIDERE UOMINI, TERRORIZZARE E DISTRUGGERE TUTTO. QUESTI, PROPRIO QUESTI, SONO GLI INSEGNAMENTI DEL PROFETA MAOMETTO?! Un’intervista a Laleh Bakhtiar, autrice di una nuova traduzione del Corano, e un intervento di Mohsen Hamzehian dell’Unione per la Democrazia in Iran.

-  PER UNA SVOLTA ANTROPOLOGICO-TEOLOGICA...
-  ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II
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-   I TRE ANELLI E L’UNicO "PADRE NOSTRO". NATHAN IL SAGGIO: CHE ILLUSIONE AFFIDARSI ALLA CHIESA ’CATTOLICA’!!!

-  L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana"

-   USCIAMO DAL SILENZIO: UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE.

-  Sakineh Mohammadi Ashtiani


Reyhaneh Jabbari (impiccata, nel carcere di Teheran, per aver ucciso l’uomo che voleva stuprarla - 2014) - 19.3 Kb

Reyhaneh Jabbari (impiccata, nel carcere di Teheran, per aver ucciso l’uomo che voleva stuprarla - 2014)


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