APPELLO
Al Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano;
alla Signora Clio Bittoni;
al Presidente del Consiglio Romano Prodi;
alla Ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini;
alla Ministra per la Famiglia Rosy Bindi;
ai Presidenti di Camera e Senato;
alle Parlamentari e ai Parlamentari;
alle Presidenti e ai Presidenti delle Regioni e delle
Provincie;
alle Giunte Regionali, Provinciali, Comunali;
ai Consigli Regionali, Provinciali, Comunali;
alle Consigliere ed ai Consiglieri
di Parità;
alle Assessore ed agli Assessori alle Pari Opportunità;
ai Consigli delle Elette;
alle Sindache ed ai Sindaci;
PER UN IMPEGNO CONCRETO, PER UNA DONNA SOGGETTO DI DIRITTO E NON OGGETTO DI DIRITTI, PER L’AUTODERMINAZIONE FEMMINILE
Gentilissime e Gentilissimi Rappresentanti delle Istituzioni Italiane, ricorre il 25 novembre un triste anniversario, internazionalmente celebrato, per ricordare le donne che hanno subito violenza: come è noto, l’omicidio rappresenta la prima causa di morte per le donne, in Europa e nel mondo.
Noi preferiamo parlarVi di femminicidio: per includere in un’unica sfera semantica di significato ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo sviluppo psico-fisico, alla salute, alla libertà o alla vita della donna, col fine di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla sottomissione o alla morte della vittima nei casi peggiori.
Il femminicidio è basato su relazioni di potere diseguali: il neoconservatorismo, la globalizzazione e la conseguente precarizzazione dei rapporti interpersonali hanno favorito un clima di disuguaglianza sociale che discrimina le donne in particolar modo, costrette nella postmodernità occidentale in più ruoli e tutti precari. Ogniqualvolta le donne reclamano il riconoscimento di diritti politici, riproduttivi, all’istruzione, al lavoro, prevale sempre la negazione della libertà femminile, attraverso interventi “etici” che vanno a incidere sui diritti riproduttivi della donna, riportandola alla sua dimensione “naturale” di donna e madre, quindi di soggetto controllabile.
E’ proprio in ragione di ciò che ci rivolgiamo a Voi, Spettabili Rappresentanti delle Istituzioni Italiane.
E’ atto dovuto garantire alle donne il diritto a vivere liberamente il proprio corpo e la propria sessualità, non ne è lecito il controllo attraverso leggi che non riescono a ponderare in maniera equilibrata i diritti fondamentali della salute e dell’autodeterminazione della donna con gli altri beni costituzionalmente tutelati. “La promozione e la tutela dei diritti delle donne sono requisiti fondamentali per costruire una vera e propria democrazia”, ed “occorre utilizzare tutti i mezzi possibili per prevenire qualsiasi violazione dei diritti umani delle donne”(Punto 4, Risoluzione del Parlamento europeo sul seguito della Quarta Conferenza mondiale sulla piattaforma di azione per le donne): è un impegno che riguarda tutta la comunità, ma in primo luogo rappresenta un’obbligazione dello Stato, assunta non solo Costituzionalmente ex art. 3, ma anche a livello internazionale attraverso il riconoscimento della validità dei vari Trattati, Dichiarazioni e Convenzioni a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, ed in particolar modo attraverso la ratifica della CEDAW. Tuttavia, nella realizzazione degli interventi legislativi e governativi in materia non si è affatto tenuto conto delle raccomandazioni provenienti dal Comitato per l’attuazione della CEDAW. Per questo:
1. Rigettiamo ogni forma di intervento di tipo emergenzialistico, perché la violenza sulle donne non è un’emergenza (sarebbe un’emergenza globale perenne ab inizio, altrimenti), è un problema sociale, e come tale va affrontato;
2. Riteniamo inutile ogni forma di inasprimento delle pene, essendo già bastevolmente sanzionatoria l’attuale disciplina, se concretamente attuata;
3. Riteniamo eccessivamente selettiva l’impostazione scelta per il codice delle pari opportunità, che relega la realizzazione della donna esclusivamente all’ambito lavorativo, e non coglie la complessità delle discriminazioni di genere cui la donna è soggetta anche negli altri ambiti di relazione;
Ci auspichiamo quindi che l’attuale Governo e quante e quanti rappresentano ad ogni livello le Istituzioni non si facciano ulteriormente tentare dalla via facile ma pericolosamente sdrucciolevole della repressione indiscriminata: non serve un “piano di azione straordinario contro le violenze sulle donne”, è necessario invece “riconoscere che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società, che si basa sull’ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna, e incoraggiare la partecipazione attiva degli uomini nelle azioni volte a contrastare la violenza sulle donne” (Council of Europe, Recommendation 5/2002 of the Committee of Minister to member states on the protection of women against violence , III), è necessario “riconoscere che lo Stato ha l’obbligo di esercitare la dovuta diligenza nel prevenire, investigare, e punire gli atti di violenza, sia che siano esercitati dallo Stato sia che siano perpetrati da privati cittadi ni, e di provvedere alla protezione delle vittime” (Council of Europe, Recommendation 5/2002 of the Committee of Minister to member states on the protection of women against violence , II ).
L’Unione Europea sembra aver preso coscienza della necessità di un cambio di rotta urgente in tema di violenza sulle donne, a nostro avviso ha fornito anche le coordinate giuste per affrontare il problema in termini non di repressione ma di garanzia di diritti e offerta di opportunità nuove alle donne. Chiediamo quindi alle Istituzioni di accogliere questa sfida, ed accoglierla non solo nelle parti più facilmente realizzabili, ma nella complessità in cui viene proposta, perché è necessario che il cambiamento coinvolga tutti gli attori sociali interessati :è difficile infatti senza un adeguato impatto sulla comunità riuscire a far cessare la violenza sulle donne, che “è la manifestazione di un potere relazionale storicamente diseguale tra uomini e donne...uno dei principali meccanismi sociali attraverso i quali le donne sono costrette ad occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini.” (Preambolo CEDAW).
Invitiamo il Governo e le altre e gli altri Rappresentanti delle Istituzioni cui questo appello è rivolto a perseguire attraverso le scelte politiche e di Governo che verranno poste in essere quegli obiettivi indicati dalla CEDAW e dall’Unione (In particolar modo dal Committee for Equality between Women and Men, che nel 2006 ha redatto uno dei pochissimi studi organici realizzati a livello governativo europeo in materia di violenza sulle donne, Combating violenze against women. Stocktaking study on the measures and action taken in Council of Europe member States, consultabile su Internet nel sito del CDEG, http://www.coe.int/equality/, che il nostro Stato, come gli altri Stati Europei, aveva il compito di tradurre e diffondere... ) per il raggiungimento dell’uguaglianza tra i sessi, ed a porre in essere gli interventi necessari e le misure indicate, per consentire alle donne di vivere nella propria comunità godendo liberamente dei pieni diritti che spettano loro come cittadine , ma prima ancora come Persone. In particolar modo riteniamo obiettivi prioritari:
1. L’assegnazione di un Portafoglio al Ministero delle Pari Opportunità, per dotarlo dei margini di autonomia economica necessari a porre in essere un Piano di Azione a tutto campo che sia in grado di intervenire trasversalmente su più piani (sociale, economico, legislativo, giudiziario), e che renda quindi concreta la possibilità di un cambiamento effettivo di prospettiva nel rapporto tra sessi;
2. Un approccio “olistico” alla violenza sulle donne, attraverso un’unica codificazione che raggruppi gli aspetti legislativi civilistici, penalistici, legati al diritto di famiglia, procedurali, e che indichi i rapporti di coordinamento tra forze dell’ordine, associazioni e magistratura, in maniera tale da prevedere una procedura che assicuri la più completa protezione e assistenza immediata alla donna che decida di uscire da una situazione di violenza;
3. Professionalizzazione e preparazione “di genere” degli attori sociali che quotidianamente trattano casi di discriminazione e violenza sulle donne, attraverso corsi specifici ed obbligatori non solo nelle scuole superiori e professionali dove si formano gli operatori sociali che vengono a contattato con questa realtà, ma rivolti in particolar modo ad operatori sanitari del Pronto Soccorso, operatori dei Servizi Sociali, Forze dell’Ordine;
4. L’eliminazione di tutte le norme e prassi giuridiche che risultano discriminatorie nei confronti della donna, in particolar modo in riferimento ai diritti procreativi;
5. L’istituzione di un Osservatorio sui diritti delle donne;
6. La promozione di una “prospettiva di genere” in tutti i campi, anche attraverso campagne di sensibilizzazione e di educazione all’ascolto;
7. La promozione di campagne di sensibilizzazione, campagne educative, pubblicità, ed ogni iniziativa di carattere sociale adeguata a porre fine alla stereotipizzazione del ruolo di responsabilità della donna in famiglia e nella società, anche attraverso un codice di regolamentazione dei media per evitare la diffusione di immagini discriminanti della donna o lesive della sua dignità, che la facciano percepire come oggetto sessuale, o come responsabile in via principale della crescita dei figli;
8. Incoraggiamento dei mass-media mass media e delle agenzie pubblicitarie a proiettare un’immagine delle donne come partner alla pari in tutte gli ambiti della vita;
9. Promozione di misure che incentivino l’ occupazione femminile e migliorino lo status precario delle donne lavoratrici;
10. Promozione di ricerche che consentano di avere informazioni precise e dettagliate sullo stato di salute delle donne e sull’accesso delle stesse ai servizi sanitari;
11. Maggiore partecipazione delle donne alla vita pubblica e alla politica, sia nelle cariche elettive che in quelle politiche, nell’assegnazione di incarichi istituzionali, nella magistratura e a livello internazionale;
12. Elaborazione di misure atte a eliminare la discriminazione nei confronti delle donne migranti, e rimozione delle le restrizioni sulle donne migranti previste nella Bossi-Fini;
13. Apertura di un dibattito serio e partecipato sulle questioni di genere, attraverso la traduzione e la diffusione capillare dei dati europei in materia, dei principali atti europei, delle risoluzioni, delle raccomandazioni, al fine di coinvolgere tutti gli attori sociali e le ONG operanti in tale ambito, anche attraverso la creazione di un Comitato Consultivo;
Traducendo in Italiano le Raccomandazioni del Comitato CEDAW riferite all’ultimo rapporto, compito che spettava agli organi istituzionalmente deputati, ribadiamo la necessità dell’appoggio di tutte le Istituzioni, nella consapevolezza che per progredire nella tutela dei diritti un cambiamento è necessario, c’è bisogno di più impegno e di più donne impegnate su questo fronte in politica, di un empowerment forte per dare sostegno ad un progetto di questa portata.
Chiediamo alle Istituzioni, alle donne ma soprattutto agli uomini che le rappresentano e cui rivolgiamo questo appello, il coraggio e la volontà politica di mettersi in gioco, di stanziare i fondi necessari per assicurare la possibilità di elaborare progetti a lungo termine e consentire la creazione di una rete organizzativa locale che possa attuare in maniera coordinata il Piano di Azione che ci auspichiamo verrà redatto a livello nazionale, in concertazione con le associazioni di donne e con gli operatori sociali che per l’autodeterminazione delle donne lavorano da sempre. Credere che un cambiamento sia possibile importa una grande spendita di energie, mezzi, risorse, ed implica soprattutto volgere lo sguardo al futuro, consapevoli però del fatto che “un futuro democratico alternativo i costruisce giorno per giorno su pratiche democratiche”.
Con l’auspicio che le Istituzioni manifestino attraverso il loro operato questa consapevolezza, invitiamo nuovamente ad un impegno concreto per “Dare forma, creare, e mettere in atto una giustizia di genere oggi”.
PROMOTRICI E PROMOTORI DELL’APPELLO:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
COORDINAMENTO DONNE PRC
BOLOGNA FORUM DELLE DONNE DEL PRC
Per adesioni e sottoscrizioni scrivere a:
barbaraspinelli_segreteriagd@yahoo.it
Prime Adesioni E Sottoscrizioni pervenute:
1. Laura Silvestri, Ordinaria Di Lingua E Letteratura Spagnola Presso La Facoltà Di Lettere Dell’ Università Di Roma “Tor Vergata”
2. Associazione Culturale Kairos Di Piacenza
3. Associazione Coming Out Di Piacenza
4. Gruppo Antipsichiatrico Piacentino
5. Avv. Cathy Latorre, Facciamo Breccia - Bologna
6. Sig.ra Bruna Minardi, Segretaria Di Lega SPI-CGIL
7. Sig.ra Riccardi Silvana, Coordinatrice Donne Pensionate SPI-CGIL
8. Marina Pivetta, giornalista
9. Associazione per l’informazione il paese delle donne
10. Fondazione “Roberta Lanzino”
11. Matilde Spadafora, madre di Roberta Lanzino
12. Fondazione Pangea ONLUS
13. Tiziana Bartolini, Direttora Noidonne
14. Babara Monachesi, Attivista Amnesty International e volontaria Apeiron
15. Donatella Cortellini, Bologna
DIECI MILIONI DI DONNE HANNO SUBITO VIOLENZE SESSUALI *
ROMA - Dieci milioni di donne, fra i 14 e 59 anni, hanno subito molestie sessuali o ricatti sessuali nel corso della vita. Sono 500 mila gli stupri o tentati stupri mentre ammontano a 900 mila i ricatti sessuali sul lavoro. 100 mila sono state oggetto di entrambe le violenze.
E’ il quadro nazionale sulla violenza sessuale subita dalle donne illustrati dalla direttrice generale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, a Montecitorio, alla Giornata parlamentare contro la violenza alle donne organizzata in vista della Giornata europea contro la violenza alle donne che ricorre il 25 novembre.
All’iniziativa é intervenuto anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Sabbadini ha tenuto a precisare che "la crescita delle denunce non è necessariamente indice di crescita di violenza. Le denunce possono aumentare perché le donne scelgono di denunciare di più rispetto al passato". Ciò che è reale, a suo avviso, è il sommerso del fenomeno che non è ancora stimabile. Un terzo delle donne non parla con nessuno dell’ accaduto.
A breve, l’Istat fornirà nuovi dati ma l’ultima rilevazione (2002) parla di oltre 3 milioni e mezzo di donne che hanno subito molestie fisiche, 4 milioni subiscono atti di esibizionismo ed altrettanti pedinamenti, quasi 4.5 milioni telefonate oscene, 4.6 milioni molestie verbali. E’ stato ribadito che, per l’Istat, le molestie fisiche sessuali avvengono solitamente ad opera di estranei (58,2%), per la strada (19%), sui mezzi di trasporto pubblici (31,6%) sul posto di lavoro (12,1%), in pub o in discoteca (10,5%). Mentre gli stupri e i tentati stupri sono commessi da estranei in assoluta minoranza (3,5%), più frequentemente da amici (23,8%), conoscenti (12,3%), fidanzati o ex fidanzati (17,4%), mariti o ex mariti (20,2%). Solo il 21% delle violenze sessuali avviene per strada e il 14% in auto; per il resto, a casa propria o di amici e parenti.
I 900 mila ricatti sessuali sul lavoro avvengono all’assunzione o per la carriera e si verificano - ha precisato Sabbadini - nei momenti in cui le donne si trovano più in difficoltà. Subiscono, ad esempio, ricatti più le donne disoccupate che le occupate, più le lavoratrici indipendenti che le dipendenti, più le impiegate che le operaie. Tuttavia, dal 1997 al 2002 molestie fisiche sessuali e i tentati stupri sono diminuiti. Probabilmente per effetto dell’azione dei centri antiviolenza, per le novità legislative, per l’approccio al fenomeno da parte delle donne.
La cerimonia a Montecitorio - dove fra l’altro è stato ricordato che le violenze è la causa di morte più frequente in Italia, in Europa e nel mondo per le donne fra i 15 e 44 anni - é stata organizzata dal Comitato per le pari opportunità della Camera.
Fra le partecipanti, Maria Grazia Giammarinaro, esperta della Commissione europea sui temi della tratta, che ha sottolineato come l’attuazione della legge sull’allontanamento del coniuge violento "non è adeguatamente monitorata. E’ essenziale - ha osservato - che nella finanziaria sia approvato il fondo per realizzare l’osservatorio sulla violenza domestica, da molti anni richiesto dalle associazioni di tutela delle donne vittime di violenza". L’esperta ha anche sollecitato interventi per una maggiore formazione su questo tema delle forze di polizia.
Sylvie Matheron, avvocato dell’infanzia del Foro di Marsiglia, ha detto che in Francia ogni quattro giorni una donna muore per le percosse subite dal suo compagno. Ogni anno ci sono circa 25 mila stupri; solo il 13% delle donne denuncia il fatto. Per Maura Misiti, ricercatrice del Cnr, "la violenza non può essere sconfitta se non diviene una priorità a tutti i livelli. La volontà politica si esprime attraverso leggi, piani nazionali di azione, allocazione di risorse in differenti settori di intervento dalla giustizia alle politiche sociali ai servizi".
* ANSA» 2006-11-23 12:03
Sul tema, nel sito, cfr.
DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "PARLIAMO DI FEMMINICIDIO"
UOMINI E DONNE, PER UN CAMBIO DI CIVILTA’
IL RICONOSCIMENTO DELL’ALTRA META’ DEL CIELO
PER L’EUROPA E PER L’ITALIA, UNA BUONA-ESORTAZIONE DAL BRASILE.
100 donne ammazzate ogni anno da fidanzati mariti o ex
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la violenza contro le donne rappresenta la prima causa di morte per il sesso femminile fra i 25 e i 44 anni. E a leggere i dati Istat del 2007 emerge che in Italia il 14,3% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza dal partner o dall’ ex e che ogni anno vengono uccise di media 100 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Una mattanza che non conosce confini geografici, culturali o sociali. Circa il 10% degli omicidi avvenuti in Italia dal 2002 al 2008 secondo Massimo Lattanzi, fondatore dell’Osservatorio nazionale sullo stalking ha avuto come prologo atti di stalking, l’80% delle vittime è di sesso femminile e la durata media delle molestie è di circa un anno e mezzo. Una fotografia del fenomeno l’ha fornita ieri, nel corso di un convegno, anche il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Casellati: a tutt’oggi 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali, ma le denunce sono soltanto il 7,3%.
*l’Unità, 12.07.2010
Il monito di Napolitano: «Non dimenticare mai i diritti delle donne e dei gay» *
Anche ’’in paesi evoluti e ricchi come l’Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare, negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani’’. Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso di apertura della conferenza internazionale contro la Violenza sulle donne, organizzata alla Farnesina nell’ambito degli incontri del G8 a Presidenza italiana.
Il capo dello Stato ha sottolineato come oggi viviamo ’’nell’eta’ dei diritti, intendendo la complessita’ di questa espressione: diritti proclamati, diritti affermati o in via di affermazione, diritti da conquistare, diritti da rendere universali’’. E ha ricordato come ’’il riconoscimento dei diritti umani’’ sia ’’condizione di convivenza civile, libera e democratica’’. ’’In qualsiasi contesto il pieno riconoscimento la concreta affermazione dei diritti umani - ha rilevato - costituisce una innegabile pietra di paragone della condizione effettiva delle popolazioni e delle persone del grado di avanzamento materiale e spirituale di un Paese’’.
’’Dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell’incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l’affermazione della liberta’, della dignita’, e della parita’ dei diritti delle donne’’, ha poi affermato Napolitano, facendo un appello ai presenti a sentirsi tutti ’’egualmente impegnati a perseguire conquiste piu’ comprensive, garantite e generalizzate’’. Per il capo dello Stato decisiva e’ ’’la dimensione educativa di questo impegno’’ nel senso di ’’educare l’insieme delle nostre societa’ ai valori dell’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso - articolo 2 della Costituzione italiana - e ai valori della non discriminazione’’. Le violenze sulle donne, infatti, si ripetono, ha ricordato Napolitano, ’’nonostante il Parlamento gia’ da decenni si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza contro le donne, come reato contro la persona, e abbia di recente affrontato anche l’aspetto delle molestie e delle persecuzioni contro le donne nei luoghi di lavoro’’.
Il presidente della Repubblica ha quindi fatto un richiamo ’’alla non discriminazione’’ nel momento in cui ’’l’intolleranza, la discriminazione, la violenza colpiscono persone e comunita’ omosessuali’’. ’’La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - ha ricordato Napolitano - indica tutti i possibili motivi di discriminazione da mettere al bando: il sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le convinzioni personali, le convinzioni politiche, fino alla, cosi’ recita l’articolo 6 della Carta, disabilita’ e all’orientamento sessuale. Quest’ultima, innovativa nozione, va ricordata e sottolineata’’ quando le violenze si rivolgono contro gli omosessuali. ’’Intolleranza e violenza’’ ha spiegato il capo dello Stato ’’in larga misura sono oggi alimentate dall’ignoranza, dalla perdita di valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dai principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza nazionale democratica’’.
* l’Unità, 09 settembre 2009
OGGI
di Maria G. Di Rienzo *
Titolo a caratteri cubitali: "Violentata ragazza di quindici anni, tunisino arrestato a Bologna". Sotto, in piccoli e discreti caratteri: "Abusava della figlia quattordicenne, arrestato nel barese". Il quotidiano e’ ovviamente lo stesso, il giorno e’ oggi, 14 febbraio 2009.
Qualcuno pensa in buona fede che il cosiddetto "pacchetto sicurezza", non appena divenuto legge, potra’ essere utile alle prossime ragazze che in strada aspettano tranquillamente gli amici (Bologna) o che vengono picchiate, umiliate, stuprate per un anno intero dal loro papa’ (Bari)?
Supponiamo che, nel primo caso, lo straniero non fosse in regola con le norme di soggiorno e che avesse contratto una malattia infettiva: non e’ andato a farsi curare per timore di essere denunciato, cosi’ ha contagiato la ragazzina. Supponiamo che nel secondo caso ci fossero le ronde in citta’: passando sotto casa della quattordicenne hanno trovato tutto in ordine, l’inferno era dentro e non potevano vederlo. Supponiamo che entrambi gli stupratori avessero una residenza regolare: con gli elenchi dei "senza fissa dimora" le due fanciulle possono farci gli aeroplanini, sempre che un giorno ritrovino la voglia di ridere e giocare. Nessuno si permetta piu’ di dirmi che lo fanno per le donne, oltre che sarcastica potrei diventare furibonda.
E nessuno si permetta piu’ di teorizzarmi gerarchie nei diritti umani, perche’ furibonda lo sono gia’. Se qualcuno puo’ schiavizzare, picchiare, denigrare, stuprare e finanche uccidere qualcun altro perche’ "e’ la sua cultura", smettete di protestare per i massacri in Palestina (e’ la cultura del governo israeliano, un po’ di rispetto, per favore), per le guerre a stelle a strisce (e’ la cultura dei neoconservatori, va considerata) e per il negazionismo dell’Olocausto (cultura e come: ci sono fior di professoroni a farla).
Il concetto di diritti umani e’ riconoscibile in ogni cultura che la nostra specie ha prodotto. E’ stato riarticolato e riformulato attraverso i secoli e si evolve continuamente per contrastare gli attacchi all’umana dignita’ quali che essi siano e da qualunque parte provengano. Fu il concetto di "diritti umani", espresso nei termini dell’autodeterminazione, a formare la base delle lotte per l’indipendenza dalle dominazioni coloniali. Fu il concetto di "diritti umani" a sfidare l’apartheid e la discriminazione razziale. Fu il concetto di "diritti umani" a tagliare la cortina che separava pubblico e privato nelle vite delle donne, e a far riconoscere che tali diritti venivano violati in ambo le sfere.
L’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani attesta che "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignita’ e diritti". I principi dell’universalita’, inalienabilita’, interdipendenza ed indivisibilita’ dei diritti umani sono affermati in decine di trattati internazionali ed europei che il nostro Paese ha firmato. I trattati riportano anche con molta chiarezza il dovere degli Stati firmatari di assicurare non solo il rispetto dei diritti umani, ma anche la loro protezione e promozione.
Se il "pacchetto sicurezza" diventa legge italiana, cosi’ com’e’, non solo va nella direzione diametralmente opposta, ma apre le porte alla distruzione della Carta costituzionale, ed alla formazione di uno "stato in perenne emergenza" che in nome dell’emergenza stessa non sara’ soggetto a nessun controllo e potra’ permettersi ogni tipo di violenza.
C’e’ chi crede che la faccenda vada ad interessare solo migranti, rom, sinti e vagabondi, e poiche’ pensa che queste siano gia’ categorie subumane non e’ molto preoccupato. Si preoccupera’ domani, quando gli revocheranno il diritto di sciopero (un Paese in emergenza non puo’ permettersi turbolenze) e non sara’ in grado di negoziare il proprio contratto di lavoro. Si preoccupera’ dopodomani, quando lo porteranno via da casa per interrogarlo e non avra’ garanzie costituzionali rispetto alla detenzione e al processo (un Paese in emergenza puo’ ricorrere alla tortura per avere informazioni).
Senza offesa, e senza nessuna pretesa di spostarvi dalla mia parte: potreste preoccuparvi oggi?
* Fonte: LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA Numero 203 del 15 febbraio 2009 Supplemento domenicale de "La nonviolenza e’ in cammino"
INIZIATIVE
IL 22 NOVEMBRE A ROMA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
di ELENA BIAGINI *
[Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 23 ottobre 2008 col titolo "Manifestazione contro la violenza sulle donne a Roma il 22 novembre 2008"]
Il 24 novembre del 2007 la grandissima manifestazione femminista e lesbica contro la violenza maschile sulle donne ha sconvolto l’asfissia della politica italiana, anche di movimento, con forza, radicalita’ ed autonomia. 150.000 donne in corteo a Roma con parole d’ordine chiare e assolutamente fuori dal coro: la violenza sulle donne ha un sesso non una nazionalita’, sono i maschi a commetterla e, per questo, qualunque politica xenofoba e securitaria non puo’ usare a pretesto questo tema; al contrario, la violenza contro le donne e’ commessa principalmente in famiglia. Per qualche giorno lo scorso anno i media sono stati costretti a rendere pubblici i dati su femminicidi e violenze di ogni genere, i dati sconvolgenti di una guerra in atto in tutto il mondo contro le donne, una guerra che inchioda come responsabile il sesso maschile e mostra che, nella maggior parte dei casi, sono proprio i maschi all’interno della famiglia, di qualunque grado di parentela, a uccidere, brutalizzare, stuprare le donne.
Il "sommovimento" del 24 novembre scorso non si e’ spento e per tutto l’anno ha portato le femministe e le lesbiche piu’ volte in piazza, in presidi e cortei spontanei lo scorso 14 febbraio quando la polizia irruppe nelle corsie del Policlinico di Napoli a violare la degenza di una donna che aveva interrotto la propria gravidanza, in un 8 marzo organizzato in tantissime citta’ diverse con lo slogan "Tra la festa il rito e il silenzio scegliamo la lotta" e poi in presidi davanti a tribunali dove si celebravano processi per stupro e femminicidio, in cortei volti a rompere l’omerta’ degli stupratori, in iniziative antirazziste. Quel sommovimento dello scorso anno e’ divenuto una rete che ha trovato tempo, modalita’ e desiderio di approfondimento e confronto attraverso due edizioni di "Flat - Femministe e lesbiche ai tavoli", lavori tematici di centinaia di femministe e lesbiche che hanno prodotto saperi, pratiche, percorsi su violenza maschile, sessismo, autodeterminazione, fascismo, razzismo, lavoro e precarieta’, comunicazione.
Anche quest’anno le femministe e lesbiche "sommosse", in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, lanciano un appello a tutte le donne per tornare in piazza: sabato scorso, in un’affollata assemblea che si e’ tenuta presso la Casa Internazionale delle Donne, e’ stato infatti deciso di organizzare un corteo che sabato 22 novembre, come lo scorso anno, partira’ da piazza Esedra per raggiungere piazza Navona.
E come lo scorso anno la manifestazione sara’ autonoma e autorganizzata: non saranno partiti o sindacati a costruirla ma collettivi, gruppi, associazioni, assemblee di femministe e lesbiche sparsi sul territorio nazionale. Gia’ all’assemblea nazionale di sabato, oltre alle romane, hanno partecipato donne da molte citta’ fra cui Bologna, Milano, Palermo, Bari, Trieste, Firenze, Perugia, Napoli, femministe e lesbiche di tutte le generazioni.
E se anche quest’anno la manifestazione - antisessista, antirazzista e antifascista - avra’ come motore la denuncia della violenza maschile su donne e lesbiche, togliendo il velo ideologico che spesso copre la famiglia come teatro di violenza, e la rivendicazione di autodeterminazione per tutte, molti sono i temi che l’attualita’ politica ha imposto: anzitutto la violenza istituzionale attuata attraverso il ddl Carfagna che criminalizza le prostitute e con loro tutte le donne (sabato infatti era presente anche il Comitato per i diritti civili delle prostitute), ma anche attraverso lo smantellamento dello stato sociale, la precarizzazione e i decreti Brunetta e Gelmini che colpiscono scuola e universita’ e quindi migliaia e migliaia di donne non solo lavoratrici e studenti.
Poi, accanto alla violenza contro donne e lesbiche, e’ stata sottolineata la violenza transfobica che ha prodotto momenti efferati, tra cui in piu’ interventi e’ stata ricordata la caccia alle trans al Prenestino, quartiere della periferia romana.
Ma anche l’opposizione alla guerra, come massima espressione di violenza maschile subita prioritariamente dalle donne, e al militarismo, saranno portate in corteo in un momento politico in cui sembrano ormai fenomeni endemici.
Le parole chiave intorno a cui si e’ dipanato il ragionamento dell’assemblea femminista e lesbica sono "condotta", "decoro" e "controllo", i pilastri di un regime autoritario ormai imposto nel paese che trova in una violenta riaffermazione machista e patriarcale la sua piu’ forte definizione. Il decoro che, sbandierato dalle amministrazioni locali e dai decreti governativi, vuole imporsi come norma e controllo delle donne, delle lesbiche, di tutte le soggettivita’ eccentriche, deve essere smascherato come grimaldello per imporre limiti all’autodeterminazione delle donne, delle lesbiche, di tutte e di tutti. Il corteo sara’ anche quest’anno una manifestazione di donne per le donne, definizione molto discussa in assemblea per il rischio che possa essere letta come essenzialista, ma che in realta’ vuole ribadire l’autonomia di femministe e lesbiche, le protagoniste di questa lotta, mentre altre soggettivita’ che vorranno partecipare troveranno la loro collocazione nella parte finale del corteo.
Per approfondimenti e aggiornamenti: flat.noblogs.org
Tratto da
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
Supplemento settimanale del giovedi’ de
La nonviolenza è in cammino
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/
Numero 220 del 20 novembre 2008
Tanti delitti. È femminicidio
Tra le mura di casa gran parte delle brutalità
Il marito o il convivente è spesso l’aguzzino
All’origine ci sono sessismo e misoginia
di Adele Cambria (l’Unità, 22.11.2008)
Così Barbara Spinelli, una giovane giurista bolognese che collabora con l’Associazione Giuristi Democratici, descrive nel suo libro, «Femminicidio», (Franco Angeli), la strage di donne scoperta alla metà degli Anni Novanta in Messico. Le domande su quella discarica di corpi femminili nel deserto sono tante.
Quanti corpi vi furono seppelliti? C’era una organizzazione che convogliava gli assassini verso quel cimitero clandestino? «Si calcola che ne furono seppelliti oltre 4500. Purtroppo non è stata provata l’esistenza del reato di associazione a delinquere nei processi che si sono svolti. Nonostante che Patricia Gonzales, il Pubblico Ministero speciale nominato dal Governo, abbia chiesto l’incriminazione di 231 funzionari corrotti che tendevano a coprire gli assassinii».
Le ipotesi più credibili sulla strage di Ciudad Juarez sono, nell’ordine: vendette tra bande rivali di narcotraffico, tentativi di immigrazione clandestina attraverso il confine con gli Usa, «punizioni esemplari» per scoraggiare le rivendicazioni sindacali delle donne indigene che lavorano nelle multinazionali Usa delocalizzate in Messico. «Queste donne erano pagate un dollaro al giorno» - mi dice Barbara. E conclude: «La vita di giovani donne povere, spesso indigene, non ha nessun valore in una cultura machista».
Ed è proprio qui il nodo-la cultura machista - che, alla luce del termine "Femminicidio", da poco immesso anche nel femminismo militante italiano, consente di collegare l’horror del cimitero clandestino messicano con le cifre degli assassinii di donne in Italia. Secondo le statistiche compilate dalla Casa delle Donne di Bologna, dal primo gennaio 2007 al 31 gennaio 2008 le donne assassinate in Italia sono state 126.In testa, tra gli autori dei delitti, il marito(35%), quindi l’ex marito(8%),seguono gli altri ex: convivente, fidanzato,amante(7%).
La prima parte del libro di Barbara è dedicata alla genesi della parola «Femminicidio». Vi si analizza l’antologia curata dalla sociologa e criminologa femminista statunitense Diana Russell ed intitolata «The politics of women killing» (1992). L’autrice identifica la caratteristica dell’uccisione di una donna nella misoginia o nel sessismo. Nel primo caso è l’odio per il genere femminile ad armare la mano dell’assassino, nel secondo il virus «femminicida» si scatena dalla convinzione maschile della propria superiorità. Più o meno inconsciamente, l’assassino vuole punire chi, donna, «non sta al proprio posto».
Chiedo ancora a Barbara che cosa si sta facendo in Italia per ottenere il riconoscimento politico e giuridico del femminicidio? Pensate di sviluppare anche una azione diretta a introdurre nel nostro Codice Penale il reato di «femminicidio»? «Non credo che si debba pensare alla formulazione di un nuovo reato. Abbiamo invece proposto che misoginia e sessismo siano considerati,al pari del razzismo,una aggravante nell’assassinio di una donna».
Un gruppo di taliban ha fatto fuoco davanti a casa sua. Ferito gravemente un figlio
Dirigeva il Dipartimento per i reati sessuali nella terra del fondamentalismo religioso
Kandahar, uccisa la poliziotta delle donne
"Era la più famosa di tutto l’Afghanistan" *
KANDAHAR - Era la prima donna divenuta poliziotto a Kandahar dopo la caduta dei taliban. L’hanno uccisa stamane, davanti alla porta di casa. Stava andando a lavorare. E’ rimasto ferito gravemente anche uno dei suoi figli. Malalai Kakar era la poliziotta più famosa dell’Afghanistan, un simbolo del riscatto femminile nella terra che fu culla del movimento fondamentalista religioso. Aveva rinunciato a portare il burqa due anni fa e i taliban l’avevano minacciata più volte.
Ma lei non aveva mai chinato la testa: "Era una donna molto coraggiosa", dicono adesso i suoi colleghi. Dirigeva il dipartimento reati contro le donne nella roccaforte dei taliban e sapeva di essere nel mirino dei fondamentalisti. "Girava sempre con la pistola - racconta un agente del suo dipartimento - e sempre insieme a un uomo della sua famiglia".
Ma stamane non le è servito essere armata. Le hanno sparato alla testa ed è morta sul colpo. Aveva quarant’anni ed era madre di sei figli. Suo padre e suo fratello erano poliziotti come lei. Nelle forze dell’ordine era entrata già alla fine degli anni Ottanta, ma poi l’ascesa dei taliban l’aveva costretta a fuggire. Era rientrata alla caduta del loro regime nel 2001 e aveva assunto il comando del Dipartimento con il grado di capitano.
I taliban hanno lanciato una vera e propria guerriglia mortale da quando la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti li ha cacciati dal potere. Malgrado la presenza di 70mila soldati delle forze multinazionali, da due anni le violenze sono aumentate di intensità. Negli ultimi sei mesi i fondamentalisti hanno ucciso 720 agenti. Prima di Malalai Kakar, un’altra donna poliziotto è stata assassinata in Afghanistan nel giugno scorso. Anche allora, la polizia locale di Herat aveva accusato dell’omicidio i taliban.
* la Repubblica, 28 settembre 2008.
Donne forti senza burqa
Ho visto le donne fiere dell’Afghanistan ora inghiottite dai burqa e dalla paura
di Tana De Zulueta (l’Unità, 29.09.2008)
Me le ricordo così, le donne afghane, come Malalai Kakar: forti, esili e volitive. Da studente universitaria ho passato mie vacanze in Afghanistan, raggiungendo i miei genitori con un lunghissimo volo delle linee aeree afghane. Era un viaggio a tappe, con scalo a Francoforte, poi Istanbul, Teheran e infine Kabul. All’arrivo in Asia ero sempre sopraffatta dal sonno, ma non le mie compagne di viaggio, e mai le nostre hostess.
Zahir Shah era ancora re, anche se per poco, i talebani non avevano ancora conquistato il paese, e le donne potevano ancora lavorare. L’Afghanistan era, come oggi, un paese poverissimo, ma il regno di Zahir Shah, iniziato negli anni trenta, era stato una rara parentesi di relativa tranquillità per il suo paese. Il re si considerava un modernizzatore e incoraggiava l’educazione delle donne e la loro partecipazione alla vita pubblica. Le hostess della Ariana erano un simbolo di modernità, e ne erano orgogliose. Mi ricordo le loro voci imperiose quando davano ordini ai passeggeri e le chiacchiere allegre nella zona cucina.
Girando per le strade di Kabul le donne con il burqa erano quasi in minoranza. Le studentesse dell’università vestivano come noi e nell’ospedale donne medico ed infermiere giravano per i reparti senza velo. Mio padre, che lavorava in Afghanistan per le Nazioni Unite, occupandosi di salute pubblica e coordinando la campagna contro la malaria, aveva come interfaccia nel ministero della Sanità una funzionaria donna.
Sono tornata in Afghanistan un anno fa, e ho visto un’altro mondo. Non solo per i segni evidenti di più di trent’anni di guerra, con la città di Kabul quadruplicata nella sua estensione dall’afflusso degli sfollati, circondata da un distesa infinita di baracche di fango, con le carcasse dei carri armati lungo la strada dell’aeroporto.
Ma c’era qualcos’altro. Non ho colto subito la differenza, mi sembrava, però, che mancasse qualcosa. Poi ho realizzato: erano sparite le donne. Oggi anche le più emancipate non escono di casa senza un pezzo di velo in testa, compreso il personale femminile delle organizzazioni internazionali. Le altre, quando escono, sono state inghiottite dall’universale burqa celeste. Un dato di fatto che la cacciata dei talebani dalle città non ha sostanzialmente modificato. Il boom edilizio del dopoguerra ha sventrato la città vecchia e sono spuntati interi quartieri per i nuovi ricchi, ma l’ostentazione femminile, se c’è, si svolge a porte chiuse.
Passando lungo la strada che portava al palazzo del re, ora il palazzo presidenziale, ho finalmente riconosciuto un pezzo della città com’era. Facevo parte, in questa mia ultima visita, di una delegazione parlamentare delle commissioni Difesa, e la prima tappa del nostro viaggio era un incontro con il Presidente Karzai. Il vecchio re, molto malato, ci fu detto, aveva ceduto il suo palazzo, e viveva in una vecchia foresteria nel giardino. Ferma sul marciapiede, ho riconosciuto il posto, poco frequentato, ma non particolarmente pericoloso, dove passeggiavo con il nostro cane. Ora la strada è chiusa al traffico anche pedonale per timore di attentati. Più che trentacinque anni, sembrava essere passato un secolo, anche se l’orologio, da un certo punto di vista - quello delle donne -- più che in avanti sembra essere tornato indietro. Perché le donne, il loro corpo, la loro pretesa di autonomia, sono ridiventate il fronte dell’ultima guerra in atto per la conquista dell’Afghanistan. Nel 1972, studentessa universitaria, giravo da sola, e indisturbata, per le strade di Kandahar, mentre mio padre sbrigava i suoi affari nell’ospedale della città. Oggi sarebbe impensabile.
Malalai Kakar, era nata a Kandahar, la stessa città dove è nato il movimento dei talebani, il movimento degli «studenti» fondamentalisti. Veniva, però, da una famiglia che aveva sposato un’altra idea di progresso. Il padre, ufficiale di polizia, la spinse ad arruolarsi nella polizia nel 1982, come i suoi fratelli, «senza differenza», disse lei. Aveva dato a sua figlia il nome di Malalai, eroina della resistenza afghana contro i colonialisti inglesi. Non si trova traccia del nome di Malalai nelle cronache britanniche della battaglia di Maiwand, storica sconfitta degli inglesi per mano dell’afghano Ayub Khan, ma gli storici locali narrano che ad un certo momento, quando le linee afghane stavano per sfaldarsi, si alzò una ragazza, impugnando come bandiera il suo velo, e incitando, cantando, i suoi compagni a combattere. Malalai fu colpita e uccisa da una pallottola inglese, ma le truppe di Ayub Khan si gettarono contro gli inglesi con rinnovato furore. Fu un umiliazione cocente, immortalata dallo stesso Kipling nella sua poesia That day. Pare che la tomba, vicino a Kandahar, dove Malalai l’eroina fu sepolta con tutti gli onori, esiste ancora.
Malalai Kakar era, anche lei, una combattente. Nelle interviste raccontava volentieri della sua partecipazione a scontri armati con i talebani. Credeva evidentemente nel suo compito, quello di proteggere le donne, e anche, forse, di risollevarle. Sue colleghe della squadra speciale che Malalai capeggiava hanno detto a una giornalista americana che si era avventurata fino al pericoloso posto di polizia dove lavoravano, che si loro si erano arruolate era per merito suo. Un’altra poliziotta di Kandahar fu uccisa a giugno di quest’anno, ma Malalai Kakar era un simbolo, anche internazionale. Il suo assassinio è stato rivendicato da un portavoce dei talebani all’Agence France Presse: «Abbiamo centrato l’obiettivo», ha detto.
Ci sono molte Malalai in Afghanistan, e non solo perché è un nome popolare. Sono donne, ragazze e bambine forti e anche combattive, così, almeno, me le ricordo. Ragazze con lo sguardo simile alla celebre bambina di una copertina del National Geographic, che sembrava sfidare l’obiettivo del fotografo. Quella bambina fu ritrovata dallo stesso fotografo molti anni dopo, in un campo profughi in Pakistan, già madre e con il viso segnato dal tempo, ma con lo stesso sguardo scintillante. Un immagine che è quasi un simbolo di resistenza. Ma forse la più celebre di tutte, in Italia, è la parlamentare Malalai Joya, espulsa dal Parlamento per avere sfidato i signori della guerra che ritiene colpevoli di crimini ed abusi. Ha lo stesso coraggio di Malalai Kakar, e come lei, è convinta di avere il sostegno di molti suoi concittadini, non solo, ma forse specialmente, donne e bambine.
Stupri arma di guerra. Storie dall’album dell’orrore
di Marina Mastroluca (l’Unità, 22.06.2008)
«Mi costrinsero a ballare nuda sul tavolo. Poi mi violentarono davanti a mio figlio che aveva 10 anni. Venivano militari serbi , i soldati del Montenegro e anche i miei vicini di casa. Abusavano di me e delle altre». E. è una delle «Zene zrtve rata», donne vittime della guerra, un’associazione nata a Sarajevo per aiutare chi ha subito uno stupro: a trovare una casa, ad avere assistenza e soprattutto giustizia. «Dopo la guerra abbiamo incontrato per strada i nostri violentatori, sono ancora liberi». Liberi anche dalla vergogna e dal disonore che pesano sulle donne stuprate, a Sarajevo come in Africa.
A Goma, in Congo, una dottoressa canadese nel 2003 ha fondato un’ospedale che aiuta le donne stuprate. I numeri sono solo ipotizzabili, non c’è nessun registro. Tante donne hanno paura anche solo di raccontare che cosa hanno subito, per non rischiare l’emarginazione sociale. Decine di migliaia di stupri, sistematici, segnati dal marchio della diversità etnica. In ospedale arrivano solo i casi più gravi: i medici ricuciono i muscoli strappati tra retto e vagina da stupri multipli, da torture inflitte con baionette e coltelli. Anche da colpi di pistola inferti con la canna infilata in vagina. Linda, 24 anni, era incinta quando i soldati l’hanno presa in un campo. «Mi hanno stuprato. Il bambino ha cercato di nascere ma è morto - ha raccontato -. Perdevo urina da tutte le parti e in queste condizioni ho raggiunto il villaggio. Tutte le case erano bruciate, la gente uccisa, anche mia madre. Mi ha raccolto una cognata. Mio marito si è sposato con un’altra. Ora sono sola».
La vergogna, la solitudine. Persino la condanna: in Sudan le donne rischiano di essere incriminate di «zina», adulterio, se denunciano uno stupro: la pena è la lapidazione. E le violenze dei janjaweed, i diavoli a cavallo che seminano il terrore nel Darfur in stretta collaborazione con le truppe governative sudanesi, sono pane quotidiano. Qui sono le milizie arabe, altrove hanno avuto altri nomi e stesse strategie. In Ruanda erano gli interahmwe, i ribelli hutu ispirati dalla radio delle mille colline ad annientare l’etnia tutsi. Non una casualità, non l’effetto collaterale di un delirio di violenza. Lo stupro di guerra da tempo è altro. Jean-Paul Akayesu era il sindaco della città ruandese di Taba. È stato il primo ad essere condannato all’ergastolo, nel 1998, per il massacro di 2000 tutsi rifugiati nel municipio di Taba e per stupro. Il Tribunale internazionale per i crimini commessi in Ruanda allora per la prima volta individuò la catena di comando che da un unico centro diramava la violenza in mille rivoli: lo stupro collettivo venne associato al genocidio, perché diretto a cancellare una etnia. Ad umiliare, distruggere, devastare una comunità intera attraverso il corpo delle donne. Cinquecentomila stupri in poco più di tre mesi di follia sanguinaria, hutu contro tutsi, un milione di morti a testimoniare l’inerte impotenza dell’Onu. E un Tribunale per cercare di ricondurre la tragedia ad un universo comprensibile, dove si chiede ragione delle atrocità commesse. Almeno a qualcuno.
22 febbraio 2001. La guerra di Bosnia è finita da sei anni, la Serbia di Milosevic è stata sconfitta anche in Kosovo. Nascoste dietro una tenda, donne identificate solo con numeri, raccontano e puntano l’indice contro gli uomini alla sbarra. Donne ridotte a schiave sessuali, spesso solo ragazzine. Per la prima volta lo stupro è definito crimine contro l’umanità da un Tribunale internazionale. I serbo-bosniaci Zoran Vukovic, Radomir Kovac e Dragoljub Kunarac vengono condannati a 12, 20 e 28 anni di carcere per le violenze sistematiche di Foca, dove il centro sportivo Partizan era stato trasformato in un bordello. Zoran, Radomir, Dragoljub: non era scontato riuscire a scrivere un giorno i loro nomi.
Stupro etnico, un’arma di guerra come tardivamente ha riconosciuto in questi giorni il Consiglio di sicurezza del’Onu, con la risoluzione 1820. Ammettendo quello che le cronache dell’ultimo quindicennio di guerre - Bosnia, Ruanda, Congo, Darfur - hanno raccontato allo sfinimento: che lo stupro di guerra non rientra in nessuna storica normalità, non è solo la prepotenza del vincitore. Ma l’arma di conflitti dove i civili sono il primo e vero obiettivo, la mina che continuerà a perseguitare le generazioni a venire. Il 70 per cento delle donne stuprate in Ruanda ha contratto l’Aids, in molti casi il contagio è stato intenzionale ed ha finito per devastare anche le famiglie dei sopravvissuti. Nessun anagrafe ha tenuto il conto dei figli imposti a forza alle donne bosniache stuprate. Chi ha potuto, ha abortito. Tante hanno abbandonato i neonati, testimoni incolpevoli della violenza subita dalle madri: ordigni anche loro di guerre che non hanno più una linea del fronte.
Bosnia. La pulizia etnica attraverso il terrore
La disgregazione della Jugoslavia investe la Bosnia nel ‘92. Per la prima volta dalla fine della II guerra mondiale tornano in Europa i lager, dove vengono commesse le peggiori atrocità contro i civili. La logica della pulizia etnica impone il terrore, per costringere la popolazione alla fuga creando così aree etnicamente omogenee. Insieme ai massacri - 8000 i morti di Srebrenica, dove vennero uccisi tutti i maschi dai 15 anni in su - lo stupro è stato l’arma per umiliare il nemico e annacquarne l’etnia. Si stimano in 50-60.000 le violenze.
Rwanda. Hutu contro tutsi, un genocidio in 100 giorni
Aprile 1994. Preparato dai mezzi di informazione, divampa uno spaventoso massacro, in quella che viene in genere definita una guerra tribale fra Hutu e Tutsi ed è stata in realtà una lotta per il potere frutto dell’era coloniale, quando i colonizzatori belgi instaurarono un rigido sistema di separazione razziale e sfruttamento favorendo i Tutsi ai danni della maggioranza Hutu. Con l’indipendenza le parti si invertirono e iniziò un periodo di conflitti e di vendette. Il culmine nel ‘94: un milione di morti, 500.000 stupri.
Congo. Milioni di morti nella guerra dei diamanti
Finita ufficialmente nel 2004, la guerra civile in Congo, è stata la più grande guerra della storia recente dell’Africa ed ha coinvolto 8 nazioni africane e circa 25 gruppi armati. In gioco le enormi ricchezze minerarie del Paese: diamanti, oro, uranio, cobalto, rame. Al 2008 la guerra - proseguita nella regione di Ituri - e le sue conseguenze hanno causato circa 5,4 milioni di morti. Milioni i profughi. Secondo Amnesty international sono oltre 40mila le donne violentate. Degli stupri spesso accusati anche i peacekeeper.
Darfur. Esercito e janjaweed contro i civili
Nella regione del Sudan dal 2003 si combatte una guerra, che ha già causato più di 200.000 vittime e oltre due milioni di sfollati. L’Onu e le organizzazioni internazionali hanno più volte denunciato che i civili continuano a subire attacchi e sono vittime di stupri. Il governo sudanese nega di appoggiare e finanziare le milizie janjaweed, accusate di genocidio dalla popolazione del Darfur e responsabili dei principali massacri e saccheggi di villaggi e centri abitati e dello stupro sistematico di donne e bambine.
EDITORIALE.
MARIA G. DI RIENZO: PREFERISCO I LUPI *
Ecco che e’ arrivata. La "prossima Lorena" di cui scrivevo la settimana scorsa. Questa non l’hanno uccisa, e’ viva, se si puo’ chiamare vita quella di una quattordicenne italiana violentata per un anno da almeno ventitre’ baldi giovanotti italiani (gli indagati erano inizialmente un’ottantina), che la ricattavano tramite un filmato. Sottolineo la nazionalita’ a scopo terapeutico: se ce n’era uno solo di straniero, in mezzo alla folla degli stupratori, si sarebbe scatenato l’uragano.
I maestri pensatori nostrani si stanno stracciando le vesti sul "deserto morale della gioventu’", come se non fosse il riflesso, la conseguenza e l’imitazione dell’abisso immorale degli adulti. Quasi tutti i violentatori si sono discolpati di fronte ai carabinieri dicendo che "Lei ci stava". E certo. La sequenza e’: lusingala, minacciala, filmala, ricattala. Poi ci sta. La mafia non si comporta mica diversamente, e in Italia se ti condannano per mafia la pena e’ un seggio parlamentare.
La ragazzina a scuola e’ stata bocciata, non ha amici, e’ alternativamente anoressica o bulimica. Era diventata lo zimbello dei giovani del suo paese: dicevano che era affetta da Aids e che bastava uno squillo di telefono per averla, che sessualmente era disponibile a qualsiasi cosa e di sua spontanea volonta’. Dov’erano gli adulti? I genitori, gli educatori, gli insegnanti? Ci "stavano" anche loro? Volete farmi credere che si puo’ stuprare in gruppo una bambina per un anno intero, diffamarla per l’intero paese e ridurla psichicamente ad una larva senza che nessuno sappia, nessuno capisca, nessuno sospetti?
*
Ecco che e’ arrivata, un altro file nella mia cartella: quando mi decidero’ a scrivere il distillato di questa cantina di veleni mi esplodera’ il cuore. Pero’ dovro’ farlo, perche’ anche questa "Lorena" sparira’ dalla carta stampata, e dalla memoria collettiva, nel giro di pochissimo tempo. Non ne sapremo piu’ nulla, perche’ non sara’ piu’ utile a qualcuno saperne qualcosa. Si denunciano quattro stupri al giorno, nel Belpaese (e quindi la cifra e’ assai probabilmente piu’ alta), ma a tenere la prima pagina sono quelli che comodano in periodo elettorale o per propaganda politica.
Allora ascoltatemi, amici e amiche di progressista indole, che sobbalzate alla parola "femminismo", che vivete nell’era fantastica del post-patriarcato, che scrivete articoli sulla sconfinata liberta’ delle veline e delle velate, che analizzate il raptus e il deserto morale della gioventu’: non potete chiamarvene fuori in questo modo. La guerra mondiale contro le donne ha un fronte nel vostro paese, e la guerra va fermata. Se siete solo minimamente conseguenti con le belle parole che riempiono i vostri testi e le vostre bocche, usate gli uni e le altre per protestare.
Protestate contro quella cultura che inonda i giovani maschi dei principi di dominio e violenza, e che esalta i delinquenti come furbi. Protestate contro quella cultura del venditi-e-compra che seduce ambo i sessi. Smettete di essere complici passivi dei discorsi sessisti che udite e delle molestie di cui siete testimoni. Se avete accesso ai media, usatelo per dissentire. In quante dobbiamo morire ancora, fisicamente o emotivamente, prima che la cosa vi faccia orrore?
*
E ascoltatemi, ragazzi: lo stupro non e’ sesso. Farlo con altri dieci che ti guardano mentre aspettano il loro turno, su una ragazzina ricattata, non e’ sesso, e’ roba da sfigati. Non e’ da "veri uomini", e’ da "veri vigliacchi".
Lo stupro e’ la parodia del sesso che la violenza vi da’, ed e’ un surrogato infame. Non avete neppure idea di quanto sia delizioso scoprirsi a vicenda, proteggersi a vicenda, rispettarsi a vicenda, provare tenerezza l’uno per l’altra e viceversa, inventare, sperimentare, "pazziare" in un letto o su un divano con qualcuno che ci desidera, ci considera, ci vuole bene. Non ve la menero’ sull’amore: so anch’io che puo’ essere disgiunto dal desiderio, ma so altrettanto bene che se non rispetti ed impari a conoscere il corpo stretto al tuo la soddisfazione che ne ricavi puoi averla da solo, maggiorata, in bagno, e so pure che quando sei innamorato di qualcuna/o la cosa ti riesce cinquemila volte meglio. Ascoltate anche questo: le ragazze non sono venute al mondo per compiacervi. Non vi appartengono, non sono spoglia di guerra o bottino di conquista. Voi non siete venuti al mondo per compiacerle, stesso discorso. Voi e loro condividete uno status giuridico che garantisce i vostri diritti umani. Cio’ significa che voi e loro condividete il diritto, poiche’ entrambi siete esseri umani, a non essere stuprati, battuti, umiliati e cosi’ via. Non ci sono persone che diventano "cose" in base ad una loro caratteristica, e questo vale per le femmine, per i maschi, per quelle di tredici anni, per quelli di diciassette, per quelli con gli occhiali, per quelle con le orecchie a sventola, per quelle che parlano un’altra lingua e per quelli che sono arrivati qui da un altro paese.
Non e’ difficile da capire, vero? Perche’ dovete sapere ancora una cosa: non siete immuni alla violenza sessuale. Ma nel caso non sara’ una donna a forzarvi, sara’ un altro uomo. E’ di oggi (21 maggio 2008) la notizia che nella mia citta’ un coetaneo della ragazzina del lucchese e’ stato stuprato da un vicino di casa. Quest’uomo ha potuto farlo grazie ad una gerarchia valoriale che anche voi tendete a perpetuare, quella che avete appreso dagli adulti, quella che vedete in televisione, quella che vi propongono ossessivamente pubblicita’ e video eccetera. Il maschio dominante, il cui unico potere e’ quello di costringere con la violenza gli altri e le altre a far quello che vuole lui. E dopo che l’hai simbolicamente uccisa con lo stupro, la tua vittima, cosa ti resta? Potrebbe parlare, darti fastidi, forse bisogna aumentare la dose di violenza, picchiarla di piu’, infine ammazzarla davvero. Bel seduttore, bel dongiovanni, proprio "figo". Voi vi vantate di essere diversi, non volete che la vostra vita sia controllata, vi credete autonomi: allora perche’ non avete uno scatto di orgoglio e non rigettate tutta l’immondizia di cui vi ingozzano? Avete paura del giudizio dei vostri amici? Chi vi organizza nel cosiddetto "branco" non e’ un amico, e’ un farabutto che vi voltera’ le spalle non appena sgarrerete per volonta’ o necessita’, e che se per salvarsi dovra’ pugnalarvi alla schiena lo fara’ senza rimorso. Gerarchia, ragazzi. Dominio. Chi sta sotto conta fin tanto che serve ed esattamente nella misura in cui serve.
Immagino che possa esserci un brivido di piacere nel sentirsi assimilati ad un gruppo di lupi che cacciano insieme, ma se l’esercizio della violenza e’ l’unico piacere che riuscite ad avere i vostri sensi sono gia’ morti per tre quarti. Vi diro’, bisognerebbe conoscerli meglio, i lupi. Credo si offenderebbero ad essere equiparati ad un club di stupratori. Innanzitutto, cacciano per mangiare e non per accoppiarsi. Derivano il loro "rango" da quello delle loro madri: tanto che un capo puo’ essere cieco da un occhio o zoppo, non dev’essere necessariamente il piu’ dotato a livello fisico. E qual e’ il ruolo di questo capo, infine? Proteggere. Attirare i pericoli lontano dal branco, sacrificandosi se necessario. Senza offesa, lo preferisco ad un violentatore. Se mai dovesse attaccarmi lo fara’ per fame o per difesa, e mai per libidine di servilismo ai dettami di una societa’ che distrugge voi ragazzi nel mentre vi incita a distruggere altre ed altri esseri umani.
* NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 463 del 22 maggio 2008
Ansa» 2008-05-21 17:58
KENYA, BRUCIATE VIVE 15 DONNE ACCUSATE DI ESSERE STREGHE
NYAKEO (KENYA) - Quindici donne sono state bruciate vive ieri sera in un villaggio del Kenya occidentale da una folla che le accusava di stregoneria. Lo ha detto oggi un corrispondente della France Presse. Nel villaggio di Nyaeko, 300 km a ovest di Nairobi, un centinaio di persone è andato casa per casa a prendere le donne, che sono state legate e poi bruciate, secondo quanto hanno detto alla Afp un responsabile del villaggio e alcuni suoi abitanti.
"E’ inaccettabile. La gente non può farsi giustizia da sola solo perché sospetta di qualcuno. Daremo la caccia ai sospettati (del massacro)", ha detto il responsabile locale del distretto, Mwangi Ngunyi. Negli anni ’90 decine di persone sospettate di stregoneria erano state uccise nel Kenya occidentale, a causa di voci secondo le quali c’era chi era diventato cannibale, sordo, muto o sonnambulo sotto l’effetto di sortilegi, così che questa regione ha acquistato la reputazione di "zona di streghe".
Ansa» 2008-05-10 18:31
VIOLENZA SESSUALE: PIAGA DA NORD A SUD, OGGI 6 ARRESTI
ROMA - Non ha fine la piaga della violenza sessuale: solo oggi sei uomini sono stati colpiti da altrettanti provvedimenti restrittivi per abusi compiuti su alcune donne. A Milano un bulgaro di 26 anni è stato sottoposto a fermo perché accusato di aver violentato la moglie e un’altra donna, entrambe romene, che costringeva anche a prostituirsi. L’uomo è stato trovato in una baracca lungo la tratta ferroviaria tra Milano e Pioltello (Milano) dagli agenti della Polfer. E’ stata una delle due vittime, di 40 anni, a raccontare la situazione in cui era costretta a vivere: ha detto di essere giunta in Italia per prostituirsi dovendo mantenere i figli e il marito rimasti in Romania e che, una volta qui, era stata costretta dal bulgaro a convivere con lui e la moglie, entrambe costrette a prostituirsi per lui e sottoposte ad abusi. Le due romene sono state sistemate in comunità protette. L’uomo è accusato di violenza sessuale, sequestro di persona, induzione alla prostituzione e maltrattamenti.
A Sondrio si terrà nelle prossime ore l’interrogatorio di convalida del fermo davanti al Gip dell’ operaio algerino, con regolare permesso di soggiorno, accusato di violenza sessuale aggravata e continuata nei confronti di una valtellinese di 49 anni. La violenza sessuale è avvenuta dopo che l’immigrato aveva trascorso la serata di giovedì con la vittima e altri due amici, un’altra donna italiana e un marocchino, in un paio di bar del capoluogo valtellinese. Poi la comitiva, a notte fonda, si era spostata in riva al torrente Mallero, sempre in città, dove il marocchino, che faceva parte del gruppo, vive da qualche tempo all’interno di una tenda. All’esterno del capanno si è consumato lo stupro ai danni di una quarantanovenne, rimasta in balia dell’algerino per circa un’ora. L’altro straniero, in compagnia di un’altra valtellinese, invece, era all’interno della tenda. L’episodio è avvenuto in un ambiente di alto degrado. Dopo lo stupro, l’algerino è fuggito. La donna vittima della violenza sessuale, con gli abiti sporchi di sangue e lividi al volto e alla schiena per la colluttazione avuta con lo stupratore nel tentativo di resistergli, ha dato lei stessa l’allarme al 113 ed è stata trasportata con un’ambulanza all’ospedale civile di Sondrio. L’algerino è stato rintracciato e fermato poche ore dopo. La polizia ha arrestato a Cosenza due rumeni, Elvis Marcius, di 23 anni, e Adrian Sava, di 24, con l’accusa di avere sequestrato e violentato una ragazza boliviana. I fatti che hanno portato all’arresto dei due rumeni risalgono al 28 febbraio scorso, quando la giovane boliviana era andata ad una festa insieme al fidanzato col quale, successivamente, ebbe avuto una lite. I due rumeni, che la boliviana conosceva, hanno poi offerto alla giovane un passaggio per accompagnarla a casa. Durante il tragitto, Marcius e Sava hanno portato la ragazza in una casa dove l’hanno tenuta segregata, violentandola per tutta la notte.
A Barletta (Bari), ricercato con l’accusa di aver compiuto atti sessuali con una tredicenne, di aver maltrattato la moglie trentacinquenne, la figlia di otto anni e una ragazzina di 15 anni che la moglie aveva avuto da un altro uomo, un pluripregiudicato di 43 anni, di Barletta, si è costituito. E sempre in provincia di Bari, a Trani, un magrebino di 56 anni è stato arrestato dai carabinieri a Trani con l’accusa di aver violentato la sua ex compagna. Medicata in ospedale, la vittima della violenza è stata giudicata guaribile in dieci giorni: sul corpo ha diverse escoriazioni.
Storia di Rand, uccisa nell’Iraq del "delitto d’onore"
Rand Abdel-Qader, giovane studentessa di inglese all’Università di Bassora, è stata uccisa un mese fa. Il padre l’ha ammazzata soffocandola con un piede e accoltellandola perché aveva saputo del suo amore per un soldato inglese. Una semplice infatuazione, ma tanto è bastato per giustificare la sua morte. L’assassino è stato arrestato e subito rilasciato: la legge irachena ammette infatti il “delitto d’onore”.
A raccontare la storia al quotidiano inglese al settimanale britannico Observer è stata Leila, madre di Rand, che oggi collabora con un’organizzazione di donne che si batte contro i delitti di onore. Nei suoi occhi c’è ancora la scena cui ha assistito, impotente, solo un mese fa: «Quando è entrato a casa, mio marito aveva gli occhi iniettati di sangue e fremeva. Mi sono preoccupata e ho tentato di parlargli, ma lui è andato dritto nella stanza di nostra figlia e ha cominciato a urlarle contro. Chiedeva se era vero che aveva una relazione con un soldato britannico. Lei ha cominciato a piangere. Era nervosa e disperata. Lui l’ha afferrata per i capelli e ha cominciato a picchiarla. Io ho urlato e ho chiamato i suoi due fratelli perché intervenissero per fermare il padre, ma quando hanno saputo il motivo, invece di salvarle la vita lo hanno aiutato a ucciderla».
Il padre della ragazza è stato subito arrestato, ma due ore dopo è stato rimesso in libertà. Il sergente Ali della polizia di Bassora ha spiegato all’Observer che la giustizia non può nulla davanti a un delitto d’onore e che «il padre ha buoni contatti nell’amministrazione e non è stato difficile per lui essere rilasciato e far dimenticare quanto ha fatto». Lo scorso anno, a Bassora sono state uccise 133 donne, di cui 47 per delitti di onore. Dall’inizio dell’anno a oggi sono già 36 le donne uccise.
* l’ Unità, Pubblicato il: 27.04.08, Modificato il: 27.04.08 alle ore 20.48
Editoriale
Il coltello nel ventre
di Maria G. Di Rienzo
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per questo intervento.] *
Gli stupratori non nascono tali. Vengono "costruiti", addestrati, come si addestrano i soldati ad uccidere. E la cultura che fa di un uomo uno stupratore e’ la stessa che "fa" noi tutti/e. Non e’ una questione femminile, e’ una questione condivisa, e come tale va affrontata. Molti uomini pensano, e sono sinceri, che la violenza sessuale, quella domestica ed il sessismo siano problemi altrui: segnatamente oggi, dopo gli ultimi fatti di cronaca, e’ problema/responsabilita’ dei barbari invasori stranieri. Sono dipinti un po’ come gli Orchi di Tolkien, forse non malvagi in origine ma ormai irrecuperabili, spaventapasseri mediatici, fasci di impulsi incontrollati, marionette guidate da fili di odio, massa di pupazzi insensibili, privi di autocontrollo, che seguono semplicemente la pulsione violenta ovunque essa li conduca, anche quando finira’ per schiantarli nel processo. Ma Tolkien ha molto chiaro che c’e’ un manovratore di questi burattini, un potere piu’ grande e piu’ distruttivo di loro stessi, che li istiga con la seduzione delle parole (gli imbattitibili Uruk-hai!) e la promessa di impunita’.
Il linguaggio sessista, i modelli sessisti, la gerarchia di valore per genere, ed il loro logico compimento, la violenza sessuale, promettono agli uomini potere e impunita’. Si’, ci sono le leggi, possiamo persino inasprirle, ma la condanna morale va ancora principalmente alla donna. Cosa ci faceva la’, perche’ era vestita in quel modo, ci ha ballato insieme, ci e’ andata a cena, avrebbe dovuto capire... Cosa dovremmo capire, spiegatemelo. Che dobbiamo smettere di provar gioia nella vita, di aver voglia di conoscere persone nuove, di lavorare, di studiare, di andare per strada, di vestirci come ci pare, di avere desideri, di innamorarci, di esistere?
Alla maggior parte degli uomini non salterebbe mai in testa di esaminare il proprio comportamento e di misurare il continuum tra il fare "apprezzamenti" pesanti ad una ragazzina ed il violentarla, o il rapporto fra il valutare, in una delle nostre ong "eque e solidali", i seni della volontaria (episodio realmente accaduto) quale requisito per l’assunzione ed il piantarle un coltello nel ventre prima di stuprarla. Eppure la connessione e’ diretta, e chiara come la luce del giorno.
Se la questione venisse almeno nominata (ma non si puo’, sono le femministe a farlo e le femministe sono molto noiose) ci sarebbe il permesso simbolico di affrontarla e di vedere la verita’. Quanto siano seccanti queste personagge lo aveva capito bene il giovane uomo che uccise quattordici studentesse e ne feri’ altre tredici all’Ecole Polytechnique, la facolta’ di ingegneria dell’Universita’ di Montreal in Canada. Stava ben attento a non colpire gli uomini. Aveva spesso ripetuto questo mantra, prima di tradurlo in azione: "Le femministe hanno rovinato la mia vita". Ha avuto la sua gloria, l’eroe, e’ passato alla storia come l’autore del "Massacro di Montreal", uno splendido riscatto per un’esistenza distrutta da qualche lurida cagna che gli aveva detto no, ripetuto no, e ribadito che no significa no. Ma questo dev’essere uno dei "mostri" colti da raptus sulla via di Damasco, non ha a che fare con noi, ci mancherebbe. E se ad essere aggressivo e volgare e’ il tuo compagno di vita, di scuola, o di lotta, be’, quello stava solo scherzando. Non si spingerebbe mai a violentarti. Sta semplicemente, con il suo comportamento, e con la tacita accettazione del mito di una mascolinita’ superiore perche’ violenta, continuando a nutrire chi lo fara’. Sta’ tranquilla, e passagli il fazzoletto quando si lamenta della propria sensibilita’ urtata da femmine moleste. Cosa credi, che non ci sia passata nessuna prima di te? A me il buon compagno comincio’ a parlare di quanto era infelice con sua moglie, e non fermo’ l’auto dove gli avevo chiesto di portarmi. Stavamo andando, invece, verso una comoda e solitaria boscaglia. E’ vero, gli ho tolto le chiavi dal cruscotto e le ho buttate dal finestrino, molto violento da parte mia, piu’ della sua mano untuosa sul mio ginocchio e dei probabili sviluppi di quel viaggio in auto. Ma visto che doveva correre in giro a recuperare le chiavi sono potuta scendere intatta, se si eccettuano la paura, la rabbia, e il gran cumulo di insulti vomitatimi dietro dal sensibile e sofferente individuo.
E’ possibile che a piu’ di vent’anni di distanza io debba ancora parlare di questo? E’ possibile che i metodi, le tecniche, le giustificazioni, e cioe’ il cumulo di spazzatura ideologica che copre la violenza sessuale sia sempre lo stesso? Fino a che l’equazione "mascolinita’ = violenza" resta la forma egemonica di socializzazione maschile proporre un modello alternativo, di partnership, e’ una delle azioni piu’ potenti che possiamo intraprendere a lungo termine.
Abbiamo bisogno di "mascolinita’ sostenibile" e di una "decrescita felice del machismo". Il femminismo ha parlato alle donne mostrando ed aprendo loro altre possibilita’; ha detto senza timori e con argomentazioni solide: questa cultura e’ nociva, ferisce donne ed uomini, uccide, rade al suolo, inquina, devasta. Deve cambiare. Tu puoi cambiarla. E’ ora che anche gli uomini si impegnino in questo processo, che elaborino modelli diversi, per un cumulo di buone ragioni oltre quella imprescindibile del fermare la violenza di genere. Una su tutte: il nesso tra il modello dominatore maschile e le tecnologie nucleari, biologiche, chimiche, la Terra non riesce piu’ a reggerlo; a livello simbolico (ed e’ un livello terribilmente potente) e’ il produttore principale del surriscaldamento globale, dei conflitti armati, dell’economia di rapina eccetera.
I violentatori sono uomini che si identificano in maniera sproporzionata con i valori "mascolini tradizionali" (quelli che passano con tranquillita’ nei media, nei programmi scolastici, negli sport soprattutto di contatto, e filtrano felici in tutte le sub-culture presenti in Italia) e sono particolarmente attenti a cio’ che gli altri uomini pensano di loro. In ragione di cio’, oscillano fra un’arroganza insopportabile ed un’autostima bassissima, e quando i dubbi e i sentimenti di esclusione arrivano al culmine hanno il nemico da punire a portata di mano. Forse non possono prendere a cazzotti quel tizio che li ha maltrattati all’ufficio di collocamento o li ha derisi in cantiere, ma possono "mettere sotto" una donna. La moglie o la prima che incontri per strada va bene lo stesso, tanto "sono tutte puttane".
Moltissimi altri uomini e ragazzi, invece, sono a disagio rispetto a quanto e’ stato insegnato loro sull’essere "maschi", con il suo corollario di omofobia, eterosessismo e stupri, vorrebbero uscirne, ma spesso il prezzo da pagare (scherno, umiliazione, solitudine) e’ troppo alto. E anche se si rivolgono a socialita’ "alternative" per appagare il bisogno di appartenenza, in esse ritrovano fin troppo spesso i medesimi schemi dell’interazione femmina/maschio. Johan Galtung non e’ una fastidiosa femminista, vero? Bene, assieme alle sue analisi di altro tipo, gli uomini potrebbero cominciare a valutare la sua affermazione che la misoginia (l’odio per le donne ed il "possesso" delle donne) e’ uno dei piu’ grandi problemi mondiali che abbiamo.
Abbiamo bisogno di quella campagna nazionale contro la violenza di genere che io chiedo da un bel pezzo. E abbiamo bisogno di coinvolgere in essa quanti piu’ soggetti e’ possibile. Possiamo cominciare da dove localmente abbiamo piu’ risorse. Qualche gruppo o rete potra’ portare avanti programmi educativi, per esempio. Se gli uomini e i ragazzi apprendono i meccanismi della socializzazione di genere possono muoversi oltre l’usuale modulo difensivo che adottano quando viene loro proposta la questione della violenza sessuale. Si tratta di offrirgli l’opportunita’ di liberarsi dai concetti strangolatori del paradigma patriarcale, e di abbracciare piu’ largamente la propria umanita’. Certo, comportera’ impegno e fatica. Come ha detto un mio amico: "Ognuno di noi deve faticare durante il viaggio che collega la sua testa al suo cuore. E’ il viaggio piu’ lungo e difficile di tutti, ma di certo e’ quello che ti offrira’ la ricompensa maggiore". Diversi tipi di associazioni possono intervenire con iniziative pubbliche di qualsiasi tipo per far conoscere la realta’ della violenza di genere nel nostro paese; possiamo costruire delle coalizioni di "pronto intervento" che facciano un gran rumore ogni volta in cui i media biasimano la vittima di stupro, denigrano donne e ragazze, sessualizzano pre-adolescenti, usano linguaggi sessisti, incoraggiano o celebrano la violenza, e cosi’ via.
Mi dispiace dirlo, ma credo che noi femministe dovremmo diventare ancor piu’ moleste, importune e seccanti di quanto siamo gia’, molto, molto di piu’. Per le ragazze e le donne che soffrono in questi giorni e di cui abbiamo saputo. Per quelle di cui non sapremo mai. Per gli uomini e i ragazzi che amiamo e per quelli di cui non vorremmo piu’ aver paura.
Tratto da Notizie minime de La nonviolenza è in cammino
proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Arretrati in: http://lists.peacelink.it/
Numero 433 del 22 aprile 2008
Una ricerca dell’Istat sfata molti luoghi comuni sui reati a sfondo sessuale
Secondo i dati resi noti dall’istituto solo il 10% delle violenze arriva da stranieri
Il 90% degli stupri commesso da italiani
Il rischio maggiore da familiari e conoscenti *
ROMA - Lo stereotipo dello "stupratore medio", secondo molti italiani, è quello dell’immigrato. Ma la realtà è molto diversa. Il sessantanove per cento delle violenze nel nostro Paese è opera di partner, mariti o fidanzati. E solo in sei casi su cento il colpevole è estraneo alla cerchia familiare o delle conoscenze. Tra questi, non più del dieci per cento viene commesso da persone di origine straniera.
E’ quanto risulta da uno studio dell’Istat, che ha aperto nella sua sede centrale il Global Forum sulle statistiche di genere. Secondo i dati raccolti, la maggioranza delle violenze più gravi subite dalle donne è dunque domestica: un vero e proprio ribaltamento dei luoghi comuni sulla pericolosità degli stranieri.
La ricerca è stata effettuata su un campione di donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni e si riferisce al periodo tra gennaio e ottobre 2006.
"Se anche considerassimo che di questi estranei la metà fossero immigrati - ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat per le indagini su condizione e qualità della vita - si arriverebbe comunque al tre per cento degli stupri, e se anche ci aggiungessimo il cinquanta per cento dei conoscenti, al massimo si arriverebbe al dieci del totale. Dati in totale contrasto con la percezione diffusa".
"Nell’immaginario collettivo - continua - gli stupri per le strade sono quasi sempre opera di immigrati. Ma non fare i conti con le statistiche può portare ad orientare in modo errato le priorità e il tipo di politiche".
Il presidente dell’istituto, Luigi Biggeri, ha ricordato che l’Istat ha avviato e vuole continuare il processo di riforma delle statistiche ufficiali. L’obiettivo è quello di fare luce sui temi caldi che fanno discutere il Paese e sfatare i luoghi comuni che in certi casi dominano l’opinione pubblica.
"Ma il nostro lavoro non si ferma qui: dovremo porre l’attenzione anche su altre tematiche come la discriminazione, terreno difficilissimo ma che ormai necessita di essere misurato in tutte le sue manifestazioni".
* la Repubblica, 10 dicembre 2007.
Manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne
di Cristina Pecchioli
http://www.controviolenzadonne.org/
Care amiche,
è necessario e urgente organizzare quanto prima una manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne.
La vita di molte ragazze e di molte donne continua a essere spezzata, le loro capacità intellettive e affettive brutalmente compromesse. Il femminicidio per ‘amore’ di padri, fidanzati o ex mariti è una vergogna senza fine che continua a passare come devianza di singoli. Il tema continua a essere trattato dai mezzi di informazione come cronaca pura, avallando la tesi che si tratti di qualcosa di ineluttabile, mentre stiamo assistendo impotenti ad un grave arretramento culturale, rafforzato da una mercificazione senza precedenti del corpo delle donne.
I numeri, lo sappiamo tutte, sono impressionanti:
Oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di violenza fisica, sessuale e psicologica nella loro vita.
La maggior parte di queste violenze arrivano dal partner (come il 69,7% degli stupri) o dall’ambito familiare
Oltre il 94% non è mai stata denunciata. Solo nel 24,8% dei casi la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto, mentre
si abbassa l’età media delle vittime:
Un milione e 400mila ha subito uno stupro prima dei 16 anni.
Solo il 18,2% delle donne considera la violenza subita in famiglia un ‘reato’, mentre il 44% lo giudica semplicemente
‘qualcosa di sbagliato’ e ben il 36% solo ‘qualcosa che è accaduto’. (dati Istat)
La violenza sulle donne è accettata storicamente e socialmente. Viene inflitta senza differenza di età, colore della pelle o status ed è il peggiore crimine contro l’umanità. Quello di una parte contro l’altra. La politica e le istituzioni d’altro canto continuano a ignorare il tema pubblicamente.
Senza una battaglia culturale che sconfigga una volta per tutte patriarcato e maschilismo, non sarà possibile attivare un nuovo patto di convivenza tra uomini e donne che tanto gioverebbe alla parola civiltà.
Una grande manifestazione nazionale dove tutte le donne possano scendere di nuovo in piazza a fianco delle donne vittime di violenza e per i diritti delle donne, può e deve riportare il tema al centro del dibattito culturale e politico.
Ma è importante sapere quante siamo, perché per farci sentire dovremo essere in molte.
Vi preghiamo di sottoscrivere e di diffondere il più possibile questo appello inoltrando il link del sito ad amiche e associazioni.
Vi invitiamo a seguire gli aggiornamenti sul sito.
Un caro saluto a tutte
controviolenzadonne.org
Cristina Pecchioli - Uff.Stampa CGIL Lombardia
e-mail: cristina.pecchioli@cgil.lombardia.it
VIALE MARELLI, 497 - 20099 SESTO S.GIOVANNI
Tel. ++39-02 26254324 - Fax ++39 02 26254351
Cell. 3357491392
http://www.cgil.lombardia.it
* il dialogo, Venerdì, 19 ottobre 2007
Violenza donne: 12mila firme per case segrete in Piemonte
TORINO. Sono state presentate oggi al Consiglio regionale piemontese 12.437 firme a sostegno della proposta di legge regionale di iniziativa popolare per la creazione di «centri antiviolenza con case segrete» per donne maltrattate. Le firme, ben più delle 8 mila necessarie, sono state raccolte dal comitato promotore «Firmaconoi», con la collaborazione di 43 associazioni e molti comuni piemontesi.
La proposta di legge prevede la creazione, secondo criteri internazionali, di almeno un centro per ogni provincia piemontese, gestito da comuni e associazioni di donne. Lo scopo delle case segrete è garantire soccorso, sostegno e solidarietà alle donne vittime di maltrattamenti fisici e psicologici, di stupri e di abusi sessuali intra ed extrafamiliarì, per assicurare loro oltre l’accoglienza, percorsi di autonomia e di superamento del disagio (art. 2 della pdl).
«In Piemonte esistono servizi di prima accoglienza ma occorre una rete che tuteli le donne anche nel periodo successivo alle violenze», dicono le prime firmatarie Maria Ghisaura, Loredana Baro e Patrizia Donadello. Lo stanziamento previsto è di 800 mila euro per biennio. Dopo i necessari controlli, la proposta sarà assegnata alla Commissione consiliare competente per avviare l’iter legislativo in Consiglio regionale.
* La Stampa, 24/8/2007 (15:43)
Marziani, state a casa
di Maria G. Di Rienzo *
Tanti anni fa (io ero una bimba, per cui sono proprio tanti), fu inviata nello spazio una sonda, chiamata Pioneer 13 se non ricordo male, destinata a perdersi oltre i confini della nostra galassia. Recentemente ho letto che il suo viaggio procede senza intoppi, in cieli distanti, fra stelle sconosciute. Questa sonda reca un messaggio inciso su una lastra di metallo, le figure di un uomo e di una donna ed alcuni simboli: il suo scopo è indicare alle eventuali forme di vita che lo ricevessero che l’umanità è pacifica e pronta ad accoglierle. Io non posso lanciare questo articolo dietro alla Pioneer per avvisare che si tratta di un’enorme menzogna, ma so che devo scriverlo e sperare nel miracolo: alieni, chiunque voi siate, non credeteci e restate sui vostri pianeti. Pacifici? Una cinquantina di guerre insanguina la culla dell’umanità, giorno dopo giorno, anno dopo anno, milioni di morti, milioni di mutilati. Accoglienti? Abbiamo confini sempre più militarizzati che “difendono” aree sempre più piccole, di territorio o di idee. Non accogliamo neppure i nostri fratelli e sorelle di specie quando fuggono da povertà, conflitti armati e disastri ambientali, chi vogliamo prendere in giro? Amici di altre galassie, portate pazienza e ascoltatemi. Ho scelto un paese a caso, sul Pianeta Azzurro, per spiegarvi a cosa andreste incontro venendo qui. Non è interessato da guerre, al momento, per lo meno sul territorio nazionale, ma questo non lo rende meno pericoloso. Ecco perché non è bene metterci piede:
1. Le bambine, di qualunque gruppo sociale, religione o provenienza geografica, in questo paese della Terra non sono al sicuro. Figuriamoci se lo sarebbero bambine verdi con le antenne, originarie di Proxima Centauri.
Bambine di undici anni vengono violentate dal vicino di casa-affettuoso baby sitter (21 aprile 2007) Gli abusi, secondo la ricostruzione degli investigatori, andavano avanti da oltre due anni e sono continuati fino a quando un’amichetta delle due undicenni, che si trovava in casa con il vicino insieme a loro, si è accorta dei comportamenti strani dell’uomo. Così la piccola ha convinto le due amiche a raccontare tutto ai genitori e lei stessa ha riferito quello che aveva visto a sua madre. Le mamme hanno poi accompagnato le figlie all’ospedale dove nel corso di una visita sono state riscontrate le violenze subite.
Se appena ne compi dodici, di anni, ci pensano i tuoi parenti a prostituirti (sempre 21 aprile). Dopo un paio d’anni si scopre che è tua madre a venderti: il costo delle prestazioni variava dai quindici ai trenta euro e i video degli incontri venivano conservati dai “clienti” sui cellulari, per fare pressione sulla ragazzina. Se quest’ultima opponeva resistenza, veniva ricattata con i filmati che mostravano i precedenti incontri sessuali, “Ti sei andata a coricare” si sente in una delle intercettazioni telefoniche, “e mi hai chiuso il telefono. Guarda che ti ricatto, ho le cose per ricattarti.” In un’altra telefonata, uno degli uomini chiede alla ragazza se le si erano rimarginate le ferite provocate da un loro rapporto sessuale.
Oppure trovi qualche brav’uomo, sposato con tutti i crismi e padre di due bambini, che dopo essersi portato a letto una dodicenne testimonia giulivo davanti al giudice: “Scherzavamo. C’è stato solo qualche scambio di affettuosità.” (24 luglio 2007) E se soffri il peso di una disabilità (in questo caso specifico motoria, e grave), non pensare che il violentatore di turno si farà scrupoli, anzi, l’età si abbassa pure. Otto anni ha la bambina disabile costretta a prestazioni sessuali per un parente stretto, che le ha pure riprese con il videocellulare e passate agli amici. (2 giugno 2007)
2. Le donne, sempre con la stessa puntigliosa trasversalità, sono trattate come pezzi di carne sul bancone di un macellaio.
Durante una lite, un uomo di 35 anni inizia a picchiare la sua compagna, 30enne, incinta di quattro mesi, con calci e pugni. Fino a procurarle un aborto. Poi ha prelevato il feto, e lo ha seppellito nella campagna vicina. La donna ha chiamato un’ambulanza per chiedere soccorso e, in un primo momento, ha raccontato ai medici solo dell’aggressione, senza menzionare l’aborto che tuttavia è stato diagnosticato dai sanitari. Solo allora la donna ha riferito tutti i particolari dell’accaduto. Rintracciato l’aggressore, che si era nascosto in un casolare isolato, si è potuto recuperare il corpicino da una fossa. (8 luglio 2007)
Ma non importa che tu riesca a metterli al mondo, i tuoi e suoi bambini. Ne puoi partorire persino quattro, e se lui pensa che tu lo tradisca ti sgozzerà davanti a loro. La donna di cui parlo è morta in questo modo orribile, a 48 anni, per: “Un storia inesistente”, dicono gli investigatori, “forse resa reale per l’uxoricida dal suo stato depressivo.” L’uomo ha poi tentato il suicidio ferendosi all’addome con lo stesso coltello, una lesione giudicata dall’ospedale guaribile in pochi giorni. Il maggiore dei figli, che ha dato l’allarme ed è fuggito da casa con gli altri fratelli, ha 16 anni. (26 luglio 2007)
E sappiate anche che il denunciare le violenze da parte delle donne è inaccettabile ed è immediatamente punito con violenze ulteriori. Un pensionato viene arrestato per reiterate violenze sessuali ai danni di un quattordicenne. Dopo un periodo di detenzione, ottiene gli arresti domiciliari per motivi di salute. Cerca di far ritrattare le proprie dichiarazioni ad una testimone dell’accusa, ma costei si rifiuta: l’uomo la picchia e la stupra. (6 luglio 2007) Non va meglio se la protesta contro la violenza è collettiva, pubblica e organizzata, ne’ importa che il motivo per cui si protesta sia l’omicidio insensato di una giovane (questioni di “onore”): la ritorsione è solo differita, per motivi di opportunità. Si aspetta che una delle organizzatrici si trovi da sola, e la si insulta e minaccia di morte. Le prime parole che gli aggressori dicono rivelano tutto: “Devi smettere di parlare...” (29 giugno 2007)
3. In questa specifica nazione del pianeta Terra si sta allevando una generazione di giovanissimi spacciando loro per valori la sopraffazione, l’arroganza e la “legge della giungla”.
Due studenti quindicenni portano di forza un loro coetaneo nei bagni della scuola: qui il ragazzino viene violentato da uno dei compagni mentre l’altro riprende la scena con il telefonino. La vittima, che ha un piccolo deficit di apprendimento ed è seguito da un insegnante di sostegno, ha poi raccontato tutto, settimane dopo, alla madre, quando un familiare aveva avuto la notizia dell’esistenza di quelle immagini. (26 maggio 2007)
Molti episodi, che siano meno cruenti o analoghi, non raggiungono la stampa, ma la loro crescita è ampiamente testimoniata. Il bullismo comincia ad uccidere anche in questo paese (almeno una vittima si è data la morte per sfuggirvi, quest’anno), e in più abbiamo spacciatori dodicenni di droghe leggere provenienti da rinomate e benestanti famiglie, e bambine di dieci anni che “tirano” coca perché fa dimagrire. Per non parlare dei filmati “shock” che vengono allegramente messi in internet e dove si può ammirare la cricca dei bulli minorenni che tormenta la vittima di turno.
4. La sanità mentale, in questo paese, è uno stato ampiamente minoritario. Soprattutto fra chi ha potere decisionale o autorità di qualche tipo.
Prendete i sindaci. Uno si sveglia la mattina e decide che i bambini “nazionali” hanno più diritti dei bambini immigrati. Nelle graduatorie per gli asili nido comunali, passeranno avanti grazie alla cittadinanza di mamma e papà. E badate bene: “Qualora gli istituti non volessero accogliere la richiesta, il sindaco è pronto a intervenire con un’ordinanza.” Chi viene da “fuori” è un problema, tuona il primo cittadino, e perciò ha in progetto di realizzare un sistema di monitoraggio tramite telecamere piazzate su tutto il territorio comunale: scuole, parchi, piazze, periferie, frazioni... Il Grande Fratello in perpetuo, ventiquattrore su ventiquattro, è semplicemente geniale, no? (27 luglio 2007)
Un altro sindaco si trova con un caso di stupro sul proprio territorio, otto minorenni che violentano una coetanea e cosa fa? Tira fuori dal bilancio comunale le spese legali per gli accusati, forse ignorando che la difesa legale è garantita d’ufficio anche agli indigenti (ma i fanciulli non sarebbero indigenti, pare che abbiano parenti in giunta, invece). Di fronte alle reazioni provenienti da membri autorevoli del suo partito, gli dà dei “talebani.”, ricorda che sono loro ad aver bisogno di lui e non viceversa, e si organizza una micro manifestazione di sostenitrici per far vedere a tutto il mondo che le donne non sono schifate e offese dal suo comportamento, anzi. (18 luglio 2007) Cos’abbiamo, ancora? Parlamentari tristi e stanchi, consumati dalla lotta alla droga, dalla tolleranza zero e dal “family day” che sono costretti, causa lontananza dall’amata moglie, a festini a base di cocaina e prostitute. Sacerdoti con una fedina penale notevolmente sporca che, nei guai con la legge per l’ennesima volta, denunciano “complotti” giudaico-massonici. (Questa dichiarazione mi ricorda qualcuno, qualcuno con baffetti e divisa, ma no, non è Chaplin). Ministri della Repubblica che prontamente assicurano loro “vigilanza” sui complotti...
Miei cari ET, cosa devo dirvi di più? Di qualsiasi costellazione siate originari, restateci. O almeno non mettete piede in Italia, fino a che non diventiamo un paese civile.
Maria G. Di Rienzo
P.S. Gli episodi di cronaca succintamente narrati sono avvenuti nelle province o nella città di: Roma, Palermo, Manfredonia, Foggia, Catania, Civitavecchia, Milano, Ferrara, Lucca, Viterbo. Gli autori degli atti di violenza erano cittadini italiani e cittadini immigrati; le vittime pure.
La dignità (limitata) delle donne
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 4/8/2007)
La Corte di Cassazione ha definitivamente mandato assolti i genitori e il fratello - di fede islamica - di una giovane che li aveva denunciati per sequestro di persona e maltrattamenti. La Corte non contesta che effettivamente la giovane sia stata prima sequestrata e poi picchiata. Ma giudica che genitori e fratello abbiano agito per il suo bene: prima per evitare che frequentasse persone a loro non gradite, poi per evitare che, per sfuggire a tanto amorevole controllo, la giovane si suicidasse.
Di più, nel motivare la propria sentenza la Corte ha dichiarato che non c’era prova che le botte fossero abituali. Si è trattato solo della reazione (evidentemente ritenuta legittima) a comportamenti giudicati scorretti dai familiari stessi sulla base «della loro cultura». Le donne, le figlie, specie di famiglia musulmana (ma in linea teorica tutte) sono avvisate: essere picchiate e sequestrate perché il proprio comportamento non piace ai genitori e ai fratelli (ma forse anche ai mariti, ai suoceri, ai cognati) non è reato, neppure un reato minuscolo come l’abuso dei mezzi di correzione come è invece avvenuto altre volte, nel caso di genitori italiani che impedivano ai figli di uscire chiudendoli a chiave in camera. Esse sono ostaggio dei propri familiari, gli unici che possano valutare quale sia il loro bene e che cosa possano o non possano fare.
E questo, sempre a parere della Corte, non costituisce atteggiamento di sopraffazione e disprezzo, bensì attenzione amorevole, ancorché severa. I diritti individuali vengono meno di fronte al diritto e potere della comunità, dei gelosi custodi della tradizione. Genitori, fratelli, mariti, cognati, zii disturbati dal comportamento delle «loro» donne sono avvisati: basta che motivino la loro violenza con l’intenzione di fare del bene e proteggere da se stesse le loro vittime e saranno autorizzati a continuare a malmenarle. Basta che non le ammazzino o non le mandino all’ospedale.
C’è un misto di sessismo e razzismo mascherato da politically correct in questa sentenza che mette paura. Evidentemente è solo quando si arriva all’omicidio, come nel caso di Hina, la ragazza pachistana uccisa da padre e cognati nel silenzio della madre, che la violenza è considerata intollerabile e illegittima. Ma fino a un momento prima no. Quindi non c’è rifugio possibile per le vittime. E’ ancora peggio di quando, sempre in nome delle «tradizioni culturali locali» si concedevano generose attenuanti per delitto d’onore. Qui proprio non c’è reato. In entrambi i casi, vale la pena di sottolineare che il potere della tradizione (che si tratti dell’onore della famiglia o della purezza della comunità di appartenenza) come superiore ai diritti individuali, viene più facilmente evocato e riconosciuto quando si tratta di violenza dei genitori verso le figlie, dei mariti verso le mogli, dei fratelli verso le sorelle. A conferma della maggiore difficoltà con cui, anche nelle nostre società cosiddette evolute, si riconosce una piena dignità civile alle donne. Non succede solo in Italia, per altro. Mesi fa una sentenza analoga in Germania provocò sconcerto nella opinione pubblica e reazioni negative da parte degli organi della magistratura tedesca.
Quando il ministro Amato dichiarò che picchiare le donne è una tradizione siculo-islamica sbagliò due volte: perché picchiare le donne è fenomeno diffuso a tutte le latitudini e condizioni sociali, come testimoniano i dati non solo italiani, ma delle organizzazioni internazionali. E perché questa sentenza (che conferma una precedente sentenza d’appello) dimostra che in Italia una parte dei giudici lo considera un fatto normale, specie se avviene in famiglia ed è motivato da tradizioni culturali.
Dopo questa sentenza, rimane da chiedersi con che legittimità il governo e il ministro potranno chiedere alle associazioni islamiche e agli aspiranti cittadini - di qualsiasi provenienza culturale e religiosa - del nostro Paese di sottoscrivere, tra l’altro, una dichiarazione di rispetto per la libertà e la dignità femminili.
La Suprema Corte ha dato ragione al Tribunale del Riesame di Lecce
I giudici avevano vietato all’uomo di risiedere nello stesso comune della donna
Ha costretto la moglie a chiudersi in casa
Per la Cassazione è violenza privata
L’uomo era arrivato a installare una telecamera per sorvegliare la consorte *
ROMA - Costringere la moglie a vivere chiusa in casa, per giunta controllata da una telecamera, è violenza privata. Lo attesta una sentenza della quinta sezione penale della Cassazione (n.31158), con la quale è stata confermata la misura cautelare del divieto di dimora nello stesso comune di residenza della moglie, Soleto, emessa dal tribunale del Riesame di Lecce nei confronti di un uomo che rischia una condanna fino a quattro anni per violazione dell’articolo 610 del codice penale.
La moglie, si legge infatti nella sentenza, Maria Addolorata N., era stata obbligata a "modificare le proprie abitudini di vita, rinunciando ad uscire a piedi e, comunque, a limitare le proprie uscite, a vivere chiusa in casa, controllando continuamente le immagini provenienti da una telecamera esterna appositamente installata, a richiedere la compagnia della madre nelle notti in cui il marito era impegnato in turni di lavoro notturni".
Il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta del pm di applicazione della misura di arresti domiciliari nel confronti dell’indagato, Roberto V., 50 anni, non ritenendo "ravvisabili" nella fattispecie gli estremi del reato di violenza privata. La richiesta di misura cautelare, anche se limitata al divieto di dimora, era invece stata accolta dal Riesame.
La Suprema Corte, quindi, ha rigettato il ricorso avanzato dal difensore dell’indagato, nel quale si spiegava, tra l’altro, che "le asserite limitazioni del libero comportamento della persona offesa non erano riferibili ad alcuna minaccia, ma solo ad attenzioni amorose, ed erano ascrivibili ad autonome scelte di vita della stessa".
Per gli ’ermellini’, invece, "con motivazione idonea, immune da vizi od incongruenze di sorta, il giudice del riesame ha diffusamente argomentato in proposito, giungendo alla corretta conclusione degli elementi costitutivi dell’ipotizzata fattispecie delittuosa".
Per i giudici di piazza Cavour, dunque, "la fattispecie in oggetto" non aveva nulla a che fare con "le attenzioni amorose", ma era diventato "un sistema di reiterate molestie e minacce tali non solo da costringere la persona offesa ad un radicale cambiamento del suo regime di vita, ma a tollerare anche pesanti intrusioni nella sua vita privata e nella sfera della sua riservatezza".
* la Repubblica, 1 agosto 2007
Il Rapporto dell’Istat sulla violenza e i maltrattamenti contro la donna
Commissionato dal ministero delle Pari opportunità, è il primo di questo genere
Tre donne su 10 hanno subito violenza
Il 33 per cento sceglie di non denunciare
La ricerca è stata fatta nel 2006 su un campione di 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni
Dallo stupro ai capelli tirati, dallo stalking alle intimidazioni. Il più violento è sempre il partner
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - In Italia il 31, 9 per cento delle donne tra i sedici e i settanta anni hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Per la precisione, cinque milioni di donne hanno subìto violenza sessuale, che s’intende stupro, tentato stupro ma anche rapporti sessuali "non desiderati e subìti per paura delle conseguenze" e "attività sessuali degradanti e umilianti". Il 18, 8 per cento è stato più "fortunato" e ha sopportato "solo" violenze fisiche, dalla minaccia più lieve a quella con le armi, dagli schiaffi al tentativo di strangolamento.
I numeri possono essere mostruosi perché riescono a semplificare e a ridurre in segni le situazioni più drammatiche. Riescono a far diventare statistica il dolore, l’umiliazione, la disperazione. Se si riescono ad attraversare le 43 pagine del rapporto su "La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia" andando dietro i numeri e cercando di immaginare i volti e le storie delle migliaia di donne intervistate, avremo uno spaccato dell’Italia che nessuno conosce perché è difficile immaginarlo, perché è più comodo non vederlo.
La ricerca presentata ieri a San Rossore, la ex tenuta presidenziale sul litorale pisano, dall’istituto spagnolo Santa Sofia racconta che nel mondo muore una donna ogni otto minuti e che l’Italia è al 34esimo posto (su 40) di questa speciale classifica. C’è in Europa, chi sta molto peggio di noi, il Belgio, ad esempio. La ricerca realizzata dall’Istat su input del ministero delle Pari Opportunità, la prima di questo genere, specifica sui maltrattamenti - senza spingersi all’omicidio - ci mette sotto gli occhi una situazione drammatica anche perché silenziosa e taciuta. Qualcosa contro cui, ad esempio, non risultano iniziative di tipo legislativo o altro. E’ una fotografia circoscritta da numeri. Su ogni cifra, per trovare le parole necessarie, occorre fermarsi e riflettere.
Tre tipi di violenza. L’indagine (il campione comprende 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni intervistate su tutto il territorio nazionale dal gennaio all’ottobre 2006) misura tre diversi tipi di violenza: quella fisica, quella sessuale e quella psicologica che comprende le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni e tutto ciò che può "armare" l’ossessione di un partner, di un ex amante o anche solo di una persona conosciuta e creduta amica.
La violenza del partner. Il 21 per cento delle vittime ha subìto violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6% solo dal partner, il 54,6% da altri uomini non partner. I mariti, o conviventi, o fidanzati sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica (67,1%) e di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro o i rapporti sessuali non desiderati ma subìti per paura di conseguenze. Il 69, 7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è opera di estranei. Violenza genera violenza e in genere è violento chi ha visto o subìto violenza. Tra i partner violenti, il 30 per cento ha vissuto e visto la violenza nella propria famiglia di origine; il 34,8% ha avuto un padre violento e il 42,4% la mamma.
Il silenzio. Quelle delle donne che subiscono violenza sono grida silenziose, mute, spaventate. La parte sommersa del fenomeno è elevatissima: restano non denunciate il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle dal partner. La ricerca dell’Istat dice che il 91,6% degli stupri non viene denunciato. E che il 33% delle donne non parla con nessuno, nasconde per sempre quello di cui è stata vittima.
Più forme di violenza. Un terzo delle vittime subisce violenza sia fisica che sessuale. Tra le violenze fisiche le più frequenti (56, 7%) sono "spinte, strattonamenti, un braccio storto o i capelli tirati". Il 52% dei casi riguarda "la minaccia di essere colpita" e il 36,1% "schiaffi, calci, pugni o morsi". Se c’è di mezzo una pistola o un coltello la percentuale, per fortuna, crolla all’8,1%; il tentativo di strangolamento o soffocamento e ustione arriva al 5,3% dei casi. Tra tutte le forme di violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche come "l’essere toccata sessualmente contro la propria volontà" (79,5%), rapporti sessuali non voluti (19%), il tentato stupro (14%), lo stupro (9,6%) e i rapporti sessuali degradanti e umilianti (6%).
La violenza in casa? Non è un reato. C’è un dato nella ricerca - che geograficamente coinvolge in minima parte il sud del paese dove tutte le percentuali rilevate sono minime - che lascia perplessi e la dice lunga sulla scarsa educazione femminile al rispetto di sé. Solo il 18,2% delle donne considera reato la violenza subìta in casa e in famiglia. Per il 44% quello che è successo è stato "qualcosa di sbagliato", per il 36% "solo qualcosa che è accaduto". Anche lo stupro e il tentato stupro è diventato reato solo nel 26,5% dei casi.
La persecuzione dello stalking. Due milioni e 77 mila donne (18 %), hanno subìto comportamenti persecutori (stalking) da parte del partner al momento della separazione o dopo che si erano lasciati. La persecuzione più diffusa (68, 5%)è quando lui vuole a tutti i costi parlare con lei che invece non ne vuole sapere. Il 61, 6% ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla; il 57% l’ha aspettata fuori casa, davanti a scuola o fuori dal lavoro; il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, e mail, lettere o regali indesiderati; il 40,8% l’ha seguita o spiata. Un inferno, non c’è che dire.
Quando la violenza è psicologica. Le vittime, in questo caso, si contano in 7 milioni e 134 mila donne. A casa e al lavoro. Il 46,7% vengono isolate, su altre scatta il controllo (40%), la violenza economica (30,7%) e la svalorizzazione (23,8%) da cui derivano la perdita di autostima e gli esaurimenti nervosi. Metodi subdoli, con confini effimeri, facili da smentire e da non rilevare. Solo il 7,8% è vittima di vere e proprie intimidazioni.
Prima dei 16 anni. In Italia un milione e 400 mila donne hanno subìto violenza sessuale prima dei 16 anni e da parte di persone per lo più conosciute. Si tratta per lo più di conoscenti e parenti (25%), un amico di famiglia (9,7%) o un amico della ragazza (5,3%). La violenza avviene in casa e il 53% delle vittime decide di vivere col proprio segreto.
* la Repubblica, 21 luglio 2007
I risultati di una ricerca sulla violenza sulle donne diffusi al Meeting di San Rossore
In Italia un omicidio in famiglia ogni 2 giorni: in 7 casi su 10 vittima una donna
"Nel mondo viene uccisa
una donna ogni 8 minuti" *
SAN ROSSORE (PISA) - Nel mondo, ogni 8 minuti, viene uccisa una donna. Il dato è emerso da un’indagine relativa all’anno al 2003 presentata da Josè Sanmartin, direttore del centro spagnolo per lo studio della violenza Santa Sofia, oggi a San Rossore il cui tradizionale meeting quest’anno è dedicato a "I bambini, le donne".
"Nel 2000 - ha dichiarato Sanmartin - gli omicidi di donne erano uno ogni dieci minuti". dallo studio è nata una vera e propria classifica. Su 40 paesi esaminati quello che vanta il poco invidiabile primato è il Guatemala, con un’incidenza di 122,80 donne assassinate per ogni milione di donne abitanti. Al secondo posto della classifica la Colombia, con 70,20 omicidi per ogni milione. Al terzo El Salvador con 66,38.
Il primato in Europa tocca al Belgio all’ottavo posto nella graduatoria mondiale con un’incidenza di 29,30 donne uccise ogni milione. L’Italia è al 34esimo posto su 40, con 6,57 assassini per milione. I paesi dove più si contano assassini di donne sono latino americani (i primi dieci posti), con una media di 41,02 vittime ogni milione, contro 12,29 dell’Europa.
In Europa i delitti nei confronti delle donne all’interno della famiglia riguardano 5,84 donne su un milione; in Italia - riferisce la ricerca spagnola - si scende a 4,24. Il numero più alto si registra in Ungheria (16,15), seguita da Lussemburgo (13,16). Le donne uccise dal partner sono in Europa 5,78 per milione; il numero più elevato si riscontra nei paesi del Nord, soprattutto a causa dell’abuso di alcol durante i fine settimana.
La Regione Toscana, a sua volta, ha diffuso alcuni dati che si basano su parametri diversi ma che raccontano comunque di un fenomeno, quella della violenza in famiglia e nello specifico sulle donne, "drammaticamente in crescita". Nel 2005 si è registrato in Italia un omicidio in famiglia ogni 2 giorni: in 7 casi su 10 la vittima è una donna.
A livello mondiale, la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni. Uccide più il marito o il fidanzato o l’amante, a volte anche i figli, più del cancro, degli incidenti stradali e delle guerre.
* la Repubblica, 20 luglio 2007
A Montalto di Castro, nel Viterbese, messi a disposizione 5mila euro a testa
I giovani sono accusati di violenza di gruppo contro una sedicenne
Il sindaco presta i soldi per la difesa
a otto stupratori minorenni: è polemica
MONTALTO DI CASTRO (Viterbo) - Il Comune presta dei soldi ad alcuni minorenni, accusati di stupro di gruppo nei confronti di una coetanea, per sostenere le spese legali. E a Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, scoppia la polemica.
La scelta del primo cittadino Salvatore Caria (Ds) solleva infatti un vespaio: al centro della controversia, ci sono cinquemila euro a testa che il Comune ha messo a disposizione di alcuni dei minorenni accusati di violenza di gruppo. Lo scorso maggio, infatti, otto ragazzi tra i 15 e i 17 anni erano stati arrestati con l’accusa di aver abusato a turno di una sedicenne di Tarquinia. La violenza del branco si sarebbe consumata tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, e gli aguzzini avrebbero poi minacciato la giovane, intimandole di non rivelare quanto accaduto.
Ma proprio grazie alla denuncia della ragazza, gli otto erano stati fermati e messi agli arresti domiciliari. Adesso, il sindaco ha proposto di farsi carico della loro difesa con soldi pubblici. Si tratta di un prestito ("Gli interessati - spiega - hanno sottoscritto una garanzia attraverso al cessione degli stipendi) a sostegno dei minori che non sono in grado di provvedere da soli alle spese legali e non possono contare sull’aiuto delle famiglie.
"Lo abbiamo fatto - dice Caria - perché sono tutti minorenni e perché abbiamo applicato il principio di presunzione d’innocenza previsto dall’ordinamento. Inoltre, continua il primo cittadino, si tratta di un caso limite, reso tale dall’età dei presunti stupratori. "Anche se dovessero risultare colpevoli - conclude - le istituzioni avrebbero il dovere favorire il loro recupero e il loro reinserimento sociale".
Ma la scelta del sindaco solleva polemiche e questioni morali. Dalla segreteria provinciale della Cgil di Viterbo Miranda Perinelli parla di vergogna e scandalo. "Quei soldi pubblici - spiega - sono stati usati contro una sedicenne che ha avuto il coraggio di denunciare la violenza sessuale subita. E’ incredibile ma è così".
* la Repubblica, 18 luglio 2007
GIURISTI DEMOCRATICI
Al Sig. Sindaco di Montalto
Piazza Giacomo Matteotti n. 11
MONTALTO DI CASTRO
Ill.mo Sig. Sindaco,
L’Associazione Nazionale Giuristi Democratici esprime il proprio disappunto in merito alla Sua scelta di finanziare la difesa di ragazzi imputati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una giovane donna.
Non appare una scelta lecitamente giustificabile come “applicazione del principio di presunzione d’innocenza”, che dovrebbe portare allora il Comune ad intervenire in ogni processo che veda coinvolti suoi cittadini, (e che ne sarebbe, allora dei Suoi cittadini, persone offese dal reato?); né possono essere accampate ragioni di difesa dei non abbienti, qualora sussistenti, per le quali esiste l’istituto del patrocinio a spese dello Stato.
Riteniamo, inoltre, tale scelta, compiuta da chi è capo del Governo del Comune e lo rappresenta, profondamente lesiva non solo della dignità della vittima, ma di tutte le donne che, avendo subito violenza, trovano il coraggio di denunciarla: sono inaccettabili le Sue parole , laddove alla domanda se abbia compiuto qualche gesto di solidarietà anche verso la ragazza vittima di violenza, ha risposto, secondo quanto riferito dagli organi di comunicazione «Non la conosco, non l’ho mai vista in faccia. Non mi ha mai chiesto niente». Ma detta scelta offende, altresì, la sensibilità di ogni democratico che non può comprendere lo schierarsi di un’istituzione pubblica, in una situazione così delicata e drammatica.
Questa giovane, alla quale va la nostra più profonda e sentita solidarietà, è stata, a causa delle Sue parole, rivittimizzata per la terza volta: la prima, umiliata nel corpo e nella psiche da uno stupro multiplo e brutale e dalle minacce per indurla al silenzio; la seconda quando, avendo trovato il coraggio e la determinazione per la denuncia, il gruppo l’ha attaccata nuovamente, offendendo la sua dignità di donna, “Era un gioco, lei ci stava, era ubriaca fradicia, non è una santarellina. Aveva la minigonna nera e ci ha provocati”, confermando così che la violenza potrebbe essere, a giudizio di costoro, giustificata dall’espressione libera nel vestire di una ragazza come tante, che si fa bella per una festa, riaffermando con quelle parole i più biechi stereotipi maschilisti, giustificativi e discriminatori.
Ella, in quanto rappresentante della collettività, per primo avrebbe dovuto condannare quelle parole, che non esprimevano certamente dissenso e lontananza dal fatto commesso, esprimere solidarietà alla ragazza oggetto delle aggressioni, adoperarsi perché nel Suo paese non fossero socialmente accettate giustificazioni di carattere morale ad un atto di aggressione sessuale fatto su di un corpo considerato merce in esposizione, ed anzi in offerta, un abuso consumato su carne oggetto di piacere, conculcando le scelte e la personalità in costruzione di una giovane donna.
Se Ella in questo si fosse adoperato, se nel suo Comune, a seguito di tale episodio, avesse attivato campagne per combattere la discriminazione di genere nelle scuole, programmi di ascolto e di supporto psicologico e socioassistenziale per coadiuvare le donne che intendono uscire da situazioni di violenza domestica o denunciare episodi di stupro che hanno avuto conseguenze traumatiche sulla loro psiche o vita sessuale, forse avrebbe anche avuto un senso pensare alla futura riabilitazione relazionale e al reinserimento sociale degli imputati di stupro, una volta che la giustizia avesse fatto il suo corso; ma così, signor Sindaco, il Suo gesto appare parziale, ovvero di una parte, quella maschile, ennesima negazione del fatto che la violenza sulle donne sia un problema politico e non personale, di costume e non relazionale, di sesso e non di genere.
Per questo La invitiamo, qualora, come si auspica, la Sua Giunta revochi la decisione di stanziare denaro pubblico in favore dei ragazzi imputati di stupro, a destinare quel denaro alla promozione di politiche di sensibilizzazione sulle discriminazioni di genere nelle scuole ed a istituire programmi di supporto per le vittime di violenza, come risarcimento sociale per le donne che silenziosamente subiscono violenze e discriminazioni, dentro e fuori dalla famiglia, anche nella Sua comunità.
Avv. Roberto Lamacchia
Presidente
Associazione Giuristi Democratici
Verrà revocata la delibera per "motivi di opportunità"
Gli otto ragazzi sono indagati per stupro di gruppo
Montalto, il Comune fa dietrofront:
niente soldi ai minorenni accusati
MONTALTO DI CASTRO (Viterbo) - Il Comune di Montalto fa dietrofront. Non verranno prestati ai minorenni accusati di stupro i soldi per sostenere le spese della difesa. La delibera che aveva messo a disposizione di alcuni degli otto ragazzi indagati per aver violentato in gruppo una coetanea, verrà infatti revocata.
La decisione del sindaco di Montalto di Castro, Salvatore Carai, aveva sollevato molte polemiche. Per questo, nel pomeriggio verrà ufficializzata la marcia indietro della giunta "per motivi di opportunità". Carai aveva deciso di prestare 5mila euro a testa ad alcuni dei minori, che hanno tra i 15 e i 17 anni, per affrontare il processo. Il gesto era stato letto da molti, tra cui la madre della ragazza, come un’ulteriore violenza nei confronti della quindicenne di Tarquinia che era stata vittima del branco tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Per la giovane, che aveva trovato la forza di denunciare lo stupro nonostante le minacce, la decisione del Comune era "una presa di posizione contro di me".
Sulla vicenda, il gruppo dell’Ulivo al Senato e il senatore di Forza Italia Giulio Marini avevano rivolto al ministro dell’Interno Giuliano Amato due interrogazioni parlamentari. Era intervenuta anche il ministro per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini, che si era detta "esterrefatta" della scelta del Comune. In molti avevano chiesto che la delibera fosse revocata: tra questi, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Altri, tra cui il Telefono Rosa, avevano domandato che il primo cittadino di Montalto si dimettesse.
Polemiche da destra e sinistra, dunque, così come pieno sostegno e solidarietà alla vittima della violenza. Alessandra Mussolini, segretario di Azione Sociale, le ha offerto di occuparsi delle spese legali: "Ho deciso - ha detto infatti - di offrire alla giovane l’assistenza legale del mio avvocato, Franco Cardiello, garantendo la gratuità delle sue prestazioni. Donerò, inoltre, alla giovane una somma tratta dal finanziamento pubblico che il mio partito riceve per garantire, seppur indirettamente, il supporto dello Stato a una vittima di violenza".
* la Repubblica, 20 luglio 2007
L’accusa del Financial Times: "Dimenticato il femminismo"
Per il giornale sono trattate peggio solo a Cipro, Egitto e Corea
"L’Italia un paese di veline
le donne sono solo oggetti"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - Fin dal titolo, è un’accusa senza mezzi termini: "La terra che ha dimenticato il femminismo", sovraimpresso sul noto cartellone pubblicitario di Telecom Italia in cui Elisabetta Canalis, seduta a gambe incrociate con un telefonino in mano, piega il busto in avanti, in una posizione non proprio comodissima, rivelando una generosa scollatura. E’ la copertina dell’inserto patinato del Financial Times di ieri, che in un articolo di quattro pagine denuncia severamente il trattamento riservato alle donne nel nostro paese: l’uso di vallette seminude in ogni genere di programma televisivo, gli spot pubblicitari dominati da allusioni sessuali, il prevalere della donna come oggetto, destinata a stuzzicare "i genitali dell’uomo, anziché il cervello". Non solo: secondo l’autore del servizio, Adrian Michaels, corrispondente da Milano dell’autorevole quotidiano finanziario, potrebbe esserci un legame fra l’onnipresenza di maggiorate in abiti discinti sui nostri mezzi di comunicazione e la scarsità di donne ai vertici della politica, del business, delle professioni in Italia.
Arrivato a Milano tre anni fa da New York insieme alla moglie, Michaels ammette di essere rimasto stupefatto dal modo in cui televisione e pubblicità dipingono le donne; e ancora più sorpreso dal fatto che apparentemente nessuno protesta o ci trova qualcosa di male. Come esempi del fenomeno, oltre al cartellone della Canalis per la Telecom, cita le vallette del gioco a quiz di Rai Uno L’eredità, la pubblicità dei videofonini della 3, le vallette di Striscia la notizia, l’abbigliamento della presentatrice sportiva Ilaria D’Amico di Sky Italia.
L’articolo considera quindi una serie di dati da cui risulta che le donne italiane sono fra le più sottorappresentate d’Europa nelle stanze dei bottoni: il numero delle parlamentari, 11 per cento, è lo stesso di trent’anni fa; nelle maggiori aziende italiane le donne rappresentano solo il 2 per cento dei consigli d’amministrazione (rispetto al 23 per cento nei paesi scandinavi e al 15 negli Stati Uniti); e un sondaggio internazionale rivela che la presenza di donne in politica, nella pubbica amministrazione e ai vertici del business è più bassa che in Italia soltanto a Cipro, in Egitto e in Corea del Sud. "La mia sensazione è che il femminismo, dopo importanti battaglie per il divorzio e l’aborto, da noi non esista più", gli dice il ministro Emma Bonino, interpellata sul tema.
Altri fattori aumentano le difficoltà delle donne ad avere una diversa posizione sociale, osserva il quotidiano londinese: il lavoro part-time è raro in Italia (15 per cento della forza lavoro rispetto al 21 in Germania e al 36 in Olanda), cosicché le donne che cercano di giostrarsi tra famiglia e carriera sono spesso costrette a scegliere l’una o l’altra. L’articolo ricorda un discorso del governatore della Banca d’Italia Draghi secondo cui il nostro è uno dei paesi europei in cui meno donne tornano all’occupazione dopo la maternità.
Un altro motivo è che gli orari dei negozi ("impossibile fare la spesa il lunedì mattina, il giovedì pomeriggio, la sera e la domenica") complicano la vita della donna che lavora, su cui continua comunque a pesare la responsabilità di casa. La lettera di Veronica Berlusconi pubblicata da Repubblica, in cui chiedeva le pubbliche scuse di Silvio per il suo comportamento con le donne, potrebbe segnalare l’inizio di un cambiamento, ipotizza Michaels. Ma uno dei pubblicitari da lui intervistati avverte: "L’Italia è indietro nel modo in cui sono trattate le donne rispetto ad altri paesi, ma abbiamo un metro per giudicare cos’è accettabile diverso dal vostro. Gli uomini e le donne italiani non saranno mai come gli uomini e le donne britannici".
* la Repubblica, 15 luglio 2007
Il giorno del processo di Hina
Il 28 giugno a Brescia davanti al tribunale le donne dell’Acmid (Associazione Donne Marocchine) si riuniscono per chiedere la costituzione di parte civile al processo contro gli assassinio della ventenne pakistana Hina Salem,uccisa un anno fa perchè non voleva vivere secondo la legge religiosa e patriarcale della sua famiglia. La rivista di donne MAREA ha girato questa testimonianza.
Visita il sito: www.mareaonline.it
Arcoiris TV - Per vedere il filmato clicca qui!
Lettera di protesta e di solidarietà con i parenti delle vittime e con i loro difensori inviata dai Giuristi Democratici alle autorità messicane. *
SUL PERDURARE DEGLI EPISODI DI FEMMINICIDIO E DELLE INTIMIDAZIONI A CIUDAD JUAREZ
Al Dott. Felipe Calderón Hinojosa, Presidente della Repubblica
Al Dott. Francisco Ramírez Acuña, Ministro degli Interni
Al Dott. José Reyes Baeza, Governatore dello Stato di Chihuahua
Alla Dott.ssa Patricia González Rodríguez , Procuratrice Generale di Giustizia di Chihuahua
Al Dott. Eduardo Medina Mora, Procuratore Generale della Repubblica
Alla Dott.ssa Alicia Elena Pérez Duarte
Al Procuratore Speciale per l’Attenzione dei Delitti Relativi ad Atti di Violenza sulle Donne
Al Dott. Santiago Cantón, Segretario Esecutivo della CIDH
Al Dott. Amerigo Incalcaterra, Ufficiale dell’Alto Comissionato dell’ONU per i Diritti Umani in Messico
E per conoscenza:
Asociación Nacional de Abogados Democráticos
Nuestras Hijas de Regreso a Casa
Comité de América Latina y el Caribe para la defensa de los Derechos Humanos de la Mujer
L’Associazione italiana dei Giuristi Democratici esprime la propria preoccupazione per il perdurare di episodi di intimidazione e minacce nei confronti delle vittime di femminicidio e dei difensori delle famiglie delle vittime a Ciudad Juarez (Messico).
Risulta che da 9 mesi parenti delle vittime del femminicidio che fanno parte dell’Associazione “Nuestras Hijas”, così come i loro avvocati membri della ANAD, l’Associazione Messicana Avvocati Democratici, hanno subito intimidazioni, molestie da parte di funzionari pubblici, perquisizioni, minacce velate e negli ultimi giorni minacce dirette via mail e cellulare da parte di persone sconosciute, in particolar modo nei confronti di Malú García Andrade, Marisela Ortiz e di una delle avvocate della ANAD. Addirittura si sono verificati più episodi di furto con scasso in cui l’unico oggetto prelevato erano fascicoli di documenti relativi ai casi.
Nel solo mese di giugno 2007, il 10 è stato inviato alla mail personale di uno degli avvocati un messaggio che riportava il titolo “Alla fine ci si è riusciti!!!” e con il solo testo “Tu sarai eliminata”, il 15 è stato ricevuto un altro messaggio, contenente insulti e minacce, tra le quali “E’ UNA VERA FRODE QUELLA CHE STAI FACENDO. STIAMO SEGUENDO I TUOI PASSI.... STIAMO CONTROLLANDO LA TUA MAIL E ABBIAMO GIA’ COPIA DI TUTTO, CONTROLLEREMO ANCHE IL TUO CONTO BANCARIO", il 18 è stato ricevuto un messaggio ricevuto nella mail dell’organizzazione con il titolo "Informazione" contenente insulti e minacce tra cui: "smettetela con queste cazzate e dedicatevi ad altre cose reali siete delle stronze solo voi credete nelle vostre cazzate andate a farvi fottere”. “Smetti di rompere i coglioni con le vostre cazzate se realmente vuoi che questo paese progredisca smettila con queste stupidaggini e mettetevi a lavorare. VIVA IL MESSICO COGLIONE”, il 22 è stato inviato un messaggio via cellulare al telefono di Marisela Ortiz con il testo "goditi la vita fino a che puoi" e con un mittente che apparentemente non esiste perché non entra alcuna chiamata al numero e non vi è alcuna risposta.
E’ evidente il clima di continua tensione nel quale vivono le famiglie delle vittime e gli avvocati difensori, peraltro oggetto di intimidazioni anche da parte delle forze dell’ordine.
Ricordiamo che lo Special Rapporteur dell’Onu ha definito il femminicidio in Messico “un crimine di Stato” per la complicità di soggetti appartenenti alle Istituzioni nel consentire il perpetrarsi di tali brutalità e per le omissioni nelle indagini sui casi di femminicidio.
Ricordiamo anche che il Comitato per l’Applicazione della CEDAW, nella Raccomandazione 15 del 2006 “sollecita lo Stato membro ad adottare senza indugio tutte le misure necessarie per eliminare la violenza contro le donne commessa da qualsiasi persona, organizzazione, impresa, così come tutte le violenza commesse o risultanti dalle azioni od omissione dei funzionari dello Stato, a tutti i livelli.” , e richiede inoltre allo Stato membro di “favorire l’accesso delle vittime alla giustizia, ed assicurare che si abbia l’effettiva e concreta punizione dei colpevoli e che le vittime possano beneficiare di programmi di protezione.”
Con specifico riferimento alla situazione di Ciudad Juarez, il Comitato per l’Applicazione della CEDAW, nella Raccomandazione 16 del 2006 “lamenta che i crimini contro le donne e le sparizioni di donne continuino, e che le misure adottate sono del tutto insufficienti per compiere una positiva indagine sui casi e perseguire e punire i colpevoli, così come sono insufficienti per consentire alle vittime ed ai loro familiari l’accesso alla giustizia, misure di protezione, risarcimento economico. Il Comitato lamenta in modo particolare che queste misure di gran lunga sono lontane dal poter prevenire la commissione di altri crimini.”
In ragione di ciò richiediamo fermamente e con convinzione alle Autorità Statali e Federali Messicane quanto segue :
Che si diffondano ufficialmente le notizie relative alle azioni intraprese dalle autorità rispetto alle precedenti denunce sporte e ai fatti che si denunceranno nei prossimi giorni.
Che si svolgano ufficialmente le indagini necessarie per identificare i responsabili di questi atti intimidatori e minacce, e che gli stessi vengano opportunamente puniti.
Che si assicuri l’applicazione dei principi della Dichiarazione di Difesa dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 9 dicembre 1998, e si provveda a rendere possibile l’esercizio del diritto di promuovere e difendere i diritti umani, ed a tutelare le persone che esercitano tale diritto in qualunque circostanza.
Che nell’esercizio dell’attività giudiziaria, legislativa e politica si rispettino le Raccomandazioni mosse al Governo Messicano dal Comitato per l’Applicazione della CEDAW.
Roma, 4 luglio 2007
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
comunicato di solidarietà a Dounia Ettaib
L’ Associazione Italiana Giuristi Democratici :
esprime il proprio sconcerto per gli episodi misogini che hanno seguito la manifestazione pacifica contro il femminicidio svoltasi in occasione dell’udienza del relativo processo, davanti al Tribunale di Brescia;
esprime la propria sentita solidarietà a Dounia Ettaib, vice presidente lombarda dell’Associazione donne marocchine in Italia, per l’aggressione e le minacce rivolte nei suoi confronti, perché questo atto di violenza patriarcale non affievolisca il Suo impegno per l’autodeterminazione delle donne marocchine;
auspica che venga fatta luce su tali episodi di negazione violenta della dignità e del diritto all’autodeterminazione delle donne;
si auspica che le Istituzioni si impegnino per garantire il diritto delle donne a manifestare pubblicamente per il riconoscimento dei propri diritti, e sostengano iniziative di carattere sociale e culturale volte a promuovere ogni forma di manifestazione di libertà di espressione, di pensiero, di azione da parte delle donne migranti.
Respinge ogni tentativo di strumentalizzazione dell’episodio da parte di forze politiche razziste per le loro campagne antiislamiche e antiarabe.
Roma, 2 luglio 2007
Campagna “Difendiamo chi difende i diritti umani delle donne in Iran”
di M.G. Di Rienzo
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo[per contatti: sheela59@libero.it] per questo suo intervento *
Le attiviste per i diritti umani delle donne stanno facendo esperienza di una nuova fase di oppressione governativa, che va dagli interrogatori da parte di agenti del controspionaggio alla galera. Tutte vengono accusate di azioni contrarie alla “sicurezza nazionale” per le loro attività, completamente legali, che promuovono i diritti umani delle donne e obiettano alla loro discriminazione.
Zeinab Peyghambarzadeh, studentessa di sociologia e membro dell’organizzazione degli studenti universitari “Daftar Tahkim Vahdat” è l’ultima vittima in ordine di tempo. E’ stata portata alla prigione di Evin il 7 maggio u.s., perché la sua famiglia non è in grado di pagare la pesante cauzione richiesta per lasciarla in libertà. Durante le ultime settimane, dozzine di attiviste per i diritti umani sono comparse nei tribunali o portate in uffici del controspionaggio o della polizia per gli interrogatori.
Gli arresti sono cominciati l’anno scorso, il 12 giugno, durante una manifestazione pacifica che protestava contro le leggi che discriminano le donne in Iran. Più di settanta donne vennero arrestate. Durante una seduta della corte che ne giudicava tre, il 4 marzo 2007 numerose sostenitrici delle accusate hanno manifestato davanti al tribunale. Il raduno, assolutamente pacifico, è stato disperso con estrema violenza, e 33 altre donne sono state arrestate. A tutte queste donne viene contestato di minacciare la “sicurezza nazionale”, e tutte verranno processate. Fra esse ci sono due intellettuali femministe, Noushin Ahmadi Khorasani e Parvin Ardalan, ovvero le principali ispiratrici della campagna “Un milione di firme”, che invoca uguaglianza di genere e mutamento delle leggi discriminatorie. In prigione con la sentenza definitiva ci sono già le organizzatrici della campagna Fariba Davoudi Mohajer, Sousan Tahmasbi e Shahla Entesari. Nel frattempo, gli uffici di tre ong legate all’iniziativa sono stati perquisiti e poi chiusi dalle forze dell’ordine. I loro conti bancari sono stati congelati e le loro attività si sono praticamente chiuse.
Per la campagna “Fermiamo per sempre le lapidazioni”, Shadi Sadr, Asien Amini e Mahboubeh Abbasgholizadeh, già fra le arrestate del 4 marzo, hanno avuto i loro uffici chiusi dalle autorità e presto saranno processate.
Una petizione internazionale che chiede la cessazione della persecuzioni contro le attiviste iraniane, indirizzata al presidente Mahmoud Ahmadinejad, è visibile al sito: http://www.meydaan.org/English/petition.aspx?cid=52&pid=12
Per sapere di più sulla campagna “Un milione di firme” potete andare al sito: http://we-change.org/english e per quella riguardante le lapidazioni: http://www.stopstoning.org/
E’ anche possibile contattare direttamente Shadi Sadr (shadisadr@gmail.com) o Soheila Vahdati (soheilavahdati@gmail.com).
M.G. Di Rienzo
* IL DIALOGO, Sabato, 26 maggio 2007
Le donne rassegnate alla violenza
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 22.02.2007)
Il rischio di subire un qualche tipo di violenza da un uomo - a casa o fuori - sembra far parte della normalità femminile. Quasi una donna tra i 16 e i 70 anni su quattro ha subito violenza sessuale.
Spesso prima dei 16 anni, anche se solo per una minoranza (5% di tutte le donne, pari a circa un milione) si è trattato di stupro o tentato stupro. Quasi una donna su 5 ha subito violenze fisiche. E il 40% ha subito violenze di tipo psicologico (minacce, insulti, restrizioni della libertà e così via). Nell’anno precedente all’intervista le donne che hanno sperimentato qualche tipo di violenza sono state oltre il 5%, con una particolare concentrazione tra le giovanissime e le giovani. La maggior parte delle violenze subite sono state di tipo sessuale, seguite da quelle fisiche. E sono avvenute sia all’interno delle pareti domestiche e da parte di appartenenti alla cerchia familiare e affettiva, sia all’esterno. Sono i dati che emergono da una ricerca svolta dall’Istat nel 2006, utilizzando i criteri condivisi a livello internazionale per definire i diversi tipi di violenza.
Certo, questi dati includono anche le violenze «lievi», lo schiaffo o la tirata di capelli «occasionale». Ma non includono le molestie verbali, le telefonate oscene, l’essere seguite per strada, gli atti di esibizionismo, che pure contribuiscono non poco alla sensazione di accerchiamento e generale insicurezza che la maggior parte delle donne ha sperimentato una o più volte nel corso della propria vita proprio perché donna. La maggioranza delle vittime, inoltre, ha subito più episodi di violenza. Ciò è avvenuto con più frequenza quando l’aggressore è il partner o ex partner. Partner ed ex partner sono anche i maggiori responsabili di stupri e tentati stupri, oltre che di violenze fisiche. E le violenze subite nella sfera domestica sono in maggioranza gravi. Come testimoniato da altri studi oltre che dalla cronaca nera, per le donne non vi è davvero uno spazio sicuro, né pubblico né privato, quando è abitato anche da uomini, cioè quasi sempre. E lo spazio privato, delle relazioni private e intime è spesso il più rischioso.
Si tratta per lo più di violenze non denunciate, anche le più gravi. È questo, forse, il dato che colpisce di più. Oltre il 91% degli stupri non è denunciato. Per gli altri tipi di violenza, sessuale, fisica o psicologica, le percentuali di mancata denuncia sono ancora più alte. E se l’aggressore, specie sessuale, è il partner (marito, fidanzato, convivente) le denunce si riducono ulteriormente, anche oggi, non solo nel passato. Non si tratta solo del timore di ritorsioni. Piuttosto sembra vi sia un’accettazione più o meno rassegnata che la violenza fa parte, può fare parte, delle relazioni uomo-donna. Solo il 18% delle donne che ha subito violenza sessuale in famiglia, infatti, considera tale violenza un reato (di più se è un ex marito o ex partner a farla). Il 44% lo considera qualche cosa di sbagliato ma non penalmente rilevante e il 36% una sorta di fatalità.
D’altra parte, la stessa famiglia non sembra fornire indicazioni utili a cogliere la gravità ed eventuale pericolosità della violenza subita. Il tasso di denuncia è basso, infatti, anche tra chi si è confidata con i famigliari, mentre sale sensibilmente (quasi al 50%) tra chi si è rivolta a qualche operatore istituzionale - medico, avvocato, poliziotto, assistente sociale. Ma sono poche a farlo. E più di un terzo delle donne non ne parla con nessuno.
È questo il danno secondario prodotto dalla violenza (maschile), specie privata, familiare: molte donne la considerano vuoi inevitabile, vuoi uno scotto da pagare; quando addirittura non se ne attribuiscono la colpa. Comunque da tacere. Tra le vittime di questo danno collaterale possiamo certamente mettere la moglie che subisce le violenze quotidiane del marito, o gli perdona quelle occasionali, ma anche la ragazzina costretta a farsi toccare dai compagni, e anche quella che cede al desiderio del suo ragazzo di riprendere un momento di intimità, salvo scoprire che per lui si tratta di un trofeo da esibire su Internet. Anche questo silenzio delle vittime mostra quanto sia ancora lunga la strada della parità tra uomo e donna
APPELLO
Per Un Impegno Concreto, Per Una Donna Soggetto Di Diritto E Non Oggetto Di Diritti, Per L’Autoderminazione Femminile
PROMOTRICI E PROMOTORI DELL’APPELLO:
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
COORDINAMENTO DONNE PRC BOLOGNA
FORUM DELLE DONNE DEL PRC
PRIME ADESIONI E SOTTOSCRIZIONI PERVENUTE :
1. Tiziano Loreti, Segretario della Federazione provinciale del PRC Bologna
2. Laura Silvestri, Ordinaria Di Lingua E Letteratura Spagnola Presso La Facoltà Di Lettere Università Di Roma “Tor Vergata”
3. Associazione Culturale Kairos Di Piacenza
4. Associazione Coming Out Di Piacenza
5. Gruppo Antipsichiatrico Piacentino
6. Avv. Cathy Latorre, Facciamo Breccia - Bologna
7. Sig.ra Bruna Minardi, Segretaria Di Lega SPI-CGIL
8. Sig.ra Riccardi Silvana, Coordinatrice Donne Pensionate SPI-CGIL
9. Marina Pivetta, giornalista
10. Associazione per l’informazione il Paese delle Donne
11. Fondazione “Roberta Lanzino”
12. Matilde Spadafora, madre di Roberta Lanzino
13. Fondazione Pangea ONLUS
14. Tiziana Bartolini, Direttora Noidonne
15. Babara Monachesi , Attivista Amnesty International e volontaria Apeiron
16. Donatella Cortellini, Donne in Nero, Bologna
17. Gianna Morselli, Responsabile del Centro Ascolto LiberaMente di Carpi
18. Emiliano Morrone, direttore di "la Voce di Fiore"
19. Federico La Sala, giornalista di “la Voce di Fiore”
20. Vincenza Perilli, Server Donne
21. Manuela Bruschini, Assessore PDCI del Comune di Piacenza
22. Anita Silvietta Giletti, Professore Associato di Lingua spagnola Universitá degli Studi di Torino
23. On. Khalil Alì Rashid - Rifondazione Comunista - S.E
24. Valerio Monteventi -Consigliere, Comune di Bologna
25. Roberto Panzacchi - Consigliere, Comune di Bologna
26. Serafino D’Onofrio - Consigliere, Comune di Bologna
27. Roberto Sconciaforni - Consigliere, Comune di Bologna
28. Elisabetta Calari - Consigliera, Comune di Bologna
29. Claudio Merighi - Consigliere, Comune di Bologna
30. Milena Naldi - Consigliera, Comune di Bologna
31. Leonardo Lizana Barcelò - Consigliere, Comune di Bologna
32. Giovanni Mazzanti - Consigliere, Comune di Bologna
33. Sergio Lo Giudice - Consigliere, Comune di Bologna
34. Angelo Marchesini - Consigliere, Comune di Bologna
35. Monica Lanfranco, giornalista Rivista Marea, Genova
36. Rossella Ronti , Roma
37. Marcella Bravetti, Presidente Comitato internazionale 8 marzo
38. Lea Melandri, giornalista e scrittrice femminista
39. Paola Redaelli, insegnante, Milano
40. Myriam Verdi, PRC Firenze - Forum donne PRC - Sinistra Europea
41. Rosangela Mura, segretaria Circolo PRC del Quartaccio - Roma
42. Anna Santoro, scrittrice, Presidente dell’Ass. Culturale L’Araba Felice
43. Cinzia Abramo,Circolo PRC SE Foligno (PG)
44. Patricia Tough, Donne in Nero, Bologna
45. Marzia Ma scagni, Segreteria Provinciale PRC Bologna
46. Giuliana Felisati, Segretario del Circolo "G. Milli" San Donato, Bologna
47. Floriana Lipparini, Genere e Politica, Milano
48. Pina Sardella, Genere e Politica, Milano
49. Antonella Rosset , Genere e Politica, Milano
50. Silvia Baratella, Genere e Politica, Milano
51. Rossella Giordano, Consigliera PRC Quartiere Navile-Bologna
52. Luisa Morgantini, Parlamentare Europea, Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica
53. Giulietta Ruggeri, associazione Laboratorio politico di donne,Genova
54. Associazione Laboratorio politico di donne,Genova
55. Desi Bruno, Garante delle persone private della libertà personale, Bologna
56. Patrizia Peinetti, insegnante, SUR Torino
57. Orazio Sturniolo, Consigliere PRC- SE, Quartiere Navile, Bologna
58. Rita Falaschi, Provincia di Genova, Ufficio Pari Opportunità e Politiche Sociali
59. Marina Dondero, Assessora Pari Opportunità, Genova
60. Flavia Fornari, Coordinamento Provinciale dei Giovani Comunisti - Bologna
61. Coordinamento Provinciale Giovani Comunisti, Bologna
62. Marina Pondero, Assessora Pari Opportunità, Provincia di Genova
63. Donne CGIL di Bologna
64. Antonella Raspadori, Segreteria CGIL di Bologna
65. Consiglio del Quartiere Navile , Bologna
66. Gianluca Testoni, Assessore alle Pari Opportunità, Marzabotto (BO)
67. On. Lidia Menapace, Rifondazione Comunista - S.E
68. Daniella Ambrosino, funzionaria. Corte Costituzionale, Roma
69. Piero Chimienti editore
70. Zardetto Rina, Segreteria Provinciale PRC - Reggio Emilia e Consigliera Comunale a Correggio (RE)
71. Sergio Spina, Consigliere Provinciale Prc, Bologna
Canada, alla sbarra il fattore di 57 anni che dava ai maiali i corpi delle sue vittime. Ad incastrarlo i resti di sei donne sepolte nella sua fattoria
Al via il processo a Willie Pickton serial killer accusato di 49 omicidi
Il processo, a New Westminster, seguito da tutto il Paese
VANCOUVER - Ha già ucciso 49 donne e stava progettando il cinquantesimo omicidio. E’ l’agghiacciante ammissione strappata da un agente sotto copertura a Robert ’Willie’ Pickton, l’allevatore di maiali canadese di 57 anni sospettato di aver ucciso 26 donne da oggi sotto processo a New Westminster (Vancouver) per rispondere della morte e della scomparsa di almeno sei delle vittime, i cui corpi sono stati ritrovati nei campi di sua proprietà a Port Coquitlam.
E’ stata proprio la fattoria di Willie, apparentemente un ’pig farmer’ come tanti altri delle campagne canadesi, a nascondere i resti delle donne uccise che fanno di lui il serial killer più pericoloso del Canada. Una verità nascosta, questa, fino al momento del suo arresto, nel febbraio del 2002. Per lui, infatti, le prime accuse erano di aver tenuto festini a base di alcol e droga nei suoi possedimenti. Ma ad incastrarlo sono state le tracce di Dna di almeno 31 donne delle 60 scomparse tra la fine degli anni ’80 e il 2001 ritrovate nei suoi possedimenti. Per la maggior parte, si trattava di tossicodipendenti e prostitute che frequentavano la zona a est di Vancouver. Pickton le avrebbe uccise, fatte a pezzi e sepolte - secondo la pubblica accusa - in quegli stessi campi dove cresceva maiali.
Tutte accuse per le quali l’imputato si è dichiarato innocente anche nell’udienza di oggi. Ma proprio in tribunale è saltata fuori la registrazione di un suo colloquio con un agente federale sotto copertura. Nel nastro Pickton ammette gli omicidi e aggiunge il macabro particolare sulla preparazione dell’assassinio numero 50.
L’allevatore, scortato fino all’aula del Tribunale gremita di giornalisti e parenti delle vittime, ha poi partecipato impassibile e senza rivelare alcuna emozione al procedimento, davanti alla giuria che dovrà vagliare in un anno oltre 240 testimonianze. Nelle udienze preliminari Pickton era apparso a giudici e avvocati chiuso in una gabbia in plexiglass o collegato in teleconferenza, tutte misure di sicurezza ritenute necessarie per il plurimomicida coinvolto in uno dei casi più terribili degli anni ’90.
* la Repubblica, 23 gennaio 2007
La decisione arriva dopo le denunce di molte collaboratrici e un’inchiesta durata sette mesi. Il capo dello stato è accusato anche di intralcio alla giustizia, rischia diversi anni di carcere
Il presidente israeliano Katsav sarà incriminato per stupro *
GERUSALEMME - Il presidente israeliano Moshé Katsav sarà incriminato per stupro. Lo ha annunciato il ministero della Giustizia israeliano. Il capo dello stato è stato denunciato per molestie e violenza da diverse ex collaboratrici.
Al termine della sua inchiesta, a metà ottobre, la polizia aveva raccomandato che il presidente venisse incriminato, dopo le accuse di stupro da parte di alcune sue collaboratrici, tra cui una sua ex segretaria e un’impiegata quando era ministro del Turismo. Katsav ha sempre negato le accuse.
Una parte delle vicende riguardano gli anni in cui fungeva da ministro del Turismo (1988-99) e le altre sono relative al periodo in cui - a partire dal 2000 - funge da capo dello stato.
La decisione, annunciata dal procuratore generale Menahem Mazouz, è senza precedenti nella storia di Israele, scrive il Jerusalem Post, e arriva alla conclusione di un’inchiesta durata sette mesi. Katsav è anche accusato, secondo la radio israeliana, di aver ostacolato lo svolgimento delle indagini.
La radio ha precisato che l’incriminazione non avrà comunque luogo prima che Katsav abbia ricevuto udienza dal Consigliere legale del governo, Menachem Mazuz.
Il presidente rischia dai tre ai sedici anni di prigione per i reati che gli sono contestati. In un comunicato si è detto vittima di una "spregevole campagna di diffamazione". "Intendo difendermi fino alla fine" ha aggiunto.
Secondo la legge, egli beneficia della immunità fintanto che svolge la carica di capo dello stato, ossia fino alla estate del 2007. Ma il parlamento ha la facoltà di destituirlo, fanno notare alcuni commentatori.
* la Repubblica, 23 gennaio 2007.
L’ultima esecuzione: due uccise perché non avevano abbandonato le lezioni. In pochi mesi bruciate decine di scuole frequentate dalle bambine afgane
Afghanistan: l’eccidio delle insegnanti cinquanta uccise nell’ultimo anno
di GAIA GIULIANI *
Cinque persone della stessa famiglia sono state uccise due giorni fa, a colpi di arma da fuoco, nella loro casa nell’Afghanistan orientale. Due lavoravano come insegnanti. Entrambe erano donne. Un reato gravissimo quando i talebani erano al governo. Ma forse lo è ancora. Da mesi il primo ministro Karzai fa pressioni sul governo affinché venga ripristinato il Dipartimento per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù, creatura del passato regime che il nuovo vorrebbe riesumare. E che ha già ottenuto larghi consensi e l’approvazione da parte del gabinetto di Karzai.
Nella sua opera di supervisione e correzione dei costumi il Dipartimento poteva comminare pene come la lapidazione per donne sfiorate dal sospetto di adulterio, frustate in pubblico per quelle che avessero mostrato le caviglie, punizioni corporali per chi portava i tacchi - fanno rumore e l’arrivo della donna deve passare inosservato - ma anche il taglio delle dita se trovate con le unghie laccate. Esempio questo citato anche da Cherie Blair all’indomani del 7 ottobre 2001, in un incontro organizzato a Downing Street con una rappresentanza femminile dell’Afghanistan. Anche il veto di svolgere lavori al di fuori di quelli casalinghi, e la proibizione tassativa di ogni tipo di istruzione era un suo diktat.
Un passo indietro il ritorno del Dipartimento, un passo avanti per frenare la corruzione morale del momento secondo le frange fondamentaliste. Perché l’Afghanistan è dilaniato dalle contraddizioni: nella provincia del Kandahar, al confine col Pakistan delle madrasse talebane, e dove germogliò il movimento taliban, il commercio di oppio e di alcol ha raggiunto picchi inaspettati, idem per quanto riguarda la pornografia.
La reazione degli ultratradizionalisti è feroce. Hanno ricominciato a bruciare le scuole dove studiano le ragazze, ammazzando sotto gli occhi degli studenti gli insegnati che impartiscono lezioni alle donne. Secondo un dato rilevato dall’agenzia Reuters alla fine di novembre, quasi 100 donne del Kandahar avrebbero tentato il suicidio - dandosi fuoco o ingerendo veleno - nel corso degli ultimi otto mesi.
L’omicidio delle due insegnanti si inserisce in questa recrudescenza fondamentalista. Tra il 2005 e il 2006 circa cinquanta insegnanti donne sono state uccise da sicari legati ad ambienti talebani. In un rapporto stilato da Human Right Watch un paio di mesi fa, si legge che gli attacchi incendiari alle scuole sarebbero in netto aumento in tutto il paese, terrorizzando le famiglie che preferiscono tenere i figli a casa. Le conseguenze, sempre secondo Hrw, sono che la maggior parte delle bambine che avrebbero accesso alla scuola primaria non viene iscritta, mentre solo il 5% delle adolescenti frequenta le superiori.
Secondo uno studio dell’Unifem, il fondo delle Nazioni Unite dedicato allo sviluppo femminile nel mondo, il 65% delle vedove di Kabul vede nel suicidio l’unico mezzo per sottrarsi alla repressione maschile nell’Afghanistan post talebana. Lo stesso documento ha rilevato come la maggior parte delle afgane siano vittime di violenze sessuali, violenze inaspritesi nel corso degli ultimi cinque anni. Una voce contro gli abusi, contro i finanziamenti americani alle madrasse, foraggiate per controbilanciare l’ingerenza sovietica nel paese, era quella di Meena che nel ’77, a vent’anni, creò il Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), il primo movimento a difesa dei diritti delle donne.
La ammazzarono dieci anni dopo, dopo che era riuscita a fondare scuole in cui era ammessa la presenza femminile e centri di accoglienza. La sua associazione si batte ancora per il riconoscimento delle pari opportunità ma, lamentano le sue discepole, è ancora impossibile aprire una sede del Rawa anche solo a Kabul, la capitale "libera" dalle strettoie integraliste in cui le donne possono lasciare a casa il velo a differenza di quanto accade nei villaggi o al sud. E’ stata Rawa a diffondere il filmato dell’uccisione di Zarmeena, la donna afgana ammazzata con un colpo di kalashnikov all’interno di uno stadio mentre i sette figli guardavano l’esecuzione dagli spalti.
In una sua poesia Meena, che aveva lasciato l’università per la causa in un periodo in cui le donne potevano ancora frequentarla, si definiva "la donna che si è svegliata, la donna risorta e divenuta tempesta fra le ceneri dei miei figli bruciati". Time Asia l’ha inclusa tra i 60 eroi storici scelti per festeggiare il suo sessantesimo anno di vita insieme al Mahtma Gandhi, al Dalai Lama e a Madre Teresa di Calcutta, ma la sua bufera è ancora sospesa sul cielo dell’Afghanistan liberato dai talebani.
* la Repubblica, 11 dicembre 2006
l piano del ministro Pollastrini: aggravanti per il coniuge "Difendiamo le donne e chi subisce discriminazioni"
Stupri, molestie e violenze in casa giro di vite e condanne più dure
Più tutela della vittima durante il processo, via libera all’utilizzo delle intercettazioni ambientali e telefoniche durante le indagini
di CONCITA DE GREGORIO *
ROMA - È una sorpresa trovare nella stanza del ministro Barbara Pollastrini, Diritti e Pari opportunità, il pubblico ministero Silvia Della Monica celebre per essersi occupata non senza difficoltà anche personali di "mostro" quando lavorava a Firenze e di massoneria a Perugia. "Il nostro capo dipartimento", la presenta il ministro. Della Monica ha sulle ginocchia la cartellina che contiene il nuovo disegno di legge contro la violenza domestica, i maltrattamenti e le molestie persecutorie a sfondo sessuale. Una legge che vuole difendere le donne e tutti i "discriminati per ragioni sessuali", gay e trans inclusi.
Siamo qui a parlare, in anteprima, proprio di questo: il testo sarà portato in consiglio dei ministri entro dicembre, è stato studiato di concerto con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, è ispirato al modello spagnolo (quella sulla violenza domestica è stata la prima legge del governo Zapatero). La legge italiana prevede pene più severe per la violenza che avviene tra le mura domestiche con aggravante se a commetterla è il coniuge o - assai importante - il convivente. Un’apertura alle coppie di fatto, altro tema in calendario al ministero.
Dunque: fino a sei anni di carcere, pena che consente l’uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali durante le indagini. Per la prima volta, inoltre, una legge si occupa delle molestie persecutorie (telefonate, sms, pedinamenti, lettere, mail), in inglese "stalking": pene da uno a quattro anni aumentate di un terzo se le minacce sono gravi con possibilità, anche in questo caso, di utilizzare le intercettazioni in deroga alla norma generale. Misure cautelari decise dal giudice per interrompere le persecuzioni che arrivano fino agli arresti domiciliari o al carcere per il molestatore. Fino ad oggi era un reato da contravvenzione, 516 euro di ammenda: la differenza è radicale.
Inoltre, estensione della legge Mancino contro le discriminazioni razziali, etniche e religiose anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere: l’insulto o la violenza contro un gay diventa aggravante di reato e reato in sé. Si aggiungano la maggiore tutela della vittima nel processo (potranno testimoniare una sola volta nel corso delle indagini preliminari con l’incidente probatorio, cosa che riduce il disagio del teste oltre che i tempi del processo) e nessun faccia a faccia con l’aggressore. Un osservatorio permanente in cui saranno coinvolti anche i centri antiviolenza (tre milioni di euro stanziati in Finanziaria) sarà attivo al ministero.
È la prima legge concepita in queste stanze "in intesa con i ministri di Giustizia, Lavoro, Interni, Famiglia, Politiche sociali, Scuola e Comunicazione", dice Pollastrini. Sarà varata dal consiglio dei ministri e poi sottoposta al Parlamento dopo la Finanziaria "e soprattutto dopo che qui abbiamo definito bene la missione, i confini di competenza e le forze disponibili al ministero".
Prima di tutto quindi Pollastrini si è occupata delle deleghe: con un decreto del 19 luglio ha avuto tutte le deleghe nazionali e internazionali in materia di Diritti umani e sociali. Di seguito il gruppo di lavoro: sono arrivati il pm Della Monica, Stefano Ceccanti a capo dell’ufficio legislativo, l’ex sindaco di Modena Alfonsina Rinaldi ad occuparsi della segreteria politica, Marcella Ciarnelli dall’Unità a far da portavoce, l’ex senatrice ds Graziella Pagano per i rapporti istituzionali. "Poi, vista la coperta stretta della Finanziaria, abbiamo dovuto fare delle scelte. Primo, i diritti umani e dunque il programma contro la tratta degli esseri umani e il rifinanziamento di quello contro le mutilazioni genitali.
Secondo, un piano d’azione contro la violenza alle donne e alle identità di genere". Qui il ministro sospira. "La verità è che le élites e le classi dirigenti, anche nel centrosinistra, non hanno capito bene cosa rappresentino le donne oggi. Non hanno colto per esempio fino in fondo il senso del discorso di Clinton a Blair: "dobbiamo passare completamente all’epoca delle pari opportunità". Non hanno capito che senza l’espansione della funzione attiva delle donne non si riuscirà a rivoltare il paese, a renderlo più dinamico tollerante rispettoso e non ci sarà vera crescita. Noi dobbiamo trovare la via italiana fra il modello Sègolene Royal e il quello delle quote: una via fatta di regole, libertà e responsabilità".
Regole, in primo luogo. "Perché nel comitato di bioetica, che decide delle sorti del corpo delle donne, non ci devono essere tante donne quanti uomini? Perché non alla Corte costituzionale, tra i direttori e i vice della Rai, nelle aziende? In Spagna in Francia, in Giappone ci sono piani per raggiungere il 65 per cento dell’occupazione femminile, da noi siamo al 45, al sud al 27". Ecco allora una prima misura, già approvata in Finanziaria e in vigore da gennaio: le aziende delle "aree svantaggiate" (soprattutto dunque al Sud) che assumeranno una donna avranno un risparmio ulteriore, con l’Irap, di 150 euro al mese per lavoratrice. "In Svezia in Germania e nel Nord Europa ci sono leggi che puntano ad avere nell’arco di 7-8 anni almeno il 40 per cento di donne nei cda delle società quotate in borsa. Il 10 per cento all’inizio e poi ad aumentare, con incentivi e premi, con beneficio economico per chi lo fa. Cominciamo a pensarci anche noi. Per ogni dirigente donna uno sgravio fiscale. Penso però anche ai Tar, alla Banca d’Italia: l’assemblea di Bankitalia è uno spettacolo deprimente da questo punto di vista, e l’obiezione che già sento che non ci sono donne di qualità a quell’altezza è l’ultimo grande bluff degli uomini che detengono il potere. Posso fornire elenchi lunghi così di economiste e filosofe della scienza, di magistrate e analiste di primissimo livello. Arginiamo la fuga all’estero, questo patrimonio è la nostra vera risorsa".
La legge contro la violenza, allora. "Si comincia da qui, si deve abbattere il muro della vergogna e dell’impunità. È una questione anche di cultura. Col ministro Fioroni siamo d’accordo per studiare un piano che inserisca i temi della non violenza e del rispetto della persona nei programmi scolastici, con Gentiloni parleremo presto di codici per la Rai e per il mondo delle comunicazioni. Bisogna però anche, insieme, punire. Rendere socialmente odioso quel che ancora è in qualche modo tollerato. In Italia un omicidio su quattro avviene in casa, ogni tre morti violente una è una donna uccisa dal marito, dal convivente. Ogni giorno almeno 7 donne subiscono violenza. Allora: non devono più essere tollerate le molestie continuate e gravi in famiglia, nei luoghi di lavoro, per strada. Chi fa violenza a gay, lesbiche, transessuali a causa della loro identità deve essere punito. Se il violento è un parente o un convivente la circostanza è più e non meno grave. Si parte da qui: da una grande e coraggiosa sferzata, serve uno sguardo laico e fiducioso".
Sembra un augurio rivolto soprattutto ai suoi colleghi di governo. Sono giorni in cui le donne ds si scontrano - Turco contro Serafini - per la legge sulla droga. "Io non capisco perché se discutono due donne è un litigio e se lo fanno due uomini è un confronto. Gli uomini passano il loro tempo in guerre di potere, se due donne hanno diverse opinioni è subito una bega da cortile. Stiamo molto, molto attenti a usare le parole ad applicare le categorie: è un fatto culturale, vede, lo è anche nei giornali e in tv. Poi certo, trovare uno stile che tenda all’armonia è auspicabile per tutti ma per le donne, ancora una volta, è un compito in più".
* la Repubblica, 2 dicembre 2006
Storico appuntamento contro la violenza sessista 25 novembre, in piazza migliaia di donne
Migliaia di donne in marcia. «Il killer non bussa, ha le chiavi»
di Laura Eduati *
«Il killer non bussa... ha le chiavi». Ossia: se una donna muore assassinata il colpevole spesso non è un intruso, bensì l’uomo che ha libero accesso alla sua intimità e al suo amore. Urlano lo slogan centinaia di donne riunite nella piazza Torre Argentina di Roma, che nel corso della manifestazione invaderanno la strada e fermeranno il traffico. In mano, o sulla testa, portano casette di legno e di cartapesta per evidenziare che «la famiglia è il luogo del delitto». Altro slogan: “Bindi se l’è scordato, la famiglia è reato”.
Per la prima volta in Italia il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, conquista le piazze e le prime pagine dei giornali. A Bologna, Milano, Firenze, Palermo e Brescia le manifestazioni più visibili organizzate dai collettivi femministi e dai centri anti-violenza che da anni ricordano come nel 90% dei casi le donne siano vittime dei mariti, dei compagni, degli amici maschi. Molti uomini per solidarietà sfoggiano un nastro bianco sulla giacca, resuscitando l’iniziativa nata in Canada nel 1991 dopo l’omicidio a Montreal di 14 studentesse. Il Coordinamento giornaliste della Rai denuncia il sessismo dell’azienda.
Un gruppo di donne dei Verdi prende al volo l’occasione e scrive una durissima lettera contro Alfonso Pecoraro Scanio, accusandolo di usare le dirigenti per le foto-ricordo ma escludendole dalla segreteria. Sempre per la prima volta, la politica rilascia una girandola di dichiarazioni: «Le leggi vigenti devono essere rigorosamente applicate e, se necessario, adeguate» (Napolitano); «occorrono iniziative volte a diffondere una reale cultura della non violenza e del rispetto della dignità della donna» (idem); «Approvare la legge è una priorità» (Fassino); Vendola propone la creazione di un’authority rosa in Puglia che garantisca alle donne l’accesso alle cariche politiche; Viviana Beccalossi di An propone di equiparare lo stupro all’omicidio.
Riassumendo: la politica promette pene più dure e repressione. Ed è anche nell’ottica sanzionatoria che a breve la ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini presenterà una normativa anti-violenza che prevede tra le altre cose un Osservatorio, la tutela delle vittime e campagne di sensibilizzazione per il rispetto dell’immagine e del corpo femminili.
Il modello, facile da intuire, è la legge sulla violenza domestica voluta da Zapatero ed entrata in vigore nel 2005. Una legge che però, scriveva ieri El Paìs, non dà i frutti sperati. La Violenza persistente, questo il titolo dell’editoriale, nel 2006 ha già ha provocato la morte di 60 donne. «Questi dati mostrano che il problema è molto più esteso e profondo di ciò che sembra», osserva il quotidiano da anni impegnato nella campagna. Una normativa non basta per cambiare la testa degli uomini incapaci di «assumere cambiamenti culturali irreversibili».
E’ ciò che sostengono i collettivi femministi e femminili. Come a Bologna, dove 2mila persone hanno dato vita ad un corteo vivace, con l’adesione del sindaco Cofferati e di tutti gli enti locali. «Pene più severe, stai scherzando?» interviene Betti di Sexy shock, il gruppo impegnato nella campagna di informazione macho free zone. «La battaglia è certamente culturale e va combattuta nelle scuole, negli uffici e negli spazi pubblici». Più consultori e meno vittimizzazione delle donne, «rappresentate purtroppo come soggetti deboli da tutelare e che invece devono imparare a darsi valore». Quello che viene chiamato empowerment. La serata bolognese si è molitplicata in dibattiti, proiezione di video, spettacoli teatrali, mostre e concerti.
Anche a Milano le donne di Usciamo dal Silenzio hanno mischiato politica e arte, con un palco nella Stazione Centrale alle 21 e la partecipazione di gruppi musicali e teatrali. A Brescia Arcilesbica e Arcigay hanno ricordato che la violenza maschilista colpisce spesso gli omosessuali e le lesbiche, come è accaduto a una coppia di Mazzano. «Siamo contente perché finalmente abbiamo visto che le donne si stanno riappropriando delle piazze, e non c’è la paura di usare la parola “patriarcato”», commenta il collettivo romano A-matrix. La rete femminile della Sinistra Europea El-fem ha annunciato che presenterà un appello al Parlamento europeo l’8 marzo per una direttiva più incisiva che stimoli l’eliminazione del machismo dal panorama europeo.
Giornata mondiale, si diceva. In Germania 800 palazzi pubblici hanno tenuto la bandiera a mezz’asta in segno di lutto, Berlino e decine di altre città hanno ospitato spettacoli teatrali, readings, cineforum e dibattiti. Ad Atene il partito aderente alla Sinistra Europea Synapsismos ha tenuto a battesimo eventi di strada e manifesti. In Perù, dove 18mila donne l’anno vengono violentate e 9 ogni ora subiscono violenza domestica, il collettivo 25 novembre critica aspramente il presidente Alan Garcia, per il quale la questione è strettamente privata e va risolta nelle case, punto. A Buenos Aires le donne hanno sfilato a Plaza de Mayo.
E a Ciudad de Juarez (Messico), ormai tristemente nota per l’assassinio di oltre 400 donne negli ultimi 13 anni - torturate, violentate, mutilate - gli esperti ormai parlano di “femminicidio sessuale sistemico”: vari uomini senza alcuna relazione tra di loro che si dedicano all’uccisione delle donne. Mica solo a Ciudad de Juarez, verrebbe da dire.
* Liberazione, 26.11.2006
Usciamo dal silenzio
di Barbara Pollastrini *
Vorrei conoscere i risultati di un sondaggio. Vorrei sapere quante persone sanno che una donna su tre nel mondo e una su quattro in Europa ha subito almeno un tentativo di violenza o molestia grave. Vorrei sapere quanti lettori di questo giornale sanno che la violenza costituisce la prima causa di morte delle donne tra i sedici e i cinquant’anni. Più delle malattie e degli incidenti. Vorrei sapere quanti padri, mariti, fratelli sanno che in Italia una donna su due nell’arco della vita è vittima di una o più molestie a sfondo sessuale. E vorrei sapere quanti ignorano che un omicidio su quattro avviene tra le mura domestiche.
Di queste vittime il settanta per cento sono donne e bambini. Vorrei sapere quanti sono a conoscenza del fatto che oltre il novanta per cento delle vittime di violenza o di molestie non denuncia il fatto. Per paura di ritorsioni, per vergogna, per l’incubo di una nuova insopportabile ferita psicologica.
Questo sondaggio sulla percezione reale del problema non c’è, anche se i dati citati sono statistiche ufficiali. Siamo davanti a una incomprensibile e insopportabile rimozione che interroga prima di tutto le coscienze maschili e le élites di questo Paese. Ma le donne ci sono. Esistono. E sanno reagire. Lo fanno perché vivono su di sé, sul proprio corpo, nella propria mente, il senso della propria dignità di fronte a una società - e spesso, una politica - che fa troppo poco per difendere sicurezza, libertà e diritti. Oggi molte di queste donne lo diranno. Lo faranno in centinaia di eventi e manifestazioni convocati nella giornata che l’Unione Europea ha promosso contro la violenza sulle donne. Un evento che riguarda tutti, perché oggi nel mondo parlare dei diritti delle donne significa affrontare la pagina più drammatica e irrisolta dei diritti umani. Sulle donne - sul corpo e sulla vita delle donne - vecchi e nuovi fondamentalismi giocano, infatti, una partita decisiva per il potere in quel processo complesso che va sotto il nome di globalizzazione. È uno scontro cruento che investe popolazioni, civiltà, spesso nel silenzio assordante della comunità internazionale.
Anche per questo la giornata di oggi non è un atto di testimonianza. È un grido d’allarme e l’espressione di un impegno. Potrà accendere dei riflettori e segnalare in tanti paesi l’urgenza di leggi e provvedimenti adeguati. Ma sfida aperta su questo fronte sarà lunga e faticosa. Anche perché le donne, per quanto forti e solidali tra loro, non possono farcela da sole. Servono le istituzioni sovranazionali, servono i parlamenti, servono i partiti e i movimenti, soprattutto servono regole e cultura. L’Italia - va detto con sincerità - è in ritardo. Altri paesi in Europa e nel mondo su questo terreno decisivo per la civiltà e la democrazia hanno fatto di più. Hanno varato leggi severe contro ogni violenza e molestia, ma azioni complessive che affrontano l’emergenza sotto il profilo sociale, culturale, economico. Interventi che insistono sulla prevenzione e sull’educazione, sulla convivenza e sul rispetto del principio «sacro» della inviolabilità del corpo di ogni donna e di ogni essere umano. Per noi è giunto il tempo di colmare questo ritardo.
Abbiamo iniziato a farlo - anche come ministero dei Diritti e della Pari Opportunità - con la finanziaria per il 2007. Sarà istituito un Osservatorio contro la violenza di genere in ogni sua espressione. Con la manovra si rinnova l’impegno contro le mutilazioni genitali femminili, contro la tratta e ogni forma di sfruttamento e segregazione. Avrei voluto maggiori risorse e al Senato continueremo la nostra battaglia per un’attenzione e un impegno maggiori. Tutto questo però non basta. Ciò che serve, e che stiamo costruendo, è un piano ampio e integrato contro la violenza sulle donne e a causa dell’orientamento sessuale e di genere. Un progetto ambizioso che mobiliti risorse, competenze diverse a partire dai centri antiviolenza, dalle case e associazioni delle donne.
Un programma mirato a una svolta sul terreno della cultura, della formazione al rispetto della persona, dell’informazione e dell’immagine della donna nella comunicazione, del costume e del linguaggio. In questa cornice si colloca anche la legge contro le molestie per la tutela delle vittime a cui stiamo lavorando intensamente. Lo stiamo facendo, come è giusto, ascoltando i pareri e proposte delle donne.
Sono convinta che solo una riflessione ampia può aggregare intorno a una legge di civiltà il consenso necessario a farla vivere come un patrimonio del paese e non come il risultato di una parte o di una maggioranza.
Questa è anche la ragione che ci spinge a cercare nel Parlamento una intesa larga a sostegno della legge. Lo dico perché la nostra battaglia può essere - anzi, dovrebbe essere sul terreno delle regole e dei diritti umani la - una battaglia di tutte e di tutti. La giornata di oggi per queste ragioni è un’occasione che cittadini, istituzioni e classi dirigenti non devono sprecare. Dare seguito coi fatti alle parole di oggi è un dovere morale prima che politico.
* www.unita.it, Pubblicato il: 25.11.06 Modificato il: 25.11.06 alle ore 12.55
Banbine soldato, Save the children : sono 120mila *
Una doppia violenza, come minori e come donne: è quella che colpisce le 120mila bambine impiegate come soldati nel mondo. La denuncia da Save the Children, organizzazione internazionale per la tutela e la promozione dei diritti dei minori, per ricordare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne che si celebra sabato in tutto il mondo.
Secondo i dati forniti da Save the Children circa mezzo milione di minori sono impiegati negli eserciti regolari e nei gruppi armati di opposizione in ben 85 paesi, 300mila dei quali prendono parte ai combattimenti. Ebbene circa la metà di questo esercito di piccoli soldati (per la precisione il 40%) è rappresentato da bambine. Il fenomeno raggiunge dei numeri impressionanti in alcuni paesi come l’Uganda, dove si stima ci siano circa 6.500 bambine soldato, rapite dai ribelli del Lord Resistance Army (33% del numero totale dei minori combattenti del Paese); la Repubblica Democratica del Congo, dove sarebbero ben 12mila le bambine ancora associate con le forze armate; lo Sri Lanka, dove 21.500 ragazze sarebbero coinvolte nel conflitto armato in corso (43% del totale dei bambini soldato del Paese).
Nella maggior parte dei casi, il reclutamento avviene con il rapimento, anche se sono molte le giovani che finiscono per unirsi agli eserciti per reazione a violenze subite o spinte dalla ricerca di protezione, di cibo e del necessario per sopravvivere.
I ruoli delle bambine, che a volte hanno solo 8 anni, variano anche in base ai paesi: prendono parte ai combattimenti, ma vengono anche utilizzate come portatrici, raccolgono informazioni, fanno da corrieri, da cuoche o domestiche. Quasi tutte sono però costrette a diventare «mogli» dei combattenti, a subire violenze psicologiche e sessuali, a soddisfare ogni desiderio dei guerriglieri, venendo così violate doppiamente sia come donne che come bambine.
Ma non è tutto. Save the children infatti sottolinea come la comunità internazionale non sia ancora riuscita ad identificare delle politiche efficaci di sostegno a queste bambine, adottando programmi di reintegrazione sotto-finanziati e inappropriati per i loro bisogni.
* www.unita.it, Pubblicato il: 24.11.06 Modificato il: 24.11.06 alle ore 20.54
Bertinotti: "Intervenire fin dalla scuola per prevenire inciviltà e degrado" *
Roma, 23 nov. (Adnkronos/Ign) - "Entro 15 giorni" sarà presentata una "nuova legge che tuteli ancora di più le donne e che sia un appoggio, un punto di riferimento per quelle che si vogliono liberare dalle persecuzioni, dalle molestie". E’ l’impegno del ministro delle Pari opportunità Barbara Pollastrini, intervistata dal Gr1 in occasione della ’Giornata parlamentare contro la violenza sulle donne’.
"In Italia, come in tutti i Paesi europei - spiega - la violenza contro le donne e sulle donne continua, attraverso molestie, molestie gravi, percosse, fino allo stupro e all’assassinio. Credo che contro la violenza la tolleranza debba essere zero".
Aprendo i lavori della ’Giornata parlamentare contro la violenza sulle donne’ a Montecitorio, il presidente della Camera Fausto Bertinotti evidenzia come si tratti di un fenomeno "ben lungi dall’essere sconfitto" e che va combattuto con strumenti culturali, prima ancora che giuridici. Bisogna intervenire, spiega, per "sradicare stereotipi culturali che anche il mondo politico italiano non ha saputo sempre sufficientemente combattere". E di fronte anche agli ultimi casi che hanno avuto come protagonisti ragazzi minorenni, è chiaro che "viviamo una profonda crisi di identità e di certezze". E’ necessario allora, continua, "intervenire fin dalla scuola, nelle famiglie, in tutti i luoghi della formazione civile e sociale dei ragazzi per prevenire inciviltà e degrado, per costruire nei giovani il rispetto e il riconoscimento della diversità, il rifiuto dell’intolleranza e della prevaricazione fisica, il controllo dell’emotività, superando lo squilibrio relazionale tra uomini e donne e i pregiudizi che alimentano discriminazioni e prevaricazioni a danno di queste ultime".
* www.metronews.it, 23/11/2006 14:42
La procura vuole sentire oltre duecento persone che erano a conoscenza dell’episodio. Intimidazioni contro la famiglia della ragazzina che ha denunciato gli abusi ripresi con un cellulare
Ancona, tra minacce e reticenze si allarga l’inchiesta sulla minore stuprata
ANCONA - Ha contorni molto più vasti di quanto non si potesse immaginare il caso della tredicenne anconetana vittima di abusi sessuali ripresi con un telefono cellulare. Stando alle indiscrezioni, la procura del capoluogo marchigiano avrebbe intenzione di ascoltare oltre duecento persone che sarebbero state a conoscenza di quanto accadeva senza farne parola.
Una conferma che il fenomeno avesse dimensioni ancora più gravi arriva inoltre indirettamente da un’altra voce filtrata dagli ambienti investigativi: nelle ultime ore la famiglia della ragazzina protagonista delle violenze avrebbe ricevuto minacce per convincerla a ritirare la denuncia che ha messo in moto la giustizia. A rendere più "persuasive" le pressioni sarebbe stata anche danneggiata la loro automobile.
Secondo quanto ricostruito sino ad ora dagli inquirenti, la vicenda sarebbe nata quasi come un gioco a sfondo sessuale tra una ristretta cerchia di minorenni, ma ben presto con l’entrata in scena di ragazzi più grandi sarebbe sfociata in abusi preceduti da minacce, forse fatte anche con un coltello. Questa sarebbe per lo meno la versione che alcuni degli indagati si appresterebbero a sostenere davanti al pubblico ministero presso la procura dei minori di Ancona Ugo Pastore.
Alcuni dei giovani coinvolti - chiamati in causa a vario titolo dalla magistratura - sarebbero stati già sentiti dagli inquirenti o avrebbero chiesto di esserlo per chiarire le rispettive posizioni. Le accuse contestate vanno dalla violenza sessuale singola o di gruppo nei confronti di una minore di 14 anni alla realizzazione, divulgazione e commercializzazione di materiale pedopornografico. Alcuni minorenni sono indagati per gli atti sessuali compiuti con la 13enne, mentre altri devono rispondere della semplice detenzione o divulgazione di alcuni filmati che ritraggono la ragazzina in situazioni oscene.
Ma questo sarebbe solo il primo cerchio dei protagonisti: la polizia giudiziaria avrebbe in programma infatti l’interrogatorio di oltre duecento persone che in vario modo sono venute a conoscenza dei fatti. Stando agli accertamenti svolti dagli esperti informatici della Questura e della polizia postale sui cellulari e i computer usati dai minori per comunicare via chat, risulterebbe infatti che nella vicenda sarebbero coinvolte inoltre anche altre ragazze.
* la Repubblica, 23 novembre 2006
La domanda “uomini perché uccidete le donne?” resta senza risposte. Perché?
di Maria Luisa Boccia (Liberazione, 18.11.2006)
Il 25 novembre, giornata mondiale sulla violenza contro le donne, vi saranno numerose iniziative, promosse per lo più da soggetti politici femminili e femministi. Il coordinamento delle parlamentari di Rifondazione comunista-Sinistra europea ha scelto per questa giornata di organizzare incontri in diverse città, facendo propria la domanda proposta da Liberazione un anno fa: uomini perché uccidete le donne? Perché esercitate violenza contro le donne, quelle a voi più prossime, quelle con le quali condividete la vita, nel privato e nel pubblico? Ci sembra infatti decisivo spostare l’attenzione su chi la violenza la esercita, per capirne le cause, recenti ed antiche, inscritte nei mutamenti del presente, profondamente incistate nell’immaginario collettivo maschile, radicate nella storia e nel simbolico patriarcale. Riproponiamo allora la riflessione di Angela Azzaro, della redazione del giornale e del gruppo femminista A/matrix, e di Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista.
Angela Azzaro chiama direttamente in causa gli uomini di sinistra perché rispondano, a partire da sé, alla domanda di Liberazione. Gli uomini uccidono le donne. Uccidono quelle che amano. O che dicono di amare. Le violentano, le picchiano. La prima causa di morte delle donne tra i 16 ed i 44 anni, nel mondo, in Europa e in Italia, è la violenza dei loro compagni. Non è un’emergenza di oggi, non è un residuo del passato. Crea sconcerto, paura, orrore. Si contano le vittime. Colore diverso. Classi sociali diverse. Culture diverse. Uguali perché donne. Da sempre, parlare di violenza, vuol dire parlare solo di loro. Da sempre sono solo loro ad essere oggetto di studio. Se ne parla però solo come vittime, sopratutto come vittime di violenza di strada, nello spazio urbano. Ma i dati dicono che le violenze, e le morti, sono altissime in famiglia; molto più basse fuori. Ma queste sono un tentativo di imporre un’ulteriore violenza alle donne: non essere libere di muoversi, di scegliere dove e come vivere.
Degli uomini poco o nulla si parla. O se ne parla non come uomini, ma come gli altri, i diversi: stranieri, preferibilmente oggi mussulmani e/o arabi, o devianti, malati, pervertiti. Poco o nulla ci si chiede perché gli uomini, in quanto uomini, sono violenti con le donne.
L’ha fatto Liberazione. Chiedendo ad uomini: perché? Perché, dopo la lunga e straordinaria rivoluzione compiuta dalle donne i vostri simili continuano ad uccidere le donne? Pensate che questo vi riguardi? Gli uomini che hanno risposto, lo hanno fatto spostando la domanda fuori di loro: hanno parlato in modo accorato, scandalizzato, anche intelligente, di sociologia, di culture, di misure penali e securitarie. Solo alcuni hanno parlato di identità sessuata. Ma finché gli uomini come genere, a partire dai nostri compagni di vita e di tante scelte politiche, non capiscono che da qui bisogna partire, dalla sessualità ed identità maschile, sarà difficile costruire un mondo dove le donne non muoiono più, non sono più picchiate, violentate, offese. Da uomini che non vogliono, non sanno né cambiare se stessi né vivere relazioni di differenza.
Per Franco Giordano la violenza esplode come reazione alla mutata soggettività femminile. Oggi più di ieri le donne si sottraggono alla funzione di rassicurazione e conferma dell’identità maschile. Da qui un diffuso senso di inquietudine e disorientamento. Un amplificarsi dei limiti che la spinta ad incarnare l’identità maschile produce negli uomini. Non potersi più rispecchiare nello sguardo femminile, per cercarvi conferma, appare come un torto, fa vacillare quello che appare un “diritto naturale” alla solidarietà dell’altro sesso. E l’aggressività si attiva come tentativo, disperato e disperante, di ristabilire un ordine di senso e di rapporti, di tipo gerarchico. Il bisogno di appropriazione e di controllo del corpo delle donne ne è l’espressione più forte, e sbocca spesso, troppo spesso, in violenza fisica. Ma la tendenza a ristabilire “di forza”, più e oltre che di diritto, un ordine che confermi e legittimi il bisogno maschile di rassicurazione, si esprime anche nella politica, nella cultura, nelle norme. Quanto più gli uomini continuano a non interrogare la propria identità sessuata, tanto più contribuiscono, colpevolmente, alla diffusione delle violenze contro le donne.
E la domanda «Maschi, perché picchiate, violentate, uccidete le donne?», non troverà risposte pertinenti. Anzi continuerà ad essere elusa. Si continuerà a parlare di altro.
Come si può spiegare infatti quello che accade senza capire cosa è cambiato nei rapporti tra i sessi?
Come si possono capire i nessi tra la violenza che colpisce le donne e le contraddizioni più forti del nostro tempo, se non mettendo al centro delle contraddizioni, dei conflitti, delle letture del presente i rapporti tra i sessi? Se non parliamo di relazioni di differenza come cuore del cambiamento da costruire? Sono domande che chiedono un cambiamento radicale della politica. Per il quale molte donne da tempo lavorano. E’ tempo che anche gli uomini si mettano al lavoro su questo. Per questo abbiamo voluto che negli incontri sulla violenza da noi organizzati fossero loro a prendere parola, a confrontarsi tra loro e con le donne su come costruire un mondo dove le donne non siano più picchiate, violentate, uccise, in quanto donne. Noi abbiamo contrastato in noi stesse complicità e paura. Ma non c’è modo di vincere sulla violenza senza che vi sia su questa parola e questo gesto maschile. Per questo sono importanti l’appello di uomini, e le iniziative che attorno ad esso si sono create, a cominciare dal seminario nazionale tenutosi a Roma il 14 ottobre.
Il rogo è divampato nella notte, nell’ala femminile di un centro per la disintossicazione dalle droghe. L’origine forse è dolosa
Mosca, incendio in ospedale 45 vittime, tutte donne
Ad appiccare il fuoco probabilmente una paziente, forse in crisi d’astinenza *
MOSCA - Tragedia nella capitale russa. E’ di almeno 45 morti e dieci feriti il bilancio dell’incendio divampato la notte scorsa nell’ala femminile dell’ospedale Numero 17 per la disintossicazione dalle droghe, situato nella parte sud-occidentale della città: lo ha reso noto il vice ministro russo per la Protezione civile, Aleksander Chupriyan. L’esponente del governo ha rivelato anche che tutte le vittime sono donne, comprese due dipendenti della struttura. Le pazienti uccise dalle fiamme erano sottoposte a terapia per dipendenza da alcol o da stupefacenti.
Il rogo - scoppiato all’1,40 ora di Mosca, le 23,40 in Italia - sarebbe stato doloso. Ad appiccare il fuoco, infatti, secondo l’ipotesi al momento più accreditata, è stata una paziente in cerca di vendetta. La tossicodipendente potrebbe aver appiccato il fuoco con liquido infiammabile nella mensa del secondo piano, dove c’è il reparto femminile, dopo che i medici si erano rifiutati di darle la droga che chiedeva, forse in crisi di astinenza.
"Investigatori ed esperti stano esaminando il focolaio dell’incendio e interrogando testimoni per verificare ogni possibile ipotesi, inclusa questa", ha detto una fonte citata dall’agenzia Interfax. La presunta piromane sarebbe probabilmente morta nel rogo insieme alle altre vittime.
Più di venti i mezzi dei vigili del fuoco inviati sul posto. Le fiamme non erano violente e non hanno aggredito altri livelli della palazzina. E’ stato il fumo a creare problemi di intossicazione alle persone che si trovavano all’interno.
Ed è polemica anche sui soccorsi. Chupriyan ha accusato il personale ospedaliero di negligenza e inefficienza, sostenendo che non sono state seguite le prescritte procedure per evacuare le ospiti; medici, infermieri e altri addetti avrebbero invece badato a mettere in salvo se stessi.
Stando però ai soccorritori, le vie di fuga sarebbero state bloccate da griglie metalliche, che hanno trasformato il braccio in fiamme in una micidiale, gigantesca trappola. Lo stesso vice ministro ha ammesso che "c’era solo un’uscita antiincendio agibile". Viktor Klimkin, responsabile della sicurezza a Mosca, ha denunciato che nel centro - costruito tra gli anni Cinquanta e Sessanta - non vengono rispettate le principali norme, e ne ha chiesto la chiusura.
Quella di stanotte è una delle più gravi tragedie provocate da un incendio a Mosca. Nel 1977 un rogo all’hotel Rossia, nel centro della città, provocò 42 morti e 50 feriti.
*(la Repubblica,9 dicembre 2006)