[...] TRACCIA N. 4 DONNE E UOMINI, DEMOCRAZIA, E RICERCA SCIENTIFICA. Nei regimi totalitari, l’attività del cervello arcaico è al massimo (Rita Levi Montalcini).
Materiali:
UN’INTERVISTA A RITA LEVI MONTALCINI, ALLA SOGLIA DEI CENTO ANNI - DI CRISTINA MOCHI
TRACCIA N. 1
LA COSTITUZIONE, LA CITTADINANZA, E IL NOME DELL’ITALIA. CHE COSA SIGNIFICA ESSERE CITTADINI E CITTADINE D’ITALIA.
Materiali:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
IL POTERE DELLA PAROLA: L’IMPORTANZA DELLA FILOLOGIA.
Materiali:
FINE DEI TEMPI: CON RATZINGER, INFINE, LA CHIESA HA TROVATO "L’UNTO DEL SIGNORE".
ALLA DOTTA BOLOGNA, NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO, LA "DEUS CARITAS EST" (UN FALSO FILOLOGICO E TEOLOGICO).
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
TRACCIA N. 3
LA STORIA D’ITALIA DAL 1994 AL 2009. "DUE" PRESIDENTI GRIDANO "FORZA ITALIA": UN LUNGO ATTACCO ALLA COSTITUZIONE E ALLA DEMOCRAZIA. “Contro la menzogna bisogna lottare non solo per la sua intrinseca immoralità, ma per i suoi effetti distruttivi dello spazio della politica”.
Materiali:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI.
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
TRACCIA N. 4
DONNE E UOMINI, DEMOCRAZIA, E RICERCA SCIENTIFICA. Nei regimi totalitari, l’attività del cervello arcaico è al massimo (Rita Levi Montalcini).
Materiali:
UN’INTERVISTA A RITA LEVI MONTALCINI, ALLA SOGLIA DEI CENTO ANNI - DI CRISTINA MOCHI
G8 L’AQUILA. UN APPELLO alle FIRST LADIES: NON VENITE all’APPUNTAMENTO ITALIANO.
TRACCIA N. 5
GLI STRUMENTI DEL COMUNICARE E LA DEMOCRAZIA. "Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre"(M. McLuhan).
Materiali:
TRACCIA N. 6
COSTITUZIONE ED EVANGELO (NON VAN-GELO): LA LEZIONE DI DON LORENZO MILANI.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico (don Lorenzo Milani).
Materiali:
TRACCIA n. 7
FIRENZE, L’ITALIA, E LA LEZIONE DI DANTE - OGGI.
Per amore del mio popolo non tacerò (Profeta Isaia).
Materiali:
MATURITA’ 2010: PRIMA PROVA SCRITTA. IL TESTO INTEGRALE DELLE TRACCE DEL TEMA
MATURITA’ - A.S. 2018/2019: PRIMA PROVA SCRITTA.
PROVA DI ITALIANO - TRACCE
Cultura
Maturità 2019, impariamo a insegnare la Storia
di David Bidussa (Il Sole-24 ore, 28 febbraio 2019)
A proposito della ipotizzata soppressione della traccia di storia alla prossima maturità non si può non sottolineare il paradosso: da una parte le istituzioni possono decidere che la storia si può anche mandare in soffitta perché è un genere che non ha successo (la traccia di storia è stata scelta all’ultima maturità dal 3% dei candidati); dall’altra sta una domanda di storia che è in crescita e attrae (per esempio ne parla Marta Stella nell’ ultimo numero di “Marie Claire” in un articolo dal titolo Perché abbiamo sempre più bisogno di ritrovare le nostre origini?).
Dove sta la verità? Qui e là e, contemporaneamente, né qui e né là. Dunque la storia è una disciplina in riserva: destinata a un pubblico sempre più ristretto, secondo le opinioni di chi ci governa; disciplina lontana, e non coltivata, comunque scarsamente attraente (nel 2018 solo 20 classi a Roma hanno scelto come una delle mete di gita scolastica l’archivio di Stato).
Disciplina che non gode di investimenti, o in cui si investe sempre meno (secondo alcuni dati nel giro di 15 anni gran parte dei corsi di laurea in storia presso gli atenei italiani andranno a chiudere, o comunque saranno destinati ad essere assorbiti all’interno di strutture disciplinari più generali).
Contemporaneamente aumenta in misura considerevole la domanda di sapere il passato (più spesso di sapere il passato della propria famiglia è in crescita, basta guardare i numeri della consultazione on-line del portale Antenati, il portale dedicato alle storie di famiglia, segno evidente che pur in maniera molto complicata la storia ha ancora un volto, un fine per le persone.
Ma appunto si potrebbe osservare che quel fine ha una fisionomia «privata», personale, non implica una funzione pubblica, collettiva della storia. Allora proviamo a precisare la domanda: perché la storia è percepita come una risorsa privata, volta a soddisfare la propria ansia di sapere passato, di avere un radicamento nella storia, ma questa ansia non si traduce in dimensione pubblica, ovvero nella percezione e nella convinzione che la storia sia un bene pubblico? Che cos’è dunque che non va?
L’opinione comune più ricorrente è che prima di tutto ci sia un difetto di didattica della storia, ovvero che la causa principale sia da cercare in chi insegna la storia, e principalmente tra gli insegnanti delle scuole, soprattutto della fascia tra 14 e 19 anni, per non dire della capacità didattica della gran parte del corpo docente accademico. Dunque un tema è la formazione verso la didattica del corpo docente.
Un’altra opinione molto comune è la convinzione che l’insegnamento della storia in gran parte segua programmi che non sono capaci di sollevare l’interesse di un pubblico, perché difficilmente si immergono nel presente, o nel passato immediato, e dunque parlino di temi, di scene, di questioni lontane, incapace di coinvolgere. In breve una narrazione che non susciterebbe passione, emozione, coinvolgimento.
Per quanto sia convinto che in queste due spiegazioni ci sia del vero, tuttavia a me sembra che la crisi alluda ad altro, o almeno che per superarla occorra impegnarsi a trovare risposte su altre questioni che non sono solo la senescenza dei programmi (e dunque un dato burocratico, percui sarebbe sufficiente svecchiarli o renderli più agili) oppure produrre un corso di aggiornamento alla didattica per i docenti.
Il primo dato importante è che noi in Italia difettiamo di una capacità di saper narrare storia. Riguarda come pensiamo, progettiamo e costruiamo musei di storia, per esempio. Ma non solo. La misura su cui valutare questa incapacità è nella dimensione ridotta che dedichiamo ai percorsi e alle problematiche della Public History.
Public History non è né solo, né prevalentemente la divulgazione della storia, ma è quell’ambito disciplinare che si occupa di come rendere fruibile, interessante, motivante e soprattutto ricco di suggestioni l’insegnamento della storia. E contemporaneamente, è quella disciplina che si pone anche il problema di costruire format per la didattica della storia (pensando per esempio alla drammaturgia, alla rappresentazione scenografica, alla produzione di podcast, alla costruzione di kit didattici;...).
Si analizzi, tanto per fare un esempio, la produzione di materiali relativi al centenario della Prima guerra mondiale, che in questi anni, a partire dal 2014, ha coinvolto istituti, centri di ricerca, associazioni di giovani storici che si dedicano alla didattica alternativa, alla didattica “a distanza”, e si vedrà che il complesso delle attività, prime fra tutte le diverse modalità della comunicazione social con cui in realtà come Francia, Regno Unito, Germania, Spagna hanno sollevato e coinvolto docenti, studenti, segmenti non irrilevanti di società civile, “università della terza età”, realtà di formazione volte alla cura educativa di adolescenti di prima immigrazione, ovvero i nuovi e i futuri cittadini di domani, in Italia ha avuto scarso seguito.
La storia trasportata sul web è stata spesso lo stesso pacchetto di contenuti che veniva proposto nella didattica tradizionale. Comunque scarsamente lavorato. Il risultato è stato, prima ancora della noia, l’inutilità. Spesso una quantità di risorse investite nella costruzione di progetti la cui ricaduta è stata scarsa, comunque di scarso effetto.
E’ un ambito enorme che non riguarda solo la storia attuale, ma riguarda forse la storia che ha più successo (sia nei giochi on line che nella fiction) che è la storia medievale, da molti ritenuta anni fa un a storia “finita” di scarso interesse, ma che ha una sua stagione rinnovata ormai da tempo, ma su cui in Italia soffriamo, eccetto alcuni poli di eccellenza, di una scarsa diffusione di competenze, spesso perché la storia medievale è assorbita o assimilata a un’immagine, malintesa, di storia locale, di esaltazione del proprio territorio, di ricerca della propria tradizione folclorica, perché ossessionata dall’ansia di rimarcare e ribadire una identità, con scarsa propensione a pensarla come un modi diverso di raccontarla e di affrontarla come “storia mondo” con cui dobbiamo prendere la misura.
C’è un secondo aspetto della storia e della marginalizzazione della storia nella scuola che riguarda la riduzione delle ore dedicate alla storia nella ripartizione dei programmi e delle ore di insegnamento. Una questione che riguarda soprattutto gli istituti tecnici e professionali. L’effetto nel tempo medio-lungo (ma in questo caso parliamo di pochi anni) è quello di dare luogo a una conoscenza della storia rigidamente separata riproponendo la vecchia ripartizione tra scuole volte alla formazione per un mestiere e scuole destinate a definire un profilo culturale per le libere professioni. In un qualche modo la riproposizione del sistema scolastico proprio della prima metà del’900.
Come si risponde a questa scelta? Difficilmente si darà uno spazio ampliata o allargato alla storia negli istituti professionali, ma le ore di letteratura. Non si tratta di abbandonare la studio della letteratura, ma di proporre lo studio della letteratura come occasione di scavo nella storia.
Mi limito ad indicare alcuni testi del Novecento che di fatto hanno svolto questa funzione e che la possono svolgere anche in relazione ai vuoti di programma. Una questione privata di Beppe Fenoglio o L’orologio di Carlo Levi sono nei fatti due testi con cui poter discutere, raccontare, analizzare la Resistenza o l’inizio dell’Italia repubblicana. Ma lo stesso di potrebbe dire per Caro Michele di Natalia Ginzburg, se qualcuno avesse per davvero interesse a parlare di ’68 e di generazione ’68; di Buio a Mezzogiorno di Arthur Koestler se il tema fosse lo scavo negli anni bui dello stalinismo e di cosa sia stato il socialismo reale, di Niente di nuovo sul fronte occidentale di E. M. Remarque o di Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu per parlare di Prima guerra mondiale. Senza dimenticare i film.
Di nuovo non per sostituire l’approfondimento di storia, ma per renderlo un momento di formazione in cui contano le risorse culturali, documentarie, che si propongono. Ma soprattutto per proporre un’idea di storia dove essenziali sono le domande e non tanto le risposte definitive che si danno. Perché lo studio della storia, che piaccia o no, non è trovare la risposta definitiva, avere l’ultima parola. Ma proporre domande, fare questioni, sapendo che dopo, arriveranno altri a proporre altri percorsi, altre questioni, spesso modificando strutturalmente l’ordine del racconto.
Il bravo storico è insomma uno che ha, al massimo la possibilità di proporre la penultima parola e di insegnare che appunto la avere la penultima parola non è un difetto, o una mancanza, ma è la consapevolezza che il dossier non è chiuso. Perché uno storico non è un giudice. E nemmeno un ideologo. Anche questo è, a suo modo, una funzione civile dell’insegnamento della storia. Forse non solo della storia.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
DOMANDE AGLI STORICI... NON E’ IL CASO DI SVEGLIARSI DAL SONNO DOGMATICO E RISPONDERE "SENZA FARE LE SPALLUCCE"?!
REALTA’ E RAPPRESENTAZIONE. STORIA ("RES GESTAE") E STORIOGRAFIA ("HISTORIA RERUM GESTARUM") ... E INTELLETTUALI.
I LIBRI DI "STORIA" E LE "DOMANDE DI UN LETTORE OPERAIO" - DI BERTOLT BRECHT
MATURITA’ 2018: TUTTE LE TRACCE
Sessione ordinaria 2018 - Prima prova scritta
Ministero dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca
ESAMI DI STATO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
PROVA DI ITALIANO
La prima prova
Maturità2017 - La poesia di Giorgio Caproni del tema di italiano (e un bignami sul poeta livornese)
Non si arriva a studiarlo in tutte le scuole, Giorgio Caproni. Poeta livornese, maestro elementare, musicista mancato, vive la durezza delle due Guerre Mondiali. Versicoli quasi ecologici fa parte di Res Amissa, uscita postuma Al via gli esami di maturità. La prima prova: ecco le tracce di italiano *
Giorgio Caproni è considerato uno dei massimi poeti del Novecento. Nato nel 1912, i primi anni della sua vita sono segnati dalla sofferenza: la Prima Guerra Mondiale, le ristrettezze economiche. Giovanissimo - mentre si iscrive all’istituto musicale Verdi e studia violino - si avvicina alla poesia: ama Montale degli Ossi di Seppia, riceve una serie di rifiuti. Diventa maestro elementare, viene richiamato alle armi con la Seconda Guerra Mondiale, prende parte alla Resistenza - tutti eventi che condizionano la sua scrittura. Inzia a pubblicare più tardi: la sua prima raccolta è "Come un’allegoria", uscita dopo la morte della fidanzata Olga Franzoni. L’ultima è "Res Amissa", pubblicata postuma, che contiene Versicoli quasi ecologici, il testo con cui sono alle prese i maturandi 2017. Al centro del testo un tema di fortissima attualità: il rapporto con la natura - sfruttata e soffocata dall’uomo per profitto - i rischi per la specie umana che si trova in un "paese guasto".
Non uccidete il mare
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: «Come
potrebbe tornare a esser bella,
scomparso l’uomo, la terra».
*
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ITALIA Davanti alle commissioni 500 mila studenti
Giorgio caproni, ecologia e tecnologia: ecco le tracce della prima prova di italiano della maturità Si parte con la prova scritta di italiano. I diplomandi possono scegliere tra quattro diverse tipologie di testo: c’è anche il miracolo economico degli anni ’60 e la natura tra minaccia e idillio. Domani in calendario la seconda prova, con materie diverse a secondo dell’indirizzo Scuola *
Maturità2017 - [...] Ecco tra cosa si può scegliere:
analisi del testo: Versicoli quasi ecologici, tratta dalla raccolta Res Amissa, di Giorgio Caproni
saggio breve/articolo di giornale: La natura tra minaccia e idillio nell’arte e nella letteratura. Gli studenti hanno a disposizione alcuni materiali. Opere letterarie: Giacomo Leopardi con le sue Operette Morali, Tutte le poesie di Eugenio Montale, Poesie di Giovanni Pascoli e le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo. Quadri: Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi di William Turner e Idillio primaverile di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
tema di attualità: Robotica e nuove tecnologie nel mondo del lavoro. I materiali di partenza: una citazione di Edoardo Boncinelli - "Per migliorarci serve una mutazione" - e un articolo di Enrico Marro, pubblicato su Il Sole 24 Ore "Allarme Onu: i robot sostituiranno il 66% del lavoro umano"
tema storico: "Il miracolo economico italiano" con citazioni da Piero Bevilacqua da "Lezioni sull’Italia repubblicana" e da Paul Ginsborg da "Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi - saggio storico-politico: Disastri e ricostruzione Per domani, invece, è in calendario la seconda prova scritta, con materie diverse a seconda dell’indirizzo di studio: latino per il liceo classico, matematica per lo scientifico, solo per citare le principali [...].
*
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MESSAGGIO EVANGELICO E COSTITUZIONE. L’ Amore (Charitas) non è lo zimbello del tempo e di Mammona (Caritas)!!!:
Papa Francesco: «Pregate perché io prenda esempio da don Milani»
Nelle parole del Papa l’abbraccio della Chiesa che don Lorenzo Milani ha desiderato fino alla morte, il riconoscimento del suo essere sacerdote, non solo maestro non solo pacifista. Un fatto storico, ecco perché
di Elisa Chiari *
«Pregate per me perché anche io sappia prendere esempio da questo bravo prete». Quel bravo prete è don Lorenzo Milani e più chiaro e diretto di così Papa Francesco non avrebbe potuto essere. Non c’era questa frase nel discorso preparato, non c’era la frase finale rivolta ai sacerdoti: "Prendete la fiaccola e portatela avanti». Le ha aggiunte a braccio.
Don Milani aveva ragione, quando nel suo tono sempre un po’ provocatorio diceva: «Mi capiranno tra 50 anni». Forse faceva un numero, per dirla con parole sue, «per dar forza al discorso». Ma la contingenza della storia ha voluto che fosse una cifra esatta, che servissero davvero 50 anni - don Milani è morto il 26 giugno del 1967 - perché un papa venisse quassù, a Barbiana - una Barbiana restaurata con la vasca azzurra come allora non era-, al margine del margine del mondo, nella parrocchia che doveva chiudere e che fu tenuta aperta per isolare un sacerdote che allora si diceva "scomodo" e che oggi papa Francesco dice «ha lasciato una traccia luminosa».
Per molto tempo, don Lorenzo Milani è stato raccontato come l’educatore, il maestro, l’obiettore di coscienza - non senza distorsioni e strumentalizzazioni da parti assortite -: quasi che fosse marginale nella sua presenza storica il suo essere prete. Lo si è raccontato lasciando nell’ombra il lato che a don Milani premeva di più, perché fondava il senso della sua esistenza cristiana: il riconoscimento del suo sacerdozio da parte della Chiesa.
Cinquant’anni dopo Papa Francesco sana, dichiarandolo esplicitamente, questa mancanza. Mette il punto più importante alla fine, Papa Francesco, quasi per lasciarne il significato scolpito - come a segnare un passaggio che chi studierà il rapporto tra don Lorenzo Milani e la Chiesa di qui in poi non potrà ignorare -: «Non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse: "Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato...". Dal Cardinale Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani - non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco -, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: "Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui... quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio... Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto"».
Non per caso nelle parole del Papa emerge più di tutto il don Milani sacerdote: le definizioni che dà di don Milani lungo tutto lo snodo del discorso non sono scelte a caso. «Sono venuto a Barbiana» esordisce papa Francesco «per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve». Agli allievi dice: «Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato». E ancora: «La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole».
Papa Francesco sottolinea l’attualità di don Milani: «Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso». Il papa parla esplicitamente di "umanizzazione", facendo riferimento a un concetto milaniano: la parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più uomini. Non per caso c’è più di Esperienze pastorali sotteso al discorso di don Milani a Barbiana di quanto non ci sia di Lettera a una professoressa. La cita, certo, quando parla agli educatori: ma al centro c’è il sacerdote non il maestro. «La vostra è una missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. (...) Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi».
Ai sacerdoti papa Francesco ricorda che «la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Sono note le parole della sua guida spirituale, don Raffaele Bensi, al quale hanno attinto in quegli anni le figure più alte del cattolicesimo fiorentino, così vivo attorno alla metà del secolo scorso, sotto il paterno ministero del venerabile Cardinale Elia Dalla Costa. Così ha detto don Bensi: "Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire". Essere prete come il modo in cui vivere l’Assoluto. Diceva sua madre Alice: "Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale". Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli". Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni».
E ancora: «La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità».
Quelle ultime parole: «prendete e portate la fiaccola» sono l’abbraccio che don Lorenzo Milani ha desiderato una vita. Chi stava ascoltando sulle seggiole bianche di Barbiana lo sapeva, per aver vissuto con lui il dolore dell’incomprensione, e non per caso ha applaudito proprio i passaggi in cui ha sentito il riconoscimento atteso dal Priore per mezzo secolo.
Totoesame: tra Umberto Eco, Einstein e Isis, le previsioni degli studenti per la Maturità 2016
di Redazione Ansa*
Un anno intenso questo 2015/2016, dal campo della cultura a quello della scienza a quello, purtroppo, delle tensioni internazionali e delle relative problematiche. E l’attualità, secondo gli studenti, sarà la vera protagonista di questa Maturità 2016, che tra appena un paio di mesi vedrà centinaia di migliaia di loro riversarsi nelle scuole per sostenete l’esame finale. Quali tracce nasconderà il plico telematico, e su quali temi scommettono i maturandi, allora? Skuola.net lo ha chiesto a circa 1300 ragazzi di quinta: Umberto Eco, Einstein e terrorismo internazionale in pole position, ma tra i favoriti non mancano Luigi Pirandello, i 70 anni della Repubblica Italiana e i diritti gay. Ecco i risultati per le diverse categorie: gli autori da analisi del testo, i temi di attualità, gli anniversari legati alla morte o alla nascita di autori e personaggi celebri e infine, le ricorrenze ed eventiimportanti.
TOP 5 ANALISI DEL TESTO: UMBERTO ECO E PIRANDELLO ACCLAMATI A GRAN VOCE - Diciamoci la verità, tra le previsioni degli studenti è celato - neanche troppo velatamente - il desiderio di trovare gli argomenti preferiti tra le possibili tracce di maturità. E allora a pochi mesi dalla sua morte la maggioranza dei maturandi (1 su 4) dichiara di voler trattare e commentare, per l’analisi del testo, un brano di Umberto Eco. Se la richiesta non verrà colta dai funzionari ministeriali, c’è sempre una seconda scelta. Pirandello, il favorito degli scorsi anni, rimane sul podio secondo solo all’autore del Nome della Rosa, conquistando il voto del 20% circa dei maturandi. Un altro romanziere del ‘900 al terzo posto: Italo Svevo è tra i preferiti per la tipologia A, scelto dal 10% circa degli intervistati. Il primo poeta che incontriamo è Ungaretti, sotto il podio, previsto dal 7%. Completiamo la top 5 con Dante Alighieri, che segue a ruota con una percentuale lievemente inferiore al 7%.
TOP 3 TEMI DI ATTUALITA’: TERRORISMO E DIRITTI GAY- La morte di Umberto Eco non è il solo avvenimento che ha particolarmente colpito i nostri studenti. Impossibile per loro non rimanere profondamente scossi dagli attacchi terroristici che hanno sconvolto l’Europa, i recentissimi tragici fatti di Parigi e Bruxelles. La voglia è di parlarne: il 46% dei nostri ragazzi è convinto di trovare questo argomento in prima prova d’esame, magari al tema di attualità, o al saggio breve di tipo storico o economico-sociale. La scia mediatica poi delle discussioni sulla legge Cirinnà deve aver portato il 13,5 % a convincersi di trovare il tema dei diritti gay alla maturità. All’ultimo gradino del podio per la categoria argomenti di attualità, il tema dell’immigrazione al 12% circa.
TOP 3 ANNIVERSARI DA SAGGIO BREVE: TORNA PIRANDELLO, ECCO SHAKESPEARE-Tra gli anniversari legati alla nascita e alla morte di autori e personaggi celebri, secondo gli studenti, potrebbero trovarsi preziosi spunti per l’esame di maturità 2016. Sì, ma quali? Se Pirandello non dovesse essere la scelta per l’analisi del testo, circa il 36% dei maturandi crede che l’80esimo anniversario della sua morte potrebbe comunque determinare la sua apparizione almeno tra le tracce del saggio breve, o articolo di giornale, di ambito artistico-letterario. Ma non è il solo anniversario a cadere a puntino per la Maturità 2016: i 400 anni dalla morte di Shakespeare (22% circa) e i 120 dalla nascita di Montale (13% circa) potrebbero indurre, secondo gli studenti, il ministero a inserire una loro citazione o testimonianza in prima prova.
TOP 3 RICORRENZE E EVENTI DA PRIMA PROVA: PUNTIAMO TUTTO SU EINSTEIN - Non bisogna poi dimenticare le ricorrenzeo gli eventi importanti degli ultimi 12 mesi, che possono esercitareuna certa influenza sulle tracce d’esame: tra il 1915 e il 1916 Einstein svelò al mondo la sua teoria della relatività, e ad oggi sono passati 100 anni. Se a questo aggiungiamo la recente scoperta delle onde gravitazionali, le quotazioni di Einstein schizzano al primo posto con il 20% delle preferenze, magari per il saggio di ambito tecnico-scientifico. Seguono i 70 anni della Repubblica Italiana, (quasi al 19%), e i 30 anni dal maxiprocesso alla mafia, tenuto a Palermo da due eroi del nostro tempo, Falcone e Borsellino (circa al 14%). Ottimo spunto per il tema storico, o per la tipologia B di ambito storico-politico.
TOTOESAME: LO SEGUIAMO MA NON CI CREDIAMO - Un atteggiamento che ricorda un po’ quello che in tanti hanno con l’oroscopo, quello degli studenti con le previsioni da esame. Non pochi di loro, in classe, cercano di capire insieme ai prof quali tracce usciranno alla maturità: circa il 54%. Ma quanto credito danno a queste speculazioni? Il 13% dichiara di seguire con attenzione l’argomento sperando arrivi qualche soffiata. Invece la stragrande maggioranza, il 51%, sostiene di seguire le indiscrezioni sul toto-esame, ma di non farci troppo affidamento. E poi ci sono quelli che hanno gettato la spugna: per il 36% circa non è possibile indovinare né avere anticipazioni, per cui ogni tentativo di previsione è poco affidabile.
Maturità 2015 al via con la prova di Italiano. Le tracce: Calvino ("Il sentiero dei nidi di ragno"), Malala e la Resistenza Per i ragazzi il solito ventaglio di scelte: analisi del testo, redazione di un articolo di giornale/saggio breve, tema di argomento storico, tema di ordine generale
di Redazione ANSA *
E’ Calvino l’autore proposto ai maturandi per l’analisi del testo. "Il sentiero dei nidi di ragno" è il brano di Calvino proposto ai maturandi. Si tratta di un romanzo del 1947. Nel tema di ordine generale proposto ai maturandi si parte da un brano di Malala per riflettere sul diritto all’istruzione. Una riflessione sulla resistenza. E’ la traccia proposta ai maturandi per il tema storico.
LE ALTRE TRACCE
Saggio di ambito tecnico scientifico: lo sviluppo scientifico e tecnologico dell’elettronica e dell’informatica ha trasformato il mondo della comunicazione che oggi è domninato dalla connettività. Questi rapidi e profondi mutamenti offrono vaste opportunità ma suscitano anche riflessioni critiche.
*
ANSA ROMA 17 giugno 20150 9:00 (ripresa parziale).
Ministero dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca
ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
PROVA DI ITALIANO (per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali)
Pag.1/7
Sessione ordinaria 2014
Prima
prova scritta
LA TRAVERSATA DEL NOVECENTO SULLA ZATTERA DELLA MEDUSA E SU UN OCEANO DIPINTO, CON L’AMORE COGNITIVO.
ANTONIO GRAMSCI, PRIMO LEVI E KURT. H. WOLFF. "MEDITATE CHE QUESTO E’ STATO". Materiali sull’argomento:
PIANETA TERRA, CRISTIANESIMO, E DEMOCRAZIA "REALE": DIO E’ AMORE ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8). Per una Chiesa al di là della trinità "edipica" - di Mammona e di Mammasantissima ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)!!!!
LE DONNE DELLA MADRE CHIESA E DEL SANTO PADRE. Vergini, madri martiri o suore. Una nota di Natalia Aspesi
Che uomini e donne siano diversi lo sappiamo, e ne siamo contentissime; però dovrebbe essere scontato che abbiano gli stessi diritti (e doveri), ma in realtà non è ancora così, questo lo sappiamo, sulla nostra pelle (...)
L’Onu: metà del mondo non è per le donne. Il “gendercidio”: una strage silenziosa (di Francesca Paxi)
Lettera aperta al Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano
dei “ragazzi di Barbiana”
dell’11 aprile 2011
Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell’unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benché nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani".
Alcuni di noi hanno anche avuto l’ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l’Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso.
Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l’interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l’interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l’interesse di una sola persona, per quanto investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sull’interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non cederebbero a compromesso.
Ma l’Italia non è più un paese integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l’istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l’obbligo di fare qualcosa per arrestarne l’avanzata. Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo.
Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare.
Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l’autoritarismo che al colmo dell’insulto si definisce democratico: questa è l’eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli.
Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti
Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani, Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, Aldo Bozzolini
2001*
PER IL DIALOGO E LA PACE TRA LE GENERAZIONI E I POPOLI: Apriarno gli occhi, saniarno le ferite dei bambíni (deí ragazzi) e delle bambine (delle ragazze), dentro di noí e fuori di noí...Riannodiamo i fili della nostra rnemoria e della nostra dignità di esseri umani. Fermiamo la strage...
Linee per un Piano di Offerta Formativa della SCUOLA dell’AUTONOMIA, DEMOCRATICA E REPUBBLICANA.
***
CHI siamo noi in realtà? Qual è íl fondamento della nostra vita? Quali saperi? Quale formazione?
SCUOLA, STATO, E CHIESA: CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?!
IL "DIO" DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI...
E IL "DIO" ZOPPO E CIECO DELLA GERARCHIA DELLA
CHIESA CATTOLICA, EDIPICO-ROMANA.
Alla LUCE, e a difesa, DELLA NOSTRA DIGNITA
DI CITTADINI
SOVRANI E DI CITTADINE SOVRANE E
DI LAVORATORI
E LAVORATRICI DELLA SCUOLA PUBBLICA (campo
di RELAZIONE educativa, che basa il suo PROGETTO e la sua
AZIONE sulla RELAZIONE FONDANTE - il patto costituzionale
sia la vita personale di tutti e di tutte sia la vita politica di
tutta la nostra società),
Per PROMUOVERE LA CONSAPEVOLEZZA (PERSONALE,
STORlCO-CULTURALE) E
L’ESERCIZIO DELLA SOVRANITA’ DEMOCRATICA
RISPETTO A SE STESSI E A SE
STESSE, RISPETTO AGLI ALTRI E ALLE ALTRE, E RISPETTO
ALLE ISTITUZIONI
("Avere il coraggo di dire ai nostri giovani
che sono tutti sovrani": don Lorenzo Milani; "Per rispondere
ai requisiti sottesi alla libertà repubblicana una persona deve essere
un uomo o una donna indipendente e questo presuppone che essi
non abbiano un padrone o dominus, che li tenga sotto il suo potere,
in relazione ad alcun aspetto della loro vita. [...] La libertà richiede
una sorta di immunità da interferenze che diano la possibilità di
[...] tenere la propria testa alta, poter guardare gli altri dritto negli
occhi e rapportarsi con chiunque senza timore o deferenza": Philippe
Pettit)
e un LAVORO DI RETTIFICAZIONE E DI ORIENTAMENTO
CULTURALE, CIVILE, POLITICO e religioso (art.7 della Costituzione
e Concordato),
per evitare di ricadere nella tentazione
dell’accecante e pestifera IDEOLOGIA deII’INFALLIBILITA e
deII’ANTISEMITISMO (cfr. la beatificazione di PIO IX) e di un
ECUMENISMO furbo e prepotente, intollerante e fondamentalista
(cfr. il documento Dominus Jesus di Ratzinger, le dichiarazioni anti-
islamiche di Biffi, e il rinvio sine die dell’incontro fissato per il
3.10.2000 tra ebrei e cattolici) e di perdere la nostra lucidità e sovranita
politica,
e per INSTAURARE un vero RAPPORTO DIALOGICO e DEMOCRATICO, tra ESSERI UMANI, POPOLI e CULTURE, non solo d’Italia, ma dell’Europa e del Pianeta TERRA (e di tutto I’universo, cfr. Giordano Bruno),
IO, cittadino italiano,figlío di Due IO, dell’UNiOne di due esseri umani sovrani, un uomoj ’Giuseppe’, e una donna:’Maria’ (e, in quanto tale, ’cristiano’ - ricordiamoci di Benedetto Croce; non cattolico edipico-romano! - ricordiamoci, anche e soprattutto, di Sigmund Freud),
ESPRIMO tutta la mia SOLIDARIETA a tutti i cittadini e a tutte le cittadine della Comunità EBRAICA e a tutti i cittadini e a tutte lecittadine della comunità ISLAMICA della REPUBBLICA DEMOCRATICA ITALIANA,
e
PROPONGO
di riprendere e rilanciare (in molteplici forme e iniziative) la riflessione
e la discussione sul PATTO di ALLEANZA con il qúale tutti i
nostri padri (nonni...) e tutte le nostre madri (nonne...) hanno dato
vita a quell’UNO, che è il Testo della COSTITUZIONE, e il ’vecchio’
invito dell’Assemblea costituente (come don Lorenzo Milani
ci sollecitava nella sUa Lettera ai giudici, cfr. L’obbedienza non è più
una virtù) a "rendere consapevoli le nuove generazioni delle raggiunte
conquiste morali e sociali" e a riattivare la memoria
dell’origine dell’uno, che noi stessi e noi stesse siamo e che ci costituisce
in quanto esseri umani e cittadini - sovraní, sla rispetto a
noi stessi e a noi stesse sia rispetto agli altri e alle altre, e sui piano
personale e sul piano politico,
e di RAFFORZARE E VALoRIZZARE, in TUTTA la sua fondamentale e specifica portata, IL RUOLo e LA FUNZIONE deila SCUOLA DELLA nostra REPUBBLICA DEMOCRATICA.
P.S.
"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno
consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa
convinzione giace in fondo agli animi come una infezione laiente,
si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine
di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il
dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo*,
allora, al termine della catena, sta il lager.
Esso è il prodotto di una
concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa
coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano"
*
"Tutti gli stranieri sono nemici.
I nemici devono essere soppressi.
Tutti gli stranieri devono essere soppressi".
Primo Levi, Se questo è un uomo, Prefazione, Torino, Einaudi, 1973, pp. I 3-14.
Andiamo alla radice dei problemi. Perfezioniamo la conoscenza di noi stessi e di noi stesse. Riattiviamo la memoria dell’Unita, apriamo e riequilibriamo il campo della nosha, personale e collettiva, coscienza umana e politica.
Sigmund Freud aveva colto chiaramente la tragica confusione in cui la Chiesa cattolico-romana si era cacciata (cfr. L’uomo Mosè e la religione monoteistica): "scaturito da una religione del padre, il cristianesimo divenne una religione del figlio. Non sfuggì alla fatalità di doversi sbarazzare del padre" ... Giuseppe (gettato per la seconda volta nel pozzo) e di dover teorizzare, per il figlio, il ’matrimonio’ con la madre e, nello stesso tempo,la sua trasformazione in ’donna’ e ’sposa’ del Padre e Spirito Santo, che ’generano’ il figlio!
Karol Wojtyla, nonostante tutto il suo coraggio e tutta la sua sapienza, fa finta di niente e, nonostante il ’muro’ sia crollato e lo ’spettacolo’ sia finito, continua a fare l’attore e a interpretare il ruolo di Edipo, Re e Papa.
QUIS UT DEUS? Nessuno può occupare il posto dell’UNO. Non è meglio deporre le ’armi’ della cecità e della follia e, insieme e in pace, cercare di guarire le ferite nostre e della nostra Terra?
"GUARIAMO LA NOSTRA TERRA": è il motto della
"Commissione per la verità e la riconciliazione" voluta da Nelson
Mandela (nel 1995 e presieduta da Desmond Tutu). In segno di attiva
solidarietà, raccogliamo il Suo invito...
"La realtà è una passione. La cosa più cara" (Fulvio Papi). Cerchiamo
di liberare ii nostro cielo dalle vecchie idee. Benché diversi,
i suoi problemi sono anche i nostri, e i nostri sono anche i suoi...
E le ombre, se si allungano su tutta la Terra, nascondono la luce e portano il buio, da lui come da noi... "nell’attuale momento focale
della storia - come scriveva e sottolineava con forza Enzo Paci già
nel 1954 (cfr. E. Paci, Tempo e relazione, Milano, Il Saggiatore,
1965 - Il ed., p. 184) - la massima permanenza possibile della libertà
democratica coincide con la massina metamorfosí verso un
più giusto equilibrio sociale, non solo per un popolo ma per tutti i
popoli del mondo".
* * Cfr. Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide. Considerazioni attuali sulla fine della preistoria ..., Edizioni Ripostes, Roma-Salerno, Febbraio 2001, pp. 49-53.
CHE MISERIA!!! IL POPOLO D’ITALIA, IL POPOLO DELLA LIBERTA’, IPNOTIZZATO, GIORGIO NAPOLITANO CHE GRIDA "FORZA ITALIA", E SILVIO BERLUSCONI CHE RIDE E RIDE A CREPAPELLE!!!
A proposito delle Tracce ....
COME MAI L’ITALIA, DAL 1994 A OGGI, E’ UNO STATO CON "DUE" PRESIDENTI DELLA REPUBLICA?! Fondando il Partito "Forza Italia", il Partito "Popolo della Libertà" il cittadino Silvio Berlusconi si è appropriato indebitamente della Parola: ITALIA, e della sua IDENTITA’. Si svolgano proprie riflessioni sul fatto, sotto forma di Lettera al Presidente della Repubblica, il cittadino Giorgio Napolitano:
ALLEGATI:
1. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA: L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA (ART. 1), UNA E INDIVISIBILE (ART. 5). LA SUA BANDIERA E’ IL TRICOLORE (ART. 12)... E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ IL CAPO DELLO STATO E RAPPRESENTA L’UNITA’ NAZIONALE (ART. 87)
FAREI AVANZARE LA GIUSTIZIA, E LA LIBERTA’, E CANCELLEREI LA CARITA’. A partire dall’indicazione di Josè Saramago, svolgete vostre riflessioni...
Allegato:
SARAMAGO
"Io autore impegnato
perché mi sento un cittadino"
Un inedito del Nobel scomparso a 87 anni. "Non ho usato una sola frase in contrasto con le mie convinzioni politiche ma non ho mai posto la letteratura al servizio della mia ideologia"
di JOSE’ SARAMAGO *
COME scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino. Ritengo che dove va uno, dovrà andare l’altro. Non ricordo di aver scritto una sola parola che fosse in contraddizione con le mie convinzioni politiche. Ma questo non significa che abbia mai posto la letteratura al servizio diretto della mia ideologia. Voglio dire, piuttosto, che nella scrittura cerco, in ogni parola, di esprimere la totalità dell’uomo che sono.
Ripeto: non separo la condizione di scrittore da quella di cittadino, ma non confondo la condizione di scrittore con quella di militante politico. È ovvio che le persone mi conoscano più come scrittore, ma c’è anche chi, indipendentemente dal minore o maggiore valore che attribuisce alle opere che scrivo, pensa che quello che dico come cittadino comune gli interessi e importi. Nonostante sia lo scrittore, e solo lui, colui che porta sulle spalle la responsabilità di essere questa voce. Lo scrittore, se è uomo del suo tempo, se non è rimasto ancorato al passato, deve conoscere i problemi del tempo che gli è capitato di vivere. E quali sono i problemi oggi? Che non siamo in un mondo accettabile, esattamente il contrario, viviamo in un mondo che va di male in peggio e che a livello umano non serve.
Attenzione, però: che non si confonda quello che rivendico con una qualsiasi espressione moralizzante, con una letteratura che viene a dire alle persone come dovrebbero comportarsi. Sto parlando d’altro, della necessità di contenuti etici senza nessuna traccia di demagogia. E, condizione fondamentale, che non ci si separi mai dall’esigenza di un punto di vista critico.
© José Saramago & Editorial Caminho, S. A., Lisboa - 2010-05-21 by arrangement with literarische Agentur Mertin Inh. Nicole Witt e K., Frankfurt am Main, Germany . Per gentile concessione di Giangiacomo Feltrinelli Editore.
* la Repubblica, 19 giugno 2010
ECOLOGIA E AMBIENTE: MAREA NERA ED EFFETTO DOMINO. "Non possiamo consegnare ai nostri figli questo futuro" (Barack Obama)..
Materiali:
GRANDE EMERGENZA, COMUNICATO DI ALVOL LOOKING HORSE, LEADER SPIRITUALE DELLA NAZIONE LAKOTA.
A SCUOLA COME AL LAVORO: UNA CASERMA. LA COSTITUZIONE, L’AZIENDA, E IL SOGNO ATEO-DEVOTO DELL’IMPRENDITORE-PAPA:
I veleni dell’Ecomafia che investe sulla crisi
di Roberto Saviano (la Repubblica, 7 giugno 2010)
Raccontano che la crisi rifiuti è risolta. Che l’emergenza non c’è più. Gli elenchi dei soldati di camorra e ’ndrangheta arrestati dovrebbero rassicurare che la battaglia è vinta. O almeno, questa è la versione. Molto distante, però, da ciò che realmente accade. Ogni anno Legambiente attraverso il suo Osservatorio ambiente e legalità produce storie e numeri: "Ecomafia".
Quello dei rifiuti è uno dei business più redditizi che negli anni ha foraggiato le altre economie. Come il narcotraffico, il fare affari con i rifiuti, sotterrare scorie tossiche, devastare intere aree, ha permesso alle organizzazioni criminali e a semplici consorterie imprenditoriali di accumulare capitali poi necessari per specializzarli in altri settori. Catene di negozi, imprese di trasporti, proprietà di interi condomini, investimenti nel settore sanitario, campagne elettorali. Sono tutte economie sostenute con i rifiuti. Esempio lampante ne è l’economia campana e i suoi gangli politici che si sono strutturati intorno alla crisi rifiuti.
Il mondo intero non si spiegava come fosse possibile che un territorio in Europa vivesse una piaga tanto purulenta. Come fosse possibile che le dolcissime mele annurche o le pregiate bufale campane, caratteristiche proprio di quelle zone, potessero trasformarsi improvvisamente in prodotti rischiosi per la salute. Possibile che convenga di più avvelenare che concimare e raccogliere?
Evidentemente sì, basta saperne leggere i vantaggi. L’emergenza rifiuti in Campania è costata 780 milioni di euro l’anno. Questa è la cifra quantificata dalla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti nella scorsa legislatura che, moltiplicata per tre lustri (tanto è durata la crisi), equivale a un paio di leggi finanziarie. Di fronte a cifre come questa è comprensibile che nessuno avesse convenienza a porre rimedio all’emergenza. Rapporti di consulenza politica, assunzioni, e persino specializzazione delle ditte nello smaltimento; oggi le imprese campane del settore rifiuti, grazie anche ai soldi dell’emergenza e alla pubblicità - sembra assurdo parlare di pubblicità, no? - che ne hanno ricavato, sono tra le più richieste in Europa. Ma risolvere un’emergenza significa anche non averne più i benefici e gli utili. E in verità, nonostante i proclami, oggi si è risolto poco.
Si è tolta la spazzatura dalle strade ma, come afferma chi lavora nel settore, è solo fumo negli occhi, perché sta per tornarci. «Se non ci saranno altri impianti entro il 2011 la Campania, come molte regioni italiane, rischia una nuova crisi rifiuti». Sono parole dell’amministratore delegato dell’Asia (l’azienda che fornisce servizi di igiene ambientale ai napoletani.) Come un tempo, quindi, la spazzatura sta di nuovo per essere accumulata.
Resta quindi il problema di scongiurare una crisi da mancanza di discariche. Una crisi che sarebbe estremamente grave anche perché purtroppo in Italia sono ancora le discariche la valvola di sicurezza del sistema rifiuti. Come risulta dal rapporto di Enea e Federambiente queste continuano a ingoiare il 51,9 per cento del totale della spazzatura del nostro Paese e il 36,5 per cento senza nessun trattamento. Nel Sud le bonifiche delle terre avvelenate da decenni di sversamenti di veleni sono rare e lente. I rifiuti tossici hanno spalmato cancro prima nei terreni, poi nei frutti della terra, nelle falde acquifere, nell’aria. Poi addosso alla gente, nelle loro ossa e nei tessuti molli. Ogni ciclo di vita è stato compromesso.
La diossina, i metalli pesanti e le sostanze inquinanti vengono ingerite, respirate, assimilate come una qualunque altra sostanza. La pelle di ogni cittadino delle zone ammorbate trasuda sudore e scorie. Il cancro ha raggiunto percentuali molto più alte che negli altri Paesi europei. Gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica «The Lancet Oncology», già nel settembre 2004, parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite.
Ma l’ecomafia non è un fenomeno che appartiene solo al Sud. Nel Sud assume caratteristiche totalizzanti e più evidenti: nelle strade si inscena il dramma dei cassonetti incendiati, il puzzo accompagna ogni movimento, e il silenzio copre ogni cava, ogni singolo luogo dove è possibile accumulare e nascondere. Ma è sempre più il nord Italia il centro del vero business. E la novità di quest’anno, al di là del noto primato di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, è che il Lazio si posiziona al secondo posto tra le regioni con il più alto numero di reati ambientali.
Tra le inchieste più rilevanti del settore, nel 2009, ce ne sono alcune con nomi fantasiosi, talvolta anche vagamente familiari. "Golden Rubbish", "Replay", "Matassa", "Ecoterra", "Serenissima", "Laguna de Cerdos", "Parking Waste". Alcune, già dal nome si riescono anche a localizzare geograficamente, e tutte quelle che ho citato sono inchieste che riguardano il nord Italia. È evidente che il Nord ce la sta mettendo davvero tutta per non essere secondo al Sud in questa gara all’autodistruzione.
La "Golden Rubbish" è un’inchiesta che vede coinvolta la provincia di Grosseto, ma ancora conserva legami con Napoli e la Campania perché ha preso le mosse da un’inchiesta che riguardava la movimentazione dei rifiuti prodotti dalla bonifica del sito industriale contaminato di Bagnoli. Si tratta di un traffico spaventoso: un milione di tonnellate di rifiuti e un sistema che ha coinvolto decine e decine di aziende di caratura nazionale.
L’inchiesta "Replay" è tutta lombarda e l’organizzazione criminale sgominata operava tra Milano e Varese. Un affiliato al clan calabrese che fa capo a Giuseppe Onorato è finito in manette insieme a un manipolo di colletti bianchi, tra cui funzionari di banche. Lombarda è anche l’inchiesta denominata "Matassa".
È trentina, e precisamente della Valsugana, l’inchiesta "Ecoterra" che ha bloccato un traffico illecito di scorie di acciaierie che venivano riutilizzate, senza alcun trattamento, per coprire discariche o per bonifiche agrarie. Come dimenticare Porto Marghera, dove l’operazione "Serenissima" ha scoperto il traffico illecito di rifiuti diretti in Cina. Ma anche nelle Marche l’"Operazione Appennino" ha intercettato un flusso criminale di scarti derivanti dalle lavorazioni delle industrie agroalimentari e casearie.
È umbra, invece, nonostante il nome spagnoleggiante l’operazione "Laguna de Cerdos" un traffico illecito di rifiuti liquidi di origine suinicola per cui la regione e i singoli comuni si sono a lungo palleggiati le responsabilità. Friulana, invece è l’inchiesta "Parking Waste" che ha smascherato lo smaltimento illecito di medicinali scaduti. In tutte queste inchieste, l’aspetto che più colpisce è il legame strettissimo che si è creato tra gestori delle ditte di smaltimento, politici locali e istituti di credito presenti sul territorio.
Tra le altre cose, vale la pena ricordare che a marzo l’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per come ha gestito l’emergenza rifiuti in Campania. È stata condannata per "non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare di mettere in pericolo la salute umana e danneggiare l’ambiente". E nella sentenza si legge che l’Italia ha ammesso che "gli impianti esistenti e in funzione nella regione erano ben lontani dal soddisfare le sue esigenze reali".
Come non rimanere colpiti da questo dato: se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati, diverrebbero una montagna di 15.600 metri di altezza, con una base di tre ettari, quasi il doppio dell’Everest, alto 8850 metri.
Se un cittadino straniero conservava l’illusione delle colline toscane e del buon vino, delle belle donne e della pizza gustata osservando il Vesuvio da lontano mentre il mare luccica cristallino, qualcosa inesorabilmente cambia. Tutto assume una dimensione meno idilliaca e più sconcertante. La domanda più semplice che viene da porsi è come può un Paese che dovrebbe tutto al suo territorio, alla salvaguardia delle sue coste, al suo cielo, ai prodotti tipici, unici nelle loro caratteristiche, permettere uno scempio simile? La risposta è nel business: più di venti miliari di euro è il profitto annuo dell’Ecomafia, circa un quarto dell’intero fatturato delle mafie.
Le mafie attraverso gli affari nel settore ambientale ricavano un profitto superiore al profitto annuo della Fiat, che è di circa 200 milioni di euro, e più del profitto annuo di Benetton, che è di circa 120 milioni di euro. Quindi in realtà usare il territorio italiano come un’eterna miniera nella quale nascondere rifiuti è più redditizio che coltivare quelle stesse terre.
Tumulare in ogni spazio vuoto disponibile rifiuti di ogni genere costa meno tempo, meno sforzi, meno soldi. E dà profitti decisamente più alti. Bisogna guadagnare il più possibile e subito. Ogni progetto a lungo termine, ogni ipotesi che tenga conto di una declinazione del tempo al futuro viene vista come perdente. Un euro non guadagnato oggi è un euro perso domani. Questo è l’imperativo del nostro Paese che vede coincidere mentalità dell’imprenditoria legale e criminale.
Per difendere il Paese, per continuare a respirare, è necessario comprendere che in molte parti del territorio il cancro non è una sventura ma è causato da una precisa scelta decretata dall’imprenditoria criminale e che molti, troppi, hanno interesse a perpetrare.
O quello delle ecomafie diventa il tema principale della gestione politica del Paese, o questo veleno ci toglierà tutto ciò che aveva permesso di riconoscere il nostro territorio. La speranza è che questo allarme venga ascoltato, e che non si aspetti di sentire la puzza che affiori dalla terra, che tutto perda di luce e bellezza, che il cancro continui a dilagare prima di decidersi a fare qualcosa. Perché a quel punto sarebbe davvero troppo tardi. E coloro che sono stati chiamati i grandi diffamatori del Paese sarebbero rimpianti come Cassandre colpevolmente inascoltate.
©2010 Roberto Saviano/Agenzia Santachiara
(Il testo pubblicato è la prefazione al volume "Ecomafia" di Legambiente che sarà in libreria mercoledì 9 giugno)
LA CONFERENZA DI WANNSEE [942], OVVERO PONZIO PILATO (Titolo del capitolo settimo, del libro di Hannah Arendt, La banalità del male - Il titolo del capitolo ottavo è: "I doveri di un cittadino ligio alla legge").
UNA NOTA SULL’ORIENTAMENTO NEL PENSIERO (1786) - E NELLA REALTA’:
"In verità si è soliti dire che un potere superiore può privarci della libertà di parlare o di scrivere, ma non di pensare. Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non pensassimo per così dire in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri, e che ci comunicano i loro? Quindi si può ben dire che quel potere esterno che strappa agli uomini la libertà di comunicare pubblicamente i loro pensieri, li priva anche della libertà di pensare, cioè dell’unico tesoro rimastoci in mezzo a tutte le imposizioni sociali, il solo che ancora può consentirci di trovare rimedio ai mali di questa condizione." (Immanuel Kant: "Che cosa significa orientarsi nel pensiero" [1786], Adelphi edizioni, Milano, 1996, pp. 62-63 ).
Cara Ilenia
.... il guaio è proprio (cerca di comprendere la parole al di là del senso che tu le dai e non me ne volere!) che tu sei "portata", e non cammini ancora bene con i tuoi piedi.
Evidentemente sei stata molto "coccolata" dai tuoi e dalle tue proff.!!! Tu ti sei fatta "portare" e cullare sugli "allori" ... e tu li hai "coccolati" pure!!!
Queste tracce im-possibili non sono "impossibili" e non cercano molto. Tentano di fare solo questo: offrire qualche opportunità e sollecitare chi deve fare l’esame ad allenarsi ... e ad uscire dallo "stato di minorità" (Kant) - non solo in senso anagrafico e generazionale, ma nel senso forte di un essere umano maggiorenne, nel senso dell’autonomia del proprio giudizio e nel senso di un cittadino e di una cittadina di uno Stato democratico!
Queste tracce sono solo delle indicazioni e i materiali allegati sono alcuni spunti per riflettere sull’argomento ed elaborare idee proprie.
Mi auguro di essere stato chiaro. Ora, con calma, riprendi il tuo allenamento e vedrai che riuscirai a fare meglio e più di quanto tu non creda.
"Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelliggenza"(Kant)! E vedrai che tutto andrà benissimo!!!
Ancora coraggio!!! E in bocca al lupo!!!
Buon lavoro!!!
Federico La Sala
L’ITALIA, Il "MONOTEISMO" DELLA COSTITUZIONE, E IL "BAAL-LISMO" DEL MENTITORE (1994-2010). IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI, ATEI E DEVOTI ...
L’UNITA’ INDIVISIBILE DELLA REPUBBLICA E L’UNITA’ DEI CITTADINI: QUALE RAPPORTO? QUALE "UNITA’" SI VUOLE COSTRUIRE E CUSTODIRE?! QUELLA DELL’"UNO" DELLA LEGGE E DEL DIRITTO O QUELLA DELL’"UNO" DEL FUORILEGGE E DELLA MENZOGNA? QUALE UNITA’ DA CUSTORIRE. Una nota di Michele Ainis
(...) l’esperienza insegna che i valori costituzionali possono venire erosi gradualmente, in forme oblique, attraverso una pioggia d’episodi minori che in conclusione ne faccia marcire le radici. E questo pericolo chiama in causa non solo il Capo dello Stato, bensì ciascuno di noi, la vigilanza di ogni cittadino (...)
PER LA CRITICA DELL’ANTROPOLOGIA E DELLA TEOLOGIA MAMMONICA E FARAONICA. E PER L’USCITA DA INTERI MILLENNI DI "PREISTORIA" E DI "LABIRINTO" ...
(...) una bella e soddisfacente conclusione della sua vita: ha dato alla luce una bambina che cammina da sola e sta imparando già a ballare! Con l’aiuto di Edipo ha gettato una grande luce su Mosè e con l’aiuto di Mosè ha gettato una grande luce su Edipo. Con questo doppio movimento, egli ha liberato il cielo (...)
Il dovere del verbo
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 18/4/2010)
Un filo neanche molto sottile lega l’offensiva del presidente del Consiglio contro La piovra e Gomorra, e il divario crescente che lo separa da Gianfranco Fini. Il filo è costituito dal parlar-vero, sui mali italiani: da quello che Melville chiama, meditando in Moby Dick sul ruolo profetico, il dovere del verbo. Non è la prima volta che Berlusconi attacca La piovra. Lo ha già fatto il 28 novembre («Se trovo quelli che hanno fatto 9 serie sulla Piovra, e quelli che scrivono libri sulla mafia che vanno in giro in tutto il mondo a farci fare così bella figura, giuro li strozzo»).
L’assalto non era impulsivo: venerdì s’è esteso al libro di Roberto Saviano Gomorra. Ha detto testualmente: «(Dalle statistiche) la mafia italiana risulterebbe la sesta al mondo. Ma guarda caso è quella più conosciuta, perché c’è stato un supporto promozionale a quest’organizzazione criminale, che l’ha portata a essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra...». Se fuori casa appaiamo brutti, la colpa non è della mafia ma di chi fa vedere.
Allo stesso modo gli sono intollerabili le analisi negative sulla crisi economica mondiale, e infine il lavorio che Fini sta compiendo per costruire una destra conservatrice ma non populista, non xenofoba, con un forte senso della legge e soprattutto dello Stato: poiché è la sfiducia nello Stato che alimenta, a Sud come a Nord, la potenza mafiosa. I giornalisti narrano come alle critiche concrete del presidente della Camera, giovedì, Berlusconi rispondesse, macchinalmente, con slogan di piazza o frasi tipo: «Va tutto bene». Lo scisma della destra a Sud è disastroso e la Lega prevarica, osservava il primo, e lui replicava che a Sud la destra vince e che la Lega gli ubbidisce.
Vivo all’estero da tempo e posso certificarlo: se abbiamo ancora prestigio, presso i cittadini e i politici europei, è perché accanto al crimine esiste chi lo denuncia, a voce alta, rischiando la solitudine in patria e a volte la morte. Le sale si riempiono quando dall’Italia giungono Saviano, Travaglio, Tabucchi, descrivendo il regno d’un prepotente che controlla tutte le tv. Nei cinema, Gomorra e Il divo suscitano, oltre che spavento, ammirazione. Il giorno che Saviano visitò il Canada senza guardie del corpo, le giubbe rosse vollero scortarlo loro: per entusiasmo, e gratitudine. Non va dimenticato che la lotta antimafia di giudici e scrittori italiani aiuta molti Paesi ad arginare un crimine fattosi globale. Quando Falcone fu ucciso, nel maggio ’92, il giudice americano Richard Martin disse che mai sarebbe riuscito a smantellare Pizza Connection, senza Falcone. La mafia Usa fu combattuta da un trio composto da Falcone, Martin e Rudolph Giuliani, allora procuratore distrettuale di Manhattan. I metodi italiani antimafia sono un esempio mondiale. Non è con fiabe edificanti che correggiamo la storia. Fuori Italia, è a causa di Berlusconi che abbiamo problemi. Continuamente dobbiamo spiegare il suo successo, la sua malia, e non tanto lui quanto noi stessi.
Dice Saviano nella lettera al premier, pubblicata ieri da Repubblica, che «accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al Paese non è un modo per migliorare l’immagine italiana, quanto piuttosto per isolare» chi esplora tale potere. Senza narrazione veridica, niente riscatto: «È l’unica strada per dimostrare che siamo il Paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, non il Paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan». Berlusconi non l’ignora: sa quel che dice, e non teme di dirlo in nome di tutti gli italiani. Quando proclamò eroe Vittorio Mangano (ergastolo per due omicidi, appartenenza alla mafia, traffico di droga) fu il silenzio omertoso che esaltò come modello di virtù. L’arma principe contro le mafie - i pentiti, che lo Stato deve tutelare - veniva spuntata.
Infatti è stata spuntata, come spiega il giudice Nicola Gratteri quando evoca la battaglia alla ’ndrangheta. Gian Carlo Caselli sostiene che il discredito gettato sui pentiti - quindi su chi parla - non esisteva nel contrasto al terrorismo, ragion per cui quest’ultimo fu vinto e la mafia no (Le due guerre, Melampo 2009). Sono arrestati molti latitanti, non c’è dubbio: un successo del ministro dell’Interno, ma anche di magistrati e poliziotti non intralciati. In futuro lo saranno. Dice ancora Gratteri che quella sulle intercettazioni è «una legge spaventosa, che costruirà attorno alle mafie una diga di silenzio con il pretesto della “privacy”» (il suo libro, La malapianta, è pubblicato come Saviano da Mondadori, editrice del premier). Il silenzio è un regalo enorme alle mafie.
Anche per questo, perché l’omertà trascolora in eroismo, la mafia non spara come prima. Ma dilaga, specie a Nord. La legge del silenzio e la legge che silenzia: probabilmente è questa la stoffa di cui è fatto il patto politica-mafia, sotto la cui tenda viviamo. Ci ha protetti da attentati. Non ci protegge da una condiscendenza dilatata all’illegalità, dai profitti colossali della ’ndrangheta. Parlando degli elettori berlusconiani, Saviano osserva: «Molti di loro saranno rimasti sbigottiti e indignati dalle sue parole». Gli italiani, non solo di sinistra, si sono appassionati a Gomorra e alla Piovra (il primo film che parli di rapporti fra mafia, politica, finanzieri, massoni). La piovra ha agito sulle coscienze come il serial televisivo Olocausto sui tedeschi, nel 1979, o come sui francesi il film di Resnais sulla collaborazione, Notte e nebbia. Scoprire i propri lati oscuri è parte d’ogni guarigione, individuale o collettiva. È raccontare il proprio Paese com’è, per migliorarlo. Matilde Serao fece vedere che Napoli non era una cuccagna: nel Ventre di Napoli s’aggrovigliavano crimine e povertà. Grazie a lei la medicazione ebbe inizio.
Parlare vero è anche una barriera contro la degradazione della politica, contro i suoi vocaboli edulcoranti, i suoi eufemismi. È qui che il richiamo al dovere del verbo si allaccia alle vicende di Fini. Dell’Utri afferma che la politica gli serve per i processi di complicità con la mafia. Lo ha detto in un’intervista a Beatrice Borromeo, il 10 febbraio sul Fatto: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera». Lo ha ripetuto giovedì, al processo d’appello di Palermo. Ancora non si sa come finirà il conflitto Fini-Berlusconi, ma spegnersi del tutto non può: perché due visioni della destra si scontrano. Perché la contesa ha al proprio centro il dovere del verbo. Perché dall’antichità è con la parola che la politica comincia, o ricomincia. Perché l’attesa che si è creata non è piccola.
È vero: Fini ha inaugurato la sua diversità con il vocabolario e lo stile, prima che con le azioni; con discorsi sempre più affilati su temi decisivi come l’immigrazione, la legalità, la Costituzione. Dicono che qui è la sua debolezza, che mancano le politiche; che tutto è intellettualismo, maniera. «Fini dove va? Sono quattro gatti, sono dei fighetti», dice Berlusconi, e sa di poter contare su molti che la pensano così. Molti detrattori della parola, sospettata di non avere «radici nel territorio»: dunque radici nella paura, come la Lega. La retorica ha una fama cattiva, ma ha nobili tradizioni. Chi voglia riscoprirlo sfogli il periodico online di Farefuturo, la fondazione di Fini: spesso troverà i toni del j’accuse di Zola, che non è roba di fighetti. Il massimo politologo europeo è Machiavelli. È lui a smascherare l’opacità verbale, quando descrive riformatori religiosi come San Francesco: essi «lasciarono intendere che egli è male dir male del male», coprendo per questa via gli uomini della Chiesa. «Così quegli fanno il peggio che possono, perché non temono quella punizione che non veggono e non credono».
Il dovere del verbo non è altro che questo: dire male del male. Su mafia, crisi, sul parto così difficile di una destra non biliosa, equilibrata. Un male non imbellito da telegiornali che rincretiniscono con servizi sulla fine dei chewing-gum masticati, e che diventano - la formula è di Sabina Guzzanti - armi di distrazione di massa. Saremo apprezzati all’estero a queste condizioni. In Italia si dimenticano presto non solo i propri misfatti, ma anche le proprie grandezze e i propri uomini di valore.
Ipazia, la donna che osò sfidare la Chiesa in difesa della scienza
Il convegno Due giornate dedicate alla filosofa-astronoma martire in nome del libero pensiero
L’eroina Morì nel IV secolo d.C. per mano delle armate cristiane: voleva «insegnare a pensare»
Ospitiamo in questa pagina un articolo di Mariateresa Fumagalli, storica della filosofia, che anticipa i temi
dei quali parlerà al convegno dedicato a Ipazia il prossimo 20 aprile a Milano.
di Mariateresa Fumagalli (l’Unità, 13.04.2010)
Avvolta nel suo mantello Ipazia percorreva, libera e armata dalla ragione, le strade di Alessandria d’Egitto nel V secolo, parlando dell’Essere e del Bene, della inessenzialità delle cose materiali, della fragilità della vita, della bellezza della meditazione ai molti che la riconoscevano maestra di pensiero e di vita. «Atena in un corpo di Afrodite». Era naturale che qualcuno si innamorasse di lei e Ipazia con un gesto da filosofa «cinica» per disilludere l’innamorato mostrava le sue vesti intime macchiate del sangue mestruale a indicare lo «squallore della vita» e la verità dell’amore che deve superare il corpo.
Cosa insegnava Ipazia ammirata anche dai suoi allievi cristiani? In una città dove pagani, cristiani e ebrei convivevano non sempre in pace? È quasi impossibile saperlo con certezza: degli scritti di Ipazia, matematica astronoma e filosofa soprattutto, seguace della scuola di Platone e di Plotino nella turbolenta Alessandria d’Egitto di quei secoli, nulla è rimasto.
Paradossalmente quasi tutto quel che sappiamo del suo insegnamento lo apprendiamo dal suo allievo cristiano Sinesio, divenuto in seguito vescovo, ma non per questo meno filosofo. Sinesio la chiama «madre sorella e maestra» e nelle sue opere giovanili rispecchia probabilmente i temi del pensiero di Ipazia che si ispirava a sua volta a Plotino e, sembra, al suo allievo Porfirio.
Un altro cristiano (chiamato Socrate Scolastico per distinguerlo da quello antico, il maestro di Platone) scrive che Ipazia «con la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura si presentava in modo saggio davanti ai capi della città e non si vergognava di stare in mezzo agli uomini perché a causa della sua straordinaria sapienza tutti la rispettavano profondamente...». Dunque le cose erano un po’ più complicate di quel che appare nell’immagine convenzionale di Ipazia martire predestinata che in nome del libero pensiero e «in difesa della scienza sfida la chiesa».
Per prima cosa c’è da chiedersi «quale scienza e quale chiesa»? La scienza e la filosofia insegnata da Ipazia e dai neoplatonici, erano saperi congeniali a una religione della salvezza fondata sui valori dello spirito come il cristianesimo. Molti storici definiscono del resto la religione cristiana una forma di platonismo. Quanto alla religione cristiana oramai istituzionale, è vero, dopo gli editti di Costantino e Teodosio - la chiesa non era allora il corpo accentrato e potente che diverrà, e viveva conflitti interni violenti, divisa in nestoriani, ariani e altre sette. Niente di paragonabile alla forza organizzata e al pensiero solido della chiesa romana di un millennio dopo ai tempi di Galileo (paragone certamente anacronistico ma irresistibile a quanto pare).
Da dove nasceva allora il conflitto che opponeva filosofi e cristiani? «La divisione non avveniva fra monoteismo e politeismo» (E.R. Doods) come siamo abituati a credere: sia i filosofi pagani che quelli cristiani (Clemente, Origene, Gregorio Nisseno) pensavano che Dio fosse incorporeo, immutabile e al di là del pensiero umano. Per entrambi l’etica era «assimilazione a Dio»; si trattava tuttavia di sapienti che leggevano in parte gli stessi libri e assimilavano la virtù alla ragione.
UOMINI COLTI, UOMINI SEMPLICI
Ma una differenza c’era: la filosofia neoplatonica parlava agli uomini colti, mentre il Vangelo si rivolgeva ai «semplici», notava il pagano Celsio con disprezzo e il cristiano Origene con orgoglio. È in mezzo a questi «semplici» o «illetterati» che Ipazia trova i suoi nemici, cristiani che si rifugiavano per forza di cose nella fede cieca diventando strumento dei più fanatici come del resto aveva già notato ai suoi tempi, allarmato S. Gerolamo. È una storia che si ripete. La massa degli illetterati e dei diseredati non aveva difese contro la angoscia che invadeva le menti, agitava i sogni, annullava le speranze di quei tempi duri.
Alessandria, come e più di altre città di quei secoli, viveva in una situazione di incertezza materiale e politica, timore di guerre, perdita di identità, caduta del benessere, scomparsa del senso del bene comune, in una età segnata dall’angoscia.
Rancori profondi e paure indistinte armavano le mani di coloro che erano in grado solo di ubbidire alle voci più estreme ascoltando i suggerimenti di chi nutriva progetti personali di potere. Una donna che andava sola per le vie annunciando la bellezza della filosofia, ossia la via della liberazione attiva dalle passioni e i modi della contemplazione, era il bersaglio naturale dell’odio che nasceva dalla paura.
Ipazia parlava in pubblico infrangendo antiche leggi scritte e non scritte , sconvolgeva pericolosamente le misere certezze che i capi suggerivano: insegnava a pensare, proprio lei, una donna, quell’essere che Aristotele aveva insegnato essere un uomo «diminuito» e inferiore... La politica aggiunse legna al fuoco: Cirillo vescovo di Alessandria, celebre teologo, nemico del governatore imperiale Oreste a sua volte vicino a Ipazia, ispirò o forse ordinò l’omicidio terribile della filosofa. Nel 1882 Cirillo di Alessandria fu dichiarato da Leone XIII Santo e Dottore della Chiesa.
Due incontri
Da Canfora e Eco a proposito di Ipazia
l’Unità 13.4.10
In occasione dell’uscita in Italia il 23 aprile di «Agora», il nuovo lavoro di Alejandro Amenábar, la casa di distribuzione Mikado organizza due incontri per approfondire la vicenda del personaggio principale del film: Ipazia. Domani a Roma (ore 18,00, alla Sala Igea di Palazzo Mattei-Istituto della Enciclopedia Italiana, via Paganica, 3-4), in collaborazione con l’Istituto Treccani, interverranno il filologo e saggista Luciano Canfora, la storica bizantinista Silvia Ronchey, il filologo e critico letterario Carlo Ossola, il filosofo della scienza Giulio Giorello, i giornalisti Antonio Gnoli e Gabriella Caramore. A Milano, il 20 aprile alle 18, presso la Sala delle Colonne della Banca Popolare (via San Paolo, 12), in collaborazione con la rivista «Reset», saranno presenti all’incontro introdotto dal direttore della rivista Giancarlo Bosetti, lo scrittore Umberto Eco, la studiosa di diritto romano Eva Cantarella, il teologo Vito Mancuso, la medievalista Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri (che interviene in questa pagina). Parteciperà anche Alejandro Amenábar.
Amenábar, dopo Cannes finalmente arriva in Italia-l’Unità, 13.04.2010
Protagonista di «Agora», il nuovo film di Alejandro Amenábar (regista di «Mare Dentro» e «The Others»), è la regina Ipazia (interpretata dall’attrice Rachel Weisz), prima scienziata della storia, celebre per la sua attività di matematica e astronoma. La sua è una figura tragica, inghiottita da improvvisa morte violenta per mano di quelle armate cristiane che nel IV secolo dopo Cristo annientarono intere civiltà in nome della verità rivelata. Le guerre che ne seguirono videro molti intellettuali di estrazione platonica massacrati crudelmente, specialmente quando di sangue ebreo. Tra questi c’era anche Ipazia. Il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 23 aprile per Mikado, con enorme ritardo rispetto agli altri Paesi europei. «Agora» era stato presentato al Festival di Cannes 2009, tra applausi e fischi.
Ipazia
La donna che sfidò la Chiesa
Film, convegni, spettacoli teatrali dedicati alla figura femminile dell’antichità che in difesa della scienza e della filosofia affrontò la persecuzione fino alla morte
Fu Cirillo, vescovo cristiano di Alessandria, a eccitare la folla che la uccise
La lezione della ricerca della verità contro tutti i fondamentalismi religiosi
di Roberta De Monticelli (la Repubblica, 09.04.2010)
"Lo so,/per noi tutti che vi fummo insieme in quei tempi/ Alessandria vibra ancora della sua febbre fina/ e anche del suo un po’ frenetico deliquio...". Così Sinesio di Cirene, dotto poeta e ragionatore alessandrino, ricorda la città della sua giovinezza. La città dove si era consumata, fra la fine del IV secolo e l’inizio del V, nell’incendio della più grande biblioteca dell’Antichità, l’ultimo "sogno della ragione greca": simbolicamente massacrata nel marzo del 414 nel corpo di Ipazia. Essa fu matematica e filosofa neoplatonica, commentatrice di Platone e Plotino, Euclide, Archimede e Diofanto, inventrice del planisfero e dell’astrolabio - secondo quanto ci riportano le poche testimonianze giunte fino a noi. Perché della sua opera, come di quella del padre Teone, anche lui grande matematico, non c’è rimasto nulla. Eppure quei frammenti bastano a testimoniare la fama e l’ammirazione di cui godeva questa donna, che in Alessandria teneva scuola di filosofia.
La sua uccisione, scrisse Gibbon in Declino e caduta dell’impero romano, resta "una macchia indelebile" sul cristianesimo. Perché fu massacrata, pare, da una plebaglia fanatica ma eccitata alla vendetta, si dice, dal vescovo Cirillo. Fu vittima quindi di un gioco per la conquista della supremazia politica sulla città di Alessandria: ma il delitto inaugurava, con l’epoca cristiana, l’orrore della violenza che invoca il nome di Dio invano - per la verità in tutti i luoghi e i tempi dove una religione diventa istituzione di potere terreno. Era da poco in vigore l’editto di Teodosio, con il quale, nel 391, il cristianesimo era stato proclamato religione di stato.
Il Sinesio che ho citato è in realtà la voce di Mario Luzi, che nello splendido piccolo dramma Il libro di Ipazia, pubblicato nel 1978, fa dell’antico discepolo della filosofa alessandrina il testimone pensoso di un’epoca di trapasso, di tramonto e di nuova barbarie: "Città davvero mutata, talvolta cerco di capire/se nel tuo ventre guasto e sfatto/si rimescola una nuova vita/o soltanto la dissipazione di tutto./E non trovo risposta". E’ questa voce di poeta che prendiamo a guida di una possibile riflessione sull’impotenza della filosofia, della ricerca di ragioni e di luce anche per l’azione, quando essa lascia il suo "luogo alto, dove annidare la mente" e scende sulla piazza. Dove - come dice a Sinesio uno sconsolato amico - "l’intimazione della verità è un’arte di oggi,/come la persuasione lo fu di ieri". "Agora", appunto, si intitola il film su Ipazia del regista spagnolo Alejandro Amenábar, finalmente in arrivo anche da noi.
Si dice che sia "un duro atto d’accusa contro tutti i fondamentalismi religiosi", tanto duro nei confronti del neonato potere temporale della chiesa da aver subito addirittura ostacoli e ritardi alla sua programmazione nel nostro Paese. Vedremo: in attesa, può ben essere la splendida figura di questo vescovo perplesso a guidarci nella riflessione. "Il suo destino sembra esitare incerto sopra di lui".
Sinesio, neoplatonico lui stesso, fu davvero in seguito eletto vescovo di Cirene: quando ancora era indeciso fra i due mondi, ancora perduto nel sogno dell’armonia fra la ragione che governa le cose terrene e il soffio sottile di quelle divine. In un tempo in cui, invece - proprio come nel nostro - "la sorte della città è precaria/esige risoluzioni forti, parole chiare all’istante./Occorrono idee brevi e decise - oppure cinismo".
Ipazia poi è diventata simbolo di molte cose. Il contrasto fra gli Elementi di Euclide e la Bibbia, ad esempio - "le due summae del pensiero matematico greco e della mitologia ebraico cristiana", come scrisse Odifreddi". Oppure la possibilità provata che anche le donne sappiano pensare, ed eccellere addirittura nelle scienze matematiche: e se guardate in rete troverete ancora parecchie, un po’ incongrue, difese del pensiero "al femminile" condotte in suo nome (mentre parrebbe difficile dare un sesso alla geometria euclidea).
Ma noi ancora per un poco preferiamo farci guidare, prima ancora che dalla voce di Sinesio, da quella del poeta che lo anima. Mario Luzi ci accompagna fino nella più segreta stanza notturna di Ipazia, dove questa donna che "vede lontano", lontano al punto che "una luce d’aurora" promana da "quei discorsi accesi da un fuoco di crepuscolo" - conduce la sua ultima conversazione con Dio. "Sono come sei tu. Perché io sono te./Te e altro da te". E’ colta di sorpresa, Ipazia: e oppone resistenza: "Perché ti manifesti ora? Sono stanca/e mi credevo compiuta." Terribile la risposta: "Non lo sei ancora. C’è tutta l’enorme distesa del diverso,/del brutale, del violento/contrario alla geometria del tuo pensiero/che devi veramente intendere". Che devi veramente intendere: Ipazia così, nella perfetta fedeltà al suo essere, che è amore del vero, filosofia, ricerca, Ipazia alla cui parola "si addice la temperatura del fuoco" si avvia verso quello che già intravede come l’estremo sacrificio. "Non c’è ritirata possibile, Sinesio./ Qualcuno ci ha dato ascolto, in molti hanno creduto/nella forza redentrice della nostra voce di scienza e di ragione./Dobbiamo deflettere a lasciarli al loro disinganno?". E ancora, il poeta dà voce alla speranza che infine è quella di tutti noi, degli sconfitti: "La nostra causa è perduta, e questo lo so bene./Ma dopo? Che sappiamo del poi?/Il frutto scoppiato dissemina i suoi grani."
Ma non c’è scampo. Ipazia viene trascinata in una chiesa, e fatta a pezzi. "Così finisce il sogno della ragione ellenica./Così, sul pavimento di Cristo". Ecco: Ipazia e la sua Idea sono emblemi di un tale spessore, di una tale profondità intellettuale e spirituale, e di un modo d’essere fatto di luminosa intransigenza (così diverso da quello di Luzi, benché altrettanto preso nel sentimento dell’assoluto), che fantastico a volte potesse trattarsi di una figura capace di incarnare una vera alternativa - in quegli anni - alla dialettica indulgenza di "Sinesio". Cioè di Luzi.
Un ultimo sconsolato lume di intelligenza illumina una scena che si restringe paurosamente dopo questa tragedia. Alessandria è un ricordo lontano, e anche l’urto dei mondi, la trasvalutazione dei valori lo sono. La scena si chiude su una Cirene rimpicciolita fino a coincidere proprio con quella tanto piccola e meschina che è la nostra di oggi: "Spesso me lo ripeto:/ senza un’idea di sé/ da dare o da difendere/non si regna, si scivola a intrighi di taverna".
Tre convegni mentre arriva in Italia “Agora”. Parlano Canfora e Giorello
Tutti pazzi per Ipazia
di Paola Casella (Europa, 14 aprile 2010)
«Che succederebbe se osassimo vedere il mondo esattamente come è?». Se lo domanda Ipazia, filosofa, matematica e astronoma greca vissuta fra il 370 e il 415 dopo Cristo, in Agora, il film di Alejandro Amenábar presentato a Cannes esattamente un anno fa, vincitore di sette Goya (gli Oscar spagnoli) e finalmente in procinto di approdare sui nostri grandi schermi. Ipazia, che riuscì a conseguire un grande prestigio e diresse la scuola di filosofia neoplatonica di Alessandria d’Egitto, venne uccisa dai Parabolani, membri di una confraternita cristiana che, ricorda Luciano Canfora, «erano la guardia del corpo del vescovo Cirillo che dal suo pulpito inveì in maniera ossessiva contro Ipazia e la sua corrente di pensiero, in modo che i suoi seguaci fanatici capissero che andava fatta fuori».
Un mandante morale, come si direbbe oggi? «Qualcosa di più: Cirillo ripeteva una predica che faceva chiaramente capire qual era il bersaglio da colpire». Canfora è uno dei relatori dell’incontro-dibattito che si terrà oggi pomeriggio a Roma presso l’Istituto Treccani, con l’obiettivo di «ricostruire la vicenda storica di Ipazia, figura simbolo della libertà di pensiero, della conoscenza e della ragione, e approfondire il dibattito sulla dialettica scienza/religione e sul dialogo tra le religioni e la cultura laica» (un analogo dibattito, alla presenza del regista di Agora, seguirà il 20 aprile a Milano).
«Il massacro di Ipazia, il suo strazio, la cui crudezza nel film viene attenuata forse per non offendere troppo la sensibilità dello spettatore, fu una triplice offesa: alla libertà di coscienza, all’indipendenza della ricerca scientifica e matematica, e al corpo della donna», dice Giulio Giorello, anch’egli atteso all’incontro romano. «È questo che rende la storia di Agora particolarmente attuale: oggi i fondamentalismi imperversano contro la scienza, la donna e la libertà di religione. Del resto l’intolleranza, il fanatismo e la superstizione sono tre mostri continuamente risorgenti: per citare Brecht, il ventre che li ha partoriti è ancora fecondo».
Alcuni ipotizzano che la Chiesa cristiana non prenderà bene il ritratto fortemente negativo che viene dato dei suoi accoliti - e spiegano così il ritardo con il quale il film esce in Italia, distribuito da Mikado. «Sarebbe una scelta molto miope da parte di qualunque Chiesa cristiana prendersela con un film che mette in scena giudizi storici tratti da Socrate Scolastico, teologo cristiano del quinto secolo che denunciò con chiarezza l’uccisione di Ipazia da parte di un gruppo di fanatici: se la Chiesa vuole difendere i fanatici faccia pure, perderebbe l’occasione di effettuare un serio esame di coscienza, come diceva papa Wojtyla, sui propri errori storici», dice Giorello. «D’altronde l’Italia è il paese dove non si ha il coraggio di rivendicare l’audacia intellettuale di figure come Giordano Bruno, che si sa come è morto. Agora ha invece il coraggio di raccontare la storia di un vescovo che pretendeva il diritto di interferire nella vita civile e di un prefetto romano battezzato che, per contro, rivendicava i diritti dello stato laico».
«Agora non è un film anticristiano ma filorazionale, in un’epoca di fondamentalismi contrapposti di tipo fanatico», precisa Canfora. «Quando i papi, ed è vero per Ratzinger come per Wojtyla, si vogliono sfogare se la prendono con l’Illuminismo e il Razionalismo. Dato il clima oscurantistico nel quale rischiamo di scivolare, ben venga questo film. Mi parrebbe sommamente ridicolo che le Chiese protestassero contro una verità storica che hanno già cercato di occultare in vari modi. La stragrande maggioranza della pubblicistica di ispirazione cattolica si è infatti schierata a difesa del vescovo Cirillo. Presto pubblicherò su una rivista francese un saggio dal titolo “Le manipolazioni cattoliche del racconto della vicenda di Ipazia” in cui citerò vari esempi: fra questi il fatto che nel Dizionario ecclesiastico curato da Angelo Mercati, custode dell’archivio vaticano, alla voce “Ipazia” si legge che la fonte antica che parla della sua uccisione su istigazione di Cirillo non è credibile perché visse un secolo più tardi. Ma Socrate era contemporaneo di Ipazia e fu testimone diretto dei fatti. Del resto non è l’unica fonte: ad esempio parlano dell’assassinio di Ipazia anche voci autorevoli come Damascio e Malalas. Anche la Storia del cristianesimo di Charles Pietri, cristianista francese cattolico, pubblicata alla fine del secolo scorso, racconta con molta chiarezza come sono andate veramente le cose: a dimostrazione che ci sono anche cattolici seri e sensati».
Fra gli altri meriti di Agora, che entrambi gli studiosi ritengono filologicamente attendibile, a parte qualche piccola licenza poetica, c’è quello di ricordare la tragedia dell’incendio della biblioteca di Alessandria, sempre ad opera dei Parabolani. «A quei tempi non esisteva l’industria editoriale, i libri erano tutte copie individuali tramandate grazie al lavoro degli amanuensi», ricorda Canfora. «La gravità di quella vicenda la capisce solo chi ha un’idea di come si diffondevano i libri nel mondo antico. Distruggere un patrimonio così, buttare nel fuoco un pezzo unico della cultura fu una vera follia».
Fondamentale infine che al centro della vicenda ci sia una donna «odiata anche perché donna. In Agora Cirillo cita la prima lettera di Paolo Apostolo ai Corinzi dove si dice che la donna deve restare muta. E Paolo era il cofondatore della religione cristiana».
Ipazia, la congiura dei mediocri
In attesa di Agorà, ecco chi era la filosofa che diresse la scuola neoplatonica
Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti: per questo fu uccisa
di Giovanni Ghiselli (il Fatto, 22.04.2010)
Sta per uscire Agorà, il film di Amenábar su Ipazia, una donna di grande levatura uccisa nel 415 d. C. da monaci fanatici detti parabalani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Aspettando l’opera cinematografica, scopriamo chi era questa martire del pensiero. Utilizzerò fonti antiche: la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, le Epistole di Sinesio, un discepolo di Ipazia, neoplatonico e pure cristiano illuminato, che divenne vescovo di Tolemaide e morì poco prima di lei, rimpiangendone lo “spirito divinissimo”, poi un epigramma di Pallada, un maestro allontanato dalla scuola in quanto non cristiano, tutti contemporanei di Ipazia. Inoltre, la Vita di Isidoro di Damascio, ultimo scolarca dell’Accademia neoplatonica di Atene, fatta chiudere da Giustiniano nel 529. Gli autori sono concordi nel presentare Ipazia come intelligente, bella, generosa.
All’inizio del V secolo Alessandria era un centro commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente e pure una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Ma vediamo i testi a partire dall’epigramma di Pallada: “Quando ti osservo, mi prostro davanti a te e alle tue parole,/vedendo la casa astrale della vergine,/infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/Ipazia sacra, bellezza delle parole,/astro incontaminato della cultura”.
Ipazia nacque intorno al 370. Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche. La discepola divenne presto più brava del maestro. Diresse la scuola neoplatonica. Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche, geometriche, astronomiche e filosofiche. Per tali motivi suscitò invidia, l’anima della congiura dei mediocri contro l’individuo eccezionale. La mente del complotto era Cirillo: la venerazione e il prestigio che pretendeva come capo della religione vincente, andavano a una pagana, a una femmina!
Il rancore divenne pernicioso, per Ipazia, quando l’iniquo prelato vide una ressa di uomini davanti alla casa di lei. Motivi sessuali non c’erano: Damascio racconta che la donna era vergine, sebbene facesse innamorare molti, e, addirittura, a un uomo malato d’amore, “gettò una delle pezze usate per il mestruo e gli disse: questo tu ami, giovane, niente di bello”. Cirillo “si rodeva a tal punto che tramò la sua uccisione, fra tutte la più empia”. Si può dire di Ipazia quanto P. B. Shelley scrisse dell’eroina di Sofocle: “Che sublime ritratto di donna! Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un’Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”.
Ma torniamo ad Alessandria. Negli anni precedenti l’imperatore Teodosio “il Grande” aveva fatto distruggere gli edifici ellenici del culto e della cultura, e aveva promosso una serie di provvedimenti giuridici avversi al paganesimo. Teofilo, vescovo della città dal 385 al 412, un uomo violento, aveva eseguito con sadica sollecitudine, e Cirillo ne fu il degno erede e prosecutore, fino alla morte (444). Quindi venne proclamato Santo e Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorá, liberamente, culturalmente e politicamente. Il suo magistero rappresentava una resistenza alla volontà di cancellare il pensiero e l’arte dei Greci.
Il vescovo non sopportava che Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente, colpendolo in testa con una pietra. Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione cristiana. Sembra prefigurare il bandito della Magliana sepolto con i pii prelati. Nel 415 l’impero d’Oriente era retto da Pulcheria, figlia di Arcadio e nipote di Teodosio: ebbene costei era alleata di Cirillo. Ciò nondimeno “i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da Ipazia”, racconta Damascio. Cirillo bruciava di odio implacabile.
Vediamo la morte di Ipazia. Tornano in azione le squadracce che avevano tentato di uccidere Oreste. “Siccome ella si incontrava spesso con Oreste, l’invidia mise in giro la calunnia che fosse lei a non permettere che il prefetto si riconciliasse con il vescovo. Allora alcuni uomini infiammati si appostarono per sorprendere la donna mentre tornava a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa denominata Cesario.
Qui, strappatale la veste, la uccisero con dei cocci (ostrákois). Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, cancellarono ogni traccia di lei con il fuoco”. Fu attuata una forma inaudita, violentissima, di ostracismo. “Questo-conclude Socrate Scolastico procurò biasimo non piccolo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria ”. Un biasimo santo che si rinnova con il film Agorà. Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesario trasformato in cattedrale cristiana, e Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.
g.ghiselli@tin.it
Siate voi stessi il cambiamento che vorreste
Il nuovo saggio di Jacques Attali è una guida alla sopravvivenza alla crisi
Sette i principi della strategia da seguire: dal rispetto per se stessi all’empatia, dalla resistenza all’applicazione del pensiero rivoluzionario
Lezioni di vita
«Sopravvivere alla crisi. Sette lezioni di vita» di Jacques Attali è edito da Fazi (pagine 185, euro 17,50, traduz. E. Biotossi). «Il mio scopo scrive l’autore è quello di suggerire strategie precise e concrete che permettano a ognuno di “cercare uno spiraglio nella sventura” e di sapersi destreggiare tra gli ostacoli che si presenteranno, senza affidarsi ad altri per sopravvivere, per vivere meglio».
L’autore
Economista, scrittore e banchiere francese, Jacques Attali è nato ad Algeri il 1 novembre 1943. Ha vissuto ad Algeri fino al trasferimento della sua famiglia a Parigi nel 1956.
di Jacques Attali (l’Unità, 11.4.2010)
Un giorno o l’altro questa crisi si concluderà, come tutte le altre, lasciando dietro di sé innumerevoli vittime e qualche raro vincitore. Ma ciascuno di noi potrebbe anche uscirne in uno stato di gran lunga migliore di quello con cui ci siamo entrati. Questo a patto di comprenderne la logica e il percorso, di servirsi delle nuove conoscenze accumulate in vari settori, di contare soltanto su se stessi, di prendersi sul serio, di diventare attori del proprio destino e di adottare audaci strategie di sopravvivenza personale. (...)
Ma, nel frattempo, occorre salvarsi dalla crisi attuale. Perché, contrariamente a quanto vogliono far credere le grida di trionfo di qualche politico e di un ristretto gruppo di banchieri, la crisi finanziaria del 2008 che non faceva altro che rivelare quella economica che veniva da molto più lontano è lungi dall’essere terminata. (...)
L’incapacità dell’Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi, che è la causa più profonda di questa crisi, è lungi dall’essere stata riassorbita. E la strategia messa in atto finora dai governi per rimediare è riassumibile nel far finanziare dai contribuenti di dopodomani gli errori dei banchieri di ieri e i bonus dei banchieri di oggi.
Di fronte ai pericoli del prossimo decennio, chi vorrà sopravvivere dovrà, come le avanguardie del passato, accettare il fatto di non doversi più attendere nulla da nessuno; e che qualsiasi minaccia è anche un’opportunità per ognuno di noi, in quanto lo costringe a riconsiderare il proprio posto nel mondo, ad accelerare i cambiamenti nella sua vita, a mettere in atto un’etica, una morale, dei comportamenti, delle attività e delle alleanze radicalmente nuovi. Costui saprà che la sopravvivenza non implica per forza la necessità di aspettare questa o quella riforma generale, quella grazia o quel salvatore; che non esige la distruzione degli altri, ma soprattutto la costruzione di sé e l’attenta ricerca di alleati; che non risiede in un ottimismo illimitato, ma in un’estrema chiarezza in relazione a se stessi, in un desiderio selvaggio di trovare la propria ragion d’essere; la quale non è da costruire soltanto nel singolo momento, ma anche sul lungo periodo; la quale non è finalizzata alla conservazione di ciò che si è acquisito, ma può riguardare il superamento dell’ordine attuale; la quale non si limita soltanto a mantenere l’unità del proprio io, ma esige di prevedere tutte le possibili diversità.
Per arrivare a questo punto, costoro dovranno cominciare un lungo apprendistato relativo al controllo del sé, a cui nulla, per il momento, li prepara. (...) I sette principi di questo apprendistato saranno applicabili a qualsiasi epoca, qualsiasi minaccia e qualsiasi tipo di crisi. (...)
Questa strategia, frutto di un lungo ragionamento su quelle utilizzate finora, permetterà di sopravvivere in particolare ai rischi di disoccupazione, fallimento e declino. Essa si snoda, a mio parere, attorno a sette principi da attuare nell’ordine suggerito qui di seguito. Va da sé che la loro messa in opera richiede sforzi considerevoli e che pure io, come tutti, fatico molto a metterli in pratica.
1. Il rispetto di sé: innanzitutto, voler vivere, e non soltanto sopravvivere. Quindi, prendere pienamente coscienza di sé, attribuire importanza alla propria sorte, non provare né vergogna né odio verso se stessi. Rispettarsi e dunque cercare la propria ragione di vivere, imporsi un desiderio d’eccellenza in relazione al proprio corpo, alla propria conservazione, al proprio aspetto, alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Per raggiungere questo scopo, non bisogna attendersi nulla da nessuno; occorre contare soltanto su se stessi per definirsi; non bisogna avere paura davanti a una crisi, quale che sia la sua natura; occorre accettare la verità anche se non è piacevole da ammettere; e bisogna voler essere protagonisti, né ottimisti né pessimisti, del proprio futuro.
2. L’intensità: proiettarsi sul lungo periodo; formarsi una visione di sé, per sé, da qui a vent’anni, da reinventare incessantemente; saper scegliere di compiere un sacrificio immediato se può rivelarsi benefico sulla lunga distanza; nello stesso tempo, non dimenticare mai che il tempo è prezioso, perché si vive una volta sola, e che bisogna vivere ogni momento come se fosse l’ultimo.
3. L’empatia: in ogni crisi e di fronte a ogni minaccia, a ogni cambiamento radicale, bisogna mettersi al posto degli altri, avversari o potenziali alleati; comprendere le loro culture, i loro modi di ragionare, le loro motivazioni; anticipare i loro comportamenti per identificare tutte le minacce possibili e distinguere tra amici e potenziali nemici; bisogna essere amabili con glialtri, accoglierli per stringere con loro alleanze durature, praticare un altruismo interessato e, a tale scopo, fare mostra di una grande umiltà e di una piena disponibilità intellettuale; essere in particolare capaci di ammettere che un nemico può avere ragione senza provare vergogna o rabbia per questo.
4. La resilienza: una volta identificate le minacce, diverse per ogni tipo di crisi, occorre prepararsi a resistere mentalmente, moralmente, fisicamente, materialmente, finanziariamente se una di esse dovesse concretizzarsi. Di conseguenza, bisogna pensare a costituire difese, riserve, piani alternativi, abbondanza e sicurezza a sufficienza, ancora una volta a seconda del tipo di crisi da affrontare.
5. La creatività: se gli attacchi persistono e diventano strutturali, se la crisi si radicalizza o si iscrive in una tendenza irreversibile, bisogna imparare a trasformarli in opportunità; fare di una mancanza una fonte di progresso; volgere a proprio vantaggio la forza dell’avversario. Ciò esige un pensiero positivo, il rifiuto della rassegnazione, un coraggio e una creatività pratica. Queste qualità si forgiano e si allenano come i muscoli.
6. L’ubiquità: se gli attacchi continuano, sempre più destabilizzanti, e non è possibile nessun loro impiego positivo, bisogna prepararsi a cambiare radicalmente, a imitare il migliore di quelli che sanno resistere, a rimodellare la rappresentazione di sé per poter passare nel campo dei vincitori senza perdere il rispetto di se stessi. Occorre imparare a essere mobili nella propria identità e, perciò, tenersi pronti a essere doppi, dentro l’ambiguità e l’ubiquità.
7. Il pensiero rivoluzionario: infine, occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazione di legittima difesa, a osare il tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé. Quest’ultimo principio rinvia dunque al primo e tutti insieme formano così un sistema coerente, un cerchio. (...) Come diceva il Mahatma Gandhi: «Siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo».
Traduzione di Emilia Bitossi © 2010, Fazi Editore
Il medioevo che ci attende
La profezia di Jacques Attali
Sono le classi dirigenti ad alimentare l’incertezza, ingrediente fondamentale per mantenere il potere
Nel suo ultimo libro l’economista francese fornisce alcune ricette contro la crisi
L’impossibilità dell’Occidente di mantenere questo tenore di vita senza indebitarsi
Dovremo adattarci alla mancanza di solidarietà e alla necessità di cavarcela da soli
di ANAIS GINORI(la Repubblica, 09.04.2010)
PARIGI. Dopo la crisi, le crisi. «Nel prossimo decennio il mondo attraverserà cambiamenti radicali, solo in parte collegati all’attuale situazione finanziaria. Ciascuno di noi sarà minacciato e dovrà trovare gli strumenti per salvarsi».
Nel suo ultimo libro (Sopravvivere alle crisi, Fazi Editore), Jacques Attali profetizza un mondo sempre più precario e ostile, nel quale le classi dirigenti sono incapaci di pensare nel lungo periodo e anzi alimentano l’incertezza, ingrediente fondamentale per mantenere il potere. «Dovremo abituarci a cavarcela da soli, come le avanguardie del passato» spiega l’economista, ex consigliere di François Mitterrand e primo presidente della Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo.
Attali è uno degli intellettuali francesi più eclettici, capace di pubblicare opere su Karl Marx o sull’amore, ed è uno scrittore seriale. Si vanta di avere decine di libri già pronti nel cassetto, firma rubriche su molti giornali, colleziona consulenze e si occupa di Planet Finance, una Ong specializzata in progetti di microcredito. Instancabile, sempre di corsa. Come il mondo che prefigura.
Quali altre crisi ci aspettano?
«La crisi finanziaria del 2008 non è affatto terminata, nonostante i proclami trionfanti di qualche politico e banchiere. Quelli che gli anglosassoni definiscono "germogli" di ripresa sono, a mio avviso, soltanto segnali passeggeri. Molte banche continuano a essere insolventi, i prodotti speculativi più rischiosi si accumulano come e più di prima, i disavanzi pubblici sono ormai fuori controllo, il livello della produzione e il valore dei patrimoni restano in grandissima parte inferiori a quelli precedenti la crisi. La causa più profonda di questa crisi è l’impossibilità per l’Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi: su questo non è stata avviata un’adeguata riflessione».
Il peggio deve ancora venire?
«Nel 2020 la popolazione mondiale passerà da 7 a 8 miliardi e la classe media mondiale rappresenterà circa la metà degli individui che vorranno allinearsi al modello occidentale. Questo comporterà nuovi punti di criticità a livello ecologico. Nello stesso periodo assisteremo a progressi scientifici considerevoli, come le nanotecnologie, le neuroscienze, le biotecnologie. Ogni nuova scoperta scatenerà problemi etici e di possibili utilizzi secondari per scopi criminali o militari».
Tornando all’economia, dove finisce il tunnel?
«La congiuntura economica ci riserverà altre brutte sorprese. Personalmente, temo il ritorno dell’iperinflazione scatenata all’enorme liquidità creata dalle Banche centrali, la possibile esplosione della "bolla cinese" per colpa degli eccessivi crediti concessi e della sovraccapacità produttiva della Repubblica Popolare. Il sistema pubblico della sanità e dell’istruzione, per come l’abbiamo conosciuto finora, diventerà insostenibile per gli Stati. Il nostro stile di vita, sempre più precario e meno solidale. Chi vorrà sopravvivere dovrà accettare il fatto di non doversi più attendere nulla da nessuno. Andiamo verso un mondo che assomiglia al Medioevo».
Non le sembra esagerato parlare di un ritorno al passato remoto?
«Come nel Quattrocento, il potere sarà concentrato in alcune città e alcune corporazioni. Già oggi 40 città-regioni producono due terzi della ricchezza del mondo e sono il luogo dove si realizza il 90 per cento delle innovazioni. In mancanza di una vera organizzazione globale, si diffonderanno epidemie e catastrofi naturali climatiche ed ecologiche. Ci saranno sempre più zone "fuori controllo", dove imperverseranno organizzazioni criminali e bande armate. I ricchi dovranno rifugiarsi in moderne fortezze».
E tutto questo sarebbe dovuto anche all’incapacità delle classi dirigenti e al fallimento del sistema di governance mondiale?
«Di fronte a una crisi, qualunque essa sia, la maggioranza degli individui comincia con il negare la realtà. Purtroppo questo meccanismo si applica perfettamente anche alle imprese e alle nazioni. Finora i governi hanno adottato una strategia che fa finanziare dai futuri contribuenti gli errori dei banchieri di ieri e i bonus di quelli di oggi».
Lei ha presieduto la Commissione per la liberazione della crescita voluta dal governo Sarkozy, ma le riforme che aveva proposto sono state disattese. Anche nel caso della Francia manca il coraggio di preparare il futuro?
«Quello che più mi colpisce è che molti potenti vorrebbero tornare rapidamente al vecchio ordine, anche se è quello che ha scatenato la crisi finanziaria. Nell’attuale modello economico l’impresa è passata al servizio del capitale, a sua volta manipolato dalle leggi della Borsa. Le cose stanno così dal 1975, data dell’invenzione delle stock-options negli Stati Uniti».
Non è una visione troppo apocalittica?
«Non bisogna farsi prendere né dall’ottimismo né dal pessimismo. Negli ultimi 650 milioni di anni, la vita è praticamente scomparsa sette volte dalla superficie della Terra. Oggi rischiamo che succeda un’altra volta. Ma qualsiasi minaccia è anche un’opportunità. Quando si arriva a un punto di rottura siamo costretti a riconsiderare il nostro posto nel mondo e a cercare un’etica dei comportamenti completamente nuova. Sopravviverà di noi solo chi avrà fiducia in se stesso, chi non si rassegnerà. Ho affrontato parecchie crisi. E per questo ho pensato anche di raccogliere le mie lezioni di sopravvivenza».
Lei suggerisce il dono dell’ubiquità: cosa significa?
«I miei principi sono sette, da attuare nell’ordine. Innanzitutto bisogna partire dal rispetto di sé, e quindi prendere consapevolezza della propria persona, e dall’intensità, ovvero vivere pienamente sapendo proiettarsi nel lungo periodo. Ci sono poi l’empatia, indispensabile per capire gli altri, avversari o potenziali alleati, la resilienza che ci permette di costruire le nostre difese e la creatività per trasformare le minacce e gli attacchi in opportunità. Se questi cinque principi non funzionano bisogna cambiare radicalmente, coltivando l’ambiguità o persino l’ubiquità, imparando a essere mobili nella propria identità».
Ci lascia insomma un po’ di speranza...
«L’ultima lezione riguarda il pensiero rivoluzionario. In condizioni estreme, bisogna osare fino anche a violare le regole del gioco. Nessun organismo può sopravvivere senza operare una rivoluzione al suo interno. Ma tutto dovrà sempre partire dall’individuo. Come diceva Mahatma Gandhi: "Siate voi stessi il cambiamento che volete realizzare nel mondo"».
Ha appena pubblicato il primo "iperlibro", un volume cartaceo integrato da contributi audio e video. È questo il futuro della lettura?
«Non credo alla morte dei libri tradizionali. Ma è evidente che i giovani crescono imparando a leggere su uno schermo. Per loro sarà normale sfogliare una tavoletta elettronica come noi sfogliamo un libro. Anche quella dell’editoria è una crisi che si supera solo con il cambiamento».
"O sancta semplicitas! In mezzo a quale strana semplicità, in quale falsità, vive l’uomo!" sarebbe tutto così facile se ci fosse qualcuno in grado di sentire, di capire quelle che sono le necessità dell’uomo. Un "uomo" capace di manifestare i propri impulsi, un uomo capace di distinguere il bene dal male, un uomo che sappia agire nei limiti delle proprie parole, dei propri pensieri, in funzione di quel bene che s’era fissato... Non lo trovereste. Trovatemi un uomo che messo nelle condizioni di averne di più non ne prenderebbe ancora. "La causa sui è la miglior contraddizione di sè sin qui concepita, una sorta di stupro e artificiosità logica" ma è in realtà, vi dirò, "la causa sui" in realtà é la bibbia della società occidentale, della politica, dell’economia tutta o almeno della maggioranza... Sembra che le cose siano state stravolte del tutto, sembra di essere tornati qualche decennio in dietro, sì forse non è passato nemmeno un secolo, quando la nostra economia fece crack, e poi quando la nostra politica fece Crack, questo giro... abbiamo fatto CRACK! Sì, punto il dito verso la società tutta, o sempre, almeno quella maggioranza, che non ha imparato a vivere secondo quelle regole che si era dettata, che dopo tante guerre, lotte, dopo tanto sangue non ha onorato la propria vittoria più grande. Sì, perchè noi abbiamo vinto in realtà, voglio dire, su carta, noi abbiamo vinto! L’ONU! Quella è la più grande vittoria per il bene sul male possibile l’umanità tutta-ora qui me lo consento-, anche se a rigor di vero erano solo 192 paesi ad avere seduti a quel tavolo i loro rappresentanti a decidere i diritti ma anche i limiti dell’uomo. Qualcuno, più di uno, mi sembra, si sedette a tavolino e scrisse con stilografiche una costituzione; ancora prima si scrissero libri con penne d’oca che, anche loro, erano rivolti all’uomo per l’uomo. Purtroppo l’uomo si è dimenticato di sè stesso, o di nessuno, troppo stanco e impegnato a fare altro, distratto da quella che non era la sua natura ma che egli stesso aveva scelto. La soluzione a tutto l’avevamo trovata: era l’uomo, riconosciuto nei suoi limiti ma nella sua infinità... Ma me pare di essere caduti nel Paese delle Meraviglie dove tutto ciò che che non è sarebbe, e dove tutto ciò che non è è. Parlo da profana, ma l’economia non era quella cosa, quel qualcosa che avrebbe dovuto soddisfare dei bisogni?, sui libri c’è scritto bisogni di famiglia, allora com’è che le famiglie non arrivano a fine mese, che i bambini muoiono ogni giorno; scusate ma l’economia non era divenuta mondiale già da un po’... Ci hanno preso in giro ci hanno voluto far credere di avere la libertà di sceglierci in funzione di qualcosa che in realtà non volevamo. Ma cos’è questa cosa? L’egoismo, l’individualità, per dirla bella, potrà sembrare banale ma lì, dove si accresce il proprio Io a discapito di quello altrui, lì è situata la più grande falla della sociètà moderna, che in partenza, come idea nasce con tutte le potenzialità della società giusta, ma che però nei fatti mi sembra un po’ il declino dell’Ultima Respubblica. l’uomo, un uomo che voglia sopravvivere in questo mondo dettato da ideali inesistenti, ma che comunque fanno il mondo quello che è, e quindi fanno questa la realtà, quell’uomo, mi hanno insegnato, per cambiarlo, per sovvertire l’ordine delle cose deve sapersi affermare in quella realtà e una volta che abbia raggiunto quel fatidico momento in cui ha l’occasione di superarsi deve superarsi e superare quella falla dove tutti cadono e vengono risucchiati. in realtà la missione di quell’uomo sarebbe affermare un valore, e questa volta non monetario, da superare. o sintetizzare, si perchè questo è un pensiero che mi è balenato in mente spesse volte, decidere solo i limiti, le necessità, immaginate un mondo dove le guerre scoppiano solo per il valore della vita e non per soldi, immaginate che bel mondo se questi due singoli concetti fossero applicati in transfert con tutti le loro più svariate aggettivazioni... immaginate che bello cadere in mondo del genere. « Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte[1] nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole [...] » pensavo una decisione fosse un pensiero volitivo.
scusate so di essere uscita dal seminato, ho cominciato a scrivere e c’ho preso gusto, non ho letto nemmeno i documenti, è una notte un po’ insonne... ho letto molte delle traccie che avete proposto, non riuscivo a smettere di pensare e ho scritto a raffica-
buona notte
Le parole possono cambiare il mondo
di Roberto Saviano (la Repubblica, 25 marzo 2010)
L’autore di "Gomorra" torna con un libro e un dvd dal titolo "La parola contro la camorra". Ne anticipiamo un brano.
Spesso mi si chiede come sia possibile che delle parole possano mettere in crisi organizzazioni criminali potenti, capaci di contare su centinaia di uomini armati e su capitali forti. E come è possibile - questa domanda mi viene ripetuta spessissimo, soprattutto all’estero - che uno scrittore possa mettere in crisi organizzazioni capaci di fatturare miliardi di euro l’anno e di dominare territori vastissimi?
È complicato dare una sola risposta e, in verità, l’unica risposta che mi viene in mente, la più plausibile è che sia proprio la diffusione della parola a mettere paura. Non è lo scrittore, l’autore, non è neanche il libro in sé, né la parola da sola, che riesce ad accendere riflettori e per questo a mettere paura. Quello che realmente spaventa è che si possa venire a conoscenza di determinati eventi e, soprattutto, che si possano finalmente intravedere i meccanismi che li hanno provocati.
Quel che spaventa è che qualcuno possa d’improvviso avere la possibilità di capire come vanno le cose. Avere gli strumenti che svelino quel che sta dietro. E soprattutto avere la possibilità di percepire determinate storie come le proprie storie. Non più come storie lontane, non più come vicende geograficamente distanti, ma come facenti parte della propria vita. Allora ciò che più temono le organizzazioni criminali non è soltanto la luce continua che gli viene posta addosso, ma soprattutto che migliaia, forse milioni di persone in Italia e nel mondo, possano sentire le loro vicende e il loro destino come qualcosa che riguarda tutti.
Qualcuno può credere che questa sia una visione troppo mediatica e quindi distante dalla realtà. Ma non è così. Molti episodi dimostrano che l’attenzione, anche degli intellettuali e degli artisti, data alle organizzazioni criminali e a quello che accade intorno a loro ha realmente cambiato le cose e il destino di molte persone. La storia di Giuseppe Impastato, giornalista ucciso a Cinisi in Sicilia nel 1978, ne è un esempio. Quando Impastato fu ucciso, l’opinione pubblica venne inconsapevolmente condizionata dalle dichiarazioni che provenivano da Cosa Nostra. Che si fosse suicidato in una sottospecie di attentato kamikaze per far saltare in aria un binario. Questa era la versione ufficiale, data anche dalle forze dell’ordine. Poi, dopo più di vent’anni, esce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato - ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello, dalla mamma - ma, addirittura, la rende a tutti, come un dono. Un dono allo stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all’epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista.
È successo per molte persone. Pippo Fava, giornalista de I Siciliani, una rivista che stava dando molto fastidio a Cosa Nostra, viene ucciso mentre sta andando a prendere la nipotina a teatro. Gli sparano in testa, lo sfregiano. Gli omicidi delle organizzazioni criminali hanno sempre una sintassi simbolica. Sparare in faccia, per esempio, ha un significato diverso rispetto a sparare al petto. A Pippo Fava lo sfregiano, gli sparano alla nuca e pochissime ore dopo iniziano a diffondere la notizia, che poi diventerà la versione ufficiale nella società civile catanese - o forse bisognerebbe definirla incivile - che era stato ucciso perché «puppo», ovvero omosessuale, come dicono in Sicilia. Perché aveva messo le mani addosso a dei ragazzini fuori dalla scuola. Si erano inventati questa balla per delegittimarlo, per suscitare fastidio al solo pronunciare il suo nome. Per suscitare quella sensazione di diffidenza nelle persone, che trova terreno fertile in simili circostanze.
Chiunque si occupi di mafie sente questa melma intorno a sé: la melma della diffidenza. Io ci convivo da anni; dal primo giorno. Va di pari passo con la mia quotidianità sentire diffidenza, soprattutto quella degli addetti ai lavori, infastiditi spesso per il solo fatto che sei arrivato a molte persone. Questo, soprattutto, a intellettuali e giornalisti non torna. «Come mai sei arrivato a tante persone?» In un Paese dove chi arriva a tanti spesso è sceso a patti con qualche potere o ha scelto di compromettere le proprie parole. «Dove hai tradito? Dove ti sei venduto? Con chi ti sei alleato?». Il cinismo degli addetti ai lavori è sempre questo: arrivare a un pubblico vasto di lettori, di ascoltatori, di osservatori, significa tutto sommato accettare i codici più bassi, più biechi della comunicazione.
Ebbene, le organizzazioni criminali non sono tanto diverse nel valutare e nel delegittimare i propri nemici. Le organizzazioni criminali hanno necessità di portare avanti un assioma: chi è contro di noi lo fa per interesse personale. Chi è contro di noi sta diffamando il territorio, perché noi non esistiamo come loro ci raccontano. Chi è contro di noi è pagato da qualcuno per essere contro di noi. E, nella migliore delle ipotesi, sta facendo carriera personale su di noi.
Le parole, quando arrivano a molte persone, quando raccontano di certi poteri, diventano assai pericolose. Assai pericolose perché il rischio è che a difenderle debba essere il tuo corpo, il tuo sangue, la tua stessa carne. È successo a moltissimi scrittori, a moltissimi giornalisti. L’Italia ha una caratteristica che in genere, quando raccontano di noi, non viene riportata: l’Italia è un Paese cattivo. Molto cattivo. Perché è un Paese dove è difficile realizzarsi, dove il diritto sembra un privilegio.
La storia dell’antimafia spesso è una storia di enormi cattiverie e quando me ne rendo conto non riesco a capire come sia possibile, di fronte a delle vicende tragiche e tutto sommato chiare.
La morte di don Peppe Diana, per esempio. La morte di un uomo, un ragazzo, ammazzato poco più che trentenne, sul cui conto, per anni, si è detto di tutto. Che fosse stato ucciso per presunte relazioni con delle donne, che avesse collaborato con un clan. Che era morto perché anche lui colluso e non perché aveva scritto un documento, Per amore del mio popolo non tacerò, che aveva dato molto fastidio ai poteri criminali. In quel documento, don Diana, segnalava la strada che avrebbe seguito in quanto prete di Casal di Principe. Lì dichiarava quale fosse il compito di un prete in quelle terre, cioè raccontare, denunciare e, appunto, non tacere.
La morte, così, diventa la garanzia che ciò che hai detto e fatto è vero, o quantomeno che ci hai creduto sino in fondo. Questo mio è un ragionamento difficile da capire e mi rendo conto che chiedo uno sforzo enorme a chi mi sta leggendo. Però è uno sforzo che vale la pena fare per capire come funzioni il meccanismo della parola. Anna Politkovskaja, scrittrice e giornalista russa, viene uccisa e il giorno stesso della sua esecuzione il marito dichiara di provare, oltre a un profondo dolore, anche un sentimento di serenità, quasi di sollievo. Stupisce tutti. Perché serenità? Perché sollievo? Com’è possibile? «Perché so», spiega lui «che almeno con la morte non potrà più essere diffamata». Pochi giorni prima che Anna morisse, avevano tentato di sequestrarla, per narcotizzarla e farle delle foto erotiche da diffondere sui giornali di gossip. Di fronte a una delegittimazione del genere puoi invocare solo la morte. Chi lavora con le parole, con le parole che spaventano certi poteri, sa benissimo che quegli stessi poteri non possono consentire che tu abbia contemporaneamente autorevolezza e vita. O l’una o l’altra. Se hai la vita non hai l’autorevolezza, se hai l’autorevolezza non hai la vita.
Tantissimi scrittori e magistrati si sono trovati nella necessità di dover scegliere. Io stesso ho avuto a che fare, in questi anni, con molti magistrati che hanno affrontato la paura, il terrore di dover morire ma ancor più di essere delegittimati. Come si può salvare la parola da questa terribile doppia condanna? Facendo sì che non appartenga più a una singola persona. La parola, se smette di essere mia, di altri dieci, di altri quindici, di altri venti e diventa di migliaia di persone, non si può più delegittimare, perché anche se si delegittima me quelle parole sono già diventate di altri. E se anche si dovesse eliminare fisicamente la persona che per prima le ha pronunciate, sarebbe comunque troppo tardi.
So bene che si rischia di essere tacciati di eccessivo romanticismo se si pronunciano espressioni come «parola usata da molti», «parola contro il potere». Ma sono convinto che far diventare concreta una parola significhi innanzitutto consentirle una piena realizzazione nel quotidiano. E affinché la parola diventi realmente efficace contro le mafie non deve concedere tregua. Il grande sogno che hanno alcuni scrittori è quello che le loro parole possano mutare la realtà, che le loro parole, magari nel tempo, possano effettivamente indirizzare il percorso umano verso nuove strade.
Certo mi rendo conto che nessuno può isolare il momento esatto in cui Dostoevskij o Tolstoj hanno modificato, indirizzato o semplicemente suggestionato il pensiero umano. Non è che un mese dopo l’uscita dei loro scritti qualcosa immediatamente sia cambiato. Nessuno può dire quale sia il peso reale della Metamorfosi di Kafka oppure delle parole di Ovidio. Nessuno può dire quanto abbiano reso migliori o peggiori o indifferenti gli esseri umani.
Ma chi ha la possibilità e lo strano e drammatico privilegio di vedere le proprie parole agire nella realtà, quando ancora è in vita, quando ancora il suo libro è caldo, allora questo scrittore può accorgersi di quanto effettivamente il peso specifico delle sue parole stia entrando nella quotidianità, contribuendo a modificare i comportamenti delle persone. Quando questo accade ti rendi conto che il potere reale che hanno le parole è davvero infinito, ancor di più perché è un potere anarchico. Un potere che si basa sulla condivisione e sulla persuasione non è più un potere e la parola, quando viene accolta, non suscita più diffidenza e paura. E quando questo accade, significa che qualcosa sta cambiando, che qualcosa è già cambiato, che nessuno può più permettersi di ignorare certi argomenti, di relazionarsi a certi territori e a certe logiche.
Io vengo da una terra complicata dove ogni cosa è gestita dai poteri criminali. Tutto è a loro sottoposto e tutto è loro espressione, dalla sessualità alla cronaca locale. Ed è proprio partendo dalla cronaca locale che ho voluto raccontare il mio territorio per mostrare che esiste un modo di raccontare giorno per giorno la cronaca, nelle edicole, sui giornali che poi arriveranno nei bar, che circoleranno nelle salumerie, dai barbieri, che aderisce completamente al linguaggio e alle logiche delle organizzazioni criminali.
Si dirà che sono giornali che hanno tirature molto basse e diffusione limitata a quelle zone. Ma è esattamente in quelle zone che loro devono circolare. È lì che devono comunicare, costruire opinioni e far aderire il lettore alle logiche di camorra. È lì che deve essere considerato normale che un pentito venga definito infame. Che chi muore combattendo le organizzazioni criminali venga immediatamente riportato alla sua dimensione mediocre di uomo come tutti.
Perché chi si oppone - secondo la loro ottica - non si sta opponendo al sistema di cose, si sta opponendo perché vuole guadagnare di più, perché vuole spazio maggiore. Si è pentito perché non è diventato capo. Ci sta denunciando perché non l’abbiamo fatto guadagnare, perché vuole prendere il nostro posto. Ne sta scrivendo perché non ha il fegato o le capacità per diventare uno di noi e allora fa l’anticamorrista.
L’elemento fondamentale per questi poteri è dimostrare che tutti abbiamo vizi, tutti siamo sporchi, tutti seguiamo due cose: il potere, e dunque fama e denaro, e le donne. O gli uomini, naturalmente. Segnalare che si possa non essere santi o eroi, ma uomini diversi, con tutte le contraddizioni del caso, questo, invece, dà fastidio, mette paura, perché sarebbe come ammettere che si può cambiare anche senza dover compromettere la propria vita o dover raggiungere chissà quali gradi di perfezione o sacrificio. Che non si può essere, non si deve essere soltanto marci, soltanto disposti ad accettare il compromesso.
Molti chiedono a chi si pone contro le organizzazioni criminali perché lo faccia. C’è un corridore, un atleta, un recordman dei cento metri, a cui hanno chiesto una volta perché avesse deciso di correre. E la sua risposta è la risposta che io do a me stesso e a chi ogni volta mi chiede perché mi occupi di certi temi e perché continui a vivere questa vita infernale. A questo corridore chiesero: «Ma perché corri?» E lui rispose: «Perché io corro? ... perché tu ti sei fermato?». Anche a me piace rispondere così. Quando mi chiedono perché racconto, rispondo semplicemente: «... e perché tu non racconti?».
Cav. che abbaia
di Massimo Gramellini (La Stampa, 18 marzo 2010)
Nei Paesi normali, un capo del governo che urla a un’autorità dello Stato «fate schifo», «siete una barzelletta» e ordina di chiudere un programma del servizio pubblico sarebbe costretto ad andarsene nel giro di un’ora. Sempre in quei famosi Paesi, quando un’autorità dello Stato viene trattata dal capo del governo alla stregua di una cameriera, si dimette in un sussulto d’orgoglio oppure esegue l’ordine.
Ma noi siamo nella terra degli arlecchini: più servili che servi. Tutti inchini e promesse, niente sostanza. Attraverso il sipario trasparente delle intercettazioni osserviamo questi funzionari mentre si sorbiscono le reprimende del Capo in silenzio (il silenzio degli Innocenzi). Cercano di ammansirlo con parole vaghe, alzano fumo, ma alla fine che fanno? Niente. Lasciano Santoro al suo posto (per fermarlo un misero mese hanno dovuto appiedare pure Vespa) e il Cav. in preda a un delirio di onni-impotenza. Poi, passata la tempesta telefonica, si sfogano con gli amici: «Aho’, quello me manda a fare in c. ogni tre ore!». E lo dicono senza dignità, ma anche senza paura, come se la loro essenza millenaria di burocrati li mettesse al riparo persino dalle ire del padrone.
Montanelli sosteneva che durante il ventennio l’unica resistenza al fascismo la fecero gli impiegati pubblici, contro l’abolizione della pausa cappuccino. Chinavano il capo, allargavano le braccia. E continuavano ad andare al bar. Fu pensando a loro che Mussolini ammise: «Governare gli italiani non è difficile, è inutile». Una grave iattura, certo, ma talvolta consente di evitarne di peggiori.
Il presidente della Repubblica alla cerimonia di commemorazione delle 335 vittime delle Fosse Ardeatine
"Dalla tragedia della guerra e barbarie nazista è scaturita la fondazione dello Stato democratico"
Napolitano: "Rispettare e onorare
la Costituzione e tutte le istituzioni" *
ROMA - "Noi dobbiamo onorare la Costituzione anche rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico", ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lasciando le Fosse Ardeatine dove ha presenziato la cerimonia di commemorazione delle 335 vittime dell’eccidio nazista del 24 marzo 1944 di cui ricorre oggi il 66esimo anniversario.
Dopo aver visitato il sacrario, il presidente della Repubblica si è soffermato un attimo riflettendo ad alta voce: "Ho il dovere, come si sa e come è scritto nella Costituzione, di rappresentare l’unità nazionale", e quindi "sono qui per ribadire cosa abbia rappresentato il superamento della guerra e della tragica esperienza della barbarie nazista". Tragedia dalla quale è scaturita "la fondazione dello Stato democratico e la Costituzione, che noi dobbiamo onorare anche rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico". "Tenere unito il Paese, non penso ad altro che a questo: a come influire su questo per la mia parte", ha aggiunto Napolitano, spiegando come intende la sua funzione costituzionale di rappresentante dell’unità nazionale.
Napolitano ha partecipato alla cerimonia insieme al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e al vicepresidente del Senato, Vannino Chiti. All’iniziativa hanno preso parte anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, il vice governatore del Lazio, Esterino Montino, la candidata del centrodestra alle Presidenza della Regione Renata Polverini, il capo di stato maggiore della difesa Vincenzo Camporini, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e Armando Cossutta.
Il presidente Napolitano, affiancato dal ministro La Russa, ha deposto una corona d’alloro all’ingresso delle Fosse Ardeatine, osservando un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime. Quindi, dopo il "Silenzio" suonato dal picchetto dei Lancieri di Montebello, è iniziato il mesto appello della 335 vittime della strage nazista. Al termine il capo dello Stato è stato salutato da alcune scolaresche presenti alla cerimonia e ha osservato che "i giovani partecipano come mai avvenuto prima".
* la Repubblica, 24 marzo 2010
Cattiva educazione
di MARCO ROSSI DORIA *
Questi sono giorni cupi per chi - per condizione esistenziale o per mestiere - assolve a funzioni educative. Infatti la vicenda delle liste elettorali ha molte conseguenze nella vicenda politica e in quella relativa al più vasto patto tra cittadini e tra questi e le Istituzioni.
Ma rappresenta anche una ferita mortale a quella decisiva funzione umana che è l’educare.
Noi tutti, infatti, possiamo pretendere di educare i nostri figli, gli alunni o chi da noi vuole imparare un’arte o uno sport, solo se sono salvate alcune inderogabili condizioni. Se ci assumiamo il carico dell’esempio e del modello da fornire e, dunque, curiamo noi per primi la coerenza tra i proponimenti dichiarati e i comportamenti. Se presidiamo con costanza le procedure, le regole e i limiti, permettendo, in tal modo, ai più giovani di potervi fare i conti attraverso la adesione progressiva, per prove ed errori.
Ma poiché il mondo è imperfetto e noi con esso, dobbiamo anche assumerci - nella umana possibilità che le regole vengano disattese - l’onere di pretendere l’umiltà necessaria a rimediare alle conseguenze di tale disattesa. E se questo vale per i più giovani, vale a maggior ragione quanto più si è avanti negli anni e quante maggiori responsabilità si assumono. E’ per questo che si educa al saper chiedere scusa sapendola chiedere a nostra volta. E che si attribuisce generale valore alla fatica delle ammissioni pubbliche di inadeguatezza ed errore. E che le si accoglie quando vi è una qualche sincera forma di contrizione e una riflessione leale sugli sbagli commessi. E non quando c’è la pretesa di avere torto e di invocare al contempo ragione.
Nel modo in cui si è preteso di rimediare al «pasticcio» sulla presentazione delle liste, ben al di là del merito della soluzione trovata, è evidente che chi occupa la posizione non solo politica ma simbolica del governo del Paese ha disatteso a queste funzioni adulte. E ha procurato una ferita simbolica severa al nostro poter educare. E con ciò ha indebolito - più di quanto già non lo sia - il papà che pretende coerenza tra la promessa ricevuta e gli atti del proprio figlio, il preside che prova a far rispettare gli orari e, se questi vengono disattesi, pretende le scuse prima della riammissione in aula, il mister della squadra di calcio di adolescenti di periferia che chiede ai ragazzi di seguire le regole e di rispettare l’arbitro e anche di ammettere il fallo commesso, la maestra di scuola d’infanzia che chiede alla bimba di quattro anni di non sgomitare per arrivare prima dei compagni e, se rimessa in fondo alla fila, di non pretendere di avere avuto ragione comunque.
Ci può essere una via di uscita? Certo. Chiedere scusa. Semplicemente e seriamente. Con la generosità leale che il gesto richiede. Sapendo che poi ci saranno degli atti conseguenti, da costruire insieme agli altri. Che dovranno a loro volta disporsi per farlo. Come accade per ogni riparazione. E se, per una volta, miracolosamente, questo fosse accaduto, sarebbe stato un piccolo regalo alla capacità di questo Paese di ritornare ad educare.
* La Stampa, 10/3/2010
COSTITUZIONE E CITTADINANZA. Lezione dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti: Se un cittadino-sovrano, una cittadina-sovrana, "pecora si fa, il lupo se la mangia"!!!
Stazionaria ’La Sapiena’ al 205esimo posto
Università, una ricerca internazionale boccia l’Italia: meglio di noi Corea, Taiwan e Australia
Roma, 8 ott. (Adnkronos/Ign) - L’unico ateneo presente nelle top 200 é l’Alma Mater di Bologna. L’Harvard university, Stati Uniti, mantiene saldamente il primo posto del ranking internazionale. Segue l’ateneo britannico di Cambridge che si piazza in seconda posizione davanti a Yale
Roma, 8 ott. (Adnkronos/Ign) - Una vera e propria debacle per l’università italiana, superata anche da Corea e Taiwan. E’ quello che emerge dalla classifica internazionale annuale sui migliori 200 atenei al mondo, messa a punto da QS Intelligence Unit e pubblicata dal Times Higher Education. Nella lista la prima università del Belpaese si trova infatti al 174mo: si tratta dell’Alma Mater di Bologna che, rispetto allo scorso anno è salita in graduatoria guadagnando otto posizioni e si piazza prima della Sapienza, la più grande università italiana ferma al 205° gradino, come nel 2008.
L’Harvard university, Stati Uniti, mantiene saldamente il primo posto del ranking internazionale per il sesto anno consecutivo. Segue l’ateneo britannico di Cambridge che si piazza in seconda posizione davanti a Yale, che passa dal secondo al terzo posto. Il quarto in classifica è un altro college londinese l’Ucl (University College London), seguito da Oxford che si conferma al quinto posto, ex equo con l’Imperial College London. Seguono a ruota la University of Chicago e l’ateneo di Princeton, il Massachusetts Institute of Technology e il California Institute of Technology, in decima posizione.
L’Australia, arriva al 17° posto con l’Australian National University, seguita dal Canada in 18ma posizion. Sono invece 39 le università europee rappresentate tra le top 100 (erano 36 nel 2008) guidate dal famoso ETH di Zurigo che ottiene la 20ma posizione. La francia compare al 28° posto con l’Ecole normale Superieure di Parigi.
Tra le 100 migliori università si nota che scende il numero di università nordamericane (42 nel 2008; 36 nel 2009), mentre cresce la presenza delle università europee e asiatiche, in particolare Giappone, Hong Kong, Corea del Sud e Malesia. Senza dimenticare Singapore il cui ateneo si piazza al 30esimo posto.
Il Giappone conta infatti ben 11 istituti nella top 200, tra cui due new entry: l’Università di Tsukuba, (174ma) e la Keio University che ha debuttato al 142esimo. E tra le prime 100 posizioni gli atenei del Sol Levante sono aumentati da quattro a sei, guidati dall’Università di Tokyo al 22° posto (dal 19).
Meglio dell’Italia anche la Corea , che con l’Ateneo di Seul si colloca in 47esima posizione, l’University of Adelaide dell’Australia, che si colloca all’81mo posto, la Nagoya del Giappone al 92mo e Taiwan al 95mo. A sorpassarci sono anche l’India con l’Indian Institute of Technology di Bombay, 163ma in classifica, la Russia con il Saint-Petersburg State University, 168ma e la Spagna con l’Universita’ di Barcellona che e’ 171ma in classifica.
Dopo i primi scaglioni, al 205mo posto si trova ’La Sapienza’, che, rispetto allo scorso anno rimane stazionaria. Ormai giunta alla sesta edizione la classifica è usata non solo da studenti e genitori per scegliere il percorso di studio migliore, ma anche dalle aziende per identificare le università dalle quali assumere neolaureati e dagli accademici per selezionare le istituzioni dove lavorare e quelle con cui formare collaborazioni.
La Stampa, 25/6/2009 (12:6)
- LA PRIMA PROVA
Ecco le tracce dei temi di maturità
TESTO INTEGRALE DELLE TRACCE IN PDF, CLICCA QUI.
In sintesi le tracce dei temi di maturità:
Tipologia A: Analisi di un testo Commento di un passo della Prefazione della Coscienza di Zeno.
Tipologia B: articolo di giornale o saggio breve
Ambito letterario: l’innamoramento e l’amore attraverso i testi di Catullo, Dante, Gozzano, Leopardi e altri
Ambito socio-economico: 2009 anno della creatività e dell’innovazione
Ambito storico-politico: Origine e sviluppo della cultura giovanile
Ambito tecnico-scientifico: Social Network, Internet e New Media attraverso i testi di Bajani e Benkler
Tipologia C: tema di argomento storico "Nel 2011 si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Successione di tre tipi di regime. Il candidato si soffermi sul passaggio dal regime liberale monarchico a quello fascista e da quello fascista a quello democratico repubblicano"
Tipologia D: tema di ordine generale "Con legge 61 del 15 aprile 2005 ,il 9 novembre è stato dichiarato giorno della libertà,quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di berlino,evento simbolo per la liberazione di paesi oppressi e auspicio per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.a 20 anni dalla caduta del muro di berlino,il candidato rifletta sul valore simbolico di quell’evento ed esprima la propria opinione sul significato di libertà e democrazia"
Svevo, Unità d’Italia, Social Network e Internet: ecco i titoli dei temi della maturità 2009
ultimo aggiornamento: 25 giugno, ore 09:15
Roma - (Ign) - Con la prima prova scritta al via l’esame di Stato per 500 mila studenti. Come negli anni precedenti, i temi sono 5: Analisi di un testo letterario - Coscienza di Svevo - Innamoramento e amore Catullo e altri; Produzione di un saggio breve - 2009 l’anno dell’innovazione; Produzione di un articolo di giornale - 20 anni da muro di Berlino; Tema di argomento storico - 2011 - 150 anni dell’Unità d’Italia; Tema di attualità - Social Network e Internet.
Ansa» 2009-06-25 09:02
MATURITA’: TEMI; SVEVO, INTERNET,CULTURA GIOVANI,AMORE
ROMA - La Coscienza di Zeno di Italo Svevo. A questo testo è dedicato il tema letterario della maturità 2009. Quello storico è sulle origini della cultura giovanile, mentre l’artistico-letterario verte su innamoramento e amore. Internet e network è un altro argomento nel ventaglio delle proposte per la prima prova scritta.
Gli studenti si scambiano notizie, pronostici e suggerimenti on line
Tra le tracce più gettonate anche futurismo, Darwin e social network
Maturità, parte il tototema
Dante e Obama in prima fila
di FLAMINIA FESTUCCIA *
Studenti, attenti al tototema. Si fanno pronostici e supposizioni, ma alla fine il Ministero è imperscrutabile. Ma che male c’è a provare a indovinare? L’importante è non fossilizzarsi ed essere pronti a tutto. Lo ripetono i più "navigati" su siti e forum dedicati agli studenti (come Studenti.it o Studentville), sui blog e su Facebook (da cui si può lasciare un commento anche su Repubblica.it). Il gruppo "Maturità 2009" sul social network più popolare conta oltre 11 mila iscritti. E c’è anche un blog dal titolo più che chiaro, "tototema", che si occupa esclusivamente di pronostici. E tra un "me lo sento" e un "il prof ha detto che per lui è sicuro che esce Obama", il tototracce impazza.
Fattore anniversario. Per una prima scrematura tutti guardano subito al fattore anniversario. Vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, quaranta dal primo uomo sulla luna. O ancora 100 anni di futurismo e 200 dalla nascita del padre dell’evoluzionismo Charles Darwin. Alcuni ricordano anche il Giro d’Italia, la nascita della Nato e quella dell’euro.
Attualità. Argomenti "tosti" per chi non è abituato a leggere i giornali con cadenza almeno settimanale. La crisi economica nelle sue varie sfaccettature occupa un posto d’onore tra i pronostici, anche perchè ricorre l’anniversario della Grande Depressione del ’29. Sempre attuali morti bianche e problemi del Medio oriente. Così come sono papabili anche la protesta studentesca contro il decreto Gelmini, il caso Eluana o l’elezione di Barack Obama. E ancora la violenza sulle donne e l’immigrazione. Mentre sono in molti ad avvertire: "Le tracce vengono scelte tra gennaio e marzo, guardate solo gli avvenimenti fino a quella data, lasciate perdere la Libia, l’Iran e il terremoto". Impossibile studiare tutto, però, tanto vale approfondire un paio di argomenti sperando che esca uno di quelli.
Tema letterario.Sulla letteratura, invece, ci sono meno appigli. Dante sembra molto gettonato, con speranza da alcuni (come lo studente che scrive: "Il mio prof è peggio di Benigni, il Paradiso lo sappiamo a memoria"), con timore da molti che protestano: "Noi l’abbiamo fatto pochissimo, non saprei da dove partire". Altra ipotesi che va per la maggiore è quella di un testo in prosa: dai Promessi Sposi a Pavese e Svevo. Come al solito - anche grazie al confronto con le tracce degli ultimi anni, si parla tanto di poeti e scrittori del Novecento. E anche qui fioccano i commenti sconfortati: "Noi a Ungaretti e Saba non ci siamo propio arrivati!". Attenzione a Quasimodo: non molti ricordano che 50 anni fa ha ricevuto il Nobel per la letteratura. E c’è anche una pagina con tanto di logo ministeriale che anticiperebbe il brano per l’analisi del testo: la poesia "Ride la gazza, nera sugli aranci" di Quasimodo. Ma la bufala è sempre in agguato.
Fin qui le voci più diffuse. Ma ci sono anche ipotesi di minoranza che potrebbero riservare qualche sorpresa. Il 2009, per esempio, è anche un anno "dedicato" ai temi più vari. All’astronomia, per esempio. O, come ricordano alcuni studenti sui forum, per l’Ue il 2009 è l’anno di "Creatività e innovazione". Un po’ più improbabili i 120 anni della pizza collegati a una riflessione sui prodotti made in Italy, o il trentennale dello shampoo per una riflessione sull’evoluzione dell’igiene personale. Meno astrusa la ricorrenza dei cento anni dal Nobel per la fisica a Guglielmo Marconi. Dal telegrafo a internet, in fondo, il passo è breve. E tutti, nessuno escluso, sperano che il Ministero si ripeta e proponga, come l’anno scorso, un tema su social network e internet. "Tanto" scrivono gli studenti "di facebook siamo tutti esperti, visto che stiamo qui invece di studiare".
* la Repubblica, 24 giugno 2009.
La Stampa, 4/6/2009
Parte il toto-tema da Obama al terremoto
pronostici si rincorrono sul Web
ROMA Manca meno di un mese all’esame di maturità e inizia sui vari sit degli studenti il toto-tema. La prova di italiano proposta in varie tipologie (analisi di un testo letterario, saggio breve o articolo di giornale, tema di argomento storico o di attualità) è la prima e quella uguale per tutti gli indirizzi di studio.
E allora ecco che per l’edizione 2009 si danno come autori probabili per l’analisi del testo Verga, Svevo, Dante (nonostante negli ultimi anni sia stato proposto più volte), Quasimodo, ma anche, sebbene con minori chance, Calvino, Moravia, Pavese, Pirandello e Ungaretti.
Una bella fetta di spunti arriva dagli anniversari: 1989 caduta del Muro di Berlino, 1969 il primo uomo atterra sulla luna, 1909 manifesto del Futurismo, 1809 nascita di Darwin.
Tra le tracce più gettonate c’è senz’altro la crisi economica mondiale, in parallelismo con la crisi del ’29 (di cui peraltro ricorre pure l’anniversario), il boom dei Social network come nuova forma di comunicazione, l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti. E ancora l’immigrazione clandestina e il terremoto in Abruzzo.
Ma fanno capolino anche altri suggerimenti che pescano nella cronaca dell’anno, e dunque perché non pensare a una traccia sull’evoluzione del mondo giovanile legata a fenomeni come la contestazione studentesca, il bullismo o le morti sulle strade legate all’abuso di alcol e droghe?
Se per il primo scritto i pronostici si rincorrono, sui possibili autori della versione di latino (la materia scelta per il secondo scritto al classico) il tam tam non è ancora partito.
La ragazza è ucraina ed è priva del codice fiscale necessario per iscriversi
Le nuove norme non lasciano speranze. Petizione dei compagni per aiutarla
Napoli, bravissima ma clandestina
Per Daria niente esame di maturità
NAPOLI - A scuola è bravissima, ma non ha il codice fiscale. E per questo non può fare l’esame di maturità. Daria è ucraina, parla 6 lingue e, nel suo paese, ha già il suo titolo di studio. Che, però, in italia non è valido: per questo ha dovuto rifare il liceo. Ma ora, giunta all’ultimo anno, l’ennesimo ostacolo. Daria è clandestina, non ha documenti e tantomeno il codice fiscale. E senza quel tesserino di plastica non può fare l’esame di Stato. La vicenda, riportata dal quotidiano "Il Mattino", si svolge al liceo Margherita di Savoia di Napoli.
E non è altro che la logica conseguenza delle nuove norme varate dal governo. Il ministero dell’Istruzione, infatti, per compilare l’anagrafe dello studente deve rilevare i dati relativi a ogni singolo candidato. Compreso il codice fiscale, che, successivamente, passerà al vaglio dell’agenzia delle entrate.
Un’operazione che deve essere fatta entro dopo domani. Siccome la circolare del 22 maggio 2009 del ministro Maria Stella Gelmini vuole che senza codice fiscale non si possa sostenere l’esame, per Daria il sogno di diplomarsi rischia di infrangersi per sempre.
Daria a Napoli vive insieme ai genitori: la madre fa le pulizie ad ore, il padre il saldatore. A scuola, intanto, è scattata una vera e propria gara di solidarietà per aiutarla mentre i suoi compagni pensano di inoltrare una petizione.
* la Repubblica, 7 giugno 2009
La maturità anti-Gelmini
Dal Trentino che ha detto di no alle riforme della Gelmini agli udinesi che si trasferiscono in massa Napoli, fino ai trucchi sul web per essere promossi
di FLAVIA AMABILE (La Stampa, 3/6/2009)
Si chiama Marta Dalmaso, è assessore all’Istruzione e allo Sport della provincia di Trento ed è la spina nel fianco nel piano di riforma delle scuole del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Marta Dalmaso, infatti, da mesi non fa mistero di non essere d’accordo con le novità decise a Roma. E così alla fine di aprile ha proposto un regolamento autonomo, la giunta lo ha approvato e da quel momento chi va a scuola in Trentino, grazie allo Statuto di provincia autonoma, della riforma Gelmini non vede applicato nulla. Per l’esame di maturità, ad esempio, le nuove regole prevedono infatti che gli studenti abbiano la sufficienza in ogni disciplina. A Trento e provincia basta la «valutazione complessivamente sufficiente» del consiglio di classe.
E non solo. Per tutto l’anno si è parlato di voto in condotta, del fatto che con un cinque non si viene ammessi né alla maturità né alle classi successive. A Trento e provincia il voto in condotta si chiama «valutazione della capacità relazionale» e ha soltanto «funzione educativa e formativa» ma non influisce su nulla.
Lo stesso per i voti: dalla prima elementare all’ultimo anno di superiori a Trento e dintorni si usano ancora i giudizi. I voti in decimi, dal loro punto di vista, possono aspettare.
Il regolamento vale solo per quest’anno ma di sicuro Marta Dalmaso riproverà anche l’anno prossimo a andare avanti lungo la sua strada, una strada di cui è convinta e che ben conosce visto che è lei stessa una docente. D’altra parte lo ha detto con estrema chiarezza dopo il via libera della giunta provinciale al regolamento autonomo per gli studenti trentini quando qualcuno l’ha accusata di buonismo per il suo no al cinque in condotta come condizione per la promozione: «Non voglio il buonismo, l’obiettivo non è certo nascondere i problemi, livellare tutto. La cosa migliore è guardare i problemi in faccia e aiutare i ragazzi a fare altrettanto. Però io credo che non si possano adottare scorciatoie: il cinque in condotta lo è e fa del male a tutti, e soprattutto alla scuola. Senza esito positivo».
Ad un certo punto al liceo scientifico Copernico di Napoli si sono visti piovere addosso un’iscrizione in blocco all’esame di maturità: otto ragazzi di Udine che avevano scelto proprio quell’istituto , e l’avevano fatto tutti insieme. Ottocentocinquanta chilometri per andare a fare un esame di maturità non solo in una città diversa, ma anche in una regione diversa. Nessuno ha capito davvero che cosa ci sia dietro quest’esodo, si sa solo che al Copernico non l’hanno presa bene.
Gianfranco Pignatelli, architetto e professore di storia dell’arte, racconta: «Durante i recenti consigli delle classi finali, il preside ci ha comunicato l’iscrizione di un cospicuo numero di privatisti per i prossimi esami di Stato». E Pignatelli avverte: «Non vorrei che questi ragazzi avessero pensato che la nostra scuola potesse diventare un terminale di comodo, e non vorrei che ora il nostro istituto possa essere considerato una scuola facile, perché non lo è per nulla. Valuteremo i privatisti esattamente come gli altri, con lo stesso metro di giudizio».
Quest’anno i privatisti sono un po’ aumentati, dell’1% circa rispetto allo scorso anno, e di sicuro sono aumentati i pellegrinaggi della speranza, nonostante i tentativi di Giuseppe Fioroni quando era ministro dell’Istruzione di fermarli obbligandoli a dare l’esame nelle scuole statali e non in quelli che ormai stavano diventando veri e propri «diplomifici». E’ del tutto regolare quindi che uno studente chieda di fare la maturità in una qualsiasi scuola pubblica d’Italia, anche se le domande vengono vagliate dai Provveditorati che dovrebbero distribuire lungo il territorio i candidati invece di inviarli in blocco in un’unica scuola come è accaduto in questo caso.
Quest’anno, comunque, i privatisti hanno un privilegio in più: non sono sottoposti al voto in condotta nella valutazione sull’ammissione all’esame. «Però - ricorda Gianfranco Pignatelli - devono superare un pre-esame con prove che dovranno verificare le loro conoscenze».
«Non studiare oggi quello che puoi copiare domani», dicono quelli di «Scuola Zoo», sito di enorme seguito fra gli studenti. Non hanno dubbi: alla maturità si va per copiare, e quindi hanno deciso di mettersi in affari con una certa serietà, sfornando gadgets che promettono vita facile alla maturità. Da maggio i gadgets in questione sono disponibili non soltanto sul sito ma anche nelle cartolerie, oltre tremila in tutt’Italia. Ognuna di loro ha ricevuto penne, magliette, diari e gli orologi, l’arma infallibile, quella che chiunque voglia copiare dovrebbe avere secondo i responsabili di ScuolaZoo. In totale, gli orologi in vendita sono una trentina per provincia: «Per evitare che ce ne siano troppi in circolazione e che anche i professori lo vengano a scoprire», precisano.
Infatti non basta scorrere l’elenco delle cartolerie pubblicate sul sito, scegliere quella più vicina e andare a comprare il necessario per copiare all’esame. Arrivati in cartoleria, al commerciante bisogna chiedere i prodotti seguendo una procedura spiegata sul sito. «Altrimenti il commerciante non ci capisce niente», avvertono. Insomma un po’ di paura ce l’hanno gli inventori di questo grande gioco. Soltanto un po’: sul sito sorridono in foto Francesco e Paolo, orgogliosi padri dell’orologio che promette di fare meraviglie alla maturità. E poi video e spiegazioni su come far funzionare i gadgets.
L’orologio-bigliettino è «la salvezza per la maturità». Quelli in vendita sul sito infatti sono terminati: erano duecento, tutti venduti in tre settimane. La «salvezza per la maturità» è una sorta di mini-computer in grado di memorizzare file di testo con il compito già pronto. E’ l’erede tecnologico dei bigliettini arrotolati nelle penne, insomma. Con l’orologio basta premere un tasto e lasciar scorrere il testo mentre si scrive. C’è anche una funzione che non fa illuminare lo schermo per evitare di destare sospetti. Se non si vuol fare nemmeno la fatica di preparare i testi da inserire nell’orologio il sito ne offre di già pronti per l’uso. Costo: 49,50 euro. Il diario è un vero diario ma con cinque pagine alla fine «di bigliettini già pronti da strappare». La maglietta-bigliettino costa 10 euro, è una t-shirt che sulla parte anteriore e su quella posteriore reca stampate formule e nozioni per superare la prova di matematica. L’anno scorso già ne avevano realizzata una simile, ne avevano vendute 13 mila anche se il trucco sembra piuttosto facile da scoprire.
In ogni caso, se a fare qualcosa di irregolare dovesse essere un docente gli studenti sarebbero pronti a riprenderlo. Basta avere la penna-video. Costa quasi 60 euro ma in realtà è una videocamera e registratore in miniatura e in formato digitale. Viene presentata come «l’arma segreta per spiare i professori». E così gli studenti, dopo aver copiato, saranno armati per documentare errori, abusi, sviste altrui e postarle in rete.