L’AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 GV. 4.8) E LA GIUSTIZIA. CHIESA E STATO: PER UNA PEDAGOGIA COERENTEMENTE EVANGELICA E COERENTEMENTE COSTITUZIONALE ....

L’OBBLIGATORIETA’ DEL CELIBATO DEI PRETI E IL DONO DELLO SPIRITO SANTO. Sul tema della "pedofilia e presbiterato", un intervento di p. Nadir Giuseppe Perin - a cura di Federico La Sala

Qual è, allora il motivo per cui chi ha l’autorità e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale, dovrebbe togliere l’obbligatorietà del celibato e ridare ai preti la possibilità di sposarsi?
lunedì 26 aprile 2010.
 

Per questo è necessario, prima di tutto stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure adeguate per evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e soprattutto aiutare le vittime e tutti coloro che sono stati colpiti da questi crimini, a guarire” (Benedetto XVI, discorso ai Vescovi d’Irlanda del 28 ottobre 2006) [...]


Pedofilia e presbiterato.

di p. Nadir Giuseppe Perin *

In ambito psichiatrico la pedofilia viene catalogata tra i disturbi del desiderio sessuale. Consiste nella preferenza erotica, da parte di un soggetto giunto alla maturità genitale, per soggetti che sono, invece, ancora in età pre-puberale, cioè tra i 12 e i 14 anni. La psichiatria definisce “pedofili” quelle persone, aventi più di 16 anni, per le quali i bambini o le bambine costituiscono l’oggetto sessuale preferenziale, o unico. Il termine “pedofilia” definisce, pertanto, l’orientamento della libido del soggetto; la preferenza sessuale dell’individuo. Si tratta di un disturbo psichico.

Al di fuori dell’ambito psichiatrico e nell’accezione comune, invece, il termine pedofilia viene utilizzato anche per indicare quegli individui che abusano sessualmente di un bambino o che commettono reati legati alla pedopornografia. Si tratta dei child molester (molestatore o persona che abusa di bambini).

La psichiatria e la criminologia distinguono i pedofili dai “child molester”.

La pedofilia viene giudicata come un comportamento criminale e, nello stesso tempo, una grave malattia “sociale”. E, molti pedofili si giustificano definendo la loro condizione “una malattia”. Non si capisce,però, perché “se sono coscienti di essere delle persone sessualmente“ malate”, non si curano spontaneamente? Perché continuano nelle loro azioni criminali fino al momento in cui vengono “pizzicati” ed anche oltre?

Nonostante che i casi di pedofilia che fanno clamore siano quelli commessi da educatori, insegnanti, preti, personale di collegi o istituti, non va dimenticato che 80% dei casi di violenza sessuale su minori avviene tra le mura domestiche: padri separati denunciati dall’ex-moglie in concomitanza o immediatamente dopo la richiesta di divorzio; zii, amici di famiglia e simili. Non serve, pertanto, creare dei “mostri”, lasciando credere che essi si annidino nei giardini pubblici, nella scuola, negli oratori, nelle sacrestie o su Internet...ritenendo la famiglia un luogo sicuro.

E’ necessario, invece, che la società reagisca e prenda coscienza dei problemi della sessualità che i bambini in età ancora pre-puberale possono incontrare - a causa di adulti pedofili. Si richiede da parte di tutti un impegno coordinato e di collaborazione per sviluppare tutte le misure educative e preventive adeguate per aiutare le famiglie, la scuola, i responsabili degli ambienti di aggregazione e di utilizzo del tempo libero, a far crescere i bambini verso una maturità affettiva e sessuale e prevenire esperienze sessualmente traumatiche.

Freud affermò che i traumi infantili, in generale, sono inguaribili e lasciano ferite che non rimarginano più e, negli adulti con una storia di abusi violenza sessuale nella loro infanzia, provocano molte difficoltà a carico della sfera emotiva, relazionale, sociale e comportamentale.

Lo scandalo della “pedofilia” che ha visto coinvolti alcuni chierici o religiosi della Chiesa Cattolica, ha suscitato e continua a suscitare nella comunità ecclesiale sgomento ed amarezza, perché hanno“tradito la fiducia che giovani innocenti e i loro genitori avevano riposto in loro. Hanno causato un danno immenso nelle vittime oltre che all’intera comunità ecclesiale, deturpando, nella pubblica percezione, l’immagine del ministero presbiterale e della vita religiosa, rovesciando vergogna e disonore sui confratelli. Per questo dovranno rispondere delle loro azioni sia davanti a Dio onnipotente come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti”. Così scriveva Benedetto XVI nella lettera pastorale rivolta ai fedeli cattolici d’Irlanda, pubblicata il 20 marzo 2010.

Le discussioni sull’argomento riportate dai giornali non sono servite né a “fare chiarezza”, né a rasserenare gli animi; né a dare “conforto” alle vittime... ma, spesso hanno contribuito a confondere ancora di più le idee, “gettando fango” su tutto e tutti. Leggendo i giornali, ho avuto l’impressione di assistere ad uno scontro tra due parti “in conflitto di interessi”, più che alla ricerca della verità, perché convinti che solo la verità fa l’uomo libero.

Da una parte c’è il “gruppo degli scavatori” alla ricerca del maggior numero di preti-pedofili possibile, per chiedere che i loro atti peccaminosi e criminali, vengano giudicati e puniti non soltanto secondo il Diritto canonico, ma anche secondo il codice penale civile, esigendo dall’Istituzione Chiesa, a titolo di risarcimento danni, ingenti somme di denaro. E, da ogni parte saltano fuori nuovi e vecchi episodi, ricordi, denunce. Sembra che ci siano vittime di pedofili in ogni angolo di sacrestia ed oratorio...Partono le richieste più allucinanti, compresa quella di portare il Papa davanti ad un tribunale penale perché “non poteva non sapere”...

Dall’altra parte, c’è la Comunità dei credenti che, a causa dello scandalo suscitato dalle accuse di pedofilia di alcuni suoi “pastori” , ha visto scatenarsi nei confronti di tutti, compreso il Papa, i vescovi e gli altri preti, una violenta campagna planetaria in cui nessuno viene risparmiato dalla “sporcizia” che lo scandalo ha rovesciato sulla comunità ecclesiale. Con grande onestà ed umiltà, bisogna ammettere che molti errori sono stati commessi dai “pastori del gregge di Dio”, soprattutto l’errore di “nascondere” lo scandalo “sotto i tappeti della sacrestia”, comperando talvolta il silenzio delle vittime, nella speranza di evitare lo scandalo. L’errore di trasferire il prete accusato di pedofilia in altre parrocchie, invece di applicare il Codice di Diritto Canonico, provocando in tal modo il ripetersi dei comportamenti peccaminosi e criminali anche in altre comunità.

Tuttavia, anche se alcuni leader ecclesiastici hanno dato delle risposte inadeguate, come la mancata applicazione delle pene canoniche e la mancata denuncia all’autorità competente che hanno avuto, sovente, come risultato la mancata tutela della dignità della persona, sono convinto che, in questo momento storico della Chiesa, si possa affrontare lo scandalo della pedofilia e degli abusi sessuali sui minori, da parte del clero, con più coraggio, trasparenza, collaborazione tra le parti nella ricerca della verità, rispetto della dignità delle persone coinvolte. Si può lavorare con più tatto e sensibilità verso le vittime e senza alcuna ambiguità. Non dobbiamo dimenticare che in passato, in moltissimi casi, le vittime per essere ascoltate e rispettate dalla autorità della Chiesa, hanno dovuto sostenere delle lunghe battaglie, contro una cultura clericale che molti potrebbero descrivere come “non cristiana.

Si tratta, ora, di cambiare mentalità ed atteggiamento. Non più la mentalità degli anni ’80 , dove di fronte allo scandalo della pedofilia di alcuni preti, gli unici protagonisti erano: le autorità ecclesiastiche, il prete accusato, il bene della Chiesa, l’eventuale scandalo per i fedeli, mentre le vittime, a tutti i livelli della Chiesa Cattolica, non furono né ascoltate, nè menzionate. La mentalità di quel tempo era, infatti, che “una cosa è buona perché piace a Dio”. Con la conseguenza che il “non-denunciare” non solo non era una colpa, ma un merito. E, se c’era da scegliere tra Dio e la giustizia, si era sicuri che scegliendo Dio, si sceglieva automaticamente anche la giustizia.

Il Papa Benedetto XVI, nella lettera ai fedeli irlandesi ha rovesciato, invece, questa mentalità: “non è scegliendo Dio che io posso essere sicuro di scegliere anche il bene”, ma èscegliendo il bene che posso essere sicuro che lì, dove c’è il bene, c’è anche Dio”. Infatti, dice ai preti pedofili: “Dovete rispondere davanti a Dio onnipotente, come pure davanti ai tribunali debitamente costituiti”. Non è vero, allora, che se c’è da scegliere tra Dio e giustizia, scegliendo Dio, scegli anche la giustizia. Ma, è vero l’inverso: scegliendo la giustizia tu scegli Dio.

Per questo è necessario, prima di tutto stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure adeguate per evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e soprattutto aiutare le vittime e tutti coloro che sono stati colpiti da questi crimini, a guarire” (Benedetto XVI, discorso ai Vescovi d’Irlanda del 28 ottobre 2006).

Nonostante tutto, sono convinto - sia come cristiano che come prete da 43 anni felicemente sposato - che il comportamento dei vescovi, nella gestione del crimine “pedofilia” - pur avendo evidenziato degli errori - non abbia mai avuto come obiettivo quello di “scusare”, in qualche modo, l’atto peccaminoso e criminale del prete pedofilo. Né l’omissione di denunciare il prete pedofilo all’autorità civile competente sia stata finalizzata “a proteggere il reo”, quanto piuttosto perché tutti - in primis - erano “preoccupati per il buon nome della Chiesa stessa e per evitare ulteriori scandali nel Popolo di Dio”.

Lo stesso Mons. Alessandro Maggiolini, ex vescovo di Como ha affermato “una cosa è prendere i necessari provvedimenti canonici, altro è, come vescovi, diventare strumenti della giustizia italiana, non perché non vogliamo che i sacerdoti colpevoli subiscano le giuste pene della giustizia civile, ma perché le vittime debbono decidere loro se accedervi oppure no. Ed alcune preferiscono non farlo”.

Le vittime della pedofilia o di abusi sessuali cosa dovrebbero fare? Essere aiutate da persone competenti per denunciare all’autorità Giudiziaria, l’abuso sessuale subìto da parte del pedofilo, portando le “prove” del reato, in modo che attraverso il processo giusto ed equo si arrivi alla verità.

I giudici, però, chiamati ad emettere la sentenza di innocenza o di condanna, nell’interrogatorio del bambino, devono usare molto “tatto”, intelligenza, sapienza e prudenza, onde evitare gravi errori giudiziari che provocano danni morali e materiali gravissimi agli innocenti accusati, tenendo presente che l’interazione del bambino con genitori e psicologi può indurre nel bambino la formazione di falsi ricordi.

Per questo è stato messo a punto un protocollo [Carta di Noto del 9 giugno 1996, aggiornata il 7 luglio 2002] che prescrive le attenzioni da seguire nell’interrogatorio del bambino e che è parte essenziale di ogni nuovo caso giudiziario in Italia, relativo a bambini nell’età della Scuola d’Infanzia.. A volte il ricordo vivo e particolareggiato dei minorenni coinvolti può rivelarsi in contrasto con i riscontri probatori. Una persona, infatti, può avere un ricordo molto vivo e dettagliato di eventi che crede sinceramente siano accaduti, ma che in realtà non si sono mai verificati. Quindi, anche se la testimonianza viene da un bambino che non ha alcun interesse a testimoniare il falso, le indagini devono trovare riscontri probatori oggettivi per non fondare la pubblica accusa solo sulle testimonianze oculari.

Presunti abusi infantili sono anche emersi nella memoria di migliaia di pazienti adulti dopo essere stati sottoposti a psicoterapia o ad altre cure analoghe, determinando un vivace dibattito scientifico sulla loro attendibilità ed un seguito di contenziosi legali. Secondo alcuni studi, una percentuale rilevante dei condannati per pedofilia ha a sua volta subito abusi durante l’infanzia. Questo determina due elementi di rilievo per la legislazione in materia: da un lato evidenzia la gravità del danno subito dal bambino e quindi della colpa del reo e dall’altro lascia intuire la difficoltà di stabilire la capacità di intendere e volere del reo in quanto è possibile che abbia commesso il crimine perché affetto da turbe psichiche o raptus improvvisi, a causa di violenze pregresse subite nell’infanzia.

D’altra parte la complessità del problema emerge chiaramente in ambito clinico a fronte delle difficoltà nelle quali si vengono a trovare i professionisti, psichiatri e psicologi, che trattano le persone affette da pedofilia.

Come prete sposato, infine, esprimo il mio disaccordo alla proposta - avanzata da qualcuno - di chiedere l’abolizione della obbligatorietà del celibato per il fatto che ci sono dei preti che si macchiano del reato di pedofilia o semplicemente perché altri non riescono a controllare le loro pulsioni sessuali.

Penso che “il Celibato”, “il matrimonio” ed il “presbiterato”, per essere vissuti in pienezza di vita, richiedano alle persone chiamate a questi tre stati di vita, di avere dentro al cuore una forte carica di Amore. Perché è l’amore (Charitas) che ti dà la possibilità di farti dono all’altro, cioè di condividere con l’altro tutto stesso, quello che sei e quello che “hai”, per rendere felice l’altro; perché l’amore è rispetto dell’altro; perché l’amore è accoglienza dell’altro nella dinamica della propria vita per condividerne i progetti e realizzarli insieme; perché l’amore è dialogo.

Una sessualità, cercata e vissuta come l’attimo fuggente di un godimento biologico, è lontana dall’essere un atto di amore e di dono, dura soltanto un istante e quando finisce “l’orgasmo” lascia l’amaro in bocca e il cuore vuoto. Un’affettività e una sessualità matura, invece, vissuta nell’amore e con amore, dura tutta una vita e non cessa mai di stupire nemmeno a 100 anni.

Pertanto il “matrimonio” (sia come sacramento che fuori dal sacramento) non è il rimedio per ogni impudicizia, il contesto ideale dove l’uomo celibe e la donna nubile possono soddisfare “lecitamente” le loro esigenze sessuali più strane. E’ vero che S. Paolo, alla chiesa di Corinto raccomandava: “E’ bene per un uomo non avere contatti con donna. Tuttavia a motivo delle impudicizie, ciascuno abbia la sua moglie e ogni donna il suo marito. Se non sanno contenersi, si sposino; è meglio sposarsi che ardere!(1 Cor 7,1-2,9). Non mi sembra, francamente questo il modo migliore di considerare il matrimonio, con tutto il rispetto che ho per S. Paolo!

Qual è, allora il motivo per cui chi ha l’autorità e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale, dovrebbe togliere l’obbligatorietà del celibato e ridare ai preti la possibilità di sposarsi?

Il motivo è uno solo: perché nessun legislatore sulla terra può impedire o limitare per legge positiva alle persone il loro diritto naturale di sposarsi (ius connubii). Lo possono fare, soltanto, qualora ci siano delle “gravi ed adeguate ragionirichieste da gravi ed oggettive esigenze che scaturiscono dallo stesso istituto matrimoniale e dalla sua rilevanza sociale e pubblica.

Se queste gravi ed adeguate ragioni - che scaturiscono dallo stesso istituto matrimoniale e dalla sua rilevanza sociale e pubblica.- non ci sono, non lo possono fare! E se lo fanno ugualmente violano il diritto naturale (ius connubii) della persona. (Cfr. Santa Sede, Carta dei Diritti della famiglia, 22 ottobre 1983).

Che queste gravi ed adeguate ragioni non sussistano lo si deduce da quanto affermano coloro che nella Chiesa hanno la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale e cioè

-  che la perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore...non è richiesta dalla natura stessa del presbiterato..”

-  che “La vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, benché divina nella sua ispirazione e benché distinta dal charisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata, non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi,nella chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale” (Cfr. Paolo VI, Encicliche e Discorsi, Ed. Paoline, Roma, 1968, Vol.XVI, p. 264).

-  le ragioni sulle quali poggia obbligatorietà del celibato, “prima raccomandato ai preti è stato poi imposto per legge”, sono basate sul mistero di Cristo e della sua missione”; sul fatto che il celibato è stato giudicato dal Papa “sommamente confacente con la vita presbiterale”.

-  il celibato è un Charisma, che appartiene all’ordine delle “grazie date gratuitamente” che sono essenzialmente distinte dalla grazia santificante o abituale. E’ un dono dato dallo Spirito Santo solo ad alcuni e non a tutti. Il dono non si può meritare. Il dono non può essere imposto. Il dono va solamente accolto, custodito e vissuto in modo appropriato nella propria vita. Quando un dono viene imposto, anche se per motivi nobili, viene tolta all’uomo la libertà di scelta.

-  Lo stesso S. Paolo e gli altri Apostoli ci mostrano come il diritto naturale di sposarsi e di conseguenza quello di portare con sé la propria moglie nei viaggi apostolici, come gli altri diritti - quello di vivere del Vangelo e di non svolgere lavori fisici per occuparsi della missione - non contemplano una rinuncia volontaria al loro utilizzo se si vuole fare l’apostolo (cfr. 1 Cor. 9,15). Sono dei diritti che si mantengono per sempre, anche se uno ci rinuncia, per un certo tempo,per dare la precedenza a Cristo e al suo Vangelo.

Lo stesso Paolo ribadisce che anche lui ha il diritto di scegliersi una donna come compagna, come l’hanno avuto gli altri apostoli; e questo diritto non può essere negato per sempre, anche se qualcuno abbia rinunciato ad usarlo per un periodo di tempo.

Tuttavia egli sceglie liberamente di restare libero (1 Cor. 9,1). E, il fatto di astenersi dall’usare i suoi diritti, per lui costituisce un vanto (1 Cor. 9,15).

Secondo Paolo, qualunque prete potrebbe sposarsi anche dopo l’ordinazione, perché il diritto naturale di sposarsi dell’uomo e della donna è un diritto garantito da Dio e da Gesù Cristo, il Signore, quindi divino. Gli apostoli stessi hanno sempre conservato questo diritto e la loro rinuncia volontaria ad usare di questo loro diritto naturale divino di avere una moglie, non ha mai fatto perdere a loro il diritto stesso.

Per tutte queste ragioni, moltissimi, nella Chiesa (vescovi, preti, laici) sono convinti che la disciplina del celibato, allo stato attuale delle cose, richieda una seria revisione per il bene della comunità ecclesiale stessa, indipendentemente da altre situazioni, come “la pedofilia” di alcuni suoi preti .

P. Giuseppe dall’Abruzzo.

* Il Dialogo, Lunedì 26 Aprile,2010 Ore: 16:36

*Ringraziamo di vero cuore il nostro carissimo amico p. Nadir Giuseppe Perin, prete-sposato dal 1968, per questo articolo su un tema di scottante attualità. p. Nadir Giuseppe Perin è dottore in Teologia dogmatica presso l’Università Pontificia dell’Angelicum in Roma; specializzato in Teologia Morale all’Università Lateranense - Accademia Alfonsiana di teologia Morale; Diplomato in Psychiatric Nursing presso la Mental Health Division di Toronto; specializzato in scienze psicopedagogiche presso l’Università di magistero dell’Aquila. Per contatti: nadirgiuseppe@alice.it


Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

L’ETICA PRE-SOCRATICA DI RATZINGER, SOCRATE, E GANDHI.

«Et nos credidimus Charitati...»!!! MAZZOLARI E GANDHI (E IL DIO "CARITAS" DI PAPA RAZTZINGER). Gandhi, al pari di un vero cristiano, ha creduto nella Carità. Una nota (1948) di don Primo Mazzolari

-  AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.

-  "È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010.)

-  Laici e sacerdoti oggi di Mons. Luigi Bettazzi

COSTITUZIONE ED EVANGELO. "DIO E’ AMORE": "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8).

-  IL FARISEISMO CATTOLICO-ROMANO E LA NOVITA’ RADICALE DELL’ANTROPOLOGIA CRISTIANA. PARLARE IN PRIMA PERSONA, E IN SPIRITO DI CARITA’.

-  RIPARARE IL MONDO. LA CRISI EPOCALE DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ E LA LEZIONE DI SIGMUND FREUD.


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