L’ira dei ragazzi miti
"Berlusconi ci teme"
"Ho 22 anni, e vivo ogni giorno sotto ricatto. Ora sono stufo. E finalmente posso respirare"
di Curzio Maltese (la Repubblica, 24.10.2008)
«Sai cosa c’è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l’affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell’aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c’è più, l’hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro». Marco è uno degli studenti della Sapienza che occupano la facoltà di Lettere. È lui ad aver proposto in assemblea alla Sapienza lo striscione che oggi è su tutte le facoltà occupate d’Italia: "Io non ho paura", in risposta alle minacce di Berlusconi, al solito smentite. «Non scrivere leader, che mi sfottono. Promesso?».
Sono le nove e sulla Roma autunnale è calata un’improbabile notte di primavera. Improbabile come questo movimento, nato nel momento peggiore, cresciuto oltre ogni previsione, senza neppure il tempo di darsi un nome. Per trovarlo hanno indetto un referendum sul sito della rivolta universitaria, www.UniRiot.org, e l’ha spuntata «Onda anomala». In breve, «l’onda», «noi dell’onda» dicono, come fossero contradaioli.
Avete presente il ’68, il ’77? Altra storia. L’arrivo alla facoltà occupata è confortante o deludente per chi ha in mente e negli occhi la Sapienza delle assemblee oceaniche sessantottine o il teatro di guerra della cacciata di Lama. C’è un gran silenzio. Si sentono echi di radiocronache di pallone, autoambulanze lontane, perfino un coro classico che prova nella facoltà di Fisica. Pochi ragazzi nella piazza, sui viali qualche sperduto capannello. Vuoi vedere che è la solita montatura nostalgica di un ’68 che non può tornare? Ma dentro le aule, i dipartimenti brulicano di centinaia di ragazzi che discutono, studiano, lavorano al computer, organizzano le manifestazioni del gran giorno, oggi, davanti al Senato. Tessono reti in tutta Italia ed è un bollettino di guerra: «Ore 11: Occupata Roma Tre! Ore 15: occupata Ingegneria! Ore 19: occupata l’Orientale di Napoli!». E poi Firenze, Cagliari, Napoli, Bologna: «Stiamo vincendo!». Giancarlo Ruoco, capo dipartimento di Fisica, 49 anni, un passato giovanile nei movimenti, osserva: «Il paragone di numeri col ’77 è improponibile, ma di sicuro questo è il movimento studentesco più partecipato degli ultimi trent’anni. Non c’è Pantera o protesta contro la riforma Moratti che tenga. Allora eravamo quasi più docenti che studenti in piazza. Ora sono il doppio, il triplo, e sembrano decisi ad andare fino in fondo»
Quando i telegiornali della sera hanno diffuso il diktat poliziesco di Berlusconi, i ragazzi più grandi hanno brindato con birre e applausi, fra gli sguardi perplessi e intimoriti delle matricole. Che c’è da festeggiare se il premier minaccia manganellate? «Il fatto è che gli stiamo mettendo paura, noi a loro. È la reazione scomposta di uno che si sente debole, che non si aspettava tutto questo, non ha una strategia e pensa di risolvere al solito modo, con la polizia, come si trattasse di rifiuti, camorra o periferie insicure». Chi parla è Luca, 23 anni, un’ottima laurea in lettere a Milano, venuto a Roma per specializzarsi in filologia romanza. È di Monza: «Perfino lì hanno cacciato la Gelmini da un comizio, e non se l’aspettava. A Monza, dov’è nata la Lega, cinquant’anni di Dc. Non hanno proprio capito che la politica non c’entra, la sinistra qui non comanda niente. Quando è venuta la ragazza mandata da Veltroni (Giulia Innocenzi, ndr), chiaramente in vista della manifestazione di sabato, le abbiamo strappato i volantini. La Cgil ha cercato di mettere il cappello sul movimento e li abbiamo costretti ad arrotolare le bandiere rosse. Per me il Pd significa poco, l’opposizione è inesistente, Berlusconi non è chissacché, non mi suscita nessun sentimento. È soltanto un vecchio che fa discorsi vecchi. Insomma, qui non c’entra la politica, c’entra la vita. Il mio futuro, quello di Francesco, Vanessa, Ilaria...». «La mia vita attuale è questa. Studio come un pazzo per finire in fretta e bene, lavoro in un call center, dormo in una camera a 500 euro al mese. E sopporto pure che un Padoa- Schioppa o un Brunetta o una Gelmini mi diano del bamboccione o del fannullone. Ma non che taglino i fondi all’università per fare affari con l’Alitalia, aiutare la Fiat o le banche dei loro amici. La crisi io non la pago. Questa settimana di proteste è stata la più bella esperienza di questi anni. Si respira, si parla, si discute dei sogni, del futuro. Penso sia un mio diritto. Ai vostri tempi era magari diverso. I corsi universitari duravano mesi, avevi sempre gli stessi compagni, gli stessi professori. In ufficio o in fabbrica eri solidale con l’altro operaio o impiegato. Ora io seguo decine di corsi dove non incontro mai le stesse persone e poi lavoro in un call center dove il mio vicino di scrivania cambia sempre, a ogni turno, senza contare che abbiamo tutti le cuffie e non c’è neppure la pausa caffè. In questi giorni ho alzato la testa, mi sono guardato intorno, ho conosciuto studenti da tutta Italia, mi sento vivo».
E’ un rivolta di bravi ragazzi, della nostra meglio gioventù. Non è una rivolta contro i padri, come furono le altre, ma di giovani che prendono sul serio le parole dei padri. Vogliono studiare, uscire di casa, fare carriera per meriti e non per conoscenze, crescere insomma e scoprono che in Italia non è possibile. Non è possibile per un giovane essere «normale». Da qui la rabbia di questi ragazzi miti. Anche un po’ secchioni. Luca e altri, con Francesco e Vanessa, ieri ospiti di Santoro, hanno tirato l’alba a studiare la legge Gelmini nei minimi particolari, scovando un’infinita serie di contraddizioni. Un bel lavoro e anche una lezione per l’opposizione parlamentare che deve aspettare la Gabanelli per accorgersi della norma salvamanager infilata nel decreto Alitalia. «La legge è piena di cazzate» mi spiegano «Taglia i fondi per la ricerca, che in Italia è l’uno per cento del Pil contro il tre della media europea e del trattato di Lisbona. Riduce il numero dei ricercatori che da noi sono tre ogni mille abitanti, contro l’obiettivo di otto. Non taglia le sedi universitarie, che in Italia sono 115, più di una per provincia, con decine di corsi frequentati da un solo studente. Soltanto Roma ha sedi decentrate a Civitavecchia, Rieti, Pomezia: Ma quelle rispondono a interessi clientelari». Ilaria, che incontro a Fisica, «ci vediamo sotto la lapide di Fermi», snocciola dati statistici come formule, sospira e conclude: «Non che m’interessi più di tanto, perché fra un anno vado in Inghilterra. Però mi sembra giusto dirlo, protestare finché si può». Il Dipartimento di Fisica, quello di Fermi e Amaldi, è il fiore all’occhiello della gloriosa e ormai sfasciata Sapienza. E’ quarta nelle classifiche europee, fra le prime dieci del mondo, dentro un’università che non compare neppure fra le prime cento. La fuga dei cervelli all’estero è la norma e cresce di anno in anno.
Nell’«Onda» Fisica è stato il laboratorio creativo. Il corpo docente, fra i migliori d’Italia, ha appoggiato senza riserve la protesta. «Tanto con l’appello contro la lectio magistralis del Papa ci aveva già criminalizzato. Peggio non può succedere». Fernando Ferroni, professore di fisica delle particelle elementari, presidente dell’istituto nazionale di fisica nucleare, uno degli scienziati che ha collaborato all’accensione dell’Lhc al Cern di Ginevra, è solidale ma pessimista sulle sorti dell’Onda: «Hanno ragione da vendere ma il clima culturale è il peggiore possibile. Non c’è sensibilità per questioni complesse come la formazione, la ricerca. Il governo fa discorsi primitivi, insensati ma efficaci. L’opposizione ne sa poco o nulla. Non ha capito la portata del disegno. Qui stanno dismettendo l’istruzione pubblica, un pezzo per volta. E’ una cosa mai successa in nessuna parte del mondo civile. Negli Stati Uniti, il paese più malato di iper capitalismo, l’università pubblica rimane ancora fortissima. Uno studente di Fisica può scegliere di pagare quattromila dollari a Berkeley o quarantamila a Stanford, ma la qualità è la stessa, alla fine si spartiscono lo stesso numero di premi Nobel. Per non parlare dell’Europa. Qui invece fra pochi anni l’istruzione pubblica, di questo passo, sarà relegata alla marginalità, alla serie B, a quelli che non possono permettersi di meglio. Il tema è enorme, tocca l’essenza dei diritti di cittadinanza, ma temo che non passerà. Criminalizzeranno la protesta, faranno scoppiare qualche incidente, e i media andranno dietro l’onda, l’altra, quella del potere. Bisognerebbe bucare questo muro di conformismo, ma come?»
Gli studenti si sono posti il problema d’«inventarsi qualcosa di nuovo», ne discutono in assemblea, su Internet, chiedono idee, consigli. «L’importante è evitare paragoni col passato, gli slogan in rima, le bandiere della politica, le stesse forme di lotta di fronte alle quali la gente dice "l’ho già visto"e passa oltre» spiega Laura, 23 anni, delegata alla comunicazione di Fisica. «Ci siamo inventati le lezioni in pubblico, con la lavagna a Piazza Farnese, un successo con i passanti che si fermavano a chiedere. Venerdì (oggi, ndr) saremo a Montecitorio». Sono rimasti a discutere le nuove forme di lotta fino alle tre, poi è entrato Stefano con le birre. «Che ha fatto la Roma?» «Lasciamo perdere... Aò, ma la volete smettere col dibattito? E fateve �na birra, �na canna, che so». Bisogna fare la colletta per i cornetti. Che cosa? «Al picchettaggio offriamo cornetti agli studenti che vogliono entrare. Li hai mai visti i picchetti con i cornetti? Lo voglio vedere Berlusconi che manda l’esercito. A noi non ci fregano con le provocazioni, non ci vedrai mai fare questo». E mostra il gesto della P38». Chissà se non li fregano. Quarant’anni fa era cominciato con le colazioni ai bambini poveri, i sit-in pacifici, il clima da «Fragole e sangue», ingenuo e fiducioso. Fino alla prima carica della polizia. Stefano prende la chitarra, sono ormai le tre, per tenere sveglia la truppa. Nella musica sono conservatori, l’eterno rock, i vecchi cantautori, da De Andrè a Ligabue, che ormai viaggia per i cinquanta. Alle quattro crolla pure il cantante, qualcuno si rinchiude nei sacchi a pelo, altri s’infrattano, qualcuno riprende a discutere fino all’alba, a parlare dei propri sogni, come tutti a vent’anni, mentre il sole sorge sempre da un’altra parte.
COSTITUZIONE ED EDUCAZIONE CIVICA. LA LEZIONE DI GAETANO FILANGIERI, IL PARTITO DI "FORZA ITALIA" E IL COLPO DI STATO DI SILVIO BERLUSCONI (per leggere l’art., clicca sul rosso).
L’EFFETTO LUCIFERO... di Philip Zimbardo
La lezione degli studenti
di Beppe Sebaste (l’Unità, 24.10.2008)
Chi si trovasse in questi giorni nelle scuole e nelle università, occupate e variamente animate dalle proteste di studenti e docenti, incontrerebbe persone che incarnano la vocazione dello studio e del sapere. Studenti e docenti difendono la dignità e l’autonomia della conoscenza dalla semplificazione di una politica finanziaria cieca al futuro.
Lezioni all’aperto, apertura delle cittadelle accademiche alla città di tutti: chi protesta non ha nulla da nascondere, anzi. Sono privi di ideologia, ma molto consapevoli: «È la politica che si allontanata da noi. Noi facciamo la vera politica», mi hanno detto.
Ma alla notizia che il primo ministro ha minacciato di sgomberare con la polizia, cioè introducendo violenza, le scuole e le università teatro di questa civile protesta e sperimentazione, una studentessa della Sapienza di Roma è allibita: «Vogliono trattarci coma la spazzatura di Napoli». Pare di sì: cioè non solo non dialogare, non riconoscere i contenuti di una protesta che è difesa dell’istruzione e del diritto allo studio, ma rimuovere il problema, eventualmente nasconderlo, come la famosa spazzatura di Napoli. E non importa che fermenti chissà cosa e chissà quando. Il disprezzo verso la conoscenza e l’istruzione, verso scuole e università, è del tutto congruente a quello verso il clima, l’ambiente, il protocollo di Kyoto, l’ecologia e la salute pubblica. Il nostro primo ministro è un vero punk: a lui del futuro - dei giovani come del pianeta - non importa nulla. Molti studenti di oggi dichiarano che il loro modello di lotta è la protesta che dilagò in Francia del 2006 contro un disegno di legge che autorizzava per i primi due anni il licenziamento senza motivo dei giovani neo-assunti. Gli studenti vinsero (la legge fu ritirata) grazie all’appoggio del mondo del lavoro e della maggioranza dell’opinione pubblica. A parte che i contenuti della legge 133 (la finanziaria) e della “riforma Gelmini” (che non è altro che un taglio massiccio di fondi) sono molto più gravi (oltre ad aumentare a dismisura disoccupazione e precarizzazione, fanno tabula rasa degli orizzonti e del senso stesso dello studio), chiamo la protesta degli studenti una risposta alla “guerra contro l’intelligenza”, ricordando un appello nato anch’esso in Francia, ma nel 2004. All’epoca, un progetto legislativo del governo Raffarin, dal sapore vagamente berlusconiano, umiliava quelle professioni non valutabili secondo i criteri e gli utili (peraltro errati e miopi) di un’azienda - dalle scuole e università ai laboratori scientifici, dai centri di ricerca alle biblioteche, ma anche gli ospedali psichiatrici, i teatri ecc. Tutti i settori del sapere, della scienza, del legame sociale, produttivi di conoscenza, di coscienza e di dibattito pubblico, insorgevano contro l’anti-intellettualismo di Stato, una politica di impoverimento e precarizzazione di tutti gli spazi considerati come improduttivi a breve termine, inutili o dissidenti. L’appello “contro la guerra all’intelligenza” in pochi giorni fu firmato da migliaia e migliaia di cittadini, compresi i più alti rappresentanti della cultura e dell’arte francesi.
Nelle parole del filosofo Jacques Derrida, tra i primi ad aderire, per «guerra contro l’intelligenza» si intende «una politica ispirata dal misconoscimento, l’accecamento, perfino dal risentimento, di tutto ciò che è giudicato, a torto e secondo un cattivo calcolo, improduttivo o addirittura nocivo per gli interessi immediati di un certo mercato liberale: la ricerca fondamentale, l’educazione, le arti, la poesia, la letteratura, la filosofia. Nella sua forma caricaturale, ciò che viene denunciato è un economicismo miope; quelli che ne soffrono sono invece tutti i cittadini, a società civile, lo Stato e anche l’economia». C’è bisogno di dire che l’Italia di oggi è ben più minacciata della Francia di quattro anni fa?
Contro il presunto neutrale “buon senso” economico, la protesta degli studenti è una lotta per la salvaguardia di tutti quei luoghi in cui la società si pensa, si elabora, si sogna, si inventa, si cura, si giudica, si protegge, e tra i quali non c’è (solo) il Bagaglino, o le discoteche in cui il settantenne primo ministro italiano si mostra in camicia nera e parla di sesso e insonnia con giovani bramosi di successo e intossicati di ricchezza. Osservo di nuovo che l’imbarbarimento di una nazione (di questo si tratta) nasce e si presenta spesso come una politica di semplificazione - che non è proprio una bella parola, e designa una riduzione innaturale della complessità, ossia dell’intelligenza. Si crea e si consolida nella riduzione del linguaggio, del pensiero, della politica, nella neo-lingua pubblicitaria più volte denunciata, nello scavalcare il Parlamento e l’etica della discussione. Ma è soprattutto negli spazi lasciati vuoti dalla cultura e dall’educazione che l’autoritarismo “semplice” si insedia e riproduce, svuotando di senso il concetto e la realtà di una Repubblica. Il costo umano, sociale culturale è esorbitante. Le sue conseguenze rischiano di essere irreversibili.
UNIVERSITA’ "LA SAPIENZA". LE DOMANDE DEI CITTADINI E DELLE CITTADINE, DEGLI STUDENTI E DELLE STUDENTESSE E LA RISPOSTA DEL PRESIDENTE NAPOLITANO.
DA PRIMO CITTADINO, UN BUON AUSPICIO E UNA GRANDE ESORTAZIONE: FORZA ITALIA!!! (per leggere l’art. clicca sul rosso).
Non si smonta così la scuola
di Cristina Di Geronimo (l’Unità, 24.10.2008)*
Con i recenti provvedimenti legislativi sul riordino del sistema scolastico si sono ormai delineate, senza ombra di dubbio, le strategie politiche del Governo. Il primo documento legislativo è il Piano programmatico del ministro dell’Istruzione in applicazione dell’art 64 del D.L. 25 giugno 2008, n 112 convertito dalla Legge 6 agosto 208 n 133. Il Piano si articola sulle seguenti linee:
aumento del numero degli alunni per classe (+ 0,20 il primo anno, più un ulteriore 0,10per il secondo anno, più un ulteriore 0,10 per il terzo anno, sui limiti attuali che sono 30 alunni per le scuole materne, medie e superiori e 25 per la scuola elementare). Stima riduzioni in tre anni scolastici 12.800 posti docenti;
riduzione orario scolastico scuola elementare. Stima riduzioni posti docenti nei primi due anni 14.000 posti docenti;
riduzione insegnanti di lingua inglese nella scuola elementare. Stima riduzioni posti docenti nei tre anni 11.200 posti docenti;
riduzione curricoli scuole secondarie, riduzione cosi serali e cosi per adulti, riconduzione tutte le cattedre a 18 ore. Stima riduzioni nei tre anni 49.400.
Totale generale: 87.400 posti docenti in meno in tre anni. Contestualmente, a effetto domino saranno soppressi, sempre nei tre anni, 44.500 posti fra personale amministrativo, assistenti di laboratorio, collaboratori scolastici. Perderanno il lavoro, quindi, 131.900 lavoratori della scuola. I lavoratori della scuola sono coloro che si occupano della vigilanza, dell’educazione, dell’istruzione dei nostri figli.
Quando una società decide di migliorare, di crescere anche economicamente, investe in cultura, investe in formazione. A cosa mira, al contrario, una società che riduce il tempo e lo spazio formativo? Riporta indietro nel tempo la mobilità sociale. La scuola non sarà più l’occasione per il progresso sociale. L’emarginazione delle classi più deboli sarà prima di tutto un’emarginazione culturale. Si potrebbe dire che, con internet e la televisione, l’accesso alla conoscenza sarà più diffuso. Ma se non saranno forniti ai giovani le chiavi interpretative, i quadri concettuali per accedere alle conoscenze, sempre di più esse diventeranno appannaggio di pochi.
Scriveva Neil Postman, molti anni fa, che le società possono morire per troppa stasi o per troppo movimento e che nel mondo contemporaneo occidentale, dove le conoscenze si moltiplicano con una rapidità impressionante, solo attraverso una cultura solida, una scuola forte, si potrà contrastare la disgregazione sociale. Egli parlava di una funzione termostatica della scuola. In Italia si parte dal dato di una crisi delle scuole superiori e si abbatte la scure principalmente sulle scuole materne ed elementari.
Qualcuno dice che i nostri giovani non conoscono la grammatica, ma nessuno dice che tutti gli apprendimenti di base, che sono forniti nella scuola elementare, se non sono rinforzati, nell’arco di tutto il percorso scolastico, si possono smarrire. È come se in un’azienda dove si rileva che un settore non è produttivo, si decida di modificare quello che invece funziona più che bene. Quegli amministratori sarebbero considerati degli incompetenti senza ombra di dubbio. E poi, un altro paradosso è il seguente, in tutti i settori (l’Alitalia è il più recente) quando si prevede di mandare a casa dieci o ventimila lavoratori, ci si pone il problema di quelle famiglie che non avranno più di che vivere, ma i lavoratori della scuola non hanno famiglia? non hanno contratto un mutuo? non devono far fronte alla pesante crisi finanziaria, economica che il Paese attraversa? Qui si parla di 131.900 posti di lavoro in tre anni.
Una piccola nota a parte, merita la mozione della Lega Nord approvata dal Parlamento italiano qualche giorno fà. Anche qui si parte con i buoni propositi di integrazione, e si dice poi, testualmente che la scuola italiana deve essere in grado di supportare una politica di “discriminazione transitoria positiva” a favore dei minori immigrati, avente come obiettivo la riduzione dei rischi di esclusione. In sostanza si dice, io ti discrimino temporaneamente, per poi integrarti. Come si procede per raggiungere questo contorto obiettivo? Con un test e specifiche prove di valutazione per l’ingresso nelle classi normali. Coloro che non avranno superato i test saranno inseriti in classi temporanee, e comunque, non oltre il 31 dicembre di ciascun anno. In queste classi d’inserimento sarà attivato il seguente curricolo formativo essenziale: comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del Paese accogliente); sostegno alla vita democratica; interdipendenza mondiale; rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi; rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del Paese accogliente. Anche qui per affrontare e risolvere un problema,che pur esiste, di integrazione di alunni immigrati nelle scuole, si ricorre ad una norma che considerare discriminatoria è poco. È una norma che offende la dignità della persona ed ancor più grave è che si tratta di bambini.
*Dirigente scolastica Istituto comprensivoCasalvelino (Salerno)
ETICA E POLITICA.
CARO BERLUSCONI HAI STRAVINTO!!! ORA BASTA: DIMETTITI.
Ascolta (anche) le tue figlie!!! Sciogli il partito di "Forza Italia" e restituisci la parola "Italia" al Presidente della Repubblica e al Parlamento (per leggere l’art., clicca sul rosso).
Giovedì sciopero di quasi tutti i sindacati e maxi corteo a Roma
Anche oggi facoltà e scuole occupate. E mille forme di protesta dell’Onda
I quattro giorni di fuoco della scuola
Legge al voto e blocco totale
Il Senato vota alla vigilia della mobilitazione. I Cobas: lo bloccheremo con i sit-in
ROMA - Una domenica senza notizie clamorose, ma con molte scuole che restano occupate, molte aule universitarie teatro di assemblee e gruppi di studio fino al ’grande ricevimento’ offerto dagli studenti delle facoltà scientifiche della Sapienza di Roma per le loro famiglie, per spiegare i motivi della protesta. E anche mille piccole iniziative spuntate ovunque, secondo l’indicazione generale di questo movimento, di comunicare e fare notizia nei modi più imprevedibili fino ai lenzuoli con l’ormai famoso "Non pagheremo la vostra crisi" spuntati qua e là dai balconi di molti case della capitale.
La mobilitazione insomma "percorre il paese come una grande ’ola’ e passerà per Roma nella più grande manifestazione per la scuola che la nostra memoria ricordi". La sintesi di quel che accadrà nei prossimi giorni è nelle parole del leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. Una sola voce fra le mille che animano la protesta. E che si sono date appuntamento a Roma il 30 ottobre, giorno dello sciopero generale, per una grande manifestazione. Giovedì incroceranno le braccia gli aderenti alla Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda degli insegnanti. E il mondo universitario e della ricerca, in aggiunta, ha già attivato le procedure per una giornata di sciopero il 14 novembre. Un raro sciopero di quasi tutte le organizzazioni sindacali, ancora più irritate dalla decisione di provare a dare il via libera alla legge proprio il giorno prima, senza risposte alle ripetute richieste di confronto (in particolare il segretario della Cisl Bonanni ha ripetuto più volte di essere pronto a fermare l’astensione dal lavoro in presenza di una convocazione al Ministero)
La protesta contro il decreto Gelmini continua a espandersi con forme, modalità e colori diversi. Il fallimento del dialogo con gli studenti, aperto dal ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini ma al grido di "il decreto resta" (e si vota al Senato il 29) non ha fatto che aplificare il dissenso. Inizia così una nuova settimana di mobilitazioni "per bloccare la distruzione della scuola e dell’università messa in atto dal governo".
La Rete degli Studenti Medi informa che nei primi tre giorni della settimana, in tutta Italia, ci saranno scioperi e notti bianche, che si concentreranno ancora una volta nei giorni di approvazione del decreto 137 al Senato. "Dopo lo slittamento ottenuto il 23 ottobre, cercheremo ancora una volta di bloccare i lavori parlamentari. La Gelmini ci ha detto che lei vuole andare avanti, che non si fermerà. Noi le rispondiamo che ’Avanziamo Diritti’, non ci fermiamo e continueremo a chiedere una scuola e un’università nuovi, in grado di darci un futuro".
Lunedì, martedì e mercoledì, dunque, scioperi, autogestioni con pernotto, notti bianche e lezioni all’aperto a Torino, Perugia, Roma, Firenze e Palermo. Per giovedì 30, invece, oltre alla partecipazione alla manifestazione di Roma, la Rete degli Studenti Medi annuncia cortei a Torino, Padova, Palermo e Genova.
E dalle università continuano a giungere appuntamenti che appaiono propedeutici al blocco della didattica in molte altre facoltà (spesso con l’appoggio dei docenti) se non di possibili occupazioni. Un asettimana di fuoco, dunque. E la parola può passare solo alla cronaca, dal momento che le giornate appena concluse hanno mostrato che l’Onda spunta dove meno te l’aspetti, ma anche che si scontrerà con il primo grande scoglio: la probabile approvazione della legge Gelmini giovedì 29.
Milano, la lezione di piazza Duomo
dove l’Onda reinventa la protesta
di CURZIO MALTESE*
MILANO - Nei capannelli di piazza del Duomo da sempre si dà appuntamento il luogo comune reazionario delle maggioranze silenziose milanesi. Nel mezzo degli anni Settanta, nella bufera delle lotte operaie e studentesche, qui lo slogan vincente era "ma andate a lavorare, barboni!". Figurarsi oggi, in fondo a un trentennio asfaltato da Craxi, Bossi e Berlusconi.
Ieri mattina, mentre i capannelli di anziani discutevano se aveva più ragione il Feltri a scrivere che la polizia doveva "manganellare gli studenti nelle parti molli", oppure il Cossiga a volerli "mandare tutti all’ospedale, senza pietà", si sono presentati i ragazzi dell’Onda milanese con i banchetti per tenere le lezioni in piazza. La prima, bellissima, del professor Roberto Escobar, filosofo della politica e raffinato recensore della pagina culturale del Sole 24 Ore, sul tema attualissimo: "Paure e controllo sociale". I capannelli si sono ritratti schifati. "Occhio, sono quelli là, i balordi del Leoncavallo".
Il Leoncavallo era un famoso centro sociale degli anni Settanta, rimasto da allora un mito più per la destra che per la sinistra. Nessuno ha trovato ancora il coraggio di comunicare ai pensionati di piazza del Duomo, ai consiglieri di An in giunta, a Berlusconi stesso e alle redazioni di Libero e Giornale che purtroppo il Leoncavallo, sentina di tutti i mali, covo di comunisti drogati, non esiste più da anni. L’hanno deportato a Greco ed è ridotto a un locale di reduci. I ventenni di oggi semmai si trovano al centro sociale Il Cantiere, in via Monterosa, o in quelli della Bicocca. Comunque Roberto Escobar non ha proprio l’aria dell’agitatore rosso, in più non parla in professorese e ha un bel senso dell’umorismo, quindi alla fine qualche benpensante si è staccato dal gruppo, con passo timido, verso l’adunata di sovversivi.
C’è un’astuzia da guerriglieri mediatici degli studenti milanesi, pochi e accerchiati nella roccaforte del Cavaliere, che meriterebbe di essere studiata dall’opposizione, dalla sinistra. Se a Milano la sinistra non si fosse estinta da tempo. "Saremo imprevedibili", avevano promesso e hanno mantenuto. Il rapporto di studenti mobilitati, rispetto a Roma, è di uno a dieci. Per non parlare dei professori "fiancheggiatori", quatto gatti. Eppure riescono a far parlare di sé ogni giorno.
Si dividono pezzi di città sulle cartine, come l’altro giorno per il blocco del traffico, e danno l’impressione così di essere moltissimi. Nell’aula della Statale che fu il tempio dei liderini sessantottini, da Capanna a Cafiero, specialisti nel discettare sulle prospettive planetarie del capitalismo, assisto a un collettivo sul tema della comunicazione. Discorsi ruvidi ma affascinanti. Del tipo: "Occupazioni, slogan, cortei, tutta roba che puzza di vecchio. Dobbiamo inventarci ogni giorno una cazzata buona per i notiziari, fare come lui. Il Berlusca quando deve distrarre l’attenzione dal taglio del tempo pieno che fa? Scatena il dibattito sul grembiulino". E quindi vai con le trovate. Un giorno la lezione in piazza sfidando i capannelli, un altro il sit-in coi libri sulle linee del tram, un altro ancora i messaggi in bottiglia da distribuire ai passanti, poi la festa aperta a tutti ("un momento ludico ci vuole"). "Qualcuno ha un’altra idea?". Sembra una riunione creativa di pubblicitari.
Marco prende la parola: "Bisogna trovare il modo di non farsi criminalizzare. Di non farsi fottere come i lavoratori dell’Alitalia o i fannulloni dell’impiego pubblico o gli immigrati delinquenti. Se ci trovano un’etichetta, tipo che siamo comunisti o non vogliamo studiare, ce l’abbiamo nel c...". Per ora, in qualche modo, ce l’hanno fatta a sfuggire all’iscrizione nelle liste nere del nuovo maccartismo. A svicolare dalla caccia alle streghe che concentra ogni volta la rabbia di tanti contro una micro categoria in genere di poveri cristi.
Hanno vent’anni, non sanno nulla del ’68, poca roba del ’77, non s’interessano di politica e neanche all’antipolitica. Non è un trucco per non passare "da comunisti". Soltanto negli ultimi dodici anni, dal ’96 al 2008, l’astensionismo al voto dei ventenni è raddoppiato, dal 9 al 18 per cento. Ma sono nati e cresciuti in pieno berlusconismo, nel cuore dell’impero, e hanno sviluppato gli anticorpi giusti. Oltre a una vera ossessione per la comunicazione. "È anche esperienza di vita", chiarisce Luca, 21 anni, Scienze Politiche "Per arrangiarci in fondo che facciamo? Lavoriamo al call center, facciamo i baristi, le consegne, qualcuno lavoricchia in pubblicità. Insomma tutto il giorno a contatto con il pubblico, la gente normale".
"E la prima regola per comunicare i contenuti di una lotta è non farsi etichettare dalla politica. Non saremo mai l’esercito di nessun partito", aggiunge una bella ragazza alta e mora, dal piglio lideristico. Età? 22 anni. Nome? Carlotta Cossutta. Parente? "Nipote". Una rivendicazione di autonomia politica dalla nipote dell’Armando Cossutta, il boss del Pci milanese, l’uomo di Mosca, il rifondatore del comunismo, fa un certo effetto. "Intendiamoci, ciascuno ha le sue idee. Ma qui si tratta di comunicare la sostanza. Oggi per esempio siamo qui a discutere del perché sui media ha avuto tanto spazio il piccolo scontro con la polizia dell’altro giorno e non gli argomenti contro la legge". Carlotta guida un gruppo di guerriglieri mediatici che ogni mattina fa monitoraggio su stampa, radio e tv, analizza, studia come "fare notizia".
Alcuni dimostrano un vero talento. La protesta a Scienze Politiche nasce per esempio da una rivista, Acido Politico, la migliore rivista universitaria di questi anni, creata, diretta e scritta quasi per intero fino all’anno scorso da uno studente, Leo. Per esteso il nome è Leonard Berberi, albanese, nato a Durazzo, arrivato in Italia a dieci anni, senza parlare una parola d’italiano. Nessuno l’ha messo in una classe differenziata, si è diplomato e laureato col massimo dei voti ed è arrivato primo al test di ammissione del master di giornalismo della Statale. Nel movimento milanese sono molti i figli di immigrati e moltissimi gli studenti del Sud. Alla ministra Gelmini, che lamenta l’eccesso d’insegnanti meridionali al Nord, bisognerà un giorno comunicare la percentuale di studenti meridionali nella più prestigiosa università milanese, la Bocconi: 45 per cento.
Il marketing del movimento milanese in ogni caso funziona e l’Onda comincia a ingrossarsi. Dal mondo dei docenti arriva solidarietà. Il preside di Scienze Politiche, Daniele Checchi, per primo ha proclamato un giorno di blocco didattico in appoggio alla protesta. La preside di Psicologia alla Bicocca, Laura D’Odorico, ha aderito con entusiasmo: "Era ora che gli atenei si svegliassero dalla rassegnazione decennale a tagli brutali fatti passare come riforme".
Lo stesso rettore della Statale, Enrico Decleva, finora assai tiepido, se n’è uscito a sorpresa con un’intervista a Radio Popolare in cui ha ammesso: "Con questi ultimi tagli la Statale non potrà chiudere il bilancio del 2010". Non è neppure vero che l’Onda milanese non faccia politica, almeno nelle alleanze. A cominciare dalla più classica, cioè sfruttare le divisioni nel campo nemico.
A Milano, in Lombardia, nelle università il vero potere e il vero consenso non è neppure berlusconiano: si chiama Comunione e Liberazione. Ovvero Formigoni. Ovvero uno che da mesi è impegnato, da destra, nel fare opposizione a qualsiasi iniziativa del governo. Non sarà un caso se uno dei Formigoni boys, Francesco Cacchioli detto "Bencio", responsabile della lista ciellina a Scienze Politiche, che incontro per i corridoi della Statale, dice: "Questa roba qui non è una riforma, è una completa idiozia, una serie di colpi di mannaia senza dietro alcun disegno politico. Noi cattolici finora abbiamo contestato certi modi, i picchetti, i cortei, roba di sinistra. Ma diciamo la verità, nella sostanza non è che abbiano proprio torto".
* la Repubblica, 25 ottobre 2008
Il finto dialogo della Gelmini
Tavolo con gli studenti già saltato
Berlusconi: in piazza dei facinorosi *
Prima di partire, il dialogo tra gli studenti e il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, è già finito. L’ Unione degli Universitari e la Rete degli Studenti medi hanno deciso di abbandonare il confronto con il ministro perché non sono state rispettate le loro richieste: lo stralcio degli articoli 16 e 66 della legge 133.
«Non ci siamo nemmeno seduti al tavolo perché riteniamo che il ministro non abbia ascoltato il movimento», ha detto Federica Musetta, coordinatrice nazionale dell’Udu. Per la Musetta «non ci sono le condizioni per aprire il dialogo». La tela del dialogo si è subito spezzata quando la Gelmini «ci ha detto che non ritirerà questi provvedimenti» ha concluso la coordinatrice nazionale dell’Udu.
Sulla stessa linea la Rete degli Studenti medi che attaccano: «Per noi l’intera riforma è solo un modo per risparmiare 8 miliardi di euro» ha detto Luca De Zolt portavoce dell’organizzazione. De Zolt sottolinea che «Su questo il ministro non ci ha risposto». E allora si proseguirà con le proteste: «Continueremo con le proteste e ogni scuola deciderà singolarmente se occupare. Continuerà la nostra mobilitazione, ampia, pacifica e non violenta» conclude il portavoce della rete degli Studenti medi.
Ora sono attese al confronto con la Gelmini altre organizzazioni, tra cui Azione studenti e il Movimento degli studenti cattolici ma pare che manchino all’appello le organizzazioni della sinistra studentesca.
Intanto fanno ancora discutere, le parole pronunciate venerdì mattina da Berlusconi contro chi sta protestando contro il decreto Gelmini suonano dure. «Tra i manifestanti ci sono gruppi di facinorosi - ha tuonato il presidente del Consiglio - Hanno l’appoggio dell’estrema sinistra e dei giornali». Deve aver dormito male Berlusconi, o forse giovedì sera deve aver visto alla televisione quella massa di «facinorosi» che da Torino a Palermo ce l’ha con lui: mamme e papà, ragazzi dalla faccia pulita, maestri e professori. Tutti a dire che l’idea del maestro unico e i tagli alle università sono una delle cose più nefaste che possano capitare alla scuola pubblica italiana. Non è bastato l’appello del segretario del Pd Walter Veltroni che giovedì ha chiesto al governo di fare una cosa di buon senso: ritirare il decreto e riaprire un tavolo di discussione con chi a scuola ci lavora o ci va tutti i giorni.
Dal canto suo, in attesa della manifestazione di sabato dove la protesta sulla scuola avrà un ruolo centrale, il Pd ha raggiunto un primo risultato: «Siamo riusciti ad ottenere il rinvio dell’esame del decreto Gelmini - spiegano i senatori Franca Biondelli, Paolo Nerozzi e Vincenzo Vita - Speriamo che tra ostruzionismo parlamentare e proteste di studenti, docenti e famiglie il governo si ravveda».
* l’Unità, Pubblicato il: 24.10.08, Modificato il: 24.10.08 alle ore 15.30
Ansa» 2008-10-24 20:23
Berlusconi lancia la contromobilitazione
(di Federico Garimberti)
(ANSA) - ROMA, 24 OTT - Deputati e senatori nelle classi per spiegare la riforma della scuola. Silvio Berlusconi lancia la sua contromobilitazione per rispondere alle "falsità" della sinistra e difendere il piano di riforma di Mariastella Gelmini. Mercoledì scorso, dal quartiere generale di Forza Italia, è stata inviata una mail a tutti i parlamentari del Popolo della Libertà. Contenuto, due allegati: un pieghevole di otto pagine in cui si elencano punti salienti e ragioni della riforma e un volantino fronte retro in cui si critica l’atteggiamento disfattista dell’opposizione. Sarà questo il materiale che deputati e senatori utilizzeranno, ciascuno nel proprio territorio di competenza elettorale, per contrastare la campagna di "disinformazione" della sinistra sulla scuola.
Nel primo si leggono le parole d’ordine della controffensiva mediatica del Cavaliere: serietà, educazione, merito. La prima pagina, dall’eloquente titolo ’La scuola italiana: o cambia o muore’, si sottolinea come "per distruggere definitivamente la scuola sia sufficiente lasciarla come è oggi, come vorrebbe fare la sinistra". Nel pieghevole si sostiene che "la spesa pubblica per la scuola è esplosa, senza che vi sia stato un miglioramento della qualità". Con la riforma, si legge oltre, "non si vuole spendere meno, ma si vuole spendere meglio" per evitare "il tracollo" del sistema. Si nega quindi il licenziamento di 100mila insegnanti, sostenendo che i tagli deriveranno esclusivamente dal blocco delle nuove assunzioni. I risparmi così ottenuti saranno inoltre "reinvestiti nella scuola per i docenti più meritevoli, con premi individuali fino a 7mila euro".
Nel pieghevole si replica anche alle critiche del centrosinistra: "E’ falso dire che la scuola elementare è una eccellenza e dunque non va cambiata", si legge nella seconda pagina dove poco più avanti si sostiene come la situazione attuale sia "frutto dell’eredità del Sessantotto". Insomma, é la conclusione scritta in ’neretto’, "da 40anni la sinistra rovina la scuola; è ora di dire basta". Segue una breve lettera del premier in cui, dopo aver difeso la riforma e ringraziato il ministro Gelmini, Berlusconi auspica che la suola cosi ammodernata possa non solo "educare i nostri ragazzi", ma anche consentire loro di "conoscere meglio se stessi e quindi mettere a frutto i propri talenti". Nelle ultime quattro pagine, il volantino motiva le ragioni dei quattro punti fondamentali in cui si articola il piano della Gelmini: "Perché l’educazione civica; perché i voti in pagella invece dei giudizi; perché il voto in condotta; perché il maestro unico o prevalente".
Il secondo volantino, invece, si concentra su un veemente attacco al centrosinistra. In esso, campeggia la scritta "la sinistra, scuola di falsità". "Ancora una volta - vi si legge - la sinistra ha scelto di fare della scuola il campo di battaglia contro il governo, usando i soliti metodi: attacco personale al ministro, menzogne (taglio del tempo pieno, taglio dei docenti di sostegno, licenziamenti...) occupazione abusiva delle scuole, strumentalizzazione dei bambini". Il tutto accompagnato da tre foto con alcune proteste di studenti e slogan contro la riforma. Sul retro, si ripetono i "perché" dei quattro punti essenziali della riforma. Ogni deputato, attraverso il sito di Forza Italia potrà scaricare il formato dei volantini e farne stampare il numero necessario a seconda delle esigenze.
Ci sono anche dei formati-manifesto da utilizzare per decorare i gazebo che il singolo parlamentare può organizzare sul territorio. La contromobilitazione studiata da Berlusconi e dai vertici del Pdl (vi hanno lavorato Antonio Palmieri per Fi e Italo Bocchino per An) non è infatti organizzata a livello nazionale: ogni deputato e senatore sarà libero di decidere le iniziative più idonee. Ma il suggerimento è quello di andare soprattutto nelle scuole, incontrando alunni e genitori. "L’obiettivo - spiega Palmieri, responsabile della comunicazione elettorale e di internet per Fi-Pdl - è quello di rispondere con dati e cifre al mare di falsità della sinistra". Palmieri prevede una "vasta mobilitazione dei parlamentari del Pdl" e sottolinea che "tanti di loro sono già impegnati nel territorio e in particolare nelle scuole per spiegare i motivi della nostra azione di governo". La contromobilitazione, insomma, è iniziata.(ANSA).
Le verità di Cossiga su Kossiga
di Matteo Bartocci (il manifesto, 25.10.2008)
Infiltratevi nel movimento, sfasciate un paio di macchine e vetrine, fateli sfogare per dieci giorni giorni e poi massacrateli senza pietà, soprattutto i professori universitari e le maestre più giovani. Niente arresti, niente magistrati, «bisogna spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio, perché dalle università il terrorismo tornerà a insanguinare il paese». Da bravo ex ministro dell’Interno, Francesco Cossiga consegna questa «ricetta democratica» (parole sue) al successore Roberto Maroni.
«Deve fare proprio come ho fatto io negli anni ’70», insiste il senatore a vita in un’intervista rilasciata giovedì al Quotidiano nazionale. Sarebbe un errore scambiare le parole del Cossiga di oggi per una pazza nostalgia del «Kossiga» di allora. O indignarsi per il senno fuggito di un senatore a vita. Perché l’ex ministro dell’Interno ha detto esattamente la verità. E spesso il più grande rimpianto di un folle genio è quello di indicare il vero senza essere creduto. «Cassandra, vaticini di un poeta incompreso», si chiama, non a caso, l’ultima fatica letteraria dell’ex picconatore.
Infiltrare, massacrare, ingannare e deviare le indagini senza andare tanto per il sottile è quello che ha fatto lo stato italiano alla fine degli anni ’70. Con i blindati che sfondano i cancelli della Sapienza dopo la «cacciata di Lama» e le mitragliatrici a Bologna il giorno della morte di Francesco Lo Russo. E’ un peccato che, come sempre, lo stesso Cossiga dopo aver «confessato» si affretti ora a correggere il tiro con una lettera volutamente paradossale pubblicata sul Sole 24 Ore di oggi. Un tentativo di dire e non dire ben rodato nel corso del tempo. Il 2008 del resto è stato un anno d’oro per l’esternatore per antonomasia. Dal 1 gennaio a oggi ha rilasciato ben 47 interviste, più di una a settimana. E va bene che sono passati trent’anni dall’omicidio di Aldo Moro e il presidente emerito ha appena compiuto 80 anni, ma in pochi mesi le sue parole stampate su carta hanno portato alla riapertura del caso Ustica e potrebbero, come chiedono ora Rifondazione e i radicali, portare perfino a riaprire il dossier sul misterioso assassinio di Giorgiana Masi, uccisa a Roma da un proiettile vagante il 12 maggio 1977 durante un corteo radicale in ricordo della vittoria al referendum sul divorzio indetta nonostante l’assoluto divieto di manifestare allora in vigore a Roma. Quel giorno in strada c’erano migliaia di poliziotti e carabinieri affiancati da agenti in borghese. Scoppiano incidenti gravissimi. Due ragazze vengono colpite da proiettili sparati da Ponte Garibaldi. Elena Ascione rimane ferita a una gamba mentre Giorgiana Masi morirà durante il trasporto in ospedale.
Il problema è che a forza di ricordare i tempi andati qualcuno dalla memoria corta poi finisce per crederci davvero. Come fa il ministro della Difesa Ignazio La Russa e mezzo governo. Di «cattivi maestri» Berlusconi e i suoi non hanno bisogno. Fanno tutto da soli. E Genova insegna.
Mente sapendo di mentire
di Maria Novella Oppo (l’Unità 1.11.2008)
I tg di ieri ci hanno riferito la versione del governo sulle violenze di piazza Navona: una aggressione degli studenti di sinistra, alla quale i fascisti avrebbero reagito. E dire che qualche milione di spettatori avevano già visto la sera prima ad Annozero un filmato che dimostrava senza ombra di dubbio come i fascisti si fossero schierati in formazione militare, armati di mazze, in attesa dell’ordine di attacco, che è puntualmente arrivato e si è sentito benissimo anche in tv. Allora si sono mossi come un sol uomo, con i poliziotti che restavano immobili alle loro spalle. Il tutto sotto gli occhi dei giornalisti presenti al momento (che infatti lo hanno scritto). E ora, che giudizio si può dare di un governo che mente sapendo di mentire al Parlamento e al popolo? Esattamente quello che si può dare di Berlusconi, che nega non solo le verità più evidenti, ma perfino le sue stesse parole. Per lui, la satira di una Sabina Guzzanti in gran forma, non basta: a Blob l’ardua sentenza.
Il sottosegretario Nitto Palma alla Camera: agenti equilibrati e prudenti
Scuola, polemica sugli scontri Il governo: partiti dalla sinistra
Ma Pd e Idv: menzogne, hanno iniziato teppisti di estrema destra
Maroni sulle occupazioni e le denunce: abbiamo acquisito relazioni dettagliate su ogni istituto
di Fabrizio Caccia (Corriere della Sera, 1.11.2008)
ROMA - Già a caldo, mercoledì scorso, subito dopo gli scontri in piazza Navona tra i fascisti del Blocco Studentesco e l’opposta fazione di Collettivi universitari, Cobas e centri sociali, alcuni parlamentari di centrodestra e centrosinistra (Gasparri, Pardi, Vita, Nerozzi) avevano chiesto al governo un’informativa urgente. Ieri mattina, il sottosegretario all’Interno, Francesco Nitto Palma (Pdl), 58 anni, ex sostituto della Procura di Roma, dopo aver letto il rapporto della Digos, ha svolto alla Camera il suo intervento: «Gli scontri più duri sono stati avviati da un gruppo di circa 400-500 giovani dei collettivi universitari e della sinistra antagonista, alcuni con caschi da motociclista, che è venuto a contatto con gli esponenti di Blocco Studentesco, urlando slogan contro i fascisti e poi iniziando un fitto lancio di oggetti, sedie e tavolini prelevati dai bar della piazza».
Quelli del Blocco, però, erano arrivati con un camioncino bianco Iveco, da cui poi hanno preso, per picchiare, decine di bastoni rivestiti dal tricolore. Com’è stato possibile? «È usuale che durante le manifestazioni i mezzi con altoparlanti raggiungano piazza Navona», ha detto Nitto Palma. E i bastoni «erano occultati ». Le prime tensioni - secondo la ricostruzione del governo - sono cominciate alle 11 quando, dopo reciproche accuse di aggressione tra «rossi» e «neri», gli studenti si sono fronteggiati, divisi da agenti in borghese («L’ atteggiamento dei manifestanti, che urlavano slogan anche contro le forze di polizia, ha indotto a non impiegare queste ultime direttamente in piazza Navona per evitare di acuire la tensione »). Nitto Palma ha contestato anche il filmato sul web in cui si parla di un infiltrato della polizia tra i ragazzi di destra. In realtà, ha spiegato, «si trattava di un giovane del Blocco, fermato e accompagnato in questura». Ha quindi concluso elogiando l’operato «equilibrato e prudente» delle forze dell’ordine (334 gli uomini impegnati). La versione governativa, però, ha fatto insorgere opposizione e movimento studentesco. Antonio Di Pietro (Idv) parla di «menzogne» e di «atto di bassezza mediatica», Walter Verini (Pd) di «grave sottovalutazione dei fatti: teppisti di estrema destra hanno aggredito ragazzi poco più che adolescenti ». I Collettivi della Sapienza hanno annunciato una controinchiesta («Noi aggrediti per primi»). Intanto, su «Spazio azzurro», la bacheca del Pdl su Internet, sono molti i messaggi che chiedono al premier Berlusconi di portare l’elettorato di centrodestra nelle piazze per difendere la legge Gelmini. Qualcuno lo invita perfino ad andare in pub e discoteche a spiegare ai giovani la riforma. E il ministro Maroni, che l’altro giorno aveva annunciato denunce contro chi occupa abusivamente le scuole, ieri ha aggiunto: «Abbiamo acquisito una relazione dettagliata su ogni singolo istituto. Ora valuteremo con saggezza, prudenza e il rigore che serve, perché le leggi vanno rispettate. Ma non è un’iniziativa del governo. È solo una cosa ovvia».
Spranghe in piazza? Normale
di Massimo Solani (l’Unità, 1.11.2008)
Il governo: colpa dei ragazzi di sinistra. Polemica sulla ricostruzione del sottosegretario
Dal Blocco studentesco i primi atti di violenzaI filmati e le sequenze delle cinghiate
Nitto Palma: «Usuale che i camion entrino in piazza Navona per le manifestazioni». Ma che dentro ci fossero i bastoni dei fascisti era ben visibile. E su questo indaga la Procura. Il Pd: l’esecutivo ha sottovalutato.
Monca, ad essere cauti. Faziosa e volutamente miope, se si vuol essere realisti. Comunque la si guardi, la ricostruzione degli incidenti di mercoledì a Piazza Navona fatta dal sottosegretario all’Interno Francesco Nitto Palma ieri alla Camera lascia inquietanti zone d’ombra. Perché nel corso della sua ricostruzione l’ex sostituto procuratore di Roma ha puntato l’indice contro i giovani dei collettivi dando loro tutta la responsabilità e scagionando così i fascisti del Blocco Studentesco. «Alcuni indossavano caschi - ha spiegato - e invece di attestarsi nella piazza a manifestare, si sono fatti largo tra i ragazzi e si sono dapprima schierati urlando slogan contro i fascisti e poi hanno iniziato un fitto lancio di oggetti, sedie e tavolini prelevati dai bar della piazza». Alcuni esponenti del Blocco, ha continuato il sottosegretario, «ma in numero molto minore, si sono schierati ed hanno preso bastoni dal camioncino, mentre i ragazzi dei Collettivi sono avanzati venendo a contatto».
Una versione miope che, ad esempio, ha lasciato sullo sfondo come si trattasse di un dettaglio di nessuna importanza le aggressioni avvenute circa un’ora prima degli incidenti. Quando cioè i ragazzi del Blocco, come testimoniato dalla foto sopra, hanno picchiato e mandato in ospedale due persone, una delle quali refertata al Pronto Soccorso ben prima che in Piazza Navona si scatenasse il finimondo. Aggressioni che hanno poi suscitato la reazione dei collettivi universitari, accorsi in Piazza Navona per difendere gli studenti medi e ricacciare indietro (a mani nude, tanto che sono stati lanciati tavolini e sedie dei bar) quelli del Blocco nel frattempo arretrati e già posizionati in assetto da battaglia con bastoni e caschi. Il tutto senza che la Polizia muovesse un dito per intervenire. Particolari che la Digos aveva segnalato già nella sua prima informativa (una seconda prevista per ieri è stata “congelata” in attesa dei riscontri su ulteriori fotografie e filmati) che da giovedì fa parte del fascicolo di inchiesta affidato al pm Patrizia Ciccarese. Quindici le persone indagate, 21 quelle identificate ad oggi, fra loro 20 appartenenti al Blocco Studentesco.
Ma ci sono altri particolari che la ricostruzione di Palma non ha affatto chiarito. Innanzitutto la presenza in piazza del furgone del Blocco carico di bastoni e mazze (secondo la Digos occultati in una intercapedine, in realtà ben visibili a tutti già lungo il tragitto del corteo): «È usuale - ha sottolineato infatti il sottosegretario - che durante le manifestazioni i mezzi con altoparlanti raggiungano piazza Navona». Non è dello stesso parere la procura che, al contrario, sta proprio cercando di capire chi abbia dato il permesso ai mezzi (c’era anche un sound system dei centri sociali) di entrare in una zona normalmente off limits. Ma nel suo intervento Palma ha scagionato da ogni addebito la Polizia («L’atteggiamento dei partecipanti che urlavano slogan contro le forze dell’ordine - ha spiegato - ha indotto a non impiegare queste ultime in piazza per evitare di acuire la tensione») negando che fra i ragazzi fermati e appartenenti al Blocco ci fosse anche un agente infiltrato. Una ricostruzione che ha scatenato la bagarre in Aula e fuori. «Decine di teppisti appartenenti a Blocco Studentesco hanno aggredito armati di mazze e bastoni ragazzi poco più che adolescenti - ha commentato il deputato del Pd Walter Verini - la ricostruzione del governo è molto al di sotto della gravità dei fatti». «Non si può mentire per sempre», ha accusato il leader dell’Idv Antoni Di Pietro secondo cui quanto dichiarato da Nitto Palma mostra «una bassezza mediatica legata al tentativo di attribuire la colpa dei tafferugli ai giovani di sinistra».
Dai dirigenti ho sentito frasi para eversive: macché costituzione
L’agente: «Infiltrati? Probabile, vogliono far salire la tensione»
di Malcom Pagani (l’Unità, 1.11.2008)
Si aspetta la domanda, non sembra stupito. «Infiltrati in Piazza Navona e nel movimento? Molto probabile. La protesta studentesca dà fastidio e lo scopo finale è quello di alzare la tensione». Il poliziotto che accetta di parlare con la garanzia dell’anonimato, ha molti anni di esperienza nell’ordine pubblico e un dubbio, diventato certezza col passare delle ore: i ragazzi di «Blocco studentesco» hanno avuto vita facile. «Li hanno lasciati fare. I dirigenti presenti sono stati blandi e volontariamente disattenti. Avrebbero dovuto sequestrare le mazze e denunciare i possessori». Non è successo. «Destra e sinistra c’entrano relativamente. È una questione di legalità». I segnali provenienti dall’esecutivo, dichiarazioni di Maroni e Berlusconi in testa, farebbero pensare ad un inasprimento delle tensioni pronto a deflagrare in tempi stretti. L’uomo in divisa, allarga il campo del ragionamento. «In teoria, il governo non avrebbe bisogno di utilizzare certi metodi ma l’incapacità di alcuni dirigenti di PS e la voglia di legittimarsi davanti ai nuovi padroni, potrebbero produrre un corto circuito. Di servi sciocchi, è pieno il mondo. In molti vanno oltre il proprio mandato e quando sentono parlare di legalità, girano le spalle». Un quadro sconsolante. «Ho sentito con le mie orecchie, dirigenti di un certo peso arringare i giovani sottoposti con gli argomenti sbagliati: "Ma quale Costituzione? Se dobbiamo arrestare, arrestiamo. Se dobbiamo produrre prove, le costruiamo dopo”». Squarci inquietanti. «Purtroppo credo che andrà a finire male. Ci sono poliziotti esasperati, provati da turni massacranti e in piazza viene utilizzato anche il personale di norma impiegato negli uffici. La gente stanca è meno disponibile al dialogo e accade di sbagliare o spaventarsi. Basta una sola scintilla, come a Genova». «Sa qual’è la verità? Siamo troppo vicini a una pozzanghera e gli schizzi finiscono per colpire chiunque».
Servizi, squadristi e X Mas: la strategia della provocazione
Destra estrema e forze dell’ordine: contiguità degli anni 70 1977 Negli scontri tra autonomi e polizia muore la studentessa Giorgiana Masi
di Aldo Giannuli (l’Unità, 1.11.2008)
Roma 9 novembre 1963, il corteo sindacale è arrivato a Piazza Santi Apostoli, la manifestazione inizia a sciogliersi, i militanti arrotolano bandiere e striscioni mentre il palco viene smontato. All’improvviso, incomprensibilmente, scoppia un parapiglia. Sembra una rissa fra pochi manifestanti, poi man mano ne giungono altri e, dopo poco, gli scontri dilagano. Polizia e carabinieri intervengono con brutalità e la manifestazione finisce fra le manganellate ed il fumo acre dei lacrimogeni. I dirigenti della Cgil non capiscono come sia potuto succedere, sono disorientati come anche i dirigenti del Partito comunista e del Partito socialista. Maggior fiuto mostra Ferruccio Parri - futuro presidente della Sinistra indipendente - che sente odore di provocazione. I fatti gli daranno presto ragione: durante l’inchiesta sul Sifar (il servizio segreto militare dell’epoca), si scoprirà che gli incidenti erano stati provocati ad arte dalle «squadrette» reclutate da un alto dirigente del Servizio, il colonnello Renzo Rocca, fra giovani fascisti e veterani della X Mas. La polizia aspettava solo un pretesto per intervenire.
Stava per formarsi il primo governo di centrosinistra. Una svolta che suscitava aspettative «pericolose» fra lavoratori i quali, dopo anni di stretta salariale, pensavano fosse giunto il momento di una spallata rivendicativa. Dunque, meglio stroncare le cose sul nascere: quegli incidenti erano giunti opportuni.
Non fu l’unico episodio periodo: era venuto in visita a Roma il presidente del Congo Moise Ciombe - su cui gravava la responsabilità morale dell’assassinio del leader progressista Patrice Lumumba - e la Federazione giovanile comunista italiana aveva organizzato una manifestazione di protesta, che i teppisti di Avanguardia Nazionale avevano attaccato a freddo. Quando i giovani comunisti, riavutisi dalla sorpresa, reagirono, i cordoni della polizia si aprirono per far passare i fascisti e poi si richiusero per caricare i manifestanti. Scene che si vedranno a Valle Giulia, il 1° marzo 1968, dopo che la spedizione squadristica guidata da Giorgio Almirante e Giulio Caradonna era stata respinta dagli studenti. Poi a Bologna il 18 giugno 1969 (dove gli incidenti furono scatenati dal Fuan, il Fronte universitario anticomunista nazionale, organizzazione fiancheggiatrice del Movimento sociale italiano). Dopo, ancora a Milano, durante i funerali dell’agente Antonio Annarumma, il 21 novembre 1969, quando il leader del Movimento studentesco Mario Capanna corse il rischio d’esser linciato. E poi cento altre volte ancora, per tutti gli anni Settanta. Magari con qualche variante, come il 12 maggio 1977 quando, in uno scontro a fuoco fra «autonomi» e polizia, fu uccisa Giorgiana Masi, una studentessa di 19 anni. Tra gli «autonomi» armati, ne venne fotografato uno che poi fu individuato come agente di polizia.
Era una fase storica particolare, nella quale le forze dell’ordine, come per una macabra par condicio, colpivano anche l’estrema destra. Accadde a Roma, in via Acca Larentia, dove i carabinieri intervenuti dopo l’assassinio di due militanti del Movimento sociale da parte delle Brigate rosse, aprirono il fuoco contro gli stessi missini che protestavano, uccidendone uno. Un fatto, come si diceva, accaduto in un momento storico particolare. Perchè di rado l’estrema destra e le forze dell’ordine si sono scontrate. Il tema ricorrente è stato, al contrario, quello dell’incontro. Una vicinanza che trova le sue radici nella comune lotta contro comunisti le sinistre. Non dimentichiamo il problema storico della continuità della polizia dei primi anni della Repubblica con la polizia fascista.
Certo da una ventina d’anni la polizia è cambiata, sia per il livello culturale degli agenti e dei funzionari, sia per la composizione sociale ed anche per le simpatie politiche dei suoi componenti, oggi ben più distribuite fra i diversi partiti. Sarebbe sbagliato non capirlo. Ma si non si può tacere il fatto che determinati ordini, o più semplicemente, certi segnali del potere politico trovino ancora terreno accogliente e possano andare a risvegliare antichi umori che, anche se assopiti, non sono del tutto scomparsi. A volte basta un’intervista, una dichiarazione appena accennata.