COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA: L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA (ART. 1), UNA E INDIVISIBILE (ART. 5). LA SUA BANDIERA E’ IL TRICOLORE (ART. 12)... E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ IL CAPO DELLO STATO E RAPPRESENTA L’UNITA’ NAZIONALE (ART. 87)
Messaggio originale----- Da: La Sala
Inviato: domenica 27 gennaio 2002 0.09
A: posta@magistraturaassociata.it
Oggetto: Per la nostra sana e robusta Costituzione...
Stimatissimi cittadini-magistrati
"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).
Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!".
Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".
Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.
Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge.
E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere".
Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....
Cordiali saluti
Federico La Sala
RIFORME
E’ SCONTRO APERTO
Giustizia, le toghe contro Berlusconi
"La democrazia del Paese è a rischio"
L’Anm dichiara stato di agitazione.
Mancino frena il piano del governo
«Assurdo un Csm sotto il ministero»
Duro Alfano: «Guerra preventiva» *
ROMA Cresce la polemica sul fronte giustizia. Ieri il premier Berlusconi ha annunciato l’intenzione di andare avanti sulla strada di una riforma costituzionale «anche a costo di arrivare ad un referendum». Oggi arriva la replica di Anm e Csm.
«A chi dice che bisogna fare un doppio Csm io dico che non si può, perchè uno dei due dovrebbe andare sotto al ministero della Giustizia, il che è assurdo» è la reazione del vicepresidente dell’organo di autogoverno dei magistrati, Nicola Mancino. «O si è giudici e si è indipendenti, oppure si è qualcos’altro e bisogna vedere che cos’è questo qualcos’altro». «Al momento non c’è un testo di riforma - ha spiegato Mancino a margine di una conferenza organizzata dall’Ordine degli avvocati di Avellino - e quindi non si può esprimere un parere. Ci sono propositi, molti velleitari, molti duttili e prudenti, molti altri non ancora definiti. Quando ci sarà una proposta definitiva, che è nei poteri del Governo formulare, allora noi ci esprimeremo».
Ancora più dura la reazione dell’Anm che ha dichiarato lo stato di agitazione e convocazione di assemblee in tutti i distretti giudiziari per decidere le future iniziative di protesta da adottare, non escluso lo sciopero. Il parlamentino dell’Anm parla di riforme «punitive» nei confronti della magistratura. Le iniziative sono state decise all’unanimità e con un documento che definisce «stupefacente e vergognoso» il fatto che il giudice Raimondo Mesiano, «reo unicamente di aver pronunciato una condanna della Fininvest al pagamento di una somma di denaro in una controversia civile, venga spiato e inseguito dalla rete televisiva di tale gruppo mentre compie le proprie attività quotidiane», il tutto per «denigrare e svilire la sua persona».
Dura la reazione del ministro Alfano che parla di «sapore di una guerra preventiva alle riforme», oltre ad essere «inspiegabile, sorprendente e dunque pretestuosa». Ma per il il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara «è a serio rischio la tenuta democratica del Paese» a introdurre l’argomento al parlamentino del sindacato delle toghe. La preoccupazione è massima e riguarda non solo le «aggressioni alle massime autorità del Paese», come dice il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, ma anche «l’intimidazione» al giudice del tribunale civile di Milano Raimondo Mesiano, e le riforme «brandite come una clava» e finalizzate a ridurre l’indipendenza del pubblico ministero, sottoponendolo al potere esecutivo. La magistratura è unita. E i rappresentanti di tutte le correnti parlano espressamente di «emergenza democratica»; anche il gruppo più moderato, Magistratura Indipendente, che in questo momento è all’opposizione del governo dell’Anm, ma che è pronto a fare una battaglia comune a difesa dell’indipendenza della magistratura.
Il parlamentino ha dunque dato «un segno tangibile di protesta per ciò che sta accadendo», come auspicato dallo stesso Palamara. L’allarme delle toghe è dunque molto alto per le «aggressioni» non solo alla magistratura ma anche alle massime autorità di garanzia del Paese. «Sono state rivolte accuse di partigianeria alla Corte costituzionale e al capo dello Stato», dice Cascini che definisce poi «l’intimidazione» rivolta al giudice Mesiano, che ha condannato la Fininvest al risarcimento in favore della Cir di De Benedetti, «un messaggio per tutti: chi esercita un potere in maniera indipendente stia attento ai suoi scheletri; chi ha la televisione, i giornali, il potere mediatico può distruggere una persona». Un messaggio «molto più grave, rispetto alle riforme annunciate in materia di giustizia». «In gioco non è la sopravvivenza dell’ordine giudiziario, ma il destino della democrazia», osserva il segretario di Unicost Marcello Matera, che rivolge un appello all’unità per una «mobilitazione culturale e istituzionale, a difesa delle fondamenta dello Stato democratico».
E di «vera emergenza democratica» parla anche Rita Sanlorenzo, che sottolinea che «mai si era arrivati a questo punto». «C’è un totale intolleranza per il ruolo di tutte le istituzioni di garanzia, non solo per la magistratura», rilancia Valerio Fracassi, segretario del Movimento per la giustizia, che propone «uno sciopero per la democrazia». «Quello in atto è l’attacco finale definitivo», afferma a sua volta Antonietta Fiorillo, esponente di Magistratura Indipendente, che invita il parlamentino a lanciare un «messaggio forte: noi magistrati non ci faremo intimidire».
* La Stampa, 17/10/2009 (18:26)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
Giustizia, Davigo nuovo presidente Anm. Davigo a Renzi: "Rispetto per la nostra dignità"
Redazione ANSA *
L’ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, leader di Autonomia&indipendenza, è il nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Lo ha eletto per acclamazione il Comitato direttivo centrale del sindacato delle toghe. Davigo guiderà una giunta alla quale partecipano tutte le correnti della magistratura e resterà in carica per un anno. Al termine del suo mandato la presidenza sarà’ tenuta a turno da rappresentanti delle altre correnti. Davigo e’ stato il magistrato piu’ votato alle ultime elezioni dell’Anm.
"La pubblicazione di intercettazioni non pertinenti è già disciplinata dal reato di diffamazione. Non vedo il problema": così il neo presidente dell’Anm Piercamillo Davigo si pronuncia sulla volontà espressa dal premier di una riforma delle intercettazioni.
"’Brrr.. che paura’ non mi è piaciuto per niente. Con il Governo bisogna dialogare, ma nel rispetto della nostra dignità". Lo dice il candidato alla presidenza dell’Anm Piercamillo Davigo, richiamando la battuta che il premier Matteo Renzi fece, rispondendo alle proteste dei magistrati sul taglio delle ferie, nel suo intervento al Parlamentino del sindacato delle toghe. "Non esistono Governi amici ma nemmeno nemici", osserva Davigo, ma dobbiamo "pretendere il rispetto della nostra dignità".
Renzi: tifo per giustizia, ma politica non subalterna - "Il rapporto con la magistratura è sempre stato di subalternità o di attacco. Ora è arrivato il momento di dire che noi facciamo il tifo per la giustizia". Lo dice Matteo Renzi a Classe Democratica, scuola di formazione politica del Pd dove aggiunge: "Noi nutriamo profondo rispetto per la giustizia ma anche della politica: la politica non è una cosa sporca, è una cosa bella e non accetteremo mai di renderla subalterna a niente e nessuno".
"Io non accuso i pm, io li sprono, ma la politica è una cosa bella e non accetteremo mai di renderla subalterna a niente e nessuno". Chiudendo la sua settimana "impegnativa" alla scuola politica del Pd, il premier Matteo Renzi sceglie di tornare sul dibattito con i magistrati legato all’inchiesta su Tempa Rossa. E, ancora una volta, ribadisce di non aver mai attaccato i pm nella direzione Pd di lunedì scorso, ma torna a tracciare una linea di confine netta tra il potere giudiziario e quello legislativo. Tra la magistratura e la politica. E lo fa non risparmiando una stoccata ai giornali per le intercettazioni pubblicate. "C’è stata un’offensiva mediatica, ogni giorno usciva il nome di un ministro. Tutto casuale naturalmente", commenta Renzi calcando le sue parole di ironia. Media, magistratura, intercettazioni. Questi tre elementi si intrecciano nell’intervento - annunciato solo all’ultimo - del premier a Classedem. Un intervento che arriva nel giorno dell’ elezione alla presidenza dell’Anm di Piercamillo Davigo.
E tra il premier e il magistrato che fu del pool Mani Pulite si innesca già un primo botta e risposta. Quel "’brrr.. che paura’ non mi è piaciuto per niente. Con il governo bisogna dialogare, ma nel rispetto della nostra dignità", scandisce Davigo nel suo intervento al parlamentino del sindacato delle toghe facendo riferimento ad una frase di Renzi di qualche tempo fa.
"La magistratura si rispetta chiedendo di fare ciò che da secoli deve fare e su cui noi non mettiamo bocca così come la magistratura non mette bocca nel procedimento legislativo. Sarebbe una clamorosa invasione di campo", replica Renzi, rimarcando: "I pm hanno tutto il nostro sostegno, ma le sentenze si fanno nei tribunali, quelli da condannare si trovano nei tribunali" e non "in un giornale che pesca in un anno e mezzo di intercettazioni la frase più a effetto". Ed è qui che entra l’elemento mediatico. "Non cambiate mai umore sulla base di ciò che scrivono i giornali su di voi, non fatevi influenzare dalle tendenze dei social", sottolinea il premier dando i suoi ’consigli’ finali agli studenti Dem ma parlando, di fatto, della sua reazione di questi giorni alla pubblicazione delle intercettazioni, a cominciare da quelle dell’ex ministro Guidi. Intercettazioni sulle quali il governo vuole accelerare, ma solo dopo il referendum del 17 aprile.
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Napolitano rassicura i magistrati
"L’autonomia delle toghe è inderogabile"
L’Anm soddisfatta dopo l’incontro al Quirinale. Il capo dello Stato ribadisce: "Riforma possibile se rispetta divisione dei poteri". Palamara: "Preoccupati per le manifestazioni davanti ai tribunali, dal presidente grande attenzione" *
ROMA - "L’autonomia e l’indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Lo ha assicurato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricevendo questa mattina al Quirinale i vertici dell’Anm. Ai rappresentanti del sindacato delle toghe, il capo dello Stato ha spiegato di sperare in "un più sereno clima istituzionale", precisando di non avere ancora ricevuto però da palazzo Chigi il testo della riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 marzo. Puntualizzazione alla quale ha risposto a breve giro il governo, assicurando che il ddl costituzionale sarà entro oggi nella disponibilità del presidente della Repubblica.
"In termini più generali - precisa ancora una nota del Colle - il capo dello Stato ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Rimodulazione, sottolinea ancora il presidente della Repubblica, "che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia".
"Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato", hanno commentato al termine del faccia a faccia i vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Un appuntamento nel corso del quale i dirigenti del sindacato dei giudici hanno avuto modo di esprimere tutte le loro preoccupazioni in merito alla riforma della giustizia. Un provvedimento che, secondo l’Anm, incide profondamente sul complessivo assetto costituzionale della magistratura.
A chiedere un incontro al capo dello Stato era stato proprio il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara, con una lettera inviata al Colle il 16 marzo scorso, dopo il varo della riforma Alfano in Consiglio dei ministri. Un progetto che nelle valutazioni dell’Anm "rischia di minare in radice l’indipendenza e l’autonomia" dei magistrati, facendo scattare da parte dei giudici lo "stato di agitazione". A seguire erano poi arrivate altre iniziative parlamentari della maggioranza altrettanto preoccupanti agli occhi dell’Anm, come gli emendamenti al ddl sul processo breve e alla legge Comunitaria 2010.
Ma a destare l’allarme del sindacato non ci sono solo le nuove norme. "Abbiamo espresso al presidente - ha detto ancora Palamara - la nostra forte preoccupazione anche per il clima di manifestazioni di piazza in prossimità dei tribunali e anche nelle aule di giustizia, che rischiano di minare la serenità e l’equilibrio dei giudici chiamati a decidere importanti controversie". "La posizione dell’Anm - ha aggiunto - non è di chiusura corporativa ma di volontà di mantener fermi quei principi che riteniamo capisaldi dello Stato di diritto e che sono a garanzia e tutela dei cittadini come l’autonomia e l’indipendenza della magistratura che riteniamo fortemente alterata nell’eventuale approvazione del disegno di legge sulla riforma costituzionale della giustizia".
Al Capo dello Stato i rappresentanti dell’Anm hanno voluto inoltre rilanciare quelle che ritengono priorità per far funzionare meglio la macchina della giustizia e cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l’informatizzazione della giustizia, e maggiori risorse. "Abbiamo espresso a Napolitano - ha detto ancora il presidente dell’Anm - i nostri timori anche per la riforma per legge ordinaria che per la disorganicità rischia ulteriormente di danneggiare il processo, in particolare quello penale. Ci siamo soffermati sul tema della responsabilità civile dei giudici che riteniamo sia stato malposto ai cittadini in quanto non è vero che il magistrato se sbaglia non paga".
* la Repubblica, 05 aprile 2011
L’Anm: questa maggioranza non ha legittimità per riformare la giustizia *
La maggioranza di governo «non ha legittimità morale, culturale, politica e storica per affrontare il tema della riforma costituzionale della giustizia». Lo ha detto il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini intervenuto a un convegno sulla giustizia organizzato da Sinistra ecologia e libertà. Prendendo la parola durante la tavola rotonda, Cascini chiede: «Ci sono le premesse storico-politiche per cui la maggioranza di governo ridisegni l’assetto della magistratura? Oppure si tratta solo di una dichiarazione di guerra da parte di un potere dello Stato? Non dimentichiamo - sottolinea - che il ministro della Giustizia Alfano che oggi si presenta come aperto al dialogo, partecipò a quella riunione in cui fu stilato il documento che definì gli uffici giudiziari come avanguardia rivoluzionaria».
Su questo fronte Cascini mette in guardia anche l’opposizione: «L’idea diffusa tra la sinistra che in fondo un pò di ragione Berlusconi la abbia ha trovato sbocco nella bozza Boato. Ma - afferma - è una subalternità culturale e politica a un tema declinato dalla destra. Questo non significa negare che ci siano problemi nel mondo della giustizia, ma mi aspetterei dalla sinistra una risposta reale di sinistra». Secondo il segretario dell’Anm, dunque, il «cuore del problema» è «non farsi intrappolare dall’idea mediatica che dire di no è essere conservatori».
Rivolgendosi agli avvocati penalisti, favorevoli alla separazione della carriere e allo sdoppiamento del Csm, Cascini si dice «disponibile a ragionare solo se non si mette in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: questo - conclude - deve essere la premessa». Invece - conclude - negli articoli del ddl di riforma costituzionale non solo tale principio verrebbe scardinato ma si affidano «più poteri alla politica»: «La responsabilità della magistratura si può migliorare, ma se il modo di funzionare della politica - chiede infine Cascini - non ha dato buona prova di sè, allora può avere un maggiore peso sul modo di funzionare della magistratura?».
* La Stampa, 18/03/2011
Riformano i magistrati, non la giustizia
di Gian Carlo Caselli (il Fatto, 16.03.2011)
La sedicente riforma della Giustizia ideata dal governo, non è un’operazione indolore per la sicurezza dei cittadini. Le ripercussioni negative sul versante delle indagini saranno tante. Anche per le inchieste di mafia. Chi studia l’evoluzione delle mafie constata che per realizzare i loro affari esse hanno bisogno di commercialisti, immobiliaristi, operatori bancari, amministratori e uomini delle istituzioni (la cosiddetta “borghesia mafiosa”). Sempre più si infittiscono gli intrecci con pezzi del mondo politico e dei colletti bianchi. I transiti di denaro sporco nell’economia illegale si intensificano. Spesso le istituzioni criminali e quelle legali si contrastano, ma senza volontà di annientarsi, nel senso che sono piuttosto alla ricerca di equilibri.
Diventa sempre più difficile - allora - stabilire la linea di confine fra lecito e illecito all’interno delle attività economiche, finanziarie e produttive. Per impedire che risuonino ancora oggi le parole di Giovanni Falcone circa il timore che “non si voglia far luce sui troppi, inquietanti misteri di matrice politico-mafiosa per evitare di rimanervi coinvolti”, è necessario allora che le indagini di mafia siano condotte da una magistratura assolutamente autonoma e indipendente, nonché dotata di strumenti capaci di esplorare in profondità anche il lato oscuro e segreto delle mafie. Proprio il contrario di quel che risulta obiettivamente ricollegabile alla pseudo-riforma della Giustizia voluta dal governo. Una riforma che quand’anche abbia - come scopo di partenza - “solo” quello di vendicarsi dei magistrati, alla fine potrebbe causare risultati obiettivamente devastanti. Quanto meno finché la politica italiana continuerà a discostarsi massiccia-mente dagli standard europei con conseguenze da trarre - doverosamente - in caso di accertato coinvolgimento in comportamenti illeciti.
Una “spia” dei veri obiettivi della riforma si può trovare nel fatto che le novità si collocano tutte all’interno del titolo 4° della parte seconda della Costituzione. Questo titolo, che oggi è denominato “La magistratura”, nella riforma diventa “La giustizia”. Come volevasi dimostrare: si tratta di riformare i magistrati, non la giustizia. E non basta cambiare l’etichetta della bottiglia perché uno sciroppo diventi barolo. Ma torniamo agli effetti oggettivi della riforma. Possiamo prendere singolarmente - una per una - le modifiche in programma, oppure l’intiero pacchetto.
Le indagini in mano alla politica
SEMPRE avremo lo stesso identico risultato: il trasferimento del “rubinetto” delle indagini (cioè dei controlli di legalità) dalle mani della magistratura a quelle del potere politico, governo e/o Parlamento. Con conseguente riduzione degli spazi d’intervento autonomo della magistratura e quindi dei controlli indipendenti sulle violazioni di legge commesse dai potenti. Con il rischio anzi che tali controlli causino al magistrato coraggioso guai non di poco conto, dalle ispezioni ministeriali (addirittura elevate al rango costituzionale), alle bufere scatenate da quanti vorranno strumentalmente approfittare delle nuove norme sulla responsabilità dei magistrati.
L’analisi di alcuni punti della sedicente riforma offre decisive conferme, anche per le inchieste di mafia.
Il Csm riformato - la riforma prevede lo sdoppiamento del Csm, la riduzione del numero dei membri “togati”, la loro nomina col fantozziano sistema dell’estrazione a sorte (una grottesca lotteria che rappresenta anche una discriminazione mortificante, posto che i membri “laici” continueranno a essere eletti dal Parlamento in seduta comune), il divieto di adottare atti di indirizzo politico (cioè pratiche a tutela dei magistrati vilipesi perché scomodi). Viene di fatto azzerata la stessa ragion d’essere del Csm: governo autonomo della magistratura e tutela della sua indipendenza. Il magistrato che debba scegliere tra diverse opzioni, egualmente possibili nel perimetro dell’interpretazione della legge, non sentendosi più tutelato da un Csm ridotto ad organo di semplice amministrazione, ci penserà ben bene prima di esporsi alle rappresaglie impunite del potente di turno. Figuriamoci quale impulso potrà derivare alle indagini su quella vischiosa zona grigia che consente agli affaridi mafia di prosperare!
1) AZIONE PENALE E POLIZIA GIUDIZIARIA NELLE MANI DELLA POLITICA L’azione penale a parole resta obbligatoria, ma dovrà essere esercitata “secondo i criteri stabiliti dalla legge” , vale a dire che sarà la politica a stabilire chi indagare e chi no: ed è improbabile che essa mostrerà particolare zelo per gli intrecci tra pezzi del suo mondo e la mafia . Quali che siano tali criteri, poi, resta il fatto che non sarà più direttamente la magistratura a disporre della polizia giudiziaria, che pertanto prenderà ordini dal governo (ministero degli interni per la polizia di stato; difesa per i carabinieri; economiaperlaGdF).Lapolitica,in sostanza, avrà in mano il rubinetto delle indagini e potrà regolarlo col contagocce tutte le volte che ci sia il rischio di scoprire qualcosa di troppo degli “inquietanti misteri” di cui parlava Falcone.
2) ASSOLTI PER SEMPRE Con clamorosa violazione della “parità delle armi” tra accusa e difesa, mentre l’imputato condannato potrà sempre ricorrere in appello, il pm non lo potrà fare in caso di assoluzione dell’imputato, salvo che “nei casi previsti dalla legge”. Ora, sarà impossibile (per non perdere la faccia) che tra questi casi non rientrino i delitti di mafia, ma che ne sarà del cosiddetto “concorso esterno”? Senza questa figura è impensabile che si possano colpire anche le collusioni con la mafia, ma poiché il delitto non esiste (lo sostiene il presidente Berlusconi!), si può scommettere che sarà fortemente a rischio la possibilità per il pm di appellare le assoluzioni per “concorso esterno”: la linea di demarcazione fra lecito e illecito tenderà sempre più allo sfumato evanescente e per la cosiddetta “borghesia mafiosa” ci sarà da brindare.
3) L’INDIPENDENZA DEL PM “ABROGATA” PER LEGGE A spazzare definitivamente ogni possibile dubbio circa le effettive conseguenze della riforma provvede infine il nuovo - se approvato - art. 104 della Costituzione (quello che non a caso introdurrebbe la separazione delle carriere...), laddove stabilisce “che l’ufficio del pubblico ministero è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”. In sostanza, autonomia e indipendenza del pm non sono più valori di rango costituzionale tutelati dalla Carta fondamentale, ma optional rimessi alla legge ordinaria, che pertanto la politica potrà cambiare a suo piacimento senza neanche il fastidio delle procedure e delle maggioranze qualificate previste per le norme costituzionali. Vale a dire che la politica non avrà in mano soltanto il “rubinetto” delle indagini, ma avrà in sua balia direttamente il pm. Per cui è difficile pensare che vorrà orientarlo verso inchieste che potrebbero scoprire segreti inquietanti di colletti bianchi e/o politici per favori scambiati con la mafia o affari fatti insieme. Ed è persino superfluo notare che tutto ciò che colpisce in prima battuta il pm avrà inevitabilmente un effetto domino sui giudici: perché se al pm non è consentito indagare su certe materie, esse non arriveranno mai sul tavolo del magistrato giudicante. Un pericolo che non si può correre
COME si vede, gli scenari futuri sono cupi e se si vuole che la lotta alle mafie non rischi di diventare un esercizio di facciata, ma sia un’azione incisiva, la riforma costituzionale in cantiere dovrebbe essere riconsiderata: perché le conseguenze negative che ne potrebbero obiettivamente derivare (obiettivamente: anche a prescindere dall’orientamento di questa o quella maggioranza politica contingente) costituiscono un pericolo da non correre.
A Potenza, nella XVI Giornata antimafia della memoria e dell’impegno, organizzata da Libera per il 19 marzo, si discuterà anche di questo.
L’Anm a Berlusconi: "Insulti rischiano di sovvertire equilibri"
Luca Palamara replica all’ennesimo "stillicidio" del premier: "Non si può mettere in modo così violento in discussione un organo dello Stato". E accusa: "Si vuole una magistratura docile, che non disturbi il manovratore di turno" *
ROMA - "Nell’ultimo periodo per scelta ci eravamo imposti di non replicare a quello che è diventato uno stillicidio. E’ difficile trovare termini per esprimere il nostro rimpianto e disappunto. Non si può mettere in modo così violento in discussione un organo dello Stato, non è più solo un problema dei magistrati, ma di tutte le istituzioni". Lo ha detto Luca Palamara, presidente dell’Anm, ospite di Sky Tg24 Pomeriggio, replicando alle dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi, che ieri ha proposto una commissione parlamentare di inchiesta contro "certa magistratura".
"Assistiamo a invettive e insulti. - accusa ancora Palamara - Si vuole una magistratura docile che non disturbi il manovratore di turno". Il che non significa però che la magistratura sia, come accusano tanti esponenti di governo, "una corporazione che vuole assolvere tutto": "Il 10% dei magistrati in servizio viene sottoposto a procedimento disciplinare e il 3% viene condannato a sanzioni disciplinari", assicura Palamara.
"Mettere in maniera così violenta in discussione una funzione dello Stato rischia veramente di sovvertire quelli che sono gli equilibri. - avverte il presidente dell’Anm - Ogni inchiesta della magistratura viene strumentalizzata, si attribuisce un colore ad ogni inchiesta: non vorrei che si dimenticasse il ruolo fondamentale che la la funzione giudiziaria ha in uno stato democratico".
* la Repubblica, 04 ottobre 2010
Pretendiamo rispetto
di Gian Carlo Caselli (il Fatto, 15.06.2010)
Ennesimo attacco del premier contro i giudici, che sarebbero “politicizzati” e avrebbero l’obiettivo di rovesciare per via giudiziaria il risultato elettorale. Tesi non priva di un che di grottesco. Liquidata dalla “Jena”, sul quotidiano “La Stampa”, osservando che dopo 16 anni di tentativi inutili i giudici andrebbero licenziati per manifesta incapacità...
Ma l’ironia non basta. La ripetizione ossessiva di una tesi, anche bislacca, con martellanti campagne spesso prive di contraddittorio, finisce per diffondere e consolidare un pregiudizio pericoloso per la democrazia. Perché in democrazia la fiducia dei cittadini nella giustizia non è un optional, ma un elemento strutturale: se viene meno, si affaccia il rischio di derive illiberali e disgreganti. I tentativi del premier di circoscrivere i suoi attacchi ad una parte della magistratura non sono credibili perché smentiti dalle vicende degli ultimi anni. L’attacco si è rivelato a geometria variabile, nel senso che è di assoluta evidenza come siano stati costretti a subirlo tutti i magistrati (proprio tutti: pm e giudici, fino alle Sezioni Unite della Cassazione e addirittura alla Corte costituzionale) che adempiendo i loro doveri, in qualunque città o ufficio, abbiano avuto la sventura di imbattersi in interessi che pretendono di sottrarsi ai controlli istituzionali previsti per tutti gli altri.
Ma l’obiettivo di una propaganda tanto infondata quanto insistita è anche distogliere l’attenzione rispetto ai veri problemi che angosciano il Paese. Riproporre il vecchio ma sempre verde ritornello della magistratura politicizzata significa parlare meno della crisi economica; della manovra finanziaria; delle pensioni; del lavoro che non c’è o se c’è è sempre più spesso nero, precario, insicuro.
Significa provare ad offuscare la realtà incontestabile di una legge sulle intercettazioni che stritola in una tenaglia micidiale informazione, investigazione e sicurezza dei cittadini, picconando in un colpo solo alcune pietre angolari della democrazia.
Significa continuare ad ignorare la catastrofe annunziata del sistema giustizia, per tirare invece la volata a riforme che invece di migliorare anche solo un poco l’efficienza del sistema taglieranno ancora di più le unghie agli inquirenti. Dunque, evocare complotti giudiziari, disegni politici realizzati mediante l’azione penale, persecuzioni per motivi di parte può essere utile perché sempre meno si ragioni sui fatti. Ma questi metodi e questa cultura rischiano di uccidere la verità e la giustizia, rendendo un pessimo servizio al Paese.
L’Associazione nazionale magistrati, facendo il suo mestiere, prova ad arginare questa strumentale ondata di propaganda basata sul nulla, ma gli spazi che riesce a ritagliarsi sono sempre più esigui. Il Consiglio superiore della magistratura ha sempre fatto di tutto per difendere l’autonomia e l’indipendenza dei giudici contro gli attacchi di certa politica, ma non possiede radio o televisioni che diffondano ovunque il suo “verbo”. Anzi, dovrà presto pagare il rifiuto sempre opposto alle richieste di maggior “docilità” subendo una trasformazione (due Csm separati per separare le carriere, in vista della agognata - anche se a parole negata - sottoposizione del pm al governo), trasformazione che non è prevista dalla Costituzione, ma tanto si sa che la Costituzione è vista da qualcuno come una pratica da archiviare, non come una Carta di valori irrinunciabili, una spinta al continuo miglioramento del tasso di democrazia del sistema, che nello stesso tempo funziona da argine ai tentativi di arretramento.
Il ministro Guardasigilli, il presidente della Camera e il presidente del Senato potrebbero, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, intervenire in qualche modo per recuperare un clima di rispetto verso l’ordine giudiziario. Non mi sembra che abbiano molta voglia di farlo. E allora, non resta che sperare in qualcun altro. Che però è troppo in alto perché possa arrivargli la voce sommessa di uno dei tanti servitori dello Stato stanchi di essere vilipesi “a gratis”.
Lo afferma un documento, votato all’unanimità, della Prima Commissione
del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà essere ratificato dal plenum
Il Csm: "Il premier denigra la magistratura
è a rischio l’equilibrio fra i poteri dello Stato" *
ROMA - Il Csm reagisce ai ripeturi pronunciamenti di discredito, da parte di Silvio Berlusconi, nei confronti dei giudici e dice: "Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati" sono "del tutto inaccettabili" perchè cosi si mette "a rischio l’equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato, sul quale è fondato l’ordinamento democratico di questo Paese". E’ quanto scrive la Prima Commissione del Csm nella pratica a tutela di diversi magistrati accusati da Silvio Berlusconi di agire per finalità politiche.
Il giudizio unanime. Il documento, approvato all’unanimità e che sarà discusso domani pomeriggio dal plenum, contiene anche un "un pressante appello a tutte le Istituzioni perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica". La pratica aperta in Commissione si è arricchita di mese in mese dei vari attacchi del premier alle varie toghe, da quelle del processo Mills a quelle di Napoli e Milano.
Delegittimati. "L’assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l’assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini costituisce la più grave delle accuse - scrive la Commissione - ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati".
Rispetto tra organi istituzionali. E il "discredito" gettato "sulla funzione giudiziaria nel suo complesso e sui singoli magistrati", può produrre, "oggettivamente, nell’opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, così determinando una grave lesione del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione". Facendo proprie le preoccupazioni espresse in più occasioni dal Capo dello Stato, da ultimo nella sua lettera al vice presidente del Csm, i consiglieri affermano che per affrontare "serenamente le auspicate riforme in tema di giustizia è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo".
Episodi che non devono ripetersi. "Non è ammissibile una delegittimazione di una Istituzione nei confronti dell’altra, pena - avverte la Commissione - la caduta di credibilità dell’intero assetto costituzionale". Ed "è indispensabile che non si ripetano episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati", perché "lo spirito di leale collaborazione Istituzionale - implica necessariamente che nessun organo Istituzionale denigri liberamente altra funzione di rilevanza costituzionale".
Il silenzio dei "Pm comunisti". Le toghe accusate da Berlusconi hanno dimostrato "la compostezza del corpo giudiziario, in generale, e dei singoli magistrati. Giudici che hanno continuato a svolgere in silenzio il proprio dovere, senza replicare alle generiche ed ingiuste accuse", nei loro confronti. In particolare, i consiglieri si riferiscono ad accuse precise: quella di "pm comunisti" fatta dal premier durante la trasmissione Ballarò o quella di "Pm talebani" fatta all’indomani della pronuncia della Cassazione sul caso Mills. E tra le altre, le accuse formulate in occasione del congresso del Partito Popolare europeo di Bonn, quando il premier parlò di un partito dei giudici nella sinistra, attaccando la Corte costituzionale. E ancora la definizione di "plotone di esecuzione" destinata ai giudici di Milano.
* la Repubbblica, 09 marzo 2010
A larghissima maggioranza ("no" dei laici del Pdl) approvato
il documento che accusa il presidente del Consiglio
"Attacchi inaccettabili che delegittimano le istituzioni. Il premier non può insultare e intimidire"
"Premier denigra, a rischio democrazia"
Sì del plenum del Csm alla delibera *
ROMA - A larghissima maggioranza, con il solo scontato "no" dei laici del Pdl, il plenum del Csm ha approvato il documento che accusa il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di aver denigrato e delegittimato la magistratura.
Tra i favorevoli alla delibera, il vice presidente del Csm Nicola Mancino. Che fa sentire la sua voce: "Il presidente del Consiglio è un organo istituzionale, ha responsabilità politica, non può usare un linguaggio di insulti e talvolta di intimidazioni nei confronti del libero esercizio dell’attività giudiziaria".
Il documento approvato è la conseguenza dei frequenti attacchi del premier verso le toghe. Un fascicolo che è andato via via ingrossandosi. Attacchi con un unico filo conduttore. Nel mirino del premier erano finiti tra gli altri i magistrati "comunisti" del processo Mills, i pm che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose (accusati da Berlusconi di cospirare contro di lui), le toghe di Firenze che hanno messo sotto inchiesta Guido Bertolaso ("si vergognino"), la Corte Costituzionale e da ultimo le "bande" dei pm "talebani" "che perseguono fini eversivi". All’opposto il Csm elogia "la compostezza" e il "silenzio" opposto ad accuse "generiche e ingiuste" da questi magistrati.
Nei confronti del premier i consiglieri non usano giri di parole: l’assunto di una magistratura che vuole "sovvertire l’assetto istituzionale" è "la più grave delle accuse" e "una obiettiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati". E il pericolo per l’equilibrio tra poteri dello Stato, che è il fondamento della democrazia, è legato proprio al fatto che queste affermazioni ("inaccettabili") provengano "dal massimo rappresentante del potere esecutivo". Perché "non è ammissibile una delegittimazione di un’istituzione nei confronti dell’altra, pena la caduta di credibilità dell’intero assetto costituzionale".
I consiglieri si appellano a tutte le istituzioni "perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica". Un passo indispensabile anche per poter affrontare "serenamente le auspicate riforme in materia di giustizia".
* la Repubblica, 10 marzo 2010
L’associazione nazionale magistrati: "Così giustizia in ginocchio"
Il sindacato delle toghe auspica "una riforma seria per un servizio giustizia credibile"
Processo breve, allarme dell’Anm
Bersani: "Ci metteremo di traverso"
ROMA - E’ scontro aperto sulle norme che limitano la durata dei processi. Che non piacciono all’Anm e nemmeno all’opposizione. Ma che la maggioranza vuole portare avanti con determinazione. "Metteranno in ginocchio la giustizia - dice il presidente Palamara dell’Anm -, la cui macchina è già disastrata. Con il processo breve - continua - non si dà giustizia alle vittime del reato", mentre si rischia di "dare impunità a chi ha commesso fatti delittuosi". Il leader del sindacato delle toghe ribadisce inoltre che i magistrati "vogliono dire basta a guerre e contrapposizioni", ma auspicano "una riforma seria per un servizio giustizia credibile agli occhi dei cittadini". Ieri, sempre contro il processo breve, erano scesi in sciopero gli avvocati penalisti.
Il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo ha confermato il varo della norma blocca-processi, come ha rivelato oggi Liana Milella su Repubblica. "Dobbiamo adeguarci alla sentenza della Corte costituzionale del 14 dicembre", ha spiegato. In quella sentenza, firmata da Giuseppe Frigo, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 517 del codice di procedura penale che non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato, relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell’azione penale. Dunque, di fronte a una nuova contestazione deve essere riaperto il termine per consentire eventualmente all’imputato di chiedere il rito abbreviato. I processi interessati sarebbero sospesi per tre mesi. "C’è una sentenza", ha insistito Caliendo, "cui bisogna porre rimedio".
E oggi, anche il Pd fa sentire la sua voce: "Contro il processo breve ci metteremo di traverso - dice il segretario Pierluigi Bersani - Dopo le decisioni assunte ieri da governo e maggioranza stiamo entrando in un tunnel pericolosissimo. Non solo è una disarticolazione del sistema giudiziario ma è un’aministia per i colletti bianchi. E non si può per l’esigenza di uno mettere a repentaglio il sistema intero".
"Se Berlusconi pensa di essere uno statista - ammonisce il segretario del Pd - ora è il momento di dimostrarlo. Non si può pensare di parlare contemporaneamente di processo breve e di riforme. A questo punto, se intende andare avanti su questa strada, la destra si assuma le sue responsabilità" chiude il segretario democratico.
Molto critica anche l’Idv che, per bocca del capogruppo alla Camera Massimo Donadi parla di "schiaffo a tutti gli italiani onesti". "Il Pdl aumenta la velocità sulla giustizia per salvare Berlusconi dai processi prima delle regionali mentre la vera priorità è affrontare la crisi economica - continua Donadi - L’unica cosa che accelera nel Paese è l’inflazione, ma evidentemente a questa maggioranza non interessa perchè se ne infischia dei problemi concreti delle persone".
* la Repubblica, 12 gennaio 2010
Il presidente della Repubblica scrive all’associazione delle toghe "Servono riforme non occasionali e che siano per i cittadini"
Napolitano: "Garante della magistratura
l’Anm sia sempre aperta al dialogo" *
ROMA - "Sono e resto garante dei principi fondamentali di indipendenza ed autonomia della magistratura". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una lettera al Presidente dell’Anm Luca Palamara, riafferma il ruolo del Colle sul delicato tema della giustizia. E lo fa mentre le tensioni tra toghe e governo sono acuite dall’intenzione dell’esecutivo di mettere mano alla riforma. Non dimenticando "l’inquietante attacco mediatico" al giudice Mesiano. "Serve un confronto equilibrato, l’Anm sia aperta al dialogo" dice Napolitano che risponde così alla lettera che l’Anm gli aveva inviato il 16 ottobre scorso.
Quelle che servono sono "riforme nè occasionali nè di corto respiro", le stesse che si augurano quelli "che hanno a cuore un soddisfacente esercizio della fondamentale funzione di presidio della legalità, al servizio del cittadino e dei suoi diritti, nel rispetto reciproco e nella leale collaborazione tra tutte le istituzioni".
Per realizzare riforme del genere, è questo l’invito del capo dello Stato all’associazione dei magistrati, "l’Anm deve continuare a guardare a tutti i motivi e gli aspetti della crisi del sistema giustizia, offrendo,con rigore, con misura e senza scendere sul terreno dello scontro, la sua disponibilità a concreti contributi propositivi, come un interlocutore attento e credibile, fermo nella difesa dei principi fondamentali di indipendenza e autonomia".
Principi di cui Napolitano si dice "garante", non mancando di sottolineare le preoccupazioni per "l’acuirsi della tensione tra le istituzioni della Repubblica, e in particolare tra quelle in cui s’incarnano i rapporti tra politica e giustizia".
Immediata la reazione dell’Anm che si dice "impegnata" a contribuire ad una riforma per i cittadini, sottolineando "le parole chiare" di Napolitano sull’indipendenza dei giudici.
* la Repubblica, 6 novembre 2009
Una crisi dello stato, pericolosa
di Valentino Parlato (il manifesto, 30.10.2009)
A ben vedere nella nostra Italia siamo a una crisi dello Stato, non dico dello stato democratico, ma dello stato in quanto tale. Provo a segnalarne i sintomi. Mai in Italia, a mia memoria, c’era stata una grande manifestazione di protesta della polizia. Cortei e slogan contro il governo e i suoi ministri. E ora si «sospende» il parlamento. Mai, almeno in queste forme, c’era stato un conflitto così esplicito e violento tra il governo e la magistratura, tra l’esecutivo e il potere giudiziario (il potere legislativo, allo stato attuale, è un non potere e questo aggrava la situazione).
Una crisi dello stato è - è stato sempre - un affare serio, dal quale di solito si esce o con una rivoluzione o, com’è probabile, dati i tempi, con una controrivoluzione, con una messa in frigorifero della democrazia. Preoccupa così non poco che sia stata decisa la sospensione del parlamento per dieci giorni perché il governo deve aggiustare la riforma finanziaria per la quale ha fatto solo promesse. Mai come in questi tempi è stato così evidente il rapporto tra crisi della politica, dei grandi obiettivi e ideali, e crisi della democrazia. Senza democrazia la politica si riduce ad affari privati di gruppi di potere, e questa caduta in basso della politica mortifica, porta sempre più in basso il valore della democrazia.
In questa situazione anche la caduta di Berlusconi (magari per la scarlattina) fa prevedere, temo, un ulteriore disordine con esiti deboli e autoritari e potenzialmente molto più autoritari nella debolezza crescente della politica e della democrazia. Un potere legislativo debole e burocratizzato, con la polizia che scende in piazza per protestare e la magistratura sotto attacco di un esecutivo personalizzato - in una persona malata - non annunciano niente di buono. A meno che queste proteste democratiche dentro lo stato non si saldino con le nuove emergenze e istante sociali.
Ps. I magistrati accusati da Berlusconi di essere comunisti hanno replicato affermando che le loro toghe sono rosse sì ma del sangue versato nell’adempimento del loro dovere. Verità sacrosanta. Ma, vorrei aggiungere: comunisti non è un insulto. È una lunga storia che non è finita e noi del manifesto che continuiamo a definirci «quotidiano comunista» non pensiamo affatto di autoinsultarci.
Attacco alla giustizia
Anm: «Non escludiamo lo sciopero»
I magistrati rispondono con forza al presidente del consiglio e ai progetti di riforma della giustizia di cui si discute in questi giorni. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, ha dichiarato oggi che «la giustizia non ha bisogno di riforme punitive contro i magistrati, che hanno l’unica colpa di aver emesso sentenze nell’esercizio delle loro funzioni».
Palamara ha parlato a un’assemblea straordinaria del sindacato delle toghe, nella giornata di mobilitazione della magistratura proclamata contro quelle che definiscono «intimidazioni del potere politico».
«Sono qui - ha affermato Palamara - per dimostrare la vicinanza dell’Anm ai colleghi di Milano». Quanto alla possibilità di uno sciopero, Palamara ha affermato che «non è esclusa nessuna forma di protesta» per le affermazioni pronunciate da Silvio Berlusconi che ha definito i magistrati "comunisti" nel corso di un suo intervento alla trasmissione televisiva Ballarò. «Dicono che parliamo troppo, ma non possono farci tacere, siamo in una democrazia, faremo sentire la nostra voce», ha concluso.
Palamara ha poi ribadito la posizione contraria dell’Anm riguardo il trasferimento a Roma dei procedimenti che coinvolgono le alte cariche dello Stato. «La giustizia ha bisogno di riforme urgenti e non di riforme punitive contro i magistrati. Non diciamo sempre di no, ma abbiamo detto anche qualche sì, per esempio rispetto alle riforme effettuate da questo governo nel processo civile».
* l’Unità, 29 ottobre 2009
Giustizia, l’appello del Pdl
"Dialogo con toghe e opposizione"
Il no di Pd e Franceschini: "Le riforme si fanno in Parlamento"
L’Anm: "Si a riforme condivise, ma non siano punitive"
ROMA - La Consulta per la giustizia del Pdl apre all’opposizione e alle toghe lanciando l’idea di una "bicamerale bis" che porti a una riforma condivisa. Un segnale di disgelo sulla delicata questione. Il primo passo di questo tentativo è stata la richiesta al governo di "attendere" l’evoluzione del dialogo, senza fare scatti in avanti. Positivo il giudizio dell’Associazione nazionale magistrati. "Nel metodo, ben vengano luoghi istituzionali in cui la magistratura associata sia invitata a dare il proprio contributo tecnico e ad esprimere le proprie valutazioni, senza pregiudizi da nessuna parte. Poi nel merito vedremo i frutti", dichiarano presidente e segretario dell’Anm, Luca Palamara e Giuseppe Cascini. "L’Anm - aggiungono - dice sì a riforme della giustizia, no a quelle punitive". Davanti alle aperture della maggioranza, però, arriva il no secco del Pd.
Partire dal testo della bicamerale. "Il Pdl deve assumersi la responsabilità di un’ incisiva iniziativa politica, diretta a riaprire il confronto con tutte le forze politiche per contribuire a presentare al Parlamento un progetto, ove possibile, condiviso", si legge nella nota della Consulta Pdl. Il punto da cui partire sarebbe il testo prodotto a suo tempo dalla bicamerale, che "potrebbe offrire pregevoli indicazioni di lavoro comune".
Schifani: "L’immunità sarebbe un ritorno al passato". Un altro segnale di distensione dal presidente del Senato, Renato Schifani, che si dice contrario all’immunità parlamentare: "Sarebbe un ritorno al passato".
La proposta. La presa di posizione del Pdl arriva all’indomani della nuova sollecitazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha sottolineato quanto siano "inderogabili" le riforme e invitato le forze politiche a farne oggetto di un confronto serio e sereno, senza che diventino "materia di scontro politico". Soprattutto, l’apertura della Consulta Pdl alle opposizioni va in direzione opposta rispetto all’intenzione di procedere da solo, facendo ricorso al referendum, annunciata da Silvio Berlusconi all’indomani della bocciatura del lodo Alfano.
Un incontro il 4 novembre. "Il tema della giustizia - aggiunge la nota - continua a essere argomento centrale della discussione e del confronto politico. Ancora una volta forti polemiche in ordine a singoli accadimenti rischiano di porre in secondo piano le vere problematiche della giustizia e paralizzare le riforme. La Consulta - si legge in una nota - invita quindi tutte le forze politiche a partecipare a un incontro presso i Gruppi parlamentari, Sala Colletti, il prossimo 4 novembre alle 19 per concordare tempi e modi di attuazione della proposta".
Dialogo con magistratura e avvocati. L’appuntamento è esteso anche ai magistrati e agli avvocati. "La consulta - prosegue la nota - ritiene che ove vi sia la effettiva volontà politica di individuare linee comuni sarà possibile elaborare un testo compiuto in tempi assai brevi e che comunque si potrà anche avviare un proficuo confronto sulle leggi ordinarie". Infine, l’invito al governo affinché attenda la conclusione dei tentativi di dialogo "prima di voler presentare un proprio testo di riforma costituzionale".
Il no del Pd. L’apertura della consulta Pdl è accolta con freddezza da Lanfranco Tenaglia, responsabile giustizia del Pd: "La proposta di ’bicameralina’? Sarebbe bene che la maggioranza facesse prima chiarezza al suo interno, dove le divaricazioni sono molte, e che poi portasse le proprie proposte nelle sedi proprie e cioè in Parlamento, dove già da tempo giacciono inascoltate proposte e idee del Pd".
"Smentire notizie su norma su prescrizione". Tenaglia chiede al governo di smentire le indiscrezioni secondo le quali la maggioranza intenderebbe approvare una norma che riduce i tempi della prescrizione nei processi: "Sarebbe un fatto gravissimo. Per accompagnare alla prescrizione il processo Mills e quello sui diritti tv si manderebbero al macero migliaia di processi, con buona pace della sicurezza dei cittadini, dell’effettività della pena e dei diritti delle parti offese".
Il no di Franceschini. Parlando più da candidato alla nuova segreteria che da attuale segretario, Franceschini ha detto: "Se il popolo delle primarie mi rieleggerà, il 4 novembre i gruppi parlamentari del Pd non andranno a questa ’nuova bicamerale’". Secondo Franceschini, le riforme del Pdl in tema di giustizia finora si sono tradotte solo in leggi ad personam "e intenti punitivi verso quei magistrati colpevoli solo di applicare la legge e rispettare il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla giustizia". "Non è il tempo di pasticci e di nuove bicamerali - dice Franceschini - le proposte di legge si discutono solo nelle aule parlamentari in un rapporto privo di ambiguità tra maggioranza e opposizione".
* la Repubblica, 23 ottobre 2009
I padri costituenti e la difesa della arta
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 20.10.2009)
Il primo grido di allarme per le tentazioni distruttive verso la nostra Costituzione manifestate dalle maggioranze guidate da Silvio Berlusconi venne lanciato nel 1994 da Giuseppe Dossetti, uno dei padri più rappresentativi della nostra carta fondamentale e della nostra coscienza costituzionale. Con una lettera inviata il 25 aprile di quello stesso anno all’allora sindaco di Bologna, Walter Vitali, Dossetti lanciava i comitati per la difesa della Costituzione con queste parole: «Si tratta cioè di impedire ad una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo di mutare la nostra Costituzione: [quella maggioranza] si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un colpo di stato».
Dossetti fu uno dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946, e poi membro della Commissione per la Costituzione (conosciuta anche come commissione dei 75) il cui compito era di elaborare un progetto di Costituzione. Il 21 novembre 1946, Dossetti presentò in Commissione la proposta relativa al diritto di resistenza. Queste le sue parole: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino». Rileggere oggi le discussioni dei costitutenti sul tema dell’oppressione e della necessità che la Costituzione si doti di strumenti di autodifesa è un’esperienza intellettuale unica perché rivela quanta attenzione, preparazione e serietà ci fosse in quell’Assemblea costitutiva della nostra democrazia. Riprendere in mano quella storia, quelle discussione è diventato essenziale per la nostra libertà.
Dossetti era un tomista e pensava al potere politico (quello costituito nello stato) come alla fonte di un rischio permanente dal quale premunirsi. Aldo Moro fu dalla sua parte e nonostante le ragionevoli perplessità nei confronti di un principio che era essenzialmente metagiuridico e di difficile traduzione in legge, tuttavia anche lui come Dossetti comprese quanto fosse essenziale per una democrazia che la cittadinanza venisse concepita e vissuta come un’identità politica non solo giuridica, perché alla sua base stava il dovere morale di preservare i fondamenti della sua stessa esistenza. È il cittadino che preserva se stesso preservando la carta.
E così, quando nel 1994 il padrone di Mediaset impresse una direzione autoritaria alla politica italiana e i partiti dell’opposizione anche allora sembrarono non comprendere per davvero la natura nuova e inquietante di quel corso politico, Dossetti riprese il ruolo morale di padre costituente e tornò a fare il dovere che la cittadinanza richiede: lanciò un movimento di cittadini attivi per esprimere un chiaro e forte "No!" alle manipolazioni della carta da parte di maggioranze o leader bramosi di dominio illimitato; un movimento che avesse il compito di far capire a tutta la nazione che la Costituzione non era a disposizione - proprio come non lo sono le donne, secondo la bella risposta di Rosy Bindi al capo della maggioranza.
La sovranità non è la stessa cosa del governo; e non lo sarebbe nemmeno se per ipotesi il governo godesse del 99% dei consensi elettorali. La differenza tra sovranità e maggioranza eletta che governa per un tempo limitato non è numerica, ma di forma e di sostanza. E infatti, nonostante Berlusconi si riempia la bocca della parola "popolo" egli pensa ai suoi elettori e a quelli che le sue strategie commerciali possono eventualmente catturare. Ma la sovranità e la costituzione non sono a disposizione di una parte, di nessuna parte, e non hanno nulla a che fare con la massa che un leader pensa di catturare, tenere o imbonire.
La ragione di questa indisponibilità è ancora una volta ben espressa dalle parole di Dossetti: «C’è una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto... oltrepasserebbe questa soglia qualunque modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti nell’attuale Costituzione. E così pure va ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per ogni avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell’esecutivo ai danni del legislativo, ancorché fosse realizzato con forme di referendum, che potrebbero trasformarsi in forme di plebiscito... In questo senso ho parlato prima di globalità del rifiuto cristiano e ritengo che non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa».
La coscienza cristiana di Dossetti coincideva in quel caso perfettamente con quella pubblica del cittadino perché la difesa delle prerogative costituzionali era difesa della libertà di ciascuno di distinguersi ed essere autonomo dalla pretesa di omologazione e dominio di una maggioranza. Nel maggio 1947, intervenendo sul tema proposto da Dossetti, Antonio Giolitti (allora Pci) ricordò che «la garanzia essenziale del regime democratico è... l’autogoverno morale e politico del cittadino». Per questa ragione, benché il diritto di resistenza (che avrebbe dovuto essere contenuto nell’Articolo 50) non passò l’esame, esso fa parte comunque nella cultura etica della cittadinanza democratica. La vita della Costituzione è nelle mani dei cittadini. Ha scritto anni fa Paolo Pombeni che le idee dossettiane e dei costituenti sulla resistenza come autodifesa della Costituzione «scomparvero dall’attenzione dell’Assemblea Costituente e dalla stessa memoria storica», ma il loro principio ispiratore ha una portata che «dovrebbe essere rivalutata» perché, si potrebbe aggiungere, la Costituzione, scritta da una generazione che non è piú, è viva nel nostro presente e la sua persistenza é un nostro dovere civile.