I soggetti sono due, e tutto è da ripensare ....

DONNE E UOMINI. Il riconoscimento dell’altra metà del cielo e la difesa della modernità, nella ricerca e nella riflessione di ALAIN TOURAINE

(...) il mio libro incita ad andare oltre, non a combattere un dominio in nome di una verità oggettiva o di una volontà collettiva, ma dare per scopo all’azione collettiva la proclamazione della libertà di soggetti creatori e liberatori di se stessi.
sabato 21 ottobre 2006.
 


LA SOCIETA’ IN ROSA

In Occidente le donne stanno assumendo un ruolo centrale nel tentativo di combattere gli effetti negativi della modernizzazione: le fratture tra corpo e mente, interesse ed emozione, diverso e simile: non agiscono in quanto movimento collettivo, ma come forza di trasformazione culturale.

di Alain Touraine (Il sole-24 ore, 4 giugno 2006: www.libreriadelledonne.it)

Il soggetto è una figura dell’individualismo occidentale, liberato dalle regole della comunità, della tradizione e degli apparati del potere e questo sarebbe ancora più vero per le donne. Sottomesse alla propria funzione sociale e insieme al potere degli uomini in gran parte del mondo, sperano nella libertà di lavorare per sottrarsi alla tutela del marito o della suocera, nell’indipendenza economica, nell’uguaglianza giuridica e nella libertà sessuale. L’emancipazione non è forse il principio stesso della formazione del soggetto? La donna occidentale della classe media incarnerebbe quindi l’idea di soggetto, mentre nel resto del mondo gli ideali femminili sarebbero contraddetti dalle pressioni comunitarie e dai divieti religiosi.

Questa visione "liberale" si oppone all’idea si soggetto come io l’ho definita e posta al centro della mia analisi: il soggetto non dipende da una qualche forma di individualismo o di emancipazione. E’ l’affermazione del diritto di ognuno alla libertà e alla responsabilità e ciò implica che la libertà individuale sia concepita da un lato come liberazione, dall’altro come solidarietà e almeno altrettanto come ricerca della produzione del sé contro tutti i determinanti sociali, culturale, psicologici o politici che riducono l’individuo a mero consumatore. La formazione del soggetto può imboccare ognuna delle strade tracciate della modernizzazione e, necessariamente, ha effetti sull’ambiente sociale, sulle istituzioni sulle rappresentazioni.

La parola delle donne che si fa sentire mentre si esaurisce una modalità particolare della modernizzazione è propria delle società occidentali, più deboli e al contempo più dolci, nelle quali un’idea collettiva irrompe con forza. Combattere gli effetti negativi della modernizzazione che ha creato forme di dominio estreme e distrutto la natura mentre la conquistava. Noi cerchiamo di ricomporre l’esperienza collettiva ed individuale che è stata lacerata, legami tra termini che fasi anteriori della modernizzazione avevano contrapposto: il corpo e la mente, l’interesse e l’emozione, il diverso e il simile.

È questo il progetto del mondo presente, dal quale dipende la nostra sopravvivenza come dicono i militanti dell’ecologia politica: all’interno di questo nuovo orientamento, quali sono gli autori della ricostruzione? Chi occupa il posto dei lavoratori manuali nella società industriale, o dei mercanti che distrussero il sistema feudale? Sono le donne rispondo, perché sono state le vittime più complete della polarizzazione di società che avevano accumulato tutte le risorse nelle mani di un’èlite dirigente fatta di uomini bianchi, adulti, padroni o proprietari di ogni reddito ed armati, le donne considerate come non-attori, prive di soggettività, definite dalle proprie funzioni invece che della propria coscienza.

A farne le attrici sociali più importanti è il fatto che non agiscono in quanto movimento sociale quale è stato il movimento femminista oggi passato in secondo piano. Coscienza femminile e mutamento sociale non sono più separabili e le donne costituiscono piuttosto un movimento culturale.

Nel ribaltamento che porta da una società di conquistatori del mondo a una società della costruzione del sé, la società degli uomini è sostituita da quella delle donne. Non c’è alcun motivo di pensare che l’inferiorità delle donne lasci ora il posto all’uguaglianza: oggi le donne più che gli uomini hanno la capacità di comportarsi come soggetti in quanto portatrici dell’ideale storico della ricomposizione del mondo e del superamento di antichi dualismi, e perché si fanno direttamente carico del proprio ruolo di creatrici di vita, della propria sessualità.

Per un lungo periodo, gli uomini hanno gestito la storicità e creato la coscienza di sé. Da alcuni decessi ormai, e per un tempo indeterminato forse senza una fine prevedibile, siamo in una società ed abbiamo una vita individuale il cui "senso" sta nelle mani, nelle teste e nel sesso delle donne, più che nelle mani, nelle teste e nel sesso degli uomini.

L’universalismo, in cui vedo un attributo essenziale della modernità, è altrettanto sinonimo di difesa dei diritti individuali che dei risultati della scienza. E l’importanza suprema del femminismo è che, al di là delle lotte contro la disuguaglianza e l’ingiustizia, ha formulato e difeso i diritti fondamentali di ogni donna che si posso riassumere con una formula: il diritto di essere un individuo/a libero, gestito dai propri orientamenti e nel rispetto delle proprie capacità e potenzialità, di un "poter essere" per riprendere l’espressione con la quale Paul Ricoeur ha reso il termine capability usato da Amartya Sen.

Per due secoli abbiamo ascoltato la voce dei cittadini che hanno rovesciato lo Stato assoluto, dei lavoratori che hanno difeso i propri diritti all’interno delle imprese, dei popoli colonizzati che si liberavano da un dominio straniero e delle donne che rifiutavano il dominio maschile.

Ma il postfemminismo di cui si occupa il mio libro incita ad andare oltre, non a combattere un dominio in nome di una verità oggettiva o di una volontà collettiva, ma dare per scopo all’azione collettiva la proclamazione della libertà di soggetti creatori e liberatori di se stessi. E questo rende caduca quella sociologia basata sull’idea di un sistema sociale che mira all’integrazione e a gestire i cambiamenti. -(Traduzione di Silvie Coyaud).

* Alain Touraine è un sociologo militante: Con le Monde des Femmes (Fayard, pagg. 246 Euro 19,00) dice di questo libro: "Da uomo, non avrei mai osato scrivere un libro che tratta direttamente delle donne, se non per mostrare che esse creano una nuova cultura e segnalarne la natura storica e sociale, questo libro è rivolto a quegli uomini che ignorano l’esistenza di donne che si autodefiniscono e che si legittimano tra loro".


La modernità salvata dalle donne

di Alain Touraine *

Se faccio il bilancio dei temi cui ho fin qui accennato, vedo da un lato del quadro un movimento coerente, creativo, che è quello delle donne. Alla periferia, cioè lontano dalla creazione culturale, si collocano i movimenti di rottura e di critica radicale, come gli alter-mondialisti e le diverse forme di sogno della rivoluzione. Infine, una terza, nuova e importante categoria è quella della ricerca di combinazioni fra orientamenti opposti ma inseparabili, come si osservano nel caso dell’immigrazione e dell’integrazione degli immigrati.

Un quadro complesso che mostra il frantumarsi del modello culturale in cui i rapporti conflittuali fra classi socio-economiche occupava il posto centrale, mentre gli altri settori della vita sociale e culturale non potevano dar vita che a dei «fronti» specializzati: contadini, femminili, regionali o parlamentari. Questo ci obbliga a porci una domanda imbarazzante: in questa nuova situazione in cui coesistono almeno tre grandi forme di azione collettiva, nessuna delle quali corrisponde alla definizione precisa di movimento sociale, esistono movimenti propriamente sociali, movimenti cioè in cui gli attori si oppongono sul modo di utilizzare socialmente le risorse e gli orientamenti valorizzati da entrambe le parti?

La risposta non può essere che negativa. Esattamente come non può esistere un movimento politico al centro della società industriale, perché quel centro è occupato dai problemi del lavoro e dai conflitti che a quest’ultimo si associano. Ma questa risposta negativa deve essere corretta e completata perché ne sia chiaro il significato reale. Se è vero che le poste in gioco culturali sono diventate più importanti delle poste in gioco sociali, questi ultimi conservano, in molti casi, un’importanza considerevole, ma che prende una forma negativa.

Per dirlo più chiaramente, il lavoro non è più la categoria centrale, ma il non lavoro, la mancanza di un impiego, e, al di là della disoccupazione, l’esclusione di una parte della popolazione dal mercato del lavoro, hanno un’importanza sociale e politica considerevole. Soprattutto se vi si aggiunge il caso di coloro che, al vertice e non alla base della società, vivono di fatto al di fuori della loro società. Essi appartengono al mondo dei mercati internazionali, piuttosto che ad una nazione o ad una regione.

La nostra visione quotidiana del mondo dà una grande importanza a quelle macchie bianche che vediamo stendersi sulle carte, mentre in realtà la loro superficie non fa che diminuire da più di un secolo. Queste categorie ricoprono in parte quelle di cui già ho parlato, quelle degli immigranti o quelle dei piccoli salariati o dei lavoratori indipendenti che si sentono minacciati dalla globalizzazione e in particolare dalla delocalizzazione di alcune attività economiche, ma l’esclusione ha degli effetti specifici.

Questa analisi può essere generalizzata. Le categorie che si trovavano un tempo al centro di un tipo di società non possono giocare un ruolo importante in una diversa società che come forza negativa, come fattore di perdita di senso. Il caso più vistoso è quello delle categorie religiose. La loro deistituzionalizzazione conferisce loro un senso solo metaforico.

L’idea di una società completamente controllata da istituzioni e credenze religiose non ha un senso reale che quando queste istituzioni dispongono di un potere totalitario. Per questo non è un gioco di parole dire che questi movimenti sono «a-sociali». Come un secolo e mezzo fa si parlava di classi pericolose a proposito dei lavoratori che non avevano più posto nel sistema di produzione. Questi movimenti «a-sociali» prendono, al loro inizio, la forma di denuncia della violenza totalitaria che si esercita in primo luogo sulle categorie espulse dalla società.

Tutto sembra portarci a concludere che questo insieme di azioni collettive non si situa più all’interno della modernità e, in termini più concreti, all’interno di quello che ho definito il modello europeo di modernizzazione. È però meglio non arrivare a conclusioni affrettate. Occorre precisare i rapporti, positivi o negativi, che hanno legato la nozione di modernità a quella di movimento sociale e culturale e a diversi tipi di azione collettiva.

Non possiamo, in questo caso, affidarci completamente a studi empirici: occorre anche spiegare le ragioni per le quali si può affermare che le nozioni di movimento sociale e di modernità sono collegate e, in secondo luogo, perché la configurazione di azioni collettive che ho disegnato nel corso di questo articolo si colloca ancora all’interno della modernità.

A. Ricordando la definizione di movimento sociale che ho adottato, si vede che essa implica due elementi indispensabili: un conflitto fra due attori o gruppi sociali, ma finalizzato al controllo delle principali risorse culturali o materiali di una società. Un movimento sociale non può essere un conflitto fra idee religiose o morali; esso è gestito razionalmente, per esempio quando cerca di migliorare la relazione fra lavoro e salario. Un movimento sociale si iscrive in un quadro di razionalità, ma nello stesso tempo il riferimento comune degli avversari ad una posta in gioco, conferisce un significato superiore al loro conflitto. Si tratta dei diritti degli individui e delle comunità.

Ma questo riferimento comune a dei diritti nutre un conflitto sociale perché le idee di razionalità e di razionalizzazione, cha hanno occupato il posto centrale nella società industriale, non hanno lo stesso senso quando sono usate dai dirigenti che contano su un comportamento puramente razionale dei lavoratori, che permette una maggiore produttività oppure quando, e ciò è assai differente, dai lavoratori che difendono contemporaneamente la dignità di ogni lavoratore e la loro solidarietà.

Questo consente loro di ricorrere all’idea di diritto, conferendo all’azione di ciascuno una dimensione universalistica. È più semplice ancora trovare in un movimento culturale lo stesso contenuto conflittuale e lo stesso appello ai diritti fondamentali della persona umana.

Un movimento sociale non è né una semplice rivendicazione né un progetto di negoziato. Esso comprende sempre dei principi universalistici, a volte anche molto direttamente, come nel caso dei movimenti per l’uguaglianza e la libertà delle donne, dei lavoratori immigrati e di altre categorie. Ma sempre conservando una dimensione di conflitto.

Questo significa che ciò che costituisce un movimento sociale, è esattamente ciò che definisce la modernità, nel senso classico che io attribuisco a questa nozione, e cioè l’impegno per liberare l’individuo o il gruppo da ogni dipendenza esclusiva da situazioni sociali e credenze culturali. Questo movimento di liberazione si realizza con il ricorso alla ragione e per la difesa dei diritti individuali, considerati come diritti universali. Ogni movimento sociale è quindi apparso come rivendicazione e come promozione dei diritti politici, sociali o culturali, che devono essere conquistati da tutti. È questo richiamo ai diritti universali che sta al centro delle dichiarazioni americana e francese della fine del XVIII secolo.

Si può criticare la definizione ristretta che io dò sia dei movimenti sociali che della modernità; ma queste due nozioni, così come io ne parlo e le utilizzo in quest’occasione, sono strettamente legate. Esse si oppongono entrambe ad ogni comunitarismo, come ad ogni forma di dittatura di classe.

B. Questo principio generale d’analisi si applica ad una situazione come quella che io ho analizzato ora? Mi pare proprio di sì perché un movimento culturale come quello delle donne, si riferisce ancora più direttamente ai diritti universali, al di là degli interessi particolari che devono essere nello stesso tempo definiti razionalmente. Lo si nota chiaramente quando si considera che il movimento delle donne sostiene la necessità di lottare contro la disuguaglianza e la violenza e si afferma come volontà di far riconoscere una soggettività che è sempre stata rifiutata alle donne. (...)

Solo una società femminile può allargare il campo della modernità abbastanza per incorporare alcuni dei suoi avversari ed evitare gli altri.

Tratto dalla relazione proveniente dal convegno "Colloqui" a Cortona organizzato dalla Fondazione Feltrinelli


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www.unita.it, Pubblicato il: 21.10.06 Modificato il: 21.10.06 alle ore 11.11


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

-  DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.

-  Uomini e donne, per un "cambio di civiltà"
-  USCIAMO DAL SILENZIO: UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE.
-  Basta - con la connivenza all’ordine simbolico di "Mammasantissima" (l’alleanza edipica della Madre con il Figlio, contro il Padre, e contro tutti i fratelli e tutte le sorelle) !!!

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE.


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