[...] Oggi gli italiani diranno, con il linguaggio pacifico di una grande manifestazione, a Roma e in altre 80 città della penisola e milioni di tricolori alle finestre, che la difesa della Costituzione e quella della scuola pubblica sono battaglie congiunte e indivisibili [...]
[...] ha fatto bene Paolo Colombo a dedicare un saggio analitico e puntuale a La monarchia fascista 1922-1940 (Il Mulino editore, pagine 264, 25 euro) che ricostruisce con precisione il processo attraverso il quale venne instaurata la diarchia di fatto tra il dittatore romagnolo e Vittorio Emanuele III, il funzionamento che si stabilì successivamente con le leggi fascistissime e la progressiva cancellazione di norme fondamentali dello Statuto Albertino, il contrasto sempre maggiore tra il cerimoniale monarchico e la liturgia di regime fino allo scontro aperto e al crollo della dittatura nel periodo culminante della Seconda guerra mondiale [...]
La corona littoria
di Nicola Tranfaglia (il Fatto, 12.03.2011)
Gli italiani, tra i popoli europei, appaiono quelli che mostrano maggiore difficoltà a trovare i fili della propria storia e lo si avverte in queste settimane nelle quali sono incominciate le celebrazioni, avversate dalla maggioranza e dalla Lega in particolare, per i centocinquant’anni della nostra unità.
Ma, come era prevedibile, il problema maggiore si tocca quando si parla della dittatura fascista. Il tentativo, durato più di vent’anni di parlarne come di un incidente, o addirittura una parentesi senza conseguenze, ha avuto illustri sostenitori (a cominciare da Benedetto Croce) ma poi ha dovuto cedere il passo all’identificazione di una dittatura nuova e con tratti moderni che non è arrivata per caso, ma sulla base di antichi difetti della nostra unificazione e soprattutto dei governi liberali. Questa dittatura, se è caduta, è stato soprattutto per le vicende militari e l’azione di gruppi minoritari anche se estesi in tutto il paese che hanno lottato eroicamente contro i nazisti e i fascisti insieme con le truppe angloamericane sbarcate sulla Penisola.
SE LA GUERRA non avesse costretto le istituzioni fondamentali della società italiana, il Vaticano e la monarchia sabauda a dissociarsi dal dittatore, questi sarebbe durato altri trent’anni come avvenne puntualmente a Francisco Franco in Spagna e a Salazar in Portogallo. Del resto la Repubblica sociale italiana di Mussolini tra il 1943 e il 1945 era vissuta soltanto come stato satellite e subalterno della Germania di Hitler essendone complice nella deportazione degli ebrei e degli oppositori politici come nella crudele politica razziale. Questa considerazione pone agli storici che continuano a ragionare fuori degli stereotipi problemi di interpretazione e analisi sia del sistema di potere del regime sia del comportamento politico e culturale delle istituzioni che hanno sostenuto e condiviso il potere con il dittatore romagnolo.
Le polemiche sull’atteggiamento dei pontefici e di Pio XII in particolare sono state assai forti e nuovi documenti americani, inglesi e italiani che pubblicherò nel prossimo autunno accresceranno ancora lo sconcerto nel mondo cattolico più vicino a quel papato.
Ma c’è un’altra istituzione politica che ha avuto un ruolo decisivo nell’instaurazione e nella sopravvivenza della dittatura e ha fatto bene Paolo Colombo a dedicare un saggio analitico e puntuale a La monarchia fascista 1922-1940 (Il Mulino editore, pagine 264, 25 euro) che ricostruisce con precisione il processo attraverso il quale venne instaurata la diarchia di fatto tra il dittatore romagnolo e Vittorio Emanuele III, il funzionamento che si stabilì successivamente con le leggi fascistissime e la progressiva cancellazione di norme fondamentali dello Statuto Albertino, il contrasto sempre maggiore tra il cerimoniale monarchico e la liturgia di regime fino allo scontro aperto e al crollo della dittatura nel periodo culminante della Seconda guerra mondiale.
L’autore si ferma al 1940 quando l’Italia entra in guerra al fianco di Hitler e dimostra con pagine di grande chiarezza come Vittorio Emanuele III avesse abbracciato armi e bagagli la veste della monarchia fascista di cui restano testimonianze dirette e incontestabili come quella del fascista Giuseppe Bottai che nel 1938 scrive una considerazione difficilmente contestabile chiusa da un interrogativo in parte retorico: “Il problema dei rapporti tra il Re e il Duce sembra risolto da una cordiale intesa tra i due uomini, nonostante la difficoltà di far convivere nel rapporto le funzioni di Re e di Duce. La duttilità giuridica degli italiani può andare oltre la normalizzazione empirica del binomio, traendone nuovi valori e significati? “
LO STORICO delle istituzioni sottolinea “la natura profonda di un dilemma che pare difficile sciogliere in maniera definitiva: vediamo il fascismo cercare di impadronirsi dell’impianto di feste e celebrazioni costruito nel tempo dal sistema liberale con infissa bene nel centro la dinastia del padre della patria e il suo apparato simbolico: ma vediamo il re prestarsi in innumerevoli occasioni al gioco propagandistico del regime. È il fascismo che sta fagocitando la monarchia o è quest’ultima che si rivela capace di garantirsi una visibilità pubblica e l’indispensabile flusso di vitali risorse simboliche avvalendosi dei canali comunicativi approntati dal governo di Mussolini?”
L’esposizione dei fatti dimostra in maniera difficilmente contestabile che la monarchia diventa a tutti gli effetti una dinastia del fascismo trionfante dal momento in cui il sovrano sabaudo nega al presidente del Consiglio liberale Facta la firma al decreto di stato d’assedio per la progettata marcia su Roma fascista del 28 ottobre 1922 e prosegue negli anni successivi con alcuni scontri simbolici come quello che si verifica subito dopo l’impresa di Etiopia e la creazione dei primi marescialli dell’impero che vedono Mussolini e il re appaiati nella nuova carica di regime.
Ma le scaramucce tra i due giungono allo scontro mortale soltanto quando la guerra è persa, gli angloamericani sbarcano in Sicilia e nel Lazio e i gerarchi fascisti, appoggiati dal re e dal Vaticano, tolgono la fiducia nel Gran Consiglio del 25 luglio 1943 a Mussolini come comandante supremo delle forze armate fasciste. Ed è così che dopo ventuno anni che la complessa diarchia alla fine crolla e il regime cade clamorosamente.
La battaglia per la Costituzione
Difendere la Carta per difendere noi stessi
di Nicola Tranfaglia (l’Unità, 12.03.2011)
Oggi gli italiani diranno, con il linguaggio pacifico di una grande manifestazione, a Roma e in altre 80 città della penisola e milioni di tricolori alle finestre, che la difesa della Costituzione e quella della scuola pubblica sono battaglie congiunte e indivisibili.
Speriamo che le tv e i giornali di proprietà del capo del governo o da lui controllati se ne accorgano.
L’articolo 64 della legge 133 del 2008 intende tagliare 87.400 posti di insegnante e non è lontano dal raggiungere l’obbiettivo previsto dal provvedimento triennale. Una distruzione sistematica della nostra scuola, fattore fondamentale di integrazione degli italiani.
Un musicista come Nicola Piovani ha ricordato che la scuola della costituzione ha il compito di difendere «la laicità dello Stato, l’antifascismo, la legalità, la Resistenza, tutte le religioni» e basta pensare alla famosa canzone di Francesco De Gregori per ricordare che «la storia siamo noi» e che una Nazione senza memoria e consapevolezza storica costruirà la sua casa sulla sabbia.
«L’educazione ha detto a sua volta il sociologo francese Edgar Morin deve contribuire all’autoformazione della persona e insegnare a diventare cittadino.Un cittadino in una democrazia si definisce attraverso la solidarietà e la responsabilità in rapporto alla sua patria. Il che suppone il radicamento in lui della sua identità nazionale».
La carta costituzionale dice con estrema chiarezza quale è il rapporto che deve esserci tra scuole pubbliche e scuole private, all’articolo 34 recita che «enti privati hanno il diritto di istituire scuole e corsi di educazione senza oneri per lo Stato». Di qui la netta incostituzionalità di disegni di legge, come quello del leghista senatore Pittoni, che vuole istituire graduatorie regionali per l’insegnamento in modo da escludere nelle varie regioni insegnanti che provengano da altre parti del Paese. E l’assurdità delle pretese, sempre della Lega Nord, che vuole sostituire il dialetto alla lingua italiana in alcune regioni. Uno scrittore come Pier Paolo Pasolini in tempi non sospetti scriveva che «il dialetto vive dentro una lingua nazionale forte».
La verità è che la legge del 2008, come altri provvedimenti proposti dall’attuale maggioranza, hanno un duplice obbiettivo che diventa sempre più chiaro e preoccupante. Si tratta di favorire, attraverso l’attività legislativa di questi anni, il depotenziamento della scuola pubblica a vantaggio di quelle private e, nello stesso tempo, rendere gli italiani sempre più ignoranti, sempre più dipendenti e passivi davanti dalle trasmissioni televisive che oggi vanno in voga da Amici della De Filippi al Grande Fratello e all’Isola dei famosi che campeggiano sugli schermi Mediaset-Rai e favorire così un dominio più facile per la deriva nazionale degli ultimi vent’anni. Un progetto diabolico non c’è che dire.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
Le piazze e la Costituzione
di Curzio Maltese (la Repubblica, 13.03.2011)
Piazze invase dai tricolori, guerra di cifre. Giustizia, parla Vietti: la riforma non punisca i magistrati
"Un milione per Costituzione e scuola"
Il tricolore e la Costituzione, l’inno di Mameli e «Bella ciao».
Le cento piazze italiane hanno sapute leggere, fin dai simboli, la storia di questi anni, l’essenza della scontro politico in atto da quindici anni.
Assai meglio di quanto non sappiano fare i partiti.
Nel Paese c’è una minoranza che non si riconosce nei valori della Carta e c’è una maggioranza che invece vorrebbe vedere applicato il patto fondante della Patria. Questo è il vero conflitto
Nei 150 anni di unità, l’Italia, al prezzo di immani tragedie, è riuscita a darsi una sola vera e grande patria. Questa patria è la Costituzione antifascista. Le altre idee di patria, dal fascismo in su o in giù, sono state piccole, miserabili e funeste. Da quindici anni la lotta politica non è quella che si racconta, fra una destra e una sinistra quasi altrettanto immaginarie, almeno secondo i parametri delle altre democrazie. Tanto meno fra berlusconismo e anti berlusconismo, categorie al pari esagerate rispetto all’esiguità e a tratti il grottesco del personaggio.
Il cuore del conflitto sta altrove, fra un’Italia di larga e compatta minoranza che non crede ai valori della Costituzione, non li pratica e vorrebbe cancellarli, e un’Italia maggioritaria, ma divisa, che si riconosce nel patto fondante della Repubblica e vorrebbe vederlo finalmente applicato. Era questa la fotografia politica del Paese nel ’94, subito dopo la discesa in campo di Berlusconi, confermata dai referendum costituzionali del 2006, e tale rimane ancora oggi. In mezzo, il grumo di poteri ideologicamente anticostituzionali che ora chiamiamo col nome di un ricco imprenditore che si è adoperato con ogni strumento culturale, politico, economico per attaccare e distruggere le basi stesse del patto democratico. Senza risparmiare nessuno dei valori fondanti, dal ripudio della guerra alla prevalenza dell’interesse pubblico sul privato, dalla separazione dei poteri alla laicità dello Stato, al ruolo di garante costituzionale del Presidente della Repubblica. Anche attraverso l’azione parallela di un revisionismo storico che punta al massimo e blasfemo scopo di equiparare i partigiani e i repubblichini di Salò.
Se domani, per ipotesi, sparisse Berlusconi, il conflitto non cambierebbe nella sostanza di una virgola. Diventerebbe soltanto più limpido, sgombrato dalle nebbie del populismo mediatico. Lasciando più spazio alla Lega, cioè alla forza che con schiettezza identifica l’attacco alla Costituzione antifascista con l’attacco all’unità del Paese. Come avviene già in questi tempi di berlusconismo agonizzante, in cui è la Lega l’autentico motore politico dell’azione di governo.
Questa è la posta in gioco. Così l’hanno illustrata le cento piazze d’Italia, con la semplice forza dei simboli, degli inni e delle duecento parole con le quali i padri costituenti hanno scritto la prima parte della Carta. In modo che proprio tutti possano comprenderla, anche coloro che continuano a non volerlo fare. Così l’hanno percepita e spiegata di recente artisti come Roberto Benigni o Roberto Saviano, e l’hanno trasformata in racconto popolare. Il giorno in cui i partiti dell’opposizione sapranno capire e spiegare la posta in gioco con altrettanta chiarezza, sarà un gran bel giorno per la democrazia italiana.
Giustizia, ma quale dialogo: dieci ragioni per dire no
di Furio Colombo (il Fatto, 13.03.2011)
“Gentile Furio Colombo,
sono una casalinga demoralizzata e incazzata, ma purtroppo del tutto impotente. Mi permetto un piccolo sfogo sulla sua pagina perché mi fa sentire un po’ meno sola di fronte all’attuale, allucinante situazione italiana. Ma come è possibile, mi chiedo, che a un presidente del Consiglio imputato in quattro processi sia offerta collaborazione per riformare ‘insieme’ la giustizia?
Curatola Gabriella”.
L’osservazione è semplice e netta e difficile da eliminare. Penso che rappresenti lo stato d’animo di tanti cittadini, che forse voteranno a sinistra e forse no e stanno col fiato sospeso per vedere se il brusio di favore alla grande riforma di Berlusconi, che comincia a sentirsi tra le file dell’opposizione e nelle dichiarazioni di alcuni con nome e ruolo di prima fila nel Pd, diventerà davvero un modo di partecipare alla grande riforma costituzionale della Giustizia italiana. Ovviamente, in tempo di elezioni, la grande riforma apparirà in testa alla lista dei successi del gruppo Berlusconi (inteso sia come partito sia come azienda) e tra le colpe non perdonabili dell’opposizione in generale e del Pd in particolare.
Bisogna ammettere che l’infiltrazione nelle file e nelle teste dei parlamentari e degli opinionisti di area Pd dell’idea, dopotutto, sulla giustizia si può collaborare, è avvenuta con cautela e bravura , cominciando dalle colonne del Riformista, dai suoi opinionisti di prima fila e dai suoi ex, molto stimati e molto invitati nella vetrine Tv come “rappresentanti della sinistra”. La trovata è stata di iniziare subito il dialogo, (ma anche la zuffa va bene, l’importante è partecipare al gioco) sulle singole parti, innovazioni, trovate e articoli del progetto di legge Berlusconi-Ghedini-Alfano. Qui l’importante è di impedire che si manchi di rispetto al grandioso evento che cambierà la vita italiana, e che tutti, anche gli avversari, prendano sul serio la prova di forza (e di vittoria) che sta per attraversare come una valanga non resistibile il Parlamento mercenario che oggi decide a nome della Repubblica italiana.
MERITA UNA riflessione la possibilità che i Radicali eletti nel Pd, alla Camera e al Senato, accettino di lavorare alla riforma della Giustizia secondo Berlusconi. Penso che sia un errore, che però è coerente con tutte le cose dette e fatte dal partito di Pannella e Bonino (condivise o no dai compagni di strada dei Radicali in tutti questi anni). Infatti i Radicali, che si battono da decenni per una loro riforma della Giustizia (molto prima del 1994, anno che l’uomo di Arcore indica come data di nascita del suo progetto) vedono Berlusconi accostarsi al loro percorso e non viceversa.
Io non accetterei monete da un falsario, persino se sembrano identiche a quelle vere, e credo che a un certo punto scatterà la ben nota intransigenza di quel gruppo politico, e ci sarà una netta rottura, come è accaduto in passato. O almeno lo spero.
Meno facile è mobilitare contro Berlusconi le piazze, le donne, la raccolta di firme, una platea vasta e diversa, come sono gli elettori e I cittadini vicini al Pd, per poi chiedergli all’improvviso di rassegnarsi a discutere di giustizia “insieme”, mentre cominciano, a uno a uno, i processi a carico del grande timoniere della giustizia italiana. E infine, eventualmente, tornare in piazza e poi mobilitarsi per votare contro.
Propongo dunque le dieci ragioni da offrire al Pd per non partecipare in alcun modo alla riforma della Giustizia Berlusconi-Ghedini-Alfano.
1) La riforma nasce come “punizione” e come “vendetta”, e come tale viene annunciata. Anzi è stata rilanciata di colpo dopo l’incriminazione del premier per l’affare Ruby (concussione e prostituzione minorile);
2) Le imputazioni contestate al capo del governo italiano sono troppo gravi, anche come simbolo e immagine del Paese nel mondo, per poter intrattenere una discussione “insieme” sui problemi della giustizia e dei giudici;
3) Berlusconi ha invocato come ragione fondante della sua riforma la vicenda di “Mani Pulite”, il maggior evento di lotta contro la corruzione in Italia. Con la sua nuova legge - promette - la lotta giudiziaria alla corruzione non potrà mai più verificarsi in Italia;
4) Berlusconi è stato coinvolto, in accertate vicende giudiziarie (alcune ancora in corso) nel reato di corruzione di giudici. In altre parole, ha pagato e comprato giudici. Il suo partito-azienda, i suoi avvocati-deputati e lui stesso non possono accostarsi all’argomento “giustizia” e “riforma della Giustizia”, senza suscitare, sospetto e discredito;
5) La maggioranza di cui Berlusconi dispone è una maggioranza in parte comprata. La mancanza di “vincolo di mandato”, indicato dalla Costituzione, non sana questo grave aspetto o sospetto di corruzione. Meno che mai in una legge che riforma vita e attività dei giudici;
6) Berlusconi, personal-mente e attraverso il suo Giornale, ha definito i giudici “un cancro”, “un gruppo eversivo”, una “associazione a delinquere”, una aggregazione di poveri matti. Ci si può associare?;
7) Nell’annunciare che la legge costituzionale di riforma della Giustizia era sul punto di essere presentata in Parlamento, Berlusconi ha detto, riferendosi alla sua “persecuzione: “Così questa storia indegna finirà per sempre”. In tal modo e intenzionalmente, ha voluto rendere chiara per tutti la natura della nuova legge costituzionale: non renderà mai più possibile l’incriminazione dei potenti;
8) È evidente, ripetuta e vistosa la intenzione del premier e dei suoi avvocati di sterilizzare uno dei tre poteri su cui si fonda lo Stato democratico, il potere giudiziario, dopo avere ottenuto il controllo del Parlamento attraverso una poderosa e sfacciata campagna acquisti, e avere stabilito un record di ore di presenza su tutte le reti televisive, di Stato e private, e mentre sono in corso attività finanziarie per alterare gli equilibri di potere in uno dei due maggiori quotidiani italiani ancora indipendenti;
9) Berlusconi ha bisogno di complici. L’Italia è oggetto di scrutinio attento da parte delle democrazie e dell’opinione pubblica democratica del mondo. Una legge che riformi drasticamente il sistema giudiziario italiano, sotto bandiera Berlusconi, sarebbe guardata, fuori dall’Italia, con il sospetto che merita. È indispensabile per lui e i suoi avvocati, avere ben più che i “responsabili” a tariffa che hanno abbandonato altri partiti per offrirgli reputazione, lealtà e voto. Ora occorrono complici che siano la prova della buona fede di questa avventura;
10) La legge di riforma costituzionale della Giustizia non può arrivare sul tavolo del capo dello Stato senza i nomi e le firme di almeno una parte della opposizione e, soprattutto, di una parte del Pd in funzione di garanzia notarile.
Ecco dove il Pd si presenta al Paese come una opposizione invalicabile oppure come il complice necessario di Berlusconi. La campagna elettorale che ci sarà subito dopo si decide qui.
Da genova a catanzaro
C-day, l’Italia in piazza
Genova - Giro dello Stivale per raccontare cosa succede nelle piazze italiane durante il ‘C-Day’, la giornata dedicata alla tutela della Costituzione.
ROMA
Il `Professore’ canta «Chiamami ancora amore» e la piazza sventola un centinaio di bandiere dell’Italia. Così le migliaia di manifestanti, presenti a Piazza del Popolo per il C-day, hanno accolto il cantante Roberto Vecchioni. «Non vedo quali altre scuole ci siano se non quelle pubbliche - ha detto il vincitore dell’ultima edizione del Festival di Sanremo dopo aver cantato - scuola e istruzione sono le prime cose di un paese civile. Nella scuola si impara a riconoscere gli amici dai nemici, si impara ad annusare l’altro e lo si fa grazie alle migliaia di insegnanti sottopagati che ci sono in Italia».
«Operai e studenti sono le due categorie che amo di più e nella canzone le ho volute mettere tutte e due perché sono straordinarie protagoniste della società italiana». Il `Professore’ ha poi dedicato agli studenti, che ha definito «la nostra speranza più alta», e al mondo della scuola la canzone «Sogna ragazzo sogna».
«È giunto il momento di stare tutti insieme, non è il momento di divisioni e politiche inutili. Dobbiamo essere uniti fin quando non saranno allontanati i nemici della Costituzione». Lo ha detto il portavoce di Articolo 21, Beppe Giulietti, durante il suo intervento dal palco del C-day, manifestazione in difesa della Costituzione. «Se ci sono persone di una destra non berlusconiana che sono d’accordo con noi ben vengano - ha aggiunto - attorno alla Costituzione non c’è bisogno di fili spinati».
«La gente va in piazza perché l’illegalità in Italia è dilagante». Così la cantante Fiorella Mannoia durante il C-day organizzato in difesa della Costituzione. «Ogni volta che c’è una manifestazione le si dà un titolo - ha aggiunto - ma oggi è più ampia. È per la legalità, per la Costituzione, per la scuola, per le pari opportunità, per contrastare la volgarità e perché siamo stanchi». «Siamo stati zitti per troppo tempo - ha concluso Mannoia - è ora che la gente si faccia sentire».
GENOVA
Cantando l’inno d’Italia e distribuendo panini con dentro poesie al posto del prosciutto, centinaia di persone sono scese in piazza oggi pomeriggio a Genova per mobilitazione organizzata da Articolo 21 e Libertà e Giustizia per difendere la Costituzione e la scuola pubblica. «La scuola pubblica è un ascensore sociale, la scuola privata conserva i privilegi» era scritto su un cartello. «Bella, sana, robusta Costituzione, senza bisogno di trapianti e di lifting», «Io non inculco, educo», «Si scrive scuola pubblica, si legge democrazia» e «La cultura non si mangia, ma fa crescere» si leggeva su altri manifesti alzati al cielo dei manifestanti. Parrucche tricolori in testa e bandiere tricolori alla mano, il Popolo Viola ha raccolto tra l’altro firme a favore di «una legge di solidarietà nazionale per la ricostruzione dell’Aquila». Mentre al megafono è stato letto in pubblico il discorso di Piero Calamandrei nel 1950 a difesa della scuola pubblica, sono state distribuite barchette di carta con scritto «Viva la scuola pubblica».
MILANO
Oltre un migliaio le persone che stanno manifestando a Milano in difesa della Carta costituzionale. Dal palco si alternano vari oratori introdotti da Piero Ricca, il blogger che fu condannato e poi assolto per avere gridato «buffone» al premier Silvio Berlusconi in Tribunale a Milano. Le parole d’ordine si articolano su vari argomenti: dalla difesa dell’autonomia della magistratura, a quella della scuola pubblica e dell’acqua pubblica. «Bisogna respingere questo attacco alla democrazia - ha detto uno degli oratori, l’attore Moni Ovadia -. Chi ci governa è nemico della Repubblica».
Il premio nobel Dario Fo, nel suo intervento alla manifestazione a difesa della Costituzione a Milano ha anche ironizzato sul `cerottone’ con cui Silvio Berlusconi è stato visto dopo la recente operazione maxillo-facciale. «Forse - ha detto - lo hanno operato dal di fuori, perché lui non apre mai bocca, specie nei processi». Fo, in un largo Cairoli che non ha potuto contenere alcune migliaia di manifestanti, ha spiegato: «eravamo una Repubblica fondata sul lavoro, non sullo sfruttamento. Un tempo, le leggi ad personam non esistevano. Ora dire che la legge è uguale per tutti sembra una battuta». «Come possiamo continuare a tenercelo - ha chiesto Dario Fo -? Non è che ci sia anche qualche responsabilità della sinistra?». Il premio Nobel ha poi ironizzato sulla vicenda Ruby chiedendosi se sia possibile che Berlusconi quando telefonò in Questura per farla affidare al consigliere regionale Nicole Minetti fosse davvero convinto che la ragazza fosse nipote di Mubarak. «Se è così - ha detto Fo - allora è scemo».
CATANZARO E REGGIO CALABRIA
Alcune decine di cittadini hanno partecipato, a Catanzaro, raccogliendo l’invito della sezione cittadina dell’associazione nazionale partigiani (Anpi), alla manifestazione «C day» in difesa della Carta Costituzione in occasione del 150/mo anniversario dell’Unità d’Italia. Nella centrale piazza Prefettura del capoluogo calabrese, tra bandiere tricolori e con il gonfalone dell’Anpi, uomini e donne, giovani e anziani, hanno esposto e indossato cartelli con il testo degli articoli della carta fondamentale dello Stato evidenziando la necessità di «difenderla - hanno spiegato - dai continui attacchi che le vengono rivolti, ribadendo la necessità della certezza del diritto». Molti dei partecipanti, soprattutto i più giovani, con una copia della Costituzione in mano, hanno dato vita ad una lettura pubblica dei testi degli articoli mentre in tanti hanno intonato «Bella ciao». «Siamo in piazza - ha detto il presidente dell’Anpi catanzarese, Mario Vallone - per difendere la costituzione e per dire no allo scempio della democrazia da parte del Governo e della destra che, per coprire i misfatti e i guai giudiziari del loro capo e presidente del Consiglio, vogliono abolire le intercettazioni, impedire i processi e la libera informazione con la famigerata legge bavaglio». Anche a Reggio Calabria, in piazza Camagna,l’Anpi ha chiamato a raccolta i cittadini a difesa della Costituzione. Tante le adesioni di singoli e rappresentanti di associazioni cittadine.
VENEZIA
Il fondatore di Emergency, Gino Strada, è intervenuto questo pomeriggio a Mestre insieme con altre 400 persone circa alla manifestazione in difesa della Carta Costituzionale. «La Costituzione - ha detto Strada - è stata stuprata, umiliata, vilipesa da tutta la classe politica italiana. Trovo perfino indegno che i partiti si presentino in piazza oggi per difenderla, dopo che hanno votato a favore della guerra, del prevalere del privato sul pubblico». «L’unico modo - ha concluso - è che i cittadini riprendano ad organizzarsi autonomamente, riscrivendo le regole del vivere civile».
BARI
«Io penso che la Costituzione è giovane, è fresca, è il documento più bello che parla della dignità di questo giovane Paese che ha soltanto 150 anni. Allora, bisogna difendere con le unghie e con i denti la nostra Costituzione, la carta d’identità della nostra dignita»`. Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, intervenendo alla manifestazione in corso a Bari a difesa della Costituzione. All’incontro partecipa un centinaio di persone. ’`La nostra democrazia - ha detto il governatore - e’ figlia di una grande battaglia di libertà. I padri e le madri costituenti hanno guardato il teatro di una tragedia senza precedenti: 50 milioni di morti nel mattatoio europeo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Loro hanno scritto quell’ art.11 che dice che l’Italia ripudia, un verbo di forza biblica, la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionalì’. «Loro hanno scritto - ha sottolineato - che la modernità parte dal principio di eguaglianza: per esempio tutti dobbiamo essere eguali davanti alla legge. Anzi, chi più è potente, più deve essere sottoposto al controllo di legalità, mentre oggi noi viviamo in un Paese in cui c’è uno Stato che è giustizialista con le persone giustiziate e garantista con i garantisti».
FIRENZE
Una parte dei manifestanti, giunti in piazza Santa Croce, con bandiere tricolori e striscioni, è salita sul sagrato della Basilica ed ha intonato prima l’inno italiano e poi Bella ciao. Durante il corteo, senza simboli di partito, è stato più volte scandito lo slogan `Dimissioni!’ rivolto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Secondo la Questura i partecipanti all’iniziativa, che si è conclusa intorno alle 17, sono stati circa 5000 e non 8000 come invece hanno detto gli organizzatori. A Pisa e a Livorno, i manifestanti si sono riuniti per leggere passi della Costituzione, in particolare i Principi fondamentali e gli articoli 33 e 34 dedicati alla scuola. Analoghe iniziative si sono svolte in altre città toscane.
CAGLIARI
Da questa mattina il Tricolore sventola dalla Torre Aragonese di Porto Torres. Dal 24 novembre del 2009 è uno dei due luoghi simbolo della battaglia per il lavoro dei cassintegrati della Vinyls, giunti anche al loro 389/o giorno di occupazione dell’ex isola carcere dell’Asinara. «Questa bandiera rappresenta per noi un grande simbolo, quello della difesa della costituzione e del diritto alla dignità della vita, attraverso il lavoro - sottolinea Romano Chessa, operario della Tecnicoop, una ditta d’appalto della Vinyls - siamo orgogliosi di farla svettare dal luogo da cui stiamo portando avanti una dura lotta contro la disoccupazione». Si sono ritrovati sotto questo presidio i lavoratori, assieme alle loro mogli. E proprio una di loro, Marisa Sanna, moglie di Antonello Pinna, ha cucito la bandiera, da dedicare al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Sono emozionata - dice Marisa - vedere così in faccia al popolo, così imponente, questo grande vessillo che cucito tra i mille impegni mi fa sentire un pò come quelle coraggiose donne del Risorgimento». Marisa giovedì era a Cagliari in occasione della visita di Susanna Camusso, leader della Cgil. «Sono entrata in Cattedrale - racconta - e ho acceso due ceri alla Madonna con Gesù in grembo. Ho chiesto la grazia `che gli operai possano tornare presto a lavoro’». A dare una mano a Marisa, che a 45 anni è già mamma di quattro figli e nonna di due, per la realizzazione del Tricolore, sono stati gli operai sia della Vinyls che dell’Eurocoop e Tecnicoop. «Romano Chessa e mio marito, Antonello, hanno imbastito i numeri, l’ 1, il 5 e lo zero sulla stoffa, poi ho cucito tutto, è stata un’impresa, spero che ci porti fortuna e che la vertenza vada a buon fine, con questi alti e bassi, non c’è da stare tranquilli».
Difendere la Costituzione - oggi l’Italia in piazza
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 12 marzo 2011)
Questo è un estratto dell’appello che sarà letto oggi in Piazza del Popolo a Roma nella manifestazione “A difesa della Costituzione”
Da anni, lo sappiamo, la Costituzione è sotto attacco. Un attacco che, negli ultimi tempi, è divenuto sempre più diretto, violento, sfacciato. Le proposte di modifiche costituzionali riguardanti la giustizia ne sono l’ultima conferma. Per questo siamo qui, per contrastare una volta di più una voglia eversiva dei fondamenti della Repubblica.
Sedici milioni di cittadini, ricordiamolo, hanno saputo difendere la Costituzione e i suoi principi il 25 e il 26 giugno 2008, votando contro la riforma costituzionale voluta dal centrodestra. Ma quella straordinaria giornata è stata troppo rapidamente archiviata. Da chi ha tratto un frettoloso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. E da chi si era preoccupato di dire che la bocciatura di quella riforma non doveva pregiudicare la necessaria riforma costituzionale. E così quel voto non ha costituito il punto di partenza per una nuova consapevolezza costituzionale, neppure per le timorose forze politiche d’opposizione che pure avevano sostenuto il referendum contro quella riforma.
Così è tornato con prepotenza il progetto di mutare alla radice la tavola dei valori di riferimento, la Costituzione, fuori da ogni regola condivisa, ora facendo prevalere interessi particolari se non personali, ora lasciando spazio a pressioni di matrice ideologico-religiosa che vogliono agire in presa diretta sul funzionamento del sistema politico. Gli equilibri istituzionali ne risultano sconvolti, le tutele giudiziarie sono contestate, la garanzia di libertà e diritti, perduta nel Parlamento, si rifugia nella Presidenza della Repubblica e, soprattutto, nella Corte costituzionale.
Ma, in tempi così perigliosi, la Costituzione sta conoscendo una rinnovata e inattesa attenzione. Parlar di Costituzione ha un suono benefico e sta producendo una identificazione con essa di un numero crescente di persone, consapevoli della necessità di essere esse stesse protagoniste di una azione di promozione e difesa dei diritti. In questo momento, in decine di città, vi sono flash mobs di studenti che distribuiscono copie della Costituzione, come già quel prezioso libretto era stato impugnato in tante altre manifestazioni. La Costituzione sta incontrando il suo popolo. E questo popolo è consapevole che la politica deve essere in primo luogo, e sempre, politica costituzionale, se vuole riguadagnare la sua forza e la sua nobiltà.
Costituzione day, oggi in piazza in tutta Italia
Sono decine le associazioni che hanno organizzato la manifestazione
Ma gli organizzatori stoppano i leader: corteo senza bandiere
di FRANCESCA SCHIANCHI (La Stampa, 12.03.2011)
ROMA In una mano il testo della Costituzione, nell’altra il tricolore che sventola. Così «armate» migliaia di persone sono attese oggi in piazza, a Roma come in altre più di cento città, per la manifestazione «A difesa della Costituzione, se non ora quando?», organizzata dall’omonimo Comitato di cui fanno parte decine di associazioni, da Articolo 21 all’Anpi a Farefuturo, da Libertà e Giustizia al Popolo Viola a Valigia Blu, da Libera all’Unione degli Universitari. E poi hanno aderito attori, politici, giornalisti.
Per difendere i valori della legalità repubblicana «troppo spesso impunemente violati», si legge nel vademecum della manifestazione, per ribadire la certezza del diritto, ma anche, ricorda il numeroso popolo della scuola intenzionato a partecipare, per difendere l’istruzione pubblica. Per il diritto al lavoro, all’informazione, per la cultura. Da Milano a Torino a Napoli, ma anche in centri più piccoli come Pinerolo, Chivasso o Poggibonsi, e all’estero, ad Amsterdam come a Edimburgo e Praga, saranno tante e diverse le iniziative: la lettura di alcuni articoli della Carta, sit in, flash mob di studenti.
La manifestazione principale è quella in programma nella capitale: un corteo aperto da una gigantesca bandiera italiana di 200 metri quadri e dallo striscione «La Costituzione è viva» si muoverà alle 14 da piazza Repubblica verso piazza del Popolo, dove, sul palco, si alterneranno attori come Ascanio Celestini e Ottavia Piccolo, il costituzionalista Alessandro Pace, cantanti come Roberto Vecchioni e Daniele Silvestri, un genitore della scuola di Adro, il presidente della Fnsi Natale, un’orchestra che suonerà, accompagnata dal coro, il «Va’ pensiero» di Verdi e il «Dies Irae» di Mozart.
Hanno aderito e saranno presenti anche numerosi politici: il segretario del Pd Bersani, Rosy Bindi, Dario Franceschini, ma anche il governatore pugliese Nichi Vendola, il leader di Idv Di Pietro, i finiani Fabio Granata, Flavia Perina e Angela Napoli; Bruno Tabacci e Pino Pisicchio dell’Api. Gli organizzatori però chiedono di lasciare a casa i simboli di partito, «nel rispetto dell’iniziativa che vuole essere trasversale e aperta a chiunque vi si riconosca». Dal centrodestra, già attacca il fedelissimo berlusconiano Osvaldo Napoli: «L’ennesimo tentativo della sinistra conservatrice di mobilitare la piazza “in difesa di”. E’ l’abito mentale di una sinistra che ha fatto dell’immobilismo la sua ragione sociale e politica».