Vaticano
Il papa con il copyright
Il vaticano sta lavorando a un provvedimento con il quale si intende tutelare con il diritto d’autore testi, fotografie, immagini e registrazioni della voce dei papi, e gli atti della Santa sede. La notizia è apparsa ieri sul «Sole 24 Ore». Il quotidiano scrive che nel testo, pronto tra un paio di mesi e scritto rifacendosi alla legge dello stato italiano, sarà previsto che per utilizzare libri, immagini e registrazioni audio, salvo eccezioni stabilite nel regolamento, servirà un’autorizzazione e sarà possibile esigere il pagamento delle royalties. Della stesura del provevdimento si sta occupando la Libreria editrice vaticana.
il manifesto, 11.02.2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.
GRECIA - Una sede della "Caritas greca". |
"Deus caritas est". La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento
di red (www.unita.it, 25.01.2006)
«Dio è amore, chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». «Solo il matrimonio riflette l’amore di Dio» e «uno Stato senza la giustizia è una banda di ladri». Della prima enciclica di papa Ratzinger (Deus caritas est) che parla dell’amore di Dio e del concetto di carità cristiana nel mondo d’oggi, forse è prudente non citare molto più. È infatti coperta da copyright e la Libreria Editrice Vaticana ne detiene tutti i diritti, come li detiene su tutte le parole scritte dal papa.
Secondo le norme emanate dal Segretario di Stato Angelo Sodano qualche mese fa (volute fortemente da Ratzinger) qualunque altro editore voglia pubblicare questa o un’altra enciclica (oppure un’esortazione apostolica, o un discorso) deve pagare. Anzi deve presentare prima un progetto di edizione alla Lev (il rapporto fra testo dell’enciclica e commento dovrebbe essere di 1 a 2: 1/3 del volume occupato dal documento e 2/3 dal commento teologico/filosofico) e poi deve pagare. E neppure poco: dal 3% al 5% del prezzo di copertina di ogni copia venduta con anticipo da concordare caso per caso in base alla tiratura. Fatti i calcoli, le parole del papa più costose sono proprio quelle scritte nelle encicliche, le meno costose quelle pronunciate nei discorsi, Angelus, catechesi del mercoledì, allocuzioni varie.
Ma non è tutto. Il copyright che fa delle parole di papa Benedetto XVI delle vere e proprie merci a pagamento ha anche un valore retroattivo. Secondo le norme della Santa Sede «sono sottoposti a copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa. Sia di quello felicemente regnante che dei predecessori, fino a 50 anni addietro».
E a questo punto la domanda che sorge spontanea è quella relativa ai diritti d’autore sulle parole del precedessore di Ratzinger, Giovanni Paolo II. Solo in lingua inglese sono 2.770 i titoli di libri che portano la sua firma, oltre mille in lingua spagnola, intorno ai 370 quelli in italiano. Per queste innumerevoli edizioni e traduzioni verranno reclamati nuovi diritti d’autore? In Vaticano, a quanto pare, nessuno lo sa o nessuno vuol dirlo.
«Ci verrebbe voglia di chiedere al Vaticano i danni economici per tutti i libri posti all’indice e dei quali è stata impedita la diffusione, a cominciare dal Dialogo dei Massimi Sistemi di Galileo - ha commentato con ironia l’antropologa Ida Magli - La retroattività vale soltanto per i Papi?’.
Comunque sia gli effetti del copyright voluto da Ratzinger hanno già dato i primi risultati economici per la Santa Sede. Alla casa editrice Baldini & Castoldi, che aveva usato in un’antologia un testo di Papa Ratzinger (tra l’altro di trenta righe e precedente alla sua elezione a Pontefice), è già arrivata l’ingiunzione a pagare 15 mila euro per i diritti di copyright a cui dovranno aggiungere la percentuale sul prezzo di copertina per ogni copia venduta dell’antologia.
DIO E’ SPIRITO, AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8). SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.
LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL’INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un’analisi di Giancarlo Zizola, con note
(...) Von Balthasar, era molto netto (...). Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» (...)
FAME NEL MONDO?! CIBO MATERIALE E CIBO SPIRITUALE: UNA SOLA GRANDE SPECULAZIONE TEOLOGICO-POLITICA ED ECONOMICA! La Conferenza della Fao e l’intervento di Benedetto XVI. Una nota sull’evento - con appunti sul tema
L’AMORE EVANGELICO ("CHARITAS") O L’AMORE DI MAMMONA ("CARITAS")?! LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
LESLEY-ANNE KNIGHT, STRITOLATA DALLA LINGUA BIFORCUTA DEL VATICANO, HA COMINCIATO A CAPIRE CHE "IL CUORE CHE VEDE" SOLO LA RICCHEZZA ("CARITAS") NON VEDE LE PERSONE E NON HA ALCUNA GRAZIA DI DIO ("CHARITAS"). Il suo discorso di congedo all’Assemblea generale della Caritas Internationalis lo scorso 27 maggio.
"Ma faccio fatica a paragonare me stessa con un imperatore romano o di un presidente americano!", ho protestato. “Forse no - ha risposto il mio amico - ma devi comunque ringraziare di non essere stata assassinata”. Sono stati una fonte di stress questi ultimi mesi, ma non sono questi i ricordi che voglio portare con me al momento di lasciare.
Giallo sul nuovo libro del papa
di Piergiorgio Odifreddi *
Oggi sono andato in libreria a comprare il libro del papa. Il libraio mi ha riconosciuto, e mi ha mostrato una sedicente “Lettera di embargo” che la RCS Libri aveva mandato nei giorni scorsi a tutti i librai.
Poichè la cosa ha dell’inusuale, oltre che del ridicolo e del paranoico, la riproduco qui, nonostante fosse ovviamente da tenere “segreta”.
Buona lettura, e buona meditazione!
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Milano, 1 marzo 2011
Oggetto: Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger - Benedetto XVI [d’ora in avanti, l’Opera], data di embargo 10 marzo 2011
Gentile libraio,
qualora riceviate il volume in oggetto prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi informiamo che le copie che Vi abbiamo consegnato sono soggette a embargo sino a quella data. La motivazione dell’embargo è la salvaguardia dei contenuti editoriali ed il rispetto del primo giorno di Quaresima, ovvero il primo giorno liturgico “forte” a carattere battesimale e penitenziale che coincide con il 9 marzo 2011.
Questo significa che nessuna copia dell’Opera o anche solo il suo contenuto o parte di esso può essere messa in vendita o comunque divulgata prima del 10 marzo 2011.
Quindi, qualora le copie Vi siano arrivate prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi chiediamo tassativamente di rispettare la data di messa in vendita e, data l’eccezionalità del caso, di impegnarVi affinchè:
1) fino alla data di embargo i volumi, all’interno delle Vostre strutture, siano mantenuti in un luogo sicuro, accessibile solo al personale autorizzato, sottoposti a controlli adeguati per evitare accessi non autorizzati;
2) gli impiegati delle Vostre strutture siano a conoscenza della natura confidenziale dell’Opera e del vostro impegno a mantenere l’embargo;
3) nessuno, inclusi partner, direttori, impiegati, agenti e altre figure professionali che accedono alla Vostra struttura abbia accesso al contenuto dei volumi;
4) non vengano copiati in alcuna forma, nè riprodotti, nè stampati, nè comunicati, nè pubblicati e nè divulgati in alcun modo i contenuti dell’Opera, nè vengano autorizzati terzi a compiere alcuna delle suddette operazioni.
Vi chiediamo inoltre tassativamente di informare immediatamente la Direzione Commerciale RCS Libri di qualunque tentativo effettuato di rottura di questo embargo di cui possiate venire a conoscenza o di qualunque divulgazione o fornitura non autorizzate di parte o tutti i contenuti dell’Opera. Qualora si verifichi questa circostanza dobbiamo avere da Lei piena collaborazione alle azioni che noi, a nostra discrezione, riterremo opportune per impedire ulteriori danni derivanti da violazioni dell’embargo.
Questa Lettera di embargo contiene i termini integrali del nostro accordo relativo all’Opera e alla sua divulgazione e sostituisce ogni accordo verbale o scritto precedente relativamente ad essa. I termini di questa Lettera di embargo rimangono confidenziali a prescindere da eventuali rotture dell’embargo da parte di terzi.
RingraziandoVi per la Vostra sollecita collaborazione, Vi salutiamo cordialmente
Angela di Biaso
Direttore Commerciale Divisione Libri
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Nessuna spiegazione razionale mi viene in mente.
Posso solo immaginare che, scambiando Ratzinger per Dan Brown, si volesse proteggere il segreto sull’esistenza o meno di un assassinio nel romanzo, e sul nome dell’eventuale assassino. E correre ai ripari in caso di rottura dell’embargo, cambiando il finale.
E posso solo ricordare che, mentre la lettura del libro doveva essere impedita per rispetto del Mercoledì delle Ceneri, il papa offrirà a RaiUno un’intervista sullo stesso il Venerdì Santo, che ovviamente non è così degno di rispetto.
Misteri della fede ...
* IL NO-SENSO DELLA VITA. BLOG DI PIERGIORGIO ODIFREDDI - Scritto venerdì, 11 marzo 2011 alle 00:21
Il Gesù storico secondo Ratzinger
di Vito Mancuso (la Repubblica, 11 marzo 2011)
Nel primo libro su Gesù pubblicato nel 2007 Benedetto XVI chiedeva ai lettori «quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione». Aveva ragione, perché occorre essere ben disposti verso l’autore di un libro o di una musica, come verso ogni persona che si incontra, per poter adeguatamente comprendere. È necessario però capire bene il senso della simpatia richiesta dal pontefice: nell’ambito teologico in cui si colloca non si tratta di un semplice sentimento, il quale peraltro c’è o non c’è perché nasce solo spontaneamente. Simpatia va intesa qui nel senso originario di patire-con, coltivando un comune pathos ideale. La domanda quindi è: qual è il pathos che ha mosso Benedetto XVI a pubblicare due volumi su Gesù di oltre 800 pagine complessive, di cui oggi arriva in libreria il secondo che riguarda, recita il sottotitolo, il periodo «dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione»?
La preoccupazione del Papa concerne il problema decisivo del cristianesimo odierno, a confronto del quale i cosiddetti "valori non negoziabili" (scuola, vita, famiglia) sono acqua fresca: cioè il legame tra il Gesù della storia reale e il Cristo professato dalla fede. Senza scuole cattoliche il cristianesimo va avanti, senza leggi protettive sulla famiglia e la bioetica lo stesso, anzi non è detto che una dieta al riguardo non gli possa persino giovare. Ma senza il legame organico tra il fatto storico Gesù (Yeshua) e quello che di lui la fede confessa (che è il Cristo) tutto crolla, e alla Basilica di San Pietro non resterebbe che trasformarsi in un museo. Nella fondamentale premessa del primo volume, una specie di piccolo discorso sul metodo, il Papa si chiede "che significato può avere la fede in Gesù il Cristo (...) se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa", domanda retorica la cui unica risposta è "nessun significato" e da cui appare quanto sia decisiva la connessione storia-fede.
Chiaro l’obiettivo, altrettanto lo è il metodo: «Io ho fiducia nei Vangeli (...) ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio»; concetto ribadito nella premessa del nuovo volume dove l’autore scrive di aver voluto «giungere alla certezza della figura veramente storica di Gesù» a partire da «uno sguardo sul Gesù dei Vangeli». Il Papa fa così intendere che mentre l’esegesi biblica contemporanea perlopiù divide il Gesù storico reale dal Cristo dei Vangeli e della Chiesa, egli li identifica mostrando che la costruzione cristiana iniziata dagli evangelisti e proseguita dai concili è ben salda perché poggia su questa esatta equazione: narrazione evangelica = storia reale. Questo è l’intento programmatico su cui Benedetto XVI chiede la sua "simpatia".
Peccato per lui però che in questo nuovo volume egli stesso sia stato costretto a trasformare il segno uguale dell’equazione programmatica nel suo contrario: narrazione evangelica ? storia reale.
Il nodo è la morte di Gesù, precisamente il ruolo al riguardo del popolo ebraico, questione che travalica i confini dell’esegesi per arrivare nel campo della storia con le accuse di "deicidio" e le immani tragedie che ne sono conseguite. Chiedendosi "chi ha insistito per la condanna a morte di Gesù", il Papa prende atto che "nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze": per Giovanni fu l’aristocrazia del tempio, per Marco i sostenitori di Barabba, per Matteo "tutto il popolo" (su Luca il Papa non si pronuncia, ma Luca è da assimilare a Matteo). E a questo punto presenta la sorpresa: dicendo "tutto il popolo", come si legge in 27,25, "Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù?".
Sono parole veritiere e coraggiose (per le quali sarebbe stato bello che il Papa avesse fatto il nome dello storico ebreo Jules Isaac e del suo libro capitale del 1948 Gesù e Israele, purtroppo ignorato), ma che smentiscono decisamente l’equazione programmatica che è il principale obiettivo di tutta l’impresa papale, cioè l’identità tra narrazione evangelica e storia reale.
Alle prese con uno dei nodi più delicati della storia evangelica, il Papa è stato costretto a prendere atto che i quattro evangelisti hanno tre tesi diverse, e che una di esse «sicuramente non esprime un fatto storico». Se questa incertezza vale per uno degli eventi centrali della vita di Gesù, a maggiorragione per altri. Ne viene quello che la più seria esegesi biblica storico-critica insegna da secoli, cioè la differenza tra narrazione evangelica e storia reale.
Significa allora che tutta la costruzione cristiana crolla? No di certo, significa piuttosto che essa è, fin dalle sue origini, un’impresa di libertà. Non è data nessuna statica verità oggettiva che si impone alla mente e che occorre solo riconoscere, non c’è alcuna "res" al cui cospetto poter presentare solo un’obbediente "adaequatio" del proprio intelletto, non c’è nulla nel mondo degli uomini che non richieda l’esercizio della creativa responsabilità personale, nulla che non solleciti la libertà del soggetto.
La libertà di ciascun evangelista nel narrare la figura di Gesù è il simbolo della libertà cui è chiamato ogni cristiano nel viverne il messaggio. Se persino di fronte ai santi Vangeli la libertà del soggetto è chiamata a intervenire discernendo ciò che è vero da ciò che "sicuramente non esprime un fatto storico", ne viene che non esiste nessun ambito della vita di fede dove la libertà di coscienza non debba avere il primato (compresa la libertà di non prendere così tanto sul serio l’etichetta "valori non-negoziabili" apposta dal Magistero alla triade scuola-famiglia-vita). Affrontare seriamente la figura di Gesù, come ha fatto Benedetto XVI in questo suo nuovo libro, significa essere sempre rimandati alla dinamica impegnativa e responsabilizzante della libertà
Ma dov’è oggi il vento della Chiesa?
di Angelo Bertani (Europa, 11 marzo 2011)
Voci di disagio nella chiesa italiana. Ma è un disagio che è anche indice di speranza che si possa cambiare, uscire dal pantano. Già qualche anno fa Luigi Bazoli, fra i protagonisti del cattolicesimo democratico a Brescia, la cui moglie fu tra le vittime di Piazza della Loggia, scriveva: «Il pericolo più grave non è quello che viene da fuori, bensì un male oscuro che insidia da dentro le istituzioni. È un appannarsi dei valori ideali, è lo scivolare della vita politica su binari di interessi corporativi inconfessabili, è una montante mediocrità di comportamenti civili, amministrativi, politici, che allontana i giovani dalla vita pubblica, e diffonde sfiducia e scetticismo. Se resta povera di ideali, di rigore morale nella vita pubblica, ogni democrazia si corrompe».
Del resto, un laico cristiano come Nando Fabro, già ai tempi in cui finiva la prima repubblica e si cercava di dar vita a nuovi partiti, scriveva: «Vorrei un partito che prima ancora di proporsi di migliorare la società si proponesse di migliorare i suoi aderenti». Oggi la sfida è tutta qui. Non è solo la politica a preoccupare. Don Angelo Casati, scrittore e teologo, ricorda don Michele Do, altro profeta del cristianesimo conciliare, nella rivista Il Gallo (febbraio 2011), confessa il suo timore che nella Chiesa stia venendo meno il vento della libertà e dello Spirito. Ricorda le parole di Gesù e scrive: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non si sa di dove viene e dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito. Ma adesso dov’è il vento nella Chiesa? Io l’ho respirato a pieni polmoni nel Concilio; oggi mi manca l’aria».
Accanto al disagio anche segni di speranza. Difficoltà e sfide suscitano un impegno a capire e proporre pensieri e comportamenti nuovi. I vescovi lombardi, vincendo le tentazioni del silenzio, hanno confessato un forte disagio per la situazione socio-politica, per i temi e i toni del dibattito pubblico, per l’inquietudine diffusa. Il vescovo di Brescia Luciano Monari per la festa dei patroni Faustino e Giovita (15 febbraio) aveva diffuso una bella lettera sui temi dell’immigrazione (Stranieri, ospiti, concittadini) disegnando un progetto di accoglienza certamente molto diverso da ciò che le scelte amministrative della Lega vorrebbero imporre anche in luoghi di radicata ispirazione cristiana. Si tratta infatti di mettere in luce la contraddizione tra lo spirito evangelico e una politica gretta ed egoista. Ilvo Diamanti (Aggiornamenti sociali, febbraio 2011) l’aveva scritto: «La Chiesa in questi anni è stata nell’insieme troppo realista e molto divisa, non soltanto nei confronti della Lega ma di tutto il centro-destra, creando un forte disorientamento nei fedeli e lasciando troppi margini di strumentalizzazione ai singoli partiti».
I guasti del denaro, ultimo totem
di Salvatore Bragantini (Corriere della Sera, 19 febbraio 2011)
Il libro di Vittorino Andreoli, Il denaro in testa (Rizzoli), fa ripensare al peso di questo fattore, nefasto ma sempre mutevole. Tutta la storia dell’uomo narra le violenze fatte e le angherie subite, nel nome dei suoi grandi totem: il denaro e le religioni. Dio e Mammona hanno sempre trovato nel potere i loro modi di sontuosa convivenza; nel reciproco interesse. Alla fine, Andreoli elenca i bisogni veri dell’uomo: la sicurezza, l’amore, la continuità della vita attraverso i figli, la serenità e la gioia (più necessarie della libertà, scrive, e viene in mente l’arringa a Gesù del Grande Inquisitore) e così via.
«Per nessuno di questi bisogni serve il denaro, semmai aiuta a soddisfarli meglio». È questo, però, il problema. Certo, le società moderne sono tanto disossate da far dire a Margaret Thatcher (che ci ha messo del suo): «La società non esiste». Non credo però che, neanche in quell’era dorata che ci pare il nostro Rinascimento, si vivesse come in un’orchestra nella quale, «se tutti sono adeguatamente coordinati e danno il loro contributo all’insieme, la vita può diventare l’esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven».
Da tempo, certo, il denaro deborda ben oltre i limiti propri di una convivenza ordinata. Da quando la società anonima ha circoscritto le responsabilità degli investitori, sono partite innovazioni che hanno rivoluzionato la vita; la ricchezza mobiliare fa a meno della terra, onde l’aristocrazia traeva potere e ricchezza. Ciò aumenta il numero dei ricchi, quindi la paura di diventare poveri; è chi sta male a sperare di stare meglio. I guadagni sono celati, le perdite lamentate in pubblico.
La finanza ha messo il turbo ai guadagni privati e alle perdite che le crisi finanziarie addossano al contribuente; se si può anticipare l’incasso anche di anni lontani, la tentazione di vendersi il vitello in pancia alla vacca mina il futuro. Ma il passato, aureo o no, non tornerà. Fra il 1950 e la metà degli anni Settanta gli eccessi del denaro non erano così visibili e dannosi. Le disuguaglianze erano minori. Le paghe dei megamanager avevano un rapporto con il loro lavoro, erano cinquanta volte quelle dei loro dipendenti, non cinquecento o mille; la deontologia professionale reggeva. Ciò costava nell’immediato, ma la reputazione era fonte di guadagni futuri; gli auditor non certificavano bilanci falsi per tenersi il cliente, le banche - settore sonnolento - non concedevano mutui farlocchi da rifilare a sprovveduti, vogliosi di strappare un lacerto di carne. La fine dello spauracchio comunista allentò le difese del capitalismo, mostrandone il volto peggiore; gli incassi immediati contarono più della reputazione.
I giudizi di Andreoli su finanzieri e imprenditori paiono a volte troppo tranchant; se (quasi tutti) sono mossi dalla maledetta fame di denaro, accostarli ai criminali è un po’ forte. E magari non è il mondo a essere mutato, ma la maggior esperienza di vita a mettere a nudo la realtà. Poco praticabili sono poi alcune sue ricette: sarebbe sì desiderabile che la psicologia dettasse all’economia la «giusta distribuzione dei compiti e dei mezzi... tenendo conto delle differenze, degli impegni e delle necessità di ognuno».
I tanti tentativi in tal senso della politica, tuttavia, pur ispirati alle migliori intenzioni, dicono che l’economia di mercato è il peggior allocatore delle risorse, a parte gli altri sistemi: come quella democrazia che con lei si è sviluppata, ma che dai suoi eccessi è messa a rischio. Ignoriamo gli esiti di una grave crisi che di quelle disuguaglianze s’è nutrita e deve ancora dispiegare le sue conseguenze economiche, sociali e politiche; la difesa, coltello fra i denti, della ricchezza impaurita ci darà forse brutte sorprese.
La direzione presa dal sistema negli ultimi trent’anni - più economia di business che di mercato - può farci tornare al punto di partenza; con la democrazia che conserva le forme ma trasmuta in aristocrazia, non della terra ma del denaro. Se per essere eletti servono troppi soldi, vince il più ricco o chi meglio si vende ai vested interest; con l’aiuto, troppo ignorato, di una tv che ha prima unito l’Italia, poi sfibrato gli italiani.
Le parole di Andreoli evocano nel lettore la sapienza laica - per cui è sventurato l’uomo che non dona e muore ricco - e religiosa: dalla «preghiera semplice» di Francesco - «È dando che si riceve» - al Vangelo: «Eppure vi dico che nemmeno Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come i gigli del campo». Se hai bisogno di aiuto, si dice, chiedilo a un povero, lui ti aiuterà.
La ricchezza ci chiude, invece di aprirci al dono; fortunato chi per la cruna dell’ago sfugge a questa morsa. La povertà oggi diviene peccato, dice l’autore; peggio, il governo la considera spesso reato. Chi nasce povero ha più probabilità di restarlo oggi che nello scorso secolo breve.
La meta dell’uguaglianza dei punti di partenza, topos della democrazia liberale, che è morta con la tassa di successione, va risuscitata; deve però cessare l’atomizzazione dei saperi, deprecata dall’autore, per cui gli intellettuali più non leggono i libri di economia. Le colpe sono equamente ripartite, ma ricordiamolo: Adam Smith insegnava filosofia morale, non econometrica.
Il benvenuto alla “Ratzinger Academy”
di Philippe Clanché
in “www.temoignagechretien.fr” del 21 dicembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
Luce del mondo, il libro-intervista di Benedetto XVI con il giornalista tedesco Peter Seewald è già un successo di libreria. La sua prima apparizione a La Procure di Parigi, sabato 27 novembre, si è esaurita in poche ore. Bayard éditions annuncia una tiratura di 63 000 copie.
Trattandosi di un successo planetario, alcuni osservatori si sono chiesti quale uso avrebbe fatto Benedetto XVI dei suoi diritti d’autore. La vita austera e laboriosa dei papi moderni non offre loro molte possibilità di spendere i loro soldi in cose futili.
Le persone vicine al papa hanno trovato la risposta. La metà dei guadagni di questo libro, così come dei precedenti - ossia già 2,5 milioni di euro - sarà destinata alle opere di carità del pontefice. L’altra metà servirà per una struttura cui è stato dato avvio in marzo e che è stata annunciata il 26 novembre: la Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (1). La sua finalità sarà quella di sostenere gli studi sul pensiero del teologo divenuto pontefice.
Il comitato scientifico della Fondazione, presieduto dal cardinale Camillo Ruini (ex vicario di Roma ed ex presidente della conferenza episcopale italiana) avrà tre competenze: “Determinare gli obiettivi annuali e pluri-annuali, nonché i suoi criteri di funzionamento, in seguito fissare le regole di eccellenza per i premi da attribuire agli studenti selezionati per i loro lavori, organizzare infine iniziative culturali e scientifiche” (2).
Il cardinal Ruini, che in febbraio avrà 80 anni, ha detto di volersi dedicare in modo particolare all’attribuzione dei “Premi Ratzinger”, a partire, spera, dal 2011. Il prelato ha espresso, imprudentemente, l’idea di una sorta di “Premio Nobel di teologia”. Dopo tutto, l’insieme dei campi della ricerca accademica non è interamente coperto dagli esperti del Comitato Nobel. Si parla effettivamente della celebre medaglia Fields come di un Premio Nobel di matematica.
È comunque interessante ricordare ciò che rappresentava fino a poco tempo fa il nome di Joseph Ratzinger per la ricerca teologica. Si sa che il prelato tedesco ha diretto con fermezza per un quarto di secolo la Congregazione per la Dottrina della fede.
Dal 1981, è stato quindi lui a provvedere affinché le idee che si allontanavano poco o tanto dalla linea ufficiale romana fossero marginalizzate. È stato lui a proibire l’insegnamento e/o la pubblicazione delle opere di alcune decine di teologi considerati sovversivi.
Insomma, non è esagerato dire che la sua concezione della parola “ricerca” non era necessariamente quella comunemente accettata nel mondo accademico. Ma non faremo qui l’elenco di tutte le vittime di questo venerabile censore, che fu forse per Giovanni Paolo II ciò che Fouché fu per Talleyrand. Gli interessati possono fin d’ora immaginare le tematiche di ricerca privilegiate dalla nuova fondazione. Progetti tipo “Dalla fine del nascondimento alla nuova evangelizzazione, il ritorno di Dio contro la secolarizzazione” saranno indubbiamente sostenuti più di altri.
Ma non si sa mai. Dato che siamo ottimisti, proponiamo allo studio alcuni temi su cui i nostri futuri “Nobel” di teologia potranno indagare: “Monaco 1978-1981 ovvero le tribolazioni di un valente insegnante nella sua dura missione di pastore diocesano”, “La normalizzazione delle teologie alternative negli anni ’80”, “L’accusa di marxismo e l’assassinio delle teologie della liberazione”, “Clericalismo: la piaga romana”, “Tommaso d’Aquino, studio di una totemizzazione teologica”...
(1) Esiste già a Monaco un’altra “Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”.
(2) Il comitato scientifico comprenderà anche i cardinali Bertone e Amato, nonché i segretari delle Congregazioni per l’Educazione cattolica e per la Dottrina della fede.
I beni comuni ripensano la democrazia
di Paolo Cacciari (il manifesto , 26.11.2010)
Un nuovo spettro si aggira sul mondo: la socializzazione dei beni comuni. Moltitudini inquiete stanno imparando a riconoscerli. Alcuni gruppi hanno cominciato a rivendicarne l’uso. Altri sperimentano già forme di gestione fuori mercato. Commons movment lo si trova tra le popolazioni indigene delle foreste dell’Amazzonia e nei Free Culture Forum ( digital commons) delle principali città europee, come è nelle innumerevoli vertenze contro il saccheggio del territorio e nei movimenti per una agricoltura contadina, nelle reti di economie solidali e nei gruppi che fanno cooperazione decentrata, nei movimenti per l’acqua pubblica e per la giustizia climatica. Rivendicano l’accesso alla conoscenza, la sovranità alimentare e non solo, l’autonomia nella gestione dei propri bisogni e dei propri desideri.
I beni comuni sono stati sdoganati nel mondo scientifico dagli studi del primo premio Nobel donna per l’economia Elinor Ostrom. Sono entrati nelle Costituzioni nazionali grazie all’Ecuador di Evo Morales. Sono osservati e studiati da sociologi e politologi grazie al lavoro di Paul Hawken che ha creato un gigantesco database (www.wiserearth.org ) delle organizzazioni che se ne occupano. Da ultimo sono stati rilanciati da un convegno della fondazione Heinrich Böll Stiftung: " Costructing a Commons-Based Policy Platform", che si è svolto a Berlino i primi di novembre (materiali preparatori, documento finale reperibile nel loro sito e persino un piccolo cartone animato sta girando su: youtube.com/watch?v=WT6vbAu_UjI ) con il contributo anche di studiosi e attivisti italiani come Giovanna Ricoveri e Marco Berlinguer.
Cosa accomuna questi movimenti? La scoperta dell’esistenza di beni naturali, cognitivi, relazionali che sono di tutti e non appartengono a nessuno: res communes omnium. Beni speciali, doni del creato e lasciti delle generazioni precedenti di cui tutti necessitiamo e di cui tutti dobbiamo poter beneficiare. Elementi primari, basici. Scrive la fondazione Heinrich Böll: «I beni comuni sono la precondizione di tutti gli obiettivi sociali, inclusi quelli ambientali». Beni e servizi che nessuno può dire di aver prodotto in proprio e che quindi nessuno può arrogarsi il diritto di possedere, comprare, vendere, distruggere. Alcuni, gli ecosistem service, sono semplicemente indispensabili alla preservazione di ogni forma di vita: atmosfera, acqua, suolo fertile, energia, cicli trofici. Altri, i beni cognitivi, sono indispensabili a connettere le relazioni umane: lingue, codici, saperi, istituzioni sociali. Inoltre, vorrei sommessamente ricordare che il sole, l’aria, il territorio, le parole... non sono solo pannelli fotovoltaici, turbine, suolo edificabile, linguaggi tecnici per ottimizzare la produttività sociale, ma anche profumi, fragranze, paesaggi, creatività. Ingredienti anch’essi diversamente utili alla preservazione della salubrità mentale di ciascuno di noi.
Chi decide quali sono i beni comuni? L’attività stessa di commoning (come l’ha battezzata Peter Linebaugh), le pratiche di cittadinanza attiva ( Engin Isin), il fare comunanza, condividere conoscenze, risorse, servizi rendendoli accessibili a tutti. I beni comuni sono ciò che la società stessa sceglie di gestire collettivamente. I beni comuni hanno una essenza naturale ed una sociale. Oggi, da noi, è l’acqua. A dicembre a Cancun sarà di scena il clima. Nelle università e nei centri di ricerca è in gioco la libertà di ricerca. Nei territori colpiti dalla crisi economica è il lavoro (come ha ben scritto la Fiom sui manifesti della manifestazione del 16 ottobre). Pezzo dopo pezzo, momento per momento, i beni comuni sono i tasselli di una idea di società che si prende la libertà di pensare al dopo-crisi o, meglio, al dopo crisi di civiltà e di senso che stiamo vivendo.
Il riconoscimento, la rivendicazione e la gestione dei beni comuni rappresentano un rovesciamento dei criteri con cui siamo abituati a pensare il mondo. Dentro i parametri dei beni comuni natura e lavoro non sono più utilizzabili come "carburante" nei processi di produzione e di consumo, fattori da sacrificare all’imperativo della massima resa del capitale investito, ma come il fine stesso dello sforzo cooperativo sociale che deve essere mirato alla rigenerazione delle risorse naturali (preservandole il più a lungo possibile, adoperandosi per rallentare, non per incrementare, l’entropia naturale del sistema) e alla realizzazione della creatività umana, consentendo a ciascuno di apportare un contributo utile al proprio e all’altrui benessere. Niente di meno che una trasformazione delle relazioni sociali a partire da un cambio di modello dell’idealtipo umano assunto come riferimento da qualche secolo a questa parte: da egoista, individualista, proprietario a consapevole, cooperante.
Proviamo ad elencare alcuni capisaldi della società dei beni comuni. Essa richiede una salto nell’orientamento del diritto: gli oggetti naturali possono essere titolari di diritti legittimi indipendentemente dagli utilizzatori. Nemmeno lo Stato può essere considerato sopra le leggi che presiedono la conservazione della biosfera che costituisce un patrimonio non disponibile, inviolabile. A Cancun si parlerà della proposta di istituire un tribunale internazionale di giustizia climatica e ambientale. L’orizzonte del diritto tradizionale e della democrazia liberale verrà messo in discussione.
Un salto nelle concezioni filosofiche che regolano la scienza con la rinuncia al dominio assoluto dell’uomo padrone e signore sulla natura. La vita sulla terra non è frazionabile, serve una ricomposizione tra bios ed ethos. Le scienze cosiddette post-normali mettono in discussione il riduzionismo e il meccanicismo.
Una idea radicale di democrazia orizzontale, non gerarchica, in cui le comunità abbiano la libertà di disporre dei beni di riferimento a loro afferenti. Un’idea di democrazia che va oltre il concetto di sovranità e di proprietà. Nessun "interesse generale", nessuna "maggioranza", nessuna "superiore razionalità tecnica" può giustificare il dominio su altri, la distruzione di beni irriproducibili e insostituibili, unici, come lo siamo ognuno di noi.
Qualche tempo fa, rispondendo a Carla Ravaioli, Guido Rossi si lamentava: «Basta capitalismo. Ma con che cosa lo si sostituisce? Nessuno ha un’idea in testa» ( il manifesto 31.10.2010). Lo stesso concetto ha sviluppato Slavoj Zizek: «Siamo letteralmente sommersi da requisitorie contro gli orrori del capitalismo: giorno dopo giorno veniamo sommersi da inchieste giornalistiche, reportage televisivi e best-seller che ci raccontano di industriali che saccheggiano l’ambiente, di banchieri corrotti che si ingozzano di bonus esorbitanti mentre le loro casseforti pompano denaro pubblico, di fornitori di catene prêt-à-porter che fanno lavorare i bambini dodici ore al giorno. Eppure, per quanto taglienti queste critiche possano apparire, si smussano appena uscite dal loro fodero: mai infatti rimettono in discussione il quadro liberal-democratico all’interno del quale il capitalismo compie le sue rapine». ( Le Monde Diplomatique, novembre 2010). Ecco, seguire l’idea della gestione collettiva dei beni comuni può servire a costruire un progetto concreto dell’alternativa possibile.
DENARO E PARADISO: AGLI INIZI DEL MODERNO - A BOLOGNA, NEL 1257, IL DENARO SERVIVA PER RESTITUIRE LA LIBERTA’ AI SERVI E ALLE SERVE DELLA GLEBA, OGGI A ROMA SERVE PER ASSERVIRE BAMBINI E BAMBINE, UOMINI E DONNE LIBERE. Cfr.:
VATICANO
Il Papa riceve il presidente dello Ior
"Attestazione di stima e di fiducia" *
Fonti della Santa Sede riferiscono di un "incontro al baciamano, davanti a molti testimoni", e lo definiscono "un modo per sottolineare pubblicamente la vicinanza e il sostegno del Pontefice". Gotti Tedeschi -insieme al direttore dello Io, Cipriani- è indagato dalla Procura di Roma per omissioni legate alla normativa anti-riciclaggio
CITTA’ DEL VATICANO - Viene interpretato dai più in Vaticano come una "evidente attestazione di stima e fiducia" da parte del Papa per il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi 1, in questi giorni sotto inchiesta 2, il breve incontro che i due hanno avuto questa mattina. "L’incontro al baciamano, davanti a molti testimoni - osservano fonti riservate - è stato chiaramente un modo per sottolineare pubblicamente, a soli cinque giorni dalla notizia dell’indagine avviata dalla Procura di Roma, la vicinanza e il sostegno da parte del Pontefice all’economista e banchiere scelto pochi mesi fa per guidare l’Istituto Opere religiose 3 in un percorso di totale e irreversibile trasparenza".
Benedetto XVI ha ricevuto Gotti Tedeschi dopo la preghiera dell’Angelus a Castelgandolfo. L’economista era accompagnato dalla moglie e ha presentato al Pontefice il libro Denaro e paradiso. I cattolici e l’economia globale, da lui scritto con Rino Cammilleri con una prefazione del segratario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone.
Il presidente dello Ior e il direttore, Paolo Cipriani, massimi responsabili della banca vaticana, sono indagati dalla Procura di Roma per omissioni legate alla normativa antiriciclaggio. A loro si contesta di non aver fornito indicazione sulla tipologia di due movimentazioni di danaro, 20 milioni di euro destinati all’istituto di credito tedesco J.P. Morgan Frankfurt e 3 milioni alla Banca del Fucino, depositato in un conto presso la sede romana del Credito Agricolo.
In sostanza, lo Ior non avrebbe comunicato per conto di chi (ossia se in proprio o per terzi) avrebbe disposto il trasferimento di quelle somme. Ciò, in base ad una normativa antiriciclaggio del 2007, configura una violazione. Sulla vicenda, sono stati ascoltati alcuni esponenti del Credito Artigiano la cui segnalazione ha messo in moto l’Unità di informazione finanziaria (Uif), con la sospensione delle operazioni, definite "sospette", per cinque giorni, e successivamente la Procura della repubblica.
Gotti Tedeschi "è tranquillissimo", riferiscono le stesse fonti, e "attende serenamente di essere ascoltato in Procura", il che accadrà "entro la settimana".
* la Repubblica, 26 settembre 2010
Lo straordinario business dei pellegrinaggi cresce del 20% all’anno. Aerei selezionati conventi a 5 stelle. E l’extraterritorialità consente guadagni esentasse
Turisti nel nome di Dio
un affare da 5 miliardi
di CURZIO MALTESE *
DAL BLOG di papa Ratzinger, ufficioso ma benedetto dal Santo Padre, si legge: "Nell’era del low cost, l’Opera Romana Pellegrinaggi si adegua". La ricerca di Dio si affida a voli rigorosamente a basso costo. Il Boeing 707-200 della flotta Mistral, fondata nel 1981 dall’attore Bud Spencer, e ora targato Orp, è decollato il 27 agosto da Roma con destinazione Lourdes. I pellegrini, 148 fra i quali l’invitato Luciano Moggi, hanno intrapreso il viaggio spirituale supportati da una guida d’eccellenza: il cardinale Camillo Ruini. Il rettore della Pontificia Università Lateranense ha elargito la sua benedizione ai devoti. All’ingresso, le hostess in completo giallo e blu, spilla del Vaticano e fazzoletto giallo al collo, accolgono i passeggeri e li accompagno al posto. Sul poggiatesta si legge: "Cerco il tuo volto Signore".
È nato insomma con un lancio pubblicitario in grande stile l’accordo fra il Vaticano e la Mistral nel settore del turismo della fede. Per una "ricerca di Dio con voli rigorosamente a basso costo", la Chiesa si affida al testimonial Luciano Moggi, all’epoca già rinviato a giudizio, e alla chiacchierata compagnia delle Poste Italiane. La Mistral, fondata da Bud Spencer e salvata durante il governo Berlusconi con un’operazione giudicata fuori mercato perfino da alcuni parlamentari della destra e ancora oggi avvolta nel mistero.
Un’interrogazione del deputato di An Vincenzo Nespoli sul perché le Poste sborsavano fino a quindici volte il valore nominale delle azioni Mistral, per fare oltrettutto concorrenza all’Alitalia in crisi, non ebbe mai risposta dal governo. Il patto fra Mistral e Opera Romana Pellegrinaggi per trasportare il primo anno 50 mila pellegrini italiani verso i santuari d’Europa e Terra Santa, con la previsione di arrivare a 150 mila nel 2008 (centocinquantesimo anniversario dell’apparizione di Fatima) non è che la punta dell’iceberg di un affare gigantesco: il turismo religioso. Quasi sempre esentasse.
Il turismo è il primo settore commerciale del mondo per espansione, terzo per margini di profitti dietro il petrolio e il traffico di armi. In Italia, una delle principali mete del pianeta, la chiesa cattolica è di gran lunga il dominus del settore. Secondo l’indagine Trademark la chiesa cattolica controlla ogni anno un traffico di 40 milioni di presenze, 19 milioni di pernottamenti, 250 mila posti letto in quasi 4 mila strutture. Il volume d’affari supera i 5 miliardi di euro all’anno, il triplo del fatturato dell’Alpitour, primo tour operator italiano. In cima alla piramide organizzativa del turismo cattolico sta l’Opera Romana Pellegrinaggi, che ha convenzioni con 2500 agenzie e una rete con migliaia di referenti sul territorio.
L’Opr è presieduta da Camillo Ruini, Vicario di Roma, con Liberio Andreatta già amministratore delegato e ora vice presidente, alle dirette dipendenze della Santa Sede. A fianco dell’Opr svolge un ruolo importante l’Apsa, l’amministrazione patrimoniale della Santa sede, che gestisce gli immobili della Chiesa e spesso gli utili alberghieri. Entrambe le società hanno sede nella Città del Vaticano, godono dunque di un regime di extraterritorialità che significa in pratica non dover presentare bilanci e sfuggire alle leggi italiane in materia fiscale, di igiene, prevenzione eccetera.
In più, in tutte le convenzioni fra l’Orp e i clienti, esiste un comma (16) che rimanda "per tutte le eventiali controversie" alla "legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano". E qual è la legge fondamentale della Città del Vaticano? Questa, che su qualsiasi controversia legale, civile o penale, l’ultima parola spetta al Papa. Il turista cattolico o no, ma in ogni caso al novanta per cento cittadino italiano, che volesse reclamare contro il servizio offerto, dovrebbe dunque aspettare la parola definitiva del Santo Padre. Nonostante questo, lo Stato italiano favorisce in vari modi l’Orp, patrocinata anche dal ministero delle Comunicazioni.
L’extraterritorialità del resto è una regola piuttosto diffusa per le attività commerciali della Chiesa, come nella sanità privata. L’ospedale pediatrico romano del Bambin Gesù, per fare un esempio, notissimo ai genitori della capitale, riceve numerosi finanziamenti statali e della Regione Lazio. Ma né l’amministrazione statale né quella regionale hanno il potere di rivedere gli accordi col Bambin Gesù perché ogni modifica deve essere trattata direttamente dal ministro degli Esteri con il Vaticano.
In un settore ricco e in forte espansione come il turismo, l’extraterritorialità si traduce in un formidabile ombrello fiscale. Non si tratta soltanto dell’Ici non pagata per alberghi, ristoranti, bar di proprietà degli enti ecclesiastici. Ma anche del mancato gettito di Irpef, Ires, Irap e altre imposte. Su questo lungo elenco di privilegi fiscali, non soltanto sull’Ici, la commissione europea ha chiesto da tempo chiarimenti al governo italiano. I lavoratori delle "case religiose", sempre più spesso veri e propri alberghi rintracciabili sul circuito commerciale normale, sono spesso suore o preti o volontari o legati da contratti anomali di collaborazione. Quindi la Chiesa non deve pagare le imposte sul lavoro dipendente.
Nel sito della Cei, a questo proposito, si legge negli ultimi tempi una ricorrente lamentela per il fatto che, visti gli indici di crescita, la catena turistica religiosa deve ricorrere sempre più spesso al personale "esterno". "Il personale esterno non garantisce le stesse prestazioni" di suore e preti, pretende di essere pagato per gli straordinari e cerca di introdurre tutele sindacali. Sia pure con i limiti enormi di libertà imposti dalla giurisdizione pontificia. I privilegi fiscali della Chiesa si traducono in un vantaggio sulla concorrenza e nella possibilità di praticare prezzi fuori mercato.
Se il settore turistico cresce ovunque in Italia, l’espansione di quello religioso ha tratti spettacolari, con un aumento di quasi il venti per cento all’anno.
Nel volgere di quattro o cinque anni il volume d’affari potrebbe sfondare il tetto dei 10 miliardi di euro. Non si tratta soltanto di turismo "povero" o "low cost". "Sono ormai un centinaio i monasteri-alberghi entrati nei network Condè-Nast, Relais & Chateaux o Leading Hotel of the world" scrive il Sole 24 Ore. Ma si tratti di due, tre, quattro o cinque stelle, i prezzi sono sempre inferiori alla concorrenza, grazie alle minori spese.
Abbiamo parlato nelle puntate scorse dell’hotel delle Brigidine, 190 euro a notte, ma in una zona dove un quattro o cinque stelle costa quasi il doppio. I casi soltanto nella capitale sono decine. Dai Carmelitani di Castel Sant’Angelo, che offrono camere con frigobar, tv satellitare e aria condizionata a 120 euro, fino ai "tre stelle" a 60 o 70 euro. La spendida abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano costa 300 euro, ma è un cinque stelle a tutti gli effetti. Lo stesso vale per le celebri Orsoline di Cortina e per il monastero di Camaldoli nell’aretino, mete di turismo intellettuale, culturale e politico d’alto bordo.
Se si scende al livello del turismo di massa, i prezzi calano ma il fatturato esplode. E lo stato italiano favorisce in ogni modo. Con le esenzioni e con i finanziamenti diretti. I 3.500 miliardi di lire versati dall’erario alla Chiesa per il Giubileo sono serviti in buona parte a riorgazzare la rete di accoglienza turistica. Ma quella pioggia di soldi non si è mai davvero fermata. In varie forme, governo ed enti locali continuano a sovvenzionare la rete alberghiera religiosa. Per il rilancio dell’antica Via Francigena, che nel medioevo collegava Roma a Canterbury, l’ultimo finanziamento statale è stato di 10 milioni di euro.
Ma bisogna aggiungere le centinaia di contributi degli enti locali. Visto il successo, l’Orp ha deciso di rilanciare anche altri pellegrinaggi: il Commino di Sigerico, da Milano a Roma; la Via dell’Est, che da Venezia attraversa Romagna e Umbria; l’antico cammino del Sud da Roma a Otranto. L’ultimo con un passaggio d’obbligo al santuario di San Giovanni Rotondo, il cui boom turistico ha messo di gran lunga in secondo piano le recenti rivelazioni sui dubbi di Giovanni Paolo XXIII a proposito della santità di Padre Pio, i suoi rapporti con le fedeli e l’origine reale delle stimmate.
In tutti questi progetti non c’è stato comune o provincia o regione o comunità montane, governata da destra o da sinistra, che non si sia accollata finanziamenti, agevolazioni fiscali, oneri di ristrutturazione. Non stupisce insomma che l’Opera Romana Pellegrinaggi allarghi di settimana in settimana il raggio d’azione. Il 2007 è stato l’anno dei voli della fede in Europa e Terra Santa. Il 2008 sarà l’anno dello sbarco nel mercato americano con il progetto "Christian World Tour". "Fra il 2008 e il 2009 - dichiara l’amministratore delegato dell’Orp, padre Cesare Atuire - i progetti saranno estesi all’America Latina e all’Oriente, in particolare Cina, India e Filippine". Tutto "rigorosamente low cost".
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione
di ADISTA *
Importante iniziativa di Adista che ha tradotto e messo a disposizione gratuitamente il libro "Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione" edito dalla Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo, in risposta alla notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino.
Care lettrici, cari lettori,
segnaliamo un’importante novità sul nostro sito. Si può leggere finalmente anche in italiano, scaricandolo gratuitamente dalla home page di www.adista.it, il libro digitale "Bajar de la cruz a los pobres: cristología de la liberación" ("Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione") della Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo.
La traduzione italiana, curata da Adista, dell’originale spagnolo (che, insieme alla traduzione in inglese, è disponibile agli indirizzi www.eatwot.org/TheologicalCommission e http://www.servicioskoinonia.org/LibrosDigitales) è presentata dal teologo Carlo Molari e presenta due contributi in più: di Aloysius Pieris e dello stesso Molari (è possibile leggere l’originale )
Il libro della Asett è la risposta di circa 40 teologi della liberazione alla Notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino (autore dell’epilogo del libro), ma non solo: è una difesa, appassionata e potente, della cristologia della liberazione, quella che Leonardo Boff, nel prologo, definisce "una teologia militante che lotta per ’far scendere dalla croce i poveri’".
È questa voce potente quella che è oggi offerta anche al pubblico italiano, attraverso un nuovo metodo che l’Asett ha voluto sperimentare: quello di un libro digitale, libero e gratuito, che, scrive José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica Internazionale della Asett/Eatwot, "può essere regalato e inviato da chiunque per posta elettronica e che potrà anche essere stampato su carta mediante il procedimento della "stampa digitale", un metodo che permette di stampare su carta quantità minime di esemplari (5, 10, 20...), a un prezzo praticamente uguale a quello di un libro normale".
Per scaricare il libro, clicca qui
* IL DIALOGO, Mercoledì, 06 giugno 2007
Ansa» 2007-08-12 12:08
PAPA: SULLA TERRA SIAMO DI PASSAGGIO, TENDIAMO VERSO L’ALTO
CASTEL GANDOLFO (ROMA) - "Sulla terra siamo tutti di passaggio". E’ il monito che oggi, all’Angelus pronunciato nella residenza di Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli. "Un invito - ha detto commentando le odierne letture bibliche - a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioé quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte: il giudizio finale, l’eternità, l’inferno e il paradiso". In particolare il contenuto della pagina evangelica, secondo il Papa, oggi, "proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a distaccarsi dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il proprio dovere con una costante tensione verso l’alto".
Anche l’altra lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, accennando all’aspirazione alla meta del "paradiso", indica che "la primitiva comunità cristiana si considerava quaggiù ’forestiera’" e che "i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo". Da qui l’esortazione di Benedetto XVI a pensare "alla vita del mondo che verrà" e a "non dimenticare che qui, sulla terra, siamo solo di passaggio". Se viviamo "in modo saggio e previdente", considerando le realtà ultime come "il giudizio finale", "l’inferno e il paradiso", allora - ha aggiunto il Papa parlando ’a braccio’ - "proprio così viviamo in responsabilità e costruiamo un mondo migliore".
Un appello alla comunità internazionale affinché aiuti "tempestivamente e generosamente" le popolazioni colpite dalle inondazioni nel Sud-Est asiatico è stato pronunciato oggi da Benedetto XVI subito dopo la recita dell’Angelus dalla residenza di Castel Gandolfo. Il Papa ha ricordato dapprima le "numerose vittime" e i "milioni di senza tetto" causati dalle "gravi inondazioni" che nei giorni scorsi "hanno devastato vari Paesi del Sud-Est asiatico". "Nell’esprimere la mia profonda partecipazione al dolore delle popolazioni colpite - ha proseguito -, esorto le comunità ecclesiali a pregare per le vittime e a sostenere quelle iniziative di solidarietà promosse per alleviare le sofferenze di tante persone duramente provate". "Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle - ha quindi aggiunto - l’aiuto tempestivo e generoso della comunità internazionale!".