TOMBA DI MARIA MONTESSORI (a Noordwijk) |
L’attrice protagonista del film in onda su Canale 5 il 28 e il 30 maggio
La vita della studiosa fra coraggio, modernità, scoperte e drammi privati
Paola Cortellesi debutta nella fiction
Montessori, la donna che "liberò" i bambini
di ALESSANDRA VITALI *
QUANDO nella sala teatro della scuola elementare "Regina Elena" di Roma, a due passi da via Veneto, si riaprono le tende e le grandi finestre oscurate per la proiezione, si sentono gli strilli dei ragazzini che giocano nel cortile dell’istituto ma anche i commenti delle maestre-spettatrici. E’ una scuola della "rete Montessori" della capitale. Le insegnanti erano curiose di vedere come è stata resa, in un film, la vita dell’inventrice del metodo pedagogico che ha rivoluzionato l’insegnamento in Italia. Alla fine di Maria Montessori - Una vita per i bambini, una maestra si alza e dice alle colleghe: "Non so voi, ma io mi sono commossa". Perché il film diretto da Gianluca Maria Tavarelli, in onda lunedì 28 e mercoledì 30 maggio su Canale 5, non racconta solo la carriera della studiosa e le intuizioni geniali della ricercatrice, ma anche la vita di una donna di forza, coraggio e modernità straordinari, che dedicò tutta la vita ai bambini ma non poté dedicarsi al bambino che amava più di ogni altra cosa.
E’ Paola Cortellesi, bravissima, la protagonista. Di Maria Montessori conosceva il metodo "ma genericamente, poi ho parlato con insegnanti ed ex allievi, e ho capito che lei ha ’liberato’ i bambini". Un ruolo che ricorda da vicino quello che l’attrice ha portato con successo a teatro in Gli ultimi saranno ultimi "perché anche quella è la storia di una precaria, che perde il posto di lavoro perché incinta e compie un gesto estremo per ottenere quello che è solo un suo diritto". Maria Montessori è stata la prima donna a combattere per laurearsi in medicina, "a capire che gli orfani, affidati ai manicomi, crescevano emulando gli adulti con disagi mentali, e invece erano bimbi che si potevano recuperare. Capì che la strada per costruire il futuro è quella che parte dai bambini".
Quel che premeva al produttore, Pietro Valsecchi, della TaoDue, era restituire al pubblico una figura femminile importante: "Dopo giudici, poliziotti, santi, tutti uomini insomma, mancava un film che parlasse di una donna, e la scelta è caduta su Paola - spiega - perché ha il dono, allo stesso tempo, della contemporaneità e dell’intelligenza".
Per la Cortellesi il film segna il debutto nella fiction e in un ruolo drammatico, "un attore deve parlare i tanti linguaggi che ha a disposizione, spero di non fermarmi mai su uno solo ma di continuare a parlarli tutti". Nessuna differenza rispetto alle esperienze per il grande schermo (Non prendere impegni stasera, sempre di Tavarelli, e Il disco del mondo diretto da Riccardo Milani), "uno non è che sposa il mondo-cinema o il mondo-tv, sposa un progetto, e questo, fra le tante proposte, mi è piaciuto subito. Dove va in onda un film, è un aspetto che non riguarda chi interpreta un ruolo".
La fiction ripercorre le tappe fondamentali della vita della Montessori, nata a Chiaravalle, nelle Marche, nel 1870, prima donna a diventare medico dopo l’Unità d’Italia, nel 1896, a Roma. Assistente presso la clinica psichiatrica dell’università, ebbe una relazione con un suo docente, Giuseppe Montesano (interpretato nel film da Massimo Poggio), da cui nacque Mario, dato in affido per evitare lo scandalo. Nel 1907 diede vita, nel quartiere San Lorenzo di Roma, alla prima Casa dei bambini "a misura" di fanciullo. Nel 1924 fondò l’Opera Montessori ma nel 1936, ostile al regime fascista che voleva farne uno strumento di propaganda, lasciò l’Italia. Nel cast anche Gianmarco Tognazzi (Cardi, il funzionario del governo che tiene d’occhio la Montessori), Imma Piro, Giulia Lazzarini, Lisa Gastoni e Alberto Maria Merli.
FOTO: Canale 5, Paola Cortellesi è Maria Montessori
* la Repubblica, 24 maggio 2007
Foto: Maria Montessori (Wikipedia)
AL DI LA’ DELLA "TRAGEDIA" E DI "EDIPO", PER LA "COMMEDIA" (DANTE ALIGHIERI)!!!
Sulla grande lezione eu-angelica e sulla figura di "Mater et Magistra" di Maria Montessori, e sul tema di "Maria", "Giuseppe" ... e "Mario, "nel sito,
si cfr.:
L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi
Federico La Sala
Recensioni
Riformare la Chiesa
di Redazione di "Rosa Bianca" (6 Ottobre 2024)
La Chiesa è storicamente davanti ad un bivio decisivo: ostruire (il soffio dello Spirito) o costruire (guidata dallo Spirito); continuare con dinamiche ormai obsolete e adagiarsi nel torpore di un’età di decadenza comatosa o avviare, con coraggio ed entusiasmo, una svolta radicale e aprire a una “forma” nuova di cattolicesimo. Vi è oggi un problema generale che non è solo di una parte dei fedeli: si tratta di considerare qual è il “blocco” o i “blocchi”, che fanno resistenza allo Spirito e intristiscono l’ambiente ecclesiale. Tutti ostacoli che vanno superati con scelte chiare ed efficaci, ma non dettate da ingegneria canonico-ecclesiastica, né decise a colpi di maggioranza, come in un braccio di ferro politico. Queste pagine offrono riflessioni per compiere scelte ormai ineludibili e, anzi, già in forte ritardo.
Da anni la Chiesa di Roma affronta non solo le sfide poste dalla modernità, ma anche numerose difficoltà interne, causate da scandali come quello degli abusi sessuali, dalla costante perdita di fedeli, e da visioni interne sul futuro divise, che hanno reso il pontificato di Francesco spesso arduo e contrastato. Fulvio De Giorgi nel libro Riformare la Chiesa edito da Scholé - Morcelliana, analizza i maggiori problemi proponendo possibili idee e soluzioni, anche in considerazione del cammino sinodale in atto.
È un bivio decisivo quello che la Chiesa oggi si trova ad affrontare, per comprendere il quale l’autore si richiama a pastori contemporanei, Paolo VI, don Milani, Carlo Martini e papa Francesco, che nella loro azione hanno disegnato tracce di futuro. E dove la secolarizzazione è occasione di rinascita, poiché la Chiesa è sempre “reformanda”.
“Riformare la Chiesa”, di Fulvio De Giorgi (ed. Scholé - Morcelliana)
* INDICE DEL LIBRO:
Krisis
Il cielo rosseggia cupo 7
Capitolo primo
Il grande cambiamento antropologico 19
1.1. La più grande svolta storica, 19 - 1.2. Un approccio antropologico, 29 - 1.3. Strutture del Patriarcato: Stato, famiglia, mercato, 38 - 1.4. Una seconda era cristiana, 47
Capitolo secondo
Il cambiamento di epoche per la Chiesa cattolica 63
2.1. La fine assiale di epoche di diversa durata, 63 - 2.2. La fine dell’epoca intransigente, 71 - 2.3. La fine dell’epoca tridentina, 77 - 2.4. La fine dell’epoca costantiniana, 83
Capitolo terzo
Secolarizzazioni e secolarismi 97
3.1. Modernizzazione e campo religioso cristiano: le forme della secolarizzazione, 97 - 3.2. Le risposte cattoliche alla secolarizzazione e l’emergere del secolarismo, 107 - 3.3. Per una Teoria generale dell’incompletezza, 114 - 3.4. Conflitti imperiali e orizzonte destinale suicidario per l’umanità, 125 Pastori lungimiranti e profezie pastorali
Capitolo quarto
Don Milani: il metodo pastorale 133
4.1. Un problema storico, 133 - 4.2. La necessità di nuovi metodi pastorali, 137 - 4.3. Oltre il tridentinismo ormai anacronistico, 141 - 4.4. Metodo missionario e pedagogia della liberazione, 145 - 4.5. Una pastorale per una società in via di scristianizzazione, 147
Capitolo quinto
Paolo VI: la riforma della Chiesa 155
5.1. La riforma della Chiesa: dall’aggiornamento al rinnovamento, 155 - 5.2. Perfezionamento di ogni cosa nella Chiesa, 160 - 5.3. L’approccio riformatore, 163 - 5.4. I contenuti della riforma, 172 - 5.5. Il Concilio Vaticano II: alba o tramonto?, 186
Capitolo sesto
Francesco: potere al Popolo di Dio 193
6.1. Un magistero situato, 193 - 6.2. Popolo e populismo,
197 - 6.3. Popolarismo, 201 - 6.4. Istituzione e carisma, 206
6.5. Corresponsabilità differenziata e poteri, 213
Il cielo rosseggia la sera
Tempo della storia, tempo della fede, tempo dello Spirito 227
1. Storia del tempo: tempo della storia, 227 - 2. L’Angelo della storia è l’Angelo della Chiesa, 237 - 3. Abbiamo sentito dire che esiste lo Spirito Santo?, 243
Indice dei nomi 255
FLS
TEOLOGIA ANTROPOLOGIA E SCIENZA:
COME NASCE LA COSCIENZA? COME NASCONO LE IDEE? COME NASCONO I BAMBINI?!
LA "NAVE" DI GALILEO GALILEI E IL "DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO" *
La sfida.
E il filosofo vinse sullo scienziato la scommessa sulla coscienza
25 anni fa il neuroscienziato Koch aveva scommesso con il filosofo Chalmers che entro il 2023 si sarebbe scoperto come i neuroni producono la coscienza. Ha pagato con una cassa di porto
di Andrea Lavazza (Avvenire, sabato 1 luglio 2023
Che i filosofi abbiano la meglio sugli scienziati non è esperienza comune nel panorama intellettuale di oggi. Quando poi vincono una scommessa venticinquennale in uno dei campi di ricerca più importanti e significativi per la nostra vita, allora siamo di certo davanti a una grande notizia. Nel 1998, il neuroscienziato Christof Koch aveva messo in palio una ricompensa alcolica con il filosofo David Chalmers, nella certezza che sarebbe stato scoperto entro il 2023 il modo in cui i neuroni del cervello producono la coscienza. Il 23 giugno scorso, in occasione della riunione annuale dell’Associazione per lo Studio Scientifico della Coscienza alla New York University, entrambi i contendenti hanno convenuto pubblicamente che la ricerca nel campo è ben lungi dall’essere giunta a un risultato definitivo e hanno dichiarato Chalmers vincitore. Nessuno nella comunità scientifica ha avuto da obiettare.
La coscienza è ciò di cui facciamo esperienza in prima persona, in modo spesso ineffabile: il gusto del gelato al cioccolato, la rossezza di un pomodoro, il mal di denti o la gioia profonda nel ritrovare un figlio che sembrava scomparso. In sintesi, “l’effetto che ci fa” qualcosa a livello soggettivo. Secondo molti pensatori, ciò che dà significato e valore alla nostra esistenza (ma possiamo scegliere un’azione buona rispetto a una cattiva anche se non proviamo nulla nel compierla). Qualcosa di assolutamente scontato e normale, ma che sembra sfuggire a chiare descrizioni. Tanto che va ancora per la maggiore la definizione proposta da William James: “La coscienza è quella cosa che scompare quando facciamo un sonno senza sogni e ricompare al risveglio”.
Per tanti secoli è stata associata a un elemento immateriale, l’anima o lo spirito, infine la mente. Ma la scienza contemporanea l’ha dichiarata un fenomeno naturale, che non può sfuggire alle leggi fisiche, e perciò indagabile con gli strumenti utilizzati per esplorare il cervello, dove si pensa risieda. Il giovane Chalmers ebbe l’intuizione di distinguere un “problema semplice”, ovvero trovare le basi neuronali della cognizione - alle quali ci stiamo avvicinando - da un “problema difficile”, ovvero come sorgano da un’entità materiale le sensazioni mentali che non sembrano condividere nessuna proprietà con la loro presunta fonte, ovvero le cellule nervose. Koch lavorava con il premio Nobel Francis Crick ed era attivamente impegnato a identificare i correlati della coscienza, ovvero quelle regioni del cervello che appaiono indispensabili per la presenza dei fenomeni coscienti. Di qui la scommessa che nulla aveva a che fare con le convinzioni esistenziali dei proponenti, dato che il “materialista” Koch era allora un cattolico praticante e il dualista Chalmers - ovvero sostenitore alla Cartesio (più o meno) dell’esistenza di due sostanze - un agnostico.
In un quarto di secolo la scienza è andata veloce e diverse teorie che ambiscono a spiegare la nascita e il funzionamento della coscienza sono oggi sul mercato. La circostanza che ha portato oggi a dirimere la contesa fra i due studiosi risiede nel fatto che si è da poco conclusa un’altra sfida legata proprio al tentativo di testare la migliore spiegazione. Sono infatti due le proposte - empiricamente validabili - che si contendono oggi i favori della comunità dei ricercatori. La teoria dell’informazione integrata (IIT), dovuta principalmente a Giulio Tononi e allo stesso Koch, e la teoria dello spazio di lavoro globale (GNWT), sostenuta da Stanislas Daheane e Jean-Pierre Changeux. La IIT sostiene che la coscienza è legata a una “struttura” cerebrale formata da uno specifico tipo di connessioni neuronali che rimane attivo per tutto il tempo in cui si verifica una determinata esperienza, come per esempio la visione di un oggetto. Si ritiene che questa struttura si trovi nella corteccia occipitale, nella parte posteriore del cervello. La GNWT, invece, suggerisce che la coscienza nasce quando le informazioni vengono trasmesse a diverse aree del cervello attraverso una rete interconnessa. La trasmissione avviene all’inizio e alla fine di un’esperienza e coinvolge la corteccia prefrontale, nella parte anteriore del cervello.
Sei laboratori indipendenti, come riferisce “Nature”, hanno condotto il più grande esperimento collettivo in merito, seguendo un protocollo preregistrato e utilizzando vari metodi complementari per misurare l’attività cerebrale. I risultati anticipati - ancora da sottoporre alla revisione per la pubblicazione - non corrispondono perfettamente a nessuna delle due teorie, sebbene il modello dell’informazione integrata appaia leggermente più preciso. John Horgan, “su Scientific American”, è stato più tranchant: i dati sono inconcludenti, alcuni favoriscono la IIT, altri lo spazio di lavoro globale. L’esito non sorprende, posto che il cervello è così complesso e la coscienza così poco definita, mentre la ricerca, lungi dal convergere verso un paradigma unificante, è diventata più che mai frammentaria e caotica.
Ecco che allora i prudenti filosofi, rappresentati da Chalmers, hanno portato a casa una cassa di porto offerta con stile da un Koch pronto a rilanciare per i prossimi 25 anni. Sapremo allora come emerge la coscienza dal cervello o sarà ancora un mistero? Più facile dire “Impossibile” che trovare una spiegazione, obietterà qualcuno. Vero, ma il fatto è che la coscienza pare proprio refrattaria a essere ridotta a un puro prodotto della materia.
* COME NASCE LA COSCIENZA? COME NASCONO LE IDEE? COME NASCONO I BAMBINI?
Appunti sul tema:
A) LA "NAVE" DI GALILEI E IL "DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO": IL "LABORATORIO" DELLA "CONVERSAZIONE CONOSCITIVA". «Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza(...)
Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma. »
(Galileo Galilei, "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano", 1632 - Salviati, giornata II).
B) COME NASCONO I BAMBINI. EUROPA: "EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA "NON CLASSIFICATA"!!!
Per aggiornamento, un consiglio di Freud del 1907 - con una nota introduttiva".
C) ANTROPOLOGIA, FILOSOFIA E PSICOANALISI: APPRENDERE DALLA "METAFISICA" DELL’ESPERIENZA...
LA NASCITA DELL’ESSERE UMANO E IL GIOCO DEL ROCCHETTO. Al di là del giogo di Edipo e Giocasta.
Federico La Sala
Montessori e la pedagogia
Niente di più lontano dalla metodologia di Maria Montessori è l’idea che a scuola si vada per ascoltare l’insegnante
di Daniele Novara (Comune-Info, 13 Luglio 2022)
Occorre chiedersi perché il nostro paese ha sempre avuto un rapporto difficile con la più grande pedagogista mai esistita. Il metodo di Maria Montessori è pratico e operativo: i bambini non mettono crocette su delle schede, ma operano concretamente, a livello sensoriale, con dei materiali, con i quali imparano anche a leggere e scrivere, in linea con le sue indicazioni di far lavorare i bambini liberamente e in maniera attiva.
Niente di più lontano dalla metodologia di Maria Montessori è l’idea che a scuola si vada per ascoltare l’insegnante. Questo è il cardine della pedagogia cosiddetta idealistica tradizionale che, basata sulla magistralità, pretende che ci sia questa infusione di sapere dal maestro, dall’insegnante o dal professore ai suoi alunni o allievi, in un passaggio che non ha nulla né di reciproco né di concreto e pratico.
Nella tradizione scolastica italiana l’insegnante sta al centro dell’attenzione, tutti gli sguardi convergono su di lui, come se dovesse tenere sempre, ossessivamente il controllo sui suoi alunni. Esattamente il contrario di quella libertà operativa, autodisciplinata, di cui hanno goduto e godono i bambini della Montessori e che anch’io porto avanti nella logica del mio metodo, che ho definito maieutico proprio in virtù del dare il protagonismo ai bambini, per poter vivere esperienze concrete basate sulle loro capacità, le loro risorse e specialmente su una valutazione non più incentrata sulla ricerca dei loro sbagli e dei loro errori, ma su una valutazione focalizzata sulla valorizzazione e sul riconoscimento dei loro progressi.
Non sarebbe stato e non è complicato diffondere il metodo montessoriano nelle scuole italiane. In particolare da circa vent’anni a questa parte, grazie al Regolamento sull’Autonomia Organizzativa e Didattica delle Istituzioni Scolastiche, per avere nelle scuole pubbliche delle classi montessoriane occorre che il collegio docenti approvi tale possibilità e la deliberi.
Nella realtà, purtroppo, risulta terribilmente complicato ottenere sezioni montessoriane: difficoltà burocratiche e motivazionali mortificano questa possibilità.
Sono assolutamente dell’idea che la pedagogia non sia quel corpus di concetti e teorie filosofiche, o addirittura spiritualistiche, che hanno abbondantemente insegnato, e ancora insegnano, in tante facoltà (da un paio di anni si parla di dipartimenti), ma che sia come l’architettura o la medicina: una disciplina di scienza pratica, che per essere efficace deve raccogliere altre discipline scientifiche, come possono essere l’antropologia, la psicologia o la sociologia, e anche, oggi più che mai, le neuroscienze, per riuscire a realizzare interventi concreti che abbiano un sufficiente valore scientifico.
La scuola italiana si è allontanata da questo indispensabile connubio e oggi si trova orfana di un impianto scientifico.
UNA QUESTIONE DI GIUSTIZIA E DI BILANCIA (di una "statera" non di una "statua").
Ipotesi per una rilettura della "Pesatrice di perle" di Johannes van der Meer *
NASCITA E "GIUDIZIO DI SALOMONE". Del dipinto Pesatrice di perle (o Donna con una bilancia) di Jan Vermeer (databile al 1664 e conservato nella National Gallery of Art di Washington), anche alla luce del fatto che dentro il quadro c’è rappresentato un altro quadro - un dipinto con un Giudizio Universale - c’è da pensare, probabilmente, che la figura della donna in avanzato stato di gravidanza rimandi alla figura della Sibilla Libica (raffigurata da tantissimi artisti e anche da Michelangelo nella Cappella Sistina) e al suo specifico annuncio del messaggio evangelico, e comunichi il rapporto che esiste tra la bilancia (la giustizia e l’equilibrio), il grembo (il concepimento), e la nascita di un bambino, una bambina - una maestra, un maestro di umanità...
A quanto pare, anche Jan Vermeer (1632- 1675), conosceva bene il tema delle Sibille e della Giustizia (di Astrea, della Virgo della IV Ecloga di Virgilio, Dante, e Michelangelo) e della bilancia (la parola esatta della profezia della Sibilla Libica)... ed è riuscito a dare un bel quadro del tema della nascita del Bambino, dell’implicito riferimento all’esemplare giudizio di Salomone sul comportamento delle due madri e, infine, allo stesso Giudizio Universale.!
Della Sibilla Libica, infatti, questo è il suo messaggio: «Uterus Matris erit statera cunctorum. L’utero della Madre sarà la bilancia di tutti gli esseri umani». Una bilancia ("statera"), non una "statua"!
Che re-fuso - e che confusione filologica e antropologica!
*
Federico La Sala
Istruzione
I 150 anni della Montessori ci ricordano che è ora di un dibattito serio sulla scuola
Il tema della qualità della scuola e dei suoi contenuti registra un agghiacciante silenzio, e l’emergenza coronavirus non c’entra
di Lucio d’Alessandro *
Ricorrono il 31 agosto i 150 anni dalla nascita di una delle donne italiane di maggior fama internazionale. Scuole ispirate al metodo di Maria Montessori (1870-1952) sono, ancora oggi, presenti in molti Paesi del mondo, così come molti furono gli Stati che, dopo la sua rottura con il fascismo con il quale inizialmente aveva collaborato, l’accolsero trionfalmente, dagli Usa all’India ai Paesi Bassi, fino al Ghana che, appena dopo l’approvazione della sua Costituzione (1951) e in vista della definitiva indipendenza, le chiese di organizzare la Scuola della nascente Repubblica: ormai ultraottantenne ma indomita, la Montessori accettò. La morte la colse poco dopo a Noordwijk, in Olanda, dove visse gli ultimi anni.
L’anniversario coincide con l’anno nel quale il tema della scuola domina il dibattito pubblico come mai prima nell’intera storia repubblicana, fino al punto che un Governo rivelatosi finora immarcescibile sembra sospeso alle sorti della riapertura, in condizioni di migliore o peggiore agibilità, dell’anno scolastico ormai alle porte. Tuttavia, nessuno si inganni: si tratta di una mera coincidenza. Non solo perché, notoriamente, la pedagogia montessoriana si basava sulla libertà di “movimento” anche in aula degli studenti, mentre sotto le attuali lune pandemiche i vari comitati consigliano piuttosto di tenerli legati ai banchi, sia pure, in qualche caso, con comodo di rotelle.
Invero, l’ispirazione post-risorgimentale e sociale della Montessori, come quella di De Amicis o quella risorgimentale e femminile di Adelaide Pignatelli, fondatrice dell’Università Suor Orsola in Napoli e, ancora, l’azione ministeriale di Francesco De Sanctis, Benedetto Croce e Giovanni Gentile erano ben consapevoli che solo una bildung che mettesse assieme educazione e istruzione, privilegiando in definitiva i valori della cultura, avrebbe potuto dare all’Italia quei cittadini e quella classe dirigente di cui quella fase di costituzione del Paese mostrava la necessità.
Credo che si possa dire, in parziale consonanza con le tesi di un libro (urticante e bello) di Galli della Loggia dal titolo rivelatosi, a distanza di un anno, singolarmente profetico (“L’aula vuota”), che la triade scuola-istruzione-cultura abbia giocato un ruolo strategico nella storia d’Italia dall’unificazione fino ad oltre la metà del ’900, consentendo a uno “Stato misero” di divenire una delle prime dieci economie del mondo. Ritengo sia anche vero che l’azione dei docenti italiani, in quella temperie culturale, sia stata decisiva e che una triade di ministri meridionali (De Sanctis, Croce e Gentile) di grande cultura ed ispirazione idealistica o neo-idealistica abbia dato all’Italia una scuola capace di consentire un’istruzione generalizzata dei suoi cittadini e una classe dirigente all’altezza di un grande Paese europeo.
Solo l’avidità mussoliniana di ascrivere a sé tutto ciò che vi era di buono in Italia, e poi la miopia della sinistra marxista di considerare negativamente tutto ciò che sapesse di merito e selezione, hanno fatto sì che la riforma Gentile che felicemente concluse quel processo culturale ed istituzionale passasse per la “più fascista delle riforme”. Come se proprio i fautori del fronte marxista della pedagogia italiana, concentrati nella redazione della bellissima rivista “La Riforma della scuola”, non fossero anch’essi figli di quella cultura classica voluta da Gentile, a cominciare dallo stesso direttore e fondatore Lucio Lombardo Radice, figlio di quel Giuseppe che era stato il maggiore collaboratore di Gentile negli anni ministeriali. La verità è che quella, pur con i suoi difetti era davvero una “buona scuola” e, perciò, anche una forma di educazione alla libertà ed alla elaborazione dello spirito critico.
Di quella scuola neo-idealista, così criticata nei contenuti e nei metodi, non vi è quasi più traccia nella scuola italiana di oggi e, specie in questi momenti, non è un buon segno, se è vero che essa fu capace di far progredire il Paese. Neppure un buon segno è il fatto che lo spazio del pensiero sulla scuola sia circoscritto alla riflessione didattico-pedagogica degli addetti ai lavori, senza uno sforzo di inclusione nel più generale dibattito sul Paese e sul concetto di cittadinanza.
Il campo lasciato vuoto dagli intellettuali è occupato piuttosto da un pensiero sindacale che, per sua stessa natura, si colloca in una sfera meramente quantitativa.
Il tema della qualità della scuola e dei suoi contenuti registra dunque un agghiacciante silenzio, e sembra che neppure le famiglie, a cominciare da quelle che potrebbero permettersi significativi investimenti, se ne mostrino consapevoli. Il rarefarsi, in molte città quasi lo scomparire, delle scuole non statali di qualità ne è un segno evidente. A ciò si è aggiunto il più recente fenomeno per cui ai diplomifici a pagamento, già presenti nell’arco formativo scolastico, si sono aggiunte realtà non dissimili perfino nel campo universitario. -Non meraviglia dunque se l’attuale dibattito risulta tutto concentrato sulla scuola come spazio nel quale tenere, o detenere, il tempo dei giovani per consentire alle famiglie e al Paese di riprendere, in condizione di relativa sicurezza, le proprie attività.
Di questa miseria culturale ormai antica non si può certo dare colpa all’attuale ministra, né invero appare generosa la critica verso di lei di una ex ministra, peraltro appartenente all’attuale maggioranza, che non ha lasciato in Viale Trastevere particolare memoria di sé, se si prescinde dal colore fiammeggiante delle sue chiome.
La situazione sul terreno è davvero difficile e credo sia giusto considerare con qualche generosità gli sforzi, certo un po’ errabondi, di un ministero che si trova, nella sostanziale incertezza dell’andamento della pandemia, ad affrontare il problema forse più difficile che la scuola italiana si sia trovato di fronte. In ogni caso il possibile viene fatto e molto, moltissimo, dovranno fare, come sempre i docenti e i dirigenti, nelle trincee delle singole scuole.
A quando dunque una seria ripresa del dibattito sul senso della scuola in Italia? Qualche settimana fa uno degli italiani attualmente più conosciuti e stimati sul piano internazionale, Mario Draghi, ha sottolineato l’importanza della scuola e dell’istruzione per gestire il futuro, invocando un forte investimento a favore dei giovani. È appena il caso di dire che tutti gli hanno dato ragione: cattivo segno, per il momento non se ne farà niente.Ma tra poco più di un anno occorrerà scegliere un nuovo Presidente della Repubblica, e nelle piazze e nelle case d’Italia, molto più che nelle cosiddette segrete stanze, il nome di Mario Draghi circola fortemente... -Nel frattempo, il 14 settembre una nuova leva di studentesse e studenti entrerà nella scuola italiana, mentre appena qualche giorno dopo nelle aule universitarie verrà selezionata una nuova leva di maestre e maestri. Credo si debba dir loro che affronteranno probabilmente un anno difficile ma anche che il percorso degli studi è una delle fasi più belle e costruttive della vita che conserveranno nel tempo come straordinario ricordo e formidabile patrimonio di vita: forza ragazze, forza ragazzi!
* Rettore Università Suor Orsola Benincasa di Napoli
* Fonte: Il Sole-24 Ore, 31 agosto 2020 (ripresa parziale).
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
LA SCUOLA PUBBLICA COME ORGANO COSTITUZIONALE DELLA DEMOCRAZIA. Una nuova edizione del libro di Piero Calamandrei, "Per la scuola".
LA STORIA DEL FASCISMO E RENZO DE FELICE: LA NECESSITÀ DI RICOMINCIARE DA "CAPO"!
IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora !) il Partito al di sopra di tutti i partiti.
Federico La Sala
SAN CRISTOFORO E CORONAVIRUS:
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UN CAMBIAMENTO DI ROTTA FONDAMENTALE, UNA METANOIA ANTROPOLOGICA E TEOLOGICA URGENTE, PER QUANTI PRETENDONO DI ESSERE "PORTATORI DI CRISTO" DA UNA RIVA ALL’ALTRA DEL FIUME DEL TEMPO... *
Caro don Santino Bove Balestra
Vista la tensione e la passione personali che animano la sua Lettera "a san Cristofaro al tempo del Coronavirus" e, al contempo,sollecitato dalle sue stesse associazioni collegate a questa figura di gigante buono («Ti hanno fatto - forse un po’ abusivamente - diventare il patrono degli automobilisti (dopo essere stato più propriamente il protettore dei facchini): oggi dovresti ispirare chi dall’automobile passa alla bicicletta, al treno o all’uso dei propri piedi!»), il discorso fatto appare essere una forma implicita di autocritica "istituzionale" (cioè, da parte dell’intera Istituzione Chiesa paolina-costantiniana) della propria capacità di "portare Cristo" in giro, di qua e di là, avanti e indietro - e, della totale e più generale cecità antropologica e pedagogica, nei confronti del "Bambino" (che ognuno e ognuna di noi, tutti e tutte, è)!
SE,OGGI, AL TEMPO DEL CORONAVIRUS *, VALE l’esortazione “Restiamo tutti a casa!”, altrettanto sicuramente, domani, vale la consapevolezza che “Nulla sarà più come prima!” e, ancor di più, se vogliamo veramente cambiare rotta, che la “conversione eco-logica” (la ristrutturazione della nostra stessa "casa"!) è già "oggi necessaria", ora e subito! Non c’è alcun tempo da perdere.
Portar-si il "bambino" sulle proprie spalle, «suprema fatica e suprema gioia», è impresa ancora tutta da tentare - e non ha nulla a che fare con il "sacrificio" e con la "messa in croce" di alcun "Bambino"! O no?!
*
150 anni fa nascita.
Ricordare Maria Montessori per salvare la pedagogia
La pedagogista, nata 150 anni fa, è stata una figura centrale del Novecento e premio Nobel per la Pace mancato. Mise al centro l’educazione alla libertà del bambino
di Daniele Novara (Avvenire, martedì 3 marzo 2020)
La storia di Maria Montessori è esemplare: una delle prime donne a laurearsi in medicina, con non poche e ovvie difficoltà in un mondo completamente dominato dagli uomini, si impegnò da subito nel movimento di emancipazione femminile e iniziò le sue attività professionali nel settore che all’epoca si definiva “dei deficienti”, quello che oggi chiameremmo “delle malattie mentali e psichiatriche”.
Lavorò a fianco di Giuseppe Montesano con cui ebbe una relazione (mai sfociata nel matrimonio), dalla quale nacque un figlio quando lei aveva 28 anni. In accordo con il collega e padre del bambino, questi venne affidato a una famiglia dell’Agro Pontino. Questa sofferenza segnò inequivocabilmente la sua vita e il suo interesse si spostò completamente verso i bambini. In questo settore, applicò quello che era lo spirito dei tempi dal punto di vista scientifico: positivista e molto concreto.
Recuperò i materiali di Édouard Séguin e Jean Itard, che avevano lavorato tantissimo con i bambini cosiddetti “deficienti” agli inizi dell’Ottocento, in piena rivoluzione illuministico- rousseauiana, e su quella base costruì i suoi straordinari materiali con cui ottenne risultati favolosi proprio nell’alfabetizzazione dei bambini ritardati. Risultati che all’inizio del Novecento lasciarono sbigottiti alcuni importanti rappresentanti della borghesia romana dove la Montessori fece i primi esperimenti e che le consentirono di aprire, nel 1907, la famosa Casa dei Bambini nel quartiere San Lorenzo.
Qualche anno dopo (1912), pubblicò il suo Metodo, una grande opera pensatissima con tutti i dispositivi, i materiali e l’organizzazione delle sue scuole che nel frattempo avevano incominciato a diffondersi in tutto il mondo.
Durante l’epoca fascista, Mussolini cercò di “appropriarsi” di Maria Montessori, vista la sua fama internazionale, ma l’operazione fallì: è un metodo che con il dispotismo non può avere alcuna affinità.
Venne il momento in cui fu costretta a lasciare l’Italia. Un regime totalitario non vuole avere scuole dove i bambini vengono rispettati come individui pensanti perché potrebbero costituire un pericolo per il sistema. Per la stessa ragione in Spagna durante la dittatura franchista e nella Germania di Hitler non ci sono state scuole montessoriane.
Vale la pena ricordare i basilari scientifici e pedagogici su cui si basa la rivoluzione di Maria Montessori:
Ha sempre ripetuto due cose: «voglio andare in una Casa dei Bambini e non accorgermi della presenza delle maestre» e il famosissimo «Aiutami a fare da solo», la sintesi perfetta dello spirito montessoriano nella logica che la libertà è sempre formativa.
Ricordiamo Maria Montessori a 150 anni dalla nascita, avvenuta il 31 agosto 1870, ma anche la crisi della pedagogia che stiamo vivendo, quella buona, non quella dei baroni e delle accademie, quella pratica che organizza i processi educativi e di apprendimento. L’Italia sta subendo gravi conseguenze, sia sul piano scolastico che su quello genitoriale, per la mancanza di una scienza riconosciuta che regoli questi processi.
Per capirla fino in fondo bisogna andare sulla sua tomba, in Olanda a Noordwijk sul Mare del Nord. Aveva chiesto di essere sepolta dove fosse morta, dichiarando da sempre di sentirsi cittadina del mondo. E quel giorno, il 6 maggio 1952, a 82 anni, si trovava lì nella casa di vacanza del figlio Mario che l’aveva seguita per tutta la vita.
Le parole che compaiono sulla sua pietra non lasciano dubbi sulla costante missione di questa grande scienziata: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, / di unirsi a me per la costruzione della pace / negli uomini e nel mondo”.
Candidata due volte al Nobel per la Pace, non le fu mai attribuito, lasciando un vulnus enorme nella storia di questo prestigioso Premio, mai consegnato a figure del mondo educativo.
Che i 150 anni dalla sua nascita siano l’occasione per una memoria attiva, consapevole, che riporti al centro dell’attenzione i temi dell’educazione e della buona crescita dei bambini.
FLS
Montessori, nell’officina sensoriale di una pioniera
Anniversari. A 150 anni dalla nascita della scienziata marchigiana, il suo metodo pedagogico l’ha resa famosa nel mondo. A oggi il suo approccio educativo conta migliaia di scuole, soprattutto in Nord Europa e negli Stati Uniti. Femminista, pacifista e viaggiatrice, molte le iniziative per omaggiarla
di Erica Moretti *
Il 2020 segna il centocinquantesimo anniversario della nascita di Maria Montessori. Convinta della necessità di liberare l’infanzia dalla repressione insita nei sistemi educativi improntati sul «principio di schiavitù», la scienziata marchigiana ideò un nuovo approccio pedagogico che ripensava il ruolo del bambino tanto nella classe quanto nella società.
Rigore scientifico, coraggio intellettuale, profonda fede nelle infinite capacità del fanciullo: furono queste le caratteristiche distintive di Maria Montessori, nata a Chiaravalle, in provincia di Ancona, il 31 agosto 1870.
In occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita, in varie parti d’Italia prenderà vita un ricco calendario di eventi, conferenze, spettacoli, installazioni e laboratori: dalla mostra Toccare la bellezza presso la Mole Vanvitelliana di Ancona sul valore estetico della tattilità, al Congresso internazionale organizzato dall’Opera Nazionale Montessori, o la riqualificazione della casa dove nacque.
La grande varietà dei temi affrontati, dalla psichiatria al pacifismo, dall’umanitarismo all’applicazione del metodo nel trattamento di persone con demenza, permetterà di riscoprire, accanto alla ben consolidata immagine di Montessori come pedagogista della libertà, anche una figura di intellettuale eclettica e ricca di sfaccettature, femminista, filantropa, teosofa, cattolica, imprenditrice, scienziata positivista e pacifista. Una poliedricità straordinaria, che trovò inevitabile riflesso nel suo testo principale, Il Metodo della pedagogia scientifica. Pubblicato nel 1909, ha fatto da spartiacque nella vita di Maria Montessori e, soprattutto, nella storia della pedagogia internazionale.
Montessori visse e morì viaggiando. La leggenda narra che l’ultima conversazione avuta con il figlio Mario, all’età di 81 anni, riguardasse la pianificazione di un viaggio in Africa. La costante mobilità e le lunghe permanenze in Spagna, Olanda e India certamente raffinarono e influenzarono la sua visione pedagogica e posero le basi per la diffusione del metodo all’estero che all’oggi conta migliaia di scuole in tutto il mondo, soprattutto in Nord Europa e negli Stati Uniti. Eppure, fu l’atmosfera dinamica e cosmopolita respirata nella Roma di fine Ottocento, durante gli anni della formazione universitaria, a segnare profondamente il percorso scientifico, intellettuale e umanitario della dottoressa.
Maria Montessori si trasferì a Roma con la famiglia, all’età di cinque anni, per seguire il padre Alessandro, impiegato ministeriale. La madre Renilde Stoppani, donna d’insolita cultura e guidata da idee liberali, sostenne la figlia, fin dal principio, nelle sue scelte formative anticonformiste. Proprio negli anni in cui la psichiatria, in accordo con l’antropologia, dichiarò la scientifica inferiorità morale e intellettuale femminile, Montessori scelse, dopo aver conseguito gli studi tecnici superiori, di laurearsi in medicina, confrontandosi con tutti gli ostacoli politici e culturali posti alle donne intenzionate a intraprendere una carriera in campi storicamente dominati dagli uomini.
Quando, nel 1896, Montessori parlò dal palco del congresso internazionale femminile di Berlino nelle vesti di rappresentante dell’Associazione femminile di Roma, sollevando temi scottanti come i diritti delle donne lavoratrici e la parità di salario, il Corriere della Sera preferì evidenziare l’appartenenza di genere sessuale, sottolineandone il connotato negativo, invece che l’urgenza dei temi affrontati o lo straordinario successo raggiunto dalla compatriota: «il discorsetto della Signorina Montessori, con quelle cadenze musicali, col gesto parco delle braccia correttamente inguantate, sarebbe stato invece un trionfo - anche senza il diploma dottorale e le velleità emancipatrici - un trionfo della grazia femminile italiana».
Ciononostante, spinta da una tenacia e una costanza ferree, «la medichessa» non solo ottenne la specializzazione in Psichiatria, ma partecipò attivamente alle iniziative scientifico-umanitarie promosse dai suoi mentori e colleghi, tra cui la Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti presieduta da Clodomiro Bonfigli.
La scrittura di Montessori fu specchio della società da cui prese ispirazione per oltre mezzo secolo. Di fatto, Il Metodo, come un gioco di scatole cinesi, apre a lettori e lettrici scenari complessi e ancora attuali: ci informa del diritto degli emarginati a un’educazione di qualità, della necessità di una formazione scientifica per gli insegnanti, dell’urgenza di garantire un sostegno alle donne lavoratrici e, soprattutto, dell’inalienabile diritto di crescere scegliendo liberamente ciò che si vuole diventare. Una Montessori viva, che parla di un passato profondamente simile al presente.
Nasce, con lei, un nuovo modo d’intendere l’educazione, la scuola e il bambino. L’insegnante passa dall’essere soggetto attivo della lezione a osservatore silenzioso e il fanciullo, in piena libertà, si avvicina al materiale didattico auto-correttivo. La scuola e la classe sono concepite come proprietà collettive. I bambini, non più «fissi sul posto rispettivo, sul banco come farfalle infilate a uno spillo», sono liberi di perseguire il proprio sviluppo, fisico, intellettuale e spirituale. Questo pensiero caleidoscopico non si limita al suo testo più famoso ma s’irradia in una costellazione di scritti brevi, saggi e conferenze.
Una Montessori pacifista emerge nel progetto della Croce Bianca, l’organizzazione umanitaria pensata per soccorrere tutti «i bambini che avevano sofferto emozioni violente nelle zone di guerra, ed erano rimasti indeboliti nel sistema nervoso». Pronta a curare i «piccoli derelitti», Montessori li accolse in più occasioni nelle sue scuole, in «uno stato di stupefazione, incapaci di comprendere, tremanti all’approssimarsi di chicchessia, paurosi del giorno come della notte» e bisognosi di un clima di protezione e di stimolante tranquillità.
Un messaggio, quest’ultimo, che non può che trovare echi nella nostra crisi contemporanea. Commentando il suo impegno pacifista, il leader spirituale Mohandas K. Gandhi disse a Montessori: «Hai giustamente osservato che se vogliamo ottenere una pace vera in questo mondo e se vogliamo combattere contro la guerra, dobbiamo cominciare dai bambini. Se quest’ultimi cresceranno nella loro naturale innocenza, non saremo più costretti a lottare, non dovremo approvare inutili risoluzioni, ma passeremo dall’amore all’amore e dalla pace alla pace».
L’anniversario della nascita offre l’occasione per ripensare Montessori in grande, per far luce su aspetti del suo pensiero fino a questo momento rimasti nell’ombra della riflessione pedagogica. Un’occasione da non perdere per dare il giusto risalto a una figura famosa nel mondo ma ancora non sufficientemente apprezzata in patria.
Ci sarà anche un tulipano speciale
Il volto di Montessori insieme a materiali per lo sviluppo della mente logico-matematica è stato impresso in una nuova moneta per festeggiare l’anniversario dall’artista Luciana De Simoni. Lo avevamo già visto su francobolli, sulle monete da duecento e i biglietti da mille lire. Questa volta l’effigie, fortemente voluta dall’Opera Nazionale Montessori, non rappresenta l’icona di una gloria nazionale passata, ma il tributo di una comunità intellettuale globale che festeggia insieme la poliedricità della scienziata di Chiaravalle, il cui lavoro ha tutt’ora ripercussioni transnazionali. E anche l’Olanda si prepara a festeggiare la sua figura con un tulipano speciale che scuole e famiglie potranno coltivare presso di loro. È un omaggio alla sua visione ecologica dell’educazione. «Quando il bambino esce, è il mondo stesso che si offre a lui. Non esiste una descrizione, un’immagine in qualsiasi libro che sia in grado di sostituire la vista di alberi reali e tutta la vita che si trova intorno a loro, in una foresta vera e propria».
Infine, per saperne di più: Maria Montessori, «Il Metodo della pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini» (Lapi, 1909); Maria Montessori, «Educazione e pace» (Opera Nazionale Montessori, 2004); «Le ricette di Maria Montessori» (Fefè Editore, 2008); «In giardino e nell’orto con Maria Montessori» (Fefè Editore, 2010); Renato Foschi, «Maria Montessori» (Ediesse, 2012).
LOUIS-FERDINAD CÉLINE, MARIA MONTESSORI, E LO SPIRITO DEL TEMPO ("ANNI VENTI, E TRENTA").
ALCUNE NOTE A MARGINE DI MOTS-CLÉS_MONTESSORI *
NOTA 1 - IL VIDEO su “Il metodo Montessori presso la Regia Scuola Magistrale Montessori” (https://www.youtube.com/watch?time_continue=97&v=E2pWbYaTc_o&feature=emb_title) è DAL === “Giornale Luce B0696 del 19/06/1935 === Descrizione: “sequenze:bambini accompagnati salgono le scale per raggiungere la Casa dei Bambini attigua alla Regia Scuola Magistrale Montessori ; veduta della palazzina della Casa dei Bambini ; alcuni momenti delle lezioni didattiche col metodo Montessori in cui i bambini imparano divertendosi ; bambini servono i compagni apparecchiando la tavola con precisione e decoro ; i bambini imparano il corretto comportamento e rispetto del codice della strada agli ordini di un vigile in miniatura” (Archivio Storico Luce http://www.archivioluce.com).
NOTA 2 . La Montessori e il fascismo: “[...] Terminati i corsi internazionali svolti a Roma nel 1930 e nel 1931 e le conferenze all’estero, soprattutto quella di Ginevra sulla pace che ebbe risonanza internazionale, si approdò a una rottura definitiva: nel 1934 arrivò l’ordine di chiusura di tutte le scuole Montessori, sia per adulti che per bambini, fatta eccezione per due o tre classi che vivranno nella semiclandestinità. Nello stesso anno anche Hitler ordinò la chiusura delle scuole Montessori in Germania insieme alle Waldorf. Nel 1936 il regime chiuse per ordine del ministro Cesare Maria De Vecchi anche la Regia scuola triennale del Metodo Montessori, che a Roma preparava i maestri fin dal 1928. Nel 1933 uscì La pace e l’educazione, ma Maria Montessori era ormai emarginata dalla cultura fascista.
Nel 1933 Maria e il figlio, Mario Montessori, decisero di dimettersi dall’Opera Nazionale, che in pratica verrà definitivamente chiusa dal fascismo nel 1936, insieme alla “Scuola di metodo” operante a Roma dal 1928. A causa degli ormai insanabili contrasti con il regime fascista, fu costretta ad abbandonare l’Italia nel 1934″ (https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Montessori#La_Montessori_e_il_fascismo) .
NOTA 3 - “LA BELLA ROGNA” DI L.-F. CÉLINE: “Nel 1941 esce negli ambienti filonazisti, in edizione limitata, Les Beaux Draps (“La bella rogna”). Le opere antisemite di Céline non potevano essere vendute a seguito di una condanna per diffamazione del 1939″ ( https://it.wikipedia.org/wiki/Louis-Ferdinand_C%C3%A9line#I_pamphlet).
NOTA 4. Maria Montessori è morta il 6 maggio 1952 nella città di Noordwijk, in Olanda, dove si era trasferita. Sulla sua tomba si legge, in italiano: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo” (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=2179).
P.S. - LA PROPOSTA PEDAGOGICA E DIDATTICA DI MARIA MONTESSORI, DALL’ALTEZZA DELLA MIA IGNORANZA, SI PONE PROPRIO IL PROBLEMA “FOTOGRAFATO” DALL’URLO DI VASCO ROSSI (https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=8332&lang=it) ... O NO?!:
ASILO “REPUBBLIC”
I bambini dell’asilo
Stanno facendo casino
Ci vuole qualcosa per tenerli impegnati
Ci vuole un dolcino
Ci vuole uno spino
Ci vuole un dolcino
Ci vuole uno spino
Dice che è stata una disattenzione
Della maestra
E subito uno si è buttato giù
Dalla finestra
Dalla finestra
Oddio che cosa si può inventare
Oddio che cosa possiamo dire
Quando sua madre arriverà
S’incazzerà
S’incazzerà
Certo che lavorare in un asilo
Dove c’è sempre casino
Tranquilli qui non si può stare per niente
Ci vuole un agente
Ci vuole un agente
Allora vedrete la polizia
La situazione ritornerà
Come prima
Più di prima
T’amerò, yeah
T’amerò
Più di prima ci sarà ordine e disciplina
E chi non vuole restare qui
Vada in collina
Vada in collina
E se qualcuno la vuole menare
Con quella vecchia storia sull’educazione
Abbiamo già bruciato tutti i libri
Bruciamo lui, yeah
Bruciamo anche lui
I bambini nell’asilo
Non fanno più casino
Sono rimasti molto pochi
Troppi fuochi
Nuovi fuochi
Nuovi fuochi
I fuochi, i fuochi, fuochi fuochi, fuochi, fuochi
Fuoco, yeah, yeah
MONTESSORI E CÉLINE: “cosa dello spirito del tempo, anni venti, trenta, viene colto da due personaggi così agli antipodi”? FRANCESCO, OTTIMA IDEA! Ma, a mio parere, è da trattare con più “leggerezza” e, al contempo, più “profondità”: entrambi, pur se con anni di differenza, non sono affatto agli “antipodi” dell’orizzonte dell’epoca - hanno una base di partenza simile, molto simile!
Montessori è nata nel 1870 (e muore nel 1952) - nel “1896 sarà la terza donna italiana a laurearsi in medicina, con la specializzazione in neuropsichiatria [...] Studiò anche pediatria all’Ospedale dei bambini, le malattie delle donne nei reparti del San Giovanni (Roma), e quelle degli uomini al Santo Spirito (Roma)” (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Montessori#Scelta_e_percorso_universitario)”!
Céline nasce nel 1894 (e muore nel 1961) - si laureò in Medicina e Chirurgia nel 1924 presso l’Università di Rennes e dedicò la sua tesi di laurea alla vita di Ignazio Filippo Semmelweis (+1865), uno degli eroi scientifici dell’Ottocento, il debellatore dell’infezione puerperale nel 1847 (cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Ign%C3%A1c_Semmelweis#La_conferma_della_teoria).
Nel 1924, per dire ancora della bontà della tua idea!, Gramsci mette a confronto le due figure fondamentali del suo presente storico, Lenin alla fine e Mussolini all’inizio della rispettiva avventura politica, e... ha già capito tutto: c’è capo e “capo” (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5154). E noi oggi ancora qui - a non saperci più “raccapezzare”! O no?!
Federico La Sala
* Cfr. Francesco Forlano, "MOTS-CLÉS_MONTESSORI", "Nazione Indiana", 2 febbraio 2020.
IL MITO DELLE ORIGINI FAVOLOSE E IL PECCATO ORIGINALE... *
Arte e sacro. Che cosa c’era sul leggio di Maria?
Nelle raffigurazioni dell’Annunciazione il libro su cui legge Maria compare tardi, dal IX secolo. Il filologo Michele Feo va a caccia delle tante ipotesi sul contenuto del volume
di Rosita Copioli (Avvenire, sabato 19 ottobre 2019)
La storia della Madonna è un meraviglioso romanzo per immagini. Più misteriosa tra tutte l’Annunciazione perché è il mistero stesso di Maria. Ma anche la più rivoluzionaria nella storia dell’umanità, perché fonda il mondo dopo Adamo: il mondo da Gesù Cristo, origine del nostro tempo. E poi perché racchiude tutto il turbamento, anzi lo sconvolgimento, e insieme la concentrata tenerezza della Vergine prima che concepisca e nel suo stesso istante: l’anticipazione dell’aurora, prima che irrompa il giorno in lei, in ognuno di noi.
Le scarne parole di Luca e Matteo non sono prive di immagini potenti, anzi assolute: per Alberto Magno l’ombra non è l’oscurità - che non viene dalla somma luce - ma l’immagine specchiata dell’onnipotenza; tuttavia solo i Vangeli apocrifi ci mostrano le scene, gli oggetti, i simboli, che i pittori prediligono. In essi Maria è alla fonte, al pozzo con la brocca, poi in casa, intenta a filare scarlatto e porpora (colori della regalità) accanto a un vaso dove fiorisce il giglio di Gesù; più tardi ha con sé un libro aperto e talora lo legge.
Sono queste le raffigurazioni che si susseguono dovunque nei secoli, in molteplici varianti. Soprattutto impone infinite riflessioni la presenza del libro, che compare tardi, dal IX secolo, su un cofanetto d’avorio francese dall’aria regale. Perché quella ragazza umile e il libro, che fu strumento di distinzione, non solo per la sapienza, ma nelle classi sociali? E significava soprattutto autorevolezza, garanzia di verità? E cosa era scritto nel libro di Maria, oltre alle parole dei profeti, dei salmi, dei Vangeli, del Magnificat?
Si può rispondere che Maria stessa è un libro, contiene il passato e soprattutto il futuro: un libro profetico al massimo grado. Ma c’è quella commistione di realtà e di sentimenti, che colpisce nel profondo, e non si accontenta di spiegazioni teologiche. In Maria il mistero teologico è reale e carnale, attraversa la vita quotidiana, gli affetti delle madri nelle famiglie, tutte le forme reali e immaginarie, che le madri quotidiane e le divinità femminili hanno mostrato in ogni tempo e spazio.
Michele Feo, filologo e acutissimo investigatore dei testi, ne è stato così commosso e catturato, da inventariarne le immagini per uno studio colto e appassionato (Cosa leggeva la Madonna; Polistampa, pagine 304, euro 20,00). Ma non dobbiamo pensare che l’indagine di Feo si limiti a un excursus erudito che riguarda soltanto l’abbinamento con il libro. Si estende a ogni riflessione che tocca Maria, con una condivisione totale e sottile della femminilità e dei suoi valori più profondi.
Mentre segue nei secoli e nelle contestualizzazioni delle opere le Annunciazioni, decifrando e commentando le iscrizioni e le composizioni, Feo non dimentica mai l’origine. Chi è veramente Maria? Cosa accade nel momento in cui riceve l’annuncio traumatico dell’angelo che ha sconvolto lei fino a noi stessi? Perché l’Annunciazione non è un evento che si conclude, ma un progetto che ci riguarda inesorabilmente? Come sono diventati lontani nei secoli i sensi originari? Come tutto è diventato infinitamente indecifrabile, sebbene continuino a colpirci quegli atti e quei gesti e quelle mani della ragazza non ancora madre, che talora si specchiano nelle mani dell’angelo, o - come nella Vergine Annunciata palermitana di Antonello da Messina - emergono in assoluta eloquenza fuori dal quadro?
La ricchezza di questo libro sta anche nella presentazione di testi preziosi che accompagnano la figura dell’Annunciazione; non solo quelli sacri, o Dante, o Petrarca (di cui Feo è massimo studioso), che nel cammino dell’amore che nobilita attraverso la donna, compie la «rivoluzionaria e decisiva collocazione della Vergine a chiusura dei Rerum vulgarium fragmenta». Feo ci traduce molti testi straordinari: ora popolari, ora dei più sofisticati umanisti che intrecciano la Vergine con le divinità greco-latine, ora di mistici ottocenteschi, ora di teologi moderni. Il valore del libro sta anche nel sapiente dialogo che Feo intrattiene tra culture diverse.
Vorrei aggiungere una testimonianza, che ha origine da due antiche tradizioni romagnole. Esse hanno riscontri nei calendari popolari e nel Tempio malatestiano di Rimini, dove compaiono le due porte che le anime passano: nel segno del Capricorno abbandonano la carne attraverso la porta degli dèi e dell’immortalità; nel segno del Cancro si incarnano. Nell’Annunciazione (e incarnazione) del 25 marzo, nell’equinozio di primavera, Maria è seduta, intenta a filare il lino “marzuolo”. In questa immagine, che riprende il protovangelo di Giacomo, Maria è l’umile donna antica, attenta alla rocca, al fuso, al telaio. Ma rievoca anche archetipi: Elena che in Omero tesse una tappezzeria di porpora con le lotte di Greci e Troiani in cui lei è al centro; Cloto che fila lo stame della vita.
La vigilia di Natale, a Ravenna, in una filastrocca che inizia con l’invocazione «Levati, levati mio sole / con il raggio del Signore», tre angeli donano a Maria tre forcine o tre falci d’oro: lei le porge al Signore, e Lui con queste mette in moto la ruota del cosmo: è la nascita di Gesù e del tempo: il compimento dell’Annunciazione avviene nel solstizio d’inverno, sotto il segno del Capricorno. In sintonia con tradizioni immemoriali, raccolte da quelle platoniche, Maria tra primavera ed estate incarna, mentre nel cuore dell’inverno, con il “sole invitto” libera dalla carne, verso l’eternità.
*
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
Michele Feo, Mio nonno era un re , "Il grande vetro".
Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!! Dante non "cantò i mosaici" dei "faraoni".
UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di "Maria" e di "Giuseppe"!!! AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
La sfida vinta di Maria Montessori
Liberare la creatività dei bambini
Dal 20 agosto con il quotidiano il primo volume della serie sulla rivoluzionaria pedagogista. Una donna in campo per battere i pregiudizi dell’educazione autoritaria
di GIANCARLO DIMAGGIO *
Mia figlia aveva tre anni. Mia moglie e io parlavamo con la maestra Renata. Una donna magra, alta, dagli occhi azzurri che ti entravano dentro, uno scrutare implacabile e gentile. Di quelle donne verso le quali sviluppi una gratitudine che non morirà mai. Diceva: «Vostra figlia è una bambina» e faceva una pausa «impegnativa». Sorrideva, non poneva alcun accento negativo sul termine. «Non puoi semplicemente dirle le cose, ci devi ragionare». Mia figlia ora ha sedici anni e non è cambiata. Renata teneva un piccolo asilo Montessori. Nell’educazione dei miei figli è stato un pilastro. Non solo dei miei.
Maria Montessori era un genio. Una donna che, nata in un Paese poco incline al metodo scientifico, fonda una pedagogia scientifica e inventa un metodo educativo che ancora oggi ha pochi eguali. Partiva da un’idea semplice, chiara, «che i bambini possano liberamente esprimersi e così rivelarci bisogni e attitudini che rimangono nascosti o repressi quando non esista un ambiente adatto a permettere la loro attività spontanea». A questa accompagnava un corollario: realizzazione personale e progresso vengono dalla vocazione, dalla fiamma interna, quel piccolo fuoco sacro dal potere di rendere ogni individuo speciale. La stessa idea, più di un secolo dopo, guida il mio operato di psicoterapeuta: portare gli adulti sofferenti a contatto con quella scintilla interiore e farle prendere vento.
Lei sosteneva che la pedagogia dovesse rispettare la libertà del bambino. Oggi so che si riferiva ad altro, a concetti che oggi chiamiamo autonomia, autoregolazione, agency. Forgiare nel piccolo il senso di competenza, così che padroneggi il piccolo mondo che lo circonda. Era una visionaria, immaginò una pedagogia basata sulla creatività e non sulla disciplina. L’aveva sviluppata sui bambini all’epoca chiamati «idioti», scoprendo che poteva portarli al livello dei bimbi «normali». E allora si disse: perché non estenderla? Si industriò e, in un ambiente non favorevole alle donne, ci riuscì.
Arriva l’obiezione: libertà? E che ne è del dovuto rigore necessario a temperare i naturali impulsi vandali dei bambini? Ho una testimonianza diretta: per tutti gli anni che ho accompagnato, visitato, ripreso i miei figli da Renata, non ho mai sentito urlare. L’effetto magico del metodo Montessori: un’educazione individualizzata che insegna a vivere meglio in gruppo.
Sono scienziato anche io, tendo a formulare domande logiche. Premessa, ragionamento, conclusioni. Mi chiedo: abbiamo avuto una delle più grandi pedagoghe di sempre, quindi l’educazione primaria in Italia sarà basata in prevalenza sul metodo Montessori? Mi rispondo: sì. La risposta vera è: no. La domanda che segue è: perché? Mi paralizzo.
Quando sono perplesso reagisco sempre nella stessa maniera, studio. Voglio risposte sensate. Magari il metodo Montessori è superato, obsoleto. Mi imbatto negli studi di Angeline Lillard, Università della Virginia (è negli Stati Uniti, non in Italia), una psicologa che ha dedicato la sua ricerca al mondo dell’immaginazione. Con sana vocazione empirica anglosassone, si è chiesta: il metodo Montessori funziona? E ha fatto, guarda un po’, delle ricerche.
I risultati sono impressionanti. I bambini che hanno frequentato asili Montessori, purché vi si applicasse il metodo con fedeltà, acquisivano più abilità che in altre scuole. Aumentava la loro capacità di regolare gli impulsi e di risolvere problemi sociali. Sono entrambe doti che predispongono ad una vita scolastica e di relazione di successo. Non è quello che speriamo per i nostri figli? Per inciso, migliore capacità di regolare gli impulsi da bambini significa minor rischio di diventare criminali da adulti. Ancora: negli asili Montessori imparavano a leggere prima e avevano un vocabolario più ampio. Sviluppavano una migliore teoria della mente e in parallelo avevano maggiore senso di giustizia e tenevano in considerazione il punto di vista dell’altro. Altro risultato straordinario, avevano più fiducia nell’affrontare problemi difficili: ci provo perché credo di potercela fare. Ed erano più creativi.
C’è di più: notoriamente i bambini che vengono da famiglie più povere hanno risultati peggiori a scuola. Negli asili Montessori il gap si riduce. Coerentemente con lo spirito che nel 1907 portò a fondare nel quartiere San Lorenzo a Roma la prima Casa dei bambini, è possibile fare crescere le abilità anche di chi parte svantaggiato.
Forse ho visto troppi episodi della serie tv Black Mirror, a volte vivo in una realtà parallela. Mi convinco che le ricerche che ho descritto sono state effettuate in Veneto, Sicilia, Lazio. Ci sto comodo per un po’, poi mi risveglio. Erano in Connecticut.
Pubblicare l’opera di Maria Montessori, come ha deciso di fare il «Corriere»? È un’ottima iniziativa, sperando che le prossime ricerche siano svolte in Italia. Io intanto mi tengo stretti i ricordi di quando parlavo con la maestra Renata dei miei figli e con la coda dell’occhio scorgevo bambini attivi, vitali, curiosi.
* Corriere della Sera, 18 agosto 2018 (modifica il 19 agosto 2018 | 21:24)
Il metodo Montessori piace sempre di più. Ecco come cominciare in famiglia
Famoso all’estero vive rinascita anche in Italia. I principi spiegati in un saggio
di Agnese Ferrara *
Troppo dolce? Eccessivamente serio? Un invito all’anarchia e alla confusione e alla crescita di piccole pesti o un metodo efficace per esaltare le capacità dei bambini evitandogli lo stress da performance sempre più richiesto anche in tenera età?
Seppure il metodo ideato dalla psichiatra Maria Montessori sia uno dei sistemi educativi più noti e influenti all’estero, i suoi principi non sono noti agli italiani se non superficialmente. Non mancano però le scuole pubbliche della penisola, primarie e secondarie, che lo stanno adottando in questi ultimi anni ( a Milano questo anno se ne sono aggiunte quattro) e aumentano i nomi di personaggi di successo che sono cresciuti seguendone i suoi principi, come Jeff Bezos fondatore di Amazon, Jimmy Wales creatore di Wikipedia, insieme agli ideatori di Google Larry Page e Sergey Brin.
Il metodo Montessori vive una seconda rinascita ed è diventato moderno, attuale e perfino rivoluzionario perché non punta alla performance e al confronto fra i più bravi e meritevoli ma nutre l’indole dei piccoli. “La metodica stimola i bambini a dare il meglio di sé favorendo le condizioni per sviluppare tutto il loro potenziale, - spiega Daniele Novara, pedagogista, direttore del Centro Psicopedagogico per l’Educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza nell’introduzione del nuovo saggio ‘Il metodo Montessori per tutti’ scritto dalle colleghe Laura Beltrami e Lorella Boccalini (Bur Rizzoli Parenting editore).
Il nuovo manuale può aiutare a comprendere ed usare al meglio i principi cardine del metodo con i propri figli educandoli alla libertà e all’autonomia anche a casa. “La metodica si basa sul rispetto della libertà di sviluppo del bambino, della sua autonomia, dei suoi tempi e delle sue inclinazioni. Gli adulti e gli insegnati accompagnano i piccoli facendoli meravigliare ed appassionare a loro stessi, alle loro scoperte e capacità” spiegano le autrici. Niente gare a chi arriva prima, nessun confronto con chi fa di più e perciò nessuna ansia da performance possono essere il segreto di uno sviluppo sereno che permette al bambino di capire cosa sogna e come realizzarsi?
Le autrici del saggio ne sono certe e nel testo forniscono molti spunti di riflessione per i genitori che vogliono crescere bambini sicuri di sé . A cominciare dalla cameretta, che va ripensata a misura di apprendimento Montessori, cominciando da questi principi:
1) La casa è il primo luogo abitato dai bambini, là devono iniziare a muoversi sentendosi padroni. solo così se ne prenderanno cura. Cameretta per sé o condivisa non importa, l’importante è che il piccolo acceda da solo ai suoi giochi senza dover aspettare che sia qualcuno a proporglieli. Non fa le costruzioni? Guardate dove sono posizionate prima di dire che non è portato. Non fa i puzzle? Controllate dove è infilata la scatola, magari sotto una pila di libri?
2) Ci vuole pulizia: troppi giocattoli non servono. Eliminate quelli che usava da piccolo e date spazio ai giochi che lo incuriosiscono ora. Lasciate spazio libero per muoversi, senza dovere fare largo fra impicci e giochi che non sua neanche più.
La camera non è fatta solo di giocattoli. anche i mobili devono essere accessibili direttamente dal bambino. Tavolino, sedia, tappeto, libreria, lettino: deve raggiungerli da solo e usarli per i suoi bisogni, per riposarsi, leggere, giocare, scoprire.
3) Una sola zona esclusiva non basta. Oltre alla sua stanza anche la sala e il resto della casa devono permettere movimenti liberi ai piccoli. alcuni esempi: all’ingresso si può montare un attaccapanni alla loro altezza, posizionare uno sgabello per arrivare ai mobili della cucina , scegliere una sedia più alta dotata di pioli per farlo sedere a tavola, mettere uno specchio alla sua altezza in bagno. In questo modo diventerà autonomo in modo spontaneo e sicuramente prima di quanto non facciano i bambini che crescono in case progettate per gli adulti.
4) L’ordine è importante, non solo la pulizia. Riordinando la loro camera gli adulti ammucchiano da una parte, ripongono i giochi secondo un metodo loro e non dei propri figli. Non sembra ma i piccoli lo notano. Invitate a riordinare la stanza da sé il prima possibile, supportandolo e ricavando spazi dedicati alle sue cose come cassetti, ceste, armadi.
Novant’anni del Liceo di Maria Montessori, l’istituto che fu chiuso da Mussolini
Riaperto poi dopo quasi 30 anni, oggi conserva materiale della sua fondatrice ed è sede di un museo a lei dedicato
di Agnese Malatesta *
Compie 90 anni il Liceo statale ‘Maria Montessori’ di Roma, la prima scuola diretta dalla stessa illuminata educatrice per volontà dell’allora governo fascista, ma poi chiuso proprio per l’opposizione al regime di Mussolini. Una storia che si confronta da subito con la resistenza ai valori del fascismo affermando così la specifica impronta educativa che - ancora oggi nelle migliaia di istituti che adottano il ‘metodo Montessori’ - mette al centro il rispetto del bambino valorizzandone la spontaneità. Obiettivo: crescere un individuo libero e consapevole.
Oggi l’istituto, riaperto poi dopo quasi trent’anni, conserva materiale e documentazione della sua fondatrice, è sede di un museo a lei dedicato. Ed è uno delle cento scuole che sperimenteranno a breve un corso liceale nella versione quadriennale.
Fu un Regio Decreto del 5 febbraio 1928, il n. 781, a dare vita a questa innovativa esperienza scolastica in Italia, che avrebbe dovuto formare insegnanti, esclusivamente femmine. Fu collocata provvisoriamente in Via Monte Zebio, a Roma. Il corso era triennale; erano escluse iscrizioni da parte di alunni di sesso maschile. Il costo della frequenza era di 120 lire, degli esami di abilitazione 100 lire. Come prima direttrice fu nominata, proprio su indicazione del governo, la stessa Maria Montessori.
In una lettera destinata a Mussolini, la Montessori esprime grande soddisfazione per questa decisione. Essa - scriveva la neodirettrice - ”...corona il lungo mio lavoro a favore di un sistema educativo squisitamente italiano, che ha portato in onore nel mondo il nome della Patria, e viene ad esaudire uno dei miei più ardenti voti: quello di veder fiorire in Roma una scuola a me affidata, dove possa applicare e completare il mio metodo...”. Anche la principessa Maria Josè visitò nel 1933 l’istituto che era poi stato aperto anche ai bambini della materna. Della visita dà conto una cronaca del Bollettino dell’Opera Montessoriana: “Ciò che colpì la Principessa - e lo disse alle insegnanti - fu l’estrema franchezza con la quale i bimbi l’accolsero nella loro casa, quasi una sorella grande (...). La Principessa conosce i libri della Dottoressa e parla con perfetta e sottile conoscenza del Metodo”.
Appena quattro anni dopo la nascita della scuola, nel 1932, i rapporti con il Capo del Governo iniziarono ad incrinarsi. Si giunse alla rottura nel 1936 quando, a seguito di alcune conferenze tenute dalla Montessori al Bureau International d’Education di Ginevra in cui era chiaro il divario culturale fra il credo fascista e il metodo educativo, la ‘Regia Scuola di Metodo Montessori’ venne chiusa. All’origine della persecuzione politica, l’universalismo propugnato dalla Montessori che collideva con il nazionalismo su cui si fondava il fascismo.
Durante le tensioni intercorse, Montessori scrisse, fra l’altro, in una lettera: “Io non vorrò certo perdere le mie ultime forze in un tentativo come quello della Scuola di Metodo, ma dovranno essere prima ben garantite le difese del metodo e la costante influenza di persone in esso competenti”. Ma ormai la Direttrice era diventata un fardello ingombrante, tanto da essere definita in ambienti governativi “una grande rompiscatole”. Bisognava liberarsene. E la scuola fu chiusa.
La nuova “Scuola Magistrale di Metodo Montessori” fu riaperta, nonostante tentativi intercorsi negli anni ma senza successo, solo nell’ottobre del 1964. Successivamente fu trasferita nella sede che ancora ha oggi, in Via Livenza. Via via l’istituto si adeguò ai cambiamenti normativi: nel 1988 iniziò la sperimentazione quinquennale del Liceo Linguistico e Liceo Pedagogico secondo il metodo Montessori. E poi accolse altri corsi di studi, il Liceo Scientifico, il Classico. E proprio a quest’ultimo corso di studi, l’istituto Montessori si sta aprendo ad una nuova avventura: l’innovativa sperimentazione dei quattro anni.
Per celebrare questo anniversario, nella mattinata di lunedì 5 febbraio è in programma presso il Cinema delle Provincie di Roma, per iniziativa dello stesso Liceo Statale Maria Montessori, una conferenza in cui saranno ripercorse le tappe storiche della scuola e l’esperienza del Metodo Montessori.
* Ansa, 04 febbraio 2018 (ripresa parziale - senza innagini).
CHI INSEGNA A CHI CHE COSA COME?! QUESTIONE PEDAGOGICA E FILOSOFICA, TEOLOGICA E POLITICA... *
La riforma della scuola è avere buoni professori
di Nuccio Ordine (Corriere Sera, 03.09.2017
Ora che le scuole riaprono dopo la pausa estiva, per capire la vera essenza dell’insegnamento bisognerebbe rileggere con attenzione la commovente lettera che Albert Camus - poche settimane dopo la vittoria del Nobel (19 novembre 1957) - scrisse al suo maestro di Algeri, Louis Germain: «Caro signor Germain, ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande che non ho né cercato, né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo».
Adesso che i riflettori rimarranno accesi ancora per qualche giorno sull’inizio del nuovo anno scolastico, sarebbe importante concentrare il dibattito su due figure essenziali: gli studenti e i professori. Eppure - dopo i numerosi «terremoti» che hanno scosso le fondamenta del nostro sistema educativo - sembra che la relazione maestro-allievo non occupi più quella centralità che dovrebbe avere. Ai professori, infatti, non si chiede di studiare e di preparare lezioni. Si chiede, al contrario, di svolgere funzioni burocratiche che finiscono per assorbire gran parte del loro tempo e del loro entusiasmo. Le ore dedicate a riempire carte su carte potrebbero essere invece investite per leggere classici, per approfondire le proprie conoscenze e per cercare di insegnare con passione.
Dopo decenni di devastanti tagli all’istruzione, l’unico importante investimento economico (un miliardo di euro) degli ultimi anni è stato destinato alla cosiddetta «scuola digitale», con l’illusione che le nuove tecnologie possano garantire un salto di qualità. Ma ne siamo veramente sicuri, in un momento in cui mancano le risorse destinate a riqualificare la qualità dell’insegnamento? A cosa serve un computer senza un buon docente? Il caos di ogni inizio anno e le incertezze del reclutamento dei professori stanno sotto gli occhi di tutti.
La «buona scuola» non la fanno né le lavagne connesse, né i tablet su ogni banco, né un’organizzazione manageriale degli istituti e ancor meno leggi che rendano l’istruzione ancella del mercato: la «buona scuola» la fanno solo e soltanto i buoni professori. Basterebbe leggere le dichiarazioni del presidente Macron per capire l’orientamento della Francia: non più di 12 alunni per classe nelle aree considerate a rischio «economicamente» e «socialmente», proprio per dare, attraverso uno straordinario potenziamento dei docenti, più centralità al rapporto diretto con gli studenti.
Dai professori bisognerebbe partire. Che fare? Come formarli? Come selezionarli? La nostra scuola non ha bisogno di ulteriori riforme. Non ha bisogno dell’alternanza scuola-lavoro così come viene applicata (le ore non sarebbe meglio investirle in conoscenze di base?). Non ha bisogno di commissioni che studiano la riammissione degli smartphone in classe (perché, al contrario, non aiutare gli studenti, che li usano tutto il giorno, a «disintossicarsi» e a vincere la «dipendenza»?) o che propongono la riduzione di un anno della scuola secondaria (la fretta non aiuta a formare alunni migliori: la frutta maturata con ritmi veloci non ha lo stesso sapore di quella che cresce sull’albero). La peggiore delle riforme con buoni professori darà buoni risultati. E, al contrario, la migliore delle riforme con pessimi professori darà pessimi risultati. C’è bisogno di un sistema di reclutamento che possa garantire un percorso chiaro e sicuro: ogni anno, a prescindere dal colore dei governi, un concorso nazionale (come si fa in molti Paesi). E non l’alea dei concorsoni decennali e dei percorsi improvvisati che hanno prodotto infinite tipologie di precari: una matassa talmente ingarbugliata che nessun miracoloso algoritmo arriverà a sbrogliare.
Decine e decine di migliaia di precari (con ormai un’età media veramente preoccupante) potranno entrare in classe con entusiasmo? Potranno insegnare con passione? Selezionare i buoni professori (eliminando completamente il precariato) e ridare dignità al lavoro di insegnante (anche sul piano economico, visto che gli stipendi italiani sono molto bassi rispetto alla media europea) è ormai una necessità. Solo così potremo riportare la scuola alla sua vera essenza, alla centralità del rapporto docente-allievo.
In alcune scuole del Nord e del Sud, ogni giorno, questo miracolo già accade. Riposa sulle spalle di singoli insegnanti appassionati che dedicano, controcorrente, la loro vita agli studenti. Che cercano di far capire ai ragazzi che a scuola ci si iscrive soprattutto per diventare migliori e che la letteratura e le scienze non si studiano per prendere un voto, o per esercitare solo una professione, ma perché ci aiutano a vivere. Per fortuna, nonostante leggi e circolari assurde, non mancano fino ad oggi allievi che hanno visto cambiare la loro vita grazie all’incontro con un professore. Proprio come il maestro Germain, in Algeria, era riuscito a cambiare il destino di uno scolaro, orfano di padre e molto povero, come Albert Camus. Ma, se non si frena il declino, per quanti anni ancora la scuola potrà contare su quei docenti (ormai sempre più rari) in grado di compiere miracoli?
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Parlare di scuola vera è sempre una buona cosa. Perché ancora oggi "non è mai troppo tardi". SULLA SCUOLA, OGGI, BISOGNA ESSERE DI PARTE. "BUONI MAESTRI".
PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!! FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO.
Le maestre operose di Maria Rosa Cutrufelli
NARRATIVA. Oggi la scrittrice presenta «Il giudice delle donne» alla libreria Tuba di Roma. Cosa accadde nel 1906 quando dieci insegnanti chiesero l’iscrizione alle liste elettorali
di Barbara Bonomi Romagnoli (il manifesto, 17.03.2016)
Si respira il desiderio del futuro che vorremmo nel nuovo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli, Il giudice delle donne, appena edito da Frassinelli (pp. 264, euro 18). Una storia vera dei primi del Novecento con la forza dell’attualità, nel 70° anniversario del voto alle donne in Italia, e la prospettiva di un’impresa ancora da compiere del tutto, perché «è talmente precaria la nostra liberta. Basta un soffio e se ne perdono le tracce», commenta Alessandra, la giovane maestra esuberante che insegue l’emancipazione, anche a costo di finire in una struttura fatiscente, che ieri come oggi, alcuni si ostinano a chiamare scuola.
Siamo nel 1906 a Montemarciano, paese in provincia di Ancona che guarda l’Adriatico, e qui dieci maestre, capeggiate da Luisa la moglie del sindaco socialista, accolgono l’appello di Maria Montessori a chiedere il diritto al voto, quel suffragio universale valido in realtà solo per i maschi. Una vicenda che Cutrufelli ha «ri-scoperto, dopo che ne avevo letto sui libri delle nostre storiche (storiche femministe, intendo) - racconta l’autrice- ma non mi ero mai soffermata sull’importanza, anche simbolica, di questo episodio, forse perché si trattava sempre di poche righe; così è stata una sorpresa quando, di passaggio a Senigallia, ho visto la targa commemorativa sul muro del municipio. Caspita, mi sono detta, ma qui abbiamo le prime elettrici della storia europea, anzi mondiale, perché solo in Australia e in Nuova Zelanda le donne avevano già vinto questa battaglia. È stato in quel momento che mi sono ripromessa di raccontare quella storia». E per farlo si è immersa nella ricerca e studio di documenti e testi dell’epoca, ricostruendo nella trama e nel lessico i toni di quegli anni tesi alla conquista della modernità che sembrava a portata di mano, prima di cadere nell’orrore della prima guerra mondiale e del fascismo. Una scrittura come sempre profonda e ariosa al tempo stesso, quella di
Maria Rosa Cutrufelli, capace di tratteggiare le pieghe dei sentimenti e i paesaggi sociali in movimento. Racconta gli anni in cui le donne iniziavano a uscire di casa, e per farlo alcune di loro diventavano maestre, un mestiere che «ha fatto l’Italia», arrivando nei luoghi più sperduti per alfabetizzare il paese e scontrandosi con una società contadina dove il lavoro minorile era la regola: «il vero rivale delle maestre è il lavoro nei campi. L’alfabeto viene dopo la terra, non c’è rimedio», pensa la protagonista nel dare le pagelle ai pochi rimasti, sì perché quelli sono anche gli anni della grande emigrazione verso le Americhe. Fino in Argentina è andato il babbo di Teresa, bambina divenuta muta e che nel cuore ha stretto un segreto che scopriremo man mano nel corso della lettura.
Non solo, il 1906 è anche l’anno dell’Expo di Milano e di chi lo racconta, come Adelmo, giovane cronista di provincia che ha seguito con sguardo attento la storia delle «maestrine», così le chiama senza rendersi conto della svalutazione insita nel termine, andando a scovare anche il «giudice delle donne», quel Lodovico Mortara presidente della corte di Appello che dirà che le donne hanno diritto a iscriversi nelle liste elettorali. Un giudice contro tendenza, una sentenza che farà discutere sia i conservatori che i progressisti del tempo e che provò a dire, ai primi del Novecento, che «la legge è statica, ma la giurisprudenza è dinamica. I costumi cambiano e sono l’opera del giudice a rendere viva la legge».
Una legge, anche non scritta, che vorrebbe le donne lontane dalla politica, di nuovo, ieri come oggi. Il rapporto fra le donne e il voto, e la rappresentanza che ne consegue, non è mai stato un rapporto facile, forse perché «non si tratta solo di un diritto di libertà, come dicono i giuristi - sottolinea Cutrufelli - ma anche di un potere che dà autonomia e capacità negoziale, ed è proprio questo ‘potere’ che la cattiva politica vuole erodere e ridurre al minimo».
Le maestre marchigiane non vinsero del tutto la loro battaglia ma aprirono un varco fondamentale per la speranza del cambiamento: a 110 anni di distanza quel fermento sembra essersi trasformato in una palude, diritti delle donne compresi. Ma se volessimo ripartire e riprendere in mano quel filo, Cutrufelli non ha dubbi e risponde con le parole di Emmeline Pankhurst, suffragetta inglese, «mai sottovalutare la propria forza...» e continuare a raccontare le storie che nessuno racconta.
Corriere La Lettura, 30.12.2012
Montessori, il metodo della gioia
In Germania 1.140 scuole In Italia soltanto 136
di Carlo Vulpio
Fino all’entrata in vigore dell’euro in Italia, nel 2002, era ancora possibile vederla raffigurata sulle banconote da mille lire e leggerne il nome: Maria Montessori. Non tutti sapevano chi fosse quella signora dai capelli bianchi raccolti in una crocchia dietro la nuca, che sulle mille lire aveva preso il posto di Giuseppe Verdi e di Marco Polo. Anzi, diciamo pure che la stragrande maggioranza degli italiani non ha mai saputo esattamente chi fosse e ancora oggi non sa esattamente chi sia Maria Montessori. Ma almeno, con quelle mille lire ancora circolanti - ne vennero stampate, dal 1990 al 1998, per una somma complessiva di due miliardi e centosessantamila lire -, in tanti avevano occasione di chiedersi chi fosse e cosa avesse fatto quella donna (l’unica, gli altri sono tutti uomini) per meritare di essere effigiata sulla banconota più usata quotidianamente dagli italiani. Quelli che se lo chiedevano, mentre se lo chiedevano, potevano cominciare a darsi una risposta semplicemente guardando il retro della banconota, che ritraeva due bambini che studiavano. In quelle mille lire, chiunque poteva comprendere, visivamente e immediatamente, l’importanza del trinomio Montessori-bambini-scuola e cogliere il grande valore di una persona, una storia, un messaggio, poi scientificamente riconosciuto come un «metodo», che ha precorso i tempi e ha cambiato il mondo più di Giuseppe Verdi e di Marco Polo messi assieme.
Sono passati dieci anni. Abbiamo gli euro (cioè, li ha chi li ha), ma non abbiamo più Maria Montessori, nemmeno in filigrana. Eppure lei - medico, scienziata, pedagogista, intellettuale -, conosciuta e venerata in tutto il mondo per il suo insegnamento, oggi è più viva che mai, eccetto che nel suo Paese, l’Italia. E da quel 6 gennaio 1907, quando a Roma, nel quartiere San Lorenzo, in via dei Marsi 58, come lei stessa scrive, «si inaugurò la prima scuola di piccoli bambini da tre a sei anni e sentii la indefinibile impressione che un’opera grandiosa sarebbe nata», è sempre presente tutte le volte che si affronti concretamente (e non attraverso retoriche petizioni di principio che, come vedremo, sono quanto di più lontano dal «metodo Montessori») la «questione sociale dell’infanzia». Espressione da lei coniata per indicare i diritti (negati) e lo sviluppo (ostacolato) della personalità e delle abilità dei bambini («L’infanzia è un disturbo costante per l’adulto, la sua situazione è simile a quella d’un uomo privo di diritti civili e d’un ambiente proprio») trent’anni prima che l’Onu adottasse la Dichiarazione dei diritti del bambino (1959) e sessant’anni prima che approvasse la Convenzione sui diritti dell’infanzia (1989, ratificata dall’Italia nel 1991).
La «questione» posta dalla Montessori, che fu anche la prima donna italiana a laurearsi in Medicina - nel 1896, a ventisei anni, vincendo mille pregiudizi e mille resistenze burocratiche -, doveva (deve) essere affrontata soprattutto attraverso la scuola. Una scuola a misura di bambino e in particolare dei bambini fra i tre e i dodici anni, che sono - sostiene sempre la signora Montessori - il vero oro di una comunità, il suo futuro, il suo senso. Mentre la scuola pubblica e privata, allora come oggi, salvo eccezioni d’élite, per i bambini italiani è soprattutto, nonostante gli sforzi e le buone intenzioni per lo più individuali, carcere, confino, esilio.
I termini sono della Montessori (Il segreto dell’infanzia, Garzanti). E si attagliano perfettamente alle scuole dell’Italia contemporanea, luoghi stretti e affollati in cui i bambini sono «vittime della fatica scolastica, esposti a un tormento obbligatorio... animi contratti, intelligenze stanche, petti stretti e spalle ricurve, per la necessità di piegarsi per lunghe ore sui banchi a leggere e a scrivere, con la colonna vertebrale piegata a causa di quella posizione forzata» e, possiamo tranquillamente aggiungere, del peso assurdo di quegli zaini imbottiti di libri, quaderni e altro «materiale scolastico» che sono costretti a trasportare prima e dopo cinque lunghissime ore di detenzione.
Con la Casa dei Bambini inaugurata quel 6 gennaio 1907 a Roma (e il 18 ottobre 1908 a Milano, nel quartiere operaio dell’Umanitaria) cominciò una vera rivoluzione.
«Tutti gli intervenuti all’inaugurazione - scrive la grande pedagogista - rimasero meravigliati, dicendo tra sé: ma perché la Montessori esagera tanto l’importanza di un asilo per i poveri?». Invece, per quanto quella prima scuola «riuniva i figli piccoli degli operai in un casamento popolare», non era un asilo per poveri, anzi non era nemmeno una «vera opera sociale» con scopi di assistenza e beneficenza, ma «una istituzione privata fondata da una società edilizia, la quale doveva far ricavare il mantenimento della scuola come spesa indiretta di manutenzione dei locali».
In altri termini - come ricorda Paola Trabalzini, curatrice per l’Opera Nazionale Montessori di una edizione critica de Il metodo della pedagogia scientifica -, i proprietari di quei locali, gli azionisti dell’Istituto Romano dei Beni Stabili, li ristrutturarono per evitare che finissero in malora dopo la grande febbre edilizia degli anni Ottanta del 1800 e li riqualificarono, facendone delle «case moderne», areate, pulite, luminose e dotate di tutti i comfort, dal bagno all’ascensore, affinché fossero «non più unicamente il ricovero dei membri della famiglia, ma il luogo per vivere i legami famigliari in modo più intimo e solidale, più raccolto e partecipato». L’ambiente ideale per la Casa dei Bambini pensata dalla Montessori.
«La presenza della scuola nel casamento come proprietà collettiva, dato che essa era guadagnata dai genitori tenendo pulito lo stabile - nota Trabalzini -, realizzava il principio pedagogico della continuità educativa tra scuola e famiglia, consentendo nel medesimo tempo di educare gli adulti attraverso i bambini». Fu subito un grande successo. Anche sulla stampa internazionale. «Vennero da Paesi lontani - scrive la Montessori -, specialmente dall’America (negli Stati Uniti oggi operano circa cinquemila scuole montessoriane, ndr) per constatare questi fatti sorprendenti e l’ultimo libro inglese che parlò di questi bambini s’intitolava New Children». La Montessori, la donna che aveva fatto parlare di sé per le sue battaglie a favore del voto femminile, la madre di un figlio illegittimo che non aveva arretrato di un passo per tenerlo con sé, accudirlo ed educarlo contro la morale dominante, era pronta a prendersi le sue rivincite. Nel 1909, con la pubblicazione de Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, sovvertì i luoghi comuni, rivoluzionò il sapere seduto su se stesso e dimostrò come grazie al suo sistema di educazione «i bambini erano sani come se avessero fatto cure di sole e di aria, poiché se cause psichiche deprimenti possono avere una influenza sul metabolismo abbassandone la vitalità, può anche avvenire il contrario: cioè le cause psichiche esaltanti possono riattivare il metabolismo e tutte le funzioni fisiche».
Il «metodo» partiva da una considerazione semplice, ma frutto di lunghe osservazioni ed elaborazioni scientifiche: bisognava innanzi tutto suscitare nei bambini gioia ed entusiasmo per il lavoro e avere la massima fiducia nell’interesse spontaneo del bambino, «nel suo impulso naturale ad agire e a conoscere»; e poi bisognava far stare assieme i bambini per fasce di età - dai 3 ai 6 e dai 6 ai 12 anni -, introdurre la prassi del pasto comune, del gioco del silenzio, arredare gli ambienti con mobilio proporzionato ai bambini e non funzionale alle esigenze degli adulti; abolire la cattedra dell’insegnante, i sillabari, i programmi e gli esami, i castighi, i giocattoli e le golosità; puntare sul lavoro individuale per ottenere spontaneamente dal bambino la ripetizione dell’esercizio, il controllo dell’errore, l’ordine nell’ambiente e le buone maniere nei contatti sociali, la pulizia accurata della persona e l’educazione dei sensi; esercitare la scrittura isolata dalla lettura, la scrittura precedente la lettura e le letture senza libri; favorire la libera scelta di ognuno e al tempo stesso perseguire la disciplina nella libera attività. Un bambino non più represso, dunque (ciò che meritò alla Montessori il plauso di Sigmund Freud), ma anche un insegnante nuovo, «il maestro passivo, che toglie l’ostacolo della propria autorità, affinché si faccia attivo il bambino, e che deve ispirarsi ai sentimenti di San Giovanni Battista: "Conviene ch’egli cresca e che io diminuisca"».
Era ben consapevole, Maria Montessori, che tutto questo «quando non sembrasse utopia, sarebbe apparso una esagerazione». Ma tirò dritto. Case dei Bambini e corsi di formazione per insegnanti montessoriani si moltiplicarono in tutto il mondo, in Germania, Olanda, Gran Bretagna, Francia, Romania, Scozia, Irlanda, Islanda, Stati Uniti, Canada, Messico e persino in India, in Giappone e in Nuova Zelanda. E arrivarono anche l’interesse e l’ammirazione, ricambiata, di Benito Mussolini, al quale si deve la trasformazione in ente morale dell’Opera Nazionale Montessori, di cui lo stesso duce fu presidente onorario e il filosofo Giovanni Gentile, allora ministro della Pubblica istruzione, presidente. Con Mussolini (che era stato maestro di scuola) e il fascismo, la Montessori - che era cattolica, progressista e liberale, ma non ligia alla Chiesa né ai movimenti di sinistra - ebbe un vero e proprio idillio che durò dieci anni, dal 1924 al 1934.
Poi, scrive Giuliana Marazzi (Montessori e Mussolini: la collaborazione e la rottura, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», rivista dell’Università La Sapienza di Roma), «la politica scolastica e culturale del Regime cambiò, allontanandosi sempre di più dal progetto gentiliano, e il nuovo orientamento fu caratterizzato dalla limitazione delle libertà e delle autonomie, da un controllo più capillare e sistematico, fino all’introduzione del giuramento di fedeltà al regime imposto ai docenti universitari e la tessera obbligatoria per i dipendenti pubblici, compresi gli insegnanti». I quali ultimi, estremo paradosso per una pedagogia fondata sulla formazione rigorosa del personale docente e sulla libertà, dovevano essere scelti dal Regime e non più dall’Opera Montessori.
In Germania andò anche peggio, i libri della Montessori finirono al rogo. La scienziata - apprezzata e difesa oltre che da Freud, anche da Guglielmo Marconi, Jean Piaget e Rabindranath Tagore -, abbandonò l’Italia, ma non il progetto a cui aveva dedicato la vita e che continuò a espandersi anche dopo la sua morte, avvenuta il 6 maggio 1952 a Noordwijk, in Olanda. Le sue parole, oggi, e specialmente in Italia, dovrebbero scuoterci: «Quando una società scialacquatrice ha necessità estrema di denaro, lo sottrae anche alle scuole. Questo è uno dei più iniqui delitti dell’umanità e il più assurdo dei suoi errori».
Montessori. l’infanzia liberata
Ventimila le sue scuole nel mondo ma in Italia ce ne sono soltanto 136
Avversata dal fascismo ha lasciato un insegnamento a tutto il mondo
di Pietro Greco (l’Unità, 23.09.2012)
NEL 1913 «LA BELLA ITALIANA» SBARCA IN AMERICA, SALUTATA DAL NEW YORK TRIBUNE COME «THE MOST INTERESTING WOMAN OF EUROPE», la donna più interessante del Vecchio Continente. Venti anni dopo «la bella italiana» deve lasciare definitivamente l’Italia, perché come scrive Roberta Passione nel ricco Dizionario biografico delle scienziate italiane (secoli XVIII-XX), curato da Miriam Focaccia e Sandra Linguerri, appena uscito nelle edizioni Pendragon «l’”educazione alla libertà” che (... ) propugna poco collima con l’orientamento sempre più autoritario della scuola fascista». Con 22.000 scuole di ogni ordine e grado a lei dedicate e a lei ispirate in tutto il mondo, Maria Montessori è la donna italiana che ha avuto e ha tuttora più influenza nel mondo. È dunque con lei che vogliamo chiudere questa breve carrellata che, nel corso dell’estate, ci ha portato a conoscere alcuni dei grandi scienziati italiani che nel XX secolo hanno «fatto politica», indicando al Paese un percorso di crescita culturale, di progresso civile e di sviluppo economico che l’Italia non ha voluto seguire. Scelta per la quale, oggi, paghiamo conseguenze piuttosto salate.
Maria Montessori nacque a Chiaravalle, un tiro di schioppo da Ancona, il 31 agosto 1870. Era nipote, per parte di madre, di quell’abate e naturalista, Antonio Stoppani, autore di un libro di gran successo, Il Bel Paese, che non poco ha contribuito a costruire la nostra identità nazionale. Stoppani era un uomo di scienza e individuò una vena scientifica anche nella sua nipotina. Sta di fatto che Maria, dopo aver seguito tutto il percorso delle scuole elementari e medie a Roma, dove la famiglia si è intanto trasferita, a 20 anni si iscrive all’università La Sapienza di Roma. Quando nel 1896 termina gli studi, è la prima donna ad essersi laureata in medicina a Roma.
In un primo momento si occupa di psichiatria e inizia a frequentare quelli che lei chiama i «bambini deficienti», malati psichici. Scoprendo almeno tre cose. Che questi bambini hanno una straordinaria umanità e anche una creatività che può esplodere quando li si lascia liberi, appunto, di esprimersi. La seconda è che la scienza la scienza positiva è uno strumento non solo di progresso culturale ma anche un strumento politico di emancipazione dei deboli. Un fattore di democrazia, che può fornire un contributo forse non sufficiente, ma assolutamente necessario per restituire dignità e piena cittadinanza a questi bambini. E che, infine, come nota ancora Roberta Passione, è proprio dai bambini, dalla loro protezione e dalla loro educazione che è possibile avviare «la rigenerazione del mondo».
Non abbiamo lo spazio per ricostruire in dettaglio la storia del rapporto di Maria Montessori con i bambini. Ma è anche vero che non possiamo trascurare due fatti. Il primo è che Maria Montessori con questo quadro di riferimento opera a tutto campo. Nella cura dei bambini malati come nella lotta per l’emancipazione femminile. E infatti in un medesimo anno, il 1896, da un lato fonda la Lega nazionale per la cura e l’educazione dei deficienti, con il patrocinio del Ministro e suo ex maestro Guido Baccelli e con l’aiuto di Giuseppe Ferruccio Montesano, l’amato collega e compagno di vita da cui, fuori dal matrimonio, avrà un figlio; e dall’altro contribuisce a fondare l’Associazione femminile di Roma, con un preciso scopo: avvicinare le donne alla scienza. E viceversa. In quel medesimo anno si reca a Berlino per partecipare al Congresso Femminile. In quella assise internazionale, la «bella italiana» non passa inosservata. Non solo per la sua grazia, ma anche per la veemenza con cui denuncia la condizione delle lavoratrici in Italia e chiede sia un più facile accesso al sistema educativo sia la parità di diritti e di salario tra maschi e femmine. È chiaro che sta nascendo una scienziata con una marcata «visione politica»: un autentico prototipo. E non solo in Italia.
Altro anno fondamentale nella vita di questa donna, che da psichiatra si è ormai trasformata in esperta pedagogista, con una solida formazione antropologica e filosofica, è il 1906. Quando crea la Casa dei bambini nel quartiere romano di San Lorenzo, dove inizia a sperimentare la sua «pedagogia scientifica» e inizia ad applicare ai «bambini normali» ciò che ha capito prendendosi cura dei «bambini deficienti»: la libertà come fonte di creatività e, insieme, di disciplina. Il rispetto dell’individualità come condizione per uno sviluppo armonico della socialità.
È un modo di fare scuola del tutto nuovo. I bambini che a San Lorenzo sono figli di famiglie alquanto povere non sono irreggimentati nei banchi, classe di età per classe di età, ma si muovo in spazi liberi, seguendo percorsi di apprendimento in cui componente fondamentale è la propria autodeterminazione. L’insegnante aiuta i suoi studenti a seguire il percorso migliore, che è il percorso di apprendimento preferito.
Non saremo noi ad approfondire i contenuti della pedagogia di Maria Montessori, che trovano espressione nel 1909 in un libro, Manuale della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei bambini, che viene scritto in pochi giorni mentre è ospite dei conti Franchetti a Città di Castello ma che presto ottiene fama planetaria. Trasformandola, nel giro di pochi anni, nella «donna più interessante» e in una delle più note d’Europa.
I SUOI LIBRI BRUCIATI DAI NAZISTI
In breve nascono scuole che si ispirano direttamente al «metodo Montessori» un po’ ovunque, ma soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. È per questo che, una decina di anni dopo, quando arriva al potere, il maestro elementare Benito Mussolini cerca un qualche appeasement una qualche diplomazia dell’accordo con Maria Montessori, i cui principi positivistici non incontrano certo l’idealismo che informa di sé la scuola di Giovanni Gentile. Per molti anni le scuole Montessori vengono tollerate e persino protette dal Duce. Ma alla fine i principi di libertà su cui si fondano entrano definitivamente in collisione con l’autoritarismo fascista. Maria e il figlio Mario lasciano l’Italia. Intanto le sue scuole vengono chiuse anche da Adolf Hitler in Germania e i suoi libri bruciati dai nazisti.
Maria Montessori ripara prima in Olanda e poi nel corso della Seconda guerra mondiale, in India, dove riprende con forza immutata la battaglia per il valore educativo della libertà e il valore emancipativo dell’educazione. È dall’India che inizia la sua battaglia contro l’«analfabetismo mondiale», convinta com’è che la mancanza di cultura cristallizza le condizioni di povertà e solo l’educazione consente l’emancipazione dei poveri. A guerra finita torna in Italia, ma sporadicamente. La sua terra adottiva è, ormai, l’Olanda. Dove, il 6 maggio1952, a Noordwijk muore.
Non è certo «profeta in patria». Delle oltre ventimila scuole che oggi esplicitamente fanno riferimento al «metodo Montessori» solo 136 secondo un censimento realizzato dall’Università di Roma Tre e aggiornato al 2003 sono in Italia. Contro le 4.000, circa, negli Usa; le 1.140 in Germania, le 800 in Gran Bretagna, le 375 in Irlanda, la 220 in Olanda, le 163 in Svezia, le 150 in Giappone e le 200 in India. La «bella italiana» e il suo progetto di riscatto sociale attraverso la scienza appartengono, ormai, al mondo. Ma, come troppo spesso accade a molti geni italiani e a molte idee di italiani, non appartengono più al loro distratto e irriconoscente Paese.
Con Maria Montessori si chiude il ciclo dedicato agli scienziati italiani che hanno fatto politica. Abbiamo scritto il ritratto di Pontecorvo, Levi, Ciamician, Amaldi
Montalcini, Montessori, Fallaci, donne del secolo
Rita Levi Montalcini, Maria Montessori e Oriana Fallaci. Ecco le tre donne più importanti del secolo secondo un’indagine svolta, in occasione dell’8 marzo, dal giornale online «Quinews.it» su 500 donne italiane, di cui il 50 per cento universitarie.
Al primo posto, con il 35 per cento delle preferenze, Rita Levi Montalcini, la scienziata che fra un mese compie 100 anni. È ricordata per aver vinto il Premio Nobel per la Medicina, nel 1986, e per essere senatrice a vita. Piace per la sua «intelligenza», il suo essere donna «semplice», «non presuntuosa» e «per nulla saccente». Il suo «impegno» umanitario è la cosa che più viene apprezzata dalla intervistate.
Al secondo posto, Maria Montessori, che raccoglie il 30 per cento delle preferenze. Viene ricordata per aver «influenzato» e «segnato» la psicologia e la pedagogia, italiana e non solo, del ’900, come la «prima» e più «importante artefice» dei «metodi per il recupero dei soggetti portatori di handicap», per l’educazione dei bambini delle scuole materne e di quelle elementari, e per essere stata la «prima» donna «laureata» in medicina.
Infine, al terzo posto c’è Oriana Fallaci, che con il 18 per cento delle preferenze è considerata una «grande» scrittrice e giornalista. Molte delle intervistate la ricordano come la «prima» donna ad andare al fronte come «inviata speciale». È ricordata anche per la «caparbietà», «l’intelligenza» e per le «decise», anche se «non del tutto condivise» battaglie «contro l’Islam».
Nell’indagine, al quarto posto, con il 7 per cento delle preferenze, si colloca la «straordinaria» letteraria Grazia Deledda vincitrice del Nobel per la Letteratura nel 1926. Al quinto, con il 6 per cento delle simpatie, si piazza «l’indimenticabile» Anna Magnani, personaggio «popolano», «sensibile» e «generoso».
* l’Unità, 07 marzo 2009
RIFLESSIONE. DANIELE NOVARA: RICORDANDO MARIA MONTESSORI E DON LORENZO MILANI
E’ un anno di ricorrenze educative. Cent’anni fa si apriva la prima Casa dei bambini a Roma, l’inizio della straordinaria vicenda umana e pedagogica di Maria Montessori, forse la donna italiana del Novecento piu’ famosa nel mondo, senz’altro la piu’ grande pedagogista. Una figura purtroppo piu’ amata all’estero che nel suo Paese. Amareggiano i dati sul dimezzamento delle scuole montessoriane in Italia negli ultimi vent’anni, in contemporanea con l’aumento delle stesse in Europa e nel resto del mondo.
Come una forma di rinuncia alle proprie buone pratiche, a una memoria che mantenga del nostro Paese le parti e le persone migliori. Quarant’anni fa un’altra grande esperienza attraversava l’Italia: la Lettera a una professoressa, scritta dei ragazzi della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani. Un documento straordinario che apri’ un dibattito profondo sul rapporto tra istituzione scolastica e benefici sociali, denunciando il sostanziale immobilismo della scuola rispetto alle provenienze socioeconomiche dei propri alunni. Ancora oggi, Lettera a una professoressa potrebbe essere riscritta allo stesso modo o quasi. Ancora oggi, il figlio del dottore e’ al liceo classico e il figlio dell’operaio all’istituto tecnico. Il primo ben avviato verso un’ottima carriera universitaria, il secondo che in forte percentuale mollera’ la scuola giusto col puro e semplice diploma. Anche la provocazione di don Lorenzo Milani resta nel complesso marginale all’interno di quello che oggi e’ il vissuto educativo e scolastico italiano. La scuola raramente e’ artefice di riscatto sociale.
Ma la riflessione che mi sembra piu’ calzante rispetto a questi due importanti anniversari e’ la rimozione nel nostro Paese di una riflessione educativa e di un approccio pedagogico in quanto tale. Recentemente mi sono divertito a scoprire come si possa ultimare un corso di laurea in Scienze dell’educazione senza aver mai sostenuto un esame di pedagogia. Ossia, in diverse citta’ italiane ci si puo’ laureare in Scienze dell’educazione senza la consapevolezza di quella che e’ la pedagogia stessa.
Un altro segnale imbarazzante e’ la chiusura di tutte le case editrici strettamente pedagogiche. Case editrici che, a prescindere dalla qualita’ piu’ o meno ondivaga o alternata, rappresentavano comunque un presidio rispetto al monitoraggio di una serie di confronti, di dibattiti e di approfondimenti comunque necessario per i tanti operatori educativi che da sempre sono presenti nel nostro Paese.
Da ultimo, ma non certo per ultimo, drammatica appare l’assenza da piu’ di dieci anni di ogni forma di formazione o aggiornamento obbligatorio per gli insegnanti della scuola pubblica italiana, come se questi professionisti potessero continuare a svolgere il loro lavoro senza alcun sostegno o rinforzo, senza alcun supporto di riqualificazione che, guarda caso, in tutti gli altri settori lavorativi rappresenta un elemento di qualita’ imprescindibile. * L’interesse che sento verso queste ricorrenze e’ nel ricordare come stiamo vivendo un momento di profonda carenza di riflessione, di ricerca e di confronto pedagogico, e che tutto questo sta provocando gravi conseguenze nella gestione delle nuove generazioni, nei processi di apprendimento, nell’utilizzo pertinente dell’istituzione scolastica ai fini dello sviluppo sociale e civile. Occorre riprendere al piu’ presto, cosi’ come nel resto d’Europa, una vocazione educativa e pedagogica che ha visto attraversare la nostra penisola grandi figure, due le ho ricordate precedentemente, ma si potrebbero segnalarne tante altre che oggi rischiano di essere celebrate piu’ dai nostri vicini europei che non da noi stessi. I tanti libri in lingua tedesca della Montessori e sulla Montessori, ben presenti sugli scaffali delle librerie di oltralpe, ci stanno a ricordare come il futuro dipenda dalla capacita’ di avere consapevolezza del proprio passato.
* Fonte: NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 173 del 6 agosto 2007
[Dal sito www.progettouomo.net riprendiamo il seguente articolo li’ pubblicato il 18 luglio 2007 per gentile concessione del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza, col titolo "Memorie scomode di un’Italia senza sogni. La preziosa eredita’, spesso dimenticata, lasciata da don Lorenzo Milani e Maria Montessori".
Daniele Novara, pedagogista, consulente e formatore, e’ direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza; tra i primi in Italia ad affrontare in maniera organica una formazione improntata all’educazione alla pace, e’ autore e curatore di numerose pubblicazioni e collabora con varie riviste e case editrici; ha coordinato il progetto Citta’ dei bambini del Comune di Piacenza.
Tra le opere di Daniele Novara: con Lino Ronda, Materiali di educazione alla pace, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1984; con Massimo Esposito, La pace s’impara, Bologna, Emi, 1985; con Lino Ronda, Scegliere la pace. Educazione al disarmo, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1986, 1989; Scegliere la pace. Educazione ai rapporti, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1987, 1997; Scegliere la pace. Educazione alla giustizia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1989; Scegliere la pace. Guida metodologica, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1991 (quarta edizione riveduta); (a cura di), L’istinto di pace, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1990; con Francesco Beretta, Anna Martinelli, Il litigio, Bologna, Emi, 1990, 1993; (a cura di), Ricominciare da un libro, Molfetta, La Meridiana, 1993; (a cura di), L’ascolto e il conflitto, Molfetta, La Meridiana, 1995; con Patrizia Londero, Scegliere la pace. Educazione alla solidarieta’, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994, 1997; con Patrizia Londero, Scegliere la pace. Educazione al futuro, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996; L’ascolto si impara. Domande legittime per una pedagogia dell’ascolto, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002-3; con Diego Miscioscia, (a cura di), Le radici affettive dei conflitti, Molfetta, La Meridiana, 1998; con Elena Passerini, La strada dei bambini, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002; con Silvia Mantovani, (a cura di), Bambini ma non troppo, Molfetta, La Meridiana, 2000; con Lorella Boccalini, Tutti i grandi sono stati bambini. Per un uso educativo della convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2000; Obiettivo Solidarieta’, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Giustizia, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Rapporti, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivo Futuro, Torino, Ega-Paravia, 2001; Obiettivi... Guida per l’insegnante, Torino, Ega-Paravia, 2001; con Elena Passerini, Ti piacciono i tuoi vicini? Manuale di educazione socioaffettiva, Torino, Ega, 2003; (a cura di), Memoranda. Strumenti e materiali per la giornata della memoria, Molfetta, La Meridiana, 2003; (a cura di), Abbracci e litigi. Educazione ai rapporti per bambine e bambini dai 2 ai 6 anni, Torino, Ega, 2004; (a cura di), La scuola dei genitori. Come aiutare i figli a diventare grandi, Piacenza, Berti, 2004; Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti, Io non vinco, tu non perdi. Un kit per promuovere l’educazione alla pace e la gestione dei conflitti tra ragazzi, Unicef, Roma 2004; (a cura di), Il genitore che ascolta. La funzione educativa dei padri e delle madri nella costruzione dell’autonomia dei figli e delle figlie, Piacenza, Berti, 2005; (a cura di), Ognuno cresce solo se sognato. Antologia essenziale della pedagogia critica, Molfetta, La Meridiana, 2005; io e... gli altri. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... i diritti. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... la solidarieta’. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005; io e... Guida per l’insegnante. Diventare cittadini - Percorso di educazione alla convivenza civile per il primo grado della scuola secondaria, Torino, Ega, 2005.
Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l’esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera’ il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera’ il processo i cui atti sono pubblicati ne L’obbedienza non e’ piu’ una virtu’. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L’educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l’opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L’obbedienza non e’ piu’ una virtu’, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l’edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell’ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Altri testi ha pubblicato ancora la Lef. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L’insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Segnaliamo anche l’interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta’, supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita’, Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell’aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull’Arno (Pi) - Milano 2002.
Maria Montessori, nata nel 1870 e deceduta nel 1952, medico, illustre pedagogista, antifascista, abbandono’ l’Italia nel 1936.
Opere di Maria Montessori: segnaliamo almeno Il metodo della pedagogia scientifica (poi col titolo: La scoperta del bambino), 1909; L’autoeducazione nelle scuole elementari, 1916; il Manuale di pedagogia scientifica, 1930; Il segreto dell’infanzia, 1950; La mente del bambino, 1952; un’utile antologia (autorizzata dalla Montessori, e curata da M. L. Leccese) e’ Educazione alla liberta’, Laterza, Bari 1950; cfr. anche Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970. Opere su Maria Montessori: segnaliamo almeno F. De Bartolomeis, Maria Montessori e la pedagogia scientifica, La Nuova Italia, Firenze 1953; A. Leonarduzzi, Maria Montessori. Il pensiero e l’opera, Paideia, Brescia 1967; A. Scocchera, Maria Montessori. Quasi un ritratto inedito, La Nuova Italia, Firenze 1990. Siti: www.montessori.edu , www.montessori.it . Un’ampia bibliografia di e su Maria Montessori e’ nel n. 899 de "La nonviolenza e’ in cammino"]
MATURITA’ 2007
BRP1 - ESAME DI STATO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE CORSO SPERIMENTALE - Progetto “BROCCA”
Indirizzo: SOCIO - PSICO - PEDAGOGICO
Tema di: PEDAGOGIA
Il candidato è tenuto a svolgere, a sua scelta, due temi tra quelli proposti:
I
“Il bambino come uomo, questa è la figura che deve imporsi innanzi a noi. Dobbiamo vederla in quella società umana tumultuante, che con eroici sforzi aspira alla «vita». Quali sono i diritti dei bambini? Consideriamoli un momento come «classe sociale», come una classe di lavoratori, infatti essi lavorano a produrre uomini. La generazione futura, sono loro. Essi sono che lavorano, sostenendo le fatiche della crescenza fisica e spirituale. Stanno continuando il lavoro compiuto per pochi mesi dalla loro madre, e ad essi è lasciato il compito più laborioso, più complesso e difficile.
Non hanno nulla quando nascono fuorché delle potenzialità; essi debbono far tutto in un mondo che, a confessione dello stesso adulto, è pieno di difficoltà. Che cosa si fa per aiutarli, così deboli, pellegrini in un mondo sconosciuto? Nascono più fragili e più incapaci di un animale e devono diventare tra pochi anni «gli uomini», devono far parte di una società organizzata, complicata, costruita con lo sforzo secolare d’infinite generazioni. In un tempo in cui la civiltà, cioè la possibilità di vivere bene, è basata sul «diritto» acquistato attivamente e consacrato nelle leggi, che diritti ha colui che viene tra noi senza forza e senza pensiero? Sembra il bambino Mosè disteso nel cestino di vimini tra le acque del Nilo: egli rappresenta l’avvenire del popolo eletto, ma troverà una principessa che, passando di là, per caso, lo veda?”
Maria MONTESSORI, Uno sguardo alla vita del bambino, 1916
− Qual è il significato delle considerazioni svolte in riferimento al momento storico in cui furono scritte? − Oggi, esattamente cento anni dopo l’apertura della prima scuola montessoriana, risultano tuttora attuali? − E rispetto a quali situazioni?
Un metodo di insegnamento celebre, praticato in 22mila scuole: solo 500 nel nostro paese
I responsabili italiani: "Troppi lacci leglislativi e difficoltà a trovare nuovi insegnanti"
E dopo un secolo Maria Montessori
è più famosa negli Usa che in Italia *
di TULLIA FABIANI *
Sono nate in Italia cento anni fa, ma oggi sono diffuse e apprezzate in tutto il mondo. E mentre nel nostro Paese faticano a crescere di numero, negli Stati Uniti proliferano incentivate dal largo consenso dei genitori americani e dagli investimenti economici. Strana sorte quella delle scuole Montessori: le ’Case dei bambinì che da quel 6 gennaio 1907 hanno rappresentato un diverso modello nel metodo di insegnamento, segnando la storia della pedagogia e della didattica.
A distanza di un secolo infatti si contano circa 22 mila scuole sparse in 110 nazioni; più di 3 mila negli Stati Uniti; e circa 500 in Italia, tra nidi, scuole dell’infanzia e classi della scuola primaria.
Perciò se il messaggio di Maria Montessori, che ha visto nel bambino "il nostro maestro anche nei riguardi della sua educazione" e colui che chiede all’adulto di "essere aiutato a fare da solo", non perde smalto e vigore, resta da capire soprattutto perché proprio la situazione italiana si distingue per ’difetto’.
La realtà italiana. "Parliamo di un metodo che è stato una vera rivoluzione e che si sviluppa laddove c’è libertà di insegnamento e dà ottimi risultati in termini di apprendimento - sostiene Pietro De Santis, presidente dell’Opera Nazionale Montessori - . In Italia, dove le nostre scuole sono poche, c’è una disciplina pedagogica dettata dallo Stato, si insegna la pedagogia che lo Stato ha stabilito. E noi ci chiediamo, per quale motivo quando c’è qualcosa di diverso ed efficace deve essere ostacolato o in qualche modo limitato?" Ma non è solo un deficit di sostegno pubblico a preoccupare l’Opera: "In America il privato è molto interessato a investire in strutture riconosciute e apprezzate per la loro qualità, ed è normale che i genitori scelgano scuole a pagamento; questo alimenta un circolo virtuoso. Nel nostro paese invece anche chi ha molti soldi non investe nella cultura - nota il presidente - e ciò si traduce nella mancanza delle scuole e di conseguenza nell’impossibilità di esaudire le tantissime richieste". Perché, a quanto pare, anche i genitori italiani apprezzano il modello montessoriano. E le liste d’attesa per gli istituti che lo applicano continuano a crescere e ad allungarsi.
Le richieste. L’idea della scuola come luogo dove si insegna il rispetto dell’altro, dove il bambino è al centro dell’attenzione, dove sono gli insegnanti ad adeguarsi alla personalità dei bambini e non il contrario, piace. E l’interesse è forte. "Ho insegnato 40 anni in una scuola Montessori - racconta Giovanna Bittoni, maestra in pensione - nel 1966 quando ho cominciato all’istituto Villa Paganini di Roma fuori c’era la fila di genitori e molti nell’attesa si accampavano con le tende. C’era una fortissima attenzione verso il metodo e c’è ancora oggi. Però purtroppo a tale credito non è corrisposta negli anni una crescita dell’offerta". Le limitazioni sono varie: dai costi elevati per la sistemazione degli ambienti e l’acquisto dei materiali didattici, al problema della formazione dei docenti. "Gli insegnanti montessoriani si aggirano sul migliaio - dichiara De Santis - e fatichiamo molto a trovarne altri, probabilmente anche a causa di una mentalità diffusa che non riconosce il valore della formazione".
Il problema degli insegnanti. Questione culturale, ma non solo. I corsi organizzati e gestiti dall’Opera Montessori, durano un anno e sono molto impegnativi e spesso i giovani che li frequentano ed entrano in una graduatoria speciale, poi insegnano altrove. "Mi chiedo perché dopo la specializzazione non li ritroviamo nelle nostre scuole - osserva la maestra Bittoni - forse non sono davvero interessati. Mentre quelli veramente appassionati sono pochi o si trovano in difficoltà per mancanza di pratica". Così data la carenza si attinge spesso alle graduatorie tradizionali, a danno del metodo.
"In realtà non ci sono molte persone che si specializzano - sottolinea Maria Luisa Tirabasso, responsabile dell’organizzazione dei corsi nell’Opera Montessori - e poi c’è un altro problema: la resistenza di vari insegnanti, i quali non vogliono che nelle scuole pubbliche nascano nuove classi dove si insegna col metodo Montessori, probabilmente temono di perdere il posto". È vero che "il percorso per chi vuol insegnare col metodo montessoriano è un po’ più faticoso", ma a differenza dell’America, viene ribadito, "qui l’organizzazione della scuola è più chiusa".
Ad appesantire la situazione si aggiungono le concezioni sbagliate: di chi considera le scuole Montessori rivolte ai bambini con handicap o con problemi psicologici. E di chi pensa che in quelle aule ciascuno può fare quello che vuole, con una libertà pari all’anarchia. "Invece le regole ci sono eccome - evidenziano gli insegnanti - Si tratta di regole di vita e sono fondamentali. Semplici atteggiamenti, fondati sul rispetto; come parlare sottovoce o saper aspettare che un compagno finisca di usare un materiale o un giocattolo, senza capricci. E spiace che queste regole vengano travisate". Secondo gli operatori si tratta di pregiudizi e convinzioni frutto del ’sentito dire’, e chissà che una fiction li aiuti a diffondere l’immagine e il lavoro di Maria Montessori. A farla conoscere e amare da tutti.
* la Repubblica, 24 maggio 2007
Cara "Sognatrice"
... mi fa piacere sentirla così vivamente interessata alla storia della "Grande Maestra"!!! Se vuoi sapere qualcosa in più sul piano biografico, ti segnalo il libro di Marjan Schwegman, MARIA MONTESSORI, edito da Il Mulino (1999). Forse è addirittura questo il testo che ha fatto da "base" al film.
Buona serata e
M. cordiali saluti.
Federico La Sala
Un ritratto controcorrente della pedagogista italiana, oltre l’agiografia ormai consolidata e fatta propria dalla televisione
Maria, teosofia & massoneria
Scoprì l’infanzia, ma subì l’influenza del positivismo e del malthusianesimo eugenetico. E i biografi dimenticano i suoi rapporti con Mussolini. Dopo una prima collaborazione col regime, ruppe col Duce e si trasferì in Olanda, dove morì. Neppure dopo il 1945 tornò in Italia
di Lucetta Scaraffia (Avvenire, 30.05.2007)
Anche se decisamente brutto e fitto di errori storici - in quegli anni non esisteva un ministro della Sanità, né le università ricevevano i contributi di ricerca, per limitarsi a un paio di esempi - lo sceneggiato su Maria Montessori (1870-1952) trasmesso da Canale 5 ha avuto il merito di riportare l’attenzione su una delle italiane più importanti dell’età contemporanea, peraltro poco nota agli italiani stessi, che in genere hanno un’idea molto vaga di colei che viene per lo più ricordata soltanto per essere stata «la signora delle mille lire».
Le ragioni di questa dimenticanza sono molte, e non solo l’assenza di ricerca storica sulle donne, avviata però negli ultimi dieci anni e che ha fornito nuovi e importanti studi sulla pedagogista. Innanzitutto, la sua stessa fama, autocostruita con ferrea autodisciplina e poi difesa a spada tratta dall’associazione pedagogica da lei fondata, l’Opera Montessori, che ne ha diffuso un’immagine agiografica e stereotipata: la scienziata buona e tutta dedita ai bambini, senza vita privata. Una sorta di santa laica, priva di ombre ma anche di spessore umano, e poco radicata nel suo tempo, se non per un generico antifascismo che l’aveva portata a emigrare alla fine degli anni Trenta.
Ricerche recenti (Schwegman, Babini e Lama) hanno ricostruito la pesante contraddizione privata: la scopritrice dell’infanzia che rinuncia ad allevare il figlio illegittimo e, quando a quattordici anni lo riprende accanto a sé, lo presenta come nipote. Questa è anche l’unica novità ripresa dallo sceneggiato, con uno stile fumettistico e molte libertà sulla vicenda reale. Ma vi sono pure il suo importante impegno femminista - la Montessori ha rappresentato il femminismo italiano nel primo convegno europeo del 1899 ed è stata una delle maggiori relatrici al primo convegno femminista italiano del 1908 - e le sue conferenze sull’educazione sessuale, in cui non solo si schierava a favore di una educazione sessuale anche per le donne, ma proponeva un neomalthusianesimo eugenetico sostenuto negli stessi anni da altri medici positivisti, come il celebre Paolo Mantegazza.
Una donna del suo tempo, vivace e intelligente, forse non originalissima nelle sue teorie pedagogiche (che riecheggiavano quelle di altri pedagogisti francesi) ma certo capace di realizzare i suoi progetti e di "vendere" le sue idee. Centrale infatti, per la diffusione del suo sistema didattico, fu l’invenzione dei materiali didattici in legno, da lei escogitati e brevettati. Anche la sua vasta rete di conoscenze internazionali, molto più ampia della comunità scientifica a cui apparteneva come medico e poi come pedagogista d’elezione, fu costruita su scelte politiche - l’internazionale femminista dei primi del Novecento costituiva senza dubbio una élite ristretta ma importante negli ambienti innovatori - ma anche religiose. Nel 1899, a Londra, Maria si era infatti iscritta alla Società Teosofica, che disponeva di ragguardevoli legami internazionali rafforzati da una indubbia vicinanza alla massoneria. L’iscrizione non restò senza seguito: la Montessori tenne la sua prima conferenza americana, nel 1913, nel tempio massonico di Washington e, quando fu bloccata in India dallo scoppio della seconda guerra mondiale, si rifugiò per anni, con il figlio, nel quartier generale teosofico, ad Adyar. E influenze di quella religiosità diffusa e aperta a tutte le religioni, interessata al messianismo femminile, sono evidenti in molti suoi scritti.
Argomento evitato nelle biografie "ufficiali" è il rapporto con il fascismo, anzi con lo stesso Mussolini. All’inizio idilliaco perché il duce era ben consapevole della notorietà della Montessori sul piano internazionale, che voleva riconosciuta anche nel nostro paese, meno aperto alle innovazioni educative. Da questa collaborazione, per qualche anno felice, nacquero la scuola romana sul Gianicolo e un progetto di collaborazione più ampio per la preparazione delle maestre. Ma i due, entrambi accentratori e prepotenti, n on erano fatti per intendersi e dopo qualche anno la Montessori preferì trasferirsi all’estero, dove era ormai nota e amata. Non tornò in Italia neppure dopo il 1945, ma continuò a vivere in Olanda, il paese che si era aperto con maggiore entusiasmo alle sue proposte e dove morì.
Come si vede, è molto più interessante il personaggio storico, nei suoi intrecci con le vicende del tempo, del santino oleografico che ci è stato propinato per anni e che, in modo sgangherato, lo sceneggiato ha riproposto.
Su "chi scrive", "da quale "pulp" parla, e per meglio comprendere il "senso" del discorso, nel sito, si cfr.:
DIBATTITO
La grande pedagoga non fu teosofa e non appartenne alla massoneria, non era favorevole al controllo delle nascite e nemmeno ebbe troppi favori da Mussolini. L’ultima discepola risponde alle accuse
Montessori maestra contestata
«Fu una donna coraggiosa e riservata e lasciò così poche tracce della sua vita che oggi tutti (incluso lo sceneggiato tv) ne inventano dei frammenti»
di Grazia Honegger Fresco* (Avvenire, 05.06.2007)
A nome dell’Associazione Montessori Italia Europa, desidero replicare all’articolo comparso su Avvenire il 30 maggio e firmato da Lucetta Scaraffia.
Anzitutto, se Valeria Babini e Luisa Lama sono storiche di tutto rispetto, non si può dire altrettanto di Marion Schwegman, che ha scritto una biografia della Montessori interessante per certi aspetti, ma non priva di numerose inesattezze e interpretazioni sommarie, come le contiene la biografa americana della Montesori, Rita Kramer, da cui la Schwegman dice di aver attinto. Alla Kramer i Montessori aprirono con fiducia l’archivio di Amsterdam, ma restarono indignati - secondo le parole di Renilde Montessori, nipote della dottoressa - per l’uso che lei ne fece.
Peccato che Lucetta Scaraffia non conosca quanto ha scritto sulla Montessori un pedagogista serio e scrupoloso quale è Emilio Butturini dell’Università di Verona nel suo volume La pace giusta e nella rivista «Note Mazziane» del 1999, in cui riporta un discorso di Paolo VI nel centenario di nascita della Montessori, una donna coraggiosa e riservata che ha lasciato pochissime tracce della sua vita, al punto che tutti sono tentati di inventarne frammenti, non ultimo lo sceneggiato Mediaset appena concluso, che presenta i genitori di lei come gente della ricca borghesia romana o Montesano come suo «maestro», mentre era un collega.
La Scaraffia parla delle «conferenze sull’educazione sessuale» che la Montessori avrebbe tenuto al I Convegno nazionale delle donne italiane. In realtà si tratta di un unico intervento, tenuto il 28 aprile 1908 su «La morale sessuale in educazione» e non so dove abbia preso la notizia che la Montessori «proponeva un neomalthusianesimo eugenetico, sostenuto in quegli anni da altri medici positivisti». Il testo integrale, estratto dagli Atti del Congresso, non parla affatto di controllo delle nascite e di politiche anticoncezionali, ma denuncia a chiare note la doppia morale sessuale sostenuta anche dalle madri di figli maschi e le bugie che si raccontano intorno alla nascita ai bambini, ingannandoli e indebolendo la loro formazione.
Circa il fatto, secondo Schwegman certissimo, che a Londra fin dal 1899 la Montessori avesse dimostrato simpatie per la teosofia e che da questa, secondo la giornalista, derivassero sue simpatie per la massoneria e quindi facilitazioni alla diffusione del suo metodo all’estero, vorremmo far rilevare che teosofia e massoneria erano e sono decisamente agli antipodi dal punto di vista filosofico e pratico, che le prime informazioni giornalistiche in America sulle Case dei Bambini avvennero nel 1908 tramite Alice Franchetti e di qui la notizia della scrittura spontanea precoce che fece arrivare decine di maestre da Paesi lontani al corso del 1913, la stessa notizia che più tardi attirò non poco Mussolini.
Riguardo alla «scuola sul Gianicolo», non era montessoriana, né era stata creata da Mussolini, bensì fin dal 1910 dal sindaco Nathan. La dottoressa, divenuta famosa, negli anni Venti e Trenta ha vissuto a lungo tra Spagna (dove era la famiglia del figlio Mario) e Italia. Dopo il ’34, chiuse tutte le scuole da Mussolini, la Montessori lasciò definitivamente Roma per Barcellona; quando iniziò la guerra civile spagnola fu ospitata con i nipoti dagli amici Laren in Olanda, dove fondò con il loro aiuto una nuova scuola. Nel ’39 Arundale, capo dei teosofi indiani, la invitò a tenere un corso ad Adjar e lì la colse la guerra. In Italia tornò nel 1947, ricevuta in Parlamento; nel ’49 per un grande congresso e qui tenne gli ultimi corsi nazionali e internazionali.
Non più in ottima salute tornò alla fine del 1951 dagli amici olandesi a Nordwijk, non troppo lontano da Amsterdam (sede centrale del movimento) e qui morì. Il suo scopo è stato quello di dare ai bambini piccoli e grandi come agli adolescenti una scuola all’altezza dei loro desideri e interessi, dove fossero felici di andare e di stare insieme. Tutto il pettegolezzo e le ingiuste int erpretazioni intorno alla sua figura non fanno che offuscare il valore delle sue proposte, soprattutto in questo nostro Paese in cui l’istituzione scolastica, sempre più giudicante e selettiva, fa acqua da tutte le parti.
LA REPLICA
Confermo: non era cristiana e sostenne l’eugenetica
La dottoressa credeva che la scienza avrebbe fornito soluzioni a tutti i problemi dell’umanità e sconfitto ogni tipo di «degenerazione»
di Lucetta Scaraffia (Avvenire, 05.06.2007)
Ringrazio Grazia Honegger Fresco per le precisazioni. Il mio articolo su Maria Montessori si è basato sui documenti disponibili, documentazione è ben più ricca di quella conservata dall’opera da lei fondata e dalla famiglia, e io l’ho usata rispettando le regole delle ricostruzioni storiche. Come ha fatto anche Marian Schwegman: ogni storico è poi libero di trarre da queste fonti l’interpretazione che vuole, senza bisogno dell’approvazione della nipote della Montessori o dell’istituzione da lei fondata. E mi sembra un po’ eccessivo qualificare come studioso «serio e scrupoloso» solo chi, come il pedagogista Butturini - che del resto ha studiato il pensiero della Montessori, non la sua vita - non delude le aspettative della famiglia e dei montessoriani.
Venendo alle contestazioni, la Montessori, come quasi tutti i medici di allora - e come il suo collaboratore (nella prima fase) Montesano - era convinta che la scienza avrebbe fornito soluzioni a tutti i problemi dell’umanità e, in particolare, sconfitto quella «degenerazione» che vedeva in atto, «anteponendo le ragioni dell’eugenica a quelle della morale» (così Babini e Lama). Passo decisivo sarebbe stato un mutamento della concezione della maternità grazie alla «scelta cosciente e libera» del proprio compagno come contributo alla rigenerazione della razza. Anche nell’intervento al congresso del 1908 - il primo in Italia sulla questione sessuale - la prospettiva è quella eugenetica (benché il termine non appaia), tanto che la Montessori parla della necessità di compilare le anamnesi degli scolari per rilevare eventuali elementi patologici o degenerativi. Ma non c’è da stupirsi se condivideva, almeno in questo primo periodo, le opinioni più diffuse nel suo ambiente, opinioni che la ponevano in aperta contrapposizione con il cattolicesimo.
Nonostante una generica propensione alla spiritualità, la Montessori infatti non fu mai vicina al pensiero cristiano, come del resto la scelta teosofica - documentata e confermata dalla sua vita successiva - rivela molto chiaramente. Il movimento teosofico, fondato dalla medium russa Helena Blavatskij a New York nel 1875 e diffusosi rapidamente in Europa con regolare espansione almeno fino agli anni Venti del Novecento, si fonda infatti sull’idea che tutte le religioni contengono un fondo comune, segreto, che appartiene al livello superiore di una spiritualità accessibile solo a pochi eletti (i soci più «avanzati»). La teosofia è legata alla massoneria in molti modi: sia dal punto di vista culturale e spirituale sia per legami personali - il cofondatore Olcott era massone e Annie Besant, succeduta alla Blavatskij, ebbe un alto grado massonico nella loggia francese Droits Humains, l’unica aperta anche alle donne - e della massoneria condivideva la generica spiritualità di tendenza orientalistica e le posizioni anticristiane, da cui, poco dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, si distanziò Rudolf Steiner, fautore invece di un cristianesimo esoterico.
Senza dubbio l’adesione alla teosofia allontanò la Montessori dalle posizioni positiviste che caratterizzarono la prima parte della sua attività, ma probabilmente rafforzò la militanza femminista, perché la Società teosofica, in cui più di una donna occupava posti di primo piano, si era sempre schierata a favore delle richieste emancipazioniste, partecipando anche, con uno striscione, alle manifestazioni suffragiste in Inghilterra.
Il rapporto con Mussolini - ricostruito nel 2000 su documenti dell’Archivio di Stato da Giuliana Marazzi - iniziò nel 1923 su precisa sollecitazione del figlio Mario, che si lamentava per la mancata diffusione del metodo in Italia, sperando di trovare appoggio nel nuovo capo di governo. Fino ai primi anni Trenta i rapporti fra Mussolini e la Montessori furono quasi idilliaci, come conferma la loro corrispondenza, che rivela un’ammirazione personale probabilmente reciproca. Ne derivarono sostanziosi frutti: nel 1924 il duce costituì come ente morale l’Associazione Opera Montessori (di cui nominò presidente Giovanni Gentile) e fondò un ramo dell’opera a Milano, dove si tenne il primo corso di formazione nazionale per insegnanti. Presidente onorario del corso fu lo stesso Mussolini, che regalò all’opera 10.000 lire del proprio fondo personale.
Nel frattempo si aprivano scuole che adottavano il metodo montessoriano: solo a Roma, 5 Case dei bambini, a cui nel gennaio del 1929 si aggiunse la Regia scuola del metodo Montessori, corso secondario dove s’insegnava anche cultura fascista. Si moltiplicarono pubblicazioni periodiche dell’opera, mentre già nel 1926 la Montessori aveva ottenuto la tessera fascista ed era divenuta membro onorario del partito. Come ho scritto, nel 1934 si consumò la rottura per le continue ingerenze del partito nella nomina degli insegnanti, e la Montessori e il figlio lasciarono l’Italia. Ma con il duce la Montessori condivideva un forte sentimento patriottico e un culto dell’autorità - intesa certo come meritata autorevolezza - che consentirono una decina di anni di buona collaborazione.
Tutto questo non per infangare la memoria di una grande donna, ma per riportarla alla sua dimensione storica e al rapporto concreto con gli eventi e con le persone del suo tempo, al fine di capire le radici culturali delle sue idee. Per farne un personaggio storico, non un santino.
Caro Federico,
pure a me fa molto piacere che tu sia così interessato alla MONTESSORI ! Come non ricordare che la Montessori trovò proprio in Olanda uno Stato che finanziava ogni tipo di scuola privata, permettendo così, già nel 1930, la nascita di oltre duecento scuole Montessori ?
Cari saluti.
biagio allevato
Messaggio:
sono un educatrice professionale,ho seguito con cura la biografia della grande e degna pedagoga.Anche io HO TANTI PROGETTI RIGUARDANTE I BAMBINI..PERCHè PENSO CHE I BAMBINI RAPPRESENTNO LA CREATIVITà E LA FORZA PURA CHE DISTRUGGE LE CATTIVERIE DI QUESTO MONDO..ORA SEGUO UN BAMBINO CON DISTURBI MOTORI..OGNI GIORNO PER ME è UNA VITTORIA PERCHè SOLO VEDENDOLO SORRIDERE MI DA FELICITà...TANTI SALUTI..
QUALE FESTA PER LA REPUBBLICA? *
di Rosangela Pesenti *
La stanchezza mi tiene a letto più del solito e mi vedo tutta la parata militare per la festa della Repubblica.
Che tristezza!
Se la rappresentazione simbolica della Stato resta ferma all’esaltazione dell’esercito, come nell’Ancien Régime, le istituzioni democratiche non possono che uscirne mortificate e la società di conseguenza non può che arretrare sul piano della convivenza civile.
A scuola insegno che il sistema fiscale, l’amministrazione della giustizia e l’organizzazione dell’esercito fondano lo Stato formato dai sudditi, mentre la scuola, la sanità, la pubblica amministrazione sono le istituzioni che consentono di avviare il processo di passaggio alla cittadinanza. Lo Stato non come luogo difeso ai confini, ma come territorio sul quale abitiamo governato da un patto solidale fondato sull’esercizio dei diritti e tra questi il lavoro, l’istruzione e la salute sono quelli che caratterizzano meglio la vita della democrazia. Per ricordare e festeggiare la nascita della nostra Repubblica, fondata sul lavoro, uscita faticosamente dalla diffusa resistenza alla barbarie della guerra, scelta democraticamente senza decapitare nessun re, nata anche grazie alla capacità della maggioranza del nostro esercito di non agire militarmente ma secondo coscienza, come nel caso di tutti i nostri Internati militari in Germania, vorrei una vera festa in tutto il Paese.
Per un passaggio graduale, e dato che una buona tradizione non si crea dall’oggi al domani, vorrei che intanto insieme all’esercito partecipassero alla manifestazione (non potrebbe più essere solo “parata”) gli addetti alla scuola e alla sanità, insegnanti e bidelli, medici e infermieri, per rappresentare simbolicamente l’inalienabile diritto alla salute e all’istruzione e riconoscere valore sociale a chi se ne occupa; e poi, perché no, sindacati e confindustria perché il valore del lavoro è davvero condiviso se le parti sociali si riconoscono tra loro secondo le buone regole del conflitto, e poi pensionati e disoccupati e magari l’associazionismo e tutte quelle istanze democratiche in cui cresce la vita civile.
A godere lo spettacolo del corteo inviterei giovani e bambini, classi sorteggiate in tutta Italia per guardare come gli adulti che rappresentano l’essere collettività, per imparare da un evento i famosi valori di giustizia e legalità dei quali gli stessi adulti amano riempirsi la bocca (magari senza praticarli come da tradizionale ipocrisia).
Insomma, butto lì qualche idea perché io come cittadina vorrei esserci, non fisicamente, ma riconoscendomi nelle persone che incarnano anche la parte di società a cui appartengo. Non so quanto questa Repubblica debba all’esercito, ma so che deve molto agli insegnanti, perfino a quell’infima minoranza, di cui ci si riempie la bocca per giustificare l’atteggiamento ormai persecutorio dell’opinione pubblica, che pur svolgendo il proprio lavoro al minimo assolve comunque ad una indispensabile funzione di babysitteraggio sociale e che resta comunque malpagata per l’utilità del lavoro che svolge.
Pensate a come sarebbe visivamente creativo introdurre tra un reparto dei carabinieri e uno della marina le insegnanti di scuola dell’infanzia con i palloncini colorati e dietro i granatieri i licei con trolley di libri e insieme ai Generali i Rettori dell’università.
Perché la patria repubblicana e democratica si impara a difenderla cominciando a dire No ad ogni dittatura, imposta con la violenza o con la corruzione e la manipolazione, dalla dabbenaggine di un re o dagli ammiccamenti di un illusionista, e se non si comincia a difendere la libertà e la democrazia a scuola e nelle istituzioni pubbliche non c’è esercito che ci possa salvare, e la storia l’ha ampiamente dimostrato.
Rosangela Pesenti
* IL DIALOGO, Domenica, 03 giugno 2007
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ROMA - I numeri incoraggiano e premiano la sfida. Trentatremila spettatori in tutto, centoquaranta titoli presentati, ventinove anteprime mondiali. Si chiude così il Roma FictionFest, la prima manifestazione dedicata alla serialità televisiva. Una "scommessa vinta, un’intuizione che si è rivelata giusta, con le premesse per continuare questa bella avventura" commenta il direttore del festival, Felice Laudadio. Al termine di una settimana di kermesse, la serata di gala all’Auditorium della Conciliazione, Fabio Fazio e Nancy Brilli maestri di cerimonie, con l’assegnazione dei premi.
Il riconoscimento principale, il Maximo Diamond Award (un trofeo tempestato da 100 carati di diamanti), assegnato dai presidenti delle giurie popolari per le sezioni competitive "miniserie, film tv e serialità", va al britannico Perfect parents di Joe Ahearne. Per la fiction edita (valutata da una giuria di critici stranieri) vince la miniserie di Canale 5 Maria Montessori - Una vita per i bambini di Gianluca Maria Tavarelli, che si aggiudica anche i Maximo Award per la sceneggiatura e per l’attrice protagonista Paola Cortellesi. Nella stessa sezione, miglior attore protagonista è Rolando Ravello per le produzioni Rai Il Pirata - Marco Pantani e Crimini - Terapia d’urto, mentre il premio per la regia va a Michele Soavi per Nassiriya - Per non dimenticare.