lo fanno banche, agenzie e privati. il Wall street journal,: Molti i "miracolati"
«San Giuseppe, aiutaci tu!»
E i "miracolati" vendono le case
Contro la crisi immobiliare riprende piede in America l’abitudine di seppellire la statuetta del santo in cortile
WASHINGTON - «San Giuseppe, aiutaci tu!». Questa è l’invocazione dei proprietari di case, delle agenzie immobiliari e delle banche che non riescono più a vendere gli immobili a causa della crisi dei mutui e che hanno bisogno di realizzare subito per fare fronte ai debiti. Affinché San Giuseppe li ascolti, corrono a comprarne la statuina, qualcuno anche a farla benedire, e la seppelliscono in cortile, in giardino o in cantina. Su come vada a finire non esistono statistiche attendibili, ma a quanto dichiarato dagli interessati al Wall street journal, sovente il Santo li esaudisce.
I "MIRACOLATI" - Alcuni "miracolati" non solo riescono a vendere la casa, ci guadagnano, anche sebbene negli ultimi mesi si siano molto deprezzate. Da sempre in America San Giuseppe, falegname e forse muratore, è il Santo protettore del settore immobiliare. Certe imprese forniscono agli agenti, oltre che la sua statua, anche biscotti di San Giuseppe per possibili acquirenti, una biografia, e via di seguito. L’usanza di seppellirla era limitata ai cattolici, ma nella crisi dei mutui subprime, ossia ad alto rischio, vale anche per i fedeli di altre religioni. Cari Luna, una ebrea convertita al buddismo, ha riferito al Wall street journal di avere concluso un buon affare nel giro di una settimana grazie a San Giuseppe: "E sì che per sei mesi non ho venduto nulla!".
BOOM DI VENDITE - Good fortune online, uno dei fornitori della statuina, è passato da 2 spedizioni alla settimana a 25 al giorno, mentre un negoziante di New York, Richard Weingard, ne ha triplicato le vendite mensili, oltre 400. Il costo varia dai 5 ai 30 dollari a seconda della qualità e delle dimensioni, se San Giuseppe sia solo, lavori il legno o porti Gesù in braccio. In genere, si tratta di statue "made in China" con scritte in inglese. Per buona misura, con quella di San Giuseppe, Good fortune offre adesso anche la statuina di San Giuda, il Santo protettore delle cause perse.
COI FIORI E A TESTA IN GIU’ - James Martin è un gesuita, autore del libro «La mia vita con i santi». Ha spiegato al Wall street journal che secondo la tradizione americana la statuina deve essere interrata a testa in giù, e che chi vuole vendere un appartamento può metterla in un vaso di fiori. La intercessione del Santo sarebbe tanto più probabile quanto più la statua fosse vicina al cartello "in vendita". Lo storico Jaime Lara ritiene che il rito risalga al medioevo, quando chi occupava un lotto di terreno vi erigeva una croce o una statua. E aggiunge che le ragazze da marito seguivano un rito analogo: temevano in casa una statua di Sant’Antonio a testa in giù fino a quando non si sposavano.
Ennio Caretto
* Corriere della Sera, 30 ottobre 2007 (modificato il: 31 ottobre 2007)
Sul tema, in generale, si cfr. nel sito:
DIO: GESU’, MARIA ... E GIUSEPPE, DOV’E’?!
MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI: "VA’ RIPARA LA MIA CASA"!!!
"DEUS CARITAS EST": LA VERITA’ RECINTATA!!!
"IN GOD WE TRUST": TUTTO A "CARO-PREZZO" ("DEUS CARITAS EST"!!!
RIPENSARE L’"AMERICA" E IL SOGNO DEL "NUOVO MONDO".
COPYRIGHT E PIRATERIA VATICANA!!!
Se la casa crolla
di ILVO DIAMANTI (la Repubblica, 02.09.07)
C’è qualcosa di «familiare» - e di inquietante - in questa crisi finanziaria, «esportata» dagli Usa sulle piazze finanziarie di tutto il mondo. Perché il collasso delle borse non è stato prodotto dal crollo di una grande impresa o delle Torri gemelle. Ma dal crollo della «casa». Dalle difficoltà di milioni di americani, incapaci di pagare le rate dei mutui contratti per comprare la loro abitazione. Persone a basso reddito, a cui istituti bancari, assicurativi e altre agenzie hanno concesso «credito», per sostenere il mercato immobiliare, divenuto il principale motore del mercato finanziario, dopo la crisi della new-economy. E perché il rischio era, comunque, diluito, diffuso, polverizzato. Sparso nel mondo, dalle stesse banche, attraverso fondi, bond e altri «prodotti finanziari» derivati. Scaricato, una volta di più, sui risparmiatori, spesso ignari.
Così, l’insolvenza degli americani poveri, incapaci di pagare le rate del mutuo, di mese in mese più pesanti, non solo ha privato loro della casa (si calcola che questo rischio coinvolga circa 2 milioni di persone). Ma ha ridotto i prezzi immobiliari, negli Usa. Ha, inoltre, scosso le borse e i mercati di tutto il mondo. E, con esse, ha minacciato i risparmi di molte persone e di molte famiglie. Infine: ha colpito la «casa» stessa come istituzione. Non ne ha solo ridotto il «valore di mercato», ma anche il «valore sociale». L’ ha «svalutata». E ha reso evidenti le conseguenze che una globalizzazione senza controlli può avere sulla vita e sulla sicurezza delle persone.
Questa considerazione, riteniamo, ha influito in modo determinante sulla decisione di Bush, nei giorni scorsi, di varare misure a favore delle famiglie maggiormente a rischio. Quasi che lo spirito di Keynes fosse tornato a soffiare sugli Usa, dopo anni di ultraliberismo. Più delle possibili conseguenze finanziarie, hanno pesato, a nostro avviso, quelle sociali. E, quindi, politiche. La perdita di consenso, irreparabile, che avrebbe potuto produrre un popolo di «homeless».
La questione, ovviamente, vale a maggior ragione per l’ Italia. Dove l’ importanza della casa assume un ruolo perfino iperbolico. Idealtipico.
a) Oltre sette italiani su dieci, infatti, sono proprietari dell’ abitazione in cui vivono (Dato ricavato, come i seguenti, dall’ Osservatorio sul Capitale sociale di Demos-coop, maggio 2006). Oltre due su dieci ne possiedono almeno un’ altra. Il 13% ha in animo di acquistarne una, nel prossimo futuro (ma il dato risale, appunto, a un anno fa).
b) La casa, infatti, è considerata non solo in quanto «residenza», ambiente di vita. Ma come «patrimonio» che si mantiene, riproduce e trasferisce, di generazione in generazione. Tanto che oltre il 70% sostiene che, in futuro, lascerà o riceverà un’abitazione in eredità. Ovvio che ogni intervento «fiscale», in questo ambito, produca una reazione generalizzata e trasversale.
Dal punto di vista sociale e politico. Lo ha verificato il centrosinistra, al momento del voto nel 2006, quando ha pagato a caro prezzo le affermazioni, incaute, di alcuni leader (in testa Prodi), a proposito delle successioni e di altre tasse sulle abitazioni.
c) La casa è motivo di gratificazione e di distinzione. Il 90% degli italiani se ne dice soddisfatto. Il 20% la ritiene una delle principali fonti di «considerazione sociale».
d) Al di là degli aspetti che riguardano il patrimonio e la condizione di vita, la «casa» è importante dal punto di vista della sicurezza. E’ , infatti, considerata l’ estremo confine tra sé e gli altri. Tra sé e il mondo. Il luogo del «privato», in cui ci si sente liberi. A proprio agio. Sicuri. Insieme ai propri cari. In famiglia. «A casa propria», come si è soliti dire. Per questo motivo, la criminalità definita «micro», dalle statistiche e dagli esperti, per le persone è, invece, «macro». Suscita il massimo grado di inquietudine. Perché colpisce soprattutto le abitazioni. Viola i confini del nostro privato. I limiti della nostra incolumità.
e) Negli ultimi anni, peraltro, l’ importanza della casa è cresciuta. Per reagire all’ insicurezza e alle paure, Le persone si sono asserragliate fra le mura domestiche. Hanno eretto barriere sempre più alte per difendere se stesse e la propria famiglia dal mondo esterno. Recinzioni sorvegliate da sistemi di sicurezza e d’ allarme sempre più sofisticati, cani mostruosi, videocamere, porte e finestre blindate. Ci siamo costruiti da soli la nostra sing-sing quotidiana.
Tuttavia, nessun confine e nessuna barriera può fermare la globalizzazione; può tenere il mondo fuori dalla nostra casa. Dal punto di vista cognitivo, soprattutto. Attraverso i media, che portano il mondo a casa nostra. E ci trasmettono l’ angoscia di avvenimenti drammatici che si ripetono dovunque, nei luoghi più impensati. Senza soluzione di continuità. Peraltro, le tecnologie comunicative ci permettono di tenerci in contatto continuo con persone lontane, nello spazio. Ma ci rendono contattabili e controllabili, a nostra volta. La nostra casa, cioè, riesce sempre più a fatica a «difenderci» dagli altri e dal mondo.
Il problema ulteriore, esploso in questi giorni, è che la casa stessa sta perdendo il tradizionale significato di «rifugio». Da spazio privato e familiare si sta riducendo in un «prodotto». Usato non tanto per trasferire il patrimonio, in famiglia. Di genitore in figlio. Ma per fini speculativi. Il tempo in cui, per costruire la propria casa, le famiglie si affidavano a un’ impresa oppure se le facevano da soli, sfruttando i fine settimana e le ferie, appartengono a un altro millennio.
Oggi le case le costruiscono solo grandi imprese immobiliari, sostenute da istituti assicurativi e finanziari. Erigono palazzi, grandi centri residenziali, interi quartieri. A prescindere dalla domanda «effettiva». Non a caso, le nostre città sono divenute irriconoscibili. Il nostro territorio: incomprensibile. Gli immobiliaristi e i grandi costruttori, da parte loro, hanno conquistato non solo ricchezze, ma un potere inimmaginabile fino a pochi anni fa. Li trovi dovunque. Controllano giornali. Incrociano la politica e la finanza. Il calcio. Condizionano le politiche locali: i piani regolatori e i progetti territoriali. Riempiono perfino le cronache rosa. Esibiscono una visibilità sfacciata.
Oggi, la crisi che ha colpito i fondi legati ai mutui immobiliari maggiormente a rischio marca un passo ulteriore. Agli occhi delle persone, trasforma definitivamente la «casa» in un’entità fantasmatica. Una «attività finanziaria», che appartiene alla categoria «subprime». Ad alto rischio. Può produrre alti rendimenti e, per lo stesso motivo, provocare alti costi. Che si scaricano sui proprietari delle case acquistate «a credito». Ma anche su risparmiatori di tutto il mondo.
Inconsapevoli (come noi, fino a ieri) di cosa siano i subprime. Incapaci, a maggior ragione, di capire perché il loro reddito sia minacciato, eroso, dall’ insolvenza degli americani poveri, non più in grado di pagare il mutuo. Perché, se le case perdono valore negli Usa, ci dobbiamo perdere noi. In Italia. Anche se, magari, non abbiamo mutui e neppure case, ad esclusione di quella in cui viviamo. E’ un cortocircuito cognitivo, che trasforma un bene «rifugio» (in ogni senso) in un male oscuro, prodotto dalla globalizzazione. Pericoloso. Perché sgretola una certezza, un’istituzione sociale. La casa come garanzia per il reddito, ma anche per la condizione personale e familiare. Ma soprattutto, la casa come riferimento della stabilità e dell’integrazione sociale. Rischia di crollare. Di lasciare gli individui soli e vulnerabili ad affrontare il mondo. Senza pareti e senza tetti. Senza muri e senza porte. Senza casa.
L’evoluzione dei mutui NINJA (non garantiti) nel mercato statunitense
la loro diffusione, le cartolarizzazioni a catena, la bolla immobiliare e il collasso
I subprime, dal sogno americano
al crollo della finanza internazionale
Le considerazioni di un’economista piacentina che insegna negli Stati Uniti
"In un mondo sempre più complesso, è indispensabile l’alfabetizzazione finanziaria"
dal nostro inviato ROSARIA AMATO *
TRENTO - E’ tutta colpa del sogno americano. Che, a sentire Annamaria Lusardi, piacentina, docente di economia negli Stati Uniti, al Dartmuth College, non è così diverso da quello italiano: gli americani vogliono una casa di proprietà. E per averla sono disposti a indebitarsi fino al collo, senza calcolarne le conseguenze perché non hanno le conoscenze finanziarie per farlo e perché, e questo sì, li differenzia invece dagli italiani, non hanno alcuna propensione al risparmio. Ma questo non basta per spiegare la disastrosa crisi dei mutui subprime, che ha innescato una recessione dalla quale il mondo stenta ancora a venir fuori.
Per capire come si è arrivati al disastro occorre anche capire come negli Stati Uniti si sono comportati le banche e gli altri istituti finanziari, e anche i governi. In poco meno di un’ora, al Festival dell’Economia di Trento, Anna Maria Lusardi ha ricostruito una sequenza di fatti che resta ancora un po’ oscura. E’ estremamente difficile, ha detto Lusardi, calcolare il prezzo di un mutuo subprime e valutarne il rischio. Su questi titoli strani, estremamente rischiosi, è stato costruito un gigantesco castello di carta che alla fine ha trascinato con sé i sogni e le speranze degli americani, e non solo le loro.
Ma è da lì che bisogna partire, ha sottolineato l’economista. "Solo nel 2004 Alan Greenspan sottolineava come ’l’innovazione ha portato ad una molteplicità di prodotti nuovi, come i mutui subprime’, lodati come uno strumento che permetteva anche ai "soggetti richiedenti più marginali di ottenere un prestito". Nell’ottobre del 2008 lo stesso Greenspan ammetteva: ’Questa crisi si è rivelata molto più grande di quanto avessi mai potuto immaginare. Si è trasformata da una crisi costretta da vincoli di liquidità in una crisi in cui ormai prevalgono i timori di insolvenza’.".
Cosa aveva permesso ai subprime di stravolgere il mercato? "Negli Stati Uniti un mutuo tipico ha la durata a 30 anni, prevalentemente a tasso fisso e finanzia l’80% dell’immobile, pur potendo arrivare al 95%. Per concederlo si valuta il punteggio di credito del mutuatario, il rapporto tra mutuo e valore dell’immobile e tra rata e reddito disponibile, la documentazione sul patrimonio del richiedente", ha spiegato Lusardi.
Al contrario, i mutui subprime si sono evoluti come prodotti ’Ninja’: No income, no job, no asset (il richiedente non era tenuto a presentare alcuna documentazione sul reddito, sul lavoro e sul patrimonio). Prestiti facili, insomma, per favorire chi non avrebbe avuto i requisiti ad ottenere un mutuo con tutte le garanzie del caso. D’altro canto, il subprime è un contratto capestro: "Quello più comune - spiega Anna Maria Lusardi - è il 2-28. E’ un ibrido perché ha un tasso fisso, inizialmente molto basso, che a partire dal secondo anno si trasforma in tasso variabile, di valore ben superiore rispetto a quello di mercato".
I subprime nel ’94 ammontavano a 35 miliardi di dollari, corrispondenti al 5% dei mutui accesi. Ma dal 2000 le cose cambiano, e nel 2005 si arriva a 600 miliardi di dollari, corrispondenti al 20% del mercato. Con percentuali maggiori di anno in anno, dal momento che, man mano che i prezzi delle case salivano, fino a raddoppiare, anche chi avrebbe avuto tutte le credenziali per avere un mutuo ’normale’ preferiva un subprime, per non sottostare alle forche caudine dei controlli.
I subprime venivano poi acquistati e cartolarizzati dalle due agenzie sponsorizzate dal governo federale, Fannie Mae e Freddie Mac: "Lo scopo era quello di incoraggiare l’estensione del credito alle comunità a reddito basso e modesto e sostenere l’acquisto di case di proprietà". Ma dal 2006 i prezzi delle case invertono il segno, con molta più rapidità rispetto all’aumento. Se in cinque anni i prezzi erano raddoppiati, ha ricordato la professoressa Lusardi, in circa due anni si dimezzano, e così gli americani si ritrovano con un mutuo dal valore più alto di quello della casa. Tanto che, a quel punto, "conviene la bancarotta": non ha senso continuare a pagare una casa che vale molto meno delle somme esorbitanti che si è costretti a pagare. Ed è la rovina.
Il resto è storia nota. Le banche in drammatica crisi di liquidità, i discussi salvataggi del governo americano e gli ancora più discussi salvataggi mancati, come quello di Lehman Brothers. Operazioni che non convincono i cittadini americani: la professoressa Lusardi ha mostrato al pubblico di Trento una vignetta nella quale si vede un bagnino con una canotta con su scritto The Fed (Federal Reserve, la banca centrale Usa) che tutto felice porta via dall’acqua un pescecane, ’lenders’ (prestatori, cioè le banche, gli istituti della galassia finanziaria), mentre i mutuatari insolventi affondano disperati nel mare in tempesta.
Cosa si sarebbe potuto fare per evitare tutto questo? Anna Maria Lusardi ha una sua personale ricetta, condivisa peraltro anche da molti economisti italiani: l’alfabetizzazione finanziaria rende i cittadini consapevoli delle proprie scelte, evita che facciano scelte dannose per se stessi e per il mercato. Ma basta per spiegare la crisi dire, statistiche in mano, che i cittadini americani erano e sono (del resto come quelli italiani, anche la Banca d’Italia e l’Abi possono esibire statistiche altrettanto scoraggianti) più che ignoranti in materia finanziaria? Oppure, come ha obiettato uno studente, "è al medico che tocca dire al paziente che cos’ha e quali medicine deve prendere, e non al malato capire i sintomi e farsi una prescrizione?".
"Bisogna iniziare seriamente a porsi il problema di avviare un programma di educazione finanziaria. - ha ribadito con forza Anna Maria Lusardi - Le banche hanno probabilmente dato il via alla crisi e ne sono state coinvolte, dando capitali a prestito a persone che non offrivano sufficienti garanzie. E i broker si sono sicuramente arricchiti alle spalle dei consumatori. Tuttavia la responsabilità è diffusa. In un mondo in cui i meccanismi sono sempre più complessi e cresce il rischio di speculazioni, la conoscenza finanziaria è indispensabile".
* la Repubblica, 30 maggio 2009)
Al Festival dell’Economia di Trento un "tribunale" giudicherà gli studiosi
accusati di non aver seguito gli sviluppi della finanza. Chiesta la condanna a 7 anni
Gli economisti alla sbarra
"Non hanno compreso la crisi"
Applicavano regole vecchie a un sistema che in pochi anni era stato rivoluzionato?
Oppure sono stati Cassandre inascoltate, e le colpe del collasso sono altrove?
dal nostro inviato ROSARIA AMATO
TRENTO - Gli economisti sono colpevoli di non aver previsto la crisi economica innestata dai mutui subprime? Perché non hanno denunciato le anomalie e le distorsioni del mercato che hanno portato alla recessione l’intero pianeta? Perché non avevano le conoscenze necessarie per rendersene conto, è la tesi dell’economista Roberto Perotti, professore alla Bocconi, ex consulente della Banca Mondiale e della Banca Centrale Europea.
A Perotti è toccato l’ingrato compito di sostenere la pubblica accusa nel processo che stamane a Trento, al Festival dell’Economia, si è tenuto contro gli studiosi. La difesa è stata sostenuta da un altro economista, Luigi Guiso, professore all’European University Institute di Firenze, che ha chiamato a testimoniare due colleghi, Nicola Persico e Nouriel Roubini, celebrato proprio perché invece lui la crisi l’aveva prevista eccome, però lanciare l’allarme per tempo non è servito a nulla.
Questo perché, ha sostenuto Guiso davanti alla giuria, costituita da studenti della Facoltà di Economia di Trento, prevedere le crisi non è come prevedere i terremoti: "I collassi finanziari, a differenza delle città, non sono evacuabili". E quindi, paradossalmente, "Se anche gli economisti avessero potuto prevedere la crisi...forse sarebbe stato meglio non dirlo: l’unico risultato che avrebbero ottenuto sarebbe stato di anticipare il collasso".
Accusa e difesa, nel tribunale allestito nella Sala Depero del Palazzo della Provincia, si sono comunque trovati d’accordo su una tesi: la crisi in senso stretto non era prevedibile, nel senso che conoscere il giorno, o il periodo preciso nel quale l’economia subisce un tracollo, uno shock violento, è impossibile, così come lo è conoscere in anticipo il giorno e l’ora di un terremoto. E quindi in questo senso ha torto chi, come hanno fatto anche diversi esponenti politici, punta il dito contro gli economisti.
Ma qui finiscono le analogie tra accusa e difesa. Secondo Perotti gli economisti sono senz’altro da condannare (anche se la condanna chiesta non è troppo pesante, "sette anni di reclusione, perché con meno di cinque anni in Italia non si va neanche in galera, e almeno un anno al fresco gli economisti se lo meritano"), perché, quando la crisi è esplosa, hanno continuato ad annaspare: non ne hanno compreso appieno le ragioni, non hanno saputo indicare le vie per affrontarla al meglio. E la ragione è semplice: non conoscevano a sufficienza, o forse non conoscevano affatto, il mondo della finanza. I subprime e le loro evoluzioni, i problemi legati alla senior tranche, le mille vie delle cartolarizzazioni per cui i titoli diventavano irriconoscibili persino agli stessi emittenti.
Una finanza di carta, misteriosa persino per chi avrebbe avuto tutta la convenienza oltre che il dovere di conoscerla a fondo, dal momento che su essa poggiavano le proprie personali fortune, oltre che le sorti del sistema finanziario e in definitiva dei paesi: i manager delle banche, delle società finanziarie, i broker. Doppia colpa per gli economisti: non aver capito che il bandolo della matassa era stato perso da quegli stessi che avevano iniziato a dipanarla. "Negli ultimi anni c’era stata un’enorme evoluzione del mercato del credito - ha dichiarato Perotti, in un sofferto e interminabile J’accuse, rivolto anche a se stesso ("neanch’io avevo capito niente") - che aveva dato luogo a un vero e proprio sistema bancario ombra, che si finanziava con strumenti nuovi ad alto rischio, a scadenza giornaliera. Al tempo stesso, le banche erano arrivate a detenere una sempre maggiore quantità di titoli cartolarizzati".
Mentre gli economisti dormivano sonni tranquilli, ha ricostruito Perotti, ritenendo che i manager sapessero quello che stavano facendo, e che le istituzioni finanziarie fossero nelle mani di illustri studiosi, a cominciare da Ben Bernanke, a capo della Federal Reserve Usa, il sistema finanziario accumulava tossine che a un certo punto hanno provocato il collasso, unite alla bolla immobiliare. "Non ci eravamo resi conto che questi titoli erano molto più rischiosi di quello che pensassimo". Peggio, neanche le banche se n’erano rese conto: "Credevamo di essersi assicurate, e lo erano, per il rischio singolo, non certo contro un problema sistemico".
Insomma, il mondo era cambiato in pochissimo tempo, e gli economisti applicavano regole pensate per situazioni ormai morte e sepolte, come la Taylor rule, uno dei principi cardine della politica monetaria. "Oltre a non comprendere cosa stava succedendo nel mercato del credito - ha concluso Perotti - siamo stati incapaci di comprendere le conseguenze del tracollo per il mondo dell’economia". E infine, non hanno neanche fatto autocritica. Condanna, senza appello.
Una tesi condivisa dal giornalista Roberto Petrini, che stamane ha presentato al Festival dell’Economia il suo ultimo libro, che s’intitola proprio "Processo agli economisti": "Ci si ostina a considerare la finanza come un mero insieme di dati, di modelli, di equazioni matematiche. Un atteggiamento miope che impedisce di vedere più lontano". E da Nouriel Roubini, che ha sottolineato come è difficile che un economista abbia una visione così ampia che vada dalla macroeconomia alla finanza, l’unica però che avrebbe potuto permettere di prevedere in qualche modo le conseguenze di un mercato drogato.
Ovviamente opposta la tesi della difesa, secondo la quale molti economisti hanno invece previsto la crisi. Soprattutto, l’hanno prevista gli studiosi ai quali le istituzioni finanziarie internazionali avevano dato il compito di monitorare il mercato, a cominciare da Raghuram Rajan, capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale. O la meno famosa Jane Eberly, macroecononista statunitense che diversi anni prima dell’esplosione della crisi aveva pubblicato uno studio dal titolo eloquente: "Il credito al consumo sarà il tallone d’Achille dell’economia americana?". E, tra gli italiani, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Il torto, secondo il testimone Nicola Persico, è di non avere ascoltato queste autorevoli voci, e di essersi affidati invece a soggetti molto meno adatti a dare consigli in materia.
Guiso ha citato economisti che ammonivano i banchieri: "Come si chiede a un padre se sa dove siano i suoi figli, si chiedeva ai senior manager se sapessero chi e dove deteneva i loro rischi". Accusare gli economisti, ha osservato Guiso, fa gioco ai politici: meglio zittire una categoria che non fa altro che pontificare sulla spesa pubblica e sulla politica economica, spesso criticando le scelte di chi governa. Al massimo, ha concluso nella sua arringa, gli economisti si meritano uno scappellotto, non certo una condanna alla detenzione...
La sentenza verrà resa pubblica domani a mezzogiorno. E subito dopo in tribunale la corte giudicherà altre due categorie fortemente sotto accusa per non aver saputo governare la crisi: i controllori e i politici.
* la Repubblica, 30 maggio 2009
Rapporto della Mortgage Bankers Association
Crisi dei mutui, nuovo record di pignoramenti
Crescono dello 0,78% nel terzo trimestre 2007, California e Florida gli stati più colpiti
Sembrano sempre più costruite sulla sabbia, le case degli americani, travolte da una crisi dei mutui che non accenna a placarsi e che porta alle stelle il numero di pignoramenti.
La Mortgage Bankers Association, l’associazione che riunisce gli operatori americani che erogano prestiti ipotecari, ha annunciato ieri che i casi di pignoramento registrati nel trimestre luglio-settembre sono aumentati dello 0,78%, il tasso di crescita più alto mai raggiunto dal 1972, anno in cui la Mba ha iniziato a stilare i propri rapporti. In più, i proprietari in ritardo con il pagamento delle rate del mutuo non sono mai stati così numerosi da 21 anni a questa parte 21 anni a questa parte.
Sono soprattutto le famiglie che hanno acceso un mutuo a tasso variabile ad accusare il colpo: il 4,72% si è dovuto rassegnare al pignoramento, mentre quasi il 19% fatica a pagare le rate nei tempi stabiliti. Nel trimestre precedente, si raggiungevano percentuali rispettivamente del 3,8% e del 17%. Ma le statistiche mettono in luce difficoltà gravi a livello generale: sono insolventi il 5,59% dei proprietari che hanno un mutuo. Secondo la legge, l’insolvenza scatta quando il ritardo nei pagamenti ammonta a 30 o più giorni. California e Florida sono gli stati più colpiti: qui si concentra il 34% dei mutui “subprime” a tasso variabile, i più a rischio di concludersi con un sequestro dell’immobile.
In totale, sono 994mila le case in via di pignoramento: non è detto che tutti i proprietari debbano perdere la propria abitazione, ha sottolineato Doug Duncan, direttore dell’Mba, ma grave che un numero così alto di abitazioni sia anche solo a rischio. All’origine della drammatica situazione ci sono le politiche monetarie semplicistiche, la mancanza di regole chiare e di chi le faccia rispettare, le speculazioni immobiliari, ma soprattutto l’abbandono di qualsiasi principio elementare di prudenza da parte di chi concede i prestiti ipotecari.
Il presidente Bush ha presentato ieri un piano che cercherà di mettere un freno al boom dei pignoramenti, congelando per cinque anni il tasso dei mutui più a rischio: un ottimo inizio, commentano gli analisti, ma la strada verso la guarigione di un mercato agonizzante richiederà interventi più consistenti.
Un verbale di interrogatorio della prima donna che ha "tradito"
la potentissima organizzazione calabrese dopo che le hanno ucciso il figlio
Angela, la pentita della ’ndrangheta
Amante e moglie di boss, ha scelto di parlare
"Ero stimata per capacità e indipendenza. Rifiutai di essere ’battezzata’
ma conoscevo le regole e partecipavo a molte attività"
di FRANCESCO VIVIANO
CATANZARO - Amante e moglie di due boss della ’ndrangheta, ex amica anche dell’assassino del figlio, "affiliata" alla cosca di Lamezia Terme, ora ha deciso di pentirsi svelando 20 anni di storia, misteri ed omicidi anche "eccellenti" alla squadra mobile di Catanzaro. Per la ’ndrangheta, che basa (molto più di Cosa Nostra) la sua forza su strettissimi rapporti famigliari, è un colpo durissimo. Il "pentito" nelle cosche calabresi è una figura rarissima.
Angela Donato è madre di Santino Panzarella, ucciso due anni fa. Venne assassinato perché aveva una "storia" con la moglie di un altro boss della ’ndrangheta che era in carcere. Fu sequestrato e ucciso; il suo corpo fatto a pezzi e gettato in un torrente. Soltanto alcuni mesi fa, grazie alla collaborazione di un pentito, sono stati ritrovati tracce di Santino Panzarella: un osso del piede che l’esame del dna ha permesso di attribuire al giovane. Adesso la donna vive sotto una discreta scorta della polizia. Le "voci" a Lamezia Terme del suo pentimento girano insistentemente e si teme per la sua vita.
Storia di una donna di ’ndrangheta. Ecco il suo racconto fatto agli uomini della squadra mobile di Catanzaro. "Agli inizi degli anni sessanta emigrai da Marcellinara a Lamezia Terme dove conobbi il padre dei miei figli Panzarella Sebastiano il quale era un agricoltore che conduceva un fondo a Marina di Acconia. Invero in quegli anni in Lamezia Terme abitavo presso la famiglia Vescio alla quale prestavo i miei servigi in qualità di domestica. Successe che con Vescio Giuseppe, il quale era un appartenente alla Criminalità Organizzata, intrattenni anche un rapporto sentimentale che mi iniziò alla conoscenza dell’allora compagine criminale lametina".
"Ancor prima alloggiai presso una mia amica il cui compagno era amico della famiglia De Sensi il cui capo, Antonino De Sensi per un certo periodo fu capo dell’intera Criminalità Organizzata lametina. Per suo tramite conobbi Luciano Mercuri, Cadorna, Egidio Muraca e sua moglie, Cannà e tutti i capi dell’epoca dai quali ero visibilmente stimata per le mie capacità e la mia intraprendenza".
La proposta d’iniziazione. "Successe che addirittura mi venne proposto di essere " battezzata" con il rito "’ndranghetistico" ma che effettivamente non fu mai attuato poiché dissi apertamente che volevo essere amica di tutti ma non volevo alcun vincolo verso una persona o un gruppo in particolare e che avevo lasciato il mio paese di origine per un miglioramento delle mie condizioni di vita che non potevo sicuramente trovare negli obblighi che mi avrebbe comportato l’affiliazione ad una famiglia mafiosa. Questa mia presa di posizione sebbene apparisse inconsueta fu tenuta in considerazione per la mia risolutezza e fu comunque talmente apprezzata al punto tale che fui comunque considerata una di loro e quindi partecipavo attivamente seppur con ruoli marginali a tutti i discorsi che riguardavano le loro attività delittuose".
Le regole della ’ndrangheta. "Appresi così fin dalla giovane età, (avevo circa venti anni) le regole con le quali la ndrangheta gestisce gli affari delittuosi che a quell’epoca consistevano soprattutto nel contrabbando di tabacchi. In quell’epoca cominciarono anche i sequestri di persona e qualche omicidio. Essendo inserita in quella famiglia conobbi personalmente i protagonisti dell’epoca tra i quali Cerra Nino, e comunque la famiglia Torcasio di cui vi riferirò in seguito. Per mezzo dell’amicizia di Vescio Giuseppe cominciai anche a lavorare presso l’ospedale civile di Nicastro dove conobbi Sebastiano Panzarella, quest’ultimo del pari di Vescio, inserito nella Criminalità Organizzata . Con Panzarella Sebastiano inizia una convivenza nel suo luogo di origine che era Acconia di Curinga. Panzarella Sebastiano si occupava di contrabbando, di guardianie dei fondi agricoli e comunque aveva buoni contatti con le famiglie criminali di Nicastro. Panzarella Sebastiano riuscì ad ottenere una guardiania molto importante infatti fu "assunto" dalla ditta Asfalti Sintex che stava eseguendo dei grossi lavori stradali da Campora San Giovanni a Serra Aiello. Invero aveva buoni contatti anche con le famiglie criminali di Cosenza che avevano il controllo di quei lavori per cui, sebbene fosse di fuori zona fu favorito per la garanzia di quel cantiere".
La morte del marito. "Panzarella effettivamente subì parecchie vicende giudiziarie e numerosi periodi di detenzione nel corso dei quali tra i processi ed i colloqui in carcere ebbi modo di consolidare i rapporti con i familiari di altri codetenuti e di altri coindagati e quindi, fino alla morte di mio marito avvenuta nel 1985, di conoscere l’evolversi delle compagini criminali, soprattutto di Lamezia Terme e del comprensorio lametino. Infatti con i familiari dei detenuti ci vedevamo spesso alle carceri o in occasione dei processi e quindi da loro stessi apprendevo di che cosa si occupassero le varie famiglie".
Omertà e rispetto. Nei miei confronti non vi erano assolutamente delle riserve poiché godevo della loro massima fiducia in quanto avevo più volte dimostrato che sebbene fossi una donna, avevo saputo tener fede ai vincoli di omertà e mi ero messa a disposizione fattivamente per ogni emergenza. Ad esempio quando abitavamo a Curinga vi fu un grosso traffico di sigarette ed ero io stessa mi occupavo dello smistamento in quanto potevo facilmente eludere i controlli delle forze dell’ordine. Un’altra volta addirittura mi trovai ad accompagnare tre evasi che si chiamavano Scriva, Dattilo e Belvedere e quindi avevo avuto modo di dimostrare che non solo avevo coraggio ma ero una persona per loro affidabile. Peraltro in quel periodo abitavo anche vicino al vecchio Tribunale di Lamezia Terme ed avevo modo di seguire costantemente i vari processi e quindi di incontrarmi con tutti. Per un certo periodo addirittura prestai servizio presso la casa dell’allora Procuratore di Lamezia Terme che era di Cosenza".
Da qui, da queste rivelazioni della donna-boss sono partite numorose inchieste sulla ndrangheta, sulla finta morte di Belvedere e sugli assassini del figlio uno dei quali si è poi pentito.
* la Repubblica, 2 novembre 2007.
Storia di Giuseppe, rovinato dalla mafia. I soldi dell’Antiracket non arrivano
Finché si presenta un uomo che può risolvere il problema in cambio di soldi
Dalle grinfie del racket all’estorsore
ma la mazzetta finisce in televisione
La vittima avvisa le Iene e Repubblica e lo scambio avviene davanti alle telecamere
Manette per il ricattatore che sosteneva di avere agganci importanti alla Guardia di Finanza
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO *
CASTELMELLA (BRESCIA) - "So che sei in difficoltà, i miei amici finanzieri mi hanno detto che ti hanno bloccato il risarcimento del fondo Antiracket per una sciocchezza. Io ti posso dare un mano per sbloccare quei due milioni di euro che devi avere. Ma, sai come vanno le cose, bisogna ungere un po’ di ruote e tutto si mette a posto". La prima conversazione con offerta di aiuto avviene all’interno di una enoteca di Brescia gestita da una vittima del racket che con il primo risarcimento ottenuto, 670 mila euro, aveva abbandonato la sua vecchia attività di imprenditore edile, aprendo la vineria. "Ci vuole poco per avere quei soldi, facciamo quattrocentomila euro: 30 mila subito ed il resto quando il fondo Antiracket ti liquiderà".
Ecco com’è cominciata questa incredibile storia il cui finale, compreso l’arresto in diretta dell’estorsore, è stato filmato e registrata dalle Iene presente anche un giornalista di Repubblica.
Giuseppe Gulizia, 39 anni, originario di Taormina (Messina) alcuni anni fa si era trasferito nel nord Italia cominciando la sua attività di piccolo imprenditore edile. Il lavoro andava bene e negli ultimi due anni non aveva mai smesso di ottenere appalti da enti pubblici e da privati in provincia di Brescia. Un bel giorno però, mentre si trovava in vacanza in Sicilia da suoi genitori, Giuseppe Gulizia venne avvicinato da un boss di Tortorici, capo di una delle più potenti organizzazioni criminali del messinese. Senza mezzi termini il boss, Gaetano Carcione, impose a Gulizia di "assumerlo" nella sua impresa edile insieme ad altri cinque suoi scagnozzi. "Mi minacciarono di morte, che avrebbero ammazzato mia figlia ed i miei genitori ed accettai.
Carcione e gli altri si trasferirono nel bresciano, "ospiti" di Gulizia che li aveva regolarmente assunti nella sua impresa. "Carcione e gli altri non lavoravano quasi mai, fui costretto a pagare gli affitti delle loro abitazioni ed il loro sostentamento per mesi e mesi. Non solo - ha poi raccontato Gulizia agli investigatori - i miei "amici" siciliani, in particolare Carcione, volevano continuamente soldi. Quando cominciai a lamentarmi dicendo che non potevo sostenere queste spese altrimenti sarei fallito, mi puntarono una pistola alla testa e mi dissero chiaro e tondo che loro si sarebbero impossessati della mia impresa".
Poi, per convincere Gulizia che facevano sul serio, cominciarono a compiere attentati ed intimidazioni. Prima bruciarono l’azienda agricola dei suoi genitori in Sicilia, poi gli fecero trovare dietro la porta di casa una tanica di benzina, mentre dai cantieri edili sparivano ruspe e materiali. Il boss ed i suoi uomini non lo lasciavano mai in pace e Gulizia cominciò a realizzare che forse era meglio rischiare e denunciarli alla polizia. Ma non era facile. La goccia che fece traboccare il vaso venne l’estate successiva quando Gaetano Carcione ed i suoi uomini andarono in "vacanza", sempre pagata da Giuseppe Gulizia.
L’imprenditore fu avvicinato da una impresa edile calabrese che gli fece delle proposte di lavoro. "Io accettai l’appalto - racconta Gulizia - ma ben presto mi resi conto di essere finito dalla padella nella brace. Mi accorsi infatti che non erano migliori dei siciliani anche se si offrirono di aiutarmi quando raccontai che ero vittima di estorsioni e che non potevo subire altre richieste. "Non ti preoccupare, ai tuoi amici siciliani ci pensiamo noi".
La trattativa con l’estorsore
Quando tutto sembra finito Gulizia incappa in due incidenti che gli bloccano il pagamento del saldo del Fondo Antiracket. Mentre era in vacanza in Sicilia la polizia compie una perquisizione nell’enoteca di Gulizia e nel bagno del locale trova 23 dosi di hashish. Lui giura e spergiura di non saperne nulla ma viene denunciato e l’Enoteca chiusa. Questa vicenda giudiziaria si chiude ben presto con l’archiviazione e Gulizia comincia a sperare che finalmente potrà riavere gli altri soldi dall’Antiracket. Ma non è così.
"L’associazione antiracket di Brescia mi offre assistenza, mi fa pagare un’iscrizione di 800 euro e mi consiglia di affidarmi ad un altro avvocato. Nel frattempo - racconta Gulizia mostrando fatture ed altre carte - la presidentessa dell’associazione antiracket mi denuncia per estorsione". Cosa era accaduto. Gulizia la racconta così: "La signora Maria Luisa Sacchi, presidente dell’associazione antiracket ha anche una sua azienda privata e nel dicembre del 2007 mi ordina 30 cestini di prodotti siciliani per i regali di Natale ai suoi clienti. Stabiliamo prezzi e quantità e consegno i cestini. Mi paga però soltanto una fattura, la seconda no e quindi chiedo il saldo del conteggio".
Ma la signora Sacchi nell’aprile successivo denuncia Gulizia per estorsione. Conferma di avere ordinato i cestini natalizi di averne pagati una parte e di non avere ricevuto la seconda consegna. Ma agli atti dell’inchiesta sono stati allegati le fatture fornite da Gulizia ed un fax che la signora Sacchi aveva mandato alla banca dell’imprenditore Siciliano (che sollecitava Gulizia a rientrare) rassicurandola che entro poche settimane avrebbe saldato il conto. La vicenda è ancora aperta ed i fondi antiracket sono ancora bloccati.
E’ a questo punto che entra in scena Massimo Ambrosini che non si sa come e perché conosce nei dettagli la storia di Giuseppe Gulizia e si offre come intermediario per accelerare e sbloccare i soldi fermi al Commissariato straordinario antiracket di Roma. "Avevo bisogno di soldi, ma essere vittima di un’altra estorsione per ottenere il risarcimento della prima era troppo ed a quel punto ho fatto finta di accettare l’offerta propostami da Ambrosini: 30 mila euro subito, altri 300 mila dopo il saldo dei quasi due milioni che sarebbero arrivati dal fondo antiracket. I due si incontrano un paio di volte e poi stabiliscono la data per il pagamento della prima "tangente".
A questo punto Gulizia si rivolge alle Iene e a Repubblica. Si decide di andare fino in fondo, riprendere tutto e avvisare i carabinieri. Tutto è pronto: la tangente, 30 mila euro, un anticipo sui 300 mila richiesti, viene sistemata in due buste da lettera. Giovedì scorso l’intermediario si presenta puntuale all’appuntamento a casa di Gulizia.
"Caro Giuseppe è tutto fatto: adesso tu fai una scorta di soldi, 300-400 mila euro che ci consegnerai a me ed agli altri che si stanno dando da fare, quando riceverai il saldo del Fondo di Solidarietà che aspetti da mesi".
Giuseppe chiede ancora garanzie, certezza che quei soldi si sbloccheranno. "Come sai, mi servono. Ormai sono in mezzo ad una strada. Conosci la mia storia ed ho bisogno di riprendere a lavorare. E senza quei soldi non posso fare nulla".
Ambrosini lo rassicura ancora, gli dice che ormai è questioni di un paio di settimane e che questo primo anticipo serve per accelerare il pagamento del saldo. "A Roma sono stati già avvertiti ed avvicinati dai miei amici finanzieri e quindi stai tranquillo" dice Ambrosini che nel frattempo, tra un discorso e l’altro, si scola un bicchiere di vino bianco offertogli da Gulizia. Ambrosini prende le buste ("non controllo perché mi fido di te Giuseppe") e va via non sapendo che tutta la conversazione e le buste con i soldi che si era infilato nelle tasche della giacca, erano state immortalate dalle telecamere nascoste.
Appena fuori Ambrosini si trova davanti quelli delle Iene e di Repubblica. Non sa che dire, poi ammette di avere preso dei soldi da Giuseppe, dice che ha fatto tutto da solo, che non ci sono altri complici e che è pronto a restituirli subito. Nelle buste ci sono solo 100 euro, il resto era carta. Arrivano i carabinieri ed Ambrosini finisce in galera.
L’inchiesta è adesso nelle mani del sostituto procuratore Fabio Salamone che dovrà accertare se Ambrosini abbia agito da solo oppure, come aveva raccontato a Gulizia nei loro precedenti contatti, insieme a due ufficiali della Guardia di Finanza ed un avvocato di Brescia.
* la Repubblica, 1 novembre 2007.
Mutui, allarme di Draghi: troppo cari
Il ministro Padoa-Schioppa:
«Risanamento è ancora lungo» *
ROMA Le famiglie italiane cominciano a faticare a far fronte alle rate del mutuo per la casa. «L’incidenza delle sofferenze sui prestiti per acquisto di abitazioni, ancora bassa, inizia a mostrare segnali di deterioramento. La Banca d’Italia ha sensibilizzato il sistema sui rischi specifici», avverte il governatore Mario Draghi, nel suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio.
La tensione sui mercati Per le famiglie e le imprese, aggiunge il numero uno di Palazzo Koch, «il rialzo dei tassi interbancari si rifletterà in un aumento del costo dei prestiti a tasso variabile, che rappresentano tre quarti del totale dei prestiti a medio e lungo termine». In particolare, sottolinea Draghi, «se le tensioni sui mercati dovessero prolungarsi, gli oneri per i debitori potrebbero diventare significativi. Per le famiglie che hanno un finanziamento indicizzato al tasso Euribor a tre o sei mesi», calcola Draghi, «un rialzo permanente di 50 punti base comporterebbe in media un aggravio del servizio del debito dell’ordine dello 0,6 per cento del reddito disponibile; l’incidenza sarebbe maggiore per le famiglie meno abbienti».
«Un contocorrente bancario costa 130 euro l’anno»Non solo, ma mantenere un contocorrente bancario comincia a costare 130 euro l’anno: Draghi evita qualsiasi confronto internazionale e sottolinea che «la spesa, pur ridotta in media rispetto a un’indagine simile del 2005, effettuata con criteri e finalità in parte diversi, è molto variabile, anche a causa delle diverse caratteristiche di operatività». Il Governatore di Bankitalia parla anche della crisi dei mutui, e usa toni rassicuranti: «L’esposizione diretta dei maggiori gruppi bancari italiani al settore dei mutui subprime statunitensi è limitata».
Padoa-Schioppa: «Risanamento è ancora lungo» Da parte sua, il Ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa ricorda invece che il cammino di risanamento dei conti pubblici «è ancora lungo» ma fa sapere che la prospettiva di riportare il debito al di sotto del 100% del Pil «è a portata di mano». Sono soprattutto le nuove generazioni a dover sostenere il peso del debito: «Sono i primi a soffrire l’assenza di adeguate protezioni sociali per un mondo del lavoro flessibile, a subire la sproporzione tra le pensioni a cui contribuiscono e quelle che riceveranno, a sopportare il depauperamento delle risorse naturali per i mancati investimenti».
Napolitano: «Proteggere i risparmiatori»Nella Giornata mondiale del risparmio, è arrivato anche il messaggio del Capo dello Stato che invita a proteggere i risparmiatori: «Il grande sviluppo dei mercati finanziari - sottolinea - rende indispensabile l’adeguamento della protezione dei risparmiatori attraverso un costante miglioramento del sistema di regole e istituzioni». Sulla stessa linea, il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, secondo cui lo sviluppo finanziario «diventa sostenibile solo se la crescita delle quantità non si combina con una rinuncia della qualità».
* La Stampa, 31.10.2007.
Cauto allarme del Governatore sul tema dell’indebitamento delle famiglie
per l’acquisto di case e beni di consumo. Ancora alti i costi bancari
Draghi sui mutui: "Sofferenze basse
ma ci sono segnali di deterioramento" *
ROMA - Le difficoltà delle famiglie italiane a far fronte a mutui e prestiti, i costi ancora alti dei conti correnti e una maggiore attenzione da parte delle banche alla clientela, un cauto allarme sui prodotti finanziari "derivati" basati sul finanziamento del debito degli enti pubblici. Sono i tre temi affrontati dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi nel suo intervento per l’83esima Giornata mondiale del risparmio organizzata dall’Acri (Associazione delle Casse di risparmio).
Allarme mutui. Le famiglie italiane cominciano a faticare a far fronte alle rate del mutuo. "L’incidenza delle sofferenze sui prestiti per acquisto di abitazioni, ancora bassa, inizia a mostrare segnali di deterioramento. La Banca d’Italia ha sensibilizzato il sistema sui rischi specifici", avverte Draghi. Per le famiglie e le imprese, aggiunge il numero uno di Palazzo Koch, "il rialzo dei tassi interbancari si rifletterà in un aumento del costo dei prestiti a tasso variabile, che rappresentano tre quarti del totale dei prestiti a medio e lungo termine".
In particolare, sottolinea l’inquilino di via Nazionale, "se le tensioni sui mercati dovessero prolungarsi, gli oneri per i debitori potrebbero diventare significativi. Per le famiglie che hanno un finanziamento indicizzato al tasso Euribor a tre o sei mesi", calcola Draghi, "un rialzo permanente di 50 punti base comporterebbe in media un aggravio del servizio del debito dell’ordine dello 0,6 per cento del reddito disponibile; l’incidenza sarebbe maggiore per le famiglie meno abbienti".
Draghi sottolinea che l’indebitamento delle famiglie per acquisto di abitazioni, seppure in crescita, resta basso" con un’incidenza sul pil "poco più di un terzo della media europea" e un "rapporto tra il valore del mutuo e quello dell’immobile basso". Se in Italia, prosegue il governatore, "tipologie contrattuali simili a quelle dei mutui subprime statunitensi sono poco diffuse, l’attività del settore si sta però espandendo rapidamente"
In particolare, aggiunge il Governatore "tra il 2002 e il 2006 i mutui alle famiglie sono cresciuti a ritmi quasi doppi rispetto alla media europea. Si sta innalzando il rapporto tra prestito e valori dell’immobile. Le banche hanno cominciato a offrire soluzioni specifiche a nuove fasce di mutuatari, come lavoratori atipici ed extracomunitari". E per questo "la Banca d’Italia ha sensibilizzato il sistema su rischi specifici".
Conti correnti. Mantenere un conto corrente in Italia costa in media 130 euro all’anno. La stima è stata fornita dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio. Il numero uno di Palazzo Koch cita un’indagine condotta dall’istituto centrale su circa 4.500 conti tenuti presso più di 130 banche, per oltre il 70 per cento intestati a persone fisiche.
L’inquilino di via Nazionale evita qualsiasi confronto internazionale. Sottolinea invece che "la spesa, pur ridotta in media rispetto a un’indagine simile del 2005, effettuata con criteri e finalità in parte diversi, è molto variabile, anche a causa delle diverse caratteristiche di operatività; il 25 per cento dei conti con il minor numero di operazioni annue costa in media 70 euro, contro i 218 del 25 per cento con maggior numero di operazioni".
Alle banche Draghi chiede di "continuare a migliorare l’informazione fornita alla clientela. Trasparenza delle condizioni, concorrenza fra banche, attenzione per la clientela, consapevolezza di quest’ultima", afferma il governatore, "contribuiscono alla riduzione dei costi; possono e devono stimolare ulteriori progressi".
Problema derivati. Mario Draghi invita le banche a fare attenzione nel trattare strumenti derivati con gli enti locali. "Alla fine di agosto", rileva il numero uno di Palazzo Koch nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio, "il debito degli enti locali per operazioni in derivati era circa pari a un miliardo; poichè gli enti più grandi ricorrono spesso a intermediari esteri, questo valore sicuramente sottostima il fenomeno".
Per questo, "da tempo la Vigilanza ha richiamato le banche ad accertare la piena aderenza delle operazioni con gli enti locali alle norme che li regolano, che consentono l’uso dei derivati solo a fini di copertura dei rischi, e che permettono l’indebitamento solo per finalità definite. Gli amministratori, dal canto loro", prosegue Draghi, "devono agire in modo consapevole.
I derivati sono utili per gestire determinati rischi finanziari; non devono essere usati per migliorare temporaneamente i flussi di cassa addossando oneri, in modo non trasparente, alle amministrazioni future".
Da tempo, afferma il Governatore, la vigilanza "ha richiamato le banche ad accertare la piena aderenza delle operazioni con gli enti locali alle norme che li regolano, che consentono l’uso di derivati solo ai fini di copertura dei rischi, e che permettono l’indebitamento solo per finalità definite".
Dal canto loro gli amministratori locali "devono agire in modo consapevole": i derivati, infatti, sono utili per gestire determinati rischi finanziari e non per migliorare "temporaneamente i flussi di cassa" scaricando gli oneri sul futuro.
* la Repubblica, 31 ottobre 2007.