Giornalismo

PAOLO MURIALDI. Lo stile del giornalismo

È MORTO A 86 ANNI UNO DEI GRANDI PROFESSIONISTI DELLA STAMPA ITALIANA
giovedì 15 giugno 2006.
 

di Alberto Papuzzi (La Stampa, 15.06.2006)

Fra i molti libri di Paolo Murialdi, maestro di giornalismo scomparso ieri, a ottantasei anni, quello che forse rispecchia meglio la sua personalità, il suo ruolo, il posto di rilievo che ha occupato nella storia della stampa italiana dagli Anni Cinquanta ai nostri giorni, è il secondo che scrisse, Come si legge un giornale, uscito nel 1975 da Laterza. La metà degli Anni Settanta era il tempo in cui si mettevano in discussione le convenzioni giornalistiche ereditate dal centrismo e si voleva decodificare, per usare l’espressione allora di moda, l’informazione dei quotidiani. Memorabile da questo punto di vista un saggio a firma di Umberto Eco, e carico della sua verve satirica, apparso quattro anni prima: Guida all’interpretazione del linguaggio giornalistico. In uno stile semplice e diretto, Come leggere un giornale spiegava la complessa organizzazione di un quotidiano, metteva in luce le regole la governavano, faceva capire le procedure e gli artifici, chiariva i legami tra l’informazione e il potere, segnatamente quello politico e economico. «Questo libro è destinato ai giovani», scriveva Murialdi nella prima pagina. Per lui rappresentava un contributo ai problemi della libertà di stampa e del funzionamento della democrazia. In effetti, il manuale registrò un enorme successo nelle scuole, dove si organizzavano corsi di lettura in classe dei quotidiani, ma anche nelle università e presso nicchie di lettori comuni. Non esisteva nulla di simile, così a portata di mano.

A quell’epoca, Paolo Murialdi era il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, eletto nel 1974, poi rieletto nel ’76 e nel ’78, sempre con Luciano Ceschia segretario. La loro gestione del sindacato dei giornalisti rappresentava la continuazione della linea di rinnovamento avviata nel 1972 con la svolta di Salerno. Bisogna ricordare che a metà marzo del 1970 era nato a Milano, sulla spinta dei rivolgimenti sessantottini, il movimento dei giornalisti democratici. La parola d’ordine era l’autonomia professionale sintetizzata in uno slogan un po’ ingenuo: «I giornali ai giornalisti!». Ma le rivendicazioni affrontavano problemi concreti, legati alla difesa della verità nell’informazione e alla contestazione della falsa obiettività. Il congresso di Salerno aveva portato dentro il sindacato la cultura del movimento dei giornalisti democratici, che sarebbe però stata sconfitta se Murialdi non avesse fatto pesare il suo prestigio di progressista libero da rapporti di partito, di giornalista di grande esperienza e responsabilità. La corrente che si batteva per il rinnovamento nelle redazioni vinse sempre di stretta misura: mentre il segretario Ceschia rappresentava una storia sindacale, Murialdi era un giornalista militante, tra i padri fondatori del Giorno, capace come presidente del sindacato di non far coincidere le battaglie dei giornalisti con le posizioni dei maggiori partiti del centrosinistra, e soprattutto capace di garantire al rinnovamento un profilo culturale .

Nato a Genova nel 1919, entrato al Secolo XIX nel 1939, aveva partecipato, come giovane partigiano non comunista, alla Resistenza nelle file di una brigata Garibaldi che operava nell’Oltrepò pavese. Questa esperienza di formazione è stata raccontata in un libro a metà strada fra narrazione e memoria: La traversata. Settembre 1943 - dicembre 1945 (Il Mulino, 2001). Il libro fa parte di quella raccolta di testimonianze civili, in cui si contano Mai tardi di Nuto Revelli o Paura all’alba di Arrigo Benedetti. Si apre con l’armistizio, mentre Murialdi comanda un reparto di addestramento reclute nel Cuneese e si chiude con l’ingresso a Milano delle brigate dell’Oltrepò. Fra i personaggi c’è Italo Pietra, allora comandante partigiano, in seguito direttore del Giorno. Intervistato in occasione dell’uscita del libro, Murialdi spiegò a Mario Baudino che aveva voluto raccontare tutto, anche le nefandezze degli stessi partigiani: «Per capire - disse - non bisogna nascondere niente».

Ritornato al giornalismo, fu redattore al Corriere della Sera dal 1950 al 1956. Quando nel ’56 nasce Il Giorno - che rappresenta una rottura, sia di grafica sia di stile, con la tradizione dei maggiori quotidiani italiani - viene scelto come redattore capo centrale, il posto di massima responsabilità di chi fa materialmente il giornale. Lui stesso spiegherà in seguito che Il Giorno era nato per la necessità di Enrico Mattei, presidente dell’Eni in lotta contro le Sette sorelle, di avere a disposizione uno strumento giornalistico e l’intraprendenza coltivata da Gaetano Baldacci, inviato del Corriere e primo direttore, per fare un quotidiano su modello americano completamente nuovo.

La stagione dell’impegno in redazione finisce nel 1973, quando comincia quello nella Fnsi. Dopo tre mandati, all’inizio degli anni ottanta, Murialdi lascia anche la Fnsi e dedica tutte le sue attività agli studi giornalistici e alla storia del giornalismo. Nel 1976, col Mulino, aveva fondato la più autorevole rivista in materia, Problemi dell’informazione. Diventa docente in varie università e scuole di giornalismo, fra cui anche la Bocconi e Torino, con una parentesi nel 1993-94, quando da un’estate all’altra è consigliere di amministrazione della Rai, nella stagione dei professori, con Dematté, Benvenuti, Gregory e Elvira Sellerio. Dedica un diario a questa parentesi: Maledetti «professori». Va a casa dopo solo un anno perché nel frattempo è arrivato il governo del Cavalier Berlusconi.


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