Il presidente del Senato: "Basta calunnie". E poi: "No al voto agli immigrati"
Il leader della Lega al presidente della Camera: "Gli immigati portateli a casa tua"
Schifani: "No ai teoremi dei magistrati"
Bossi: "Complotto contro il governo"
GUBBIO - Premette: "Il mio dovere è la neutralità". Poi attacca i pm, confuta punto per punto le tesi di Gianfranco Fini, sposa in toto le tesi di Silvio Berlusconi e nega che in Italia ci siano rischi alla libertà di stampa. Come già accaduto in passato Renato Schifani si allinea alle tesi del governo. Scegliendo una strada opposta rispetto al suo omologo alla Camera, Gianfranco Fini. Tanto quello si smarca, tanto Schifani si allinea. Anche Bossi attacca il presidente della Camera e sfida l’ex An sull’immigrazione. Sulle escort, il senatur taglia corto: "Trame della mafia".
Liberta di stampa. Sul tema della libertà di stampa, Renato Schifani, presidente del Senato, al microfono del convegno a Gubbio del Pdl, ha assicurato: "La libertà di stampa nel nostro paese è garantita. Non vedo nubi che possono seppure minimamente limitarne l’esercizio". Schifani ripete, di fatto, le parole di Silvio Berlusconi. "Ogni giornalista - aggiunge il presidente della Senato - può esprimere liberamente le proprie idee, ma senza travalicare i limiti della verità, dell’onorabilità e del rispetto della persona".
Giustizia. Berlusconi evoca complotti da parte delle procure di Palermo e Milano? E Schifani commenta: "Attenzione a riproporre teoremi politici evocando "fantasmi di un passato lontano". Un chiaro riferimento alle inchieste sulle stragi di mafia dell’inizio degli anni ’90. "Mi piace di più - dice Schifani - quando la magistratura si occupa, a volte addirittura pagandone il prezzo in prima persona, del contrasto diretto della mafia . Mi piace meno quando alcuni singoli magistrati tendono a riproporre teoremi politici attraverso l’evocazione di fantasmi".
Bioetica. "Sui temi etici deve valere per tutti e senza discriminazioni un principio di civiltà: la libertà di coscienza". Se Fini chiede che di biotestamento si parli ancora, per Schifani i giochi sono chiusi. "A quella libertà di coscienza - prosegue il presidente del Senato - si sono ispirati tutti i senatori quando hanno votato sul biotestamento".
Scontro nel Pdl. Rispondendo indirettamente a Fini che ieri aveva chiesto un confronto interno al Pdl, Schifani assicura: "Vedo il Pdl come una casa aperta dove ci si può serenamente e liberamente confrontare senza alcun pericolo di anatemi od ostracismi. Le varie anime che compongono il Pdl hanno piena ed ampia libertà di espressione".
No al voto agli immigrati. E infine il voto agli immigrati. "Vota chi è cittadino italiano", dice Schifani. Con tanti saluti alla richiesta di Fini che ha più volte chiesto la concessione del voto agli immigrati regolari che vivono, lavorano e pagano le tasse nel nostro Paese. Giammai, dice Schifani.
Bossi: "C’è la mafia dietro gli attacchi al governo". Dal palco allestito a Pian del Re per la tradizionale cerimonia leghista dell’ampolla alle sorgenti del Po, Bossi rilancia: "C’è un complotto della mafia contro il governo". A chi gli domanda una sua impressione sulle vicende delle ultime settimane che riguardano il presidente del Consiglio, Umberto Bossi risponde sicuro: "Penso che tutto sia stato messo in piedi dalla mafia. Abbiamo fatto leggi pesantissime contro la mafia - prosegue Bossi - e quindi l’ho detto anche a Berlusconi guarda che qui c’entra la mafia. Chi ha in mano le prostitute e la mafia, sono convinto che è la mafia che ha organizzato tutta questa cosa qui". Per ritorsione contro il governo? Chiedono i cronisti. "Esatto", conclude Bossi.
L’attacco a Fini. E a Gianfranco Fini che vorrebbe concedere il voto agli immigrati, il leader leghista lancia una sfida: "Nel governo c’è addirittura chi vorrebbe aprire i confini agli immigrati. Se li porti a casa sua. Fini? Ognuno è libero di suicidarsi come vuole, ma dare il voto agli immigrati è una scelta sbagliata, non è quello che vuole la gente. Noi della Lega preferiamo stare con la gente. Lui pensa che gli immigrati non voterebbero la Lega, ma è un ragionamento insano. Chi è forte - ha aggiunto Bossi - vince sempre, anche gli immigrati alla fine voteranno laLega, staranno dalla parte di chi è più simpatico e che dice cose dure ma vere".
Elezioni anticipate? "No". E a chi gli domandava se era fondata l’ipotesi di elezioni anticipate, Bossi ha risposto secco: "E per che cosa? Per far vincere la Lega ancora di più?" Niente elezioni anticipate, quindi? "No", ha risposto Bossi. "Dobbiamo fare le riforme".
* la Repubblica, 11 settembre 2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IN ITALIA L’UNICO LEGITTIMO PRESIDENTE DEGNO DI GRIDARE "FORZA ITALIA" E’ IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO. Chi lo ha fatto e continua a farlo illegalmente è solo un mentitore e un golpista!!!
Il ministro per le Riforme traccia così il programma della lega per l’anno che
è appena cominciato: "siamo geneticamente contrari a chi parla parla e non fa nulla"
Bossi: "Basta melassa buonista e chiacchiere
dal 2010 ci aspettiamo soltanto le riforme" *
MILANO - "Cosa ci aspettiamo dal 2010? Le riforme. Ma non vogliamo sentir parlare di chiacchiere, siamo geneticamente contrari alla melassa buonista e a quelli che parlano, parlano e poi non fanno un bel nulla": Umberto Bossi, interpellato dall’ANSA, traccia così il programma della Lega per il nuovo anno.
Il fondatore della Lega Nord, che ha trascorso il Capodanno a Ponte di Legno (Brescia), spiega al cronista di non voler fare commenti sul discorso di fine anno del del Presidente Napolitano. Ma accetta di parlare dei programmi della Lega per l’anno nuovo: "Cosa ci aspettiamo per l’anno nuovo? Per il 2010 ci aspettiamo le riforme, che è poi quello che chiede la gente".
* la Repubblica, 1 gennaio 2010
Il presidente della Repubblica parla alle alte cariche dello Stato
"Serve massima condivisione per fare le riforme. Ma il clima non è buono"
Napolitano: "Nessun complotto
la Costituzione garantisce il governo" *
ROMA - "Bisogna guardare con ragionevolezza allo svolgimento di questa legislatura ancora nella fase iniziale, non si paventino complotti che la Costituzione e le sue regole rendono impraticabili contro un governo che goda della fiducia della maggioranza in Parlamento". Giorgio Napolitano pronuncia parole chiare sulle tensioni politiche che agitano l’Italia. Ricordando la funzione di salvaguardia della Costituzione che impedisce "scorciatoie". E rilanciando la necessità delle riforme.
Parlando con le alte cariche dello stato al Quirinale, il presidente definisce il Parlamento "compresso", denunciando l’uso di "fiducie e maxiemendamenti". Invitando, infine, "alla più larga condivisione, strada maestra per realizzare le riforme istituzionali, strada percorribile". Cosa non facile, però. Soprattutto oggi: "Il clima non è ancora favorevole. Proprio per questo è necessario fermare il degenerare della violenza e nessuno si deve sottrarre". Ricorda l’aggressione a Berlusconi, Napolitano. Definendola "un fatto assai grave, di abnorme inconsulta violenza, che ha costituito motivo non solo di profondo turbamento ma anche di possibile (ne abbiamo visto i primi segni) ripensamento collettivo".
Certo Napolitano non sottovaluta l’esasperazione che segna il mondo della politica ("una conflittualità che va ben oltre il tasso fisiologico delle democrazie mature"), ma sottoliena come l’Italia non sia "un paese ’diviso su tutto. Stiamo attenti a non lacerare quel fondo di tessuto unitario vitale e condizione essenziale per affrontare i problemi".
Il Capo dello Stato ribandisce poi l’importanza del mantenimento degli impegni assunti, a cominciare da quello della guerra in Afghanistan: non si tratta infatti di "una missione o una guerra americana, ma un impegno della comunità internazionale e dell’Onu con l’unico scopo di proteggere il mondo dal terrorismo internazionale". "Per quanto serie siano le difficoltà di carattere finanziario non possiamo in nessun modo venir meno agli impegni presi - spiega il presidente - perché il ruolo che l’Italia svolge è fondamentale per la sua reputazione internazionale".
* la Repubblica, 21 dicembre 2009
L’inciucio
È cosa non buona e ingiusta
di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 20.12.2009)
Ho letto con molto interesse l’articolo del nostro collaboratore Alexander Stille (figlio di tanto padre) pubblicato venerdì scorso su Repubblica. Spiega perché chi si opponga alla politica del Pdl non può che concentrare le sue critiche su Silvio Berlusconi. Non è questione di distinguere la parola "nemico" dalla parola "avversario", la parola "odio" dalla parola "opposizione". Su queste differenze lessicali potremmo (inutilmente) discutere per pagine e pagine senza cavarne alcun risultato, come pure potremmo discutere sulla personalizzazione degli scontri politici in altri paesi.
Negli Stati Uniti per esempio lo scontro personalizzato è una prassi durissima e assolutamente normale. Basta ricordare (ed è appena un anno fa) la polemica senza esclusione di colpi tra Obama e Hillary Clinton durante le primarie, quella tra Gore e Bush nella corsa alla Casa Bianca, la campagna dei giornali che portò alle dimissioni di Nixon e Bill Clinton ad un passo dall’"impeachment" all’epoca dello scandalo Lewinsky.
Eppure in nessuno di quei casi i protagonisti avevano mai personalizzato su di sé il partito o la parte politica che rappresentavano come è avvenuto per Silvio Berlusconi. Ma chi lo ha detto meglio di tutti e con maggiore attendibilità è stato Denis Verdini. Il suo non è un nome molto noto, eppure si tratta d’un personaggio di primissimo piano: è il segretario del Pdl, il numero uno dei tre coordinatori di quel partito e soprattutto il co-fondatore di Forza Italia.
Quando Berlusconi decise di scendere in campo nell’autunno del 1993, affidò la costruzione del partito ai due capi di Publitalia, la società che raccoglieva la pubblicità per il gruppo Fininvest, nelle persone di Dell’Utri e di Verdini. Il primo è da tempo distratto da altri affanni; Verdini è invece nel pieno del suo impegno politico.
Nell’articolo pubblicato dal Giornale il 18 dicembre Verdini elenca gli obiettivi che il Pdl si propone di realizzare nei prossimi mesi e descrive come meglio non si potrebbe il ruolo di Berlusconi. «Lui ha costruito la figura del leader moderno - scrive Verdini - anzi ha costruito la leadership come istituzione. Per affrontarlo anche gli altri partiti dovranno affidarsi ad una leadership e se non riusciranno a farlo saranno sempre sconfitti. Ma anche i "media" non potranno esimersi dal concentrare sul leader la loro attenzione se vorranno cogliere il vero significato di quanto accade».
Segue l’elenco degli obiettivi: smontare la Costituzione e adeguarla alla Costituzione materiale; cambiare il sistema di elezione del Csm e quello della Corte costituzionale; riformare la giustizia separando le carriere dei magistrati inquirenti da quelle dei giudicanti; concentrare nella figura del premier tutti i poteri dell’Esecutivo e sancire che tutti gli altri poteri siano tenuti a collaborare lealmente con lui perché lui solo è l’eletto del popolo e quindi investito della sovranità che dal popolo emana.
Quest’articolo è infinitamente più preoccupante delle esagitate denunce e liste di proscrizione lanciate da Cicchitto in Parlamento, da Feltri e da Belpietro sui loro giornali e dai vari "pasdaran" del berlusconismo di assalto. Verdini l’ha scritto il 18 dicembre quando già Berlusconi era tornato ad Arcore ed aveva avviato la politica del dialogo con l’opposizione. Esso contiene dunque con lodevole chiarezza le condizioni di quel dialogo, con l’ovvio preliminare che essi comportano e cioè il salvacondotto in piena regola riguardante i processi del premier. Da qui dunque bisogna partire, tutto il resto è pura chiacchiera.
* * *
I giornali di ieri hanno dato notevole risalto alla battuta di D’Alema sull’utilità ed anzi la necessità, in certi momenti della vita politica, di far ricorso agli "inciuci". La parola "inciucio" denomina un compromesso malandrino tra parti politiche avversarie, un compromesso sporco e seminascosto che contiene segrete pattuizioni e segreti benefici per i contraenti, nascosti al popolo-bue.
Per esemplificare la sua battuta sull’utilità dell’inciucio D’Alema ha citato la decisione di Togliatti di votare, nell’Assemblea costituente del 1947, per l’inclusione del Concordato nella Costituzione italiana. Ma l’esempio è stato scelto a sproposito: la costituzionalizzazione del Concordato tra lo Stato e la Chiesa non fu affatto un inciucio ma un trasparente atto politico con il quale il Pci, distinguendosi dal Partito socialista e dal Partito d’azione, dichiarò la sua contrarietà a mantenere viva una contrapposizione tra laici e cattolici.
Si può non concordare con quella posizione; del resto la sinistra ha sempre privilegiato le lotte sociali rispetto alle cosiddette libertà borghesi, iscrivendo tra queste anche la laicità che non fu mai un cavallo di battaglia del Pci. Si può non condividere ma, lo ripeto, l’inciucio è tutt’altra cosa e D’Alema lo sa benissimo.
Credo di sapere perché D’Alema ha scelto di usare quel termine così peggiorativo: vuole stupire, gli piace esser citato dai "media", è una civetteria di chi, essendo molto sicuro di sé, sfida e provoca e si diverte.
È fatto così Massimo D’Alema. I compromessi gli piace descriverli, teorizzarli, talvolta anche tentarne la realizzazione, annusarne il cattivo odore, sicuro che se gli riuscisse di farli sarebbe comunque lui a guidarli verso l’utilità generale perché lui è più bravo degli altri. In realtà non è riuscito a metterne in pista nessuno. Ma la sua provocazione ha suscitato preoccupazioni nel suo partito e parecchie reazioni. Si è dovuto parlare di lui per l’ennesima volta. Sarà contento perché era appunto ciò che voleva.
I suoi contraddittori hanno deciso che bisognerà spostare il tiro sui problemi economici ai quali il governo ha dedicato pochissima attenzione. Sarà su di essi che si svolgerà il grande confronto tra la sinistra e la destra.
È vero, il governo non ha fatto nulla, la nostra "exit strategy" dalla crisi è del tutto inesistente e farà bene l’opposizione e il Pd a darsene carico, ma il centro dello scontro non sarà questo. Il centro dello scontro l’ha indicato Verdini, sarà sullo smantellamento della Costituzione. Sul passaggio dallo Stato di diritto allo Stato autoritario.
* * *
Berlusconi vuole il dialogo. Che cosa vuol dire dialogo? Lo spiega quasi ogni giorno sul Foglio Giuliano Ferrara. Lo spiegano gli editorialisti terzisti "ad adiuvandum": dialogo vuol dire mettersi d’accordo sul percorso da seguire e poi attuarlo con leale fedeltà a quanto pattuito. Insomma un disarmo. Unilaterale o bilaterale? Vediamo.
Berlusconi chiede: la legge sul legittimo impedimento come strumento-ponte che lo metta al riparo fino al lodo Alfano attuato con legge costituzionale; rottura immediata tra Pd e Di Pietro; riforme costituzionali e istituzionali secondo lo schema Verdini. In contropartita Berlusconi promette di parcheggiare su un binario morto la legge sul processo breve e di "riconoscere" il Pd come la sola forma di opposizione. Va aggiunto che Berlusconi non pretende che il Pd voti a favore della legge sul legittimo impedimento; vuole soltanto che essa non sia considerata dal Pd come un ostacolo all’accordo sulle riforme.
Vi sembra un disarmo bilaterale? Chiaramente non lo è. Chiaramente sarebbe un inciucio di pessimo odore.
In una Repubblica parlamentare il dialogo si svolge quotidianamente in Parlamento. Le forze politiche presentano progetti di legge, il governo presenta i propri, il Capo dello Stato vigila sulla loro costituzionalità, i presidenti delle Camere sulla ricevibilità di procedure ed emendamenti nonché sul calendario dei lavori badando che anche i progetti di legge formulati dall’opposizione approdino all’esame parlamentare.
Non si tratta dunque di un dialogo al riparo di occhi indiscreti ma d’un confronto aperto e pubblico, con tanto di verbalizzazione.
Quanto alla richiesta politica di rompere con Di Pietro, non può essere una condizione in vista di una legittimazione di cui il Pd non ha alcun bisogno e che la maggioranza non ha alcun titolo ad offrire. Come risponderebbe Berlusconi se Bersani gli chiedesse di rompere con la Lega? Che non è meno indigesta di Di Pietro ad un palato democraticamente sensibile ed anzi lo è ancora di più?
La conclusione non può dunque essere che l’appuntamento in Parlamento. Il punto sensibile è l’assalto alla Costituzione repubblicana. Ci sarà un referendum confermativo poiché sembra molto difficile una riforma condivisa. A meno che il premier non receda dai suoi propositi che, nella versione Verdini, sono decisamente eversivi. Uso questa parola non per odio verso chicchessia ma per amore verso lo Stato di diritto che è condizione preliminare della democrazia.
Antonio Tabucchi denunciato da Schifani Anno Zero 5 febbraio 2009
appello di esponenti della cultura
internazionale
Sosteniamo Antonio Tabucchi
in “Le Monde” del 19 novembre 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)
Le democrazie vive hanno bisogno di individui liberi. Di individui coraggiosi, indisciplinati, creativi. Che osano, che provocano, che disturbano. Così è degli scrittori la cui libertà di espressione è indissociabile dall’idea stessa di democrazia.
Da Voltaire e Hugo a Camus e Sartre passando per Zola e Mauriac, la Francia e le sue libertà sanno ciò che devono al libero esercizio del loro diritto a guardare e a mettere in allerta di fronte all’opacità, alle menzogne e alle imposture dei poteri. E l’Europa democratica, da quando si costruisce, non ha smesso di sostenere questa libertà degli scrittori contro tutti gli abusi di potere e le ragioni di Stato.
Ma ecco che in Italia questa libertà è messa in pericolo dall’attacco esagerato di cui è oggetto Antonio Tabucchi.
Il presidente del Senato italiano, Renato Schifani, gli chiede in giustizia la somma esorbitante di 1,3 milioni di euro per un articolo pubblicato su l’Unità, giornale che tuttavia non è perseguito.
Il crimine di Antonio Tabucchi è di aver interpellato Schifani, personaggio centrale del potere berlusconiano, sul suo passato, sulle sue relazioni d’affari e le sue dubbie frequentazioni - tutte domande a cui l’interpellato evita di rispondere. Informarsi sul percorso, la carriera e la biografia di un alto responsabile pubblico fa tuttavia parte del necessario interrogarsi e delle legittime curiosità della vita democratica.
Attraverso la scelta particolare del bersaglio - uno scrittore che non ha rinunciato ad esercitare la sua libertà - e la somma reclamata - un ammontare astronomico per un affare di stampa -, l’obiettivo perseguito è quello di intimidire una coscienza critica e, attraverso essa, di far tacere tutti gli altri.
Dai recenti attacchi contro la stampa di opposizione a questo processo ad uno scrittore europeo, noi non possiamo restare indifferenti e passivi davanti all’offensiva del potere italiano contro la libertà di giudizio, di critica e di interrogazione.
Per questo motivo noi ci dichiariamo solidali con Antonio Tabucchi e vi invitiamo ad unirvi a noi, firmando in massa questo appello.
Laure Adler, giornalista e scrittrice;
Théo Angelopoulos cineasta;
Homero Aridjis scrittore, ambasciatore del Messico presso l’Unesco;
Michel Braudeau, scrittore ed editore;
Andrea Camilleri, scrittore;
Patrick Chamoiseau, scrittore;
Alain Corneau, cineasta;
Constantin Costa-Gavras, cineasta;
Antoine Gallimard, PDG delle Editions Gallimard ;
Edouard Glissant, scrittore;
Tony Judt,storico e scrittore;
Jean-Marie Laclavetine, éditore e scrittore;
Claude Lanzmann, cineasta e scrittore;
Antonio Lobo Antunes, scrittore;
Claudio Magris, scrittore;
Antonio Munoz Molina, scrittore;
Marie Ndiaye, scrittore, Premio Goncourt 2009;
Orhan Pamuk, scrittore, Premio Nobel di letteratura;
Daniel Pennac, scrittore;
Philip Roth, scrittore;
Boualem Sansal, scrittore;
Fernando Savater, scrittore e filosofo;
Jorge Semprun, scrittore;
Mario Soares, uomo politico;
Philippe Sollers, scrittore;
Serge Toubiana, direttore della Cinémathèque française;
Nadine Trintignant, attrice;
François Vitrani, direttore della Maison de l’Amérique latine.
Su Lemonde.fr La liste completa dei firmatari
Il presidente della Fiat: "Nulla a che fare con un partito"
Alla presentazione anche Gianfranco Fini ed Enrico Letta
Montezemolo lancia Italia Futura
"Inaccettabili le accuse di complotto"
"Auspico che il governo completi la legislatura" *
ROMA - "E’ francamente inaccettabile che si rivolgano accuse di complotto contro chi vuole rendere più ricco e vivace il dibattito di idee". Con queste parole Luca Cordero di Montezemolo dà il via al convegno di presentazione della sua nuova creatura, la fondazione Italia Futura. A Palazzo Colonna, Roma, ci sono anche il presidente della Camera Gianfranco Fini, il deputato del Pd Enrico Letta e il presidente della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi. E durante il convegno viene presentato il primo rapporto di Italia Futura, dedicato alla mobilità sociale.
L’intervento di Montezemolo - "Non abbiamo nulla a che fare con un partito o con un movimento politico", scandisce Montezemolo due volte, rivolgendosi a Letta e a Fini. Quasi per liberare il campo dalle voci che si rincorrono sulla connotazione politica della nuova fondazione del presidente della Fiat. Da più di un mese, Montezemolo è tirato in ballo per un’eventuale nuova forza di centro o addirittura per guidare un "governo del Presidente". "Ma Italia Futura è solo "un luogo di idee e di proposte per sbloccare il Paese", afferma parlando di progetto ambizioso che darà alla luce, ogni tre mesi, uno studio e delle proposte per migliorare l’Italia.
La priorità di Montezemolo è dimenticare "per un anno le polemiche, le accuse e le controversie giudiziarie" e porsi "una domanda molto semplice: come immaginiamo l’Italia tra cinque anni?". Solo in questa prospettiva è possibile, per l’ex presidente di Confindustria, liberare "le tante eccellenze che costituiscono il capitale umano del Paese". Un think tank all’italiana il cui compito è "fare proposte". Per poi cercare il sostegno "in modo trasversale nell’opinione pubblica e nei partiti". Montezemolo analizza anche l’attualità politica e formula l’auspicio che "il governo completi la legislatura e che l’opposizione trovi la sua strada", bollando come "ipotesi fantasiose" quelle che lo vogliono alla guida del governo nel caso di crisi nel centrodestra.
* la Repubblica, 7 ottobre 2009
ZAPATERO: SILENZIO PER RISPETTO ISTITUZIONALE *
PARIGI - "Se mantengo il silenzio è per un segno di rispetto e cortesia istituzionale": lo ha detto il primo ministro spagnolo José Luis Zapatero, rispondendo a Parigi, al termine di un incontro all’Eliseo, sulle polemiche della stampa spagnola riguardo alla conferenza stampa di ieri alla Maddalena con il premier italiano Silvio Berlusconi.
EL PAIS SU BERLUSCONI: "MEGLIO NON FREQUENTARLO"
Il quotidiano spagnolo El Pais critica le dichiarazioni nella conferenza stampa finale del vertice italo-spagnolo a La Maddalena di Silvio Berlusconi in un editoriale intitolato "Meglio non frequentarlo". Il quotidiano di Madrid, il cui inviato Miguel Mora ha rivolto in Sardegna al presidente del Consiglio le domande sull’inchiesta di Bari, scrive che "ciò che sta convertendo Berlusconi in un personaggio improprio di un Paese serio e di un governo presentabile, riducendone la capacità di dialogo autorevole con i suoi omologhi non è la sua vita privata, ma la confusione delirante fra il pubblico e il privato con la quale ha organizzato la vita politica italiana".
"La conferenza stampa al termine del vertice bilaterale è la migliore dimostrazione di questo deplorevole miscuglio di generi" aggiunge El Pais. "Frequentare la compagnia di Berlusconi - conclude l’editoriale - il cui Paese appartiene al G8, è diventata una difficoltà politica addizionale nelle complesse relazioni internazionali. Ma ciò che lo squalifica come governante è la sua vulnerabilità davanti a qualsiasi pressione coperta, frutto di circostanze che accetta per dare soddisfazione alla sua vanità e al suo ego".
Il Cavaliere la testa e la pancia
di MARCELLO SORGI (La Stampa, 11/9/2009)
A differenza di quanti, ed erano molti, aspettavano il discorso di Fini a Gubbio come un preavviso della sua uscita dal Pdl - e magari, a dispetto perfino delle stesse parole pronunciate, l’hanno considerato tale - l’idea che il presidente della Camera, per via delle posizioni che ha preso di recente, e ieri ha ribadito con esplicita ruvidità, si prepari a lasciare il partito che ha fondato insieme a Berlusconi, va detto chiaro: è fuori dalla realtà.
Lasciamo stare lo «stillicidio» (come lui stesso lo ha definito) di maldicenze, gossip, boatos che hanno accompagnato tutte le prese di posizione di Fini, accusato di volta in volta di essere impazzito, di esser diventato un «compagno travestito» o di aspirare al ruolo di Capo dello Stato. Sono giudizi impietosi e irrispettosi verso uno dei due maggiori leader del partito neonato, che nuocciono all’insieme dell’immagine del Pdl.
Ma, si sa, la politica italiana non è avvezza alle buone maniere. Al dunque, Fini ha chiesto di poter discutere e di fare della discussione, del dibattito interno sulle questioni aperte - come avviene in tutti i normali partiti democratici del mondo - il metodo attraverso il quale elaborare posizioni condivise. Mettendo in conto - questo non lo ha detto, ma è facile desumerlo dall’insieme del suo intervento - perfino di poter restare in minoranza su temi come il biotestamento o la cittadinanza agli immigrati, su cui di recente s’è spinto in avanti, e rispetto ai quali la sensibilità del Pdl e dei suoi elettori potrebbe anche rivelarsi meno avanzata.
Se Fini ha fatto un discorso del genere, e soprattutto se non ha cercato la rottura, è certamente perché non è convinto - come invece da qualche parte gli viene attribuito - che Berlusconi e il suo governo siano al capolinea, e la legislatura si prepari a una svolta o alla fine. Non si capisce, quindi, come ipotesi siffatte possano affacciarsi, e farsi strada fino a diventare parole d’ordine o incubi di politici anche di una certa importanza. E non è chiaro neppure come possano trovar credito nella cerchia più vicina al premier, o addirittura essergli attribuite, come se appunto Berlusconi vedesse il baratro di fronte a sé e fosse pronto a tutto - ma proprio a tutto - pur di non precipitarci dentro.
In realtà l’errore di Berlusconi è proprio l’opposto. Cioè convincersi, o essersi autoconvinto, che tutti i problemi che ha davanti siano inesistenti, se confrontati al suo invincibile consenso da parte degli elettori. E, di conseguenza, rivolgersi ai cittadini per mobilitarli ogni giorno contro i suoi nemici: i giornali, i comunisti, l’opposizione, gli avversari interni della sua maggioranza che vogliono approfittare delle sue difficoltà. Di questo passo il Cavaliere punta, martedì 15, a officiare da protagonista la consegna delle prime case ai terremotati dell’Aquila, a rispondere ancora una volta «con i fatti», e con la logica dell’«uomo del fare», alle critiche che gli sono state rivolte, e ad archiviarle una volta e per tutte insieme con un’estate da dimenticare e con gli attacchi della stampa nemica, nazionale e straniera.
Per paradossale o ultra-semplificata che sembri, questa è purtroppo la strategia che emerge quotidianamente dalle parole del presidente del Consiglio. Ma allo stesso modo non è detto che sia la strada giusta per rilanciare il suo esecutivo, che, oltre a tutte quelle che ha in comune con gli altri governi del mondo alle prese con la crisi economica globale, ha dovuto fronteggiare le conseguenze dei problemi personali, di comportamento e familiari, del premier.
Nasce di qui il logoramento che in soli diciotto mesi la coalizione di centrodestra ha accumulato, e che ha fatto apparire il governo in declino. Ma dal declino alla fine, ancora, ce ne corre. In altri termini, Berlusconi a questo punto può rendersi responsabile della sua rovina - una rovina comunque assai lenta, non essendoci all’orizzonte alternative realistiche. E può verosimilmente recuperare, avviando la fase 2 del suo governo e indirizzandosi verso una prospettiva di legislatura.
Né più né meno è quel che il Cavaliere aveva fatto a metà del suo secondo percorso (2001-2006) a Palazzo Chigi, quando, memore dell’assalto riservatogli nel primo (1994), rivelò a sorpresa insospettabili dosi di pazienza e di negoziazione. Così, l’uomo che era stato capace di conquistare Palazzo Chigi in tre mesi - e di perderlo in soli otto! - fu capace di piegarsi alle più odiate liturgie di coalizione. Di attraversare verifiche, rimpasti e crisi pilotate di governo, sacramentando e insieme redistribuendo quote di potere, ed alternando il volto dell’arme a sorrisi compiacenti verso alleati-avversari ed amici-nemici. E dimostrare che, quando vuole, sa fare politica come e meglio di tanti altri.
Anche stavolta - se crede, è in tempo per riuscirci - Berlusconi può riconoscere che quelle di Fini, se non tutte per l’oggi, sono buone idee per la destra di domani: una destra più moderata e composta, meno rivoluzionaria, come sarà giusto nel prossimo futuro. Allo stesso modo il Cavaliere sa bene che l’assenza dei cattolici dal governo non ha migliorato, anzi ha reso più problematici, i rapporti con il mondo cattolico, e che non può sperare di ricostruirli da solo, né soltanto stringendosi alla Gerarchia. Non c’è niente di male a riconoscere che scaricare Casini dalla maggioranza s’è rivelato una mossa «di pancia», avventata e poco accorta. E, subito dopo, verificare se esiste la possibilità di una ripresa seria di collaborazione con l’Udc, che non potrà più essere subalterna, ma anzi competitiva, come avviene del resto con la Lega.
Infine, Berlusconi ha già detto varie volte, anche in campagna elettorale, che considera questo il suo ultimo giro alla guida del governo. A 73 anni, e con gli acciacchi di cui si lamenta, scherzosamente, di tanto in tanto, è legittimo credere che non ci abbia ripensato. Ma anche questo punto, data la situazione, va chiarito. Per cominciare a discutere, senza urgenza, quando verrà il momento, dopo quasi un ventennio ma in tempo, della successione.