Con "RT", su RaiTre, è di nuovo sul piccolo schermo dopo 5 anni di assenza. "Dall’ultima volta sono accadute molte cose, per fortuna qualcuna è anche finita"
Biagi, il vecchio cronista torna in tv
"C’è sempre qualcosa a cui resistere"
Una puntata dedicata alla Liberazione e alla Resistenza della gente comune. In studio, fra gli altri, Vittorio Foa, Tina Anselmi, Roberto Saviano
di ALESSANDRA VITALI *
ROMA - La vita ricomincia a 86 anni, con una puntata dal titolo, volendo, autobiografico, "Resistenza e resistenze", un saluto commosso ma ironico, "c’è stato un inconveniente tecnico, l’intervallo è durato cinque anni". Sembra ieri, anche lo studio è piccolo e bianco come quello di Il fatto, la sua ultima volta in tv. Enzo Biagi riparte così con RT - Rotocalco televisivo (stesso titolo del suo primo programma, nel 1962), debutto domenicale e poi otto puntate il lunedì alle 23.15.
Viene in mente Roberto Benigni, ora a Roma con il suo TuttoDante, quando dice "in Italia sono passati gli unni, i tedeschi, poi cinque anni di Berlusconi: era la prova più difficile ma ce l’abbiamo fatta, vuol dire che siamo indistruttibili". E Biagi, all’inizio: "Dall’ultima volta che ci siamo visti sono accadute molte cose. Per fortuna, qualcuna è anche finita".
La Festa della Liberazione e le resistenze esemplari della gente comune, "perché la Resistenza non è mai finita, anche oggi c’è sempre da resistere a qualcosa": questo il tema scelto dal giornalista per il suo rientro televisivo, con un occhio agli ascolti ("spero che la gente lo guardi" dice a Fabio Fazio, nell’intervento a Che tempo che fa) e l’animo del cronista, "mi preoccupo di cercare di dire una verità in più di quelle che si dicono, e questo esaurisce la mia parte".
Nella prima puntata ci sono i "padri della patria" Vittorio Foa e Tina Anselmi, l’ex magistrato Gherardo Colombo e monsignor Giancarlo Bregantini vescovo di Locri, con la fatica di resistere alla ’ndrangheta, lo scrittore Roberto Saviano a parlare del suo Gomorra e delle oltre 700 mila copie vendute, di Sud, giovani, camorra.
Ci sono le storie: gli operai di Bollate che sono riusciti a rilevare la loro fabbrica dismessa, i "nuovi poveri" che occupano le case a Roma. E un lungo omaggio ai giornalisti morti al fronte, che fosse guerra o terrorismo: Cutuli e Fava, Alpi e Impastato, Casalegno e Baldoni, Alfano e Ciriello. C’è Paolo Rossi, "il signor Rossi" alle prese con i conflitti di un condominio-Paese, dietro i quali si intravedono Aldo Moro e Piazza Fontana, Ustica, Bologna, Calvi e Sindona.
Un rientro salutato con grande favore da più parti. L’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, parla di "un giorno di festa per il giornalismo libero" e accoglie Biagi con un "bentornato, maestro". Un auspicio dalla Federazione nazionale della stampa italiana: il rientro del giornalista deve rappresentare "il ripristino della normalità di un sistema dell’informazione radiotv, non solo pubblica, che tuteli i principi del pluralismo", "il potere politico, tutto, impari a rispettare sempre la libertà d’espressione".
* la Repubblica, 22 aprile 2007
Perché è viva la Resistenza
di Enzo Collotti (il manifesto, 25.04.2007)
Che cosa resta del 25 aprile? Domandarselo è più che legittimo, nel frastuono e nella confusione della vita politica italiana in cui la fretta dei politici di cambiare pelle concede poco spazio alla riflessione sulle modalità dei cambiamenti e sul loro rapporto con le costanti della nostra storia che sono le linee guida dalle quali non si può derogare senza smentire le origini stesse della Repubblica.
E’ chiaro che a oltre sessant’anni da quel 25 aprile del 1945 non è riproducibile l’intensità con la quale la mia generazione ha vissuto il giorno della liberazione, dopo la lunga attesa dei giorni dell’occupazione nazista e dell’oppressione della Repubblica sociale nutrita non solo dalla Resistenza ma anche dalle aspettative per il futuro. Il ricambio delle generazioni comporta anche una diversa sensibilità nello sguardo con il quale si percepiscono i fatti storici costitutivi del nostro patto civile di collettività e non possiamo impedire che le nuove generazioni rivivessero con la distanza di oltre mezzo secolo, e quindi con un distacco non solo temporale, i momenti fondativi della Repubblica democratica.
E’ altrettanto inevitabile che oggi, salvo rarissime eccezioni, il personale politico proveniente per esperienza diretta dalla Resistenza sia di fatto scomparso dalla scena pubblica, mentre anche la maggior parte degli indicatori ci significano (a cominciare dalla scuola), che la stessa memoria familiare appartiene ormai a un passato irrevocabilmente superato. Mai come in un frangente di questa natura si deve avere coscienza che la sopravvivenza di quelli che chiamiamo i valori della Resistenza è affidata alla persistenza e alla continuità della memoria, che non è un prodotto spontaneo della somma delle memorie individuali ma un processo collettivo, sollecitato da una pluralità di soggetti, istituzionali e non.
Nel primo cinquantennio repubblicano i partiti politici - nati dall’esperienza dei comitati di liberazione - furono tra i soggetti collettivi naturali strumenti di trasmissione di quella tradizione, insieme a una pluralità di enti della vita associativa che concorrevano a compenetrare la società di quei valori e ideali. La lacerazione di quel tessuto politico e associativo, in questa infinita transizione italiana, ha disperso un patrimonio politico-culturale che fa fatica a ricostituirsi e identificare le sedi stesse del suo insediamento sociale. I partiti politici anche nelle nuove configurazioni, la scuola, l’associazionismo rimangono le sedi privilegiate per custodire e alimentare questa memoria, in una prospettiva ormai di lunga durata ma anche come risvolto di una prassi operativa, nella misura in cui sono valori della Resistenza i vincoli pratici e le regole che devono governare la nostra convivenza e ispirano la nostra direzione di marcia. Soltanto se continuiamo a essere consapevoli di quanto è stata aspra la lotta per sottrarci alla dittatura fascista e nazista, per restituirci le libertà democratiche e consentirci l’elaborazione della Costituzione, restituiremo alla Resistenza il significato di un evento storicamente motivato nel suo naturale contesto temporale e epocale e ridaremo ai valori della Resistenza con la loro materiale evidenza il senso della loro attualità e della loro permanente necessità.
Il 25 aprile rimane un fatto fortemente simbolico, uno di quei punti fermi dei quali ogni collettività ha bisogno come punto di riferimento, ma non è principalmente sui miti e sui riti che si deve alimentare la memoria della Resistenza. Essa sarà viva se gli indirizzi politici saranno improntati a quei valori essenziali per i quali in Italia e in Europa migliaia di uomini e donne hanno sacrificato la loro esistenza per rivendicare la propria autonoma responsabilità e il diritto di partecipazione, il rispetto della dignità dell’uomo, l’aspirazione alla giustizia sociale e all’eguaglianza, l’utopia di una Europa pacifica e pacifista. Una tavola di valori che si trova scritta nelle Lettere dei condannati a morte della Resistenza, italiana e europea, il libro che vorremmo fosse letto dalle generazioni più giovani.
La resistenza delle ACLI di Cernusco *
di Mario Pancera
Ci ricorda il 25 aprile. Leggete questa lettera: denunciava i disastri del berlusconismo sul piano umano e sociale. I lavoratori cristiani contano su uomini politici diversi
La lettera che segue è stata spedita agli iscritti e agli amici dopo le elezioni politiche del 2006 dal circolo ACLI di Cernusco sul Naviglio, comune di 20 mila abitanti alle porte di Milano. È un circolo molto attivo, in un paese che, dopo la seconda guerra mondiale, è diventato, come tanti altri in Lombardia, una cittadina industriale, e oggi ha pure una forte presenza multietnica. È passato un anno, ma la lettera è da meditare: ci sono denunce e speranze di lavoratori cattolici. Le denunce riguardano le violazioni del centrodestra, le speranze riguardano il futuro vagheggiato durante quella che è addirittura chiamata «seconda resistenza».
«Il risultato elettorale del 9-10 aprile - scrivevano le ACLI - ribalta di un soffio la situazione politica precedente e, se i dati diventeranno definitivi, si chiuderà un’epoca tra le più difficili della nostra storia repubblicana.
«Siamo come usciti da una specie di "seconda resistenza": i sindacati snobbati, la scuola ridotta e senza fondi, la revisione della Resistenza, il mondo del lavoro costretto ad una precarietà senza precedenti, l’approvazione di leggi non sempre a tutela di tutti i cittadini, i mezzi di comunicazione, la Magistratura. Il risultato è stato quello di ritrovarci in un’Italia più povera di soldi, di valori e di cultura, costringendo i nostri emigranti all’estero a difendersi di essere italiani. Il voto degli italiani all’estero ha contribuito a ottenere la maggioranza anche al Senato della Repubblica. Il Presidente delle ACLI della Svizzera, Franco Narducci, è stato eletto al Parlamento.
«Ora tocca a noi trasformare l’Italia in un "Paese normale" e lavorare per il "bene comune": acquisire il senso dello Stato che va preso in considerazione e difeso "pagando le tasse ognuno secondo i propri redditi" (Einaudi); tocca a noi lavoratori ed ex lavoratori difendere il lavoro dei giovani e il loro futuro; tocca a noi cittadini collaborare per la gestione più partecipata delle nostre città; tocca a noi, singole persone o famiglie, creare ambienti sereni senza farci travolgere dal consumismo, dai valori "televisivi", dai telefonini; tocca a noi laici fare in modo che le comunità cristiane "siano ciò che l’anima è per il corpo" (lettera a Diogneto).
«La Pasqua 2006 sia ancora una volta vissuta da noi come "un passaggio", una vita rinnovata, una Buona Pasqua.»
Che cosa aggiungere? Dovevamo «chiudere un’epoca tra le più difficili della storia repubblicana», dicono. L’Italia si è rinnovata? La delusione è diffusa, soprattutto tra i cattolici che operano nel sociale. Ora che la resistenza al fascismo, ricordata il 25 aprile di ogni anno, sembra diventata un mito, una festa in cui si gode, giustamente, per la recuperata libertà, ma in cui si dimenticano lutti e dolori della dittatura, questa lettera scritta con fedeltà ai valori cristiani da un piccolo gruppo di lavoratori, ci mette di fronte alla dura realtà. È un memento, un alto richiamo morale. Chiede a milioni di italiani di mantenere la schiena diritta.
Mario Pancera
* IL DIALOGO, Sabato, 21 aprile 2007
L’Italia incompatibile
di Furio Colombo *
Giorni come il 25 aprile tracciano linee di confine, demarcazioni nette fra un prima e un dopo, fra un destino e un altro destino, un’Italia e un’altra Italia. Non resta che sperare che niente di questa data diventi cerimonia e abitudine e che ci sia sempre chi la spiega nelle scuole ai più giovani con pazienza e chiarezza.
Non c’è niente in questa frase che condanni irreversibilmente qualcuno, vita, scelte, idee, sentimenti, o che stabilisca (troppo tardi, comunque) una lista di reietti. Niente che non rispetti i morti. Quanto ai vivi, gli esseri umani cambiano in meglio o in peggio e si trasformano tutto il tempo come la natura, il paesaggio, la storia. Dipende dal momento in cui si scatta la fotografia il rapporto col tempo, passato e futuro.
Ma date come il 25 aprile non spostano di un millimetro il senso di ciò che è avvenuto e che ha salvato tutti, persecutori e perseguitati, anzi ha salvato - con il suo impetuoso sbocco nella libertà - sopratutto i persecutori che sarebbero stati costretti a continuare nella loro triste missione, ondata di morti dopo ondata di morti.
Per questo chiunque, la sera del 22 aprile, si sia incontrato con il programma «RT, Rotocalco televisivo, Speciale Resistenza e resistenze», di Enzo Biagi, su Raitre, ha un debito in più verso il vecchio maestro che non rinuncia. E dopo cinque anni di esilio riprende con gli italiani, tra montagne di spazzatura e di vergogna, il discorso di libertà esattamente dal punto in cui lo avevano forzato a interrompere.
Come ricorderete Enzo Biagi è il primo, nella lista di alcuni protagonisti della televisione italiana (tra cui Michele Santoro, Daniele Luttazzi) licenziati personalmente con un potere che non aveva - ma che alla Rai, tramite personale subalterno, è diventato immediatamente esecutivo - dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Molti di noi hanno frequentemente citato con scandalo la motivazione di quel licenziamento: «attività criminosa». Con queste parole Silvio Berlusconi che - ci viene detto - non è nemico ma solo avversario, intendeva descrivere ogni attività di opposizione. E a molti di noi è sembrato naturale definire “regime” la situazione politica in cui un governante vuole e può mettere a tacere chi non lo esalta.
Ora, cambiato il tempo, il governo - e, un pochino anche il Paese e la Rai - Enzo Biagi ritorna. E con la sua trasmissione dedicata alla Resistenza, nel senso originale del 25 Aprile e nel senso perenne del non piegarsi solo perché qualcuno è più ricco e potente e ti può anche mettere al bando, racconta con la sua implacabile pacatezza che esiste una Italia incompatibile con l’Italia libera e democratica evocata da quel giorno e descritta nei dettagli dalla Costituzione. E che non è questione di sentimenti (inimicizia o gentile confronto) ma di nessun punto di corrispondenza fra un’Italia e l’altra. Dice che non bastano né le lacune della memoria né la potenza dei media (tuttora in prevalenza orientati a non offendere un grande editore che può comprare tutto, e può comprare molti) a oscurare l’incompatibilità di un’Italia con l’altra.
Credo che possa essere utile confrontare il sommario della trasmissione con cui Biagi torna in Tv con l’articolo di fondo de Il Giornale (autore Massimo Teodori) dello stesso giorno. Quell’articolo celebra la buona accoglienza riservata a Berlusconi nei due congressi fondanti del nascente PD, ma poi elenca le tappe, che per l’autore sono esecrabili, della “delegittimazione di Berlusconi”. L’Italia di Biagi si apre con Roberto Saviano e la piovra della camorra con cui non si può convivere, si chiude con Tina Anselmi, mai dimenticata investigatrice della P2, passa attraverso la Resistenza come guerra partigiana e lotta al fascismo.
Ci fa riascoltare la voce limpida di Primo Levi che descrive con la famosa chiarezza come si distrugge un essere umano. Ascolta Vittorio Foa da giovane: si poteva non resistere?
E colloca al centro il magistrato Gherardo Colombo, verso cui molti italiani si considerano debitori (come verso tutto il Pool di Mani pulite) per la coraggiosa, tenace, difficilissima difesa della reputazione dell’Italia, mentre stava per essere ricoperta da un blob di corruzione tra i più vasti e più estesi al mondo.
Dunque, lo stesso giorno in cui è andata in onda la trasmissione-manifesto di Enzo Biagi, Massimo Teodori ha scritto: «La storia (della delegittimazione e demonizzazione del “nemico” politico, Ndr) cominciò dal colle più alto con Oscar Luigi Scalfaro che distorse i poteri presidenziali contro il premier». Come è noto «li distorse» per impedire che il plurinquisito Previti, ora condannato in via definitiva, diventasse ministro della Giustizia, evitando dunque un grave insulto alla Repubblica e all’immagine dell’Italia nel mondo. L’articolo di Teodori continua: «La storia proseguì con l’accanimento giudiziario in sintonia con l’ala giustizialista dei post-comunisti». Si capisce l’intento.
“Accanimento giudiziario” deve diventare il titolo di un capitolo della storia italiana, quello dei processi a Silvio Berlusconi. L’autore evidentemente conta sul fatto che a poco a poco smetteremo di insistere nel raccontare ciò che è avvenuto davvero e finiremo per dire che, sì, quelle gravissime imputazioni non erano che vaneggiamenti di giudici comunisti. L’affermazione viene dalla casa che non ha esitato a dire e a ripetere che «bisogna essere mentalmente tarati per fare i giudici».
Ma l’autore del fondo de Il Giornale implacabile continua:
«Infine i girotondi espressero, ai limiti del grottesco, quell’animus giacobino tanto gradito ai piani alti della politica illiberale e della gauche caviar, la cui nobile aspirazione era vedere in manette il parvenu della politica».
Poiché i girotondi sono mobilitazione spontanea, diventa interessante l’evocazione dei «piani alti della politica illiberale» che vuol dire: è illiberale chi invoca «la legge uguale per tutti» e denuncia le leggi ad personam che la rendono «legge di uno solo». La frase è affetta da palese assurdità fattuale, logica e storica. Ma Teodori ha un punto di forza su cui poggiare la sua costruzione orwelliana del “ministero della verità”. Dice infatti in conclusione: «Se il Partito Democratico servirà a tenere a freno le pulsioni antidemocratiche tanto radicate nei politici di sinistra (ovvero l’ostinazione a ripetere : “la legge è uguale per tutti”, Ndr) sarà un passo avanti per l’Italia civile e liberale». Sembra chiaro che qui si sta accennando all’Italia di Previti, Dell’Utri, Cuffaro, dei beneficiari di condono continuo, degli evasori lodati perché «a un certo punto diventa legittimo frodare il fisco», degli scrupolosi autori dei falsi in bilancio, di personaggi come il sindaco An di Trieste che ha sempre rifiutato di recarsi alla risiera di San Sabba dove fascisti e nazisti massacravano gli ebrei.
Del resto il capo di tutta questa gente mai si è fatto trovare - lui che è dappertutto - ad una celebrazione del 25 aprile durante i cinque anni del suo celebrato governo costellato di canzoni e di allegre passeggiate a Villa Certosa. L’Italia di Tina Anselmi, di Oscar Luigi Scalfaro, di Gherardo Colombo, dei girotondi ne ha fatto a meno.
Come si vede la questione - che è giusto ripetere nel giorno della Resistenza incoraggiati dal libero ritorno in video di Enzo Biagi - non è di buona educazione (anche se è bene mostrare buona educazione quando Silvio Berlusconi si presenta al congresso di un partito che ha appena finito di considerare autore di «delitti, morte e miseria»). È una questione di incompatibilità. L’Italia della Liberazione e della Costituzione è incompatibile con l’Italia della illegalità che ha cercato, senza successo, di cancellare il 25 aprile e metà della Costituzione italiana nata dal 25 aprile. La scelta fra queste due Italie è una decisione drammatica che tocca agli elettori. A noi spetta il compito di rendere chiara l’alternativa.
* l’Unità, Pubblicato il: 25.04.07, Modificato il: 25.04.07 alle ore 8.40
Cancellato il film di Moretti su Berlusconi: è polemica. Scontro fra Cossiga e Rai su Funari.
La pay tv: "Nessuna pressione esterna, decisione autonoma della rete"
Par condicio, via "Il caimano"
autocensura preventiva di Sky
di ERNESTO ASSANTE e ALDO FONTANAROSA *
Un momento del film "Il caimano" di Nanni Moretti ROMA - Da settimane gli spot di Sky davano appuntamento al 25 aprile per la prima televisiva del "Caimano" di Nanni Moretti. Il film che il regista ha dedicato a Silvio Berlusconi era in programmazione sul canale "Cinema Mania", ore 21. Ma chi ieri sera si è messo davanti al televisore è rimasto deluso e forse a bocca aperta. Invece del film di Moretti, Sky ha mandato il francese "Il gusto degli altri" mentre scorreva la seguente scritta: "A causa dell’applicazione delle norme sulla par condicio, il film previsto non può essere trasmesso durante la campagna elettorale in corso". Niente "Caimano", dunque, alla vigilia del voto amministrativo che si svolgerà in alcuni Comuni e alcune Province tra la Sicilia (il 13 e 14 maggio), la Valle d’Aosta (il 20 maggio) e un pugno di altre regioni (il 27 e 28 maggio).
Rintracciato (ironia della sorte) mentre sta entrando in un cinema, un portavoce di Sky si giustifica: "La decisione è stata presa nelle ultime ore senza alcuna pressione esterna". Insomma: né Forza Italia né altri partiti del centrodestra avrebbero bussato alla porta della pay-tv di proprietà di Rupert Murdoch per sollecitare il blocco del film. Continua il portavoce: "Ci siamo mossi in questo senso per evitare di incorrere nelle pesanti sanzioni come multe o oscuramenti previste dalle norme sulla par condicio. Pur rimanendo da parte nostra dubbi sull’applicabilità della legge per il film in questione".
Chi proprio non ha dubbi sul caso è Nicola D’Angelo, uno degli otto commissari che lavorano all’Autorità per le Comunicazioni, che è poi la sentinella della par condicio durante la campagna elettorale (iniziata il 12 aprile). D’Angelo nega che l’Autorità abbia dato alcuna indicazione sul film di Moretti. Quindi contesta la scelta di Sky: "Mi sembra una cosa che non sta né in cielo né in terra e neanche sul satellite". Per un caso del destino anche Vincenzo Vita era davanti a Sky per vedere, anzi per rivedere "Il Caimano", ieri sera: "Sono quasi incredulo", dice l’ex sottosegretario diessino padre della par condicio, "siamo di fronte a un’interpretazione strumentale delle regole".
Nervi tesi anche a Viale Mazzini. Francesco Cossiga attacca la Rai e si dichiara lui pure vittima della par condicio, o meglio di una sua errata interpretazione. Con un comunicato, l’ex capo dello Stato annuncia che non andrà ad Apocalypse show, nuova trasmissione di Funari, da sabato su RaiUno, dove era stato invitato. Sulla sua partecipazione, sarebbe caduta "la scure del direttore delle Rete, un ometto di cui non mi ricordo il nome, e del pavido Cappone", che è poi il direttore generale della Rai. Aggiunge Cossiga: "A dire il vero, debbono pur bene cercare di salvarsi il c... anche loro, con i tempi che corrono".
La televisione di Stato è "sorpresa" dalle parole dell’ex presidente. E’ vero: le regole sulla par condicio impedivano la sua presenza in un programma di intrattenimento. Proprio il direttore generale Cappon, però, si è mosso perché Cossiga potesse godere di una "speciale deroga". In sostanza Cappon ha telefonato a Landolfi, deputato di An e presidente della commissione parlamentare che vigilia sulla Rai. E Landolfi ha concesso il "lasciapassare" televisivo a Cossiga. Ma l’ex capo dello Stato e senatore a vita non torna sui suoi passi: "Ho la mia dignità e me ne f... di Cappon (o Cappone?), di Petruccioli, di Del Noce" e anche di un "ignoto", aggiunge, che pure avrebbe avuto ruolo nella storia.
* la Repubblica, 26 aprile 2007
ANSA » 2007-04-28 17:09
DANIELE LUTTAZZI TORNA IN TV, OSPITE DI BIAGI
ROMA - Daniele Luttazzi torna in tv, intervistato da Enzo Biagi nella puntata di lunedì di RT Rotocalco Televisivo, la trasmissione in onda alle 23,15 su Raitre. Assente da cinque anni, dopo il celebre editto bulgaro dell’allora premier Silvio Berlusconi, Luttazzi è l’ultimo ’epurato’ a riaffacciarsi in tv dopo il rientro di Michele Santoro e appunto Enzo Biagi.