[...] ricorrerò in appello, per una sentenza di cui attendo con ansia di leggere le motivazioni, per conoscere le quali dovrò purtroppo attendere i canonici tempi burocratici. E l’indulto approvato nel frattempo, tra il momento in cui avrei commesso il reato e la decisione del giudice, mi garantirà di non dover fare realmente l’esperienza del carcere. L’essere incensurato, oltre che motivo di onore, è per me oggi una garanzia ulteriore. Ma il precedente, appunto, è grave.
Vari casi, all’attenzione della pubblica opinione in questo periodo, mostrano come sia oggi diventato sempre più difficile fare ricerca e prendere posizione su tematiche religiose. E la fatica è tanto maggiore quando si tratta di islam. Per quel che mi riguarda, da sponda opposta, ho dovuto subire minacce di gruppuscoli di estrema destra solo per aver invitato un noto intellettuale musulmano a parlare nella mia università. E le posizioni mie e di molti colleghi sono oggetto occasionale di malevole e male informate attenzioni giornalistiche, solo perché non cavalcano il senso comune o non sottoscrivono l’opinione interessata di alcuni opinion leaders.[...]
Appello- Solidarietà per il Prof. Stefano Allievi! *
Il prof. Stefano Allievi, professore di sociologia, grande studioso di islam che ha dato un grande contributo al dialogo con questa religione e che è stato fra i primi firmatari dell’appello al dialogo cristiano-islamico promosso dal nostro sito, è stato condannato per diffamazione aggravata a mezzo stampa (sei mesi, oltre a una pena pecuniaria di tremila euro), su querela di Adel Smith, per quello che ha scritto su di lui nel suo libro "Islam italiano".
E’ una sentenza che consideriamo assurda ed ingiusta che crediamo metta in discussione elementari principi democratici. Perciò chiediamo a tutti i nostri lettori di sottoscrivere questa petizione di solidarietà. Di seguito il link per la sottoscrizione e i testi delle lettere dello stesso Stefano Allievi e il testo dell’appello.
Sottoscrivi l’appello ed esprimi la tua opinione
Vedi le altre adesioni
Lettera di Stefano Allievi e testo dell’appello
Cari amici e care amiche,
come alcuni di voi già sanno, mi trovo in un’incresciosa situazione, che tuttavia mi sembra colpire anche principi più generali che riguardano tutti noi.
Diverse persone, enti universitari e associazioni stanno decidendo, e mi hanno già anticipato, prese di posizione pubbliche, oltre alla firma dell’appello.
Per parte mia, ringrazio innanzitutto coloro tra voi che si sono già fatti vivi di persona, per telefono o via mail. Vi invito anche a firmare l’appello di cui si parla nelle lettere che seguono: appello presente con un link anche sulla home page del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova.
Infine: trovate di seguito il testo dell’appello presente sul web, sia in italiano che in inglese, nonché una sorta di lettera di accompagnamento, anch’essa nelle due lingue. Vi sarei molto grato se poteste farle circolare tra i colleghi e ad eventuali mailing list.
Ringrazio tutti anticipatamente
Cordiali saluti
Stefano Allievi
LETTERA
Cari amici e care amiche,
coloro che sanno già della vicenda in cui sono coinvolto, troveranno ulteriori informazioni nel sito
http://213.215.194.151/petition_allievi (un link è reperibile anche nella home page del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova: http://www.sociologia.unipd.it/)
con la possibilità di fare qualcosa di molto concreto per aiutarmi.
Coloro che ancora non lo sanno, troveranno nello stesso sito le informazioni del caso.
Riporto qui comunque, per comodità, alcune informazioni. Sono stato condannato per diffamazione aggravata a mezzo stampa (sei mesi, oltre a una pena pecuniaria di tremila euro), su querela di Adel Smith. Chi lo conosce, sa già di chi parlo. Chi ancora non lo conosce, è sufficiente che digiti il suo nome e cognome su Google, e troverà le informazioni del caso, nonché prese di posizione molto più dure delle mie, in materia.
Considero questa sentenza come diffamatoria della mia intera attività di studioso, sempre attento a cercare di capire la realtà islamica in Italia e in Europa. Ma essa è anche più grave in termini di principio: vengo condannato per delle opinioni, espresse all’interno di un libro serio, pubblicato da un editore serio, che seriamente cerca di descrivere il mondo islamico italiano, all’interno di una attività di oltre tre lustri dedicata allo stesso tema e con il medesimo impegno.
Credo si tratti di un precedente gravissimo proprio sul piano dei principi, che mette in causa la libertà di ricerca accademica e di manifestazione delle proprie opinioni, incluso il diritto di critica, e si configura come un pesante atto di censura, anche preventiva, per coloro che ancora vorranno occuparsi liberamente di questi temi, di cui già oggi è così difficile trattare serenamente.
Naturalmente, d’accordo con i miei avvocati e con l’editore, ricorrerò in appello, per una sentenza di cui attendo con ansia di leggere le motivazioni, per conoscere le quali dovrò purtroppo attendere i canonici tempi burocratici. E l’indulto approvato nel frattempo, tra il momento in cui avrei commesso il reato e la decisione del giudice, mi garantirà di non dover fare realmente l’esperienza del carcere. L’essere incensurato, oltre che motivo di onore, è per me oggi una garanzia ulteriore. Ma il precedente, appunto, è grave.
Vari casi, all’attenzione della pubblica opinione in questo periodo, mostrano come sia oggi diventato sempre più difficile fare ricerca e prendere posizione su tematiche religiose. E la fatica è tanto maggiore quando si tratta di islam. Per quel che mi riguarda, da sponda opposta, ho dovuto subire minacce di gruppuscoli di estrema destra solo per aver invitato un noto intellettuale musulmano a parlare nella mia università. E le posizioni mie e di molti colleghi sono oggetto occasionale di malevole e male informate attenzioni giornalistiche, solo perché non cavalcano il senso comune o non sottoscrivono l’opinione interessata di alcuni opinion leaders.
Chiedo a tutti voi, se lo condividete, di firmare l’appello che trovate sul sito, e di diffonderlo tra quanti potrebbero essere interessati, in Italia e fuori d’Italia, giacchè il problema si pone anche altrove, in Europa e non solo.
Chiedo anche, a chi può, di prendere posizione anche con lettere e dichiarazioni, che saranno pubblicate sul sito. Intanto, non mi resta che ringraziarvi per l’attenzione dedicatami.
Cordiali saluti
Stefano Allievi
-Prof. Stefano Allievi
Dipartimento di Sociologia
Via Cesarotti, 10/12
35123 - Padova
ITALY
APPELLO
Sconcerto ha suscitato tra gli studiosi la notizia, diffusa il giorno 22 marzo dall’Agenzia Ansa, e ripresa nei giorni successivi da numerosi quotidiani, della pesante condanna per diffamazione aggravata a mezzo stampa (sei mesi, oltre a una pena pecuniaria di tremila euro) nei confronti di Stefano Allievi, professore di sociologia, studioso ed esperto di islam.
Il prof. Allievi, su querela di Adel Smith, controverso esponente islamico, noto per le sue opinioni radicali e i gesti dimostrativi su temi diversi (notissima la sua polemica contro il crocefisso e i gesti eclatanti che l’hanno accompagnata), è stato condannato per le opinioni espresse su Smith e le sue azioni all’interno del libro “Islam italiano”, pubblicato da Einaudi.
La condanna è tanto più sorprendente se si pensa alla biografia del prof. Allievi, che più volte si è speso nel voler garantire libertà di parola e di espressione proprio ai musulmani, alla cui conoscenza e comprensione ha dedicato oltre quindici anni di studi e di ricerche a livello nazionale e internazionale, pagando talvolta anche il prezzo di minacce e intimidazioni da parte di esponenti e di forze politiche della destra estrema. E in generale suo sforzo costante è stato quello di aiutare a far comprendere, senza pregiudizi, la realtà e le dinamiche della presenza islamica in Italia e in Europa: un fatto dimostrato anche dagli attestati di solidarietà giunti al prof. Allievi, in questa occasione, da esponenti del mondo islamico medesimo.
Pur senza entrare nel merito della sentenza, di cui si attende di leggere le motivazioni, e con assoluta fiducia nella giustizia, espressa anche dal diretto interessato, che insieme ai suoi avvocati e all’editore ricorrerà in appello, i sottoscritti, accademici, intellettuali, ed esponenti del mondo islamico, esprimono la propria sorpresa e il proprio disappunto per la condanna del prof. Allievi, manifestandogli personale solidarietà, consapevoli come sia in gioco con questa sentenza anche e soprattutto la libertà di ricerca accademica e di manifestazione delle proprie opinioni, incluso il diritto di critica.
Chi volesse, può aderire all’appello sul sito http://213.215.194.151/petition_allievi (un link è reperibile anche nella home page del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova: http://www.sociologia.unipd.it/ )
LETTER
Dear Friends,
Those of you who have already heard about my situation, will find further information on the site http://213.215.194.151/petition_allievi (a link is available also from the site of the Department of Sociology of the University of Padua: http://www.sociologia.unipd.it/ ) where you will be able to do something really practical to help me.
Those who do not know anything about this case will find information on the same site. However the main facts are as follows.
I have been sentenced on a serious libel charge to six months imprisonment, as well as a financial penalty of 3000 euros, following on a libel action by Adel Smith. Those of you who know him, already know what sort of person I am referring to. For those who don’t know him, just write his name into Google and you will find all the information about the case, as well as much stronger positions than mine.
I consider this sentence defamatory of my whole career of research, a sentence that vilifies my life-long research into the realities of Islamism in Italy. But it is even more serious in terms of principle: I have been condemned for opinions, expressed inside a serious book, published by a serious editor, which seriously attempts to describe the world of Islam in Italy, as part of a path of research activity that has extended over the last three decades, dedicated to the same subject and always with the same involvement. I believe this to be a serious precedent precisely at the level of principles, which strikes a blow against freedom of academic research and the manifestation of opinions, including the right to criticize, and reveals itself to be a grave act of censorship, also preventive, against those who may wish to continue dealing with this subjects, which are so difficult to treat today with equanimity.
Naturally, in agreement with my lawyers and with the editor, I shall apply to the appeal court, for a sentence the motivations of which I eagerly await, but which I shall have to unfortunately await for some time, given the bureaucracy involved. The general pardon approved in the meantime, between the moment when I allegedly committed the offence and the judge’s decision, will ensure that I avoid having any taste of prison. Having a clean record, apart from being a reason for pride, is an added guarantee for me today. But the precedent remains, and it is very serious.
Various cases before the public these days show how it has become more and more difficult to do any research today, and take any stance, on religious subjects. And the difficulty is all the greater when the subject is Islam. As far as I am concerned, from the other side, I have had to undergo threats from Far-Right political splinter groups just because I had invited a famous Muslim intellectual to come and speak at my university. And my ideas and opinions, and those of my colleagues, have occasionally been the object of malevolent and ill-informed journalistic attention, just because they do not fit in with received opinions or do not underwrite the biased notions of certain opinion leaders.
My request to you all, if you agree with me, is to sign the petition that you find on the site, and to spread it among those who may be interested, in Italy and abroad, given that the problem exists in other places too, in Europe, and not only.
I would also ask those of you who can to intervene with letters and declarations, to be published on the site. Nothing more remains than to thank you for the attention you have dedicated to me.
Best regards Stefano Allievi
-Prof. Stefano Allievi
Dipartimento di Sociologia
Via Cesarotti, 10/12
35123 - Padova
ITALY
PETITION
The academic establishment has been disconcerted by the news, flashed out on 22 March by the Ansa Agency, and taken up on the following days by numerous newspapers, of the serious charge of aggravated libel (six months, as well as a monetary fine of 3,000 euros) against Stefano Allievi, Professor of Sociology, scholar and expert in Islamic matters.
Professor Allievi, cited by Adel Smith, a controversial Islamic figure, famous for his radical opinions and fiery gestures on various subjects (especially his polemic against the crucifix and the sensational acts that accompanied it), has been sentenced for the opinions he expresses about Smith and his actions in his book Italian Islam, published by Einaudi.
This sentence is even more surprising if we think of how often Professor Allievi has taken a stand for the guarantee of freedom of speech and expression of Muslims themselves, to studying and understanding whom he has dedicated over fifteen years of research at a national and international level, at times also having to pay the price of threats and intimidations by exponents and political forces of the Far Right. And in general he has constantly tried to help to explain the realities and dynamics of the Islamic presence in Italy and Europe, without prejudices, as can be seen also from the declarations of solidarity that have reached him on this occasion by important figures of the Islamic world itself.
While not wishing to enter into the merit of the sentence, the motivations of which will duly appear, and with absolute faith in the court of law, also on the part of the person directly involved, who together with his lawyers and the publisher will revert to the Appeal Court, all those undersigned, academics, intellectuals, and members of the Islamic world, express their astonishment and dismay at Professor Allievi’s sentence, and declare their personal solidarity, in the knowledge that this sentence also, and above all, threatens the freedom of academic research and the manifestation of personal ideas, including the right to criticism. Those who wish to, may undersign the appeal on the site: http://213.215.194.151/petition_allievi (a link is available also from the site of the Department of Sociology of the University of Padua: http://www.sociologia.unipd.it/ )
-Prof. Stefano Allievi
Dipartimento di Sociologia
Via Cesarotti, 10/12
35123 - Padova
ITALY
Sottoscrivi l’appello ed esprimi la tua opinione
* Il Dialogo, Martedì, 06 marzo 2007
Vilipendio e religioni in tribunale
A quali conoscenze e studi si riferiranno i magistrati di Bari nel giudicare Renzo Guolo per le sue tesi sulla fede islamica? In gioco la libertà di ricerca e la laicità
di GIOVANNI DE LUNA (La Stampa, 30/5/2007)
Adel Smith contro Renzo Guolo. Così sarebbe troppo facile. Da un lato un signore che frequenta ostinatamente i salotti tv strappando brandelli di notorietà e spacciando una personalissima visione dell’Islam; dall’altro uno studioso serio, impegnato in uno dei progetti intellettuali più difficili e necessari del nostro tempo, quello di «comprendere», di non arrendersi alle parole, di fornirci una mappa per navigare in una contemporaneità che si propone con tratti di aspra discontinuità rispetto al passato. Adel Smith ha querelato per diffamazione Renzo Guolo, non si capisce se per motivi personali o per scelta ideologica, mettendo sotto accusa pagine di un suo libro pubblicato da Laterza nel 2003: Xenofobi e xenofili: gli italiani e l’Islam. Tutto sarebbe finito qui se un pubblico ministero, a Bari, non avesse accolto la querela e rinviato a giudizio Guolo anche «per vilipendio della religione islamica». Quel magistrato ritiene quindi opportuno che un tribunale decida se le opinioni espresse da uno studioso in una ricerca siano offensive e quindi punibili giudiziariamente. E ci risiamo.
Non è un problema solo italiano. Questo Stato che vede declinare vistosamente i tratti della sua sovranità novecentesca, che si ritira progressivamente dall’economia, dai servizi pubblici, dalla scuola, dalla sanità, che propone l’immagine di una politica sempre più estenuata e eticamente «debole», sembra invece moltiplicare gli interventi per quanto riguarda i limiti della libertà d’opinione e di ricerca, affolla i suoi codici con leggi che statuiscono cosa bisogna ricordare ufficialmente e cosa cancellare, si preoccupa di stabilire quello che c’è di buono e di cattivo nel passato. È un paradosso che ha tratti particolarmente inquietanti. Più si fa acuto il deficit di legittimazione politica delle istituzioni più si fanno frequenti le invasioni di campo, gli straripamenti di competenze. Se ne è parlato a proposito del negazionismo e delle condanne penali di Irving. Se ne è parlato ancora a proposito dell’exploit di Faurisson a Teramo. Quali prove i negazionisti portano per le loro ipotesi? Quali fonti, quali ricerche? A questi interrogativi ha già risposto la comunità scientifica, smontando le loro falsità, coprendoli di ridicolo e di discredito. C’è bisogno anche di un’aula di tribunale? E, ritornando a Guolo, a quali conoscenze, a quali studi si riferirà il Tribunale di Bari per giudicarne le tesi?
Ma non è solo un problema di libertà di ricerca. Nell’iniziativa del pm di Bari si configura il reato di «vilipendio della religione islamica», mettendo allo scoperto un nervo sensibile della nostra opinione pubblica. Lo Stato laico deve garantire la libertà religiosa come tutte le altre libertà; la laicità consiste proprio nel recintare un territorio al cui interno tutte le religioni possono coesistere, senza privilegi per l’una o per l’altra. Questo è lo Stato non confessionale che la tradizione culturale dell’Occidente ha partorito in secoli di storia. In Italia la Chiesa cattolica rifiuta questa accezione di laicità e suggerisce una sorta di gerarchia tra le religioni, proponendo per quella cattolica (l’ha fatto anche Benedetto XVI) un gradino superiore in quanto sarebbe quella più strettamente legata ai caratteri «identitari» del popolo italiano. Per lo Stato tutte le religioni sono uguali e tutte sono ugualmente meritevoli di tutela in quanto tutte esprimono una realtà socialmente importante; per la Chiesa il cattolicesimo «è più uguale delle altre». Il pm di Bari ha interpretato rigorosamente la laicità dello Stato, estendendo a tutela dell’Islam quel reato di vilipendio che in Italia da sempre è stato utilizzato in difesa della Chiesa (lo stesso Adel Smith era stato denunciato per vilipendio della religione cattolica!). Ma lo ha fatto - paradossalmente - calpestando proprio quei diritti di libertà che costituiscono il cuore della laicità, riproponendo quel reato di vilipendio che faceva inorridire Sandro Galante Garrone, configurando l’esistenza di un fatto criminale dove c’è solo una libera e sacrosanta ricerca intellettuale.
Lettera alla Voce *
Il prof. Campanini risponde alle "accuse" di Magdi Allam
"Evitare la banalizzazione dell’islamismo"
Nel suo ultimo libro il vicedirettore del Corriere della Sera, Magdi Allam, cita il professor Campanini, che insegna Storia contemporanea dei paesi arabi all’Istituto Universitario Orientale di Napoli e Civiltà islamica al S. Raffaele di Milano, usando queste parole: "Il caso del prof. Campanini non è l’unico. L’Università italiana pullula di professori cresciuti all’ombra delle moschee dell’UCOII, simpatizzanti coi Fratelli Musulmani, inconsapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte". Un’ affermazione alla quale Campanini ha deciso di rispondere con una lettera alla Voce d’Italia:
"Nel suo libro "Viva Israele" Magdi Allam mi imputa di essere nemico dello stato ebraico, di non comprendere la democrazia occidentale e soprattutto di essere colluso col terrorismo islamico. Stupisce l’assoluta ignoranza da parte del noto giornalista delle problematiche in campo.
Da una parte, dopo le guerre del 2002-2003 scatenate da George Bush, l’Iraq e l’Afghanistan lungi dall’essere stabilizzati e democratizzati sono più che mai teatro di violenze e di conflitti intestini. In Afghanistan i Talebani si sono riorganizzati e, approfittando proprio del malcontento della popolazione stanca dell’occupazione straniera, stanno riguadagnando popolarità.
L’Iraq è insanguinato da centinaia di migliaia di morti e non vale neppure la pena di soffermarsi sulla mattanza, tanto i giornali ne sono pieni. La lotta al terrorismo condotta con la cecità del puro uso della forza militare nutre e diffonde il terrorismo. Credo che si tratti di una pessima prova per la democrazia, di una sconfitta della democrazia, anche se di matrice americana. Del resto, la destabilizzazione e ristrutturazione del Medio Oriente è pilastro di una strategia neoconservatrice che, come ha notato Gilles Kepel nel suo volume Fitna, a partire dalla distinzione manichea tra Bene e Male, ha ridefinito nell’Islam e nei paesi dell’”asse del male” l’identità del nuovo nemico da combattere dopo la caduta dell’URSS da parte dell’Occidente tutto sotto l’egida americana.
La questione arabo-israelo-palestinese ha radici remote e si può certo dire che la colpa primaria cada sul colonialismo britannico che, incapace di una politica ferma, ha scatenato sia le ostilità degli arabi sia le recriminazioni degli ebrei. Il nodo centrale è stato la guerra del 1948 che ha sancito la nascita ufficiale dello stato di Israele.
Quella guerra, come hanno mostrato Avi Shlaim, Eugene Rogan e altri autori nel libro "La guerra per la Palestina. Riscrivere la storia del 1948", ha costruito il mito di un Israele assediato e impaurito di fronte al pericolo arabo. La realtà è opposta: gli arabi erano come sempre litigiosi e male armati; Israele potente nei mezzi e determinato. Lo stesso Avi Schlaim ha spiegato nella sua ricerca intitolata "Il muro di ferro" come la politica dell’esclusione sia stata a lungo praticata dai dirigenti israeliani. La storia successiva è la storia dell’avvitarsi senza fine di aggressioni e vendette, di attentati e di invasioni, di una lotta palestinese che scelse mezzi terroristici e dell’occupazione israeliana forzata di terre che privava gli arabi delle loro case.
La questione più delicata riguarda certamente i Fratelli Musulmani che sono considerati ancora oggi la matrice di tutti gli estremismi. I Fratelli Musulmani sono nati in Egitto (1928) e si sono diffusi e si diffondono tuttora nelle società civili di moltissimi paesi arabi perché conducono un’islamizzazione del basso, fatta di assistenza sociale e di carità, di lotta contro l’analfabetismo e di inquadramento politico, come mostrava con dovizia di documenti Brynjar Lia nel suo "The Society of the Muslim Brothers of Egypt. The Rise of an Islamic Mass Movement" (1928-1942), pubblicato nel 1998. La realizzazione di uno stato islamico avverrà non con la violenza, ma con una profonda trasformazione, dal basso ripetiamo, delle strutture della società civile - sia pure in senso tradizionalista e conservatore. Colpiti da dure repressioni sia sotto Nasser (1954-1970) sia sotto Sadat (1970-1981), i Fratelli Musulmani hanno comunque cercato una legittimità politica che li ha portati a confrontarsi, appunto politicamente, col rigido governo di Mubarak. Hashem Awadi, in "In Pursuit of Legitimacy. The Muslim Brothers and Mubarak", lo ha dimostrato.
D’altro canto, nel mondo del pensiero islamista vi sono correnti di pensiero e di azione che si raccolgono attorno alla parola d’ordine della Wasatiyya (“giusto mezzo”) e lo studioso americano Raymond Baker ha ampiamente documentato questa realtà nel suo "Islam without Fear: Egypt and the New Islamists". Per quanto paradossale possa sembrare si sta cercando una via islamica alla democrazia come risulta dalle ricerche portate avanti dalla Fondazione americana Carnegie Endowment for International Peace (Washington D.C.) e da un profluvio di pubblicazioni in inglese, da quella curate da Muqtedar Khan a quella curata da Shireen Hunter.
Il mondo musulmano appare dunque assai più variegato e plurale di quello che certe interpretazioni pregiudiziali e tendenziose vogliono far apparire e non sarebbe male che chi scrive abbia una visione d’insieme anche della letteratura scientifica."
Massimo Campanini
Docente di Storia contemporanea dei paesi arabi
all’Istituto Universitario Orientale di Napoli
e Civiltà islamica al S. Raffaele di Milano
Lettera a la Voce d’Italia Anno II N.150 nuova edizione del 30/05/2007
Sul libro di Magdi Allam
di Massimo Campanini
Cari amici,
nel suo ultimo libro (Viva Israele, Mondadori), subito segnalato con entusiasmo da Chiaberge sul Sole 24 Ore, l’autore mi accusa: 1) di antisemitismo; 2) di fingere di ignorare il pericolo islamista. Ma il peggio è che scrive letteralmente. "Il caso del prof. Campanini non è l’unico. L’Università italiana pullula di professori cresciuti all’ombra delle moschee dell’UCOII, simpatizzanti coi Fratelli Musulmani, inconsapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte".
Ora, è tempo che le volgari menzogne e gli insulti abbiano termine. Per quanto mi riguarda chiederò a un avvocato se esistano i margini per una denuncia per diffamazione. Per intanto invio a voi, pregandovi nei limiti del possibile di farla circolare, una doverosa risposta pubblica:
1) siccome viviamo in un paese in cui vige la libertà di parola, ribadisco il mio dissenso nei confronti della politica mediorientale di Israele, ma per questo né posso e debbo essere tacciato di antisemitismo, né sostengo di volere la distruzione dello stato ebraico;
2) siccome viviamo inn un paese in cui vige la libertà di parola, ribadisco il mio dissenso nei confronti della politica mediorientale dell’amministrazione Bush. Quanto è successo e sta succedendo in Iraq e Afghanistan è una pessima prova di democrazia o probabilmente non è democrazia affatto.
3) sui Fratelli musulmani ho sostenuto e ribadisco che l’organizzazione è profondamente radicata nella società civile dei paesi arabi dove svolge attività assistenziale e caritativa. Liquidarla superficialmente come puramente terrorista è storicamente falso e politicamente pericoloso. I Fratelli Musulmani si articolano in moltissime correnti, alcune estremiste altre che sono tradizionaliste e conservatrici, ma niente affatto terroriste. Tutto questo ho documentato e documento scientificamente nei miei molti libri e articoli citando fonti primarie e letteratura critica. D’altro canto non mi risulta che Tariq Ramadan (che è consigliere di Tony Blair) o Rashid Ghannushi (che vive a Londra) siano stati inquisiti e meno che meno condannati da magistrature occidentali democratiche.
Il mio lavoro è un lavoro scientifico che può essere dimostrato in qualsiasi momento; quello di Magdi Allam una virulenta e gratuita polemica personale neppure sostenuta dall’eloquenza ciceroniana.
Vi ringrazio dell’attenzione.
Massimo Campanini
massimo.campanini@tiscali.it
mcampanini@unior.it
* IL DIALOGO, Mercoledì, 06 giugno 2007
LE FIRME CONTRO ALLAM
la Petizione
per Mettere
un Libro
all’Indice
di PIERLUIGI BATTISTA (Corriere della Sera, 19 luglio 2007, pag. 1)
Cosa mai possono concretamente sperare le (così dicono) «centinaia di firme» apposte a un documento che si scaglia contro un libro, quello di Magdi Allam? Forse indurre l’autore ad abiurare? L’editore a ritirare il volume? I librai a disfarsene?A dichiarare fuori legge un saggio per aver violato chissà quale articolo del codice penale? Oppure, come è più probabile ma non meno inquietante, a rinchiudere il bersaglio di tanta ardente indignazione in un recinto infetto, fare terra bruciata attorno a lui, insomma a procurare un effetto intimidatorio su chi si è macchiato della grave colpa di aver scritto quel libro?
Il documento in questione (un appello, una petizione, un manifesto, o comunque si voglia chiamare questa ennesima testimonianza di un’abitudine molto italiana degli intellettuali ad aggregare le loro firme in vista di qualche sempre commendevole «mobilitazione » e nobile Causa) compare sull’ultimo numero di «Reset», la rivista di Giancarlo Bosetti sempre vivacemente presente negli snodi cruciali del dibattito culturale. Sottoscritto da numerosi studiosi di vaglia tra i quali Paolo Branca e David Bidussa, Angelo d’Orsi e Ombretta Fumagalli Carulli, Patrizia Valduga ed Enzo Bianchi, se la prende con un libro, «Viva Israele» di Magdi Allam, per via della sua «sfrontatezza», per di più «lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale », indice di «un preoccupante imbarbarimento dell’informazione» cagionata, par di capire, dall’attacco molto duro che Allam avrebbe riservato a due docenti universitari italiani.
Ma il documento-anatema non si articola come difesa di qualcuno che si ritiene ingiustamente attaccato, bensì come un «no» al libro, un «contro Allam», una «critica» ad personam. Una scomunica collettiva, non una confutazione di una tesi. Una mozione che segnala l’arruolamento a una posizione ideologica, non una critica al merito di un libro. È difficile comprendere cosa abbia indotto tanti intellettuali a una deroga così grossolana e stupefacente di alcuni princìpi basilari della libera discussione politico-culturale attorno a un libro. La consuetudine vuole infatti che un libro venga criticato, anche ferocemente, ma da un singolo, non da una schiera vociante di «centinaia di firme».
Che un libro possa anche essere stroncato, demolito, fatto (intellettualmente) a pezzi, ma solo da chi porta la responsabilità intellettuale in un conflitto di idee modulato su argomenti che si contrappongano aspramente ad argomenti, tesi contro tesi, documenti contro documenti. I firmatari dell’appello contro Allam non fanno nulla di tutto questo. Bersagliano un libro per il solo fatto che esiste e il suo autore perché accusato di «tifare» per le ragioni di Israele (e se anche fosse, dov’è il reato, o il peccato?). Firmano in gruppo credendo di rafforzare la loro credibilità con il numero delle adesioni e non con la vis persuasiva di un argomento. Fossero state migliaia anziché centinaia, le firme, ci sarebbe forse qualche ragione in più per considerare ancor più negativamente il libro mandato simbolicamente al rogo? Da quando in qua la scientificità di un libro viene misurata così brutalmente sui diktat della «dittatura della maggioranza»?
Nella moltitudine di appelli e di manifesti che ha scandito in modo così ripetitivo la vita culturale dell’Italia repubblicana, i firmatari del documento di «Reset» hanno deciso di dar vita a un unicum, non conoscendosi, a memoria, precedenti di una raccolta di firme esplicitamente indirizzate contro un libro e contro un saggista. Ma se questa nuova tipologia di appelli non assomiglia alla (legittima) stroncatura di un libro o al (sacrosanto) dissenso nei confronti di tesi giudicate sbagliate o infondate, resta la sgradevole sensazione che nel tutti contro uno messo in scena da una rivista si produca attorno a un libro il marchio della «pericolosità», del discredito, della delegittimazione preventiva e dunque sleale. Qualcosa che ha il sapore dell’intimazione al silenzio, o comunque di un trattamento speciale che genera allarme sociale attorno a un libro e un effetto di intimidazione su un autore e sul suo editore chiamati, per così dire, a una maggiore prudenza nel futuro. Una deriva di arroganza che, anche se animata dalle migliori intenzioni, nella storia ha sempre condotto alla tentazione censoria e alla messa all’indice.
Un appello contro le liste di proscrizione di Magdi Allam
Appello publicato dalla rivista Reset
Senza entrare nel merito delle accuse specifiche rivolte nell’ultimo libro di Magdi Allam a singoli colleghi noti a chiunque si interessi di questioni relative al Medio Oriente e all’islam non solo come ricercatori seri e qualificati, ma persino come persone coinvolte in svariate forme di impegno civile, intendiamo pro testare fermamente davanti alla sfrontatezza di chi afferma che le università italiane «pullulano» di docenti «collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità».
Ci pare davvero eccessivo che quanti, in sede di dibattito scientifico e civico, esprimono posizioni differenti da una pretesa unica «verità interpretativa» divengano automaticamente estranei a universali valori di civiltà o, addirittura, alieni dalla comune umanità. Una tale impostazione non solo è lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale - e molto più in linea con ideologie totalitarie - ma si pone anche a siderale distanza dal senso critico che sta alla base della ricerca storica e scientifica e dalla stessa, difficile ma essenziale, missione dell’informazione giornalistica in una società plurale. Tutto ciò rischia di contribuire, purtroppo, al preoccupante imbarbarimento dell’informazione in un paese come il nostro che già si trova a pagare un prezzo troppo alto alle varie forme di partigianeria che lo travagliano. Già abbiamo visto sentenze discutibili coinvolgere colleghi noti per la loro serietà ed equilibrio nell’affrontare il tema dell’islam, con addirittura condanne penali che prevedono la pena detentiva.
Il giornalismo rischia di cadere in una logica da tifo calcistico piuttosto che analitica e razionale, soprattutto quando si toccano temi delicati e sensibili come quelli religiosi e, in particolare, relativi all’islam ed alle questioni legate all’ area medio-orientale. La libertà di ricerca ne paga il prezzo, schiacciata tra opposti estremismi interpretativi, e non solo. Ci auguriamo che tali tendenze trovino presto voci più equilibrate e meno partigiane a contrastarle, e che queste trovino a loro volta ascolto nel mondo dell’informazione, in quello politico, in quello culturale e in quello religioso.
Le adesioni
Paolo Branca
David Bidussa
Giancarlo Bosetti
Enzo Bianchi
Gadi Luzzatto Voghera
Angelo d’Orsi
Paolo De Benedetti
Nasr Hamid Abu Zayd
Nina zu Fürstenberg
Giovanni Miccoli
Marco Varvello
Alberto Melloni
Agostino Giovagnoli
Ombretta Fumagalli Carulli
Patrizia Valduga
Michelguglielmo Torri
Pippo Ranci Ortigosa
Anna Bozzo
Dario Miccoli
Isabella Camera D’Aff l i t t o
Francesca Corrao
Ugo Fabietti
Brunello Mantelli
Sumaya Abdel Qader
Diego Abenante
Giorgio Acquaviva
Roberta Adesso
Claudia Alberico
Marco Allegra
Massimo Alone
Daniela Amaldi
Maurizio Ambrosini
Sara Amighetti
Lubna Ammoune
Michael Andenna
Giancarlo Andenna
Carlo Annoni
Caterina Arcidiacono
Barbara Armani
Monica Bacis
Pier Luigi Baldi
Anna Baldinetti
Giorgio Banti
Gianpaolo Barbetta
Roberto Baroni
Elena Lea Bartolini
Annalisa Belloni
Giovanni Bensi
Michele Bernardini
Giovanni Bernardini
Francesca Biancani
Giovanna Biffino Galimbert i
Valentino Bobbio
Giuliana Borello
Franco Brambilla
Daniela Bredi
Alberto Burgio
Paola Busnelli
Maria Agostina Cabiddu
Fabio Caiani
Alfredo Canavero
Paolo Cantù
Fanny Cappello
Franco Cardini
Paola Caridi
Lorenzo Casini
Fabrizio Cassinelli
Paolo Ceriani
Maria Vittoria Cerutti
Francesco Cesarini
Michelangelo Chasseur
Antonio Chizzoniti
Franca Ciccolo
Cornelia Cogrossi
Chiara Colombo
Annamaria Colombo
Silvia Maria Colombo
Alessandra Consolaro
Giancarlo Costadoni
Antonio Cuciniello
Giovanni Curatola
Irene Cusmà
Cinzia Dal Maso
Monia D’Amico
Laura Davì
Francesco D’Ayala
Fulvia De Feo
Fulvio De Giorgi
Paolo di Giannatonio
Miriam Di Paola
Rosita Di Peri
Maria Donzelli
Camille Eid
Fabrizio Eva
Guido Federzoni
Alessandro Ferrari
Valeria Ferraro
Nicola Fiorita
Francesca Flores d’Arcais
Filippo Focardi
Daniele Foraboschi
Guido Formigoni
Ersilia Francesca
Annalisa Frisina
Carlo Galimberti
Enrico Galoppini
Laura Galuppo
Antonella Ghersetti
Mauro Giani
Aldo Giannuli
Manuela Giolfo
Fabio Giomi
Emanuele Giordana
Demetrio Giordani
Gianfranco Girando
Elisa Giunghi
Carlo Giunipero
Anna Granata
Francesco Grande
Fabio Grassi
Maria Grazia Grillo
Laura Guazzone
Rachida Hamdi
Abdelkarim Hannachi
Ali Hassoun
Alexander Hobel
Giuseppina Igonetti
Virgilio Ilari
Massimo Jevolella
Massimo Khairallah
Chiara Lainati
Giuliano Lancioni
Filippo Landi
Angela Lano
Clemente Lanzetti
Paolo La Spisa
Raffaele Liucci
Claudio Lojacono
Silvia Lusuardi Siena
Monica Macchi
Paolo Maria Maggiolini
Paolo Magnone
Roberto Maiocchi
Diego Maiorano
Gabriele Mandel Khan
Patrizia Manduchi
Ermete Mariani
Annamaria Martelli
Paola Martino
Elisabetta Matelli
Vincenzo Matera
Gabriella Mazzola Nangeroni
Carlo Maria Mazzucchi
Alessandro Mengozzi
Alvise Merini
Saber Mhadhbi
Ferruccio Milanesi
Stefano Minetti
Marco Mozzati
Vincenzo Mungo
Beniamino Natale
Enrica Neri
Sergio Paiardi
Francesco Pallante
Monica Palmeri
Simona Palmeri
Maria Elena Paniconi
Irene Panozzo
Michele Papasso
Daniela Fernanda Parisi
Antonio Pe
Fausto Pellegrini
Claudia Perassi
Alessio Persic
Marta Petricioli
Martino Pillitteri
Daniela Pioppi
Paola Pizzo
Alessandro Politi
Paola Pontani
Antonietta Porro
Gianluca Potestà
Rossella Prandi
Elena Raponi
Savina Raynaud
Riccardo Redaelli
Giuseppe Restifo
Michele Riccardi
Franco Riva
Marco Rizzi
Maria Adele Roggero
Maria Pia Rossignani
Ornella Rota
Monica Ruocco
Rassmeya Salah
Ruba Salih
Brunetto Salvarani
Giovanni Sambo
Marco Sannazaro
Paolo Santachiara
Milena Santerini
Maria Elena Santomauro
Cinzia Santomauro
Giovanni Sarubbi
Federico Ali Schuetz
Giovanni Scirocco
Deborah Scolart
Lucia Sgueglia
Ritvan Shehi
Rita Sidoli
Stefano Simonetta
Piergiorgio Simonetta
Lucia Sorbera
Carlo Spagnolo
Salvatore Speziale
Stefania Stafutti
Oriella Stamerra
Giovanna Stasolla
Piero Stefani
Alessandra Tarabochia
Dario Tarantini
Maurizio Tarocchi
Andrea Teti
Massimiliano Trentin
Emanuela Trevisan Semi
Lorenzo Trombetta
Michele Vallaro
Marisa Verna
Marco Francesco Veronesi
Fabrizio Vielmini
Edoardo Villata
Franco Zallio
Patrizia Zanelli
Francesco Zappa
Luciano Zappella
Boghhos Levon Zekiyan
Ida Zilio Grandi
Raffaello Zini
Raccolgo e divulgo sul mio blog il messaggio, cioè riportando integralmente la lettera di Massimo Campanini: http://clubtiberino.blogspot.com/2007/07/appello-contro-le-liste-di-proscrizione.html
Sul mio Blog vado raccogliendo un supplemento di firme a quelle già edite da Reset. In Teramo si è avuto una prima applicazione della dottrina Magdi Allam, con violenze e chiusura di un master universitario. A seguito di ciò si è formato un Comitato per la libertà di pensiero e di ricerca. È possibile aderirvi approvandone il manifesto ed il regolamento interno.
Antonio Caracciolo Ricercatore di filosofia del diritto Università di Roma la Sapienza.
Carlo Taormina ci vuole cacciare dall’Italia..
" Hic manebimus optime"*
Incredibili e offensive affermazioni dell’ex sottosegretario alla giustizia *
Un appello ad una querela di massa di islam-online
*Hic manebimus optime (qui staremo benissimo)
Gianfranco Fini è riuscito farsi dare qualche pagina di giornale, in questo fine luglio svagato e vacanziero, con l’affermazione che “gli imam devono predicare in italiano” (e ne possiamo parlare serenamente e trovare soluzioni che tranquillizzino tutti).
Sfruttando la scia, ma alla maniera sua, sguaiata e sopra le righe, Carlo Taormina, già sottosegretario alla giustizia di un governo Berlusconi, come Borghezio del resto, se n’è uscito con l’incredibile affermazione che riguarda le “diecimila sale di moschee presenti in Italia che sono TUTTE covi di terroristi” e quanto ai loro frequentatori o non frequentatori, in quanto nella categoria “musulmani” ci stanno entrambi i tipi “dovrebbero essere cacciati dall’Italia”.
Ne ha parlato ad Ascoli Piceno il leguleio, iniziando con una bugia clamorosa: diecimila sale di preghiera? Magari! Ne abbiamo trecento ai conti nostri, seicento a quelli degli Interni che sono certamente più informati di noi, anche se talvolta censiscono come luogo di culto islamico il retrobottega di un call center o di un negozio di alimentari dove il proprietario o i dipendenti, e talvolta qualche cliente, si prosternano su un tappetino direzione della Mecca. Vorrebbe dire che ce n’è una ogni 100/120 musulmani e non mediamente una ogni 4 mila come risulta noi.
Si tratta evidentemente di gonfiare a dismisura una realtà che si vuole presentare come minacciosa e tale comportamento configura il reato di diffusione di notizie false e tendenziose tendenti a turbare l’ordine pubblico come previsto dall’art. 656 del Codice Penale.
Prosegue poi dicendo che "sono TUTTI covi terroristici", quando è certo che seppure alcuni comportamenti potenzialmente devianti siano stati ravvisati dalle forze dell’ordine, da parte di qualche (pochi) frequentatori di luoghi di culto (pochissimi) nessuna sentenza passata in giudicato ha mai sancito la reale pregnanza dell’elemento terroristico in relazione al luogo di culto in sé, alla sua direzione e gestione e, grazie a Dio e ai musulmani d’Italia (vedi http://www.islam-ucoii.it/NOTERRORISMO.htm) il nostro Paese non ha mai dovuto subire alcuna sorta di attentati da quella pseudo valenza. Anche la vicenda di Ponte Felcino, con tutto il rispetto delle attività inquirenti, non ci convince siamo curiosi di conoscere le risultanze delle analisi sulle sostanze rinvenute e le traduzioni dei materiali cartacei, audio e video sequestrati.
Ma la cosa peggiore che fa Taormina, è quella proposta di cacciare fuori dall’Italia i musulmani, proposta che ricorda sinistramente quel JUDEN RAUS cha tanti dolori e lutti e strascichi infami ha causato e causa.
Siamo musulmani e siamo italiani e hic manebimus optime, come ebbe a dire Cicerone, e nessuno ci sposterà tanto facilmente.
I nostri fratelli e le nostre sorelle stranieri/e sono tutelate da una Costitituzione e da una legge che Taormina sembra ignorare e, che pertanto cercheremo di ricordargli, dando ai nostri legali mandato di denunciarlo per tutti i reati che la loro competenza professionale saprà individuare in quelle aberranti dichiarazioni, e invitando i responsabili dei luoghi di culto islamico a fare altrettanto, insieme a noi o singolarmente.
E chiediamo ai nostri amici e amiche, cristiani o laici che tanto spesso ci ricordano i valori della civiltà occidentale, nella quale peraltro ci riconosciamo in buona parte, di farsi anche loro parte responsabile e manifestare la loro contrarietà e la loro condanna.
La notizia
ISLAM: TAORMINA, 10 MILA SALE PREGHIERA COVI TERRORISMO
"Non solo le moschee grandi e piccole, ma tutte le diecimila sale di preghiera musulmane presenti in Italia, sono focolai di cellule terroristiche". Lo ha sostenuto ad Ascoli l’avvocato Carlo Taormina, ex sottosegretario all’interno, commentando la dichiarazione del presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, il quale ha chiesto che in tutte le moschee "si parli italiano, perche’ tutti hanno il diritto di sapere se in quei luoghi si prega Allah o si incita alla violenza". La posizione di Taormina e’ piu’ drastica sulla questione, e per lui, oltre al fatto che "le sale di preghiera sono covi terroristici", tutti i musulmani "dovrebbero essere cacciati dall’Italia". La responsabilita’ della situazione attuale, e i rischi che il nostro paese corre per la propria sicurezza, sono pero’ per il noto penalista anche da addebitare "ai nostri imprenditori, che hanno abbassato il prezzo dei salari agli italiani e favorito cosi’ l’ingresso sul nostro territorio di migliaia di extracomunitari, con tutti i pericoli connessi".
leggi la notizia su: >> REPUBBLICA.IT
http://news.kataweb.it/item/338288/islam-taormina-10-mila-sale-preghiera-covi-terrorismo
* Il dialogo, Mercoledì, 01 agosto 2007
* Riprendiamo dal sito www.islam-online.it questo appello che condividiamo. Oramai il livello di guardia contro il razzismo xenofobo è stato abbondanetmente superato ed occorre una mobilitazione generale dei cittadini onesti per ricacciare indietro nella pattumiera della storia tutte le forme di odio razziale ed i loro sostenitori.