L’italia del sottosuolo
di BARBARA SPINELLI *
Sono settimane ormai che l’annuncio è nell’aria: il governo Berlusconi sta finendo, anzi è già finito. Il suo regno, la sua epoca, sono morti. È sempre lì sul palcoscenico, come nelle opere liriche dove le regine ci mettono un sacco di tempo a fare quel che cantano, ma il sipario dovrà pur cadere. Anche i giornali stranieri assistono al funerale, nei modi con cui da sempre osservano l’Italia: il feeling, scrive l’Economist, la sensazione, è che la commedia sia finita. Burlesquoni è un brutto scherzo di ieri.
In realtà c’è poco da ridere, e il ventennio che abbiamo alle spalle è infinitamente più serio. Non siamo all’epilogo dei Pagliacci, e non basta un feeling per spodestare chi è sul trono non grazie a sentimenti ma a una macchina di guerra ben oleata. Per uscire dalla storia lunga che abbiamo vissuto - non 16 anni, ma un quarto di secolo che ha visto poteri nati antipolitici assumere poi il comando - bisogna, di questo potere, averne capito la forza, la stoffa, gli ingredienti. Non è un clown che si congeda, né l’antropologia dell’uomo solitario aiuta a capire. I misteri di un’opera sono nell’opera, non nell’autore, Proust lo sapeva: "Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che manifestiamo nelle nostre abitudini, nella società, nei nostri vizi". Sicché è l’opera che va guardata in faccia, per liberarsene senza rompersi ancora una volta le ossa. Chi vagheggia governi tecnici o elezioni subito, a sinistra, parla di regime ma ne sottovaluta le risorse, la penetrazione dei cervelli.
Un regime fondato sull’antipolitica - o meglio sulla sostituzione della politica con poteri estranei o ostili alla politica, anche malavitosi - può esser superato solo da chi è stato detronizzato. Nessun tecnico potrà resuscitare le istituzioni offese. Può farlo solo la politica, e solo se essa si dà del tempo prima del voto.
Capire il regime vuol dire liberare quello che esso ha calpestato, e quindi non solo mutare la legge elettorale. Non è quest’ultima a rendere anomala l’Italia: se così fosse, basterebbe un gesto breve, secco. Quel che l’ha resa anomala è l’ascesa irresistibile di un uomo che fa politica come magnate mediatico. Berlusconi ha conquistato e retto il potere non malgrado il conflitto d’interessi, ma grazie ad esso. Il conflitto non è sabbia ma olio del suo ingranaggio, droga del suo carisma. La porcata più vera, anche se tabuizzata, è qui. La privatizzazione della politica e dei suoi simboli (non si governa più a Palazzo Chigi ma nel privato di Palazzo Grazioli) è divenuta la caratteristica dell’Italia.
Proviamo allora a esaminare i passati decenni, oltre l’avventura iniziata nel ’94. L’avventura è il risultato di un’opera vasta, finanziata torbidamente e cominciata con l’idea di una nuova pòlis, un’altra civiltà. Un progetto - è Confalonieri a dirlo - che "ha contribuito a cambiare il clima grigio e penitenziale degli anni ’70, ed è stato un elemento di liberazione. Ha portato più America e più consumi, più allegria e meno bigottismo". Più America, consumi, allegria: la civiltà-modello per l’Italia divenne Milano-2, una gated community abitata da consumatori ansiosi di proteggersi dal brutto mondo esterno, di sentirsi più liberi che cittadini. E al suo centro una televisione a circuito chiuso, che intrattenendo distrae, occulta, manipola: nel ’74 si chiama Milano-2, diverrà l’impero Mediaset. Quando andrà al potere, il Cavaliere controllerà tutte le reti: le personali e le pubbliche.
Tutto questo non è senza conseguenze: cadendo, il Premier non lascia dietro di sé una società sbriciolata. Il paese in briciole è stato da principio sua forza, sua linfa. Non si tratta di profittare di subitanei sbriciolamenti, ma di far capire agli italiani che su questo sfaldamento Berlusconi ha edificato la sua politica. Che su questo ha costruito: sul maciullamento delle menti, non sull’individualismo. Su un’Italia che somiglia all’Uomo del sottosuolo di Dostojevski: un’Italia che rifiuta di vedere la realtà; che "segue i propri capricci prendendoli per interessi"; che giudica intollerabile che 2+2 faccia 4. Un’Italia che "vive un freddo e disperato stato di mezza disperazione e mezza fede, contenta di rintanarsi nel sottosuolo". Un’Italia arrabbiata contro chiunque vorrebbe illuminarla (la stampa, o Marchionne, o i magistrati) così come l’America arrabbiata del Tea Party il cui ossessivo bersaglio è la stampa indipendente.
Correggendo solo la legge elettorale si banalizza la patologia. Altre misure s’impongono, che permettano agli italiani di comprendere quanto sono stati intossicati. Esse riguardano il controllo di Berlusconi sull’informazione e il conflitto d’interessi. La profonda diffidenza verso una società bene informata (per Kant è l’essenza dei Lumi) caratterizza il suo regime. "Non leggete i giornali!" - "Non guardate certi programmi Tv!": ripete. Gli italiani devono restare nel sottosuolo, eternamente incattiviti. Altro che allegria. È sulla loro parte oscura, triste, che scommette. Qualsiasi governo che non si proponga di portar luce, di riequilibrare il mercato dell’informazione, fallirà.
Per questo è importante un governo di alleanza costituzionale che raggiusti le istituzioni prima del voto, e un ruolo prioritario è riservato non solo a Fini ma alle opposizioni. Fini farà cadere il Premier ma l’intransigenza sul conflitto d’interessi spetta alla sinistra, nonostante gli ostacoli esistenti nel suo stesso seno. Del regime, infatti, il Pd non è incolpevole. Fu lui a consolidarlo con un patto preciso: la conquista di suoi spazi nella Rai, in cambio del potere mediatico del Cavaliere. Tutti hanno rovinato la tv, pur sapendo che il 69,3 per cento degli italiani decide come votare guardandola (dati Censis).
A partire dal momento in cui fu data a Berlusconi l’assicurazione che l’impero non sarebbe stato toccato, si è rinunciato a considerare anomali la sua ascesa, il conflitto d’interessi. E i responsabili sono tanti, a sinistra, cominciando da D’Alema quando assicurò, visitando Mediaset nel ’96: "Non ci sarà nessun Day After, avremo la serenità per trovare intese. Mediaset è un patrimonio di tutta l’Italia".
La verità l’ha detta Luciano Violante, il giorno che si discusse la legge Frattini sul conflitto d’interessi alla Camera, il 28-2-02: "L’on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena - non adesso, nel ’94 quando ci fu il cambio di governo - che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’on. Letta... Voi ci avete accusato nonostante non avessimo fatto la legge sul conflitto d’interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni... Durante i governi di centrosinistra il fatturato Mediaset è aumentato di 25 volte!". Il programma dell’Ulivo promise di eliminare conflitto e duopolio tv, nel ’96. Non successe nulla. Nel luglio ’96, la legge Maccanico ignorò la sentenza della Consulta (Fininvest deve scendere da tre a due tv). Lo stesso dicasi per l’indipendenza Rai. È il centrosinistra che blocca, nell’ultimo governo Prodi, i piani che la sganciano dal potere partitico. A luglio Bersani ha presentato un disegno di legge che chiede alla politica di "fare un passo indietro". Non è detto che nel Pd tutti lo sostengano. Una BBC italiana è invisa a tanti.
Se davvero si vuol uscire dall’anomalia, è all’idea di Sylos Labini che urge tornare: all’ineleggibilità di chi è titolare di una concessione pubblica, secondo la legge del 30 marzo ’57. D’altronde non fu Sylos a dire che l’ineleggibilità è la sola soluzione. Il primo fu Confalonieri, il 25-6-2000 in un’intervista a Curzio Maltese sulla Repubblica. Sostiene Confalonieri che l’Italia, non essendo l’Inghilterra della Magna Charta, non può permettersi di applicare le proprie leggi. Forse perché il paese è sprezzato molto. Forse perché c’è chi lo ritiene incapace di uscire dal sottosuolo, dopo una generazione.
* la Repubblica, 17 novembre 2010
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Sette deputati nel mirino
il calciomercato sul Fli
Un finiano: mi hanno offerto 500 mila euro, ma non mi vendo
di AMEDEO LA MATTINA (La Stampa, 17/11/2010
ROMA Nella sala conferenze di Montecitorio Denis Verdini e Daniela Santanchè (Ignazio La Russa era seduto tra i giornalisti) stavano presentando con molta goduria il ritorno nel Pdl del deputato Giuseppe Angeli strappato a Gianfranco Fini. «Il primo di altri ritorni», garantiva su di giri la Santanchè, che aveva ricevuto la telefonata da Silvio Berlusconi. «Brava Daniela, sei riuscita a rompere il fronte di Futuro e libertà. Vedrai che ne arriveranno altri alla Camera e poi ci facciamo delle belle risate... Pensa alla faccia che farà quello lì...». Che sarebbe il presidente della Camera, per il Cavaliere sempre e comunque «un traditore». Voleva andarlo a dire agli italiani, a Matrix, questa sera. Aggiungendo che con lui «si è rotto un rapporto personale» e che «i finiani si accorgeranno quanti pochi voti avrà il loro leader».
Avrebbe voluto aggiungere che è pronto a respingere le «manovre di palazzo», poi ci ha ripensato: l’intervento è rinviato al 14 dicembre, dopo il dibattito alle Camere, per rispetto al Capo dello Stato che si è speso a lungo nel tentativo di trovare un accordo tra le parti. A «quello lì» Berlusconi sta cercando di sfilare deputati per rimandare al mittente la mozione di sfiducia anche con uno, due voti di scarto (sono sette i deputati su cui si sta lavorando alacremente). «Magari pochi voti all’inizio - spiega Ignazio La Russa - che diventeranno dieci in pochi giorni». Il perché è presto spiegato: il premier ha una decina di posti da assegnare tra viceministri e sottosegretari lasciati vuoti da Fli e da precedenti dimissioni di esponenti del Pdl.
E poi, sempre che il governo ce la faccia a mantenere la maggioranza alla Camera, ci sono tante nomine pubbliche da fare entro la fine dell’anno. A questo si aggiunge pure un presunto lato ancora più prosaico della campagna acquisti: un deputato finiano confidava ieri che gli sarebbero stati offerti 500 mila euro per «tradire» Fini. «Non sono in vendita», è stata la risposta orgogliosa. Comunque, mentre Verdini e Santanchè mostravano lo scalpo di Angeli, fuori dalla sala conferenze si aggirava Saverio Romano, l’ex segretario dell’Udc siciliana che ha abbandonato Casini per mettersi in proprio con i suoi amici e schierarsi con il Cavaliere. «Vedrete - diceva con l’aria di vecchio marpione democristiano, che avrebbe convinto Giampiero Catone a lasciare Fini - che Berlusconi alla Camera avrà la maggioranza.
Bastano 5-6 assenze in aula al momento del voto... Non credo che tra i deputati ci sia molta voglia di andare a casa». Una pausa, poi una «profezia». «Abbiamo davanti quasi un mese di tempo e può succedere di tutto. Può succedere pure che Napolitano, di fronte a una tempesta finanziaria che si potrebbe abbattere in Europa nelle prossime settimane, possa decidere di non sciogliere le Camere e affidare l’incarico di formare un nuovo governo al governatore di Bankitalia Draghi». E’ il governo tecnico la bestia nera di Berlusconi, ma per il momento non è alle viste. Ma dopo la soluzione salomonica presa ieri al Quirinale sul voto di fiducia/sfiducia in Parlamento, il Cavaliere è convinto che lo spettro del governo tecnico sia stato archiviato. Ora, spiegano a Palazzo Grazioli, l’alternativa è tra Berlusconi e le elezioni.
Insomma lo scenario sarebbe cambiato: i deputati dubbiosi e coloro che non vogliono lasciare lo scranno di Montecitorio sanno qual è il rischio che corrono se affossano il Cavaliere. Ad esempio, Fini è in grado di rieleggere i suoi 35 seguaci, dovendo concorrere nella spartizione delle candidature con Casini, Rutelli e Lombardo? «Nella vita, e quindi anche in politica - spiega il ministro Altero Matteoli - è lecito cambiare idea, ma ho l’impressione che coloro che hanno aderito al Fli abbiano preso un treno la cui destinazione è cambiata senza avviso e senza il loro pieno consenso». Berlusconi, ad ogni modo, è soddisfatto della soluzione trovata dal Quirinale. Se avesse votato prima la Camera, in caso di sfiducia, sarebbe stato costretto a dimettersi e non avrebbe potuto incassare il voto favorevole del Senato.
Così invece a Palazzo Madama i senatori, che sono la metà dei deputati, potranno finire di votare prima dei loro colleghi di Montecitorio. I quali sapranno in tempo reale che l’unico modo per non andare a casa è quello di sostenere il governo. Potranno sembrare alchimie, sottili giochi di Palazzo, tuttavia il Cavaliere gioca colpo su colpo. Con la sicurezza di chi ha blindato l’asse con Bossi e si prepara la campagna elettorale se non riuscirà a riconfermare la maggioranza nei due rami del Parlamento.