LA POLITICA DELL’ODIO
di Alexander Stille (la Repubblica, 18.12.2009)
Dopo l’attacco contro Berlusconi si parla molto di amore e odio, del “clima di odio” che la sinistra e giornali come Repubblica avrebbero creato criticando Berlusconi e dell’amore che Berlusconi richiede al Paese e al suo popolo.
Ma il dissenso politico e il diritto di critica non sono questioni di amore ed odio. Il Washington Post non era animato da odio per il presidente Richard Nixon quando fece l’inchiesta su Watergate. La proprietaria del giornale, Katherine Graham, aveva tanti amici tra i repubblicani dell’amministrazione e il presidente non accusò mai il Post di odio. Come il New York Times non odiava Bill Clinton quando fece i primi pezzi sull’affare "Whitewater," che portò alla vicenda di Monica Lewinskye che quasi gli costò la presidenza. Il dissenso e la critica - talvolta anche aspri - sono elementi fondamentali di una democrazia sana. La mancanza di critica all’amministrazione Bush - nel clima intimidatorio dopo l’undici settembre - ha contribuito forse in un modo decisivo alla guerra disastrosa in Iraq.
Ma porre il problema in termini di amore e odio - cioè in termini personalistici - è caratteristico della politica di Berlusconi. Il momento che mi colpì di più intervistando Berlusconi nel 1995 arrivò alla fine del nostro incontro quando, cercando di convincermi che non poteva neanche esistere il problema del conflitto d’interesse, disse: «So creare, so comandare, so farmi amare». Come se farsi amare - piuttosto che gestire l’economia o riformare il sistema pensionistico - fosse il più grande requisito di un uomo politico.
Il dissenso in Italia parla di Berlusconi perché è costretto a farlo. Berlusconi si è sempre posto al centro delle cose e parlare del Popolo della Libertà senza parlare di Berlusconi è semplicemente un non-senso.
Parliamo di Berlusconi perché da quando è entrato in politica nel 1994 l’Italia è diventata ingovernabile. Ingovernabile perché i massicci conflitti d’interesse presentati da Berlusconi - un monopolista della televisione privata che ora controlla il suo competitore principale, la televisione di Stato, un indagato di reati gravissimi che gestisce il sistema della giustizia - sono macigni sulla strada di ogni governo.
Così il Paese ha vissuto colpi di spugna, lodi di tutti i tipi, leggi ad personam cucite su misura per evitare la galera a questo o quel collaboratore stretto del Cavaliere e possibili condanne allo stesso Berlusconi. Nel mezzo di questa crisi, il governo propone una legge per limitare la pubblicità alla televisione via satellite di Rupert Murdoch, il primo vero concorrente privato di Berlusconi. E subito siamo costretti a chiederci: è stata fatta per il bene del telespettatore o per il bene di Mediaset, l’azienda del premier? E così è per tutto, o quasi: lo scudo fiscale, i condoni per l’evasione fiscale, la detrazione di tasse per le aziende, l’eliminazione delle tasse di successione. Le ultime proposte di legge del centro-destra - sempre retroattive - dimostrano che Berlusconi è pronto a smantellare tutto il sistema giudiziario italiano pur di salvare sé stesso. Abbiamo il. governo di un uomo solo che si occupa esclusivamente della sua persona e delle sue aziende.
Siamo costretti a parlare di Berlusconi perché Berlusconi ha personalizzato la politica come mai era accaduto nel dopoguerra. I vecchi partiti come la Dc e il Pci, per esempio, rappresentavano delle idee e delle aree sociali del Paese, ma i loro leader erano decisamente meno importanti dei blocchi che rappresentavano: i cattolici da una parte, la classe operaia dall’altra. Berlusconi ha personalizzato la politica, presentandosi continuamente come l’unico capace di "salvare" il Paese dal pericolo del comunismo. «Sono in politica perché il Bene prevalga sul Male», ha detto nel 2005: «Se la sinistra andasse al governo l’esito sarebbe questo: miseria, terrore, morte. Così come avviene ovunque governi il comunismo».
Berlusconi ha creato attorno a sé il culto della personalità, nel decimo anniversario della creazione di Forza Italia ha perfino detto che la sua "discesa in campo" era stata un atto suggerito dallo Spirito Santo. Il volto di Berlusconi è su ogni manifesto politico. Ha cambiato la legge elettorale in modo che deputati e senatori servano al piacere personale del premier. Il Parlamento è pieno di veline e amiche e amici, molti impiegati o avvocati di Berlusconi. Non contento, Berlusconi propone di far votare solo i capigruppo, riducendo il ruolo dei parlamentari a quello di puro ornamento.
Berlusconi ha cambiato il lessico della politica italiana, introducendo il linguaggio privato, quello del bar e della rissa in casa nella sfera pubblica. Ha dato dei «coglioni» agli elettori del centrosinistra, ha chiamato «stronzate» le parole del suo avversario politico, Romano Prodi, «criminoso» il giornalismo di Enzo Biagi, Marco Travaglio e Michele Santoro. I magistrati sono «matti» e «mentalmente disturbati». L’ex presidente della Repubblica Scalfaro è un «serpente» e un «traditore».
Pensiamo allo spettacolo indecente in cui durante l’ultima legislatura, i senatori del Pdl, aizzati dall’attuale presidente del Senato Renato Schifani, hanno coperto di insulti e ingiurie il premio Nobel Rita Levi Montalcini per spingerla a dimettersi da senatore a vita e far cadere la maggioranza di governo. Sfido gli esponenti del centrodestra a trovare un singolo episodio in cui i principali leader del centrosinistra (Prodi, D’Alema,Veltroni) si siano lasciati andare a un linguaggio simile.
E’ stato Berlusconi ad invitare gli italiani dentro la sua vita privata: con i mille commenti sulla vita da "playboy" e le sue prestazioni sessuali («Se dormo per tre ore posso fare l’amore per altre tre»), sul suo matrimonio («Rasmussen è il primo ministro più bello dell’Europa. Penso di presentarlo a mia moglie»). E ci ha portati dentro il suo divorzio con le sue apparizioni a fianco di Noemi Letizia e le comparsate a "Porta a Porta". Se si facesse il conto di chi negli ultimi quindici anni ha parlato di più sulle televisioni italiane scopriremo, credo, che gli italiani hanno dovuto ascoltare e vedere Berlusconi almeno dieci volte di più di qualsiasi altro politico. La verità è che Berlusconi ha trasformato un intero Paese in un grande reality: "Casa Berlusconi". Chi non lo gradisce ha il diritto di protestare. Non è la politica dell’odio. È, semplicemente, la democrazia.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
CATTOLICESIMO, BERLUSCONISMO, CRISTIANESIMO: DIO E’ RICCHEZZA ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2008)!!! QUESTA E’ LA LEGGE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI E LA CHIESA "CATTOLICA" E’ LA CUSTODE "UNIVERSALE" DELL’ORDINE SIMBOLICO DI "MAMMONA" E DI "MAMMASANTISSIMA" .... QUESTO MATRIMONIO S’HA DA FARE, DOMANI, E SEMPRE!!! L’ANNUNCIO A GIUSEPPE, NELLA TRADIZIONALE LETTURA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA, DI GIANFRANCO RAVASI
PER NON DIMENTICARE. Nell’ultima parte dell’articolo di Stille si parla dell’attacco subito dalla Montalcini , non è forse inutile aggiungere anche questi due link sotto l’articolo, per ricordare meglio:
Antonio
Le condizioni per la pace del premier: leggi ad personam e stop all’Idv
di Ninni Andriolo *
Tutti ad Arcore, da Cicchitto a Letta, da Scajola a Miccichè. Una convalescenza di gran lavoro quella del Cavaliere. Per stasera è prevista una cena con Bossi e Tremonti. Possibile, prima di Natale, una nuova visita di Fini. Il Presidente della Camera si sta spendendo molto per dare gambe agli appelli berlusconiani a «rasserenare il clima». Come Gianni Letta, d’altra parte, che Berlusconi vorrebbe nominare vice premier.
Strada spianata verso il «patto democratico», quindi? Passati i giorni dello scoramento e dei buoni propositi, in realtà, il Cavaliere «vuole la pace», ma pone condizioni. La prima è che Pd e Udc rompano con Di Pietro, isolando l’ex pm di Mani pulite. Una richiesta che, riportata come una sorta di diktat da interlocutori non annoverabili tra le «colombe», giunge in realtà direttamente all’opposizione - e per altri percorsi - con toni più sfumati. Pace condizionata, quindi? «Prendo atto dell’apertura alle riforme del Pd - spiega Paolo Bonaiuti - Se sono rose fioriranno, vedremo. Il dialogo, il confronto, qualunque forma di apertura civile con l’opposizione può riprendere quando cesserà la spirale di violenza contro il presidente del Consiglio». E il senatore Pdl, Giorgio Stracquadanio, ultras pro Cavaliere, sottolinea che «è più che opportuna la distinzione tra opposizione democratica, con la quale cercare con tenacia un’intesa per le riforme istituzionali, e opposizione giustizialista». Gaetano Quagliariello, infine, auspica che «le forze responsabili dell’opposizione» compiano «un passo ulteriore per disinnescare il conflitto che da 15 anni impedisce all’Italia di diventare una democrazia compiuta».
È chiaro che Berlusconi non ha messo da parte l’assoluta priorità che assilla i suoi pensieri: la via d’uscita parlamentare ai processi che lo riguardano. E se è vero che oltre all’«isolamento di Di Pietro» il premier spera, in particolare dal Pd, un atteggiamento «soft» sulle leggi «ad personam», è anche vero che - con realismo - non mette nel conto né voti favorevoli, né aiuti nell’iter parlamentare. Tenta, però, di evitare «la demonizzazione». «La posizione di D’Alema, Bersani e di tutti noi - spiega il Pd Enrico Letta - È che non c’è un atteggiamento persecutorio o berlusconicentrico, ma solo il rispetto delle regole, della Costituzione e che le riforme devono essere di sistema».
Legittimo impedimento e Lodo Alfano bis: sembrano questi i provvedimenti intorno ai quali il Cavaliere occuperà il Parlamento tra gennaio e febbraio, pronto - in ogni caso - ad andare «avanti come un treno» forte, anche, delle rassicurazioni di Fini. Una modifica radicale del «processo breve» per dare un segnale a chi - nel Pdl, ma anche in Pd e Udc - chiede di non terremotare la giustizia? Possibile. Quanto alle altre riforme, tutto lascia pensare che se ne riparlerà dopo le regionali e che le urne decideranno molto anche del futuribile dialogo tra maggioranza e opposizione»
* l’Unità, 19 dicembre 2009
L’assedio al Pd tra il Bene e il Male
di Carlo Galli (la Repubblica, 19.12.2009)
Una nuova, elementare teologia politica sembra stia sostituendo il discorso pubblico democratico nel nostro Paese. Tutte le forme del conflitto politico e dell’antagonismo sociale sono in via di sparizione. Non ci sono più il concorrente, l’avversario, il nemico esterno, ovvero i simboli in cui prendono corpo le tipologie di lotta (economica e politica) che possono trovare posto e legittimazione nella moderna civiltà liberale, e nella nostra Costituzione. È in via di trasformazione anche la figura novecentesca del nemico interno, ideologico, da osteggiare perché portatore di una visione del mondo che non può trovare collocazione nel nostro stesso spazio politico. Ormai, la politica viene spiegata attraverso un apparato categoriale estremo e rudimentale al contempo, come il confronto mortale tra Amore e Odio.
Questa suprema semplificazione - che ha in realtà radici tanto nelle fiabe e nel repertorio popolare antico e moderno quanto nelle cupe fantasie del pensiero controrivoluzionario, o nella bruciante denuncia del totalitarismo di Orwell in 1984 - non appare oggi nella politica italiana, ma ne è diventata l’epicentro dopo l’aggressione milanese a Berlusconi. Il crimine di uno squilibrato - un atto che è ovvio punire penalmente, come è ovvio solidarizzare umanamente con la vittima - è stato ed è utilizzato per bollare come criminale l’opposizione al premier; una immotivata e folle avversione personale è stata promossa a emblema della lotta politica contro le politiche della maggioranza, il cui potere è stato definito Bene, e Male ciò che vi si oppone.
Oltre la criminalizzazione dell’avversario, siamo alla sua demonizzazione, alla squalificazione non solo etica ma anche ontologica. La dimensione giuridica - che fa sì che un reato sia un reato, mentre una critica è una critica: illecito il primo, lecita la seconda - è risucchiata e annichilita in una teologia manichea che si propone come chiave di lettura onnicomprensiva della dinamiche politiche: tutto si confonde con tutto, tutto deriva da tutto, tutto conduce a tutto; il pensiero e l’azione si trovano sul medesimo piano, inesorabilmente inclinato verso l’abisso: verso il sangue, la violenza, il terrorismo anarchico. Non ci sono distinzioni ma solo gradazioni nel Male: è Male il semplice opporsi al Bene, in qualunque forma ciò avvenga. La metafora del clima (il "clima di odio"), oggi vincente, lo dice: il clima è appunto l’insieme dei fenomeni atmosferici e anche la generica predisposizione verso una certa loro tipologia (clima buono o cattivo). Con una simile concettualità si può rendere chiunque responsabile di qualunque cosa, o almeno si può sostenere la possibile pericolosità, diretta o indiretta, di ogni comportamento non conforme.
Le leggi che limitano la libertà di espressione, i provvedimenti speciali, pendono minacciosi sugli oppositori. Ma tutto ciò è Bene, è la forza dell’Amore. Del Male c’è però una speranza di perdono: si chiama dialogo, collaborazione parlamentare per rifare la Costituzione. Dissolve il clima di odio e assolve da molti peccati. Il piccolo prezzo da pagare per l’indulgenza, la penitenza dopo tutto mite a cui l’opposizione si deve assoggettare, è di collaborare (o almeno di non ostacolarle efficacemente) ad alcune leggi volte a garantire l’impunità personale al premier (dal legittimo impedimento al Lodo Alfano costituzionalizzato) e il controllo della magistratura all’esecutivo (la separazione delle carriere e la "riforma della giustizia"). Se ciò non avverrà, se il Pd non saprà essere "autonomo" e presterà ancora orecchio alle lusinghe di Satana (Di Pietro, Repubblica), la reazione sarà durissima: il Male sarà condannato senza remissione, e l’intero sistema giudiziario sarà spazzato via dal "processo breve", che non sarà difficile, per chi controlla tutte le televisioni, presentare come giusta risposta all’esigenza di rapida giustizia che accomuna tutti gli italiani.
Non si è tratteggiata una caricatura; e del resto non c’è nulla da ridere. La situazione italiana è davvero questa: la costruzione mediatica di un’egemonia culturale pressoché incontrastata, o comunque subìta, dispiega tutta la propria potenza per creare un mondo artificiale che deve far velo a quello reale, che deve negare l’evidenza, ossia l’esistenza di un’Italia non di destra e non berlusconiana, e neppure terrorista o incline alla violenza, di una società che si sforza di essere libera e che dispiega le proprie capacità critiche in un pubblico dibattito, e quindi anche attraverso i giornali (alcuni) e le case editrici (alcune). L’obiettivo è evidente: delegittimare la base sociale e intellettuale dell’opposizione, tagliare i ponti fra la società e il palazzo, intimidire le forze che costituiscono la linfa vitale del Pd, in modo che questo, nella sua attività politica, sia sempre più isolato nella sua condizione di minoranza parlamentare. E questo isolamento, questo allontanamento dall’opinione della sua base, dovrebbe essere chiamato "autonomia".
Certo, la pressione sul Pd è davvero enorme: se cede verrà punito alle elezioni regionali, in favore di Di Pietro; se resiste rischia di produrre gravi lacerazioni al proprio interno. Eppure è in questo crinale che si deve dispiegare un’azione politica forte: che è non cercare di parlare d’altro (dei "veri problemi degli italiani", come se rifare la Costituzione in queste condizioni e con questi prezzi non fosse un problema di tutti), ma appunto parlare delle medesime cose di cui parla la destra, criticandole e demistificandole senza timidezze. Di fornire una contro-interpretazione della vulgata corrente sul Bene e sul Male, e di provare a inserirsi nuovamente nel discorso pubblico, senza rassegnazioni e anzi con la volontà di rovesciarne i termini. Di affermare la critica contro i miti, la ragione contro le fiabe, la forza della democrazia liberale contro la paura e contro i rischi di una democrazia "protetta".
Messaggio del premier a una manifestazione di solidarietà organizzata a Verona
"Mi date un’ulteriore spinta. L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio", ha ripetuto
Berlusconi: "Vado avanti per il bene del Paese" *
Fiori e auguri di pronta guarigione a Villa San Martino ad Arcore VERONA - "Andrò avanti per il bene del Paese". Questo il messaggio inviato stamane da Silvio Berlusconi ai partecipanti all’iniziativa indetta in Piazza Brà a Verona una settimana dopo l’aggressione subita dal premier a Milano. "Queste manifestazioni - ha detto Berlusconi, che ha chiamato al cellulare il sottosegretario Aldo Brancher - mi danno una ulteriore spinta ad andare avanti e a sostenere il nostro impegno per il bene del Paese".
"Sono commosso - ha aggiunto il presidente del Consiglio - e ringrazio Verona che ha per prima voluto organizzare questa manifestazione di solidarietà". "L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio", ha ribadito Berlusconi usando le parole pronunciate il giorno in cui è uscito dall’ospedale San Raffaele e scritte lo stesso slogan dello striscione che questa mattina campeggiava sulla scalinata del Municipio di Verona. "Questo è il messaggio - ha proseguito il premier - che stiamo portando in giro per tutta l’Italia". "Sotto l’albero di Natale - ha detto ancora, rivolgendosi ai sostenitori - regalate una tessera del Pdl".
In piazza Brà, secondo una prima stima, un migliaio di persone, tra le quali oltre a Brancher il sottosegretario Alberto Giorgetti, e vari sindaci e assessori comunali. La manifestazione si è chiusa con le note di "Meno male che Silvio c’è".
* la Repubblica, 20 dicembre 2009
Il presidente della Repubblica parla alle alte cariche dello Stato
"Serve massima condivisione per fare le riforme. Ma il clima non è buono"
Napolitano: "Nessun complotto
la Costituzione garantisce il governo"
ROMA - "Bisogna guardare con ragionevolezza allo svolgimento di questa legislatura ancora nella fase iniziale, non si paventino complotti che la Costituzione e le sue regole rendono impraticabili contro un governo che goda della fiducia della maggioranza in Parlamento". Giorgio Napolitano pronuncia parole chiare sulle tensioni politiche che agitano l’Italia. Ricordando la funzione di salvaguardia della Costituzione che impedisce "scorciatoie". E rilanciando la necessità delle riforme.
Parlando con le alte cariche dello stato al Quirinale, il presidente definisce il Parlamento "compresso", denunciando l’uso di "fiducie e maxiemendamenti". Invitando, infine, "alla più larga condivisione, strada maestra per realizzare le riforme istituzionali, strada percorribile". Cosa non facile, però. Soprattutto oggi: "Il clima non è ancora favorevole. Proprio per questo è necessario fermare il degenerare della violenza e nessuno si deve sottrarre". Ricorda l’aggressione a Berlusconi, Napolitano. Definendola "un fatto assai grave, di abnorme inconsulta violenza, che ha costituito motivo non solo di profondo turbamento ma anche di possibile (ne abbiamo visto i primi segni) ripensamento collettivo".
Certo Napolitano non sottovaluta l’esasperazione che segna il mondo della politica ("una conflittualità che va ben oltre il tasso fisiologico delle democrazie mature"), ma sottoliena come l’Italia non sia "un paese ’diviso su tutto. Stiamo attenti a non lacerare quel fondo di tessuto unitario vitale e condizione essenziale per affrontare i problemi".
Il Capo dello Stato ribandisce poi l’importanza del mantenimento degli impegni assunti, a cominciare da quello della guerra in Afghanistan: non si tratta infatti di "una missione o una guerra americana, ma un impegno della comunità internazionale e dell’Onu con l’unico scopo di proteggere il mondo dal terrorismo internazionale". "Per quanto serie siano le difficoltà di carattere finanziario non possiamo in nessun modo venir meno agli impegni presi - spiega il presidente - perché il ruolo che l’Italia svolge è fondamentale per la sua reputazione internazionale".
* la Repubblica, 21 dicembre 2009