Da utilizzatore a scendere in campo
"Così la politica ci ruba le parole"
In un convegno organizzato dalla Società Dante Alighieri a confronto Zagrebelsky e Carofiglio.
"Molti termini di uso corrente sono diventati oggetti contundenti"
di MANUEL MASSIMO *
Tempo di bilanci per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Anche sulla lingua: uno degli elementi più importanti e "aggreganti" di un’identità nazionale sembra essere entrato in crisi, soprattutto a causa dell’appropriazione "indebita" di alcune parole da parte della politica, fenomeno oggi più che mai attuale. Uno spunto di riflessione arriva dal convegno organizzato a Roma dalla Società Dante Alighieri, nell’ambito del progetto "Pagine Aperte", per conversare con gli autori di due recenti scritti sul linguaggio della politica: "Sulla lingua del tempo presente" del presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky - ordinario all’Università di Torino e presidente onorario dell’Associazione Libertà e Giustizia - e "La manomissione delle parole" dello scrittore - ex magistrato oggi senatore del Pd - Gianrico Carofiglio.
Scendere in campo. "Il lessico del berlusconismo è il prodotto di un ambiente". Il professor Zagrebelsky si sofferma sull’espressione con cui Silvio Berlusconi irruppe sulla scena politica il 26 gennaio 1994: "Scendere in campo: una metafora calcistica che rappresenta l’esatto contrario di quello che dovrebbe accadere in una democrazia". Un discorso in cui si sosteneva che ci fosse bisogno di un "deus ex machina", di un salvatore per uscire da una situazione difficile. Uno schema mentale - sostiene Zagrebelsky - che negli anni ha fatto scuola e influenzato profondamente il nostro modo di pensare: "Quando dall’altra parte (leggi: Partito Democratico, ndr) si attende l’arrivo di un ’papa stranierò non si sta forse ricalcando lo stesso modello?".
Innocenti evasioni. Secondo Zagrebelsky c’è un’altra espressione ormai entrata nel lessico comune - "mettere le mani nelle tasche degli italiani" - che trascina con sé l’idea che pagare le tasse non sia ciò che dice la Costituzione (cioè un dovere di cittadinanza) ma venga considerato come un borseggio. Quindi in pratica un via libera all’evasione fiscale "giustificata" attraverso il semplice uso di una formula: "Le metafore possono essere pericolosissime: sono dei trasferimenti, si prende un termine da un contesto e lo si trasporta in un altro ambito; ma tutto ciò che sta dietro a questo contesto di partenza tende a trasferirsi nel nuovo".
Maneggiare con cura. "Le parole sono come rasoi: pericolosi a seconda di chi li maneggia. Molte parole fondamentali del lessico civile sono diventate oggetti contundenti". Il senatore Carofiglio concorda sulla necessità di rispettare la natura delle parole però, a differenza di Zagrebelsky, ritiene che la comunicazione politica non possa fare a meno delle metafore: "Oggi il politico italiano che riscuote il maggior successo in pubblico è Nichi Vendola perché i suoi discorsi sono innervati di metafore che alludono all’esperienza sensoriale e non all’astrattezza concettuale. Questo è uno dei suoi punti di forza: l’uso consapevole di metafore che mettono in moto dei meccanismi interiori in chi ascolta".
Luoghi troppo comuni. La politica si è letteralmente impadronita di espressioni mutuate da altri contesti o coniate ex novo e le ha fatte diventare dei "luoghi comuni linguistici" di cui i cittadini - come denuncia Zagrebelsky - spesso non comprendono l’esatto significato. Si parla e si ragiona per frasi fatte, senza approfondire i concetti. Carofiglio sottoscrive e rilancia, elencando le parole oggetto di "furto": democrazia, libertà, amore. Ma anche le espressioni abusate o usate a sproposito di cui sarà difficile liberarsi: "lo scontro tra politica e giustizia", "le parole d’ordine della sinistra", "l’utilizzatore finale" e la lista potrebbe continuare ancora ad libitum.
Senza vergogna. Carofiglio sostiene che la vergogna - anche e soprattutto in politica - sia un sentimento da coltivare maggiormente: "L’incapacità di vergognarsi da parte di chi dovrebbe farlo è pericolosa: solo chi riesce a provare vergogna ha la capacità di praticare il suo contrario, cioè l’onore. La caratteristica della vergogna è di essere un segnale, un fondamentale meccanismo di tutela della salute morale". In mancanza di questo campanello d’allarme si rischia la degenerazione, si continua a perseverare nell’errore che non si riconosce come tale; capita così che perfino "comportamenti in bilico fra il malcostume da basso impero e il territorio del penalmente rilevante" che stanno monopolizzando da mesi l’agenda-setting della politica vengano esibiti con orgoglio e rivendicati davanti a tutti.
Interpretazione e omologazione. "Parole: bisogna conoscerne tante e usarne poche". Questa la formula aurea che Zagrebelsky individua per "tutelarsi" dai pericoli insiti nel linguaggio: "Dobbiamo cercare di usare poche parole: servono a comunicare ma ogni parola è un trabocchetto. Da giurista osservo che il legislatore cade in questo equivoco usando centinaia di parole: senza capire che ognuna di esse si presta a essere interpretata". Ma per poter decodificare la realtà che ci circonda occorre avere un buon bagaglio linguistico: "Se noi non abbiamo le parole non abbiamo neanche le idee". E contro il pericolo di un’omologazione della lingua - veicolata attraverso i mass media - è bene: "Coltivare la varietà del linguaggio e fare un buon uso - accurato, consapevole e cosciente - delle parole". E compiere ogni giorno il gesto rivoluzionario di cui parlava Rosa Luxemburg: "Chiamare le cose con il loro nome".
* la Repubblica, 17 febbraio 2011
PER APPROFONDIMENTI SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
L’ITALIA CON "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA: "CORTO CIRCUITO"!!! LA LUNGA OFFESA E LA DEVASTANTE OFFENSIVA DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA (1994-2011)!!!
L’ITALIA, IL "BIPOLARISMO PRESIDENZIALE", E I COSTITUZIONALISTI IN COMA PROFONDO (1994-2011).
PER IL "15O° ITALIA", COSTITUZIONALMENTE, FORMALMENTE E LEGALMENTE, TOGLIERE LA PAROLA : ITALIA, DALLE MANI DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA", DEL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
RESTITUIRE LA PAROLA "ITALIA" AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO, AL PARLAMENTO, E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA
SCHEDA EDITORIALE *
Gianrico Carofiglio
«La versione di Fenoglio»
Un manuale sull’arte dell’indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da personaggi di straordinaria autenticità.
Il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio sta andando verso il congedo. Lontano dalla caserma per un’operazione all’anca e costretto alla fisioterapia, che vive come segno ineluttabile di senilità, non vede l’ora di riprendere il lavoro; anche se sa con sgomento che la pensione si avvicina.
Seguito da Bruna, una fisioterapista attraente ma indecifrabile, condivide il percorso rieducativo con Giulio, un giovane studente di Giurisprudenza che si sta affacciando alla vita con poche certezze, tranne quella di non voler fare l’avvocato come suo padre.
I due parlano, Fenoglio racconta le sue storie da investigatore, tre casi risolti dai quali emerge il suo metodo investigativo: «Gianrico Carofiglio è tornato sul luogo del delitto (letterario) che lo appassiona di più. Investigare sul crimine, per indagare la vita. Sviscerare il meccanismo col quale un bravo sbirro riesce a spremere da un fattaccio di cronaca qualche stilla di verità, per azzardare un metodo che ci consenta di conoscerci e riconoscerci per quello che siamo: il legno storto dell’umanità, per usare l’immagine di Isaiah Berlin» (Massimo Giannini, «la Repubblica»)
Investigare è un arte complessa, l’ego deve rimanere in disparte, bisogna saper costruire una storia, sapersi guardare intorno, saper riconoscere la menzogna, perché tutti mentono: «C’è la menzogna per la sopravvivenza individuale e collettiva: la verità sempre e comunque è un’idea astratta, un obbligo che può confliggere con l’imperativo morale» (Gianrico Carofiglio intervistato da Maria Grazia Ligato, «Io Donna Corriere della Sera»)
* EINAUDI
Il doppio Stato
di Carlo Galli (la Repubblica, 23.o6.2011)
Gli italiani hanno scoperto di esser stati governati per anni da un esecutivo Berlusconi-Bisignani. Ci eravamo abituati a criticare con estrema durezza il potere pseudo-carismatico, mediatico, affabulatorio del premier. A criticare la sua prassi extra-istituzionale di rappresentare i cittadini - trasformati in popolo adorante che si identifica in una icona, in un corpo mistico virtuale -, il suo indirizzarsi contro gli avversari come contro dei ‘nemici’, il suo saper produrre prevalentemente immagini (sogni o incubi) a uso e consumo degli italiani, e il suo interessarsi solo a sé e ai suoi amici per quanto riguarda gli interessi concreti da salvaguardare. A opporci alla sua pretesa di essere sopra la legge, oltre la Costituzione, ai limiti della democrazia (e estraneo alla democrazia liberale parlamentare e alle sue garanzie).
Sembrava, tutto sommato, di avere a che fare con un potere eccezionale, con un concentrato di potenza difficilmente riconducibile alla misura costituzionale, con un’enormità e con un’anomalia che sovrasta (o cerca di farlo) l’ordinamento. Ora, si scopre che tutto ciò è certamente ancora vero, ma che c’è dell’altro: che questo potere - come le scatole cinesi - è a sua volta una maschera, che cela in sé un vuoto; e non solo perché è vuoto di ogni istanza pubblica ed è pieno di una sola istanza privata - quella di Berlusconi - ma perché è abitato da altri, da occulti manovratori, da tessitori di trame economiche, politiche, mediatiche, giudiziarie, dai soliti noti che costruiscono ignote reti di potere, più efficaci del potere ufficiale, dalle quali questo viene distorto, piegato, corrotto. Non soltanto, insomma, abbiamo a che fare col potere gigantesco e iper-visibile del premier, ma anche con il potere oscuro della P4 (e chissà di quante altre P, ancora, ci toccherà apprendere l’esistenza); non solo con un potere che sta (o pretende di stare) sopra la Costituzione, ma con uno, ramificato e pervasivo, che sta dietro e sotto le istituzioni, non visibile ma coperto.
Nel 1941 un esule tedesco, Ernst Fraenkel, scrisse in America un libro intitolato Il doppio Stato, in cui spiegava il funzionamento del potere nazista: secondo lui, allo "Stato normativo", lo Stato delle istituzioni legali, la Germania di Hitler affiancava un secondo Stato, lo "Stato discrezionale", che funzionava con l’arbitrio e la violenza, al di là di ogni norma e di ogni garanzia. La differenza rispetto alla nostra situazione - al di là, naturalmente, del fatto che nel nostro Paese non vi è nulla di neppure lontanamente paragonabile al delirio di violenza criminale che caratterizzò il regime nazista - è che oggi, in Italia, i sistemi di potere politico, compresenti, non sono due, ma tre: quello legale-costituzionale, quello carismatico-populistico, e quello occulto delle trame oscure e delle cricche d’affari. Il primo, l’unico che una democrazia liberale può e deve conoscere, ovvero l’unico legittimo, è sotto stress, logorato e minacciato; il secondo, che al primo ha voluto sovrapporsi, ha funzionato per almeno dieci anni come portatore di una legittimità alternativa alla costituzione - formalmente intatta, nonostante i numerosi progetti di manomissione, ma bypassata da un’altra immagine della politica, dallo splendore del carisma populistico -; e infine, ormai logorato anche questo secondo sistema di potere, emerge ora il terzo, un potere indiretto e manipolatorio che ha scavato, come un esercito di termiti o di tarli, all’interno delle strutture pubbliche, penetrandole, corrodendole, piegandole a fini di parte.
Questo terzo potere è l’antitesi del primo, come l’illegalità lo è della legalità, l’opacità della trasparenza; ma è anche la verità del secondo, la logica conseguenza dello svuotamento idolatrico della democrazia che questo ha operato. L’idolo luccicante con cui troppi italiani hanno voluto sostituire la prosa e la serietà dell’impegno civile, e anche la semplice legalità, è stato l’incuatrice - li ha allevati in sé, e li ha coperti - dei robusti, tenaci e voraci animaletti, che all’insaputa dei cittadini hanno scavato cunicoli e gallerie nelle istituzioni, e hanno così minato l’essenza della vita democratica. L’idolo che oggi si rivela pullulante di vite parassitarie, infatti, ha privato gli italiani del diritto di essere liberi cittadini, in grado di decifrare razionalmente la vita pubblica, e ne ha fatto degli ignari spettatori di innumerevoli arcana imperii, orditi da pochi, che li hanno avvolti nelle trame insidiose dei poteri distorti. A ulteriore e tardiva dimostrazione che è soprattutto l’assenza di potere autenticamente democratico a generare mostri e mostriciattoli.
Lunedì al Quirinale un incontro su “la lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale” nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia *
Il 21 febbraio 2011 alle ore 11.00 avrà luogo al Palazzo del Quirinale un incontro su "la lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale", nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
L’evento è promosso dalla Presidenza della Repubblica con la collaborazione dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia della Crusca, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e della Società Dante Alighieri.
L’incontro sarà aperto da Gianni Letta in rappresentanza del Governo. Seguirà un filmato realizzato da Giovanni Minoli con i materiali d’archivio della Rai. Quindi Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei Garanti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, introdurrà l’iniziativa affrontando il tema "La lingua italiana e l’unità nazionale". Seguiranno gli interventi di personalità del mondo accademico e culturale: Tullio De Mauro su "L’Italia linguistica dall’Unità all’età della Repubblica", Vittorio Sermonti su "La voce di Dante", Luca Serianni su "La lingua italiana nel mondo", Carlo Ossola su "I libri che hanno fatto gli italiani", Nicoletta Maraschio su "Passato, presente e futuro della lingua nazionale" e Umberto Eco su "L’italiano del futuro". L’ultimo intervento sarà del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Le riflessioni sul rapporto tra la lingua italiana e l’identità della nazione saranno intervallati da letture di brani letterari che hanno segnato l’evoluzione della lingua nazionale, da parte di Fabrizio Gifuni, Umberto Orsini, Ottavia Piccolo, Toni Servillo e Pamela Villoresi. Due pagine musicali saranno interpretate da Roberto Abbondanza (baritono) e da Federico Amendola (pianoforte).
Nella stessa giornata sarà aperta nella Sala delle Bandiere del Quirinale la mostra "Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana. Francesco De Sanctis e l’Unità d’Italia", promossa dalla Fondazione De Sanctis, che sarà aperta al pubblico da martedì 22 febbraio a domenica 3 aprile: "Un viaggio - ha scritto il Capo dello Stato nel catalogo della esposizione - tra i capolavori che hanno radicato in noi il sentimento di appartenere a una comunità di lingua e di ideali".
SITO: PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Notizia&key=14465
UNITA’ D’ITALIA
Sì al decreto : 17 marzo sarà festa nazionale
la Lega non aderiscee: ""Follia incostituzionale"
La decisione del Consiglio dei ministri con la riserva del Carroccio: Maroni assente, Bossi e Calderoli non votano. La Russa: Non c’è rottura, solo diversità di opinione
ROMA - Dopo le polemiche delle ultime settimane , il Consiglio dei ministri ha deciso: il 17 marzo sarà festa nazionale. Ma la decisione non è stata indolore: i tre ministri leghisti non hanno aderito. E al termine della riunione Roberto Calderoli è stato molto netto: "Fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a caso mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale".
Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli da tempo contestano la scelta di festeggiare con l’astensione dal lavoro e dalle scuole il 17 marzo. Ma con la Lega non c’è nessuna rottura, si affretta a chiarire Ignazio La Russa, solo "diversità di opinioni". E’ stata una decisione giusta, per il titolare della Difesa, "di cui siamo soddisfatti, senza trionfalismi di nessun genere". Chiediamo a tutti rispetto "ma non obbligheremo nessuno a festeggiare", aggiunge.
Maroni aveva già lasciato l’aula quando si è proceduto alla votazione, mentre Bossi e Calderoli, presenti, non hanno votato. "Se pur in modo garbato, hanno espresso una diversità di opinione", spiega La Russa in conferenza stampa al termine del consiglio dei ministri. La questione della copertura finanziaria è stata superata con il trasferimento "degli effetti economici e degli istituti giuridici e contrattuali dalla festa del 4 novembre al 17 marzo. Questo varrà solo per il 2011", aggiunge. D’altra parte "sarebbe stato quasi comico che la festa dei lavoratori si festeggiasse stando a casa e invece quella di tutti si festeggiasse andando a lavorare. Non sarà così".
E sulla riserva della Lega commenta: "Non c’è nulla di male se nel Cdm, che si è espresso a larga maggioranza, si esprime una diversità di opinione. Ho discusso con Bossi in modo tranquillo e gli ho fatto notare che dove c’è il federalismo lo spirito nazionale è più forte. Credo che le due cose possano andare di pari passo", dice La Russa. E forse, "quando il federalismo sarà compiuto chi, fra gli amici che hanno oggi votato contro, potranno aderire".
I DOCUMENTI
WikiLeaks, l’Italia vista dagli Usa
"Con Berlusconi paese ormai in declino"
Le valutazioni della diplomazia statunitense contenute nei nuovi documenti segreti.
"La reputazione in Europa è lesa". "Il premier danneggia l’Italia ma ci è utile e non dobbiamo abbandonarlo, alla fine ne trarremo vantaggi"
di FABIO BOGO *
ROMA - Quattromila cables riservati filtrati dall’ambasciata Usa a Roma, oltre 30 mila pagine di documenti finora segreti che raccontano l’Italia e i suoi protagonisti dal punto di vista critico e sferzante del suo più importante alleato. E molti di questi con un denominatore comune: il declino del ruolo internazionale dell’Italia è strettamente legato all’immagine di Silvio Berlusconi, l’uomo che la guida e la condiziona dal 1994, l’anno della sua discesa in campo. Dal 2002 al 2010 parlano ambasciatori, segretari di Stato, diplomatici di alto livello, politici di primo piano. Tutte comunicazioni rigorosamente classificate. Tutte rigorosamente destinate a restare riservate. Tutte, adesso, contenute nei cables che WikiLeaks ha ottenuto e che l’Espresso, in collaborazione con Repubblica, comincia da oggi a pubblicare.
UN PREMIER CHE OFFENDE TUTTI
"Il premier Silvio Berlusconi con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole" ha offeso nel corso del suo mandato "quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo", mentre "la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti".
E’ il febbraio del 2009 quando Ronald Spogli, ambasciatore americano in Italia nominato dal Presidente George W. Bush, si congeda dal suo mandato e scrive al nuovo segretario di Stato Hillary Clinton un memoriale intitolato "What can we ask from a a strong allied" (Cosa possiamo chiedere ad un forte alleato), classificato come Confidential e che ha un sapore profetico. Non è ancora esploso lo scandalo di Noemi Letizia, non è apparsa all’orizzonte la escort Patrizia D’Addario, non c’è ancora traccia dei festini di Arcore, né delle accuse di sfruttamento della prostituzione minorile con la marocchina Ruby, né delle pressioni sulla questura di Milano per procurarsi il silenzio della vittima. Le leggi ad personam proposte per tutelare il primo ministro dalle conseguenze dei processi in corso non sono state ancora respinte e non ha raggiunto l’apice il violento conflitto con la magistratura.
Ma ad inizio 2009 il premier, visto dagli Usa, è già un uomo debole, prigioniero dei suoi conflitti di interesse e dell’evidenza internazionale dei suoi abusi di potere. Quindi bisognoso dell’aiuto americano per legittimarsi sul piano interno e estero e come tale disponibile, quando richiesto, a comportarsi come "il migliore alleato". Berlusconi insomma non è nelle condizioni di dire alcun "no" a chi lo sostiene. Una sorta di ostaggio, che accetta volentieri tutte le richieste in termini di impegno militare e politico negli scacchieri strategici che vanno dall’Afghanistan alla ricollocazione dei prigionieri di Guantanamo, dalle basi sul territorio italiano alle sanzioni all’Iran. Un prezzo che finora non si sapeva di aver pagato.
L’IMMAGINE DI UN PAESE IN DECLINO
"Il lento ma costante declino economico dell’Italia - scrive l’ambasciatore Spogli - compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell’arena internazionale. La sua leadership spesso manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo. La riluttanza o l’incapacità dei leader italiani a contrastare molti dei problemi che affliggono la società, come un sistema economico non competitivo, l’obsolescenza delle infrastrutture, il debito pubblico crescente, la corruzione endemica, hanno dato tra i partner l’impressione di una governance inefficiente e irresponsabile. Il primo ministro Silvio Berlusconi è il simbolo di questa immagine". Spiega Spogli: gaffes e preminenza per gli interessi personali, assieme "al frequente uso delle istituzioni pubbliche per conquistare vantaggi elettorali sui suoi avversari politici, la sua preferenza per soluzioni a breve termine hanno danneggiato la reputazione dell’Italia in Europa". Un’immagine che Berlusconi tenta di rivitalizzare con iniziative che lasciano perplessi gli Usa.
L’Italia - annota Spogli - "fa molti sforzi, alcuni seri altri meno, per mantenere una posizione di rilevanza e influenza". Come quando "si propone nel ruolo di grande mediatore delle crisi mondiali, un ruolo autoconferitosi che alcuni politici, specialmente il premier Silvio Berlusconi, pensano possa conferire grande visibilità senza praticamente spendere alcunché". O come quando, senza alcun coordinamento, ritiene di avere i titoli per "mediare tra la Russia e l’Occidente, impegnarsi con Hamas e Hezbollah, stabilire nuovi canali di negoziato con l’Iran, espandere l’agenda del G8 con mandati al di là di ogni riconoscimento".
Insomma, una politica assolutamente velleitaria. Con costernazione Spogli prende atto che in una puntata di "Porta Porta" Berlusconi annuncia il ritiro dall’Iraq: svegliati in piena notte i generali Usa a Baghdad e mandata la trascrizione della puntata tv al Pentagono. Esterrefatto l’ambasciatore registra che mentre Israele bombarda Gaza il Cavaliere rilancia l’idea del tutto estemporanea di costruirvi alberghi e resort, annunciando che potrebbe "trovare investitori". Allibito informa Washington che il premier ha una sua strategia per la Siria, visto che l’allora moglie Veronica "ha conosciuto la consorte di Assad a Damasco", e dice: "Dovremmo coinvolgerla..."
Ma a Washington sono pragmatici. Si deve abbandonare un alleato pasticcione, in declino economico e inviso alle cancellerie europee per idiosincrasia politica?. "No - scrive Spogli alla Clinton - non dobbiamo. Dobbiamo anzi riconoscere che un impegno di lungo termine con l’Italia e i suoi leader politici ci darà importanti dividendi strategici adesso e in futuro"
IL DIVIDENDO DI WASHINGTON
Cosa può incassare l’America da questo governo? Spogli è esplicito. "L’Italia ci permetterà di consolidare i progressi fatti faticosamente nei Balcani negli ultimi vent’anni, le loro forze armate continueranno a giocare un ruolo importante nelle operazioni di peacekeeping in Libano e in Afghanistan, e, infine, il territorio italiano sarà strategico per l’Africom (United States African Command)", l’organismo costituito nel 2008 dalla Difesa Usa per coordinare gli interventi militari in Africa: comando a Stoccarda, ma bombardieri di stanza a Vicenza, nella base Dal Molin, e portaerei della VI flotta a Napoli. " Se useremo una forte pressione - sostiene inoltre Spogli - l’Italia eserciterà la sua influenza economica in Iran per mandare a Teheran un chiaro segnale che potrebbe influire sulla loro politica di sviluppo nucleare". E anche sul fronte del terrorismo Washington sa che Roma spalancherà le sue porte. Già nel febbraio 2009 Spogli avverte infatti che l’Italia si sta diligentemente preparando ad esaudire "quelle che ritengono saranno tra le nostre prime richieste, il farsi carico della custodia di alcuni detenuti nella prigione di Guantanamo (il ministro Frattini ufficializzerà la decisione 4 mesi dopo, ndr.) e un maggiore sforzo militare in Afghanistan (l’Italia sorprenderà gli Usa aggiungendo altri 1200 soldati ad Herat, portando il contingente schierato ad un totale di 4200 uomini).
L’unica vera preoccupazione è il rapporto tra Roma e Mosca, tra Berlusconi e Putin. Gli Usa vogliono controbilanciare la crescente influenza russa sul fronte dell’energia, e notano con disappunto che "l’Italia, sfortunatamente, invece la favorisce". Sui rapporti tra Berlusconi e Putin il punto di vista americano è noto. L’ambasciata Usa anche dopo la sostituzione di Spogli con David Thorne è in allarme e agisce su più fronti. Stimola il ritorno al nucleare, interviene sul governo per spezzare l’asse con Mosca e suggerisce: "dobbiamo far capire a Berlusconi che ha una relazione personale con noi e dobbiamo assecondare la sua convinzione di essere uno statista esperto". Ma l’operazione non è facile, il legame del cavaliere con "il suo amico Vladimir" è solida e ha radici misteriose. tanto misteriose da indurre Hillary Clinton nel gennaio 2010 a chiedere alle rappresentanze diplomatiche interessate di indagare sulle "possibili relazioni e investimenti personali che legano Putin e Berlusconi e che possono influenzare la politica energetica dei due paesi", e di svelare " i rapporti tra l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, i top manager dell’Eni e i membri del governo italiano, specialmente il premier e il ministro degli esteri Frattini". Gli americani si troveranno davanti ad un muro: in un cable un diplomatico italiano spiega che "tutto avviene direttamente tra Berlusconi e Putin".
UN PREZZO IRRISORIO DA PAGARE
Pasticciona e in difficoltà, l’Italia chiede aiuto agli Usa quando si accorge che l’organizzazione del G8 a L’Aquila comincia a fare acqua. Gli americani se ne sono già accorti, e una serie di cables descrivono la tensione nell’ambasciata di Roma: il flop può tramutarsi in una debacle per Berlusconi, già colpito dalle prime rivelazioni sugli scandali sessuali. Scatta il soccorso all’utile alleato: "Berlusconi - annotano - ha bisogno di mostrarsi un leader credibile a livello internazionale per ripulire la sua immagine, e ci sarà tremenda attenzione" al trattamento che riceverà dagli altri capi di stato e di governo. Obama acconsente e in Abruzzo il presidente "abbronzato" è gentile e comprensivo. Il vertice è un successo, il Cavaliere è salvo, l’opposizione politica è sconfitta
CONDANNATI ALL’INSTABILITA’
Gli americani capiscono dunque che con Berlusconi dovranno conviverci. A lungo. E sfruttarne le debolezze, che utilitaristicamente diventeranno per Washington preziose cambiali in bianco, da riscuotere all’occorrenza. Ne sono consci già prima delle elezioni del 2008, che - dopo la caduta della litigiosa coalizione guidata da Romano Prodi - riporteranno a Palazzo Chigi il Cavaliere, vittorioso su Walter Veltroni. "Se vince Veltroni la situazione sarà eccellente - scrivono da Roma a Washington - se ritorna Berlusconi sarà molto eccellente". Ne sono ancora più convinti dopo il G8 de L’Aquila. Non apprezzano la magistratura, definita "una casta inefficiente e autoreferenziale", priva di controllo e che condiziona la vita politica; non credono nei dissidenti della maggioranza; giudicano il Pd disorganizzato. E anche quando la Corte Costituzionale boccia il lodo Alfano non si preoccupano: Berlusconi resisterà. Temono invece gli effetti sul Paese dello scontro con il presidente Napolitano. Il Presidente è visto come una figura assolutamente cruciale per la stabilità del Paese, è stimato e seguito. Il Quirinale non si tocca, è un assoluto punto di riferimento. "Gli attacchi a una figura molto rispettata potrebbero essere presi male da molti italiani e determinare più ampie divisioni tra le due istituzioni". È uno scenario preoccupante, ma che porta anche dei vantaggi. Il premier infatti "per difendersi dai processi si dovrà distrarre dal lavorare per il popolo italiano". Ma ci sono altri referenti pronti a lavorare per gli Usa. I ministri Frattini e La Russa, ad esempio, vengono definiti particolarmente ansiosi di collaborare. Mentre ad Arcore continuano i festini, il business può proseguire.