Priapismo al potere
di Moni Ovadia (l’Unità, 20.06.2009)
Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi non riesce più a contenere l’alluvione di notizie, gossip, ricatti, segreti da boudoir, intemperanze sessuali che corrono sul filo. Il puzzle di questo personaggio da commedia all’italiana nella versione più strapaesana e pecoreccia si sta componendo in quella patetica verità che ancora, con indegna fedeltà servile, i suoi scherani e cortigiani si affannano a negare o ad attenuare.
Siamo dunque governati da una specie di dottor Katzone, a scanso di equivoci preciso di non volermi riferire all’epiteto ingiurioso “cazzone” mascherandolo con una grafia cosmopolita, quanto al personaggio del superpriapico collezionista di femmine creato da Federico Fellini nella “Città delle Donne” ed interpretato da un indimenticabile Ettore Manni.
Il maniacale e commosso rubricatore di femmine le esponeva in una galleria di immagini in merito ai loro attributi erotici e alle loro prestazioni sessuali dalle più ovvie alle più eccentriche dopo averne espunto qualsiasi riferimento di altra umanità. Ma i geni sanno creare figure sublimi attraverso l’iperbole del grottesco, i grandi letterati come Gadda raccontano con ineguagliata maestria i rapporti fra potere ed erotismo, il suo “Eros e Priapo” dovrebbe essere lettura d’obbligo di questi tempi.
Silvio Berlusconi invece, per ciò che la marea di indiscrezioni e rivelazioni porta a galla, si configura come la versione infima di quelle basse pulsioni. Il ragazzino fermato dalla polizia perché, armato di telecamera amatoriale riprendeva di nascosto le parti intime delle donne a loro insaputa, sembra essere il suddito epigono del nostro leader, la differenza sta solo nei mezzi. Stupisce e amareggia pensare al vasto consenso di cui gode presso l’elettorato femminile un uomo la cui visione della donna è confinata negli angusti confini del suo priapismo.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
FLS
Se crolla il castello di carte
di Ida Dominijanni (il manifesto, 21.06.2009)
La notte del 4 novembre scorso, mentre più o meno tutto il mondo faceva la spola fra la tv, internet e Twitter scrutando proiezioni e risultati fino al discorso della vittoria del primo afroamericano eletto presidente degli Stati uniti, Silvio Berlusconi riceveva Patrizia D’Addario a palazzo Grazioli. Nel "letto grande" per la precisione, dopo una bella doccia e avvolto in un accappatoio. Snobismo e menefreghismo, o senso di sconfitta e bisogno di consolazione?
Come tutto nella vita di Berlusconi, anche questa coincidenza sta sul confine fra il ridicolo e il tragico. Più tragica che ridicola, se si somma al fatto che quella notte il premier rapito da Eros mancò senza spiegazioni la serata ufficiale organizzata a Roma dalla Fondazione Italia-Usa. Più ridicola che tragica, se tanta strafottenza di allora si paragona alla postura non propriamente eretta in cui le telecamere della Casa bianca lo hanno immortalato pochi giorni fa - senza i trucchi delle tv di regime italiane - nello Studio ovale della Casa bianca, in cerca di un cenno di benedizione del Messia nero che lo tirasse fuori per un giorno dalla melma che lo sommerge.
Imprevedibili rovesciamenti della storia, ai quali uno come Berlusconi, che ancora trova la faccia di raccontare barzellette in cui Dio deve accontentarsi di fare il suo vice, non riesce a rassegnarsi. Un altro imprevedibile rovesciamento vuole, ohibò, che le donne parlino: mogli o escort, madonne o puttane, ragazze madri o ragazze squillo, prima o poi danno fiato alla voce e lo tradiscono, per motivi nobili, come denunciare il sistema di intrattenimento del sultano, o meno nobili, come vendicarsi per non aver ricevuto dal sultano l’aiuto sperato per una speculazione edilizia. Mogli o escort, le donne sono pur sempre, diceva il filosofo, "l’eterna ironia della comunità". Quando meno te l’aspetti strappano il velo. Il re è nudo, questa volta alla lettera.
Berlusconi non è l’unico a fare l’incredulo di fronte al tifone che lo sta travolgendo, al quale replica di puntata in puntata con il suo alquanto ebete "che male c’è?". Sono increduli i suoi, che seguitano a demolire le testimoni dando loro ora della velina ingrata ora della puttana, ripetendo pateticamente l’argomento ormai risibile della privacy violata, farneticando di complotti internazionali e di servizi deviati pur di non ammettere che il castello di carte dell’incantesimo berlusconiano sta crollando su se stesso. Ma sono increduli anche nell’opposizione, che a sua volta immagina trame e disegni imperscrutabili pur di non dare al tifone in corso la dignità di un caso politico di prima grandezza.
Agli uni e agli altri, bisognerebbe ricordare i fiumi di parole impiegati solo pochi anni fa per legittimare la guerra in Afghanistan con l’argomento che "lo stato di salute di una civiltà si misura dal rapporto fra i sessi": quella misura non vale da noi? Vale in guerra e non in pace? Vale a Oriente e non a Occidente? Che cosa dice dello stato della nostra civiltà questo mercimonio sessuale organizzato dal potere, dai servi del potere come i Tarantini e dalle mediatrici del potere come le Ronzulli? Che cosa dice dell’emancipazione e della libertà femminile, ma ancor prima dello stato del mercato del lavoro e dell’economia, la fredda professionalità con cui Barbara Montereale svolge le sue prestazioni e contratta i suoi compensi di "ragazza immagine" e la glaciale prudenza con cui Patrizia D’Addario registra le sue performance da escort? Che cosa ci dice dello stato culturale della nazione l’ oscillazione dei giornali di destra fra la monumentalizzazione dell’"organo incostituzionale" (sic, su Libero) del premier e l’alibi del suo intervento alla prostata? O l’imbarazzato silenzio dell’opposizione che per non correre rischi non parla e non giudica, confidando che la giustizia faccia il suo corso senza scomodare la politica?
"Induzione alla prostituzione" è una faccenda seria, tanto seria che i più seri opinion maker vicini a Berlusconi lanciano l’allarme. Checché ne dica l’avvocato Ghedini, il problema non è se il premier sia perseguibile penalmente come "ultimo utilizzatore", ma se sia perseguibile politicamente come primo mandante di un sistema che è parte costitutiva della sua macchina di potere e di consenso. La questione forse è giudiziaria, certamente è politica. La maggioranza può fingere di ignorarlo e continuare a predicare, come un gregge di replicanti, che Berlusconi ha dalla sua il voto popolare e solo questo conta in democrazia. L’opposizione invece non può glissare e aspettare che sia la procura di Bari o un’altra a risolvere il problema. Silvio Berlusconi non cederà il passo a nessuna soluzione d’emergenza istituzionale al ciclone che forse non lo farà arrivare neanche al G8: come nel Caimano, ricorrerà a ogni mezzo lecito e illecito e si appellerà al popolo prima di dichiararsi sconfitto. Se è questa la stretta che si profila, sarà bene prepararsi a combattere, quantomeno con un discorso di verità più forte del suo reality corrotto.
IL COMMENTO
Un premier sotto ricatto e una suburra di Stato
di EUGENIO SCALFARI *
ATTORNO al premier l’aria si fa sempre più viziata e rarefatta. Lo scollamento all’interno del suo gruppo dirigente è ormai visibile. Il distacco di settori consistenti del suo elettorato è anch’esso palese e lo ha certificato due giorni fa Gianfranco Fini quando ha detto che il governo è stabile ma cresce l’indifferenza e la sfiducia del corpo elettorale nei confronti della politica, aggiungendo che questo fenomeno rappresenta un pericolo molto serio per la democrazia.
Aumenta anche in modo esponenziale lo stupore dell’opinione pubblica internazionale e dei governi alleati in Europa e in America. Mai il prestigio del nostro paese nel mondo aveva raggiunto un così infimo livello.
Queste persone cominceranno a fargli il vuoto intorno, per ragioni di onestà personale o di salvaguardia a tutela della propria onorabilità. Per opporsi a questa deriva che è già in atto il premier cercherà e sta già cercando di blindare la situazione, intimidire i possibili testimoni, mobilitare servizi segreti e polizie private allo scopo di rovesciare sui suoi accusatori la stessa quota di melma nella quale è lui che sta affondando. Se i palazzi e le ville di Stato sono diventate una suburra, la stessa sorte rischia di diffondersi a una società deturpata dalla corruzione.
La domanda che milioni di persone sempre più attonite e disgustate si pongono è ormai martellante e te la senti fare agli angoli delle strade, nelle centinaia di migliaia di lettere che "Internet" rovescia sui tavoli delle redazioni: quanto durerà questo sconcio? Come si uscirà da questo pantano? C’è un passaparola assordante come un rombo di cannone, per usare le parole del Don Basilio del "Barbiere di Siviglia", e non c’è avvocato Ghedini che possa silenziarlo. Del resto gli stessi Gasparri, Cicchitto, Bondi, Bocchino, hanno smesso di ripetere i loro esorcismi. Ognuno dei potenti comincia a pensare a sé, a prepararsi una via di ritirata e di fuga.
Molti pretesti fin qui usati e ripetuti come giaculatorie stanno cadendo come foglie secche a cominciare da quello contro le toghe rosse. Non sono certo toghe rosse i magistrati della Procura di Bari, che avevano cominciato la loro inchiesta sulla sanità regionale pugliese, una Regione governata dal centrosinistra.
Strada facendo l’inchiesta si è imbattuta in Giampaolo Tarantini e, senza abbandonare il filone iniziale, altri filoni si sono aperti ed altri reati sono stati ipotizzati. Che cosa dovevano fare quei magistrati? Chiudere il coperchio o adempiere al loro dovere di titolari della pubblica accusa? Resta l’intimidazione contro i giornali e i giornalisti, "vil razza dannata". Ma non tiene più neanche quella. Che cosa doveva fare il direttore del "Corriere della Sera", Ferruccio De Bortoli, di fronte alle dichiarazioni di Patrizia D’Addario e alla documentazione da lei esibita? Non pubblicare nulla e buttare tutto nel cestino? Ha fatto il suo dovere facendo cadere il suo pregiudizio contro un "gossip" che non è mai stato un semplice pettegolezzo ma, fin dal primo momento, una questione pubblica come noi l’abbiamo sempre ravvisata.
L’avvocato Ghedini vorrebbe ora, in nome e per conto del suo cliente, che il silenzio tombale sulle intercettazioni e sui processi penali in fase istruttoria fosse reso retroattivo e quindi esteso all’inchiesta della Procura di Bari. Una retroattività chiaramente incostituzionale che probabilmente non avrebbe una maggioranza neppure in un Parlamento dominato dal governo attuale e tanto meno la firma di promulgazione del capo dello Stato. Il problema è a questo punto di una chiarezza elementare: un premier sotto ricatto che deve provare (provare, non affermare soltanto) che i fatti non sono quelli raccontati e provati dai suoi ricattatori; una vita privata del capo del governo costellata da stravizi, alimentata da una corte di ruffiani e gestita da persone ricompensate con scranni in Parlamento a Roma e a Strasburgo, che deturpa l’immagine dello Stato e del Paese e non può più oltre essere sopportata.
Se ne sono resi conto perfino Giuliano Ferrara sul "Foglio" e Giampiero Mughini su "Libero". Una sprovveduta parlamentare di centrodestra, in una sua lettera al "Corriere della Sera", è arrivata ad esaltare Lucio Sergio Catilina e l’ha paragonato a Silvio Berlusconi. La sprovveduta sa molto poco di Catilina, incallito debitore e uomo d’avventura, compromesso con le peggiori bande di eversori ed eversore egli stesso delle strutture della Res publica. L’avventura di Catilina arrivò alla ribellione armata contro i Consoli e il Senato, ma è vero che una volta imboccata quella via senza ritorno Catilina si batté con coraggio e perse la vita sul campo di battaglia.
È questo lo sbocco che la sprovveduta prevede e la parte che assegna a Silvio Berlusconi? Un caimano che porta le sue truppe all’incendio della piazza e delle istituzioni? Sono questi i consiglieri del premier, "utilizzatore finale" di prostitute in una stanza dalla cui finestra presidenziale sventola il tricolore?
E’ legittimo tuttavia porsi il problema d’uno sbocco politico che tenga conto delle norme e delle consuetudini che regolano il sistema e sul rispetto delle quali vigila il presidente della Repubblica.
In caso di dimissioni del premier, anche se accompagnate dalla sua richiesta di scioglimento delle Camere, spetta al capo dello Stato di esaminare la possibilità che la maggioranza esistente esprima un altro premier o che si possa formare in Parlamento un’altra maggioranza. Solo nel caso che entrambe le possibilità si rivelino impraticabili il capo dello Stato procede allo scioglimento. In tal caso è possibile che il Quirinale designi una figura istituzionale che conduca il paese alle urne.
Nel caso specifico la figura istituzionale si può ravvisare nel presidente della Camera, che assomma in sé un duplice requisito: è la terza carica dello Stato ed è anche il co-fondatore, insieme a Berlusconi, del partito di maggioranza relativa. Può dunque essere incaricato di portare il paese al voto immediato o anche di portarcelo dopo avere adempiuto ad altre gravissime emergenze connesse con la crisi recessiva che non consente pausa nella gestione della politica economica. Ma resta la domanda: si dimetterà Berlusconi? Dipende dal suo senso di responsabilità - che a questo punto sembra piuttosto scarso e soffocato da un vero e proprio titanismo patologico - e dalle pressioni che il gruppo dirigente nel governo e nel partito vorrà esercitare su di lui.
Il paragone con il 25 luglio del 1943 è forzato. C’era una guerra già perduta, l’esercito anglo-americano già sbarcato in Sicilia, quello nazista largamente presente sul territorio, bombardamenti e rovine dovunque.
Qui si tratta invece di una suburra, di banchetti da Trimalcione, di un capo di governo ricattabile e ricattato, d’un rischio di avventura quanto mai incombente, d’un sistema di potere esteso e colluso. Basso impero senza impero, Vitellio o Eliogabalo, non Catilina. Per certi aspetti stiamo molto meglio del 25 luglio, per altri purtroppo stiamo peggio.
Post Scriptum. Oggi si vota per i ballottaggi in molti e importanti Comuni e Province. L’esito è di grande importanza, anche con riguardo alla crisi politica che abbiamo qui analizzato. E’ dunque auspicabile che gli elettori non disertino le urne. Si vota anche per il referendum sulla legge elettorale. Con quattro possibili comportamenti: non votare e far mancare il quorum, votare "sì", votare "no". Oppure votare in modo diverso per i tre quesiti referendari. Credo probabile che il quorum non sia raggiunto. Personalmente non mi strapperei i capelli se questa previsione si rivelasse esatta.
Finora i "supporters" del Capo si rifugiavano nella condanna del "gossip", ma ormai anche questo esorcismo è caduto. Anzitutto perché la vita d’un capo di governo non consente distinzioni tra la sfera pubblica e quella privata. Poi perché è stato lo stesso interessato a pubblicizzare il preteso "gossip". Infine perché si è creata una situazione che ormai non è più oltre accettabile: il premier è ricattabile e ricattato e lo sarà sempre di più perché sono decine se non addirittura centinaia i potenziali ricattatori. Un capo di governo nelle mani di ricattatori non può avere una vita politica lunga perché non può usare lo Stato e le sue istituzioni per soddisfare i ricattatori senza ampliare a dismisura il numero delle persone "informate dei fatti" e necessariamente coinvolte e compromesse nei fatti stessi.
* la Repubblica, 21 giugno 2009