Studio Usa: siamo più morbidi con noi stessi per istinto di sopravvivenza
Secondo altri esperti, però, il comportamento cela uno stato di patologia latente
Severo, ma soltanto con gli altri
L’uomo è ipocrita per natura
di SARA FICOCELLI *
ROMA - E’ il ramoscello nel quale prima o poi inciampiamo tutti, la trave che fin dai tempi antichi abbiamo nell’occhio ma che ignoriamo, inorriditi dalla pagliuzza altrui. E’ l’ipocrisia. Stavolta è inutile dare la colpa alla velocità della recente evoluzione della società umana, perché, secondo gli esperti, si tratta di una caratteristica che accompagna l’essere umano da sempre. Lo psicologo Piercarlo Valdesolo, ricercatore della Northeastern University e docente di "Psicologia della moralità" presso l’Amherst College, nel Massachusetts, ha condotto uno studio proprio su questo, dimostrando quanto l’ipocrisia vada a braccetto con i nostri meccanismi mentali.
L’esperimento, che verrà pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology, ha preso in esame 85 persone, suddivise in due gruppi, uno di 42 e l’altro di 43. I partecipanti sono stati messi di fronte a una domanda: ti senti più un tipo lento e perditempo o dinamico e affidabile? La maggior parte ha appoggiato la prima soluzione, confermando poi di sentirsi dalla parte del giusto. Ma, dopo aver saputo che anche gli altri avevano dato la stessa risposta, tutti si sono indignati additando gli altri come bugiardi.
I ricercatori americani sono andati oltre, chiedendo ai soggetti di ripetere l’operazione dopo aver memorizzato lunghe strisce numeriche. Lo sforzo mentale, gravoso e distraente, ha di colpo reso imparziali gli intervistati che dopo l’esercizio hanno fatto mea culpa, ammettendo quanto in fondo i propri difetti non fossero meno gravi di quelli altrui. La chiave, secondo gli studiosi, sta nel tempo, tempo trascorso a pensare.
"Quando ci prendiamo qualche minuto per riflettere - spiega Valdesolo - riusciamo a inquadrare il nostro comportamento, cosa che altrimenti non facciamo, guardando unicamente agli errori altrui". Secondo lo studioso americano si tratterebbe dunque di un errore di distrazione, una sorta di riflesso condizionato che l’essere umano, istintivo e tendenzialmente passionale, subirebbe ogni giorno, salvo poi ritagliarsi qualche sano momento di meditazione.
Secondo lo psicologo e psicoterapeuta torinese Giancarlo Gramaglia la spiegazione non è però così lineare. Né, sopratutto, consapevole: "Dietro ad un comportamento ipocrita - spiega - c’è sempre una qualche forma di patologia, difensiva o aggressiva a seconda dei casi". Secondo Gramaglia un soggetto psicologicamente sano non soffre di ipocrisia ma anzi è equilibrato e capace di ragionare. "Freud diceva che la salute è portatrice naturale di onestà - continua - e lo dimostra il fatto che il bambino non mente: se una cosa non lo convince prende e si allontana, e se tu non gli piaci te lo dice in faccia". L’idea della malattia però in questo caso è difficile da accettare e spesso si nasconde dietro quelli che l’esperto definisce "motivi storici", che sono poi le esperienze traumatiche che ciascuno vive, in misura più o meno affrontabile, nel corso della vita.
Anche dietro alla cattiveria e alla meschinità, dunque, ci sarebbe una patologia latente che, secondo lo studioso torinese, è comunque possibile curare. Il Laboratorio di Formazione e Lettura Psicoanalitica di Torino, di cui Gramaglia è presidente, si occupa anche di questo; altro punto di riferimento importante in Italia sotto questo punto di vista è l’istituto Studium Cartello di Milano.
Gli scienziati dell’università americana ritengono invece che dietro l’ipocrisia ci sia quell’istinto di sopravvivenza che fa parte della natura umana e che a volte ci porta a mentire, persino a commettere crimini. In questo caso, spinge gli uomini ad essere indulgenti con se stessi, a scapito dell’opinione che ci si fa del prossimo. Niente malattia, dunque, ma sano egoismo, scelta consapevole, con l’unica aggravante di un’indole impulsiva. Questa diversità di interpretazione racchiude una diatriba bel più ampia tra due scuole di pensiero, da una parte quella derivante dagli studi di Freud, secondo il quale l’istinto non esiste e ogni azione è frutto di una elaborazione cerebrale, e dall’altra quella di chi riconduce il comportamento alle pulsioni.
Al di là delle cause, la parte più difficile resta comunque quella del curare gli effetti. "Chiedere a tutti di contare fino a dieci prima di sparare un giudizio è un po’ difficile, oltre che poco simpatico - conclude Valdesolo - Forse la cosa migliore sarebbe ascoltarsi un paio di canzoni con l’iPod, e poi riflettere su ciò che è successo".
* la Repubblica, 8 luglio 2008.
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