Costruito nel cimitero di Tricarico (Matera) un manufatto che offende la figura del poeta Rocco Scotellaro ed è irrispettoso di un luogo che è “luogo della memoria storica” della città di Tricarico e luogo della “memoria letteraria” legato a tante pagine della prosa e della poesia di uno dei maggiori poeti del Novecento italiano, al quale Tricarico ha dato i natali. Appare inoltre già in gran parte chiuso il panorama della bella valle del Basento e forse altri lotti sono stati concessi. Incombe quindi il pericolo che l’incantevole panorama sarà completamente chiuso. Denunciare lo scempio di memorie, di senso civico e di voce dei luoghi significa difendere la Costituzione ed è dovere di tutti. (Piero Stefani)
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COMUNICATO STAMPA DEL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE ROCCO SCOTELLARO
Chi in questi giorni dovesse andare al cimitero di Tricarico e visitare la tomba di Rocco Scotellaro, non potrebbe non essere fortemente colpito, già percorrendo lo storico vialetto fiancheggiato dai cipressi che ad essa conduce, dallo stravolgimento del luogo a causa di un’imponente cappella privata in avanzato stato di costruzione a pochi metri dal monumento funebre del Poeta di Tricarico. È difficile comprendere e giustificare la scelta operata dal Comune, nei confronti della quale il Centro di documentazione “Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra” esprime forte disapprovazione, per aver permesso la realizzazione di un simile manufatto.
La scelta è irrispettosa della figura di Scotellaro e di un luogo che è “luogo della memoria storica” della città di Tricarico e luogo della “memoria letteraria” legato a tante pagine della prosa e della poesia di uno dei maggiori poeti del Novecento italiano, al quale Tricarico ha dato i natali. La nuova costruzione in cemento viola il luogo e gli toglie respiro, lo stravolge e compromette gravemente la visibilità e la centralità di un monumento funebre importantissimo non solo per le spoglie che custodisce, ma anche perché si tratta di un’opera di altissimo valore architettonico, progettata e realizzata nel 1955 dal Gruppo BBPR, vale a dire da Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto N. Rogers, architetti milanesi che hanno segnato la storia dell’architettura italiana del Novecento.
Fu Carlo Levi che nella progettazione dell’opera, finanziata da Adriano Olivetti, coinvolse questi architetti, i quali nell’ubicazione della tomba privilegiarono proprio il muro di cinta che limita il cimitero di Tricarico verso oriente, da dove in lontananza si scorge la valle del Basento, quel “versante lungo del Basento”, che è tema ricorrente nella poesia di Scotellaro.
Il monumento venne concepito ed eseguito in blocchi di pietra in continuità con la pietra del muretto (stravolto già da tempo da una ringhiera di ferro), incastrati e sovrapposti in modo che l’apertura più ampia della base si andasse restringendo verso l’alto, quasi a simboleggiare un anelito spirituale e permettesse di inquadrare la valle del Basento.
Su di essi vennero incisi i notissimi versi di Scotellaro: “Ma nei sentieri non si torna indietro / altre ali fuggiranno/ dalle paglie della cova, / perchè lungo il perire dei tempi / l’alba è nuova, è nuova”.
Il maggior ispiratore dell’opera fu Ernesto N. Rogers, una delle principali personalità teoriche e critiche della scena architettonica milanese, direttore delle importanti riviste di architettura “Domus” e “Casabella”, che ha influenzato profondamente la cultura architettonica europea; egli fu fortemente coinvolto dalle suggestioni pervenutegli da Carlo Levi, dalla lettura delle poesie di Scotellaro e dalla figura e dalla carica morale dello stesso giovane lucano prematuramente scomparso, che assunse il valore emblematico delle lotte contadine e del riscatto del popolo meridionale.
Questo edificio, oggetto di studi e di pubblicazioni, costituisce un raro esempio in Basilicata delle opere del Gruppo BBPR ed è notissimo in Italia. La volontà che si costruisse una degna sepoltura a Scotellaro, a onor del vero, era scaturita dalla stessa cittadinanza di Tricarico, di cui si resero partecipi le Amministrazioni comunali presiedute da Giovanni Laureano, che con delibera di Consiglio n. 64 del 20 maggio 1954 concedeva a titolo gratuito ed in perpetuo il suolo cimiteriale per “innalzare una cappella in memoria del poeta scomparso” e da Giovanni Santoro che, con delibera di Giunta n. 133 del 22 agosto 1955 accolse “ad unanimità di voti” l’istanza presentata dalla madre di Scotellaro (Francesca Armento), di cambiare l’ubicazione dell’area cimiteriale già concessa, estendendola da 10 a 16 mq e autorizzò la costruzione della tomba secondo il progetto del Gruppo BBPR.
Il Centro di documentazione sollecita, dunque, interventi immediati per ristabilire lo stato del luogo, riconducendolo al contesto originario, in maniera da restituire dignità al monumento funebre di Scotellaro, rispetto al suo illustre cittadino, alle scelte operate nel passato dalla città di Tricarico e valorizzando un’opera d’arte che è patrimonio di Tricarico e non solo, come dimostrano tra l’altro anche le fotografie di Mario Carbone.
Carmela Biscaglia - Direttore del Centro di documentazione "Rocco Scotellaro e la Basilicata del secondo dopoguerra"
* FONTE: BLOG DI PIERO STEFANI, 27/05/2011
CARLO LEVI, "«lo scrittore non è un mio amico. Non è un amico come non può esserlo l’avvocato, il medico, il testimone, il deputato, il prete. Quest’uomo è un fratellastro, mio, nostro, che abbiamo un giorno incontrato per avventura.
Ciò che ci lega a lui è una fiducia reciproca per un fatto accaduto a lui e a noi, è un amore della propria somiglianza»" (ROCCO SCOTELLARO, "L’uva puttanella. Contadini del Sud").
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
MATERA 2019, CAPITALE DELLA CULTURA EUROPEA ...
LUCANIA, OGGI: MEMORIA (E PROFEZIA) DI CARLO LEVI, DI "UN TORINESE DEL SUD", SEPOLTO AD ALIANO.
Federico La Sala
#QUESTIONEANTROPOLOGICA E #FESTADELLAMAMMA (2023): FORMAZIONE, #AUTONOMIA RELAZIONALE E "CORAGGIO DI SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA"
Un omaggio a una riflessione di Nicola Fanizza sulla figura di #RoccoScotellaro e sulla sua ipotesi di lettura della #relazione con la #madre:
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#ANTROPOLOGIA E #SAPEREAUDE! (#Kant, 1784) Condivido, chiarissimo prof. Nicola Fanizza. Chiarezza e lucidità strategica, lungimirante, "messianca" da parte di Rocco Scotellaro... che ricorda alla madre che cosa la stessa madre gli ha insegnato, prima di essere "ridotta" a "madre"!
Rocco Scotellaro: la voce del Mezzogiorno
Scrittore e politico, lo ricordiamo a 100 anni dalla nascita e a 70 dalla morte. Per troppo tempo dimenticato, ha indagato le condizioni di povertà del Sud, portando l’attenzione su una situazione drammatica. Un articolo
di David Bidussa *
A distanza di tanti anni cosa resta di quei roboanti dibattiti? Cosa significa adesso un libro come "La terra del rimorso"? Resta un impianto metodologico che di populista non ha proprio niente
Claudio Piersanti ha colto un aspetto essenziale della Terra del rimorso di Ernesto De Martino, ristampato recentemente da Einaudi.
Lo stesso vale per Rocco Scotellaro a settanta anni dalla morte (15 dicembre 1953) e a cento dalla nascita (19 aprile 1923) come ci suggerisce Marco Gatto con il suo Rocco Scotellaro e la questione meridionale, buono strumento per far rinascere l’interesse verso la vicenda umana, intellettuale, culturale e politica di Rocco Scotellaro, a lungo coltivata dai suoi amici ma che si è persa nella memoria nazionale.
La proposta di Marco Gatto è ricostruire il profilo di Rocco Scotellaro non più come il cantore di una civiltà sull’orlo della dissoluzione, bensì - riprendendo la suggestione di Gramsci dai Quaderni del carcere - come «costruttore, organizzatore, mescolandosi attivamente nella vita pratica».
Marco Gatto definisce così l’opera umana e culturale di Scotellaro:
Tornano utili le considerazioni di uno dei suoi maestri, Manlio Rossi Doria.
Nel 1974, a venti anni dalla morte di Scotellaro, Rossi Doria sottolinea come la figura e le vicende di Rocco Scotellaro gli apparissero, contemporaneamente, lontane e vicine.
Da una parte la descrizione delle campagne e delle condizioni del Mezzogiorno - un quadro umano che Carlo Levi, amico di Rocco Scotellaro, aveva messo al centro del suo Cristo si è fermato a Eboli - dall’altra le scelte radicali che i giovani del Mezzogiorno erano chiamati a compiere di fronte alle sfide del proprio tempo. Ciò che Rossi Doria vede ripetersi (a metà anni ’70) per molti aspetti continua a essere vero anche oggi.
A dimostrazione Rossi Doria cita due testi diversi di Scotellaro: il primo scritto nel tempo della Costituente (tra 1946 e 1947), quando le speranze e la scommessa sul futuro aperte dalla Resistenza e poi dalla Liberazione inducono a pensare che «molte cose siano possibili»; il secondo ripreso da un passaggio dell’Uva puttanella - l’autobiografia a cui Scotellaro lavora tra 1950 e 1953, rimasta incompiuta e che poi Laterza pubblicherà in prima edizione nel 1955 con una introduzione «calda» di Carlo Levi.
Nel 1946 Scotellaro riprende le domande che Luigi La Vista, giovane ribelle napoletano che nel 1848 cade sulle barricate a Napoli, ha rivolto ai suoi compagni esattamente un secolo prima:
Un secolo dopo quelle domande senza risposta tornano nella riflessione di Scotellaro:
Cinque anni dopo ripensa alla sua vicenda di sindaco, interrotta dall’accusa di concussione, truffa e associazione a delinquere mossa dai suoi avversari politici che lo porta in carcere per 45 giorni (dall’8 febbraio al 25 marzo 1950) e da cui esce assolto con formula piena per non aver commesso il reato, vicenda ricostruita nel 2016 da Michele Porcari.
È anche l’occasione per un bilancio della politica e delle sue contraddizioni.
Scrive allora Scotellaro in una pagina di Uva puttanella ripensando alla sua esperienza umana di sindaco, ma soprattutto al rapporto tra società civile e politica:
Ciò non lo porta verso l’antipolitica.
Le dimissioni da sindaco l’8 maggio 1950 (carica in cui era stato reintegrato all’indomani della sua scarcerazione) lo convincono infatti a ritenere che un’azione politica è possibile, trovando strade diverse dalla politica di partito.
Non è l’unica questione per cui vale la pena riprendere in mano la scrittura e la riflessione civile di Rocco Scotellaro a cento anni dalla nascita e a circa settanta dalla morte. Rimaniamo ancora in questo tempo segnato dalla sconfitta e dalla necessità di trovare strade diverse dall’impegno diretto in politica.
Il primo passo che compie Scotellaro dopo il suo arresto e la sua scarcerazione - una vicenda che non è un unicum nella storia del Mezzogiorno dell’Italia repubblicana e che dal punto di vista giudiziario ha affinità non secondarie con la vicenda a noi più vicina di Domenico Lucano - è quello di difendere il mondo contadino e la sua cultura, anzi la sua «civiltà», osservando tutto con rispetto.
Lo scrive nell’Uva puttanella quando rievoca come aveva presentato Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi ai suoi compagni di cella:
Scotellaro non ha nostalgia di un mondo di cui percepisce la fine e la sua sostituzione con una condizione di sfruttamento, di alienazione, e di soggezione (oppure più radicalmente di schiavitù). Gli interessa, parallelamente alle riflessioni portate avanti da Camus nel suo L’uomo in rivolta, la fisionomia e il diritto alla rivolta anche contro quelle ideologie che promettono l’uguaglianza ma poi praticano la tirannia.
Per questo è sensibile al ridare voce ai «senzavoce», a trovare linguaggi, costruire luoghi di discussione - in quegli anni riviste, oggi diremo piattaforme - in cui scambiare esperienze e rompere le solitudini, come spiega in un suo intervento del 1952 dal titolo Le riviste di cultura e il nostro tempo.
È l’esperienza del carcere a fargli cambiare radicalmente prospettiva.
Inaugura così un’esperienza di cittadinanza militante che anticipa alcune delle sollecitazioni che alla fine degli anni ’50 saranno poi proposte da Hannah Arendt nel suo Vita activa.
Questo aspetto forse spiega la marginalizzazione di Scotellaro o il giudizio sulla sua opera come fascino nostalgico, un tratto evidenziato da Alberto Asor Rosa in Scrittori e popolo quando classifica la sua prosa come espressione dei «moduli classici dell’estetismo populistico-democratico». Ma forse è proprio per questo, riprendendo lo spunto di Rossi Doria, che ce lo fa sentire vicino, o meglio «prossimo».
Scotellaro, attraverso la sua scrittura, non solo giornalistica o letteraria ma di indagine sul mondo contadino - il riferimento è a Contadini del sud che Laterza pubblica postumo nel 1954 - rappresenta un punto essenziale di quella riflessione pubblica che ripropone il Sud come tema di discussione nazionale.
Questo processo vede protagonista Laterza dopo la morte di Benedetto Croce, ma anche Einaudi che nel 1955 apre il progetto delle opere di Gaetano Salvemini proprio con la raccolta dei suoi scritti sul Mezzogiorno (Einaudi pubblica solo quel volume e l’intero progetto viene realizzato compiutamente da Feltrinelli tra 1960 e 1978).
Ma il Sud è anche il luogo di storie di vita che non sono esemplari per la loro eccentricità, bensì per la loro canonicità.
Un esempio è la storia di Michele Mulieri in cui si ritrovano le vicende, le figure e l’immaginario dell’«Italia profonda», con un linguaggio che diventa scoperto, pubblico, non più sussurrato, erede del qualunquismo e antesignano del populismo tutt’oggi dominante.
È sufficiente l’incipit dell’intervista con cui Michele Mulieri dà inizio alla sua storia:
Dunque il Sud non è più percepito come residuo, bensì come «spia indiziaria» del "bravo italiano", dimostrazione che il mito del borbonismo del «sud buono» poi corrotto dall’arrivo dei Savoia sia solo un’altra invenzione.
Con la morte di Scotellaro seguirà un lungo silenzio, poi un interesse che intende recuperare le suggestioni dell’inchiesta avviata con Contadini al sud ma senza un’attenzione ai processi di trasformazione profonda che vive il Mezzogiorno d’Italia.
Eppure - per quanto impervia e complicata - quella rimane una strada aperta e un esempio significativo di che cosa possa essere un intellettuale che affianchi la sua vocazione letteraria allo studio della crisi del Mezzogiorno, senza trattarlo come un problema “marginale”, perché connesso con i processi che hanno plasmato il tempo presente.
Quella lezione non è andata perduta e si è espressa in varie forme.
Validi esempi sono il progetto di ricerca della rivista Meridiana avviato nel 1987, ma anche l’impegno di alcune voci del Mezzogiorno che sono cresciute negli anni tra fine millennio e nuovo millennio.
Per uno strano gioco del destino molto vicino alla vicenda biografica di Scotellaro, la voce più significativa è quella di un’intellettuale del Sud che ci ha lasciato troppo presto: Alessandro Leogrande (1977-2017).
Alessandro Leogrande mette al centro di Uomini e caporali il lavoro immigrato, che ricalca la condizione del bracciante pugliese o siciliano di un secolo prima. La sua indagine si focalizza sul caporalato e sulla raccolta del pomodoro - l’«oro rosso».
Scrive Leogrande nel marzo 2012 in Prima i braccianti:
Ma precisa, negli Anni dello Straniero:
L’intuizione di Scotellaro nel descrivere il contadino, le condizioni di miseria e le molte «zone grigie», torna come proposta di indagine, a lungo dimenticata, ma ancora capace di far comprendere non solo le contraddizioni profonde di una parte del paese ma anche una delle regole del funzionamento del «sistema Paese». Ancora. Oggi.
* FONTE: [MAREMOSSO Magazine, 19.04.2023->https://maremosso.lafeltrinelli.it/news/rocco-scotellaro-scrittore-politico-biografia-libri[ (RIPRESA PARZIALE).
STORIA E LETTERATURA
Tricarico “cancella” Scotellaro, lo scrittore che celebrò la Piana del Sele
Il Comune lucano revoca l’intitolazione della biblioteca all’autore del racconto sui “bufalari” di Eboli
di Francesco Agresti (La Città, 30 novembre 2018)
«È un’offesa ingiusta, un atto di illimitata insensibilità quello del sindaco di revocare l’intitolazione della Biblioteca comunale a Rocco Scotellaro per intestarla alla poetessa dell’800 Laura Battista ».
È questo l’amaro sfogo di Antonella Primavera , la consigliera comunale di maggioranza del Comune di Tricarico, in Basilicata, che ha votato contro, unendosi alle opposizioni. Un atto di coraggio che le è costato la revoca immediata di tutte le deleghe, tra cui anche quella di responsabile del Centro Studi Rocco Scotellaro. Tra i cittadini di Tricarico c’è molta incredulità.
Nessuno si aspettava questa mossa a sorpresa del sindaco Melfi contro uno dei pilastri della letteratura italiana, molto caro anche a Carlo Levi. Un autore, Scotellaro - morto giovanissimo a soli 30 anni - che ha saputo meglio di tanti altri raccontare i disagi e le sofferenze delle classi contadine meridionali. Memorabili le sue descrizioni delle condizioni di vita miserabili in cui versavano i bufalari nella Piana del Sele.
«Tenteremo la via del referendum popolare per cancellare questo obbrobrio, che è giunto in Consiglio come un fulmine e ciel sereno», hanno tuonato in coro i consiglieri di opposizione. E non si può dar loro torto, se pensiamo che Tricarico, proprio per omaggio a Rocco Scotellaro, tra pochi mesi, a Matera, sarà proclamata, per un giorno, “Capitale europea della cultura”.
Eboli ha un legame affettivo con Rocco Scotellaro. Uno dei suo migliori amici, oltre che compagno di stanza all’Università di Portici, entrambi allievi di Manlio Rossi Doria , fu Vincenzo Faenza , agronomo e scienziato di fama passato alla storia come uno dei primi studiosi della desertificazione. Anche per lui stessa sorte di Scotellaro: la dimenticanza di Eboli, sua città natale.
Tra le pagine più belle di “Contadini del Sud” di Rocco Scotellaro ci sono quelle del viaggio nella piana del Sele e l’incontro con Cosimo Montefusco , l’aiuto bufalaro che chiamava le bufale per nome. Eccole le parole scritte da Scotellaro. Conviene ricordarle per la gratitudine di Eboli e degli ebolitani.
«Montefusco Cosimo fu Nunziante è un ragazzo di 17 anni che fa l’aiuto bufalaro a Campolungo e che non sa ancora, come si dice, il mondo: è l’erede del secolare mestiere del padre, ma si indovina che, malgrado sia analfabeta, egli resisterà poco ancora con le bufale, perché sente che il suo lavoro è in liquidazione, che i pascoli sono accerchiati dai pomodori e dal tabacco, che i ‘tonzi’ di acqua melmosa dove le bufale vanno a bagno si asciugheranno; e se anche questo non avvenisse, egli sa che c’ è Salerno, c’ è Napoli più in là, che non ha visto, ma ha visto Eboli e c’ è suo zio a Eboli che ha la radio «che suona le canzoni». Ogni bufala ha un nome che è un versetto e i nomi di una mandria di bufale fanno un poema. Cosimo, che non sa leggere e scrivere, recita il poema con dolcissima cantilena tante volte al giorno, quando chiama all’alba le bufale a una a una per mungerle e quando al pascolo le richiama se scantonano fuori le staccionate nei parchi degli altri o sulla via. Cosimo è un pezzo di ragazzo con gli stivali di gomma, alto, bruno, con le carni cotte e sode, e così pare pittato perché non parla e se parla o dice i versetti è come se non capisse il significato delle parole: è una creatura che deve ancora parlare».
Francesco Agresti
Sindaco di Tricarico, Antonio Melfi su biblioteca comunale
di Redazione (Basilicatenet.it, 28/11/2018)
BAS Riceviamo e pubblichiamo una nota del sindaco di Tricarico, Antonio Melfi.
“Se avessimo preordinato un lancio pubblicitario mediatico della poetessa Laura Battista, sicuramente non avremmo ottenuto i grandi risultati che stiamo ottenendo. La Biblioteca Comunale di Tricarico non aveva un nome, anche perché non ha mai avuto una sua autonomia logistica: per molti anni era in fusione e confusione con la Biblioteca del centro di Servizi Socio Educativi della Regione Basilicata nel Palazzo Ducale. Fu Biblioteca Comunale nel 1998; all’indomani della ristrutturazione dell’ex municipio sito in Via Rocco Scotellaro, l’amministrazione guidata dal Sindaco Melfi ordinò il trasferimento del patrimonio librario di proprietà del comune dalle sale del palazzo ducale a quelle finalmente ristrutturate di Via Rocco Scotellaro.
E’ da ricordarsi, anche, che in quel periodo si cominciò a fare pulizia del deposito di documenti storici di una certa rilevanza, naturalmente di quelli che erano rimasti, e soprattutto il comune si riappropriò del patrimonio fotografico ricevuto attraverso il prof. Rocco Mazzarone dal fotografo H. Cartier Bresson. Nello stesso anno la Biblioteca fu dotata di un regolamento, sempre dall’amministrazione Melfi, sul cui frontespizio è scritto Biblioteca Comunale di Tricarico e riportante nel deliberato la denominazione di “Biblioteca Comunale”.
Il 16 novembre 2018 l’amministrazione Melfi, a maggioranza dei componenti il Consiglio Comunale, 8 favorevoli, 4 contrari, 1 astenuto, ha ritenuto titolare la Biblioteca alla poetessa Laura Battista. Questi i fatti dai quali si può con un pizzico di onestà intellettuale e rispetto per le Istituzioni, dedurre che non è stata sostituita alcuna intitolazione della Biblioteca, né non che meno soppresso il nominativo di Rocco Scotellaro. Non sarebbe giusto non ricordare quanto è stato fatto per il poeta della cultura contadina e quanto si farà.
E’ a memoria di tutti che l’amministrazione Melfi ha voluto e realizzato negli anni 1997-1999 la riedizione dell’opera principale di Scotellaro: “ L’Uva Puttanella e i Contadini del Sud”, edito dalla casa editrice F.lli Laterza con prefazione del prof. Nicola Tranfaglia e presentazione del Sindaco Melfi. E’ di quegli anni aver messo mano alla cadente tomba del poeta-Sindaco. E’ di questa amministrazione avere inaugurato il Centro Studi Rocco Scotellaro e la Basilicata nella storia del Mezzogiorno, approvando un regolamento, istituzione di un Consiglio Direttivo che nominerà un comitato scientifico che renderà il Centro fruibile da parte di tutti.
E’ di questa amministrazione avere, nell’ultimo Consiglio Comunale deliberato un gemellaggio, previo accordo con i rispettivi Sindaci, con i comuni di Portici, Sicignano degli Aburni, Cava dei Tirreni. E’ nei programmi di questa amministrazione la organizzazione di una giornata in memoria del Sindaco-tricaricese tanto amato dalla gente, in occasione del 65° anniversario della sua morte.
E’ di questa amministrazione il progetto approvato e finanziato “Capitale per un giorno”, su Rocco Scotellaro. E allora agli insulti, alle falsità, alle pochezze politiche, sicuramente dovuti a rabbia per avere perduto le elezioni comunali del 10 giugno 2018, contrapponiamo fatti e fatti che ridaranno a Tricarico lustro e centralità che si erano perduti”.
Lettera aperta ai cittadini di Tricarico e della Basilicata, per la memoria di Rocco Scotellaro
di Paolo Saggese (Corriere dell’Irpinia, 27 novembre 2018)
In questi giorni così confusi e carichi di tensioni, in cui le notizie planetarie si susseguono e sembrano perdere di importanza l’attimo dopo la loro divulgazione, alcuni amici di Tricarico ci hanno informato di una questione apparentemente insignificante eppure carica di un valore simbolico inestimabile.
In questi giorni, appunto, la Giunta e il Consiglio comunale di Tricarico hanno deliberato l’intitolazione della Biblioteca comunale, che portava il nome di Rocco Scotellaro, alla poetessa del secondo Ottocento Laura Battista. L’Amministrazione comunale, almeno sulla base delle ricostruzioni, che abbiamo potuto leggere, ha sostenuto che l’intitolazione a Rocco Scotellaro, al poeta “della libertà contadina”, non sia mai stata accompagnata da una deliberazione ufficiale, sebbene sia facilmente consultabile un sito internet che annuncia l’esistenza della “Biblioteca comunale Rocco Scotellaro”, sebbene esistano presumibilmente moduli, un regolamento, uno o più bibliotecari, che hanno già lavorato e lavorano in una Biblioteca comunale “Rocco Scotellaro”, sebbene i libri lì custoditi riportino presumibilmente timbri con sopra scritto “Biblioteca comunale Rocco Scotellaro”.
Dal momento che non esisteva una precedente deliberazione ufficiale, l’Amministrazione comunale ha ritenuto opportuno intitolare la Biblioteca alla poetessa, sostituendola con il poeta-sindaco Rocco Scotellaro. Ovviamente, non è qui il caso di stabilire sulla bilancia quale dei due poeti sia più degno di tale intitolazione né di ingaggiare una polemica letteraria fuori luogo. Analogamente, il fatto che esista un Centro studi o di documentazione intitolato a Rocco non rende meccanicamente incompatibile l’intitolazione a Scotellaro di una Biblioteca.
La questione è ben altra.
A nostro modesto parere l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto semplicemente confermare, qualora ve ne fosse stato bisogno, l’intitolazione della Biblioteca ad un giovane morto a trent’anni dopo aver dedicato le sue energie migliori al progresso di Tricarico, della Basilicata, del Sud, dopo aver subito l’onta di un’ingiusta persecuzione politica, dopo aver espresso in poesie sublimi l’ansia, la speranza, il sogno di un Mezzogiorno nuovo.
Rocco Scotellaro è simbolo non solo di Tricarico, non solo della Basilicata, ma dell’intero Mezzogiorno. I suoi meriti sono tali e tanti che sarebbe vanto di qualsiasi Biblioteca fregiarsi del suo nome.
Rocco è un simbolo, che dovrebbe essere salvaguardato.
Noi sappiamo che i cittadini di Tricarico e della Basilicata tutta ammirano Rocco Scotellaro e che ogni pietra di quella parte del Sud fa eco alle sue poesie. Lo sappiamo dai libri che abbiamo letto, dai racconti, che abbiamo ascoltato. Sappiamo che nelle case di Tricarico ancora gli anziani conservano le fotografie del giovane poeta-sindaco socialista quasi fosse un figlio o un fratello o un padre, sappiamo che i poveri braccianti amavano così tanto Rocco da non credere alla sua morte, che i giovani immaginavano di sentire sulla sua tomba i versi delle sue poesie di lotta e di testimonianza.
Ancora increduli, sperando che si tratti di una “falsa notizia” del web, Vi chiediamo di riflettere e di considerare se oggi ancora la poesia e la testimonianza di Rocco Scotellaro vi appartengano o facciano parte di un passato da cancellare, se quel poeta, che ha commosso intere generazioni, non sia il simbolo più alto che il paese di Tricarico possa donare alla storia intera della cultura nazionale.
Proprio negli anni in cui l’Italia e il mondo riscoprono la Basilicata di Rocco Scotellaro nell’anno di Matera Capitale europea della Cultura, non avvenga che il paese, che Rocco amava di un amore sublime, rinneghi il ricordo e la memoria del suo più nobile figlio.
Matera 2019, festa dedicata a Rocco Scotellaro a Tricarico avvia gli eventi di “Lettura in scena” fino al 23 aprile
di Redazione "Sassilive.it", 18 aprile, 2018
Sarà Tricarico il comune lucano ad ospitare, domani 19 aprile, la quarta tappa di avvicinamento al 2019, con una speciale festa di compleanno in onore del concittadino nonché sindaco Rocco Scotellaro, di cui ricorrono i 95 anni dalla nascita.
L’iniziativa rientra fra le attività organizzate fino al 23 aprile dalla Fondazione Matera Basilicata 2019 dal titolo “Lettura in scena”, dedicate al tema della lettura e rilettura dei nostri tempi attraverso il punto di vista di diversi maestri.
Grazie alla collaborazione con la ProLoco e il Patrocinio del Comune di Tricarico, la giornata di domani vedrà susseguirsi diversi omaggi al poeta e scrittore lucano: l’ultimazione di un murale a cura dei writers Collettivo FX e Nicozazo; i laboratori creativi sulla riscrittura delle poesie e dei racconti di Scotellaro con il coinvolgimento delle scuole di Tricarico, guidate dall’associazione Planar; gli appuntamenti di lettura con il Bibliomotocarro del maestro Antonio La Cava; l’incontro con i sindaci lucani (ore 19:00) organizzato in collaborazione con Anci per illustrare il progetto “Cadmos” che vedrà coinvolti i comuni della Basilicata nel 2019; lo spettacolo teatrale e circense (ore 21:00) “I fuochi di San Pancrazio”, di e con Francesco Siggillino, liberamente ispirato al soggetto cinematografico inserito nella raccolta di inediti “Giovani soli” di Scotellaro.
Nelle giornate di venerdì 20 e sabato 21 aprile, il mastro La Cava con il suo Blbliomotocarro sarà rispettivamente a Grassano e Calciano dalle 16:30 alle 18:30 per incontrare le comunità e coinvolgerle in momenti di lettura.
Domenica 22 aprile la città di Matera sarà invece animata da una serie di appuntamenti sul tema della lettura organizzati dalla Community di Matera 2019 in collaborazione con alcune realtà del territorio quali il Bibliomotocarro, la “lettrice vis-à-vis” Chiara Trevisan, l’Associazione Allopera, gli studenti della Pascoli e la casa di riposo Brancaccio, la Bibliomater di Casa Netural. Sulla piattaforma della Community di Matera 2019 (https://community.matera-basilicata2019.it/t/eventi-aprile-2018-festa-del-libro-e-della-lettura/432/24) è possibile consultare il programma dettagliato di tutte le iniziative.
Il 23 aprile, Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, il Museo Archeologico “Ridola” di Matera ospiterà alle ore 19:00 l’incontro dal titolo “Piccoli maestri” con la scrittrice e docente napoletana Antonella Cilento che racconterà al pubblico i suoi autori preferiti. Nata a Napoli nel 1970, la Cilento ha pubblicato nel 2018 Morfisa o l’acqua che dorme (Mondadori) e con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori, 2014) è stata Finalista Premio Strega 2014 e vincitrice Premio Boccaccio 2014, tradotto in diversi Paesi. Ha pubblicato romanzi, racconti, reportage, testi per il teatro, sceneggiature di corti, racconti radiofonici per RAI Radio3. Attuale collaboratrice di Grazia e Il Mattino, ha collaborato con Il Corriere della Sera e il Corriere del Mezzogiorno, L’Indice dei libri del mese, Panorama Travels, Napoli oggi, Il Sole24Ore e numerose altre testate. Ha ideato e conduce da 25 anni il Laboratorio di Scrittura Creativa Lalineascritta (www.lalineascritta.it) dal 1993 a Napoli, in Italia e con i corsi web conference in tutto il mondo. Ha ideato e realizzato la rassegna di letteratura internazionale “Strane Coppie”, coordinato la rassegna di letteratura e opera lirica “L’ora Fatale” per Teatro di San Carlo - MeMus e fondato il progetto SudCreativo, coordinamento delle scuole di scrittura del Sud Italia.
Presso il “Ridola” sarà inoltre possibile visitare la mostra “Trecento’19 - Duemila’19, 319 copertine d’autore della «Lettura» per Matera capitale europea della cultura 2019” prorogata fino al 20 maggio. La mostra, coprodotta da Fondazione Corriere della Sera, Fondazione Matera-Basilicata 2019 e Polo museale della Basilicata, raccoglie le prime 319 copertine del supplemento culturale del «Corriere della Sera», pubblicate dal 13 novembre 2011 al 7 gennaio 2018.
PASSAGGIO ALLA CITTA’
di Rocco Scotellaro *
Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.
Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse del tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio "sorriso.
Addio, come addio? distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,
querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata
che sei la donna che ha partorito,
e i fratelli miei e le case dove stanno
e i sentieri dove vanno come rondini
e le donne e mamma mia,
addio, come posso dirvi addio?
Ho perduto la mia libertà:
nella fiera di Luglio, calda che l’aria
non faceva passare appena le parole,
due mercanti mi hanno comprato,
uno trasse le lire e l’altro mi visitò.
Ho perduto la sçhiavitù contadina
dei cieli carichi, delle querce,
della terra gialla e rapata.
La città mi apparve la notte
dopo tutto un giorno
che il treno aveva singhiozzato,
e non c’era la nostra luna,
e non c’era la tavola nera della notte
e i monti s’erano persi lungo la strada.
* Cfr.: Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, (Milano, Mondadori, 1954, 1982).
Rocco Scotellaro: così vicino così lontano! ( a sessant’anni dalla morte del poeta lucano)
di Nicola Fanizza15 dicembre 2013
Nei confronti di Rocco Scotellaro - morto di infarto, ad appena trent’anni, il 15 dicembre 1953 a Portici (Napoli) - ho sempre avvertito una prossimità distanziante. Una vicinanza dovuta al fatto che nella sua storia di intellettuale contadino ho ritrovato gli stessi accidenti che hanno costellato la mia adolescenza. Tuttavia, mentre Scotellaro si è trovato nella condizione di poter rappresentare la civiltà contadina nel suo crepuscolo - cogliendone anche i prodromi della sua imminente decomposizione -, a me, invece, il caso ha voluto che fossi testimone della sua definitiva dissoluzione.
Di fatto, nell’Italia Meridionale degli inizi degli anni Sessanta, la professione del contadino diventò una vera e propria condizione infernale. I braccianti venivano denigrati e il loro sex appeal era vicino allo zero assoluto. Le ragazze preferivano gli impiegati, i marittimi, gli operai e giammai i figli dei contadini che erano oggetto di disprezzo. Tutto ciò lo coglievo nei racconti dei mie fratelli più grandi, i quali a volte mi parlavano delle loro disavventure sentimentali. Il dileggio del mondo rurale diventò una scheggia che si conficcò nelle mie carni quando iniziai a frequentare la scuola media. I miei compagni di classe stigmatizzavano il lavoro manuale in generale e, in particolare, il lavoro del contadino. Da qui il patèma che investiva il mio animo ogni qualvolta mio padre mi portava in campagna a lavorare. Il ritorno a casa per me era un dramma: quando, al crepuscolo, il nostro carro trainato dalla mula entrava nelle strade del mio Paese, mi coprivo con un sacco per evitare che i miei compagni di classe scoprissero che ero figlio di contadini.
Questa vicinanza non può essere disgiunta, tuttavia, da una buona dose di diffidenza nei confronti dei poeti, che mi porto dietro sin da quando frequentavo il Liceo. Allora non riuscivo a giustificare l’entusiasmo con cui la maggior parte dei nostri rimatori nel 1914/1915 si era schierata a favore dell’entrata dell’Italia in guerra. Di fatto siamo entrati in guerra anche grazie alla follia dei poeti, alla loro tenerezza aggressiva e, insieme, priva di tormenti. In seguito ho capito le motivazioni che stanno a fondamento di quella esiziale determinazione: essa, infatti, diventa intellegibile solo se si tiene nel debito conto l’inflessione irrazionalistica che caratterizzava la temperie culturale dell’Italia giolittiana. All’inizio del secolo si affermarono i crepuscolari che univano al misticismo dell’anima «nordica» il nazionalismo - e a volte anche il pacifismo - dell’anima «latina»; e, in seguito, i futuristi, i nuovi poeti incendiari, pronti a lanciarsi nelle fiamme della guerra per mettersi alla prova. La guerra fu vissuta sia dagli uni che dagli altri come un rito di iniziazione: la vertigine che essi avrebbero provato di fronte alla morte appariva loro come un viatico verso l’estasi mistica.
Anche Scotellaro - come avremo modo di vedere in seguito - sperimentò la trance estatica nel corso della sua breve esistenza. Era nato a Tricarico (Matera) nel 1923. Di umili origini - suo padre era un calzolaio - a dodici anni si trasferì in collegio per portare a compimento gli studi classici. Dopo il liceo, frequentò la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Roma ma non conseguì la laurea. Nel 1943 si iscrisse al PSI, fu protagonista del movimento che portò all’occupazione delle terre e nel 1946 fu eletto sindaco socialista della sua città natale. Mantenne tale carica fino al 1950, quando fu arrestato con l’accusa di irregolarità amministrative. Rimase in carcere quasi due mesi fino a quando le autorità giudiziarie presero atto della sua totale innocenza. Nello stesso anno, grazie all’intervento di Carlo Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici, diretto dal meridionalista Manlio Rossi Doria. Quest’ultimi furono i suoi mentori.
Allo stesso modo di Rossi Doria, Scotellaro è un dimenticato. Ha avuto forse degli eredi un meridionalista come Salvemini? Hanno forse avuto degli eredi tutti gli altri meridionalisti della prima metà del secolo scorso da Guido Dorso a Umberto Zanotti-Bianco, da Piero Delfino Pesce a Vincenzo Calace, fino a Tommaso Fiore? Scotellaro ha condiviso il destino di un’intera generazione di intellettuali che per lo più erano di formazione positivistica. Erano dei tecnici: Calace era un ingegnere; Rossi Doria era un agronomo; Salvemini, attraverso la mediazione del geografo Arcangelo Ghisleri, si richiamava a Carlo Cattaneo, fondatore della rivista «Il politecnico». Non hanno avuto eredi, poiché non erano degli accademici o per altri motivi che mi sfuggono.
Eppure tale dimenticanza stride con quello che Carlo Levi dice nella sua Prefazione al volume di Scotellaro L’uva puttanella (1954). Qui parla della difficoltà dei contadini nell’accettare la morte di Scotellaro: «Alcuni vanno dicendo che Rocco è stato rapito e portato in America; [...]. altri lo attendono vivo da un giorno all’altro. Non c’è casa di contadini a Tricarico dove il ritratto di Rocco non sia appeso al muro accanto alle immagini dei Santi».
Levi non è stato un buon profeta! Oggi, a sessant’anni di distanza dalla sua morte, si sono dimenticati di lui persino a Tricarico. Due anni fa, l’amministrazione comunale ha autorizzato la costruzione di una gigantesca cappella privata che oscura la tomba di Scotellaro. Il monumento funebre, che si affaccia sulla valle del fiume Basento, fu costruito nel 1957 su proposta di Carlo Levi e fu finanziato da Adriano Olivetti. Il ricordo di Scotellaro si configura ormai come un’ombra che va rimossa, il suo fantasma può sopravvivere solo nel museo Lanfranchi di Matera. Qui, nel grande dipinto Lucania 61 di Carlo Levi, appare con il volto da bambino cresciuto. Dal rosso dei suoi capelli - il colore della sua fede politica - sembra irradiarsi una luce che rende meno opachi gli incarnati dei contadini.
Non è mia intenzione ricostruire il dibattito che ebbe luogo sulla sua opera nel Convegno di Matera del febbraio 1995, che vide la partecipazione di Carlo Levi, Franco Fortini, Rainero Panzieri, Tommaso Fiore, Carlo Muscetta, Mario Alicata, ecc. Si tratta di un dibattito datato e, comunque, non rientra nel perimetro di questo breve articolo. Non intendo neppure rappresentare Scotellaro come un santino proletario allo stesso modo in cui gli autori di destra rappresentano Padre Pio. Né, infine, intendo parlare di Scotellaro per farne l’occasione per un viaggio estetizzante fra le macerie della civiltà contadina.
Ciò che qui, invece, mi preme sottolineare è che Scotellaro merita di essere ricordato per due motivi: la sua produzione poetica e la sua inchiesta sul mondo rurale. Questo non vuol dire, tuttavia, precludersi la via per individuare gli aspetti poco convincenti della sua opera.
Ritengo che sia opportuno individuare nella sua produzione poetica non tanto i soliti temi che rimandano alla mitica civiltà contadina - il «romanticismo rurale» o il «vittimismo», legato alla metafora dell’uva puttanella (acini piccoli) -, quanto quelle parole che Scotellaro scrive con il sangue. Pongo in questo senso all’attenzione del lettore i primi versi della poesia, Passaggio alla città: «Ho perduto la schiavitù contadina, / non mi farò più un bicchiere contento, / ho perduto la mia libertà».
Per me questi versi sono stati per molto tempo un vero rompicapo. I miei voli pindarici mi spingevano stabilire ardite analogie e tuttavia non sortivo alcun risultato. Solo in seguito ho capito che il termine «libertà» non rimandava in origine alle istanze più personali e individualistiche, ma a ciò che legava ciascun individuo agli altri, al legame con gli altri, all’obbligo nei confronti degli altri. Il poeta lucano poteva dire di aver perso la propria libertà proprio perché la identificava con ciò che lo legava agli altri individui. Il rito del bere il vino assieme ai suoi contadini aveva ormai perso la sua capacita di addomesticare la distanza con l’altro da sé. Scotellaro, infatti, era disperato proprio perché coglieva nelle pratiche rituali del mondo contadino l’insinuarsi del germe dell’utilitarismo e dell’individualismo borghese, che sortiva una prossimità che diventava sempre più distanziante.
D’altra parte proprio questa distanza diventa il viatico delle sue estasi: la vertigine che egli avvertiva quando sperimentava la lontananza dai suoi contadini, infatti, lo spingeva nei cieli in cui «sbocciavano le stelle d’Oriente».
Il tema della distanza è anche presente nel volume Contadini del Sud, pubblicato nel 1954, in cui sono state raccolte le cinque storie di vita che Scotellaro aveva scritto negli ultimi mesi della sua vita. A partire dal 1950, stringe un rapporto di fraterna amicizia con Rossi Doria, un ex comunista che in seguito aveva aderito al PdA per poi approdare al PSI, il quale lo aveva invitato a diffidare dei politici del Sud che egli prese a definire con l’epiteto di «pidocchi». Nel secondo dopoguerra i politici meridionali, sfruttando l’intervento pubblico, rafforzavano la loro funzione di gestione del potere per conto della borghesia agraria. Un ruolo questo che tutt’oggi continua anche se con modalità diverse. Gli eredi di quegli intellettuali squillo, a partire dagli inizi degli anni ottanta, continueranno a svolgere la stessa finzione nella gestione dei fondi europei, dei piani regolatori e degli appalti non più per conto del patriziato cittadino, ma della nuova borghesia di origine criminale.
Dopo la sconfitta del 1948, Scotellaro decide di continuare la lotta, anche se in modo diverso rispetto al passato, tracciando una strada che in seguito verrà percorsa da Danilo Montaldi in Autobiografie della leggera, da Gianni Bosio in Il trattore di Acquanegra e da Pietro Marcenaro in Riprendere tempo.
Il suo merito consiste nell’aver introdotto nella ricerca sociologica e antropologica il metodo biografico. Tutto ciò dava luogo a una inedita forma di scrittura, oscillante fra la ricerca sociologica e la letteratura. Per di più la presenza fra le sue carte di un’annotazione inerente al famoso passo de Il Principe di Machiavelli - «cosí come coloro che disegnano e’ paesi si pongano bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongano alto sopra monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare» -, sta a indicare l’importanza che egli attribuiva alla questione della distanza nel rapporto fra osservatore e osservato.
Si tratta di un modo nuovo di fare ricerca che, valorizzando la soggettività degli intervistati presi in osservazione, dava la possibilità di addomesticare - entro certi limiti - la distanza fra l’osservatore e l’osservato in modo che entrambi fossero coinvolti in un comune processo di trasformazione della realtà.
Ciò nondimeno, benché Scotellaro sia consapevole della distanza che intercorre fra il ricercatore sociale e il soggetto sociale preso in osservazione, spesso sposta significativamente la sua presenza verso l’osservato e sporca in termini irrimediabili la relazione dialettica che pur aveva avviato in modo originale: ossia il lettore non riesce mai a decidere fin dove parla il contadino e fin dove è Scotellaro che parla.
Concludo queste brevi note con due versi in cui Scotellaro si rivolge alla gioventù del Sud: «Venga il mattino per i giovani del 1953 / e sulle bocche arse rispunti il sorriso». E se fosse il 2013?