Aperti e isolati Secondo il sociologo Shmuel Eisenstadt la storia giapponese alterna una enorme ricettività verso le culture straniere con lunghi periodi di chiusura. Vecchio e nuovo. Nel mondo nipponico ogni contenuto viene sottoposto a un processo di decostruzione che gli consente di affiancarsi senza conflitti al preesistente
di Mario Perniola*
Sebbene la civiltà giapponese sia spesso considerata come una cultura in cui non c’è quasi nulla di originario e di puro, appare azzardato interpretarne i caratteri fondamentali alla luce di una categoria oggi frequentemente utilizzata, quella di ibridazione, il cui uso in senso proprio designa gli incroci tra specie differenti di organismi vegetali o animali. Hybrida in latino si dice infatti di persona che proviene da due razze differenti, e anche se l’etimologia che la collega con la parola greca ubris (violenza) è arbitraria, è presente in questa parola un riferimento allo stupro, alle invasioni e alle loro conseguenze biologiche.
Una incredibile continuità
Ora, nonostante nella popolazione giapponese siano individuabili tre gruppi con caratteristiche fisiche distinte, in epoca storica la popolazione giapponese risulta come appartenente a un unico gruppo etnico, eccezion fatta per gli Ainu, che costituiscono una minoranza piccolissima. A differenza della civiltà occidentale, nella quale le invasioni barbariche hanno costituito una profonda frattura storica (secondo Burckhardt l’unica vera grande crisi storica dell’Occidente), la civiltà giapponese non ha sofferto alcuna invasione e si è sviluppata in modo autonomo senza interruzione; essa costituisce perciò un caso raro nella storia dell’umanità. Il segno di questa incredibile continuità è l’esistenza attraverso tutta la storia del Giappone di una sola dinastia imperiale: l’attuale era Heisei è iniziata nel 1989 con l’ascesa al trono del 126° imperatore. Mutatis mutandis, è come se in Occidente esistesse ancora l’impero romano! E tuttavia il Giappone ha conosciuto in quindici secoli continue trasformazioni: proprio questa anomalia è un aspetto del cosiddetto «enigma giapponese», così come lo ha definito Karel von Wolferen.
D’altra parte anche un altro termine oggi spesso ricorrente, crossing, appare inadeguato per parlare del Giappone. E non solo perché la croce è il simbolo dell’Occidente, il punto d’incontro delle sue quattro tradizioni fondamentali: la greca, la romana, l’ebraica e la germanica. Più essenzialmente la croce è il simbolo assiale per eccellenza, il luogo in cui si incrociano trascendenza e immanenza. Ma la cultura giapponese è - come è stato osservato da tanti studiosi - priva di trascendenza: da un punto di vista filosofico la visione del mondo giapponese non riconosce entità o valori che trascendano le cose di tutti i giorni e sotto questo aspetto contrasta parzialmente con la mentalità cinese e radicalmente con quella indiana e occidentale.
La differenza giapponese risulta grandemente se confrontiamo la situazione del Giappone con la filosofia della civiltà elaborata da Karl Jaspers. A suo avviso, esisterebbe nella storia dell’umanità un cambiamento radicale che si manifesta intorno al 500 a.C. con il crollo delle antiche civiltà millenarie essenzialmente statiche, con la messa in dubbio della tradizione e con l’emergere di una nuova mentalità caratterizzata dall’opposizione tra immanenza e trascendenza. Tale cambiamento si manifesta in Grecia con la critica del mito e la nascita della tragedia e della filosofia, in Palestina col profetismo ebraico, in India con la predicazione di Budda e in Cina con l’insegnamento di Confucio e di Lao-tse. In opposizione a Hegel, che considerava la nascita di Cristo come l’evento capitale della storia umana e restava perciò prigioniero di una prospettiva eurocentrica, Jaspers si propone di introdurre nella filosofia della storia una prospettiva universale che attribuisca alle civiltà asiatiche una importanza pari a quella greca.
L’aspetto essenziale di questa svolta è l’esperienza del conflitto: secondo Jaspers, il contenuto della libertà si manifesta nella percezione di polarità e di antitesi. Di fronte a ogni posizione si sviluppa una posizione contraria: la libertà si manifesta nella possibilità di scegliere tra due opzioni che sono sentite come incompatibili. La libertà è perduta dove viene meno la coscienza della loro inconciliabilità. L’esperienza dell’assialità è dunque connessa con la coscienza di un aut-aut, di una alternativa e con la necessità di scegliere in modo irrevocabile. Non si può più essere tutto, la libertà implica l’unilateralità della decisione: è libero solo chi può decidere. La svolta assiale, da cui secondo Jaspers nasce la civiltà, attribuisce alla irreversibilità delle scelte e alla coerenza un ruolo essenziale; è ovvio che nella sua prospettiva tutto ciò che sottraendosi alla scelta resta mescolato e ibrido, non appartiene davvero alla storia, vale a dire non ha un significato ed un valore universale. La svolta epocale avvenuta quasi contemporaneamente nel V secolo a.C. ha successivamente perduto la sua radicalità: il momento assiale è degenerato spesso in anarchia, oppure si è irrigidito in costruzioni dogmatiche (come è avvenuto nell’impero romano e in quello cinese); tuttavia fino ad oggi - secondo Jaspers - non esiste un’altra strada e coloro che sono stati estranei alla svolta assiale (come i germani e gli slavi in Occidente, i giapponesi, i malesi e i siamesi in Oriente) hanno dovuto prima o poi adeguarsi ad essa.
Ricettivi all’esterno
Questa vigorosa concezione della storia costituisce il punto di partenza di Japanese Civilization (University of Chiacgo Press, 1996), lo studio che il sociologo Shmuel Noah Eisenstadt ha dedicato alla civiltà giapponese, la quale è stata ed è tuttora una società non assiale, nonostante l’influenza esercitata dai modelli occidentali in seguito il rinnovamento Meiji del 1868 e l’occupazione americana del 1945-52. L’assunzione di modelli stranieri in Giappone non è una novità, ma risale alle origini stesse della storia di questo paese: infatti a partire dal 552 d.C. la corte di Yamato adottò dalla Cina non solo il buddhismo, ma perfino la scrittura, le tecniche, le arti e molti stili di vita.
Fin da allora il tratto distintivo dell’esperienza storica giapponese consisterebbe dunque in una straordinaria ricettività nei confronti delle culture straniere, alternata a lunghi periodi di chiusura nei confronti dell’esterno. Pur facendo proprie concezioni del mondo assiali come il buddhismo, il confucianesimo e la filosofia occidentale (liberale, socialista o nazionalista), il Giappone avrebbe operato una deassializzazione di queste religioni e ideologie, privandole completamente delle loro pretese trascendenti e incanalandole in una direzione immanentistica e particolaristica in accordo con l’unico elemento autenticamente giapponese, lo Shinto.
In ciascun ambito pubblico e privato (politico, economico, familiare o connesso alla creatività culturale, di natura individuale o collettiva) i giapponesi avrebbero proceduto a una decostruzione della civiltà assiale, attraverso strutture sociali di interdipendenza fondate non sulla coercizione autoritaria, ma su obbligazioni reciproche (giri) e su sentimenti più di natura estetica che morale. Questa mentalità spiegherebbe il fatto che in Giappone non ci siano state guerre di religione, né rivoluzioni sociali: le influenze provenienti dall’esterno sarebbero incorporate in un contesto che sottolinea l’importanza delle situazioni empiriche a discapito dei principi universalmente validi.
Ciò spiegherebbe anche la scarsa importanza degli intellettuali portatori di ideologie, i quali in Giappone non sono mai riusciti a mobilitare vasti settori di pubblico. In altre parole, la dimensione assiale sarebbe sottoposta ininterrottamente in Giappone a una riformulazione immanente e particolaristica, che le toglie ogni pretesa di assolutezza e di esclusività. Una vasta letteratura giapponese e straniera, nota sotto il nome di Nihonjinron, ha sottolineato il carattere unico della civiltà giapponese: questo orientamento, che si è manifestato nella filosofia (Watsuji Tetsuro), nella psicoanalisi (Doi Takeo), nell’antropologia (Ruth Benedict), negli studi culturali (Augustin Berque), nella sociologia (Robert Bellah), nella linguistica (Suzuki Takao), focalizza la propria attenzione sull’eccezionalità del caso giapponese rispetto al resto del mondo. Il Nihonjinron è tuttavia stato oggetto di una critica serrata (fra l’altro da Peter N. Dale in The Myth of Japanese Uniqueness, Palgrave Macmillan 1986) che ne ha messo in evidenza l’arbitrarietà. Non di rado l’esaltazione enfatica della giapponesità si fonda sulla trasposizione in Giappone di un mito occidentale: quello della comunità etnica (Gemeinschaft) opposta alla società borghese (Gesellschaft), secondo l’antitesi formulata nel modo più chiaro già alla fine dell’Ottocento da Ferdinand Tönnies.
In Giappone la rivolta contro l’occidente ha ampiamente attinto a questa ideologia, conducendo al fanatismo nazionalistico del kokutai. Non a torto perciò è stato osservato che molto spesso la lotta contro l’occidente ha le proprie radici nel pensiero tradizionalista europeo e nella sua ostilità nei confronti della civiltà urbana, del razionalismo, del benessere e dello straniero. L’idea che Eisenstadt ha del Giappone esula tuttavia dagli schemi del Nihonjinron, e non costituisce una forma di occidentalismo (cioè un tradizionalismo di origine occidentale giocato contro l’occidente). Secondo Eisenstadt la globalizzazione implica che tutte le società del mondo sono o saranno presto moderne: i termini del conflitto perciò non sono più individuabili nella polarità tra modernità e tradizione, bensì tra differenti tipi di modernità. Questi nuovi conflitti non sono solo economici o politici, ma coinvolgono diverse concezioni della modernità. Anche considerando il problema solo dal punto di vista economico, le modernità si distinguono tra loro a seconda della diversa regolazione di quattro elementi fondamentali: mercato, regulation, intervento, welfare. Dal punto di vista politico, i fondamentalismi sono considerati da Eisenstadt come sviluppi paradossali del giacobinismo; essi perciò non costituiscono affatto un ritorno all’ancien régime, ma sono la trasposizione in chiave moderna di alcune utopie eterodosse nate e sviluppatesi in prossimità delle grandi religioni. Dato che la strada maestra della modernità ha subito un processo di cristallizzazione, per cui nulla di veramente importante e decisivo più accade lungo la sua traettoria, prevale la ricerca di un ordine alternativo che sia «migliore» di quello esistente, vale a dire la ricostruzione di un ordine mondano secondo una visione trascendente articolata in modo rigido.
Secondo Eisenstadt, la modernità dei movimenti fondamentalistici è chiaramente visibile nell’adozione di una disciplina di tipo partitico, nell’uso della moderna tecnologia comunicativa e delle tecniche di propaganda, nonché nella credenza della possibilità della trasformazione della società attraverso una mobilitazione politica di ampio raggio. Nei confronti di questi sviluppi della modernità, il Giappone rappresenta l’eccezione, perché esso è una cultura non assiale.
Dinamiche millenarie
Se in Occidente l’avvento del nuovo implica il rifiuto del vecchio, secondo il paradigma della Querelle des anciens et des modernes, niente di simile avviene in Giappone. Il processo attraverso il quale si è sviluppata dal 1868 ad oggi la sua modernizzazione non costituisce un fatto nuovo nella sua cultura, perché ripete una dinamica millenaria.
L’atteggiamento che la cultura giapponese ha nei confronti dell’Occidente è lo stesso che ha caratterizzato per più di mille anni i suoi rapporti con la Cina. Ci troviamo dunque di fronte a una esperienza storica per la quale le nozioni di ibridazione e di crossing sono inadeguate. Infatti non si tratta della mescolanza e dell’incrocio tra contenuti differenti ed eterogenei: qualsiasi contenuto viene sottoposto a un processo di decostruzione che lo rende adatto a essere posto accanto a qualsiasi altro senza entrarvi in conflitto, per quanto opposto e antitetico sia stato nella sua versione originaria. È perciò una pratica di giustapposizione quella che appare più consona a spiegare l’attitudine dei giapponesi nei confronti di ciò che è estraneo: una giustapposizione, va inoltre rilevato, fortemente permeata di una tonalità estetica, che risulta di gran lunga predominante sull’etica e sulla metafisica.
Molteplici modelli di tradizione e di modernità convivono in Giappone senza interferire l’uno con l’altro. Ciò che invece si rivela assolutamente refrattario a convivere con l’esistente viene prima o poi espulso dalla cultura giapponese. Così è avvenuto per il cristianesimo agli inizi del secolo XVII, per il radicalismo rivoluzionario della contestazione studentesca nel 1972 e per l’escatologia fondamentalistica della setta Aum nel 1995. In altre parole, tutto ciò che è nuovo suscita un grande interesse e trova spazio in Giappone, eccetto la mentalità assiale estrema tipica delle sette eterodosse dell’Occidente.
Restano infine aperte alcune domande: la strategia culturale della giustapposizione è una caratteristica unica e specifica del Giappone, oppure si ritrova in altre civiltà? La civiltà occidentale è così esclusivamente assiale, come pretende Jaspers, oppure sono esistite ed esistono all’interno dell’Occidente tendenze non assiali che si sono manifestate precocemente sia nella Grecia antica che nella Roma antica? Per esempio, il politeismo greco e romano hanno praticato una strategia di giustapposizione. Nel mondo moderno alcune componenti del cattolicesimo e dell’illuminismo hanno ereditato dal mondo classico la stessa attitudine. Infine nel mondo contemporaneo la giustapposizione sembra più adatta a garantire insieme l’identità delle culture e la tolleranza di quanto non faccia il melting pot.
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www.ilmanifesto.it, 26.08.2006
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"PERVERSIONI". UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO - La mente estatica e l’accoglienza astuta degli apprendisti stregoni. Una nota sul sex-appeal dell’inorganico di Mario Perniola.
Archeologia
Kofun: le tombe a forma di buco della serratura
Orientati verso l’arco del Sole nascente. I tumuli giapponesi in uno studio rivoluzionario
Ricercatori del Politecnico di Milano svelano i segreti delle antiche tombe nipponiche grazie ai telerilevamenti e ne rilevano gli orientamenti grazie alle immagini satellitari
di Vanessa Quinto (RAI News, 20 gennaio 2022)
Erano rivolte al Sole, per sottolineare l’origine divina dell’imperatore e da oggi non hanno più segreti. Un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano, Norma Baratta, Arianna Picotti e Giulio Magli ha infatti effettuato uno studio rivoluzionario sui tumuli funerari giapponesi, mai fatto prima, nel continente asiatico, a causa del gran numero di siti archeologici e del fatto che l’accesso alle grandi tombe è vietato.
Lo studio, volto ad approfondire la conoscenza del rapporto tra questi monumenti e il paesaggio, in particolare con il cielo, è stato realizzato grazie al telerilevamento di immagini satellitari e i dati ottenuti indicano un forte collegamento dei corridoi d’ingresso dei Kofun (grandi tombe a forma di buco della serrature) con l’arco di cielo dove il Sole e la Luna sono visibili ogni giorno dell’anno e mostrano un orientamento verso l’arco dove - durante il solstizio d’inverno - nasce il Sole, divinità che gli imperatori giapponesi collegavano all’origine mitica della loro dinastia, ritenuta discendente dalla Dea Sole Amaterasu.
Le isole giapponesi sono costellate da centinaia di antichi tumuli funerari. Quelli più piccoli dovrebbero appartenere a ufficiali di corte e a membri della famiglia reale, mentre i più imponenti sono attribuiti ai semileggendari primi imperatori, come il cosiddetto Daisen Kofun, tradizionalmente attribuito a Nintoku: il sedicesimo imperatore del Giappone. Il tumulo, con i suoi 486 metri di lunghezza e circa 36 di altezza, è uno dei monumenti più grandi mai costruiti sulla Terra e appartiene a un gruppo di tombe recentemente iscritte nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco.
Sui tumuli giapponesi non ci sono fonti scritte e i rari scavi sono effettuati solo a quelle più piccole, poiché le più grandi sono protette per legge, anche all’esterno: molti monumenti sono recintati e non è permesso entrare nel perimetro, per questo è impossibile ottenere una misurazione precisa di altezza e larghezza. Per questo, lo studio, pubblicato sulla rivista "scientifica “Remote Sensing” sono da considerarsi una novità assoluta.
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol Levante.
Un nota sul “disagio della civiltà”
di Federico La Sala (www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 17 novembre 2005)
Il ’delirio’ della Gerarchia della Chiesa ’cattolico’-romana è ormai galoppante!!! E se vogliamo aiutarla a guarire o, che è lo stesso, se vogliamo aiutarci a guarire (il ’delirio’ è generale, e non solo suo!!!) non possiamo non riprendere a pensare - a partire da noi stessi, e da noi stesse!!! Il problema è pensare proprio a partire da noi, dagli esseri umani in carne ed ossa - dalle persone, quale siamo e quale vogliamo essere, da quell’individuo che non sia un (o una) “Robinson”, come voleva il ’vecchio’ Marx non marxista e non hegeliano!!!
Basta con le robinsonate! La questione è la Relazione (Dio è Amore), e una relazione non edipica!!! Una relazione edipica (sia dal lato della donna sia dell’uomo) porta a postulare l’esistenza di un “dio” (un dio-uomo o un dio-donna) e, di qui, la concezione di un ’mondo’ dove il diritto di comandare in cielo e in terra sia del “dio” (del dio-uomo o del dio-donna)!!! Da questo punto di vista, la Chiesa ’cattolico’-romana è solo l’ultimo baluardo di quel “dio” che garantisce la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’educazione edipico-capitalistica. Perché i sacerdoti (se vogliono) non si possono sposare?!, o perché le donne non possono diventare sacerdot-esse?!, ma perché il “dio” è concepito come dio-uomo e, come tale, solo il dio-figlio può essere come il dio-padre... e la donna solo come la madre-dea. Sulla terra (e per tutti e per tutte) il Dio-Figlio è il figlio-dio e il fratello di tutti e di tutte, ma in cielo solo Lui può essere il Padre... e lo Sposo della Madre - e, siccome è solo lui che può avere rapporti con il cielo (ma il messaggio di Gesù proprio perché è un buon-messaggio dice che tutti e tutte siamo tutti e tutte figli e figlie di Dio-Amore... e tutti e tutte possiamo avere rapporti con “Lui”!!!), deve essere anche ’donna’ (perciò si traveste così come si traveste) per ’generare’ e ’riprodurre’ se stesso, in circolo...e comandare su tutti, su tutte, e su tutto! Che follia, senza alcuna saggezza - sconsolatamente!!!
Vedere il caso del Giappone - nella cultura giapponese c’è la Dea in cielo, e l’imperatore sulla terra; ora-oggi!!!, dal momento che alla coppia imperiale è nata una bambina, si parla di cambiare la Costituzione per far sì che Lei possa accedere al trono ... ma il problema è più complesso - come si può ben immaginare - perché ... deve essere cambiata anche la Costituzione celeste dell’Impero del Sol Levante!!! Se no, l’Imperatrice con Chi si ’sposerà’?! Con la Dea?!!
Non è questa forse la ragione nascosta del “disagio della civiltà” dell’Oriente e dell’Occidente ..... e anche della sua fine, se non ci portiamo velocemente fuori da questo orizzonte edipico-capitalistico di peste, di guerra e di morte? Non è ora di andare al di là della tragedia, e riprendere il filo dall’ “Inizio” (filosoficamente, parlando)?! Cosa significa essere EU- ROPEUO*?!! In principio cosa c’era, il Logos buono o il Logos cattivo?! Sta a noi, tutti e tutte, deciderlo - qui ed ora (come sempre, del resto)!!!
Federico La Sala
*Sul significato del termine “eu-ropeuo”, mi sia consentito, cfr. Federico La Sala, “Terra!, Terra!: il Brasile dà una ’lezione’ all’Europa e alle sue radici” (www.ildialogo.org/filosofia, 31.10.2005).
A settembre è previsto il parto della principessa Kiko Da quarant’anni manca un discendente diretto Il Giappone si prepara alla festa "Kiko sta per partorire un maschio" La stampa che si occupa delle vicende della corte è sicura (www.repubblica.it, 31.08.2006)
TOKYO - Tra una settimana, forse, il Giappone avrà finalmente l’atteso erede maschio per la dinastia dei crisantemi. Dopo quarant’anni. La principessa Kiko, esile, delicata e nota per le sue lunghe depressioni, secondo quanto si sussurra negli ambienti di corte, aspetterebbe un maschietto.
Il condizionale però è d’obbligo: nessun comunicato ufficiale sul sesso del bebè da parte della famiglia imperiale infatti, che si è limitata a rassicurare la nazione sulla buona salute di pargolo e puerpera. Kiko, che ha 39 anni è entrata in una clinica privata qualche giorno fa, e aspetta il parto -cesareo - per il 6 settembre.
Sul Shukan Bunshun, magazine solitamente bene informato sulle vicende personali delle teste coronate giapponesi, si legge che il principe Akishino, consorte di Kiko, avrebbe rivelato in confidenza ad un amico che il nascituro sarebbe un maschio.
Un’eventuale smentita sarebbe l’equivalente di una bomba: quando il premier Koizumi aveva annunciato di voler cambiare la legge e permettere la successione al trono anche alle femmine della famiglia reale, si era levato un coro di proteste da parte dei media e dei partigiani della tradizione patrilineare. Progetto subito abbandonato.
La dinastia, che vanta radici antiche che risalgono addirittura a 2600 anni, può contare al momento su due principi: Naruhito, 46 anni, e Akishino, 40, marito di Kiko. Se la principessa dovesse dare alla luce un maschietto, si tratterebbe del terzo erede in linea dinastica.
(31 agosto 2006)
GIAPPONE IN FESTA: L’EREDE IMPERIALE E’ NATO.
Il parto è avvenuto nella notte in Italia: il piccolo pesa due chili e mezzo. Entro una settimana il nome. Un evento atteso 40 anni
La principessa Kiko partorisce un maschio Il Giappone in festa per l’erede imperiale
L’evento seguito in diretta dalle tv. Gente in strada e celebrazioni (www.repubblica.it, 06.09.2006)
TOKYO - La dinastia imperiale giapponese, il più antico casato regnante del mondo, ha da oggi un nuovo erede, figlio del principe cadetto Akishino e della consorte Kiko.
Il parto, avvenuto con un intervento cesareo alle 08:27 (le 01:27 in Italia) ha dato al trono del Crisantemo il primo erede maschio da 40 anni. Secondo fonti sanitarie tanto il neonato, che pesa 2.558 grammi ed è lungo 48,8 centimetri, quanto la madre sono in ottima salute.
L’intervento è durato complessivamente poco più di un’ora e si è svolto nella clinica ostetrica Aiiku, nel quartiere sudoccidentale di Roppongi, dove la principessa era stata ricoverata già a metà agosto per prevenire qualsiasi emergenza.
Kiko ha 39 anni e altre due figlie, Mako di 14 anni e Kako di 11, ma la sua terza gravidanza è stata complicata da una placenta previa che ha imposto un cesareo per la prima volta nella storia della dinastia, le origini della quale sono fatte risalire a 15 secoli fa.
Il principino, cui sarà dato un nome entro una settimana, è il terzo nella linea di successione dinastica all’imperatore Akihito dopo il principe ereditario Naruhito e lo stesso Akishino. L’attesissima nascita ha fatto svanire ogni progetto governativo di riforma per consentire anche una discendenza femminile sul trono imperiale, aspramente osteggiata da tutte le forze più conservatrici. Sebbene nel passato dinastico del Sol levante vi siano ben otto imperatrici, esse si limitarono a gestire temporaneamente il potere, mentre una riforma della legge salica avrebbe consentito una vera e propria discendenza matrilineare aborrita dai tradizionalisti.
Con la nascita del nuovo erede si dissolve pertanto qualsiasi sogno su una ’favola imperiale in rosa’ con protagonista la principessina Aiko, che ha quattro anni ed è l’unica figlia di Naruhito e della ’principessa triste’ Masako.
Quest’ultima ha 42 anni e ha attraversato tutta una serie di crisi depressive, attribuite da molti alle imposizioni dei ciambellani di Corte, ma connesse da altri anche alla frustrazione di non poter dare un discendente maschio alla corona. Laureata a Harvard e avviatasi verso una brillante carriera diplomatica fino alla vigilia del matrimonio, Masako è apparsa spesso insofferente di certi aspetti della vita di palazzo, mentre Kiko si è mostrata sempre entusiasta dei suoi ’doveri imperiali’.
Tra le due principesse non sembra essere mai corso buon sangue e anche fra i rispettivi mariti vi è stato un irrituale battibecco quando, un paio di anni orsono, Akishino criticò Naruhito per avere apertamente giustificato le insofferenze della moglie. Su questi dissapori ha trovato modo di innestarsi tutta una gamma di contrasti ideologici fra riformisti e tradizionalisti, fino a includere anche le frange neomilitariste che si arrogano un’interpretazione virile e autoritaria della cultura imperiale.
Nell’arco dei riformatori rimane ancora l’alea rappresentata dall’esistenza di un solo discendente maschio: autorevoli fonti governative hanno perciò indicato che una revisione della legge salica, pur non risultando più impellente, non può essere totalmente accantonata.
"E’ una possibilità che va attentamente studiata", ha dichiarato il segreterio generale del governo Shinzo Abe, chiaramente consapevole della grande popolarità di una riforma testimoniata dai sondaggi. Da parte sua, come vuole la consuetudine, l’imperatore ha ufficialmente mantenuto un totale silenzio sulla controversia.
Akihito, che ha 72 anni, sta compiendo una visita programmata da tempo nell’isola settentrionale di Hokkaido ed è stato subito avvertito per telefono del lieto evento: assieme alla consorte Michiko (71 anni) sarà di ritorno a Tokyo entro un paio di giorni in vista di tutta una serie di cerimonie.
Se, come gli altri discendenti imperiali, il principino non avrà mai un cognome, il nome gli sarà invece imposto dal padre: in accordo con il costume prevalso negli ultimi secoli è probabile che la seconda parte del nome contenga l’appellativo hito, che indica l’apice della virtù.
Tra i primi doni ufficiali che il neonato riceverà figura una spada da parte del nonno, che sarà portata da un messo speciale e sarà posta accanto alla culla, come simbolo di difesa da tutte le avversità. E proprio nella stessa data della nascita imperiale è stato reso noto a Tokyo che per la prima volta il Giappone potrebbe cominciare a prendere ora in considerazione l’opzione di dotarsi di armamenti nucleari.
A proporlo è stato l’ex primo ministro Yasuhiro Nakasone, che molti considerano il vero mentore del segretario generale del governo Shinzo Abe, principale candidato alla successione del premier uscente Junichiro Koizumi.
(6 settembre 2006)
Il Giappone ha un erede maschio
La principessa Kiko ha partorito oggi il suo terzo figlio
(La Stampa, 06/9/2006)
TOKYO.È festa in Giappone per la nascita del terzo figlio del principe Akishino, figlio minore dell’imperatore Akihito e dell’imperatrice Michiko: la moglie di Akishino, la poco meno che quarantenne principessa Kiko, confermando le indiscrezioni degli ultimi giorni ha infatti dato alla luce un bimbo, che alla nascita pesava 2,6 chilogrammi. Anzi, per la precisione 2 chili e 558 grammi. È la prima volta da 41 anni in cui nel Paese del Sol Levante nasce un maschio in seno alla famiglia regnante: l’ultimo, nel 1965, era stato proprio Akishino. Il sospirato erede al trono del Crisantemo dunque finalmente c’è.
In realtà, almeno potenzialmente, c’era già prima: il primogenito dell’imperatore e numero uno nella linea di successione, Naruhito, aveva infatti avuto una bambina, Aiko, dalla moglie Mariko, la ’principessa tristè. Perchè la piccola salisse sul trono, tuttavia, sarebbe stato necessario modificare la rigidissima legge salica nipponica, che tuttora vieta di assegnare il titolo imperiale alle femmine: ecco la ragione per cui Aiko non sarebbe potuta succedere direttamente al nonno, così come non era consentito alle cuginette, rispettivamente di 14 e di 11 anni.
Ora la progettata riforma, che da tempo tormentava gli ambienti politici giapponesi più ancora che quelli istituzionali e dinastici, di fatto non serve più. Ufficialmente non è ancora stata accantonata, ma è facile prevedere che lo sarà quanto prima: tutti le principali forze parlamentari si sono già espresse in tal senso, e del resto lo stesso premier Junichiro Koizumi, messo sotto pressione dalla frange più conservatrici del suo Partito Liberal-Democratico, aveva sospeso ogni passo verso l’emendamento delle norme saliche, che pure aveva promosso con vigore, non appena si era saputo della gravidanza di Kiko. «È indispensabile intavolare discussioni calme, caute e solide», ha non a caso commentato il capo di gabinetto di Koizumi, Shinzo Abe, capofila degli ultra-tradizionalisti. «Per oggi, vorrei limitarmi a celebrare la nascita del Principe Imperiale».
Toni solenni in contrasto con la semplicità della neo-di nuovo mamma: per la cronaca, quest’ultima sta bene al pari del neonato, pur se è stato inevitabile praticarle il taglio cesareo; ma anche questo già si sapeva. Il lieto, lietissomo evento si è prodotto alle 8,27 di oggi ora locale, l’une e 27 minutri in Italia. Per la scelta del nome da imporre al nuovo arrivato occorrerà attendere circa una settimana, una decina di giorni affinchè sia dimesso insieme alla mamma.
Kiko, tra parentesi, è l’esatto contrario della 42enne cognata; quanto l’una è solare e perfettamente a suo agio nel ruolo di principessa, tanto l’altra mai vi si è saputa adattare, rischiando addirittura di perdere l’equilibrio mentale. Diversissima anche la rispettiva estrazione: prima del matrimonio la sorridente Kiko era una tranquilla ragazza di casa, come piace in Giappone alle generazioni più antiquate, mentre la fragile Mariko in origine ’tristè non lo era per niente, al contrario, era una busnesswoman di successo, aggressiva e vincente, cui l’ingresso a Palazzo ha tagliato le ali.
La nascita dell’erede potrebbe anche rendere migliori i rapporti tra i due fratelli ’imperialì: Naruhito negli ultimi anni non ha certo nascosto i dissapori nei confronti del più giovane Akishino, secondo al maggiore nella teorica corsa al trono. Non a caso, diventato di nuovo padre, a chiamare il principe della Corona è stato proprio lui; Naruhito, magnanimo, si è felicitato. E «Congratulazioni!» è stato il laconico quanto raggiante messaggio di Akihito e Michiko, che per conoscere il nipotino dovranno prima rientrare a Tokyo dal nord del Paese, dove attualmente si trovano in visita a Sapporo. Una volta tornati a casa, l’imperatore darà il via alle celebrazioni ufficiali consegnando all’ultimo venuto una spada cerimoniale, simbolo del potere che si rinnova.