[...] Dal punto di vista religioso, la lite coniugale sana una condizione di peccato grave, quasi di scandalo (per il diritto canonico Berlusconi è ancora sposato con Carla Dall’Oglio).
Insomma: il paradosso è che, rompendo l’unione con Veronica da cui ha avuto tre figli, il premier verrà riammesso ai sacramenti, come da tempo anelava. Chi immagina contraccolpi negativi sul voto cattolico in vista delle Europee, consideri l’impatto visivo di Berlusconi che fa la comunione, proprio come un vecchio leader democristiano [...]
Il Vaticano rassicura Berlusconi
Dopo le prese di posizione di alcuni vescovi la Santa Sede non si allinea alle critiche
di UGO MAGRI (La Stampa, 7/5/2009)
ROMA Sul pubblico di Vespa, Berlusconi ha fatto colpo. Sostengono i suoi sondaggi (Euromedia Research) che 70 spettatori su 100 hanno gradito lo show contro Veronica, ammaliate in particolare le signore sopra una certa età. L’Ipr, altro istituto, registra una fiducia nel premier stabile ai soliti livelli stratosferici (66 per cento, 75 secondo Euromedia). Se nelle prossime ore non matura qualche nuova sorpresa, il Cavaliere può pensare di averla scapolata. Difatti già comincia a scherzarci su, con battute sulla Finlandia e sulle finlandesi: le ama molto, precisa ammiccante, «purché abbiano più di 18 anni». Porta con sé le tre candidate donna a una cena di imprenditori, onde dimostrare che non sono «veline». E’ sicuro di avere reagito alle accuse della moglie «con una certa classe». E visto che l’autodifesa pare funzioni in patria, si confessa pure con l’emittente France 2. Però la notizia più gradita non gli giunge d’Oltralpe, bensì da Oltretevere.
Tramite i soliti canali riservati che fanno perno su Letta, Gentiluomo del Papa, la Curia vaticana manda al capo del governo messaggi rassicuranti. Il contatto risale a ieri mattina. Bertone, cardinale e segretario di Stato, si limita a suggerire prudenza, come peraltro già aveva fatto l’«Avvenire» (organo della Cei), meglio sospendere i ping-pong polemici con la signora Lario che generano imbarazzo. Viceversa, sul secondo divorzio del premier la Santa Sede non ha nulla da ridire. Anzi. Dal punto di vista religioso, la lite coniugale sana una condizione di peccato grave, quasi di scandalo (per il diritto canonico Berlusconi è ancora sposato con Carla Dall’Oglio).
Insomma: il paradosso è che, rompendo l’unione con Veronica da cui ha avuto tre figli, il premier verrà riammesso ai sacramenti, come da tempo anelava. Chi immagina contraccolpi negativi sul voto cattolico in vista delle Europee, consideri l’impatto visivo di Berlusconi che fa la comunione, proprio come un vecchio leader democristiano. Anche di questo pare si sia parlato espressamente, in una giornata che registra colloqui riservati tra Bonaiuti (portavoce del premier) e alcuni giornalisti di prima fila del pianeta cattolico. Certo, non tutte le voci ecclesiastiche sono in riga.
Proprio su «La Stampa» di ieri, l’autorevole cardinale Kasper aveva lamentato con toni forti la «caduta di stile e il cattivo esempio». Padre Sorge, gesuita, prova a mettersi nei panni di San Pietro e scommette che sarà in imbarazzo anche lui, «quando dovrà giudicare Berlusconi». Però la Chiesa sa benissimo, obietta il capogruppo Pdl Cicchitto, che «noi siamo un soggetto politico serio, dunque teniamo conto delle sue posizioni». Un modo per rammentare il decreto su Eluana, lo stop ai Didore, il no alla revisione della legge sull’aborto. Sorride sornione Cossiga, presidente emerito della Repubblica, reduce da un colloquio col premier per portargli la propria solidarietà: «Alla Chiesa molto importa dei comportamenti privati. Ma tra un devoto monogamo che contesta certe sue direttive», avverte Cossiga, «e uno sciupafemmine che invece dà una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupafemmine». Cita a tal proposito Sant’Ambrogio: «Ecclesia casta et meretrix».
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
LA "PROFEZIA" DI MARSHALL MCLUHAN: NARCISO E LA MORTE DELL’ITALIA.
Clandestini, il Vaticano all’attacco
«Lesi i diritti umani dei migranti»
L’Ossevatore Romano: l’Italia ci
preoccupa. Il soccorso è dovere
CITTA’ DEL VATICANO Il rimpatrio dei clandestini in Libia «ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati», e anche alcune norme del pacchetto sicurezza, come quella sulla denuncia obbligatoria dei medici, preludono a «gravi difficoltà» per la realizzazione dei diritti umani dei migranti in Italia. Lo afferma il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, Monsignor Agostino Marchetto. «La normativa internazionale, alla quale si è appellata anche l’Onu - ha ricordato monsignor Agostino Marchetto - prevede che i possibili richiedenti asilo non siano respinti, e che, fino a che non ci sia modo di accertarlo, tutti i migranti siano considerati rifugiati presunti».
«Capisco che gli attuali flussi misti complicano le cose anche per i governi - ha aggiunto - ma c’è bisogno comunque di rendere operative le norme concordate e riaffermate più volte nelle sedi internazionali». Mons.Marchetto ha poi ribadito la sua convinzione, già espressa più volte ma non sottoscritta dalle massime autorità ecclesiastiche, che la legislazione italiana in materia migratoria sia macchiata da un «peccato originale» rappresentato dalla volontà di «criminalizzare gli emigranti irregolari», una realtà di fronte alla quale «i cittadini sono posti e devono giudicare». Il segretario del dicastero vaticano per i migranti ha poi elogiato l’azione dei movimenti cattolici che hanno criticato i recenti provvedimenti, auspicando che i loro appelli non rimangano inascoltati. Negare di fatto ai clandestini il diritto alle cure e all’educazione per i figli, pena la denuncia - ha osservato Marchetto - rappresenta «una evidente violazione dei diritti fondamentali della persona».
«Ciascuno si assumerà le proprie responsabilità. Per quanto mi riguarda - ha concluso - cerco solo di rappresentare la dottrina sociale della chiesa che, nel valutare la soluzione ad un problema impone di verificare non solo se è efficace, ma se è giusta».
Preoccupazione per la decisione del governo italiano di rimpatriare i 227 immigrati in Libia è espressa dalla Conferenza episcopale italiana, che insiste sulla verifica del trattamento dei migranti. A farsi portavoce dei vescovi è padre Gianromano Gnesotto, direttore dell’ufficio per la pastorale degli immigrati esteri in Italia e dei profughi. «Se questo presunto reato di clandestinità non viene in qualche modo modificato - afferma alla Radio Vaticana - subiremo delle conseguenze notevoli non soltanto per quanto riguarda gli immigrati, ma anche per quanto riguarda i diritti fondamentali quali quelli - appunto - della salute o dell’istruzione. Indubbiamente, nel dibattito politico - prosegue Gnesotto - sembra che questo sia un punto che alcune forze politiche tengono fermo. Forse potrebbe essere in qualche modo trovata una via di mezzo, distinguendo tra coloro che entrano nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, e coloro che - invece - essendo entrati anche regolarmente nel territorio e poi, per molte ragioni, hanno visto il loro permesso non rinnovato e in quanto tali, irregolari - ecco, per questi bisognerebbe avere forse un occhio particolare senza l’applicazione di questa fattispecie di reato».
Per il responsabile della Cei in tema di immigrazione, si tratta di casi in cui si formano delle classi. «Non soltanto di serie B, ma persone che non vengono tutelate e alle quali determinati diritti fondamentali vengono di fatto negati. Quindi, più che cittadini ’di serie B’ - spiega il vescovo - qui si tratta di una discriminante tra persone e non-persone. Ora, mi pare che il grande snodo culturale che in qualche modo è terremotato, qui in Italia, è appunto quello di guardare all’immigrato primariamente come ad una persona, in quanto tale depositaria di diritti fondamentali che non possono essere assolutamente negati perché togliere i diritti ad alcune persone, in qualche modo impoverisce tutti!».
«L’Italia respinge in Libia i migranti intercettati in mare»: questo il titolo scelto dall«Osservatore Romanò sulla vicenda degli immigrati rimpatriati in Libia. «Diverse organizzazioni umanitarie hanno espresso critiche nei confronti di questa operazione. Preoccupa il fatto - scrive il giornale vaticano - che fra i migranti possa esserci chi è nelle condizioni di poter chiedere asilo politico. E si ricorda anzitutto la priorità del dovere di soccorso nei confronti di chi si trova in gravi condizioni di bisogno. I migranti - prosegue il quotidiano d’Oltretevere - devono poi essere ricoverati presso strutture che possano fornire adeguate garanzie di assistenza e di rispetto dei diritti umani».
L’Osservatore Romano riporta la dichiarazione dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), che ha espresso «grave preoccupazione» per la sorte dei migranti «soccorsi da motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza nella zona marittima Sar (Search and Rescue) di competenza maltese e ricondotti in Libia senza un’adeguata valutazione delle loro possibili necessità di protezione internazionale».
* La Stampa, 8/5/2009 (18:8)
Il presidente, Noemi e quelle domande che non hanno risposta
C’è in giro una semplificata idea di democrazia. «Le regole del gioco in una democrazia decente sono chiare: ciascuno dice la sua». Memorabile e coerente perché è appunto questo che abbiamo nelle orecchie, a proposito di Silvio, Veronica e le altre.
La vicenda comincia con le critiche di FareFuturo, poi la festa di Casoria. La teoria del complotto non fa molta strada Bobo Craxi e Di Donato smentiscono la versione del premier secondo cui il padre di Noemi è stato l’autista del leader Psi
di Giuseppe D’Avanzo (la Repubblica, 08.05.2009) *
Slogan demagogici (tra moglie e marito...); frasi fatte (i panni sporchi si lavano in famiglia); chiacchiericcio (la vicenda è privata). Dire democrazia, questo frastuono, pare un azzardo. E’ rumore che ogni cosa confonde. E’ un dispositivo che distrugge la realtà nell’immagine riflessa del contenitore vuoto dei media. L’operazione non è senza conseguenze perché «il falso indiscutibile» prima cancella l’opinione pubblica che diventa incapace di farsi sentire; poi anche solo di formarsi. C’è chi in questo andazzo ci sta come il topo nel formaggio o perché ha già conquistato il suo posticino a corte o perché spera di conquistarlo al prossimo turno o perché, più umanamente, non ha voglia di darsi il coraggio necessario per chiedere di non essere preso per il naso, almeno.
Sarà anche legittimo non farselo piacere l’andazzo, no? Sarà ancora legittimo credere ancora che la realtà esista o che la rimozione non aiuta a guarire le nevrosi - siano esse di un individuo o di una società. E’ ancora legittima, per questa destra nichilista, l’esistenza di chi crede che negare la verità significa sempre negare dei fatti e quindi concedergli di conoscerli? Si potrà forse acconsentire che un principio della cultura dominante (Lietkultur) dell’Occidente europeo e liberale è l’«uso pubblico della ragione». Allora, diciamo che è in nome della ragione o, senza esagerare, di una mediocre ragionevolezza che si può chiedere a Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, di inventare meglio la frottola perché così come ce la offre è troppo taroccata per crederla vera. Dovunque la sfiori, suona falsa.
E’ in cerca di risposta qualche domanda: Berlusconi «frequenta minorenni», come sostiene Veronica Lario quando si convince a divorziare? Che rapporto, negli anni, Berlusconi ha intrattenuto con Noemi Letizia, 18 anni il 26 di aprile? In quale clima psichico vive il premier? «Ha bisogno di aiuto perché non sta bene», come sostiene preoccupata sua moglie? La febbre o l’inclinazione psicopatologica che lo accalda può definirsi, come hanno scritto il Riformista e l’Unità senza ricevere smentite, un’impotente satiriasi o sexual addiction sfogata in «spettacolini» affollati di escort e «farfalline» tra materassi extralarge in quel palazzo Grazioli, impernacchiato di tricolore, dove si decidono le politiche del Paese?
E, per ultimo ma non ultimo - perché questione politica per eccellenza - può essere, per dirla con le parole di Veronica Lario, «il divertimento dell’imperatore», questo «ciarpame senza pudore in nome del potere», a selezionare le classe dirigenti, a decidere della rappresentanza politica? Non emerge oggi «attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile (ancora la Lario) la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte le donne soprattutto di quelle che sono state sempre in prima linea e che ancora lo sono, a tutela dei loro diritti»?
Abituato a scriversi in solitudine l’agenda dell’attenzione pubblica, assuefatto a dettare il menabò dell’informazione scritta e televisiva, Berlusconi barcolla quando lo assale l’imprevisto e non ha il copione scritto. Bersaglio delle critiche al «velinismo in politica» di Sofia Ventura, politologa di Fare Futuro, sorpreso a festeggiare a Casoria, Napoli, una diciottenne, Berlusconi da Varsavia improvvisa e sbaglia le sue mosse. Dice che non ha mai pensato a sistemare "veline" (escluse a sorpresa e in gran fretta, una miss Veneto, una "meteorina" di Retequattro lo smentiscono mentre tacciono deluse una "rossa" del Grande Fratello, una valletta Mediaset, un star di «Incantesimo», un’«Elisa di Rivombrosa»). Dice che Noemi è soltanto «la figlia di un vecchio amico, ex autista di Craxi» (lo smentiscono Bobo Craxi e Giulio Di Donato, vicesegretario del Psi e per di più un napoletano che dovrebbe conoscere l’autista napoletano del segretario). Dice che si tratta di un «tranello mediatico» in cui è caduta anche «la signora», cioè sua moglie. Trappola di chi? Di Fare Futuro, think tank di Gianfranco Fini? La teoria del complotto non fa molta strada, è buona soltanto per babbei e turiferari. Muore lì.
Tornato in Italia da Varsavia, Berlusconi guadagna qualche ora per rimettere insieme e meglio i cocci della sua storia. Che, sulla scena gregaria di Porta a Porta, diventa questa. «E’ una menzogna che frequento minorenni. Il padre della ragazza mi ha chiamato perché voleva un appuntamento con me per parlarmi delle candidature nel sud di Franco Malvano e Flavio Martusciello. E’ stata soltanto Repubblica a sottendere la frequentazione della ragazza». La favola è scritta male, può contare - per essere accettata - soltanto su una pulsione servile.
E’ stata Noemi, che lo chiama «papi», a raccontare come sono andate le cose in questi anni. «Papi mi ha allevata. Non mi ha fatto mai mancare le sue attenzioni. Un anno, ricordo, mi ha regalato un diamantino; un’altra volta, una collanina. Domenica, una collana d’oro con un ciondolo. Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo a Milano, a Roma. Resto ad ascoltarlo. E’ questo che lui desidera da me. Poi cantiamo assieme. No, non mi candiderò alle prossime regionali. Preferisco candidarmi alla Camera. Ci penserà papi Silvio».
Di questi incontri e promesse, Berlusconi non parla. Lascia pubblicare a un periodico della Casa le foto della festa di Casoria. E che c’entrano? Mica Veronica Lario lo ha accusato di atti osceni in luogo pubblico? La strategia di Berlusconi è nota, e le foto la confermano. Non confuta, ma distrae. Non offre alcun certo punto di riferimento per orientarsi nella polemica, ma disintegra nel rumore quel che poco che si sa nella convinzione che, presto, affiorerà la consueta «indifferenza per come stanno davvero le cose».
La fanfaluca («non frequento minorenni») non regge nemmeno se la si verifica, diciamo così, dal lato del padre di Noemi, Benedetto Letizia. E’ lui, Benedetto, il "contatto" tutto politico di Berlusconi? L’uomo, commesso in municipio, dovrebbe essere un influente esponente del Popolo della Libertà meridionale se il presidente del Consiglio discute con lui, proprio con lui e solo con lui senza intermediari, le candidature europee. Purtroppo nel Popolo della Libertà nessuno conosce Benedetto Letizia. Ignorano chi sia Benedetto anche Franco Malvano e Flavio Martusciello. Il primo è stato questore di Napoli e, investito da Berlusconi, candidato sindaco di Napoli. Il secondo è il fratello di Antonio Martusciello, dirigente di Publitalia prima di entrare nella task force di Marcello Dell’Utri che creò Forza Italia, diventato parlamentare e anche viceministro dei Beni culturali. Un buon veicolo, il fratello, per raggiungere il Capo. E’ ragionevole credere che se i due avessero voluto discutere delle loro candidature si sarebbero rivolti direttamente a Berlusconi e non ai buoni uffici di un commesso del Comune che nel PdL non si è mai visto. Berlusconi ammette di aver incontrato la ragazza in qualche occasione, ma sempre alla presenza dei genitori. Né la madre né il padre di Noemi hanno mai parlato di incontri a Milano o a Roma con Berlusconi. Si può scommettere qualche euro che lo faranno nei prossimi giorni.
Se si sbriciolano tutti gli argomenti preparati per smentire gli incontri con una minorenne (tre regali, tre compleanni vuol dire che Noemi incontra Berlusconi da quando aveva sedici anni e lo ha conosciuto quindicenne), è più assennato credere alle parole inquiete di Veronica Lario: è vero, il presidente del Consiglio frequenta minorenni che «magari» fossero sue figlie segrete. Trascuriamo le ricostruzioni degli «spettacolini» e gli «accappatoi di un bianco che quasi abbaglia» e il vigore ritrovato con un misterioso «farmaco che si inietta», assunto ormai «fuori da ogni controllo medico».
Abbandoniamo queste scene tra le cose dette e mai contraddette perché è ben più critico (o molto coerente) che la questione politica, sollevata all’inizio di questa storia da due donne, Sofia Ventura e Veronica Lario, sia stata affrontata soltanto da altre donne (Aspesi, Bindi, Bonino, Spinelli, Dominijanni) nel raggelante silenzio dell’élite nazionale come se questa «valorizzazione» delle donne non riducesse «la loro libertà a libertà di mostrarsi in tv e offrirsi come gadget al circuito del potere» o a un dominio proprietario e "spettacolare".
Sembra che soltanto le donne abbiano capito che quest’ambigua, violenta atmosfera che consente di ridicolizzare le loro storie e il loro destino, tra sghignazzi, ironie e magari qualche «palpatina di classe», educa «la gente per bene ad abituarsi ad ascoltare cose che, nel passato, sarebbe stata orripilata di pensare e alle quali non sarebbe stata concessa pubblica espressione». O alcun «uso pubblico della ragione».
Il Cavaliere e il letto al potere
di Francesco Merlo (la Repubblica, 07.05.2009)
Il gossip, come diceva Flaubert, «dispensa dal pensare» e dunque nessuno si stupisce di questo cortile, di questo anfanare plebeo sugli amori di una coppia di speciale visibilità come sono i coniugi Berlusconi.
Né è una novità l’asservimento della televisione pubblica ai vizi del principe, con il "Porta a porta" diventato per l’occasione "Letto a letto". Ma la velocità, la passione e l’intensità del gossip sul divorzio hanno coperto lo scandalo reale, ancora irrisolto e dunque intollerabile in un paese civile. Berlusconi infatti non ha mai chiarito, né i suoi detrattori hanno mai pienamente dimostrato, quanto erotici siano in Italia i dicasteri e quanto ci sia di Morgensgabe, di dono del mattino, nelle cariche istituzionali. Insomma, l’accanimento sul tradimento della moglie nasconde la vera questione italiana: siamo tornati, unico Paese dell’Occidente avanzato, alle forme autocratiche del potere, quando lo Stato, i posti di Stato, i ministeri di Stato, venivano appaltati ai famigli, ai favoriti, ai mariti delle amanti, alle amanti?
Berlusconi, fiutando il palcoscenico maschile, ha consegnato a Bruno Vespa le sue dichiarazioni di innocenza accompagnate dai soliti ammiccamenti verso i peccati che giura di non avere commesso. Ma il sospetto infamante e dunque calunnioso che pesa su di lui non è l’adulterio, non è l’avere oltraggiato la delicatezza femminile della moglie, non è l’avere offeso e rinnegato il berlusconismo ingentilito che c’è in Veronica, ma l’avere portato il letto al potere d’Italia.
Ed è persino divertente che il giornale dei vescovi gli rimproveri l’impertinenza e la mancanza di sobrietà, insomma proprio i famosi peccati di cui l’italiano, da simpatica canaglia, sa pentirsi e negare, e al tempo stesso compiacersene e andare fiero.
Inconsapevolmente, a riprova che il moralismo è cieco, "Avvenire" ha reso un favore al Berlusconi che si bea appunto della propria impertinenza e delle proprie marachelle e non si rende conto che chiedere a un’assessora il permesso di palpeggiamento, chiedere «posso palpeggiare un po’ la signora?» con un mezzo sorriso burocratico istituzionale durante una visita nelle zone terremotate non è una pulsione ma è una patologia. Eppure "Avvenire" ha accreditato, censurandola, l’esuberanza sessual-affettiva e non la malattia, ha certificato quell’eterna adolescenza nella quale Berlusconi finge drammaticamente di vivere e non la sindrome del nonno immaturo che ridiventa bambino con i bambini e con le bambine.
Più acutamente il mondo religioso avrebbe dovuto vedervi la decadenza di quell’infoiamento che fu raccontato al cinema da Tognazzi. Qui infatti non c’è il premierato annichilito dalla commedia all’italiana, dalle Baruffe chiozzotte, dalle trame dell’Ubalda tutta calda o del Magnifico cornuto, ma c’è invece il sesso ossessione, il sesso fantasma, il sesso che nessun concetto prefabbricato dalla psicologia può spiegare e contenere e che nessuna velina potrà mai addomesticare; qui non c’è lo spettacolo delle soubrette dalle forme rotonde e le gambe lunghe che capitalizzano e investono sulla propria bellezza impataccando di carezze gli uomini ricchi e potenti, ma c’è lo spettacolo degli anziani uomini di potere che le esibiscono e le istruiscono alla politica: le ricompensano con la politica.
Ma perché i vescovi non gli chiedono conto di quell’altro peccato che, se fosse vero, sarebbe ben più grave, peccato mortale contro l’Italia e contro gli italiani? Stiamo parlando della simonia laica, del sospetto, mai provato e mai fugato, di ricompensare l’avvenenza con i posti in Parlamento e con i ministeri.
Fu nell’estate scorsa che l’Italia fu invasa da decine e decine di "aforismi telefonici" sui meriti sessuali di ministre e sottosegretarie, frasi più o meno volgari e più o meno verosimili che ancora adesso purtroppo accompagnano la Carfagna, la Gelmini, la Brambilla nonché l’intero educandato di attrici, veline e ballerine che non sono più la gioia malandrina del potere ma sono ormai una degenerazione del potere italiano.
È vero che fu gossip anche quella divulgazione, per passaparola e per mormorio, del contenuto, non si sa quanto calunnioso, di alcune intercettazioni, come sempre di nessun valore penale. Ma la distruzione legittima e legale di quelle intercettazioni non ha certo smontato l’infamia della quale Berlusconi e le sue ministre si dichiararono vittime. Anche perché l’Italia deve all’ambiguità della sua storia la fama di paese nel quale si distruggono solo le prove, di paese nel quale più si distrugge e più si costruisce la prova.
Attenzione dunque a quel che accade. Con la complicità delle televisioni e dei giornali che trascinano anche Veronica nel letamaio e la mostrano senza veli per farne una velina dissennata e scosciata, Berlusconi sta trasformando le ferite che ha inferto alla moglie in una battaglia e magari già in una vittoria politica, con l’idea tutta berlusconiana della politica che, come la vita sregolata e romanzesca, fluisce nel viso rifatto e nei capelli che ricrescono, nella prostata che guarisce e nel seduttore che ringiovanisce, nel padre in pericolo e nel marito monello: è un fumo, una magia, un "a me gli occhi" che non solo restaura il mito guasto e avariato del "Silvio Priapo" ma nasconde il vero, l’ultimo scandalo di un’Italia non più governata dal conflitto di interessi, ma dal conflitto di piaceri: prurito di interessi, conflitto di pruriti, conflitto di interessi pruriginosi.
Prudenti i giudizi del sottosegretario Roccella e dell’editorialista di "Avvenire" Delle Foglie
"Le accuse di Veronica? Serve la verità"
I leader del Family day: il premier non ha offeso, ma sia più sobrio"È evidente che i suoi fatti privati hanno un riverbero politico. È bene che faccia chiarezza"
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 07.05.2009)
ROMA - «No, Berlusconi non offende le donne. Lui è fatto così, è un grande leader, un grande comunicatore in sintonia con il suo pubblico, anche se a volte lo fa con elementi di anomalia. Ma l’invito alla sobrietà fatto da Avvenire lo condivido, non solo per il premier, per tutti, stampa compresa». «Le accuse che gli ha fatto la moglie? Sono molto insinuanti, se vere sarebbero choccanti per il paese, per questo necessitano di un supplemento di verità, che non può che arrivare solo dalla moglie e dal premier, il cui intervento a Porta a Porta è stato una manifestazione di forza e di debolezza che deve far riflettere».
Berlusconi a «giudizio» di Eugenia Roccella, Sottosegretaria al Welfare, e di Domenico Delle Foglie, editorialista del quotidiano cattolico Avvenire, tra gli organizzatori del Family Day del 12 maggio 2007, il grande meeting cattolico sulle politiche familiari al quale intervenne anche l’attuale premier, a quel tempo capo dell’opposizione del governo Prodi.
Per Roccella - portavoce ufficiale al Family insieme a Savino Pezzotta - «prima di dare giudizi sommari su questa vicenda sarebbe bene ricordarsi che il Vangelo non a caso invita a scagliare la prima pietra solo chi è senza peccato e critica quanti vedono la pagliuzza nell’occhio dell’altro senza tener conto della trave che si ha nel proprio occhio».
Ecco perché, puntualizza, «apprezzo l’invito alla sobrietà del giornale dei vescovi». Ma come donna non le offendono le battute maschiliste del premier? «Lui è fatto così, è fuori dai canoni tradizionali della comunicazione, ma ama scherzare su tante cose e chiedergli di cambiare significherebbe snaturarlo: sarebbe come imporre a Marco Pannella di parlare solo per 5 minuti». «Un politico - aggiunge ancora Roccella - si giudica dalla politica che fa, anche se è evidente che i suoi fatti personali hanno un riverbero pubblico. E il premier dovrebbe tenerne conto. Ma non sarei entrata così pesantemente sulle sue questioni familiari, perché quando una famiglia si rompe è un fatto privato dolorosissimo che andrebbe rispettato».
Berlusconi, però, ama esternare la sua fede cattolica e presentarsi come l’alfiere del dialogo con la Chiesa e il Vaticano. Come va giudicato? «Il premier - ragiona Domenico Delle Foglie - è un cattolico molto complesso, tradizionale, nel senso che è un uomo del secolo scorso che ama il rapporto con le gerarchie cattoliche. E’ talmente sicuro di sè che non ama ascoltare la base cattolica. Una prova? Quando venne al Family Day del 2007 lo invitai ad ascoltare gli interventi della Roccella, di Pezzotta e degli altri relatori e lui sa cosa mi rispose? ‘Ma allora io cosa sono venuto a fare? Io sono venuto a parlare!’. Ed in effetti parlò a lungo, da solo con le tv, le radio e i giornali, e il giorno dopo i media parlarono in prevalenza solo di lui».
Per niente entusiastica, inoltre, l’analisi che Delle Foglie fa dell’intervento del premier a Porta a Porta: «Se ha sentito la necessità di parlare direttamente al popolo per le sue vicende personali e, quel che è peggio, per respingere le accuse della moglie Veronica, è un insospettabile segno di debolezza che non può non fare riflettere. E’ bene che ora su quelle accuse così infamanti il premier faccia completamente chiarezza, perché per cose così gravi non si potrebbe fare finta di nulla. E questo lo pensano tutti i cattolici, senza distinzioni politiche».
di Isabella Bossi Fedrigotti (Corriere della Sera, 07.05.2009)
Vada come vada il divorzio nazionale, possibilmente senza troppe sofferenze reciproche, per riguardo dei figli, soprattutto. E poiché è impossibile sperare in una discreta e quasi beneducata separazione lampo come quella degli ex coniugi Sarkozy - se non altro perché gli alimenti in palio nel nostro caso vanno probabilmente moltiplicati per mille - auguriamoci, almeno, che i colpi bassi non siano troppo numerosi.
Uno, pesantissimo, che giocoforza induce a prendere le parti della moglie divorzianda, è, peraltro, già andato in onda - e in scena - l’altro ieri sera a Porta a Porta, dove il premier ha potuto, davanti a tutto il Paese, sfogarsi, discolparsi (non scusarsi), giustificarsi, teorizzare, sostenere e poi accusare, denunciare, insinuare a ruota libera e in piena libertà ma, quel che più conta, in assenza della controparte che non ha potuto (o non voluto?) intervenire nemmeno con una piccola telefonata in diretta.
Comunicatore istrionico qual è, ha convinto probabilmente non solo la platea televisiva - che ha approvato con ripetuti scroscianti applausi -, ma anche quella nazionale di essere un marito nonostante tutto - ancora - innamorato della moglie, un padre generosissimo e venerato, un nonno che più tenero non si può, un capofamiglia coscienzioso e dabbene, più molte altre cose, tutte edificanti tanto che il suo confessore gli ha già perdonato certe trascurabili debolezze (che, secondo il suo dire, «caratterizzano tutti i grandi uomini»). Il tutto in plateale, bruciante absentia. Senza che la moglie potesse in qualche modo sostenere le sue ragioni, confermando, smentendo o mettendo in dubbio le tante affermazioni andate in onda. E se è vero che del festoso clima familiare descritto dal premier in trasmissione esistono puntuali e decorative testimonianze fotografiche, è anche vero, si sa, che la comunicazione è materia che egli conosce forse come nessun altro.
Virtualmente, in verità, Veronica era assai presente, per tutto il tempo, a Porta a Porta, in qualità di ritratto appeso al muro, però, di ombra zittita e muta sullo sfondo. Se anche non si volesse, dunque, se anche si preferisse tenersi più lontani possibile e disinteressati al gran divorzio, pare difficile non sentirsi solidali con lei: per clamorosamente mancata par condicio.