APPELLO.
La responsabilità della politica *
Dopo mesi in cui la politica ha omesso il confronto e il dialogo necessari con la popolazione della valle, la situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto il livello di guardia, con una contrapposizione che sta provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell’intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell’ordine, popolazione.
I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui. Non basta deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle - di tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei ad ogni forma di violenza - a questione di ordine pubblico da delegare alle forze dell’ordine.
La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una questione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Oggi è ancora possibile. Domani forse no.
Per questo rivolgiamo un invito pressante alla politica e alle autorità di governo ad avere responsabilità e coraggio. Si cominci col ricevere gli amministratori locali e con l’ascoltare le loro ragioni senza riserve mentali. Il dialogo non può essere semplice apparenza e non può trincerarsi dietro decisioni indiscutibili ché, altrimenti, non è dialogo. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent’anni fa. In questo periodo tutto è cambiato: sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice.
E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l’opera è ormai inevitabile. L’Unione europea ha riaperto la questione dei fondi, dei progetti e delle priorità rispetto alle Reti transeuropee ed è impegnata in un processo legislativo che finirà solo fra un anno e mezzo. Lo stesso Accordo intergovernativo fra la Francia e l’Italia sarà ratificato solo quando sarà conosciuto l’intervento finanziario della UE, quindi fra parecchi mesi. E anche i lavori sulla tratta francese non sono iniziati né prossimi.
Dunque aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe alcun ritardo né alcuna marcia indietro pregiudiziale. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo pubblico, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare nello spazio di un mese, è nell’interesse di tutti. Perché tutti abbiamo bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali.
Un Governo di «tecnici» non può avere paura dello studio, dell’approfondimento, della scienza. Numerose scelte precedenti sono state accantonate (da quelle relative al ponte sullo stretto a quelle concernenti la candidatura italiana per le Olimpiadi).
Noi oggi chiediamo molto meno. Chiediamo di approfondire i problemi ascoltando i molti «tecnici» che da tempo stanno studiando il problema, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che l’interesse pubblico viene prima di quello dei poteri forti. Lo chiediamo con forza e con urgenza, prima che la situazione precipiti ulteriormente.
1) don Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele e Libera)
2) Livio Pepino (giurista, già componente Consiglio superiore magistratura)
3) Michele Curto (capogruppo Sinistra, ecologia e libertà, Comune Torino)
4) Ugo Mattei (professore diritto civile, Università Torino)
5) Marco Revelli (professore Scienza Amministrazione, Università del Piemonte orientale)
6) Giorgio Airaudo (responsabile nazionale auto Fiom)
7) Nichi Vendola (presidente Regione Puglia)
8) Monica Frassoni (presidente Verdi europei)
9) Michele Emiliano (sindaco di Bari)
10) Luigi De Magistris (sindaco di Napoli)
11) Tommaso Sodano (vicesindaco di Napoli)
12) Paolo Beni (presidente nazionale Arci)
13) Vittorio Cogliati Dezza (presidente nazionale Legambiente)
14) Filippo Miraglia (Arci)
15) Gabriella Stramaccioni (direttrice Libera)
16) don Armando Zappolin (presidente nazionale Cnca)
17) don Tonio dell’Olio (Libera international)
18) Giovanni Palombarini (giurista, già Procuratore aggiunto Cassazione)
19) don Marcello Cozzi (Libera)
20) Sandro Mezzadra (professore Storia dell dottrine politiche, Università Bologna)
21) Angelo Bonelli (presidente dei Verdi)
22) Norma Rangeri e il collettivo del manifesto
* il manifesto, 03.03.2012
Tav, le 14 bugie del governo su un’opera costosa e dannosa
di Luca Mercalli (Il Fatto Quotidiano,15.03.2012)
E così il governo tira finalmente fuori alcune risposte ai dubbi sul Tav Torino-Lione. Posto che una seria valutazione non si fa a colpi di comunicati e dibattito sui giornali, ma attivando una apposita commissione tecnica indipendente, accenniamo qui ad alcune obiezioni. Secondo il team tecnico della Comunità Montana Valli Susa e Sangone, i 14 punti appaiono “affrettati, superficiali, parziali e qua e là inesatti; in ogni caso mancano i riferimenti agli studi che dovrebbero esserne la base e che, se esistono, continuano a essere coperti da segreto di Stato”. Il riferimento alla riduzione delle emissioni di gas serra e ai benefici ambientali dell’opera non è credibile, in quanto la letteratura scientifica internazionale attribuisce a opere simili pessime prestazioni energetiche e qui si afferma il contrario senza fornire un’Analisi del Ciclo di Vita (LCA) o un semplice bilancio di carbonio verificabile, invocati da anni.
Il nuovo tunnel di base, tra energia e materie prime spese in fase di realizzazione ed energia di gestione, inclusa quella per il raffreddamento dell’elevata temperatura interna alla roccia, produrrebbe più emissioni della linea storica a pieno carico di merci e passeggeri, in palese contrasto con gli obiettivi europei di efficienza energetica 20-20-20. Per limitare l’impatto psicologico e diluire quello finanziario a carico dei contribuenti si tende nei 14 punti a frammentare l’opera in sezioni indipendenti più piccole, che tuttavia non permetterebbero da sole di raggiungere le prestazioni promesse. Un esempio: si dichiara una riduzione dei tempi di percorrenza tra Torino e Chambéry pari a 79 minuti, solo grazie al nuovo tunnel di base, rimanendo invariati i raccordi. Ma tale risultato è irraggiungibile senza la realizzazione dell’intera tratta, in quanto implicherebbe velocità prossime ai 500 km/h in tunnel a fronte di una velocità di progetto di 220 km/h. Delle tre ore di riduzione tempi di percorrenza sulla tratta Parigi-Milano enunciate al punto 6, già ora circa 40 minuti sarebbero recuperabili facendo transitare i TGV sulla nuova e sottoutilizzata linea ad alta velocità Torino-Milano, sulla quale tuttavia i treni francesi non sono ammessi per discutibili scelte sui sistemi di segnalamento, che pure l’Europa individua come primo fattore da armonizzare per le reti transeuropee. Al punto 11 si arriva addirittura ad affermare che “il progetto non genera danni ambientali diretti ed indiretti” il che è ovviamente impossibile, un’opera di questo genere presenta inevitabilmente enormi criticità ambientali e sanitarie, evidenziate perfino nelle relazioni progettuali LTF, che si può tentare di mitigare e compensare, ma non certo eliminare. L’unico modo per non avere impatti “nel delicato ambiente alpino” è lasciarlo indisturbato!
I posti di lavoro promessi, oltre che sovrastimati, riguarderebbero principalmente gli scavi in galleria, dunque notoriamente temporanei, insalubri e di modesta qualificazione professionale, in genere coperti da emigrati da paesi in via di sviluppo. Le prestazioni della linea esistente vengono minimizzate sulla base della vetustà e non delle sue effettive capacità. Nel 2010 infatti la linea attuale è stata utilizzata a meno del 12% delle sue potenzialità. Un tunnel è un tunnel, non può essere né vecchio né nuovo allorché svolge la sua funzione di condotto. Il Frejus, benché ultimato nel 1871, a differenza di quanto affermato al punto 8 “dove non entrano i containers oggi in uso per il trasporto merci” è stato recentemente ampliato per consentire il passaggio di container a sagoma GB1 (standard europeo), spendendo poco meno di 400 milioni di euro. Non è chiaro perché il collaudo tardi ancora o, se c’è stato, perché permangano i limiti preesistenti ai lavori. Quanto alla pendenza della linea storica, indicata al punto 6 nel 33 per mille, si rileva che il valore medio è attorno al 20 per mille, e solo 1 km raggiunge il 31 per mille e non il 33. L’energia spesa per raggiungere la quota massima del tunnel del Frejus a 1335 metri viene inoltre in buona parte recuperata nel tratto di discesa.
Si ricorda che negli Stati Uniti l’unico tunnel che attraversa il Continental Divide nelle Montagne Rocciose del Colorado, il Moffat Tunnel, lungo 10 km, è a binario unico e culmina a ben 2817 m, e dal 1928 viene ritenuto ancora perfettamente efficiente. In conclusione: c’è già una ferrovia funzionante lungi da essere paragonata a una macchina da scrivere nell’era del computer; l’attuale domanda di trasporto è enormemente inferiore alla capacità della linea; costruire un’altra linea in megatunnel costa una cifra spropositata in un momento così critico per la nostra economia; l’Europa non ci ha imposto niente, tant’è che non ha ancora deciso se finanziare o meno il tunnel di base; la valutazione di impatto ambientale dell’intero progetto non è mai stata effettuata; l’analisi completa costi-benefici non è ancora stata pubblicata; il bilancio energetico non è disponibile. E nel frattempo, intorno alla torta si affollano anche troppi commensali, tutti interessati a partire con i lavori, non importa come, purché si cominci a scavare.
Tav, il silenzio degli arroganti
di Luca Mercalli (il Fatto Quotidiano, 07.03.2012)
Caro presidente Monti,
l’8 gennaio a Che tempo che fa le ho donato una copia del mio libro Prepariamoci e Lei, squisitamente, mi ha stretto la mano e detto “Ne abbiamo bisogno”. Un mese dopo assieme ad alcune centinaia di docenti di atenei italiani, ricercatori e professionisti (inclusi Vincenzo Balzani, Luciano Gallino, Alberto Magnaghi, Salvatore Settis) firmavo un appello per sollecitare una Sua riconsiderazione delle argomentazioni tecnico-economiche a supporto della linea ad alta capacità Torino-Lione, che da anni risultano non convincenti. A tutt’oggi non solo non è giunto un Suo cenno di considerazione, quanto piuttosto la perentoria affermazione che i dati sono definitivi e invarianti, le decisioni sono assunte, il progetto deve andare avanti anche manu militari. Non mi aspettavo una tale chiusura, ora fonte di una profonda spaccatura in una parte del mondo intellettuale e scientifico italiano.
Il dialogo, soprattutto tra rappresentanti dell’ambito della ricerca usi ad argomentare secondo il metodo scientifico, non si dovrebbe mai negare nei paesi democratici, a maggior ragione allorché la controversia assume vaste proporzioni coinvolgendo l’ordine pubblico e sollevando una quantità di dubbi, ambiguità e contraddizioni che invitano a un’ulteriore dose di prudenza e approfondito riesame.
Ciò non è purtroppo avvenuto, ed è motivo di profonda frustrazione da parte di molti di noi. A nulla è servita la lucida presa di posizione di Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino, già membro dell’Osservatorio tecnico, sui vizi procedurali del processo decisionale tanto difeso come il migliore possibile, a nulla la precisazione di Monica Frassoni dei Verdi europei sulla labile politica comunitaria dei trasporti ancora tutta da consolidare e sbandierata invece come patto d’acciaio da rispettare senza se e senza ma.
L’elenco di atti e studi incongruenti, unito a un insopportabile tasso di menzogne mediatiche, è così lungo che da solo basterebbe a fermare, vieppiù in questo momento di crisi, ogni decisione su questo fronte, a favore di altre priorità che non pongono dubbi di sorta: ammodernamento della rete ferroviaria esistente, cura del dissesto idrogeologico, riqualificazione energetica degli edifici, arresto del consumo di suolo, riduzione dei rifiuti, restauro del patrimonio culturale, estensione capillare della connettività Internet, garanzie di assistenza sanitaria e didattica pubblica, per perseguire le quali non si sono mai visti blindati e manganelli! Un mito aleggia sopra quel tunnel impedendo a politici, giornalisti e cittadini di alzare il velo e chiedersi come stanno veramente le cose, anche in Francia dove i lavori non sono affatto iniziati. È forse il mito futurista della velocità sferragliante, peraltro sorpassato dall’aereo e dal bit, unito all’illusione che da quel buco, e solo tra vent’anni, defluiscano da ovest prosperità e progresso?
Eppure già oggi chiunque voglia andare a Parigi o alle Maldive lo può fare quando e come desidera! Ma la mancanza di quel tunnel sotto il massiccio dell’Ambin, infrastruttura rigida e obsoleta nelle sue finalità, foriera di debiti insanabili come dimostrato dalla Corte dei Conti su progetti analoghi, vorace di energia e prodiga di emissioni climalteranti, sembra privi tutti di un talismano viscerale. Personalmente, come ricercatore e giornalista, il rifiuto a discutere l’estrema complessità di questo progetto, mi avvilisce, e mi annienta come cittadino. Faccio mia l’accurata analisi sociologica di Marco Revelli confermando che in me il patto civile con lo Stato sta andando in frantumi. La fiducia nelle istituzioni, da me sempre onorata - dal servizio militare (alpino, ovviamente!) al pagamento delle imposte - sta venendo meno e ora un grande vuoto alberga in me. Non resta che un grido di disperazione di fronte a tanto disprezzo e a tanta arrogante violenza fisica e ancor più psicologica esercitata dalle istituzioni su una comunità. Violenza silente, della quale non si parla mai perché offuscata dalle sassaiole, ma dimostrata in questi casi dai lavori del geografo Francesco Vallerani e dagli psicologi Roberto Mazza dell’Università di Pisa e Ugo Morelli dell’ateneo bergamasco. Quel grido chiede ascolto, e ovviamente discussione argomentata e rigorosa. Invece ci si sente dire: rispettiamo chi ha posizioni contrarie, ma andiamo avanti lo stesso con le ruspe, applicando “un mix di dissuasione e repressione”.
Ma allora a cosa serve esprimere posizioni contrarie se non vengono discusse le ragioni del no? Mauro Corona la chiama “democratura”. Al liceo, Silvio Geuna, medaglia d’argento al valor militare, ci diceva che alla sua età avanzata aveva solo il ruolo di plasmare i valori della futura classe dirigente. Oggi a 46 anni, noto che il mio futuro continua a essere determinato da anziani signori con idee molto diverse dalle mie e quindi dichiaro fallito l’investimento culturale e civile su di me da parte della nazione.
Peggio ancora si sentono i giovani ricercatori della generazione che mi segue che vedono sbarrate le possibilità di indirizzare il loro futuro in direzioni differenti da quelle oggi dominanti e perniciose. Come diventerà dunque la nostra società che annienta i germi di riflessione sull’avvenire proprio quando l’instabilità epocale alla quale andiamo incontro richiederebbe il massimo della cooperazione di saperi e proposte non convenzionali? Avremo quel buco, forse, tra tanti anni, ma che ne sarà del resto attorno? Il governatore Cota si è chiesto da dove prendono i soldi i No-Tav: da migliaia di ore di lavoro volontario, sottratto a svago e famiglia, si chiama partecipazione civile. Con molta amarezza rifletto dunque se sia utile impegnarsi per la difesa dei beni comuni o se sia meglio spendere la propria esistenza in occupazioni più divertenti. Se arriverò a quell’ultima conclusione, restituirò la mia qualifica di cittadino e opererò soltanto per mio bieco interesse.
Che cosa penso del Tav
di Lidia Menapace *
Prima di tutto: è una questione nazionale e mi felicito con gli abitanti di Val di Susa per essere riusciti, essendo pochi marginali e non considerati, a interessare molte aree culturali e professionali e molti territori. Oggi appelli sottoscriti da scienziati/e, intellettuali, personalità ecc. ecc. si sprecano e voglio sentire il Governo dire che hanno ascoltato abbastanza e ora basta: come sarebbe? se le obiezioni messe avanti dalla Val di Susa hanno migliorato il progetto, perchè fermarsi? gli abitanti della val di Susa hanno detto che sono soddisfatti? a me non pare.
Se è - come è - una questione nazionale, deve essere giudicata dal Parlamento ascoltando gli abitanti della Val di Susa. I quali, chissà perchè, vengono chiamati "valligiani": capisco che in una cronaca giornalistica faccia colore descrivere signore sessantenni valligiane, che seguono e prendono parte a tutte le manifestazioni: ma francamente, nonostante la simpatia che evocano, cosa volete che siano, di fronte a professoroni che stanno al governo? poco o niente. Ma se vengono chiamate col titolo che loro compete, cioè cittadini e cittadine della Val di Susa, si capisce subito che le loro opinioni contano, pesano, valgono quanto esattamente quelle del presidente della Repubblica e del Rettore della Bocconi.
Secondariamente: che cosa è l’Italia dal punto di vista del suo territorio? un paese piccolo lungo e stretto, con un’alta corona di monti a nord e una dorsale appenninica che lo percorre per intero fino alle punte della Trinacria. E pure un paese popolatissimo, nonostante che da decenni le donne qui facciano pochi figli. E’ evidente che il calcolo della poca terra coltivabile è importante e necessario. Altri paesi hanno altri problemi e quando è in gioco una questione di sovranità -come quando si tratta del territorio nazionale- si deve far appello all’articolo della Costituzione che ammette riduzioni e rinunce di sovranità, ma solo reciproche: e dove è la reciprocità? si deve chiedere all’Europa che non pretenda di imporre a ogni paese le stesse forme di opere pubbliche, che vanno bene o non disturbano troppo le grandi pianure di Francia e Germania, gli altipiani di Spagna. Se a noi mancano gli spazi per i trasporti veloci si potrebbe chiedere all’Europa se vuole aiutarci ad avere più terra a disposizione, spianando gli Appennini e poggiandoli su ponti sospesi sul mare ecc. Dico per dire, ma anche per far capire che già abbiamo consumato una quantità esorbitante di terreno con le autostrade, i Tav che già ci sono e che di certo possiamo sbizzarrrirci a inventare per il nostro paese sia una politica della casa, che della strada, che delle ferrovie più adatta alle nostre caratteristiche: la tecnica oggi può molto. Ma deve assolutamente essere indirizzata da una politica intrinsecamente democratica e studiata per non essere irreversibile al massimo. Niente perciò appalti che servono per riciclare il denaro sporco della criminalità interessata: l’illegalità da perseguire è ben prima quella che non il sarcasmo di chi dice "pecorella" a un carabiniere. Credo che la val di Susa abbia il diritto di essere ascoltata e seguita.
E aggiungo che fino a quando tra i beni comuni non sarà stata messa la riproduzione biologica o -se volete- una politica demografica forte precisa scientifica e umana, i problemi non finiranno: se il papa dice di essere contento che sia arrivata la settemilardesima neonata, ciò oggi può voler dire solo che non si oppone a che altrove -ad esempio nel Corno d’Africa- bambine e bambini e madri muoiano di fame sete malatttie. Una vera barbarie: e chi dice che la crisi si sta risolvendo, mentre si muore di fame, mentre può scoppiare una guerra atomica? E noi compriamo F35: mah!
A che principi appellarsi per chiedere all’Europa?
Non amo affatto l’uso copioso e indiscriminato della locuzione "beni comuni", ma se c’è qualcosa che la merita questa è la terra. Appena il bene comune esce dalla sua origine aristotelica e tomista e arriviamo a tempi più vicini a noi, appunto agli albori dell’economia classica, vengono detti "infiniti" e "privi di valore economico" l’acqua l’aria e la terra. Abbiamo poi visto che l’acqua non è davvero priva di valore economico e che conviene sia considerata un bene comune non privatizzabile, lo stesso vlene detto per l’aria, della quale pensiamo che il pubblico abbia il diritto e il dovere di controllare la qualità. E la terra? e la riproduzione? chiedo che terra e riproduzione della specie umana (e dei viventi in genere) siano considerati "beni comuni" e che non si possa usarli indiscriminatamente comprimendoli. Quando si fecero le prime grandi leggi urbanistiche si scoprì che vari paesi cone l’inghilterra avevano un diritto di superficie sull’intera estensione dello stato. Se la chiesa cattolica non si fosse lasciata conquistare dalla filosofia greca e dal diritto romano, ancora sosterrebbe che la terra è di Dio (laicamente un bene comune) che gli uomini e le donne l’hanno in usufrutto, ma che debbono rispettarla, lasciarla riposare un anno ogni sette (anno sabbatico) e che ogni sette anni sabbatici debbono rimetterla tutta insiene e ridividersela in uso. Preferisco alla locuzione "beni comuni" quella marxiana di "beni d’uso" che magari gli é venuta in mente perchè era ebreo. Comunque aspetto qualche risposta.
* www.ildialogo.org, Lunedì 05 Marzo,2012
Val di Susa, Italia
di Ilvo Diamanti (la Repubblica, 5 marzo 2012)
Non sarà facile sbloccare i lavori della Tav in Val di Susa. Per fattori "ambientali" non indifferenti. Le opere richiederanno anni. Come realizzarle in un contesto tanto ostile? Ma, soprattutto, perché le strategie adottate dai comitati No Tav hanno imposto la Val di Susa sulla scena nazionale. Costringendo le forze politiche nazionali - e lo stesso governo - a esprimersi, a "prendere parte". E a dividersi, al di là delle attuali alleanze.
La prima e principale ragione di questo "successo" - perché di tale si tratta - riguarda la strategia "mediatica" dei No Tav. Anzi: la scelta dei media come "campo" (utilizzo volutamente la definizione di Bourdieu) del confronto e dello scontro. Ogni loro iniziativa e azione, infatti, produce effetti rilevanti sul piano della comunicazione. Per scelta consapevole.
Quando la protesta si svolge nella valle: la ricerca del contatto diretto con le forze dell’ordine, il tentativo di superare ogni limite e ogni confine "di sicurezza" imposto. Testimoniata e ripresa da telecamere e giornali. Talora con effetti indesiderati, come nel caso delle provocazioni del militante No Tav contro il carabiniere (impassibile, di fronte agli insulti). Ma la protesta ha grande impatto - sociale e mediale - soprattutto quando la scena si trasferisce altrove. In teatri scelti accuratamente. Milano e Roma, in primo luogo. Le Capitali del Paese. Dove sono avvenute iniziative che hanno prodotto grande disagio ai cittadini e all’economia. Il blocco di linee ferroviarie e di autostrade. Manifestazioni in pieno centro, tali da provocare conseguenze clamorose sul traffico e, quindi, sulla vita quotidiana delle persone. Forme di protesta analoghe a quelle condotte nelle scorse settimane dai tassisti e dai camionisti. Che hanno paralizzato per giorni le principali città e alcune tra le maggiori arterie di comunicazione autostradale.
I No Tav hanno agito - continuano ad agire - allo stesso modo. In questo modo le loro proteste sono rimbalzate immediatamente sui media. Non solo sui blog e sui Social Network. Dove le immagini e le ragioni della protesta sono state rilanciate, grazie al sostegno dei movimenti critici e dei circoli antagonisti, che hanno grande confidenza con la Rete. Perché l’Altra Comunicazione non basta ai Comitati No Tav, ai quali interessa molto entrare sui media tradizionali: giornali, radio e soprattutto la tv. Attraverso cui si informa la maggior parte della popolazione (l’83%, secondo l’Osservatorio Demos-coop dicembre 2012). In questo modo, la Val di Susa è uscita dai confini locali ed è divenuta un caso "nazionale".
Ineludibile per i partiti e i soggetti politici più importanti. Tanto più perché l’opinione pubblica, al di là dei giudizi di merito, tende a mostrare comprensione verso le proteste di ceti e settori popolari, com’è avvenuto nei confronti dei camionisti e dei tassisti. E quasi metà della popolazione (il 44%, per la precisione), secondo l’Ispo di Mannheimer (per il Corriere della Sera), approva le rivendicazioni dei No Tav. I quali hanno riprodotto il repertorio della protesta "non convenzionale", condotta dalle categorie "minoritarie". Non solo i blocchi ferroviari, stradali e autostradali. Ma anche le iniziative individuali estreme, condotte da figure sociali altrimenti dimenticate (e dunque invisibili): i disoccupati che salgono sulle gru e i cassintegrati che si trincerano nel carcere dell’Asinara.
I No Tav, cioè, non solo cercano, ma "esigono" l’attenzione dei media. (E per questo hanno
manifestato di fronte alla sede di Repubblica). Per far diventare il caso della Val di Susa di
"pubblico interesse". In senso letterale: di interesse "del pubblico". Nazionale. A differenza di quel
che è avvenuto per il Dal Molin. La nuova base militare americana, alle porte di Vicenza. Concessa
in segreto - dal governo Berlusconi e confermata dal governo Prodi nel 2007. Contro la volontà
della maggioranza della popolazione, che partecipò ad alcune manifestazioni di massa. (Ho
marciato anch’io, più volte). E votò un referendum, come quello proposto oggi da Sofri. Promosso
nel 2008 con il consenso della nuova amministrazione di centro-sinistra (nonostante l’opposizionedel Consiglio di Stato). Senza esiti concreti, visto che la base Usa, ora, è praticamente finita.
Appariscente e inquietante, nella sua "grandezza" immobiliare. Tuttavia, a differenza della rivendicazione No Tav, il movimento No Dal Molin - tuttora attivo - è rimasto ancorato alla realtà locale. Lontano dagli occhi e dal cuore dell’Opinione Pubblica italiana, lontano dai centri del potere nazionale.
La protesta della Val di Susa, invece, ha rimesso in discussione le decisioni in merito alla Tav. Nonostante il governo e le forze politiche della maggioranza ribadiscano che la Tav verrà realizzata. Nel rispetto degli accordi presi in sede Ue. Tenendo conto dei colloqui e delle discussioni precedenti con i sindaci e i governi territoriali. Tuttavia, queste precisazioni suggeriscono come il caso sia stato comunque riaperto. Perché è "politicamente" e "mediaticamente" rilevante. In una fase, come questa, segnata dalla debolezza dei partiti. E da un governo (sedicente) "tecnico", che ha bisogno di garantirsi il consenso sociale bypassando i partiti. Dunque, riservando grande attenzione ai media.
È significativo, a questo proposito, come i partiti "esterni" alla maggioranza tentino di sfruttare la situazione a proprio favore. A costo di contraddire se stessi. L’Idv sostiene la protesta, anche se Antonio Di Pietro, quand’era ministro dei Lavori pubblici, aveva approvato la Tav. La Lega, al contrario, anche se sta all’opposizione, si associa alla maggioranza. E chiede, anzi, intransigenza contro la protesta dei No Tav. Per motivi tattici, anche in questo caso. Perché il movimento No Tav mette in discussione il monopolio della Lega nella rappresentanza delle rivendicazioni territoriali nel Nord. Anzi, la fa apparire "ostile" verso le domande dei cittadini del Piemonte, governato dalla Lega.
Così, i No Tav e la loro rivendicazione hanno assunto rilievo politico e mediatico nazionale. O viceversa. Il che è lo stesso. Perché la comunicazione - nuova e prima ancora tradizionale: la rete insieme ai giornali e alla tv - è ancora il vero "campo" dove avviene il confronto politico. E mentre gli attori e i leader politici, travolti dall’impopolarità, se ne stanno nascosti nel retroscena oppure passano il tempo nei salotti, sulla ribalta emergono nuovi interpreti. Da un lato: i "tecnici", che usano la "competenza" come risorsa di legittimazione politica e mediatica. Dall’altra: i movimenti e le comunità, impegnati a trasformare storie locali in romanzi popolari di grande impatto emotivo.
Parroco espone bandiera No Tav in una chiesa di Avellino
La bandiera No-Tav esposta da oggi nella chiesa della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Mercogliano (Avellino). L’iniziativa e’ stata annunciata da don Vitaliano Della Sala, sacerdote gia’ noto in passato per la sua vicinanza al movimento No global.
In una lettera inviata a ’’sorelle e fratelli della Valsusa’’, don Vitaliano evidenzia che ’’un territorio appartiene soprattutto a chi lo abita e nessuno, nemmeno i rappresentanti dello Stato possono arrogarsi il diritto di decidere, da soli, per quel territorio, senza consultare, discutere e ascoltare chi in quel territorio ci vive’’. A suo giudizio ’’uno Stato non perde affatto quando, ascoltando i propri cittadini, ha il coraggio di cambiare idea’’. La bandiera No Tav in chiesa ricordera’ che ’’dobbiamo pregare e impegnarci insieme per pretendere che il presidente del Consiglio Monti, passato repentinamente e pericolosamente dalla sobrieta’ alla durezza nelle decisioni, visto che non e’ stato eletto democraticamente dai cittadini, non cominci a provare gusto a decidere da solo o consultandosi esclusivamente con chi e’ d’accordo con lui: non oso pensarci, ma sarebbe l’anticamera di una moderna tirannia’’. La richiesta e’ di ’’sospendere i lavori e le manifestazioni’’ e di istituire ’’un vero tavolo di confronto’’.
* http://www.campanianotizie.com/, SABATO 03 MARZO 2012
LO SCONTRO SULL’ALTA VELOCITÀ
No Tav, cortei in Valsusa e a Roma
Alle 16 assemblea a Bussoleno.
Prende corpo l’idea degli attivisti:
«Sciopero generale il 23 marzo»
di MAURIZIO TROPEANO, INVIATO A BUSSOLENO (La Stampa, 03/03/2012)
L’assemblea No Tav che si è conclusa a notte fonda a Bussoleno ha deciso un calendario di iniziative per tenere alta l’attenzione e la protesta. Primo appuntamento nel pomeriggio, alle 16, a Bussoleno e poi domani all’ora di pranzo a Giaglione, in Valle Clarea, la zona inglobata lunedì scorso dall’allargamento dell’area del futuro cantiere. E ancora una miriade di micro-iniziative. Ma ci sono due appuntamenti che hanno un peso sicuramente maggiore.
Il 6 marzo arriverà a Torino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per celebrare i 150 anni del Csm. L’assemblea ha deciso che una delegazione dei comitati cercherà di ottenere un incontro con il Capo dello Stato per illustrare le ragioni del No compresa la lettera che 340 tra ingegneri, docenti e amministratori hanno inviato al premier, Mario Monti, per chiedere una sospensione dei lavori. E poi ha preso corpo l’idea dello sciopero generale di valle. I sindacati di base sono pronti da tempo a farlo e in campo c’è anche la Fiom. Data possibile il 23 marzo, un venerdì.
Intanto oggi la protesta si sposta anche a Roma e in molte altre città italiane. Nella capitale, alle 15, è previsto un corteo nel pomeriggio e il prefetto Giuseppe Pecoraro ha spiegato: «C’è un’attenzione scrupolosa, ma senza allarmi». Studenti, esponenti dei centri sociali, attivisti No Tav e associazioni, partiranno da piazzale Tiburtino per raggiungere Porta Maggiore: è prevista la partecipazione di migliaia di persone.
17.17 - La doppia strategia: il blitz a Torino
Mentre metà dei manifestanti cammina in corteo verso Bussoleno, bloccando la statale 25, altri si stanno muovendo in macchina in direzione Avigliana e Torino per manifestare il proprio dissenso.
Ore 16, 25 - La Valle si muove: il raduno a Bussoleno
Alcune centinaia di persone si stanno radunando nella piazza del mercato di Bussoleno: da qui partirà un primo corteo che si dirigerà, a piedi, verso l’autostrada. Stesso obiettivo anche per la seconda manifestazione, in macchina però. In tanti hanno accolto l’appello lanciato dai leader del movimento a tarda notte a mobilitarsi. A quanto dicono, questa sarà ancora «una giornata di lotta».
Ore 16,10 - Si marcia anche a Milano Si marcia anche a Milano, dove la protesta contro l’alta velocità si è unita a quella per la libertà dei popoli. Promossa da alcune realtà dell’antagonismo milanese, la manifestazione è aperta da una delegazione dei Paesi Baschi in costume tradizionale e da uno striscione con scritto "Libertà per i No Tav! La valle non si arresta! Tanti popoli, un’unica lotta".
Ore 16,00 - Parte il corteo nella Capitale
Guidati dalla colorata danza di alcuni artisti di strada che si muovono al suono di fischietti e tamburi, i manifestanti hanno cominciato la marcia lungo la Via Tiburtina in direzione dell’omonima stazione. Ancor prima che il corteo prendesse il via, si sono registrati alcuni momenti di tensione tra attivisti e giornalisti, che hanno coinvolto Chiara Romana, cronista di La7 per il programma "In onda" di Luca Telese. Una piccola parentesi dalla quale comunque prende le distanze il gruppo di organizzatori.
Ore 15,30 - Centinaia in piazza a Roma
Alcune centinaia di manifestanti appartenenti ai movimenti No-Tav si sono già riuniti in piazzale Tiburtino, a Roma, da dove tra poco dovrebbe partire il corteo. Si è unito anche il segretario nazionale di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, che ha parlato dell’alta velocità come di una «opera dannosa e inutile, in cui si sperperano miliardi e miliardi quando non ci sono soldi per università e lavoro». Annunciando di voler andare avanti con l’opera in Val di Susa, secondo Ferrero «il governo dimostra un’ottusità pazzesca, e non è la prima volta che va avanti come un carro armato: è già successo su altri temi come le pensioni e l’articolo 18. Prima questo governo se ne va a casa - ha concluso - è meglio è per l’Italia».
Ore 15,17 - Attivisti No Tav si radunano a Bussoleno
Alcuni gruppi di attivisti No Tav, composti in prevalenza da giovani e giovanissimi, si stanno radunando nel centro storico di Bussoleno per prendere parte alle iniziative annunciate per oggi. Si dovrebbe trattare di flash mob, azioni rapide e improvvise decise all’ultimo momento. Fra i No Tav ci sono anche attivisti dei centri sociali.
Ore 14,50 - Domiciliari per l’attivista arrestato Sono stati disposti gli arresti domiciliari per Federico Cambursano, 32 anni, di Bussoleno, il manifestante arrestato durante gli scontri dei giorni scorsi durante lo sgombero dell’autostrada Torino-Bardonecchia in Val di Susa. Lo ha deciso il gip di Torino, con il parere favorevole della Procura. L’operaio di Bussoleno è accusato di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Durante lo sgombero avrebbe lanciato, a volto coperto, bottiglie, pietre e altri oggetti all’indirizzo delle forze dell’ordine.
Ore 14,38 - Attacco hacker
C’è anche un fronte virtuale nella lotta che i No Tav stanno facendo per fermare la linea Torino-Lione. Hacker, che si firmano con l’appellativo fittizio di «Anonymous», sostengono di aver attaccato i siti istituzionali della Giunta e del Consiglio Regionale del Piemonte, della Provincia e del Comune di Torino, del Comune di Vercelli, del CsiPiemonte, perchè - sostengono - sono favorevoli alla Tav. Al momento, solo il Consiglio Regionale del Piemonte conferma di aver registrato «disagi marginali» nella funzionalità del sito che ora è perfettamente operativo. La tecnica usata di solito dagli hacker per attaccare i siti è quella di investire i server con migliaia di richieste contemporanee di accesso in modo da creare difficoltà di funzionamento e, nei casi più gravi, bloccarli.
Ore 13,20 - Clini: "Non ci sono ragioni ambientali all’origine della protesta"
«Non ci sono ragioni ambientali all’origine della protesta» dei No Tav. Lo ha detto a Trieste il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini.
Ore 12,03 - La posizione di Legambiente
«Serve lungimiranza per capire cosa davvero serve al Paese. Il governo esca dal ’cul de sac’ in cui si è messo e ascolti gli esperti sul sistema di trasporti che ci porta in Europa». Lo afferma il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, che chiede al governo la convocazione urgente di un tavolo tecnico sulla Tav.
Ore 11,26 - Blitz nella sede di Repubblica
Una cinquantina di attivisti del movimento dei No-Tav hanno «occupato simbolicamente» la redazione di Repubblica a Roma. I manifestanti, secondo quanto appreso, si trovano nell’atrio della sede del quotidiano in via Cristoforo Colombo e hanno chiesto di salire per un incontro con la dirigenza della testata. «Un giornale come Repubblica - hanno detto i manifestanti - che ha fatto una battaglia come quella contro la ’legge bavagliò, sta mettendo il bavaglio ad alcune questioni sui lavori in Val di Susa».
10.04 - Giornata di mobilitazione anche all’estero
Sarà una nuova giornata di mobilitazione, oggi, quella dei No Tav, con presidi e raduni in tutta Italia e anche all’estero. Le iniziative, per il momento, sono annunciate ad Alessandria, Avellino, Catania, Imperia, Mantova, Pisa, Pesaro, Roma (in piazzale Tiburtina, dove partirà un corteo), Sestri Levante (Genova) e Trieste. Manifestazioni, secondo i comitati No Tav, sono in programma anche a Londra (sotto il consolato italiano), Parigi, Dublino, Ginevra (davanti alla sede Onu), Budapest (presidio musicale vicino all’ambasciata) e San Sebastian, nei Paesi Baschi. Fonti del movimento affermano che due giorni fa gruppi stranieri che simpatizzano con i No Tav italiani hanno dimostrato a Lione, al consolato e alla stazione ferroviaria, e a Kiev.
Ore 8,00 - Notte tranquilla in Valle
È trascorsa senza incidenti la quinta notte di «mobilitazione permanente» dei No Tav in Val di Susa, dopo l’assemblea del Movimento che si è svolta a Bussoleno (Torino). Nessuna manifestazione o blocco stradale, iniziative che sono state invece decise per le giornate di oggi e domani. Gli attivisti hanno risposto al premier e, con il loro leader storico, Alberto Perino, lo hanno invitato a «evitare prove di forza».
La Tav in Val di Susa tra varianti e ritardi
tutti i nodi dell’opera che divide da 22 anni
di MARIACHIARIA GIACOSA *
VENTIDUE ANNI di lotta contro la Tav, tra progetti che cambiano, scadenze che slittano e migliaia di persone pronte a scendere in piazza ogni volta in cui la Torino-Lione è sul punto di passare dalle carte dei progetti ai cantieri sul territorio. È successo nel 2005 a Venaus, quando doveva partire il sondaggio per il tunnel geognostico che fu bloccato innescando il processo di radicale revisione del progetto. Ed è successo ieri, sui monti della Ramat dove per tutto il giorno i No Tav hanno portato l’assedio al cantiere. Ecco quali sono i nodi di una vicenda che sta dividendo l’intero Paese.
ALTA VELOCITÀ
La Torino-Lione disegnata sulla carta è un megatunnel di 57 chilometri sotto le Alpi, di cui 14 in Italia. A Susa, all’uscita dalla montagna, una stazione internazionale dove fermeranno i Tgv per Parigi. La linea si infila poi nella montagna dell’Orsiera per quasi 20 chilometri, attraversa la pianura sotto la Sacra di San Michele per poi infilarsi nella collina morenica, entrare allo scalo ferroviario di Orbassano, toccare Torino per poi correre nella pianura padana.
La versione attuale è però low cost con il doppio obiettivo di placare le proteste riducendo l’impatto e rendere affrontabili gli investimenti per le casse pubbliche. Saranno realizzati appena 28 chilometri sugli 81 previsti. Il resto dopo il 2023.
CANTIERI
Seicentomila metri quadrati di territorio sono destinati ai cantieri con oltre 17 milioni di tonnellate di materiali di scavo. Una cifra che uguale alla quantità di zucchero esportata dal Brasile o a quella del riso prodotto Thailandia in un anno. Con la versione attuale spariscono però, almeno per dieci anni, i cantieri della basse valle e quello di Rivoli, vicino all’ospedale e nel mirino degli agricoltori. Per non intasare la viabilità locale è già previsto che il materiale di scavo sarà portato fuori solo attraverso i treni.
EUROPA
L’Europa contribuisce al 30% dei costi della tratta di confine: 2 miliardi di euro, di cui 671 già previsti, ridotti a 662 a dicembre per i ritardi accumulati sul progetto. Ma per mettere mano al portafoglio ha imposto in questi anni scadenze precise, puntualmente disattese. Aveva chiesto l’avvio del cantiere di Chiomonte nell’autunno del 2010. Inverno e tempi di approvazione del progetto hanno fatto slittare l’appuntamento con le ruspe al 31 marzo. Anche quella data però è andata buca.
Nuovo termine il 31 maggio, diventato poi 30 giugno. Scadenza centrata a metà: il cantiere è aperto, ma mancano la firma dell’accordo internazionale tra Italia Francia e l’approvazione del progetto. Solo allora l’Europa confermerà i fondi: mercoledì il banco di prova nel vertice bilaterale a Roma. I lavori a Chiomonte dureranno fino al 2015. Nel 2013 dovrà invece partire il buco per il megatunnel sotto le Alpi e i lavori finiranno nel 2023.
FRANCIA
Sono tre le discenderie gemelle di quella prevista a Chiomonte già realizzate in Francia, nella regione della Maurienne. Quattro milioni e mezzo di euro per le gallerie di Saint Martin del Porte, La Praz e Modane. I lavori che in Italia sembrano così difficili da digerire in Francia sono partiti già nel 2001 e terminati. Grazie a una legge del governo di Parigi, che il Piemonte ha replicato da questa parte delle Alpi, nei cantieri delle gallerie geognostiche francesi hanno lavorato per il 48% aziende e maestranze locali.
INVESTIMENTI
La Torino-Lione costa 14 miliardi di euro: 10,5 per la tratta internazionale, da dividere tra Italia, Francia e Unione Europea. Pesano poi tutti sulle casse di Roma i 4,3 miliardi della tratta da Chiusa San Michele a Torino; su Parigi i 6 miliardi previsti per la linea oltreconfine. La versione low cost consente un risparmio per la casse pubbliche di 4 miliardi rimandando al 2035 il resto della spesa.
NO TAV
Ventitrè comuni della Valle e migliaia di cittadini da anni si oppongono al supertreno. Nel 2005 nel mirino i rischi per la salute per amianto e uranio presenti nelle rocce. Oggi la battaglia si gioca soprattutto sui costi e sulle motivazioni dell’opera: "Uno scempio ambientale e uno spreco inaccettabile, in un momento in cui si chiede a tutti di tirare la cinghia". La linea ferroviaria è secondo i No Tav più che sufficiente ad assorbire il traffico perché oggi è sottoutilizzata e sarà saturata non prima del 2025-30".
SÌ TAV
La Tav metterà il Piemonte al centro dell’Europa e consentirà una crescita di 1,5 punti di Pil l’anno e 7 mila posti di lavoro. Pensare di cavarsela con la linea storica "è antiquato e poco serio" sostengono i Si Tav. È stata progettata nel 1857: è come se l’Olanda avesse un solo collegamento ferroviario, dicono i tifosi della Tav.
Sarà un treno per Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Paca e Rhone Alpes: 17 milioni di abitanti, un Pil da 500 miliardi, 1 milione e mezzo di imprese e scambi commerciali per 11 miliardi di euro.
* la Repubblica, 04 luglio 2011