Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi
Il primo pensiero che vorrei condividere, nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra responsabilità nazionale. Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini. Una trincea dove combattiamo tutti insieme. Il virus è nemico di tutti. Ed è nel commosso ricordo di chi non c’è più che cresce ilnostro impegno. Prima di illustrarvi il mio programma, vorrei rivolgere un altro pensiero, partecipato e solidale, a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari. Conosciamo le loro ragioni, siamo consci del loro enorme sacrificio e li ringraziamo. Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni. Ci impegniamo a informare i cittadini di con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole.
Il Governo farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell’insegnamento di Cavour:”... le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”. Ma nel frattempo dobbiamo occuparci di chi soffre adesso, di chi oggi perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria attività.
Nel ringraziare, ancora una volta il presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico che mi è stato assegnato, vorrei dirvi che non vi è mai stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia. Ringrazio altresì il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia.
Si è discusso molto sulla natura di questo governo. La storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca. Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei cittadini italiani tutti. Questo è lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendol’alta indicazione del capo dello Stato.
La crescita di un’economia di un Paese non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese.
Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità.
Nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza.
Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato.
Questo è lo spirito repubblicano del mio governo.
La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, noncontano i giorni. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo. Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione. L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questaNuova Ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto. Questa è la nostra missione di italiani: consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti.
Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere. Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni. Nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo.
Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. -Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere. Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano.
Lo stato del Paese dopo un anno di pandemia
Da quando è esplosa l’epidemia, ci sono stati --i dati ufficiali sottostimano il fenomeno --92.522 morti, 2.725.106 cittadini colpiti dal virus, in questo momento 2.074 sono i ricoverati in terapia intensiva. Ci sono 259 morti tra gli operatori sanitari e 118.856 sono quelli contagiati, a dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e impegno. Cifre che hanno messo a dura prova il sistema sanitario nazionale, sottraendo personale e risorse alla prevenzione ealla cura di altre patologie, con conseguenze pesanti sulla salute di tanti italiani.
L’aspettativa di vita, a causa della pandemia, è diminuita: fino a 4-5 anni nelle zone di maggior contagio; un anno e mezzo -due in meno per tutta la popolazione italiana. Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali.
La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento.
Si è anche aggravata la povertà. I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stessoperiodo del 2020, mostrano che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani, che sono oggi la maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza.
Il numero totale di ore di Cassa integrazione per emergenza sanitaria dal 1 aprile al 31 dicembre dello scorso anno supera i 4 milioni. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444 mila unità ma il calo si è accentrato su contratti a termine (-393 mila) e lavoratori autonomi (-209). La pandemia ha finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione selettiva ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato.
Gravi e con pochi precedent storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi pubblici il coefficiente di Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, sarebbe aumentato, nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima), di 4 punti percentuali, rispetto al 34.8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato maggiore di quello cumulato durante le due recenti recessioni. L’aumento nella diseguaglianza è stato tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro sistema di sicurezza sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della pandemia li hanno rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi.
Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione europea indicano che sebbene nel 2020 la recessione europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse --e che quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre-pandemia -in Italia questo non accadrà prima della fine del 2022, in un contesto in cui, prima della pandemia, non avevamo ancora recuperato pienamente gli effetti delle crisi del 2008-09 e del 2011-13.
La diffusione del Covid ha provocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul piano sanitario ed economico, ma anche su quello culturale ed educativo. Le ragazze e i ragazzi hanno avuto, soprattutto quelli nelle scuole secondarie di secondo grado, il servizio scolastico attraverso la Didattica a Distanza che, pur garantendo la continuità del servizio, non può non creare disagi ed evidenziare diseguaglianze. Un dato chiarisce meglio la dinamica attuale: a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, nella prima settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del totale) ha avuto assicurato il servizio attraverso la Didattica a Distanza.
Le priorità per ripartire
Questa situazione di emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e rapidità, una strada di unità e di impegno comune.
Il piano di vaccinazione. Gli scienziati in soli 12 mesi hanno fatto un miracolo: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente.
Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristrettacerchia di ospedali autorizzati. E soprattutto imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus.
Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata.
La scuola: non solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più adatte, per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà.
Occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale. Allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia. Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza.
È necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo.
Infine è necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni.
In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli ITIS (istituti tecnici). In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. E’ stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITIS, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate.
La globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione universitaria. Allo stesso tempo occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza escludere la ricerca di base, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici. Occorre infine costruire sull’esperienza di didattica a distanza maturata nello scorso anno sviluppandone le potenzialità con l’impiego di strumenti digitali che potranno essere utilizzati nella didattica in presenza.
Oltre la pandemia
Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così.
Il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livelllo dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo.
Come ha detto papa Francesco "Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”.
Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori , biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane.
Anche nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14 per cento del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato.
Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli scienziati non smettono di ripeterci, ha una conseguenza importante. Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Acune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.
La capacità di adattamento del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti hanno permesso di preservare la forza lavoro in un anno drammatico: sono stati sette milioni i lavoratori chehanno fruito di strumenti di integrazione salariale per un totale di 4 miliardi di ore. Grazie a tali misure, supportate anche dalla Commissione Europea mediante il programma SURE, è stato possibile limitare gli effetti negativi sull’occupazione. A pagareil prezzo più alto sono stati i giovani, le donne e i lavoratori autonomi. E’ innanzitutto a loro che bisogna pensare quando approntiamo una strategia di sostegno delle imprese e del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli interventi sul lavoro, sul credito e sul capitale.
Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza ma andrà anticipato da subito.
Il cambiamento climatico, come la pandemia, penalizza alcuni settori produttivi senza che vi sia un’espansione in altri settori che possa compensare. Dobbiamo quindi essere noi ad assicurare questa espansione e lo dobbiamo fare subito.
La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create.
Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta.
Parità di genere
La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo.
Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro.
Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera -digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese.
Il Mezzogiorno
Aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite.Vi sono poi strumenti specifici quali il credito d’imposta e altri interventi da concordare in sede europea.
Per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next Generation EU occorre irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza.
Gli investimenti pubblici
In tema di infrastrutture occorre investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici per permettere alle amministrazioni di poter pianificare, progettare ed accelerare gli investimenti con certezza dei tempi, dei costi e in piena compatibilità con gli indirizzi di sostenibilità e crescita indicati nel Programma nazionale di Ripresa e Resilienza. Particolare attenzione va posta agli investimenti in manutenzione delle opere e nella tutela del territorio, incoraggiando l’utilizzo di tecniche predittive basate sui più recenti sviluppi in tema di Intelligenza artificiale e tecnologie digitali. Il settore privato deve essere invitato a partecipare alla realizzazione degli investimenti pubblici apportando più che finanza, competenza, efficienza e innovazione per accelerare la realizzazione dei progetti nel rispetto dei costi previsti.
Next Generation EU
La strategia per i progetti del Next Generation EU non può che essere trasversale e sinergica, basata sul principio dei co-benefici, cioè con la capacità di impattare simultaneamente più settori, in maniera coordinata.
Dovremo imparare a prevenire piuttosto che a riparare, non solo dispiegando tutte le tecnologie a nostra disposizione ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove generazioni che “ogni azione ha una conseguenza”.
Come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardilungo un periodo di sei anni.
Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia. La quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica.
Il precedente Governo ha già svolto una grande mole di lavoro sul Programma di ripresa e resilienza (PNRR). Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione Europea, avrebbe una scadenza molto ravvicinata, la fine di aprile.
Gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale. Voglio qui riassumere l’orientamento del nuovo Governo.
Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documentidel Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva.
Dovremo rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano.
Obiettivi strategici:
Il Programma è finora stato costruito in base ad obiettivi di alto livello e aggregando proposte progettuali in missioni, componenti e linee progettuali. Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la bandalargaele reti di comunicazione 5G.
Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione,dell’incentivazione e della tassazione.
In base a tale visione strategica, il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del Next Generation EU, il 2026. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni.
Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti.
Selezioneremo progetti e iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma, prestando grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma. Assicureremo inoltre che l’impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente elevato in ciascuno dei sei anni, compreso il 2021.
Chiariremo il ruolo del terzo settore e del contributo dei privati al Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso i meccanismi di finanziamento a leva (fondo dei fondi).
Sottolineeremo il ruolo della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale e territoriale e quella dedicata all’inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro
Nella sanità dovremo usare questi progetti per porre le basi, come indicato sopra, per rafforzare la medicina territoriale e la telemedicina.
La governance del Programma di ripresa e resilienza è incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore. Il Parlamento verrà costantemente informato sia sull’impianto complessivo, sia sulle politiche di settore.
Infine il capitolo delle riforme che affronterò ora separatamente.
Le riforme
Il Next generation EU prevede riforme.
Alcune riguardano problemi aperti da decenni ma che non per questo vanno dimenticati. Fra questi la certezza delle norme e dei piani di investimento pubblico, fattori che limitano gli investimenti, sia italiani che esteri. inoltre la concorrenza: chiederò all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, di produrre in tempi brevi come previsto dalla Legge Annuale sulla Concorrenza (Legge 23 luglio 2009, n. 99) le sue proposte in questo campo.
Negli anni recenti i nostri tentativi di riformare il paese non sono stati del tutto assenti, ma i loro effetti concreti sono stati limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso abbiamo disegnato le riforme: con interventi parziali dettati dall’urgenza del momento, senza una visione a tutto campo che richiede tempo e competenza. Nel caso del fisco, per fare un esempio, non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli.
Inoltre, le esperienze di altri paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate aesperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta. Ad esempio la Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la sua relazione al Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata.
Un metodo simile fu seguito in Italia all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso quando il governo affidò ad una commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani, il compito di ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della riforma Vanoni del 1951. Si deve a quella commissione l’introduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e del sostituto d’imposta per i redditi da lavoro dipendente. Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio
In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale.
L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della pubblica amministrazione. Nell’emergenza l’azione amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e periferiche, ha dimostrato capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno diffuso nel lavoro a distanza e a un uso intelligente delletecnologie a sua disposizione. La fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è, tuttavia, una realtà che deve essere rapidamente affrontata. Particolarmente urgente è lo smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia. Agli uffici verrà chiesto di predisporre un piano di smaltimento dell’arretrato e comunicarlo ai cittadiniLa riforma dovrà muoversi su due direttive: investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficientie di facile utilizzo da parte dei cittadini; aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati.
Nel campo della giustizia le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea. Nelle Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, la Commissione, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, ci esorta: ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione.
Nei nostri rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite. Ancoraggi che abbiamo scelto fin dal dopoguerra, in un percorso che ha portato benessere, sicurezza e prestigio internazionale. Profonda è la nostra vocazione a favore di un multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni Unite. Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo orientale, e all’Africa.
Gli anni più recenti hanno visto una spinta crescente alla costruzione in Europa di reti di rapporti bilaterali e plurilaterali privilegiati. Proprio la pandemia ha rivelato la necessità di perseguire uno scambio più intenso con i partner con i quali la nostra economia è più integrata. Per l’Italia ciò comporterà la necessità di meglio strutturare e rafforzare il rapporto strategico e imprescindibile con Francia e Germania. Ma occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro. Continueremo anche a operare affinché si avvii un dialogo più virtuoso tra l’Unione europea e la Turchia, partner e alleato NATO.
L’Italia si adopererà per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa. Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo in questo e in altri paesi dove i diritti dei cittadini sono spesso violati. Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina.
Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati.
L’avvento della nuova Amministrazione USA prospetta un cambiamento di metodo, più cooperativo nei confronti dell’Europa e degli alleati tradizionali. Sono fiducioso che i nostri rapporti e la nostra collaborazione non potranno che intesificarsi.
Dal dicembre scorso e fino alla fine del 2021, l’Italia esercita per la prima volta la Presidenza del G20. Il programma, che coinvolgerà l’intera compagine governativa, ruota intorno a tre pilastri: People, Planet, Prosperity. L’Italia avrà la responsabilità di guidare il Gruppo verso l’uscita dalla pandemia, e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio.
Insieme al Regno Unito - con cui quest’anno abbiamo le Presidenze parallele del G7 e del G20 - punteremo sulla sostenibilità e la “transizione verde” nella prospettiva della prossima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (Cop 26), con una particolare attenzione a coinvolgere attivamente le giovani generazioni, attraverso l’evento “Youth4Climate”.
* * *
Questo è il terzo governo della legislatura. Non c’è nulla che faccia pensare che possa far bene senza il sostegno convinto di questo Parlamento. E’ un sostegno che non poggia su alchimie politiche ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno, sul loro vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un paese capace di realizzare i loro sogni. Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato daciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia.
*Fonte: Agi Agenzia Italia, 17.02.2021.
Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Parlamento nel giorno del giuramento
Roma, 03/02/2022 *
Signori Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica,
Signori parlamentari e delegati regionali,
il Parlamento e i rappresentanti delle Regioni hanno preso la loro decisione.
È per me una nuova chiamata - inattesa - alla responsabilità; alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi.
Ritorno dunque di fronte a questa Assemblea, nel luogo più alto della rappresentanza democratica, dove la volontà popolare trova la sua massima espressione.
Vi ringrazio per la fiducia che mi avete manifestato chiamandomi per la seconda volta a rappresentare l’unità della Repubblica.
Adempirò al mio dovere secondo i principi e le norme della Costituzione, cui ho appena rinnovato il giuramento di fedeltà, e a cui ho cercato di attenermi in ogni momento nei sette anni trascorsi.
La lettera e lo spirito della nostra Carta continueranno a essere il punto di riferimento della mia azione.
Il mio pensiero, in questo momento, è rivolto a tutte le italiane e a tutti gli italiani: di ogni età, di ogni Regione, di ogni condizione sociale, di ogni orientamento politico. E, in particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al loro disagio.
Queste attese sarebbero state fortemente compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio anche risorse decisive e le prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una condizione di gravi difficoltà.
Leggo questa consapevolezza nel voto del Parlamento che ha concluso i giorni travagliati della scorsa settimana.
Travagliati per tutti, anche per me.
È questa stessa consapevolezza la ragione del mio sì e sarà al centro del mio impegno di Presidente della nostra Repubblica nell’assolvimento di questo nuovo mandato.
Nel momento in cui i Presidenti di Camera e Senato mi hanno comunicato l’esito della votazione, ho parlato delle urgenze - sanitaria, economica, sociale - che ci interpellano. Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze.
La lotta contro il virus non è conclusa, la campagna di vaccinazione ha molto ridotto i rischi, ma non ci sono consentite disattenzioni.
È di piena evidenza come la ripresa di ogni attività sia legata alla diffusione dei vaccini che proteggono noi stessi e gli altri.
Questo impegno si unisce a quello per la ripresa, per la costruzione del nostro futuro.
L’Italia è un grande Paese.
Lo spirito di iniziativa degli italiani, la loro creatività e solidarietà, lo straordinario impegno delle nostre imprese, le scelte delle istituzioni ci hanno permesso di ripartire. Hanno permesso all’economia di raggiungere risultati che adesso ci collocano nel gruppo di testa dell’Unione. Ma questa ripresa, per consolidarsi e non risultare effimera, ha bisogno di progettualità, di innovazione, di investimenti nel capitale sociale, di un vero e proprio salto di efficienza del sistema-Paese.
Nuove difficoltà si presentano. Le famiglie e le imprese dovranno fare i conti con gli aumenti del prezzo dell’energia. Preoccupa la scarsità e l’aumento del prezzo di alcuni beni di importanza fondamentale per i settori produttivi.
Viviamo una fase straordinaria in cui l’agenda politica è in gran parte definita dalla strategia condivisa in sede europea.
L’Italia è al centro dell’impegno di ripresa dell’Europa. Siamo i maggiori beneficiari del programma Next Generation e dobbiamo rilanciare l’economia all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione, nell’ambito della transizione ecologica e digitale.
La stabilità di cui si avverte l’esigenza è, quindi, fatta di dinamismo, di lavoro, di sforzo comune.
I tempi duri che siamo stati costretti a vivere ci hanno lasciato una lezione: dobbiamo dotarci di strumenti nuovi per prevenire futuri possibili pericoli globali, per gestirne le conseguenze, per mettere in sicurezza i nostri concittadini.
L’impresa alla quale si sta ponendo mano richiede il concorso di ciascuno.
Forze politiche e sociali, istituzioni locali e centrali, imprese e sindacati, amministrazione pubblica e libere professioni, giovani e anziani, città e zone interne, comunità insulari e montane. Vi siamo tutti chiamati.
L’esempio ci è stato offerto da medici, operatori sanitari, volontari, da chi ha garantito i servizi essenziali nei momenti più critici, dai sindaci, dalle Forze Armate e dalle Forze dell’ordine, impegnate a sostenere la campagna vaccinale: a tutti va riaffermata la nostra riconoscenza.
Questo è l’orizzonte che abbiamo davanti.
Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza.
È ancora tempo di un impegno comune per rendere più forte la nostra Patria, ben oltre le difficoltà del momento.
Un’Italia più giusta, più moderna, intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano.
Un Paese che cresca in unità.
In cui le disuguaglianze - territoriali e sociali - che attraversano le nostre comunità vengano meno.
Un’Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo.
Un’Italia che sappia superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata.
Un’Italia che tragga vantaggio dalla valorizzazione delle sue bellezze, offrendo il proprio modello di vita a quanti, nel mondo, guardano ad essa con ammirazione.
Un’Italia impegnata nella difesa dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, consapevole delle responsabilità nei confronti delle future generazioni.
Una Repubblica capace di riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche.
Rafforzare l’Italia significa, anche, metterla in grado di orientare il processo per rilanciare l’Europa, affinché questa divenga più efficiente e giusta; rendendo stabile e strutturale la svolta che è stata compiuta nei giorni più impegnativi della pandemia.
L’apporto dell’Italia non può mancare: servono idee, proposte, coerenza negli impegni assunti.
La Conferenza sul futuro dell’Europa non può risolversi in un grigio passaggio privo di visione storica ma deve essere l’occasione per definire, con coraggio, una Unione protagonista nella comunità internazionale.
In aderenza alle scelte della nostra Costituzione, la Repubblica ha sempre perseguito una politica di pace. In essa, con ferma adesione ai principi che ispirano l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Trattato del Nord Atlantico, l’Unione Europea, abbiamo costantemente promosso il dialogo reciprocamente rispettoso fra le diverse parti affinché prevalessero i principi della cooperazione e della giustizia.
Da molti decenni i Paesi europei possono godere del dividendo di pace, concretizzato dall’integrazione europea e accresciuto dal venir meno della Guerra fredda.
Non possiamo accettare che ora, senza neppure il pretesto della competizione tra sistemi politici ed economici differenti, si alzi nuovamente il vento dello scontro; in un continente che ha conosciuto le tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale.
Dobbiamo fare appello alle nostre risorse e a quelle dei Paesi alleati e amici affinché le esibizioni di forza lascino il posto al reciproco intendersi, affinché nessun popolo debba temere l’aggressione da parte dei suoi vicini.
I popoli dell’Unione Europea devono anche essere consapevoli che ad essi tocca un ruolo di sostegno ai processi di stabilizzazione e di pace nel martoriato panorama mediterraneo e medio-orientale. Non si può sfuggire alle sfide della storia e alle relative responsabilità.
Su tutti questi temi - all’interno e nella dimensione internazionale - è intensamente impegnato il Governo guidato dal Presidente Draghi; nato, con ampio sostegno parlamentare, nel pieno dell’emergenza e ora proiettato a superarla, ponendo le basi di una stagione nuova di crescita sostenibile del nostro Paese e dell’Europa. Al Governo esprimo un convinto ringraziamento e gli auguri di buon lavoro.
I grandi cambiamenti che stiamo vivendo a livello mondiale impongono soluzioni rapide, innovative, lungimiranti, che guardino alla complessità dei problemi e non soltanto agli interessi particolari.
Una riflessione si propone anche sul funzionamento della nostra democrazia, a tutti i livelli.
Proprio la velocità dei cambiamenti richiama, ancora una volta, al bisogno di costante inveramento della democrazia.
Un’autentica democrazia prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione. L’esigenza di governare i cambiamenti sempre più rapidi richiede risposte tempestive. Tempestività che va comunque sorretta da quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte.
Occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza.
Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico.
Su un altro piano, i regimi autoritari o autocratici tentano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più efficienti di quelli democratici, le cui decisioni, basate sul libero consenso e sul coinvolgimento sociale, sono, invece, più solide ed efficaci.
La sfida - che si presenta a livello mondiale - per la salvaguardia della democrazia riguarda tutti e anzitutto le istituzioni.
Dipenderà, in primo luogo, dalla forza del Parlamento, dalla elevata qualità della attività che vi si svolge, dai necessari adeguamenti procedurali.
Vanno tenute unite due esigenze irrinunziabili: rispetto dei percorsi di garanzia democratica e, insieme, tempestività delle decisioni.
Per questo è cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione. Il luogo dove si costruisce il consenso attorno alle decisioni che si assumono. Il luogo dove la politica riconosce, valorizza e immette nelle istituzioni ciò che di vivo emerge dalla società civile.
Così come è decisivo il ruolo e lo spazio delle autonomie. Il pluralismo delle istituzioni, vissuto con spirito di collaborazione - come abbiamo visto nel corso dell’emergenza pandemica - rafforza la democrazia e la società.
Non compete a me indicare percorsi riformatori da seguire. Ma dobbiamo sapere che dalle risposte che saranno date a questi temi dipenderà la qualità della nostra democrazia.
Quel che appare comunque necessario - nell’indispensabile dialogo collaborativo tra Governo e Parlamento è che - particolarmente sugli atti fondamentali di governo del Paese - il Parlamento sia posto in condizione sempre di poterli esaminare e valutare con tempi adeguati. La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi.
Appare anche necessario un ricorso ordinato alle diverse fonti normative, rispettoso dei limiti posti dalla Costituzione.
La qualità stessa e il prestigio della rappresentanza dipendono, in misura non marginale, dalla capacità dei partiti di esprimere ciò che emerge nei diversi ambiti della vita economica e sociale, di favorire la partecipazione, di allenare al confronto.
I partiti sono chiamati a rispondere alle domande di apertura che provengono dai cittadini e dalle forze sociali.
Senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso. Deve poter far affidamento sulla politica come modalità civile per esprimere le proprie idee e, insieme, la propria appartenenza alla Repubblica.
Il Parlamento ha davanti a sé un compito di grande importanza perché, attraverso nuove regole, può favorire una stagione di partecipazione.
Anche sul piano etico e culturale è necessario - proprio nel momento della difficoltà - sollecitare questa passione che in tanti modi si esprime nella nostra comunità. Tutti i giovani in primo luogo, tutti, particolarmente loro, sentono sulle proprie spalle la responsabilità di prendere il futuro del Paese, portando nella politica e nelle istituzioni novità ed entusiasmo.
Rivolgo un saluto rispettoso alla Corte Costituzionale, presidio di garanzia dei principi della nostra Carta.
Nell’inviare un saluto alle nostre Magistrature - elemento fondamentale del sistema costituzionale e della vita della società -mi preme sottolineare che un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia.
Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività.
Nella salvaguardia dei principi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura - uno dei cardini della nostra Costituzione - l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini.
È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio Superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’Ordine giudiziario.
Occorre per questo che venga recuperato un profondo rigore.
In sede di Consiglio Superiore ho da tempo sottolineato che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza.
I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone.
Va sempre avvertita la grande delicatezza della necessaria responsabilità che la Repubblica affida ai magistrati.
La Magistratura e l’Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei.
Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace, elemento significativo nella politica internazionale della Repubblica, alle Forze dell’ordine, garanzia di libertà nella sicurezza, esprimo il mio apprezzamento, unitamente al rinnovo del cordoglio per quanti hanno perduto la vita nell’ assolvimento del loro dovere.
Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato, ringrazio per l’amicizia e la collaborazione espressa nei confronti del nostro Paese.
Ai numerosi nostri connazionali presenti nelle più diverse parti del globo va il mio saluto affettuoso, insieme al riconoscimento per il contributo che danno alla comprensione dell’identità italiana nel mondo.
A Papa Francesco, al cui magistero l’Italia guarda con grande rispetto, esprimo i sentimenti di riconoscenza del popolo italiano.
Un messaggio di amicizia invio alle numerose comunità straniere presenti in Italia: la loro affezione nei confronti del nostro Paese in cui hanno scelto di vivere e il loro apporto alla vita della nostra società sono preziosi.
Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Parlamento nel giorno del giuramento
Roma, 03/02/2022 *
L’Italia è, per antonomasia, il Paese della bellezza, delle arti, della cultura. Così nel resto del mondo guardano, fondatamente, verso di noi.
La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana.
Facciamo in modo che questo patrimonio di ingegno e di realizzazioni - da preservare e sostenere - divenga ancor più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico. Risorsa importante particolarmente per quei giovani che vedono nelle università, nell’editoria, nelle arti, nel teatro, nella musica, nel cinema un approdo professionale in linea con le proprie aspirazioni.
Consentitemi di ricordare, per renderle omaggio, una grande protagonista del nostro cinema e del nostro Paese: Monica Vitti.
Sosteniamo una scuola che sappia accogliere e trasmettere preparazione e cultura, come complesso dei valori e dei principi che fondano le ragioni del nostro stare insieme; scuola volta ad assicurare parità di condizioni e di opportunità.
Costruire un’Italia più moderna è il nostro compito.
Ma affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche.
Nell’ultimo periodo gli indici di occupazione sono saliti - ed è un dato importante - ma ancora tante donne sono escluse dal lavoro, e la marginalità femminile costituisce uno dei fattori di rallentamento del nostro sviluppo, oltre che un segno di ritardo civile, culturale, umano.
Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali.
È doveroso ascoltare la voce degli studenti, che avvertono tutte le difficoltà del loro domani e cercano di esprimere esigenze, domande volte a superare squilibri e contraddizioni.
La pari dignità sociale è un caposaldo di uno sviluppo giusto ed effettivo.
Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita.
Nostro compito - come prescrive la Costituzione - è rimuovere gli ostacoli.
Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società.
La dignità.
Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita.
Mai più tragedie come quella del giovane Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro.
Quasi ogni giorno veniamo richiamati drammaticamente a questo primario dovere del nostro Paese.
Dignità è opporsi al razzismo e all’antisemitismo, aggressioni intollerabili, non soltanto alle minoranze fatte oggetto di violenza, fisica o verbale, ma alla coscienza di ognuno di noi.
Dignità è impedire la violenza sulle donne, piaga profonda e inaccettabile che deve essere contrastata con vigore e sanata con la forza della cultura, dell’educazione, dell’esempio.
La nostra dignità è interrogata dalle migrazioni, soprattutto quando non siamo capaci di difendere il diritto alla vita, quando neghiamo nei fatti dignità umana agli altri.
È anzitutto la nostra dignità che ci impone di combattere, senza tregua, la tratta e la schiavitù degli esseri umani.
Dignità è diritto allo studio, lotta all’abbandono scolastico, annullamento del divario tecnologico e digitale.
Dignità è rispetto per gli anziani che non possono essere lasciati alla solitudine, e neppure possono essere privi di un ruolo che li coinvolga.
Dignità è contrastare le povertà, la precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo mortifica le speranze di tante persone.
Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità.
Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza.
Dignità è un Paese non distratto di fronte ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare. Confidiamo in un Paese capace di rimuovere gli ostacoli che immotivatamente incontrano nella loro vita.
Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere.
Dignità è assicurare e garantire il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente.
La dignità, dunque, come pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile.
A questo riguardo - concludendo - desidero ricordare in quest’aula il Presidente di un’altra Assemblea parlamentare, quella europea, David Sassoli.
La sua testimonianza di uomo mite e coraggioso, sempre aperto al dialogo e capace di rappresentare le democratiche istituzioni ai livelli più alti, è entrata nell’animo dei nostri concittadini.
“Auguri alla nostra speranza” sono state le sue ultime parole in pubblico.
Dopo avere appena detto: “La speranza siamo noi”.
Ecco, noi, insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica.
Viva la Repubblica, viva l’Italia!
* FONTE: QUIRINALE - PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA.
Quirinale, Mattarella rieletto presidente della Repubblica
Letta: ’Ha fatto una scelta di generosità’. Draghi: ’E’ opportuno per il bene e la stabilità del Paese’
di Redazione ANSA *
Sergio Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica con 759 voti su un totale di 983 presenti e votanti.
Non supera dunque il record registrato da Pertini che fu eletto con 832 voti ma diventa il secondo capo dello Stato più votato.
Ciampi infatti fu eletto con 707 voti. Nel 2015 Mattarella ottenne 665 voti su un totale di 995 grandi elettori votanti.
Dopo il raggiungimento del quorum della maggioranza assoluta è scattato in Aula l’applauso durato quattro minuti.
"La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è una splendida notizia per gli italiani. Sono grato al Presidente per la sua scelta di assecondare la fortissima volontà del Parlamento di rieleggerlo per un secondo mandato". Così il presidente del Consiglio Mario Draghi.
"Avevo altri piani ma io sono rispettoso del Parlamento", ha detto il presidente confermando il suo sì dopo l’intesa raggiunta in un vertice di maggioranza sul suo nome.
Il capo dello Stato dovrebbe fare un breve discorso dopo la proclamazione.
Da Sergio Mattarella "una scelta di generosità", ha detto il leader del Pd Enrico Letta. Il governo e Draghi, ha aggiunto "ne escono rafforzati". La richiesta di convergere su una Presidente donna, "per noi non era una mera formalità ma una battaglia vera tant’è che nel tavolo del negoziato alla fine sono rimaste due canditure di donne di assoluta eccellenza, profilo e competenza" Così il Presidente M5s Giuseppe Conte in conferenza stampa dove aggiunge: "sulla possibilità di avere una Presidente donna, non ha perso Conte o la comunità M5s ha perso il Paese. Questo senza nulla togliere al fatto che ci accingiamo a questa votazione per sostentere Mattarella per un nuovo settennato ".
"Con Draghi ho chiesto un chiarimento: non possiamo limitarci ad assicurare la stabilità del governo, dobbiamo essere promotori di un confronto per siglare un patto per i cittadini nell’ambito del quale individuare quali possano essere le priorità" per il Paese.
"Sono felice che Mattarella abbia accettato con senso di responsabilità l’intenzione del Parlamento di indicarlo alla presidenza della Repubblica. Dimissioni? Per affrontare questa nuova fase serve una messa a punto: il Governo con la sua maggioranza adotti un nuovo tipo di metodo di lavoro che ci permetta di affrontare in maniera costruttiva i tanti dossier, anche divisi, per non trasformare quest’anno in una lunghissima, dannosa campagna elettorale che non serve al paese". Così il ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti al termine di un incontro con il segretario delle Lega Salvini. I due hanno chiesto un incontro a Draghi. "Sono felice che la Lega sia stata protagonista della chiusura di questa settimana di veti e conto che da lunedì in un incontro a tre Draghi-Giorgetti-Salvini ci siano tutti i chiarimenti necessari". Così il leader della Lega Matteo Salvini. "Sono sollevato perchè si rischiava di andare avanti tra veti litigi e beghe. E sono tranquillo ho fatto tutte le proposte possibili, soprattutto sul fronte femminile". "Domani il parlamento torna a fare il Parlamento, il governo fa il governo: serve normalità. I litigi di questi giorni sul Colle non si riversino sul governo".
Mattarella "ha riconosciuto che vi sarebbe stata la possibilità di eleggere personalità di alto livello ma ha ancora una volta ribadito il profondo senso delle istituzioni che lo ha pervaso e ci ha detto che farà del suo meglio". Lo dice Debora Serracchiani in conferenza stampa dopo l’incontro al Colle. Simona Malpezzi, capogruppo Pd al Senato, aggiunge: "Mattarella è un uomo delle istituzioni: ci ha accolto, ascoltato e ha accolto le istanze di un Parlamento che ha raccolto a sua volta le istanze di un Paese, con la sua solita capacità di comprendere i momenti che il Paese sta vivendo".
E’ opportuno che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella resti al Quirinale "per il bene e la stabilità del Paese". E’ quanto avrebbe detto il premier Mario Draghi - si apprende da fonti autorevoli - al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ai leader politici, che sta sentendo in queste ore. La decisione è nelle mani del Parlamento, è la consapevolezza del premier, ma l’auspicio espresso ai leader sarebbe quello di garantire la stabilità chiedendo a Mattarella di restare.
Oggi Draghi ha avuto un colloquio di circa mezz’ora con il presidente Mattarella, a margine del giuramento di Filippo Patroni Griffi a giudice della Corte Costituzionale. Si è anche avuta notizia anche di una telefonata fra Salvini e Draghi.
"Oggi pomeriggio rieleggeremo un grande presidente. #Mattarella #Quirinale". Lo scrive su Twitter il senatore Pd Andrea Marcucci. "Si può andare finalmente verso la chiusura. In questi minuti si stanno creando le condizioni trasversali per recepire i chiari segnali del Parlamento. Non perdiamo altro tempo, serve stabilità". E’ quanto scrive sui social il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia.
Lunga e affettuosa telefonata tra Berlusconi e Mattarella. Il presidente Berlusconi ha assicurato al presidente Mattarella il sostegno di Forza Italia per la sua rielezione.
"Questo è il momento dell’unità e tutti dobbiamo sentirlo come un dovere. Ma l’unità oggi si può ritrovare soltanto intorno alla figura del Presidente Sergio Mattarella, al quale sappiamo di chiedere un grande sacrificio, ma sappiamo anche che glielo possiamo chiedere nell’interesse superiore del Paese, quello stesso che ha sempre testimoniato nei 7 anni del suo altissimo mandato." Così Silvio Berlusconi, dal San Raffaele di Milano dove è ancora ricoverato.
"Consideriamo che non sia più serio continuare con i no e i veti incrociati e dire al presidente di ripensarci". Così il segretario della Lega Matteo Salvini in un ragionamento su Sergio Mattarella. "Una parte del Parlamento non vuole trovare un accordo, allora chiediamo a Mattarella di restare, e così la squadra resta così, Draghi resta a Palazzo Chigi", spiega Salvini aggiungendo che "l’importante è che Mattarella non sia percepito come un ripiego".
"Mi sembra che Mattarella dimostri un’altra volta di essere un uomo dello Stato. L’ho trovato determinato e la sua ulteriore disponibilità è segno della sua grande responsabilità". Lo ha detto il presidente della Conferenza stato regioni Massimiliano Fedriga uscendo dal quirinale.
Durante il vertice di maggioranza vi sarebbe stato fino alla fine un duello tra veti incrociati sui nomi. Salvini avrebbe proposto il nome di Cartabia ricevendo però un rifiuto. Quindi - riferiscono fonti parlamentari - gli alleati avrebbero riproposto al leader leghista la soluzione Casini ma stavolta sarebbe stato Salvini a dire di no. Infine è emersa come unica soluzione uniaria quella del Mattarella bis.
"Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato da Presidente della Repubblica. Non voglio crederci". Così Giorgia Meloni su twitter.
"L’Italia non può ulteriormente essere logorata da chi antepone le proprie ambizioni personali al bene del paese. Certamente io non voglio essere tra questi. Chiedo al Parlamento, di cui ho sempre difeso la centralità, di togliere il mio nome da ogni discussione e di chiedere al presidente della Repubblica Mattarella la disponibilità a continuare il suo mandato nell’interesse del paese". Così Pier Ferdinando Casini, intercettato dall’ANSA.
"Tutti i passaggi politici hanno dimostrato, nel momento più difficile in assoluto, che il campo largo esiste grazie al nostro lavoro. Siamo riusciti a tenere tutti attorno", ha detto il segretario Pd Enrico Letta all’assemblea con i grandi elettori alla Camera. "Si riparte con un elemento in più: il centrodestra si è formalmente spaccato. Politicamente è un punto essenziale". Lo ha detto il segretario Pd Enrico Letta all’assemblea con i grandi elettori alla Camera. "L’intero sistema politico-istituzionale si regge attorno al Capo dello Stato e al capo del Governo, che sono sopra la mischia", ha aggiunto Letta. "Quel fragilissimo equilibrio retto attorno a due personalità straordinarie può essere modificato solo se c’è una intesa complessiva che tiene e, affinché ci sia, c’è bisogno della nostra logica del né vincitori né vinti. Questa logica per adesso ispira noi, ma non tutti gli altri". "Altrimenti, il Parlamento ha una sua saggezza e mi sembra che si stia esprimendo. Assecondare questa saggezza è anche questa democrazia".
*Fonte: ANSA ROMA, 29 gennaio 2022 (ripresa parziale).
G20 Conference Women, Draghi: ’Abbiamo obblighi verso la comunità globale’
’L’Italia impegnata per la parità’
di Redazione Ansa*
"In quanto paesi del G20, abbiamo degli obblighi non soltanto nei confronti dei nostri cittadini, ma anche nei confronti della comunità globale. Dobbiamo difendere i diritti delle donne ovunque nel mondo, soprattutto dove esse sono minacciate".
Così il premier Mario Draghi in apertura del G20 Conference on Women’s Empowerment, in corso a Santa Margherita Ligure. "Il G20 deve fare tutto il possibile - aggiunge Draghi - per garantire che le donne afghane mantengano le loro libertà e i loro diritti fondamentali, in particolare il diritto all’istruzione. Le conquiste raggiunte negli ultimi vent’anni devono essere preservate".
"Non dobbiamo illuderci: le ragazze e le donne afghane sono sul punto di perdere la loro libertà e la loro dignità, di tornare alla triste condizione in cui si trovavano vent’anni fa. Rischiano di diventare ancora una volta cittadine di seconda classe, vittime di violenza e di discriminazioni sistematiche, soltanto per il fatto di essere donne", così Draghi. "Il G20 deve fare tutto il possibile per garantire che le donne afghane mantengano le loro libertà e i loro diritti".
"L’Italia è pienamente impegnata nella lotta contro le disuguaglianze di genere e riteniamo che il G20 possa svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere le donne in tutto il mondo. Durante la Presidenza italiana, abbiamo adottato misure concrete per migliorare la posizione delle donne nel mondo del lavoro, promuovere la loro emancipazione e rimuovere gli ostacoli che frenano le loro carriere". "A giugno abbiamo adottato una tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20. La tabella comprende 17 indicatori che consentono di monitorare i progressi raggiunti verso la piena parità di genere nel mondo del lavoro. Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi".
G20. Draghi: ridurre divario di genere, ogni talento femminile sprecato è una perdita
Il messaggio del presidente del Consiglio a Santa Margherita Ligure. Obiettivo: ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro
di Redazione Internet (Avvenire, giovedì 26 agosto 2021)
"La giornata di oggi segna la prima conferenza sulla parità di genere nella storia del G20. Sono molto orgoglioso che si svolga sotto la presidenza italiana e ringrazio la ministra Bonetti per l’eccellente lavoro preparatorio svolto". Così il premier Mario Draghi in un messaggio in occasione dell’apertura del G20 Conference on Women’s Empowerment, in corso a Santa Margherita Ligure.
"L’Italia è pienamente impegnata nella lotta contro le disuguaglianze di genere e riteniamo che il G20 possa svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere le donne in tutto il mondo. Durante la presidenza italiana, abbiamo adottato misure concrete per migliorare la posizione delle donne nel mondo del lavoro, promuovere la loro emancipazione e rimuovere gli ostacoli che frenano le loro carriere".
"A giugno - sottolinea il premier - abbiamo adottato una tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20. La tabella comprende 17 indicatori che consentono di monitorare i progressi raggiunti verso la piena parità di genere nel mondo del lavoro. Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi".
Afghanistan, Draghi: "Sacrificio caduti non è stato vano, sono eroi"
Il premier in un’intervista esclusiva al Tg1: "Hanno difeso i valori per cui erano stati inviati, hanno fatto del bene". E sottolinea: "Riflettere su ruolo dell’Occidente nel mondo arabo in questi 20 anni" *
"Vorrei ringraziare i nostri militari, i diplomatici, tutti i cooperanti. Per venti anni sono stati a Kabul, a Herat, in tutto il Paese". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in un’intervista esclusiva al Tg1.
"Voglio rivolgere un messaggio di affetto sincero alle famiglie dei 54 caduti - ha detto il premier - L’Italia ha perso 54 soldati nel corso di questi venti anni" in Afghanistan e ha avuto "circa 700 feriti. Alle loro famiglie voglio dire che il loro sacrificio non è stato vano: hanno difeso i valori per cui erano stati inviati, hanno difeso le libertà fondamentali, hanno difeso i diritti delle donne, hanno fatto operazioni per prevenire il terrorismo, hanno fatto del bene attraverso le migliaia di opere umanitarie che sono state fatte in questi anni in Afghanistan e che, sono certo, lasceranno una traccia profonda nella società afghana. Per me, per tutti noi, per tutti gli italiani, e lo dico alle loro famiglie con affetto sincero, sono eroi".
"L’opera di rimpatrio dei diplomatici, dei militari, dei collaboratori afghani continua - ha detto il presidente del Consiglio - La gran parte della rappresentanza diplomatica è arrivata a Roma il 16 agosto. Sul campo ci sono ancora delle squadre militari e dei diplomatici (molto pochi) che dovranno aiutare l’evacuazione di altri nostri concittadini che sono lì e dei collaboratori afghani e delle loro famiglie quando le condizioni lo permetteranno. Voglio ringraziare tutte queste persone per il loro coraggio e la dedizione con cui svolgono il loro compito".
"La prima cosa che bisogna fare forse non è la più importante. Ma la prima cosa è riflettere sull’esperienza avvenuta - ha affermato Draghi - Ricordiamoci che la guerra in Afghanistan è la prima risposta degli Stati Uniti all’attentato alle Torri Gemelle. Quindi il bilancio che noi traiamo non è un bilancio solo sulla guerra in Afghanistan, è il bilancio di questi ultimi venti anni e del ruolo che l’Occidente ha avuto in tutto il mondo arabo".
"Forse ancora più importante che guardare al passato e discutere di bilanci è tracciare il futuro - ha proseguito il premier - E il futuro per l’Italia è fatto di difesa dei diritti fondamentali, di difesa dei diritti delle donne, di protezione di tutti coloro che si sono esposti in questi anni nella difesa di questi diritti in Afghanistan".
"Questo - ha aggiunto Draghi - deve essere perseguito in tutti i contesti possibili. Certamente in questa grande opera di collaborazione mondiale entreranno Stati come la Cina, la Russia, l’Arabia Saudita, la Turchia. E tutti questi Stati sono membri del G20. Quindi il G20 offre naturalmente una sede dove poter avviare questa opera di collaborazione. Naturalmente poi è previsto un G7 a breve, tra l’altro a fine mese ci sarà anche il G20 dedicato alle donne a Santa Margherita Ligure. Quest’anno, come presidenza del G20, noi - ha assicurato - siamo pienamente impegnati nel predisporre, nel costruire, una sede appropriata per questa collaborazione".
Sulla crisi afghana l’Europa sarà all’altezza, ha assicurato il presidente del Consiglio. "Abbiamo parlato stamattina - ha ricordato il premier - con la cancelliera Merkel. Abbiamo soprattutto parlato delle operazioni di evacuazione dell’aeroporto di Kabul, ma abbiamo iniziato a tratteggiare quelle che saranno le linee fondamentali della cooperazione a livello europeo".
"Siamo tutti consapevoli che la cooperazione è assolutamente necessaria per affrontare due obiettivi: l’accoglienza e la sicurezza. L’accoglienza nei confronti di tutti coloro che ci hanno aiutato in Afghanistan in questi anni e delle loro famiglie, quelli che sono chiamati i ’collaboratori’. Ma anche l’accoglienza di tutti coloro che si sono esposti in questi anni per la difesa delle libertà fondamentali, dei diritti civili, dei diritti delle donne. Questo è un piano complesso, richiede una cooperazione stretta fra tutti i Paesi ma soprattutto, in primis, tra quelli europei".
"Il secondo aspetto - ha concluso Draghi - riguarda la sicurezza, dove dovremo prevenire infiltrazioni terroristiche".
DANTE (1321-2021): L’ANTROPOLOGIA, L’ANDROLOGIA, E LA NECESSITÀ DI RICOMINCIARE DA "CAPO" ... *
I 100 anni di Pax Romana.
Quel fertile e globale luogo di dialogo tra chiesa e società
di Stefano Ceccanti (Avvenire, mercoledì 21 luglio 2021)
I cento anni di Pax Romana, associazione internazionale degli universitari cattolici. Caro direttore, una vecchia foto sul sito di Pax Romana ci riporta al luglio 1921, quando nacque l’associazione internazionale degli universitari cattolici. Per la Fuci c’era Giuseppe Spataro, di lì a poco ai vertici del Ppi. In quel primo periodo fu molto attivo anche Pier Giorgio Frassati, che vedeva in questa apertura delle associazioni e delle istituzioni un vaccino importante rispetto ai nazionalismi.
Il nome riecheggiava il verso di Dante che richiamava all’universalità del cristianesimo («quella Roma onde Cristo è Romano») oltre a ricordare i circa duecento anni di pace in cui si collocò anche la nascita di Gesù. Pax Romana svolse un primo congresso a Bologna nel 1925, insieme a quello della Fuci. Un terreno minato: quattro anni prima della Conciliazione la Fuci lo aveva posto sotto il patrocinio del Re per proteggersi dalle minacce fasciste, ma ciò creò un serio problema col Vaticano, che si risolse affidando a Giovanni Battista Montini e a Igino Righetti la guida della Federazione, Per gli anni successivi vi fu una grande prudenza sui rapporti internazionali per non sfidare il regime nazionalista. Però Montini ebbe lo stesso un’influenza chiave, insieme a Maritain. L’impostazione era quella che troviamo nel volumetto del 1930 ’Coscienza Universitaria’.
La Chiesa aveva perso influenza nelle università e nel mondo della cultura; se voleva riacquisirla doveva pensare in termini di rapporto biunivoco, ossia essa aveva certo da dare a questi ambienti, ma aveva anche da ricevere. In particolare ciò richiedeva un attento discernimento dei vari aspetti della modernità e una rilettura positiva della democrazia. «La verità non è folgorazione d’un lampo; è progressivo, graduale, quasi inavvertito albeggiare di luce», scriveva Montini. E per Maritain andava superata «la scissione fra principio democratico e principio cristiano in Europa, dove gli animi sono divisi tra un cristianesimo irriducibilmente formato nella sua struttura e nella sua dottrina, ma per troppi anni isolato dalla vita del popolo, e l’infedeltà aperta e militante o l’odio per la religione». Nel 1947, seguendo lo stesso schema italiano che aveva fatto sorgere dalla Fuci il Movimento Laureati, Pax Romana si arricchì di un secondo ramo.
Nelle giornate fondative, Étienne Gilson pose come obiettivo quello di «organizzare nel mondo intero la fraternità degli spiriti che pongono l’intelligenza al servizio di Dio», ribadendo il collegamento tra fede e ragione e l’apertura internazionalista. Non fu quindi per caso se persone con questa impostazione e che si erano abituate ad assemblee internazionali, utilizzando più lingue e con complesse procedure democratiche, si siano trovate al centro dei lavori conciliari: sia gran parte degli uditori laici (lo spagnolo Ruiz-Giménez, l’esule catalano Sugranyes de Franch, l’australiana Goldie) sia molti teologi che erano stati assistenti (Guano, Murray) o comunque vicini (Chenu, Congar, il neo-cardinale Journet). Lo stesso per l’impegno politico nelle nuove democrazie: per limitarci solo alla guida dei Governi europei sia in Portogallo (Pintasilgo e poi Antonio Guterres, attualmente segretario Onu) sia in Polonia (Mazowiecky) erano stati esponenti di primo piano di Pax Romana. Anche nella Chiesa del postconcilio il contributo è stato ampio e universale: basti solo pensare al Perù, dove sono stati assistenti nazionali Gutierrez e l’attuale arcivescovo di Lima, Castillo. Questi sono alcuni dei nomi più noti, ma molti sono stati coloro che si sono posti come nani sulle spalle dei giganti, tra Chiesa e società, in tutto il mondo.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA STORIA DEL FASCISMO E RENZO DE FELICE: LA NECESSITÀ DI RICOMINCIARE DA "CAPO"!
LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!!
DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica
Federico La Sala
Contro la distrazione di massa.
Il ritorno di Greta. Mentre il pianeta va a fuoco il parlamento italiano vota il ponte sullo Stretto
di Guido Viale (il manifesto, 10 luglio 2021)
Greta Thunberg è tornata a dare il meglio di sé al vertice sul mondo austriaco promosso da Arnold Schwarzenegger, che si è svolto il 1° luglio, con, tra gli altri, Angela Merkel, Antonio Guterres. Rivolgendosi ancora una volta a tutti i potenti del mondo, ma per farsi ascoltare da tutti coloro che potenti non sono, Greta ha rimarcato che nei sei anni che ci separano dal vertice di Parigi, politici, finanzieri e grandi industriali (la crème di Davos) ci hanno riempiti di parole, ma non hanno fatto niente per avvicinarci agli obiettivi di decarbonizzazione fissati. Anzi, hanno fatto, stanno facendo e si apprestano a fare l’opposto: la loro lotta per il clima serve a mascherare la continuazione di una politica fondata sui fossili, che altro non è che la ricerca di nuove occasioni di business.
L’accusa coglie in pieno anche il Pnrr italiano, il suo padre, il Recovery Fund della Commissione europea, e la sua madre, il programma NextgenerationEU, che altro non sono che armi di distrazione di massa, finalizzate a fissare l’attenzione intorno a misure inconsistenti, se non controproducenti, mentre il pianeta va a fuoco. A fuoco: nello stesso giorno in cui si registravano a Vancouver 50 °C, il Parlamento italiano ha votato, alla Camera, il ponte sullo stretto di Messina (da finanziare non con il Pnrr, bensì con un “fondone” che Draghi ha aggiunto, a debito, ai fondi del Pnrr, anch’essi di fatto tutti a debito, per “non lasciare indietro nessuno”: in questo caso la lobby del cemento). D’altronde, il Senato italiano, anni fa, aveva votato che il cambiamento climatico non esiste.
Tra le parole contraddette dai fatti di cui parla Greta spicca l’istituzione in Italia di un Ministero della Transizione ecologica. Ma quella transizione implica un cambiamento radicale: l’abbandono del mito fasullo e letale della “crescita” (termine con cui oggi si indica l’accumulazione del capitale) e non può non coinvolgere profondamente comportamenti, stili di vita e assetti sociali di tutta la popolazione; oltre, ovviamente, alla determinazione di che cosa, con che cosa, per chi e come si produce. Il primo compito di un Ministero della Transizione ecologica dovrebbe essere, quindi, una grande campagna di informazione: sul perché di una svolta così radicale, sui rischi che corrono il pianeta, il paese e la vita di ciascuno; e la conseguente apertura di un grande confronto (non era certo tale la kermesse del secondo Governo Conte a villa Pamphili), coinvolgendo tutte le istanze della “società civile” - associazioni, comitati, sindacati, scuole e Università, centri di ricerca, mondo della cultura - sulle alternative che abbiamo di fronte sia a livello planetario che locale. Se si vogliono ottenere dei risultati non si può che procedere che così.
E se il governo non lo fa, di promuovere quel confronto dobbiamo farci carico noi. Chi? Tutti, dove e come si può. Mettendo al centro non la crescita ma la cura delle persone, del vivente e della Terra. Ma invece di una campagna di informazione e di un grande confronto ci siamo ritrovati le continue esternazioni del ministro Cingolani, peraltro in frequente contraddizione tra loro, ma che, sostanzialmente, mirano a rassicurare che non c’è da cambiare gran che: il gas sostituirà - un po’ per volta - il petrolio come “combustibile di transizione” (verso che?), costruendo nuovi impianti e pipeline la cui vita utile va ben al di là del 2050, anno in cui il gas dovrebbe scomparire; l’idrogeno verde deve aspettare (non è ancora maturo); con le rinnovabili non c’è fretta, tanto arriverà la fusione nucleare, o anche la fissione in “piccoli impianti” distribuiti sul territorio; la dieta proteica è essenziale, quindi largo agli allevamenti industriali; l’agricoltura sostenibile si fa con l’agrofotovoltaico (pannelli in alto e ortaggi sotto), ecc.
Ma se il ministro della Transizione sembra sensibile soprattutto alla lobby del gas (Eni ed Enel), il Pnrr, nel suo insieme, destina il giusto tributo anche a quella del cemento e delle Grandi opere: il piano pullula di autostrade, aeroporti e Alta velocità, chiamati infrastrutture, tutti finanziati a spese del trasporto locale (compreso il Tav Torino-Lione, ricompreso nel Pnrr, senza nominarlo, nelle vesti del fallito Ten-T).
E qui, anche senza entrare nei dettagli (che peraltro il Pnrr evita), la prima e fondamentale domanda da fare, se si aprisse, come si dovrà aprire, ma dal basso, un dibattito sulla transizione ecologica è: ma serve un treno ad alta velocità, o un ponte di quattro chilometri, per collegare regioni devastate dagli incendi, dove, di questo passo, si dovrà reggere a temperature di 50°C come a Vancouver (che è molto più a nord della Sicilia), per portare dei turisti su spiagge ormai sommerse dall’innalzamento del livello del mare? O serve portare altro gas in Italia cercando di seppellirne le emissioni sottoterra, in una regione già sconvolta da un terremoto di dubbia origine, lasciando in eredità alle future generazioni, ma forse anche a questa, una bomba di Co2 sotto pressione, pronta ad aprirsi un varco verso la superficie per restituire all’atmosfera tutta la Co2 fittiziamente sottrattale? O queste cose non dobbiamo chiedercele.
Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza (Mc 12,29-30)
#Questione Antropologica.
La cit. di Mc 12, 29-30 ha un senso andrologico (e cosmo-te-andrico) o antropologico,
come il #Padre di ogni essere umano (#PonzioPilato: #Ecce homo),
quell’#Amore (di #Dante Alighieri),
che muove il #sole e le altre #stelle -
e anche la #Terra?!
G20: Draghi, ad agosto summit ad hoc su emancipazione donne
’Sarà prima volta nella storia del vertice’
(ANSA) - ROMA, 21 GIU - "Il nostro governo vanta il numero più alto di sottosegretarie donne nella storia d’Italia. Abbiamo anche nominato una donna come capo dei servizi segreti per la prima volta in assoluto.
In ogni caso, questi sono solo dei primi passi.
Quest’anno l’Italia ha la presidenza del G20. Ad agosto terremo una conferenza ministeriale sull’emancipazione femminile per la prima volta nella storia del G20. Vogliamo aiutare le leader femminili in tutto il mondo a favorire l’emancipazione di altre donne."
Lo dice il premier Mario Draghi intervenendo, con un videomessaggio, al "Women Political Leaders Summit 2021". (ANSA).
EUROPA: EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA (2008) "NON CLASSIFICATA"!!!
SALUTE RIPRODUTTIVA
Fertilità femminile *
Le cellule riproduttive femminili (ovociti), a differenza di quelle maschili (spermatozoi), vengono prodotte prima della nascita, durante lo sviluppo degli organi genitali.
Nel corso della vita questa "riserva" si riduce poi progressivamente mensilmente fino ad esaurirsi del tutto (menopausa). Ogni donna nasce con 1-2 milioni di follicoli e alla pubertà ne rimangono 500.000. Solo 500 di questi escono dall’ovaio e gli altri si distruggono.
Il sistema riproduttivo femminile dipende dal ciclico reclutamento follicolare, dalla selezione di un unico follicolo dominante, dall’ovulazione e dalla formazione del corpo luteo. Se la fecondazione e di conseguenza l’impianto non avvengono, il corpo luteo scompare, l’endometrio si sfalda e compare la mestruazione.
Dalla pubertà alla menopausa, circa ogni mese, quindi, il corpo femminile si prepara ad un’eventuale gravidanza. Se questa non avviene, compare una nuova mestruazione. Il ciclo mestruale ha una durata variabile tra i 21 e i 35 giorni. Mediamente è di 28 giorni, ma nell’adolescente può essere spesso irregolare.
Dal secondo giorno dall’inizio delle mestruazioni, comincia la cosiddetta fase follicolare: i follicoli che portano a maturazione la cellula uovo si attivano nuovamente, sia per far maturare l’ovocita sia per provvedere alla sintesi degli ormoni (estrogeni e progesterone) necessari per ricostituire l’endometrio.
Intorno al 14° giorno avviene invece l’ovulazione, momento in cui possono avvenire la fecondazione e il concepimento. Il periodo fertile dura circa due giorni (durata in vita della cellula uovo).
Gli spermatozoi sopravvivono invece nel corpo femminile molto di più, anche fino a 4 giorni, per cui un rapporto sessuale avvenuto anche 3 o 4 giorni prima dell’ovulazione può portare alla fecondazione. Per tutto il periodo fertile, quindi, la fecondazione è possibile. Dopo l’uscita della cellula uovo il follicolo si trasforma nel corpo luteo, che produce progesterone, per predisporre l’utero a ricevere l’impianto della cellula uovo fecondata.
Questa fase del ciclo si chiama fase luteale o secretiva. In caso di mancata fecondazione l’uovo viene espulso con la mestruazione. La perfetta sincronia della fisiologia femminile è peraltro continuamente minacciata da insulti o da difetti ad esempio patologie endocrine ovariche od extraovariche che possono ad esempio inficiare l’ovulazione rendendo pertanto la donna infertile o subfertile.
Con l’aumentare dell’età, nella donna si verifica non solo una progressiva riduzione del patrimonio follicolare ma anche un aumento percentuale di ovociti con alterazioni cromosomiche, che mensilmente vengono messi a disposizione dell’ovaio stesso.
Anche l’utero subisce un deterioramento funzionale che riduce la capacità dell’endometrio di interagire con l’embrione e favorisce la possibilità di aborti spontanei; inoltre si registra un incremento dell’incidenza di patologie quali endometriosi e fibromi che ulteriormente riducono la fertilità.
FONTE: [MINISTERO DELLA SALUTE. Data ultimo aggiornamento 17 settembre 2020. (ripresa parziale, senza immagine).
SALUTE RIPRODUTTIVA
Fertilità maschile
Lo spermatozoo è la cellula riproduttrice dell’uomo, fondamentale per la sua fertilità, in quanto incontrandosi con l’ovocita femminile da origine all’embrione.
La spermatogenesi e la produzione di testosterone sono regolati da un sistema integrato di controllo. L’ipotalamo, attraverso la secrezione pulsatile dell’ormone rilasciante le gonadotropine (GnRH), controlla la secrezione ipofisaria dell’ormone follicolo-stimolante (FSH) e dell’ormone luteinizzante (LH) i quali a loro volta stimolano il testicolo a produrre rispettivamente gli spermatozoi e il testosterone.
Il testicolo è costituito da due compartimenti distinti, anche per funzioni: quello tubulare dove si trovano le cellule di Sertoli e gli spermatozoi in diversi stadi di maturazione, e quello interstiziale con le cellule di Leydig deputate alla produzione di testosterone. La spermatogenesi è un processo complesso che culmina con la produzione degli spermatozoi maturi e ha una durata di circa 74 giorni.
Le cellule di Sertoli sono importanti per il sostentamento delle cellule della linea seminale e per la loro normale maturazione.
Gli spermatozoi da stadi più immaturi progrediscono dalla base al centro del tubulo seminifero (lume) secondo i diversi stadi di maturazione (spermatogonio, spermatocita, spermatide e spermatozoo).
Gli spermatozoi lasciano i testicoli attraverso un sistema di dotti:
e raggiungono le vescichette seminali che, con le loro caratteristiche secrezioni, insieme alla prostata, contribuiscono alla formazione di gran parte del volume finale dell’eiaculato e fungono anche da contenitore tra un’eiaculazione e la successiva. Chiaramente una qualsiasi disfunzione o blocco della spermatogenesi o danno di queste strutture può comportare alterazioni della fertilità.
FONTE: [MINISTERO DELLA SALUTE. Data ultimo aggiornamento 17 settembre 2020. (ripresa parziale, senza immagine).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
EUROPA: EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA "NON CLASSIFICATA"!!! Per aggiornamento, un consiglio di Freud del 1907 - con una nota introduttiva....
UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di "Maria" e di "Giuseppe"!!! AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.
VIVA L’ITALIA!!! Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico. Una nota (del 2006)
Federico La Sala
Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per la Festa della Repubblica
Palazzo del Quirinale, 02/06/2021 *
Sono passati settantacinque anni da quando, con il voto nel referendum del 2 giugno 1946, gli italiani, scegliendo la Repubblica, cominciarono a costruire una nuova storia.
Anche oggi siamo a un tornante del nostro cammino dopo le due grandi crisi globali, quella economico finanziaria e quella provocata dalla pandemia.
Come lo fu allora, questo è tempo di costruire il futuro.
Con la scelta repubblicana, si apriva una storia di libertà, dopo il ventennio della dittatura fascista. Storia di democrazia. Storia di pace, dopo la tragedia, i lutti e le devastazioni della guerra e dell’occupazione nazista.
La nuova stagione era stata preparata negli anni più bui, dalle donne e dagli uomini che avevano mostrato il coraggio di resistere e di lottare. E che avevano iniziato, nello stesso tempo, a pensare come dar forma all’Italia libera. Da dove ricominciare, per rimettere in piedi un Paese dilaniato, ferito, isolato agli occhi della comunità internazionale.
Non fu un inizio facile, settantacinque anni fa. L’Italia era divisa: la Repubblica aveva prevalso per due milioni di voti, ma il risultato non era stato omogeneo e, in un Paese in ginocchio, c’era il rischio di una spaccatura tra il Mezzogiorno e il Settentrione.
Fu proprio la scelta repubblicana il presupposto che rese possibile radicare, nel sentimento profondo del popolo, le ragioni di una unità e di una coesione più forti, favorendo il dispiegarsi di nuove energie, di nuovi protagonisti nella vita pubblica.
Questa vitalità animò e sostenne la straordinaria stagione costituente, capace di cogliere e interpretare le speranze, le attese, le aspirazioni degli italiani.
Per celebrare la Repubblica dobbiamo partire da qui: dalle donne e dagli uomini della Costituente, dalla loro lungimiranza, dal coraggio con cui seppero cercare e trovare i punti di sintesi.
Cos’è la Repubblica? Sono i suoi principi fondativi. Le sue istituzioni. Le sue leggi, la sua organizzazione. Certo, è tutto questo.
Ma a me sta oggi a cuore porre l’accento su ciò che viene prima. Quel che precede il significato, pur fondamentale, degli ordinamenti. Parlo della vita delle donne e degli uomini di questo nostro Paese. Dei loro valori, dei loro sentimenti. Del loro impegno quotidiano. Della loro laboriosità. Del contributo, grande o piccolo, che ciascuno di loro ha dato a questi decenni di storia comune.
La Repubblica è, anzitutto, la storia degli italiani e della loro libertà.
È la storia del lavoro, motore della trasformazione del nostro Paese. È la storia della Ricostruzione, delle fatiche, dei sacrifici, spesso delle sofferenze, di tanti che si trasferirono da Sud a Nord, dalle campagne alle città, animando uno straordinario periodo di sviluppo.
È la storia del formarsi e del crescere di una comunità.
Un bel brano di De Gregori dice “la storia siamo noi”, “nessuno si senta escluso”.
Proviamo a leggere così questi settantacinque anni di vita repubblicana: da una prospettiva diversa che ci consente di cogliere i profili di soggetti che spesso sono rimasti nell’ombra, sullo sfondo. E che invece hanno riempito la scena, colmato vuoti, dato senso e tradotto in atti concreti parole come dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà. Parole che altrimenti sarebbero rimaste astratte aspirazioni.
Le persone: donne, uomini, giovani che sono state al centro della nostra storia, volendovi esservi e contare. Volendo partecipare. Partecipazione civile, politica, sociale. La volontà di cambiare il mondo. Perché il mondo di prima aveva prodotto la guerra, l’ingiustizia, la fame, le distruzioni.
L’Italia è stata ricostruita dalle macerie. La Costituzione ha indicato alla Repubblica la strada da percorrere.
Questa è l’idea fondante della Repubblica, di una Costituzione viva, che si invera ogni giorno nei comportamenti, nelle scelte, nell’assunzione di responsabilità dei suoi cittadini, a tutti i livelli e in qualunque ruolo.
La democrazia è qualcosa di più di un insieme di regole: è un continuo processo in cui si cerca la composizione possibile delle aspirazioni e dei propositi, nella consapevolezza della centralità delle persone, più importanti degli interessi.
In questo cammino un ruolo fondamentale lo giocano i partiti, le forze sociali, i soggetti della società civile.
A volte le istituzioni possono sembrare fragili, esposte a sfide inedite.
Accadde, ad esempio, negli anni bui della violenza terroristica di varia matrice. Gli attentati, le stragi, i ferimenti, gli omicidi. Sono state tante le vittime della ferocia di chi voleva sovvertire lo Stato con le bombe o con le armi.
Nei cinquantacinque giorni dopo l’eccidio di via Fani e il rapimento di Aldo Moro la Repubblica visse il suo momento più difficile. La risposta degli apparati dello Stato per molti aspetti apparve incerta di fronte all’attacco terroristico.
A salvare la democrazia in quel passaggio drammatico, stringendosi intorno alle istituzioni democratiche, fu prima di tutto la straordinaria mobilitazione popolare. Il no alla violenza netto, forte, determinato dei partiti, dei sindacati, dei cittadini.
Le piazze piene di persone di ogni età e di differente orientamento culturale e politico. Il coraggio di chi, come l’operaio e sindacalista Guido Rossa, scelse di denunciare i terroristi e per questo pagò con la vita. Il senso del dovere di magistrati e forze di polizia. Una risposta di popolo che spazzò via le ambiguità di chi teorizzava assurde e intollerabili equidistanze tra lo Stato e i terroristi.
Il terrorismo è stato sconfitto e lo Stato ha prevalso con gli strumenti del diritto.
Anche per questo possiamo dire: la Repubblica è libertà e democrazia.
Come possiamo dire: la Repubblica è legalità.
E mentre lo diciamo avvertiamo il dovere di fare memoria di chi ha pagato con la vita il proprio impegno contro le mafie. Quelli noti e quelli meno ricordati. Uomini dello Stato, semplici cittadini, esponenti politici, sacerdoti, giornalisti, che con il loro sacrificio hanno saputo dare speranza e fiducia a chi non si rassegna alla prepotenza criminale.
La Repubblica è solidarietà.
La solidarietà che scattò all’indomani dell’alluvione del Polesine che colpì le province venete, nel novembre del 1951, con quasi cento vittime e più di 180.000 sfollati, soccorsi e ospitati spontaneamente da tantissime famiglie in tutto il Paese.
Oppure la indimenticabile mobilitazione degli angeli del fango: migliaia di giovani che nel novembre del ’66 corsero a Firenze, provenienti da ogni parte d’Italia, per dare aiuto alla città messa in ginocchio dall’alluvione per porre in salvo centinaia di opere d’arte.
E così è avvenuto ogni volta che il Paese è stato ferito da catastrofi naturali, alluvioni, terremoti. Dal Vajont al Belice al Friuli all’Irpinia, ai tragici eventi che più di recente hanno colpito l’Emilia e l’Italia centrale. Ogni volta abbiamo visto quanto sia forte il legame di solidarietà e di fraternità che unisce i nostri territori e il nostro popolo.
La Repubblica è umanità e difesa della pace e della vita.
Sempre e ovunque. Come testimonia l’impegno della nostra Guardia costiera e della Marina militare per salvare la vita di persone spinte dalla disperazione alla deriva nel Mediterraneo. E va ricordato il contributo prezioso fornito, da molti anni a questa parte, dai nostri militari nelle missioni internazionali, impegnati per la sicurezza e la pace, a fianco delle popolazioni che incontrano sulle loro strade, dimostrando sempre amicizia e umanità. Che nel mondo si parli di un “modello italiano” delle missioni è motivo di grande orgoglio per il nostro Paese. Voglio ricordare con commozione tutti i caduti: a loro va la riconoscenza della Repubblica.
Affermare i grandi principi, evocarli in formulazioni astratte non basta. Perché essi abbiano concreta applicazione, concreta incidenza sulla storia, dunque, bisogna viverli.
Non è sempre facile. L’esito non è mai scontato.
C’è un articolo, in particolare, della nostra Costituzione, quello sull’uguaglianza, che suggerisce una riflessione su quanto sia lungo, faticoso e contrastato il cammino per tradurre nella realtà un diritto pur solennemente sancito.
Questo principio, vero pilastro della nostra Carta, ha rappresentato e continua a rappresentare una meta da conquistare. Con difficoltà, talvolta al prezzo di dure battaglie. Per molti aspetti un cammino ancora incompiuto.
Penso alle differenze economiche, sociali, fra territori.
Penso alla condizione femminile, all’impegno delle donne per una effettiva affermazione del diritto all’uguaglianza.
Desidero ricordare la figura di una donna, Lina Merlin, pioniera della dignità femminile.
Rammento la norma che precludeva alle donne l’accesso a molti importanti uffici pubblici, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale nel 1960. Una storia che forse i giovani non conoscono e che oggi non può che sembrar loro inconcepibile
Così come è inconcepibile - non soltanto per i giovani - apprendere che il diritto di votare delle donne, nel 1946, è stato una conquista.
Si comprende allora come l’elezione a Presidente della Camera, nel 1979, di un’altra donna della Repubblica, Nilde Iotti, sia stata un passo decisivo nell’affermazione del protagonismo delle donne nella vita delle istituzioni.
Non siamo ancora al traguardo di una piena parità. Soprattutto riguardo alla condizione delle donne nel mondo del lavoro, al loro numero, al trattamento economico, alle prospettive di carriera, alla tutela della maternità, alla conciliazione dei tempi. Permangono disparità mentre cresce l’inaccettabile violenza contro di loro.
Lo stesso lento, accidentato cammino abbiamo vissuto per la piena affermazione della dignità della persona e dei suoi diritti, combattendo una difficile battaglia per sradicare ogni forma di discriminazione. Possiamo dire con orgoglio che, su questo versante, l’Italia di oggi, anche sul piano dei diritti civili, è più matura e consapevole, migliore di quella di settantacinque anni fa.
Lo è anche grazie al valore della memoria raccontata da persone come Liliana Segre, instancabile testimone di civiltà e umanità.
La Repubblica da quel 2 giugno a oggi. Possiamo farne un bilancio. Possiamo e dobbiamo chiederci a che punto è il nostro cammino.
I più anziani tra noi concittadini ricordano bene da dove siamo partiti.
Un Paese che era stato trascinato in guerra, ridotto in povertà, senza risorse, con tanti italiani che pativano la fame.
Le grandi riforme ne hanno cambiato il profilo.
La riforma agraria, i piani casa con l’edilizia popolare, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la realizzazione a tempi di record di grandi e decisive opere infrastrutturali, la riforma tributaria, gli interventi per il Mezzogiorno.
E poi la grande stagione delle riforme sociali.
Lo statuto dei lavoratori, le riforme della scuola, in particolare l’istituzione della scuola media unica e l’innalzamento dell’obbligo scolastico, il nuovo diritto di famiglia, l’istituzione, nel 1978, del Servizio sanitario nazionale, ad opera - va sottolineato - di un’altra donna, la prima a diventare ministra, Tina Anselmi.
La fotografia dell’Italia di oggi propone l’immagine di un Paese profondamente diverso, cambiato, progredito.
Abbiamo vissuto, probabilmente senza esserne sempre pienamente consapevoli, una straordinaria rivoluzione sociale.
Certo, la nostra Repubblica è imperfetta, come ogni costruzione che rifletta i limiti e le contraddizioni della vita.
Ancora troppe ingiustizie. Ancora diseguaglianze. Ancora condizioni non sopportabili per la coscienza collettiva, come l’evasione fiscale o le morti sul lavoro.
Il ricordo del sorriso di Luana D’Orazio impegni tutti al dovere di affrontare il tema della sicurezza dei lavoratori con determinazione e con rigore.
Alcune storture hanno cause antiche, e richiedono impegno serio per rimuoverle. Ma la storia repubblicana è tutt’altro che una sequela di insuccessi: è la storia di una democrazia ben radicata e di successo.
Risollevare il Paese, sgomberando le macerie materiali e morali che la Repubblica aveva trovato, portandolo a essere una delle principali realtà economiche e industriali del mondo, è stata una grande impresa.
Un’impresa collettiva, risultato dello sforzo di tanti. Politici, imprenditori, lavoratori, donne e uomini di ogni ruolo e condizione: hanno avuto come orientamento il loro senso del dovere, la responsabilità verso se stessi, verso le loro famiglie e verso la comunità; l’amore per la Patria. La forza di credere in un futuro migliore. La disponibilità al sacrificio per realizzare qualcosa di importante per i propri figli e nipoti.
Qualcuno, a volte, manifesta l’impressione che questo spirito, che animò i costruttori di allora, sia andato smarrito. Che il Paese si sia fermato, imbrigliato da inerzie e pigrizie, bloccato da rendite di posizione, dall’illusione di poter sopravvivere seguendo la logica emergenziale del “giorno per giorno”.
Il Paese non è fermo.
Affiora talvolta la tentazione di rinchiudersi nel presente, trascurando il futuro.
Ma non può essere così.
Quando diciamo che nulla sarà come prima sappiamo che il cambiamento è già in atto. Ed è veloce.
Sono cambiati gli stili di vita; le sensibilità delle persone. Alle domande relative alla sicurezza del proprio futuro, al lavoro, alla casa, si affiancano le preoccupazioni per la salute, per la vivibilità e la sostenibilità ambientale. E, inevitabilmente, cambiano le priorità nelle agende della politica e dell’economia globale.
La Repubblica possiede valori e risorse per affrontare queste sfide a viso aperto.
Ha potenzialità straordinarie. L’ineguagliabile patrimonio di arte e cultura, che affonda le sue radici nel passato e che continua a esprimersi e a parlare al mondo grazie a interpreti e intelligenze ammirate ovunque.
Ha creatività. Competenze. Capacità che ci rendono in tanti settori un Paese all’avanguardia. Ne sono esempio tante nostre aziende che esprimono la qualità italiana, motore di sviluppo e di benessere in questi decenni. Ne sono esempio donne e uomini impegnati nella ricerca e nei settori dell’innovazione e delle tecnologie più avanzate. Un’altra donna italiana oggi ci rende orgogliosi: Samantha Cristoforetti, prima europea chiamata a comandare la stazione spaziale internazionale.
L’Italia, la nostra Patria, ha le carte in regola per farcela.
Un valore - che vorrei ancora una volta sottolineare - sarà più di ogni altro decisivo: la connessione della Repubblica con i suoi cittadini.
Lo abbiamo visto anche nella lotta alla pandemia. Tra lutti e sofferenze, che mai dimenticheremo, abbiamo riscoperto il senso civico di chi si è trovato a operare nella frontiera più esposta, quella degli ospedali e delle strutture sanitarie, abbiamo apprezzato il sacrificio di chi ha lavorato nei servizi, per la pubblica sicurezza, nelle catene alimentari. Ci è apparso ancora una volta, in tutta la sua evidenza, il valore della scienza e la conseguente necessità di promuoverla e sostenerla.
Ognuno di noi ha ricevuto la solidarietà di altri italiani. Lo abbiamo rimarcato celebrando il 2 giugno, l’anno scorso, a Codogno.
Ciascuno ha bisogno degli altri.
Le cure che la Repubblica è riuscita ad assicurare a tanti italiani, ci pongono adesso di fronte alla necessità, comune, di avere cura della Repubblica. Perché così potremo compiere quei passi in avanti, nel modello sociale, nello sviluppo sostenibile, nelle opportunità di lavoro e di studio, che sentiamo come un’ambizione e come un dovere.
Abbiamo una risorsa, grande, che proprio la Repubblica ha fatto crescere in questi decenni, muovendo dalla coscienza del male che è stato causa delle guerre e delle dittature. Questa risorsa, questo orizzonte, si chiama Europa. Una costruzione faticosa, che si è sviluppata in modo non sempre lineare. Talvolta minacciata da regressioni per illusori interessi particolari ma, nei passaggi più critici, capace di grandi rilanci. Come sta avvenendo.
L’Unione Europea è essa stessa - per noi - figlia della scelta repubblicana. L’Europa è il compimento del destino nazionale. E’ luogo e presidio di sovranità democratica. È un’oasi di pace in un mondo di guerre e tensioni. Il filo tessuto con il Risorgimento e la Resistenza ricompone qui la tela di una civiltà democratica che sa parlare al mondo, senza essere in balia di forze e potenze che la sovrastano.
I doveri verso i giovani - di cui c’è qui un’ampia rappresentanza assai gradita - a cui passeremo il testimone della vita, sono ineludibili.
La priorità è garantire ai giovani eguali diritti di cittadinanza, anche digitale, senza i quali la disparità delle opportunità diverrebbe causa di nuove, gravi, inaccettabili povertà. Le famiglie hanno avvertito, in questi mesi, l’urgenza di questa condizione.
Si presenta una nuova generazione che è pronta, chiede spazio e ha voglia di impegnarsi.
Ai giovani vorrei chiedere: impegnatevi nelle sfide nuove, a cominciare da quella della transizione verso un pianeta fondato sul rispetto dell’ambiente e delle persone come unica possibilità di futuro.
Adoperatevi per trasmettere valori e cultura attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. Per promuovere un uso dei social che avvicini le persone e le faccia crescere dal punto di vista umano e sociale, combattendo con determinazione la subcultura dell’odio, del disprezzo dell’altro.
Ai ragazzi che oggi sono qui e a quelli che avranno modo di ascoltare queste parole vorrei dire: la storia di questi settantacinque anni è stato il risultato, il mosaico di tante storie piccole e grandi, di protagonisti conosciuti e di testimonianze meno note. Tocca a voi ora scrivere la storia della Repubblica. Scegliete gli esempi, i volti, i modelli, le tante cose positive da custodire di questa nostra Italia. E poi preparatevi a vivere i capitoli nuovi di questa storia, ad essere voi protagonisti del nostro futuro.
Viva il Popolo Italiano, viva la Repubblica!
* Fonte: Presidenza della Repubblica.
Governo. Draghi andrà il 14 agli Stati generali della Natalità
Il presidente del Consiglio sarà presente all’iniziativa del Forum delle associazioni familiari, che sarà aperta da papa Francesco. Segnale di attenzione per le famiglie
di Eugenio Fatigante (Avvenire, giovedì 6 maggio 2021)
Si arricchiscono di una presenza illustre gli Stati generali della Natalità, dove si dibatterà del “destino demografico dell’Italia e del mondo”: anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, interverrà infatti all’iniziativa voluta e organizzata dal Forum delle associzioni familiari. La conferma arriva da Palazzo Chigi. Il premier interverrà di persona all’evento che si terrà all’Auditorium di via della Conciliazione e che, pur essendo prevalentemente on-line, verrà aperto alle 9 e 30 - come già annunciato - da papa Francesco, anch’egli presente di persona. Potrebbe essere, quindi, anche l’occasione per un primo incontro diretto fra il pontefice e il capo del governo.
Gli Stati Generali sono stati convocati dal presidente nazionale del Forum, Gigi De Palo, per mettere attorno a un tavolo le istituzioni, le imprese, i media e il mondo della cultura per approfondire la sfida dell’inverno demografico e sollecitare una nuova narrazione sul tema della natalità. Tra i relatori, sono previsti i saluti istituzionali della ministra per la Famiglia, Elena Bonetti, del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, e del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Quindi il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, presenterà dati inediti e proiezioni sulla natalità in Italia nei prossimi decenni. Ci saranno anche tre tavoli tematici: uno dedicato al mondo delle imprese, uno alle banche e alle assicurazioni, uno al mondo dei media, sport e spettacolo (atteso tra gli ospiti, tra gli altri, anche il calciatore della Lazio Ciro Immobile).
INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: BASTA CON LA "MEZZA-FORMAZIONE" ("HALB-BILDUNG")! PER UN NUOVO CNR (E PER UN NUOVO "POLITECNICO": “IO VORREI PENSARE CON IL CERVELLO INTERO”.... *
La cultura politecnica che forma “ingegneri filosofi”. Università, le sfide del Piano Draghi
di Antonio Calabrò (HuffingtonPost, 26.04.2021)
Giornalista, scrittore e vicepresidente di Assolombarda
“Ripartire dalla conoscenza”, sostiene Ferruccio Resta, per passare “dalle aule svuotate dal virus alla nuova centralità dell’Università”. Resta è rettore del Politecnico di Milano e attuale presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. È un ingegnere, professore di Meccanica applicata alle Macchine (l’espressione “civiltà delle macchine” gli si adatta bene). E nelle pagine del nuovo libro, costruito attraverso un dialogo con Ferruccio de Bortoli e pubblicato da Bollati Boringhieri, ragiona non solo sulla necessità di investire massicciamente sulla formazione, per rendere l’Italia più competitiva, nella stagione del predominio della “economia della conoscenza”, ma anche sui contenuti della formazione, tenendo insieme, in modo originale, tecnologia e bellezza, saperi umanistici e conoscenze scientifiche, matematica e letteratura, ingegneria e filosofia, come peraltro proprio la migliore storia culturale ed economica italiana ci insegna.
Serve una “cultura politecnica”, con la straordinaria attualità di un “umanesimo industriale” che oggi, in tempi di digital economy e di Intelligenza Artificiale, va declinato anche come “umanesimo digitale” (tutti temi, peraltro, più volte affrontati in questo blog). Il Pnrr (la sigla difficilmente pronunciabile che sta per “Piano nazionale di ripresa e resilienza”) e cioè la versione italiana del Recovery Plan della Ue, stanzia 31,9 miliardi per Istruzione e Ricerca, per rafforzare, cioè, “il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico”, come spiega Palazzo Chigi in un comunicato. In dettaglio, “il Piano investe negli asili nido, nelle scuole materne, nei servizi di educazione e cura per l’infanzia; crea 152.000 posti per i bambini fino a 3 anni e 76.000 per i bambini tra i 3 e i 6 anni”.
Si investe nel risanamento strutturale degli edifici scolastici, con l’obiettivo di ristrutturare una superficie complessiva di 2.400.000 metri quadri. E, per quel che riguarda i contenuti, si prevede una riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea, per esempio con l’aggiornamento della disciplina dei dottorati e un loro aumento di circa 3.000 unità.
Sempre un comunicato di Palazzo Chigi spiega che “si sviluppa l’istruzione professionalizzante e si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico”. Con un’attenzione particolare per gli Its, gli Istituti tecnici superiori, per incrementare gli studenti iscritti, rafforzare i laboratori con tecnologie 4.0, formare i docenti e adattare i programmi formativi secondo le esigenze delle imprese in cerca di capitale umano qualificato, sviluppare una piattaforma nazionale per fare incontrare offerta e domanda di lavoro.
Siamo insomma di fronte a risorse di un certo livello, progetti ambiziosi, da realizzare in tempi brevi (il 2026, come scadenza massima). Il governo Draghi, insomma, s’è mosso. La Ue ritrova anche in questo capitolo il senso di fondo della sua strategia del Recovery Plan, in coerenza con l’orientamento di fondo indicato fin dal nome, “Next Generation”. L’impegno, adesso, è passare tempestivamente dalle pagine del Piano ai cantieri delle opere, alle scelte dei programmi didattici e alle realizzazioni.
Il libro di Resta e de Bortoli offre indicazioni preziose, su come usare bene i soldi finalmente a disposizione e dunque fare funzionare meglio università e ricerca, su come rafforzare il dialogo tra università, comunità sui territori e imprese. E su come progettare una formazione superiore che tenga conto del rapido sviluppo delle nuove conoscenze e dunque sull’usura altrettanto intensa di quello che oggi si sa.
Bisogna insegnare a imparare. E tenere testa a una seconda sfida, proprio di fronte all’impetuoso cambiamento delle tecnologie: quella di capire il senso delle cose che si fanno, indagare sui valori di riferimento, sulle conseguenze umane ed etiche dei progressi tecnologici. Non solo, dunque, saper scrivere efficacemente gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale, ma comprenderne, controllarne e governarne gli effetti. Per evitare manipolazioni occulte (il monito etico di Luciano Floridi, professore a Oxford di Filosofia dell’Informazione) e cercare di conciliare sviluppo hi tech, libertà, responsabilità. Come devono saper fare degli ingegneri filosofi, dei tecnologi poeti, appunto.
Le discipline universitarie, suggerisce Resta, non vanno più inquadrate in “gabbie rigide”. E, proprio pensando ai Politecnici, insiste: “Un ingegnere oggi non è più il tecnico che deve rispondere al singolo problema, ma deve dare risposte a sfide sociali e problemi complessi che sempre più spesso coinvolgono anche la sfera etica delle tecnologie”. Proprio le indicazioni di fondo del Recovery Plan della Ue, ambiente e innovazione, sostenibilità ed economia digitale, hanno bisogno di persone, di figure professionali formate in modo multi-disciplinare, adatta a fare sintesi originali di saperi in continua mutazione.
Il nostro Paese, insomma, ha urgente bisogno di investire su conoscenza e formazione, ricerca e innovazione. Risorse finanziarie e riforme del Recovery Plan ne sono finalmente strumento adeguato. Per costruire cultura del futuro, competenze, produttività e competitività. Abbiamo la necessità di superare il gap dei 13 milioni di persone che hanno solo un titolo di studio di scuola media inferiore formazione e il limite del basso numero di laureati, soprattutto nelle materie scientifiche. E dobbiamo dunque costruire una formazione migliore, non solo nei cicli scolastici, ma nelle relazioni lunghe tra scuola e lavoro, quella che tecnicamente si chiama long life learning, un’attitudine a imparare che ci accompagni per tutta la vita. Anche da questo punto di vista le università colte, aperte, efficaci nei processi formativi sono, come dice Resta, “centrali”. La conoscenza è il nostro migliore futuro.
*Sul tema, in rete, si cfr.:
EUROPA: EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA "NON CLASSIFICATA"!!! --- 8 MARZO 2021. Draghi: c’è tanto da fare per parità di genere a livelli Ue
PER UN NUOVO CNR! ALL’INSEGNA DI ERMES: “IO VORREI PENSARE CON IL CERVELLO INTERO”. IN MEMORIA DI ENRICO FILIPPINI E DI MICHEL SERRES
Federico La Sala
CULTURA
Chiara Valerio: "C’è bisogno di una riforma che mostri che la matematica, la fisica e la chimica sono ’umane’"
La scrittrice e matematica all’HuffPost: "Concentrarsi sulle relazioni tra le competenze, e non solo sulle competenze"
di Adalgisa Marrocco (HuffingtonPost, 27.04.2021)
Raccontare la storia delle scienze, delle loro imprese, delle loro donne e dei loro uomini: da qui si potrebbe partire per far riscoprire l’amore verso lo studio delle discipline scientifiche, di cui spesso si narra la disaffezione da parte degli studenti. Soprattutto in Italia. E riformare la scuola, andando oltre i vecchi retaggi, per mostrare ai ragazzi quanto la matematica, la fisica e la chimica siano “umane” e figlie dei loro tempi. A parlarne all’HuffPost è Chiara Valerio, scrittrice e matematica, autrice di La matematica è politica (Einaudi).
Trova che in Italia lo studio delle discipline scientifiche sia poco incentivato?
L’idea che lo studio, qualsiasi tipo di studio debba essere incentivato, non mi ha mai convinto. Ma capisco la domanda. Diciamo che l’idea che per la matematica - così come per le lingue - sia necessario esserci portati è una idea scoraggiante emotivamente e deresponsabilizzante culturalmente. La comprensione ha una piccola percentuale di illuminazione e una grande percentuale di prassi e intenzione. Credo che sottolineare l’importanza dello studio sia importante, altrimenti in un attimo ci si sente vasi da riempire con poca o molta acqua. Per le ragazze è ancora più difficile, perché le grandi scienziate vengono poco e quasi mai raccontate. Non avrei voluto diventare Batman o Lady Oscar se non me li avessero raccontati, per esempio. Senza arrivare ai supereroi, raccontare che qualcosa è stato fatto a un livello eccellente, da donne e uomini, è una cosa che incentiva chi sta imparando a studiare e pensare di poter giungere a quello stesso livello e anche oltre. Ma capire non è una cosa da X-Men, è una cosa da esseri umani.
Ci sono delle ragioni storiche che determinano questa carenza?
Come ho scritto altrove (“ho poche idee, ma in compenso fisse”, diceva De Andrè e io mi accodo) si potrebbe far risalire la poca affezione allo studio delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr), come si chiamano oggi, allo scontro in due parti tra Croce e Gentile, da un lato, e Federigo Enriques, dall’altro. Tra chi, Croce, aveva un’idea della filosofia e chi come Enriques ne aveva un’altra. Sembrerebbe questa una discussione d’accademia ma non lo è perché, cominciata negli anni Dieci del Novecento, si è conclusa alla fine degli anni Venti del Novecento. Quando una guerra mondiale era finita, il fascismo aveva attecchito in Italia e Gentile era diventato ministro dell’Istruzione. In ballo c’era la riforma del sistema scolastico e universitario. Mentre Gentile e Croce tendevano a limitare la portata culturale della matematica e ad accorpare l’insegnamento di matematica e fisica, Enriques sosteneva la centralità delle scienze esatte per lo sviluppo tecnologico e più ampiamente culturale dell’Italia, centro del conflitto politico alla fine della guerra. La riforma della scuola la firma Gentile, non Enriques. Ma questo è l’inizio.
Poi cosa accadde?
Si potrebbe anche parlare della riforma Falcucci, nel 1985, con il Piano Nazionale Informatica - io l’ho fatto, per esempio - nel quale erano previsti, tra le altre cose, lo studio e la pratica dei linguaggi di programmazione. E ancora la riforma Moratti, dove l’informatica era diventata una delle tre famose “I” (insieme a Inglese e Impresa) ed era poi stata ridotta al conseguimento dell’ECDL e, dunque, al pacchetto Office.
Da dove partire per provare a colmare questo vuoto? Anche considerando che, nel frattempo, il Recovery Plan ha stanziato fondi per incentivare lo studio delle discipline STEM nella futura “Scuola 4.0”.
Da una nuova riforma scolastica e da una riforma dei testi scolastici, che si concentrino sulle relazioni tra le competenze, e non solo sulle competenze, sulla risoluzione dei problemi e non si risolvano in un samsara di formule. Una riforma che preveda lo studio della storia della scienza, così come esiste lo studio della storia della filosofia e della storia dell’arte. Una riforma che mostri come la matematica, la fisica e la chimica siano figlie dei loro tempi e non esistano in assoluto, nel vuoto, da sempre e per sempre. Ma siano “umane” come tutto il resto.
Lei è matematica di formazione e lavora nell’industria culturale: ha senso mantenere uno steccato tra materie scientifiche e quelle umanistiche e sociali? Oppure bisogna andare oltre?
Non ho mai creduto o pensato ci fossero steccati. L’intelligenza viene presentata come la capacità di analisi - siamo cartesiani senza coscienza, per abitudine, forse per istinto, - ma di questa capacità di analisi ci entusiasmiamo e raccontiamo solo la pars destruens: la capacità di separare (”è una lama” si dice a Roma di una persona molto intelligente), ma nel racconto di questa intelligenza manca la ricomposizione - che pure Cartesio elenca nei suoi passi sul Metodo. Ecco, l’intelligenza unisce, non separa, connette. Io mi fido delle e confido nelle connessioni e relazioni, anche di cose lontane. È anche più divertente, no?
Recovery: Draghi in Parlamento: ’Disponiamo di 248 miliardi. Prepariamo l’Italia di domani’
Oggi presenta il piano alla Camera, domani la replica
di Redazione ANSA *
ROMA. "Sbaglieremmo tutti a pensare che il Pnrr pur nella sua storica importanza sia solo un insieme di progetti, di numeri, scadenze, obiettivi. Nell’insieme dei programmi c’è anche e soprattutto il destino del Paese".
Lo dice il presidente del Consiglio Mario Draghi nelle comunicazioni in Aula alla Camera sul Recovery.
Nel Pnrr c’è "la misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come fondatore Ue e protagonista del mondo occidentale. E’ questione non solo di reddito e benessere, ma di valori civili e sentimenti che nessun numero e nessuna tabella potrà mai rappresentare", aggiunge il presidente del Consiglio
L’INTERVENTO
Secondo il premier, "nel realizzare progetti, ritardi, inefficienze e miopi visioni di parte peseranno sulle nostre vite soprattuto su quelle dei più deboli, i figli e nipoti e forse non ci sarà piu tempo per porvi rimedio".
"Il Recovery ha 3 obiettivi - spiega ancora Draghi -: il primo con un orizzonte ravvicinato è riparare i danni della pandemia, che ci ha colpito più dei nostri vicini europei, il pil caduto è dell’ 8,7, i giovani e le donne hanno sofferto di più il calo dell’occupazione. Le misure di sostegno hanno attutito l’impatto sociale ma questo si è sentito sulle fasce più deboli", ha detto ancora Draghi
248 MILIARDI A DISPOSIZIONE
"Oltre al Pnrr da 191,5 miliardi e al Piano complementare da 30,6 miliardi "sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche". "È poi previsto il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, utilizzate nell’ambito del dispositivo europeo per il potenziamento dei progetti ivi previsti per 15,5 miliardi. Nel complesso potremo disporre di circa 248 miliardi di euro". A tali risorse, si aggiungono poi quelle rese disponibili dal programma REACT-EU che vengono spese negli anni 2021-2023. Fondi per ulteriori 13 mld".
26 MILIARDI ALLE OPERE
"Sono stati stanziati entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche. Queste includono la linea ferroviaria ad Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria - che diventerà una vera alta velocità - e l’attraversamento di Vicenza relativo alla linea ad Alta Velocità Milano-Venezia".
22 MILIARDI SUL LAVORO, FOCUS AL GAP DI GENERE
"La quinta Missione è destinata alle politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla coesione territoriale. I fondi destinati a questi obiettivi superano nel complesso i 22 miliardi. Ulteriori 7,3 miliardi di interventi beneficeranno delle risorse di React-Eu. Sono introdotte misure a sostegno dell’imprenditorialità femminile e un sistema di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare politiche adeguate a ridurre il gap di genere"
IMPEGNO PER LA PROROGA AL 2023 DEL SUPERBONUS
"Per il Superbonus al 110% sono previsti, tra PNRR e Fondo complementare, oltre 18 miliardi, le stesse risorse stanziate dal precedente governo. Non c’è alcun taglio. La misura è finanziata fino alla fine del 2022, con estensione al giugno 2023 solo per le case popolari (Iacp). È un provvedimento importante per il settore delle costruzioni e per l’ambiente. Per il futuro, il governo si impegna a inserire nel disegno di legge di bilancio per il 2022 una proroga dell’ecobonus per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021".
ASSEGNO UNICO STRUMENTO PER IL SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE
"Grazie all’azione di questo Parlamento, l’assegno unico diventerà lo strumento centrale e onnicomprensivo per il sostegno alle famiglie con figli, in sostituzione delle misure frammentarie fino ad oggi vigenti. È una riforma che rappresenta un cambio di paradigma nelle politiche per la famiglia e a sostegno della natalità".
GARANZIA DI STATO AI GIOVANI CHE COMPRANO CASA
"Oltre al piano agli asili nido, di cui ho già parlato, i giovani beneficiano dalle misure per le infrastrutture sociali e le case popolari. E in un prossimo decreto, di imminente approvazione, sono previsti altre risorse per aiutare i giovani a contrarre un mutuo per acquistare una casa. Sarà possibile non pagare un anticipo, grazie all’introduzione di una garanzia statale".
ASSISTENZA A CASA AL 10% DEGLI OVER 65 NON AUTOSUFFICIENTI
Nel Pnrr "è previsto un significativo incremento delle prestazioni un’assistenza domiciliare. Fino a prendere in carico entro il 2026 il 10% delle persone sopra i 65 anni che necessitano di assistenza oltre alle persone affette da patologia cronica". Lo dice il presidente del Consiglio Mario Draghi nelle comunicazioni in Aula alla Camera sul Recovery. "Introduciamo un’importante riforma per la non autosufficienza, con l’obiettivo primario di offrire risposte ai problemi degli anziani", spiega Draghi che sottolinea: "Dopo le sofferenze e le paure di questi mesi di pandemia, non possiamo dimenticarci di loro"
I GIOVANI TRA I MAGGIORI BENEFICIARI DEL PIANO
"I giovani saranno tra i principali beneficiari di tutto il Piano. Gli investimenti e le riforme sulla transizione ecologica creeranno principalmente occupazione giovanile. La creazione di opportunità per i giovani nel mondo del lavoro sarà anche l’effetto naturale degli interventi sulla digitalizzazione che, tra l’altro, consentiranno di completare la connettività delle scuole".
LA CRESCITA DEL MEZZOGIORNO UNA PRIORITA’
"La crescita del Mezzogiorno rappresenta l’altro aspetto prioritario trasversale al Piano. Il potenziale del sud in termini di sviluppo, competitività e occupazione è tanto ampio quanto è grande il suo divario dal resto del Paese. Non è una questione di campanili: se cresce il sud, cresce anche l’Italia. Più del 50 per cento del totale degli investimenti in infrastrutture - soprattutto l’alta velocità ferroviaria e il sistema portuale - è diretto al sud"
GIU’ I TEMPI DEL PROCESSO CIVILE
"Il Governo intende ridurre l’inaccettabile arretrato presente nelle aule dei tribunali, e creare i presupposti per evitare che se ne formi di nuovo. Questo è uno degli impegni più importanti ed espliciti che abbiamo preso verso l’Unione europea. L’obiettivo finale che ci proponiamo è ambizioso, ridurre i tempi dei processi del 40 per cento per il settore civile e almeno del 25 per cento per il penale"
ENTRO MAGGIO IL DECRETO PER L’ATTUAZIONE DEL PNRR
"Entro maggio presentiamo un decreto che interviene con misure di carattere prevalentemente strutturale volte a favorire l’attuazione del PNRR e del Piano complementare. Oltre a importanti semplificazioni negli iter di attuazione e di valutazione degli investimenti in infrastrutture, si procede a una semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni".
HO FIDUCIA NEGLI ITALIANI, ATTUEREMO AL RECOVERY
"Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità"
* ANSA, 26.04.2021 (RIPRESA PARZIALE).
Mamma li turchi, ma «i dittatori ci servono»
Medio Oriente . La realtà è che Stati uniti ed Europa nel Mediterraneo e in Medio Oriente hanno lasciato in questi anni un vuoto riempito dal “reis” turco e dalla Russia ma adesso ci vuole un «ritorno all’ordine», alla nuova guerra fredda decretata dalla coppia Biden-Blinken. E Draghi esegue
di Alberto Negri (il manifesto, 10.04.2021)
Draghi, in sintesi, dice che Erdogan è un dittatore che ci fa comodo: tradotto significa che gli facciamo fare quel che vuole fino a quando ci serve. Una pericolosa e irrealistica illusione, del premier ma anche Usa ed europea. Erdogan fa quello che vuole con il nostro consenso e indignarsi perché non rispetta i diritti umani o il galateo diplomatico è assai ipocrita. Gli Usa e gli europei speravano che il golpe fallito del 15 luglio 2016 lo sbalzasse dal potere: da allora il “reis” preferisce mettersi d’accordo con Putin piuttosto che con l’Occidente atlantico, che lo vorrebbe manovrare in funzione anti-russa ma alla fine lo detesta e lo ammansisce, magari sulla pelle degli altri.
Qualche esempio? Trump, con il ritiro delle truppe Usa dal Nord della Siria nell’ottobre 2019, lasciò che Ankara massacrasse i curdi siriani, nostri alleati contro l’Isis, usando i jihadisti terroristi e tagliagole. In Tripolitania, di fronte alla incapacità italiana a sostenere il governo Sarraj, siamo suoi ospiti e le milizie filo-turche fanno la guardia all’ambasciata italiana mentre i suoi militari si sono fatti fotografare sulle motovedette donate dall’Italia. I turchi hanno la memoria lunga: l’Italia conquistò la Libia nel 1911 sottraendola all’Impero ottomano e l’anno dopo si portò via anche il Dodecaneso. Erdogan, il neo-ottomano sgarbato, è uno che gli insulti se li lega al dito.
La realtà è che Stati uniti ed Europa nel Mediterraneo e in Medio Oriente hanno lasciato in questi anni un vuoto riempito dal “reis” turco e dalla Russia ma adesso ci vuole un «ritorno all’ordine», alla nuova guerra fredda decretata dalla coppia Biden-Blinken. E Draghi esegue.
La sostanza è questa: gli Usa non vogliono un nuovo accordo tra Erdogan e Putin che possa incoraggiare la Russia a restare in Cirenaica e magari aprire un’altra base militare nel Mediterraneo dopo quelle in Siria.
Si tratta di una manovra che fa parte di una strategia più ampia con cui Washington vuole mettere pressione a Mosca: dallo schieramento dei missili ipersonici in Europa al blocco del gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, all’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato. Biden, sta per nominare l’inviato speciale incaricato di bloccare il gasdotto Nord Stream 2: è il suo uomo di fiducia in Ucraina, Amos Hochstein, già nel consiglio del colosso energetico ucraino Naftogatra, un passato nell’esercito israeliano, che durante l’amministrazione Obama fece saltare il South Stream con Mosca (2 miliardi di commesse Saipem) e si adoperò per attivare il Tap, il gasdotto alternativo con l’Azerbaijan.
Erdogan si oppone a Putin in Siria, in Azerbaijan e in Libia ma si è anche messo d’accordo con il capo del Cremlino: compra il suo gas e le batterie anti-missile S-400 ed è incline a una spartizione in zone di influenza che irrita gli americani, soprattutto Antony Blinken che nel 2011 era un sostenitore dei raid contro Gheddafi e ora vorrebbe cacciare i mercenari russi asserragliati con il generale Haftar su una “Linea Maginot|” nella sabbia della Cirenaica. La non guerra e la non pace è la situazione la Russia gestisce meglio, dal Medio Oriente al Caucaso, finché non si rompono gli equilibri.
Draghi, l’atlantista buono, ha orecchiato sul manuale Biden-Blinken che bisogna bacchettare Erdogan, l’atlantista ribelle, e ha fatto la sua uscita, un po’ alla carlona, durante una conferenza stampa. Fa parte di un’offensiva diplomatica che ha portato il premier a Tripoli- grazie ad Erdogan - nello stesso giorno in cui arrivava il greco Mitsotakis: mai si erano visti in Libia due capi di governo europei in un solo giorno - la stampa italiana non ha dato l’evento per non sminuire il «primato» italico nell’ex colonia. Poi subito dopo c’è stata la missione von der Leyen-Michel ad Ankara.
La crisi di poltrone e sofà, grave se fosse uno sgarbo e una offesa voluta al ruolo di rappresentanza delle donne in politica, non a caso esplode ora dentro l’Ue, sia per le priorità dei ruoli sia perché davvero il protocollo dell’incontro era stato approvato dalle due parti. Ma lo sgarbo ha oscurato il vero problema. La Turchia non ha nessuna intenzione di cedere su quattro dossier: i profughi, le frontiere marittime del Mediterraneo orientale, la Libia e i diritti umani. Erdogan fa valere la sua vittoria militare in Libia a Sarraj che aveva il generale Haftar e i russi alle porte di casa.
Il via libera a Erdogan è venuto da noi, come del resto in Siria quando fece passare 40mila jihadisti per combattere Assad: era questo che volevano gli Usa, «guidare da dietro» la caduta del regime di Damasco. Per questo si è preso in casa tre milioni di profughi, incassa miliardi da Bruxelles e ricatta gli europei sulla rotta balcanica, dove camminano alla disperata tante donne migranti senza sedia e senza speranza. Ma noi paghiamo il dittatore per tenerle lontane.
La Germania lo sa perfettamente e quindi impone soltanto sanzioni europee «cosmetiche» per le violazioni di Erdogan delle «zone economiche esclusive» del gas offshore di Grecia e Cipro, dove hanno interessi la Total francese, l’Eni italiana, le compagnie americane e Israele.
I «dittatori fanno comodo» anche per tacere: Draghi nel suo discorso d’insediamento non ha detto una parola su al-Sisi, Regeni e Zaki. Si capisce bene allora che una sedia non è solo una questione di arredamento diplomatico ma rappresenta cosa si muove davvero dietro la pace e la guerra nel Mediterraneo: una spasmodica lotta di potenze e una nuova guerra fredda, dove l’Italia ha il solito ruolo di penisola portaerei americana. E non basta dire che Erdogan “è un dittatore che ci fa comodo”.
Caro Michel, rispetta lo stato di diritto e fai un passo indietro
Il dittatore, Draghi e il sofà. Una bruttissima pagina per l’Europa che però svela una fragilità ancora più grave, quella di un continente vittima degli egoismi nazionali che non fanno cogliere la gravità della situazione geopolitica ai nostri confini
di Massimiliano Smeriglio (il manifesto, 10 aprile 2021).
Draghi ha detto non una, ma due cose impegnative. Con il candore e la freddezza dell’upper-class mondiale, ha usato parole chiarissime definendo Erdogan un dittatore. Aggiungendo che, in ogni caso, con questi signori bisogna collaborare. Probabilmente sarà stato influenzato dal viaggio in Libia, in cui ha speso parole positive per la guardia costiera libica e la sua opera meritoria di salvataggio in mare. Il disastro diplomatico della missione europea ad Ankara è tutto nella esplicita ammissione di una real politik piccola piccola.
Il 20 marzo la Turchia, con decreto presidenziale, è uscita dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Il 17 marzo è stata avviata presso la Corte Costituzionale la causa per chiedere lo scioglimento del Partito democratico dei popoli (Hdp). Nel medesimo arco di tempo Naci Agbal, presidente della banca centrale organismo sulla carta indipendente, è stato sollevato dal suo incarico per aver alzato i tassi d’interesse dal 17% al 19%. L’avvocata Kezban Hatemi continua a denunciare la prossima modifica del codice civile nella parte che equipara gli uomini alle donne, in un Paese in cui i femminicidi sono in costante aumento. Per non parlare della brutale repressione delle mobilitazioni studentesche contro la sottomissione del sistema universitario al potere politico di Erdogan.
Questa è la Turchia a cui hanno fatto visita i massimi vertici europei con l’obiettivo esplicito di avviare il disgelo dopo le tensioni con la Grecia e rilanciare una cooperazione rafforzata. L’Unione si è impegnata ad adempiere all’accordo sui migranti siglato nel 2016 che vale sei miliardi di euro (quattro già versati) con lo sguardo benevolo di Germania, primo Stato in scambi commerciali con la Turchia, e Italia, principale fornitore di armi dopo gli Usa. Obiettivo di fondo la modernizzazione dell’unione doganale in vigore dal 1996. Con 143 miliardi di euro nel 2020 l’Unione europea è il primo partner commerciale di Ankara.
Il contesto in cui ci muoviamo è evidente. L’Europa dello stato di diritto, dei diritti universali della persona è silente di fronte alla violenta svolta autoritaria che sta negando libertà politiche e civili a migliaia di cittadini, che colpisce la stampa libera e nega nei fatti l’autonomia della magistratura. Che altro può accadere?
Può accadere che di fronte al Sultano ultrà del patriarcato, vada in scena un siparietto per misurare i rapporti di forza tra Stati nazionali e istituzioni comunitarie. Il cerimoniale dell’incontro è stato definito con un delegato del gabinetto del Presidente del Consiglio europeo Michel. Ad Erdogan non è parso vero di enfatizzare il rapporto con gli Stati, mettere in difficoltà la Commissione e umiliare una donna. Per questo è giusto chiamare in parlamento Michel per un chiarimento, come ha fatto la capogruppo dei Socialisti e Democratici Iraxte Garcia. Insieme ad altri parlamentari, inoltre, abbiamo scritto sempre a Michel per chiedergli un passo indietro. “Non accettiamo che le nostre istituzioni debbano prostrarsi di fronte a un regime ostile allo stato di diritto”. Così nella interrogazione scritta a più mani.
Una bruttissima pagina per l’Europa che però svela una fragilità ancora più grave, quella di un continente vittima degli egoismi nazionali che non fanno cogliere la gravità della situazione geopolitica ai nostri confini. Una Unione politica debole e ricattabile. La Turchia è proprietaria delle chiavi della rotta balcanica, la sola minaccia della riapertura dei cancelli della Tracia ai profughi siriani ci zittisce. Così come la necessità di garantire l’arrivo per i prossimi anni del gas russo e azero attraverso le infrastrutture di Turkstream e Tanap/tap.
Agitare la leva dello stato di diritto a seconda della forza economica e militare dell’interlocutore trasforma in retorica afona i nostri principi. Ad Ankara è andata in scena la peggiore Europa e le parole di Draghi hanno certificato il livello delle nostre ambizioni e delle cose che abbiamo da dire sullo scenario globale. Qualche affare e poco altro.
Il caso.
Draghi: «Erdogan un dittatore, von der Leyen umiliata». La rabbia di Ankara
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu reagisce con durezza e e definisce il premier italiano "nominato". Convocato l’ambasciatore italiano
di Redazione Internet (Avvenire, 09 aprile 2021)
Non si placa la bufera sul "sofagate" al palazzo presidenziale di Ankara, con il premier Mario Draghi che ieri sera ha usato parole durissime contro il leader turco. «Non condivido assolutamente Erdogan, credo che non sia stato un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dovuto subire», ha premesso il presidente del Consiglio, per poi aggiungere: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono», ha sottolineato Draghi, «di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio».
Immediata e di fatto rabbiosa la reazione della Turchia. «Condanniamo con forza le affermazioni brutte e senza controllo del primo ministro italiano nominato Mario Draghi sul nostro presidente eletto» Recep Tayyip Erdogan. Lo ha detto il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che con quel termine "nominato" sembra proprio voglia sminuire in qualche modo il premier, forse ignorando la Costituzione italiana. E, contemporaneamente, Ankara ha convocato l’ambasciatore italiano ad Ankara, Massimo Gaiani.
In mattinata, dopo il fuoco di fila di accuse, la Turchia era uscita allo scoperto e aveva rimandato al mittente le critiche sul ’machismo protocollare’ di Erdogan, che agli occhi dell’Europa si sarebbe compiaciuto nel lasciare in disparte von der Leyen, facendola sedere su un sofa, riservando invece solo a Charles Michel una poltrona al suo fianco.
«Accuse ingiuste. Durante l’incontro è stato rispettato il protocollo». Gli staff di Turchia e Ue «si sono incontrati prima della visita e le loro richieste sono state soddisfatte», è stata la versione del ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu.
Ma il rimpallo di responsabilità continua. Allo staff del cerimoniale, ha insistito Bruxelles, è stato negato il sopralluogo definitivo.
Come se non bastasse, è emerso che al pranzo ufficiale della visita si è rischiato un altro clamoroso incidente: il tavolo era apparecchiato per 5 persone su ciascun lato, con due poltrone d’onore di fronte, una per Michel e l’altra per Erdogan, mentre a Von der Leyen era stata riservata una sedia più piccola, alla destra di Michel. Uno sgarbo evitato solo in extremis. Ad accompagnare Michel al tavolo c’erano poi due consiglieri diplomatici, mentre von der Leyen era stata lasciata sola. Un pasticcio anche qui tamponato all’ultimo, aggiungendo una sedia per un membro del suo staff. E persino la foto istituzionale escludeva inizialmente la presidente della Commissione, richiamata alla fine, secondo un documento interno del Consiglio, su «suggerimento» di Michel.
«In questa situazione, ci saremmo aspettati che i due ospiti si fossero accordati tra loro», hanno spiegato all’Ansa fonti governative turche, facendo trapelare l’immagine di leader Ue che sgomitano per apparire al centro della scena. Ma la giustificazione sul rango formalmente superiore di Michel non soddisfa. In termini di protocollo, ha sottolineato il portavoce dell’esecutivo Ue, Eric Mamer, i «presidenti della Commissione e del Consiglio europeo sono trattati nello stesso modo». Resta in ogni caso il peso simbolico della questione di genere. Nel colloquio con Erdogan, ha sottolineato Bruxelles, von der Leyen ha parlato della Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere, «e dei diritti delle donne».
Le ricostruzioni rendono comunque sempre più scomoda la posizione di Michel, che anche oggi è tornato a «deplorare» l’accaduto parlando di «immagine disastrosa». Ora dopo ora, cresce il fronte che ne invoca le dimissioni. E c’è già chi vede una macchia indelebile in vista del rinnovo della sua carica, tra poco più di un anno. In bilico sembra anche l’ambasciatore Ue ad Ankara, il tedesco Nikolaus Meyer-Landrut.
Intanto, il caso è destinato a finire al Parlamento europeo. Dopo la condanna unanime, dai maggiori gruppi è arrivata la richiesta di un dibattito in plenaria per far luce sull’accaduto.
«La visita ad Ankara avrebbe dovuto rappresentare un messaggio di fermezza e unità dell’approccio dell’Europa alla Turchia. Purtroppo, si è tradotta in un simbolo di disunione, poiché i presidenti non sono riusciti a stare insieme quando era necessario», ha attaccato il presidente del Ppe, Manfred Weber. A sollecitare una discussione con von der Leyen e Michel è stata anche la presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), Iratxe Garcia Perez, che ha ricordato: «L’unità dell’Unione europea e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle donne, sono fondamentali».
Proteste e polemiche, al di là di Draghi, infuriano anche in Italia. La condanna dei gruppi parlamentari sul sofagate è unanime. E a Montecitorio il Partito democratico ha manifestato il suo sconcerto lasciando una sedia vuota al centro dell’emiciclo per denunciare quella che Beatrice Lorenzin ha definito «un’offesa a tutte le donne ed all’Unione Europea».
#MATEMATICA #QUESTIONE ANTROPOLOGICA E #TRANSIZIONE CULTURALE. #Europa #Turchia e vera #diplomazia. La punta di un iceberg
Europa, Turchia e vera diplomazia.
A volte bisogna «offendersi»
di Andrea Lavazza (Avvenire, giovedì 8 aprile 2021)
Fra le armi della diplomazia deve essere compreso pure l’offendersi. Non l’offendere, ma usare l’onta subita come strumento politico. E l’Unione Europea razionale e ragionevole, abituata alle mediazioni, ha bisogno di riscoprire un sentimento che può essere utilmente incanalato nelle relazioni internazionali. Si doveva offendere, martedì, Charles Michel, presidente del Consiglio Ue fatto sedere in poltrona a fianco dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, mentre la leader (donna) della Commissione di Bruxelles era invitata a prendere parte ai colloqui da un divano più distante, a fronte del ministro degli Esteri di Ankara. Si è offesa Ursula von der Leyen, lo si intuisce dal video circolato in maniera virale solo ieri mattina, ma non lo ha manifestato indirettamente attraverso il suo portavoce se non quando il caso è esploso.
Eppure, il protocollo delle visite dovrebbe essere chiaro. Si trova in Rete un precedente eloquente: nel 2015, lo stesso Erdogan ricevette Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, due uomini, predecessori di Von der Leyen e Michel, e li fece accomodare sullo stesso tipo di seduta vicino a sé. Il protocollo ufficiale può essere soltanto una cortesia di facciata, ma a volte nasconde elementi sostanziali. Troppo facile richiamare ora il fatto che la Turchia ha appena lasciato la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Offendersi significa non permettere che uno strappo al cerimoniale diventi pubblica accettazione di un trattamento irrispettoso e sostanzialmente inaccettabile. Quello che ci dice il ’sofa-gate’ (’il caso del divano’, come è già stato etichettato) riguarda il merito di un atteggiamento che non possiamo tollerare perché va a braccetto con una serie di altre violazioni dei diritti, queste sì concretissime e non solo formali, che il governo di Erdogan va compiendo. Con tutti si deve discutere e trattare, ma non con tutti si può abbozzare.
Tollerare che la guida di una delle istituzioni europee sia oggetto di una discriminazione perché donna (anche se ora qualche giustificazione sarà accampata per smentire questa lettura dell’episodio) può essere una metafora di peggiori concessioni. Offendersi, tutti, è pertanto la risposta corretta a un affronto che forse è proprio mirato a misurare la fermezza dell’interlocutore.
La delegazione europea si era presentata ad Ankara disposta a riallacciare un faticoso dialogo, reso impervio negli ultimi anni dall’espansionismo turco nel Mediterraneo - le trivellazioni in acque cipriote e greche e la penetrazione in Libia -, dalla dura repressione dell’opposizione interna e della minoranza curda e dal ricatto continuamente esercitato sul tema migranti. Il Paese asiatico ospita circa quattro milioni di profughi in prevalenza siriani in fuga dalla guerra, per i quali ha già ottenuto 6 miliardi di euro dall’Unione. Adesso vorrebbe una nuova tranche di finanziamenti per dare la garanzia di non aprire le frontiere e fare partire i migranti verso l’Europa. In cambio di questo ’filtro’ altre contropartite potrebbero arrivare da Bruxelles nel summit programmato per giugno. Se non ci offendiamo per lo sgarbo, significa che di Erdogan abbiamo bisogno fino a quel punto?
Il progetto di ingresso della Turchia nella Ue è oggi ormai tramontato, eppure sembra sbagliata anche la disponibilità a forme rafforzate di partnership davanti a un interlocutore che non accetta - anzi, ribadisce pubblicamente di rifiutare - valori e obiettivi a noi cari, a partire dal rispetto delle donne.
Nel giorno in cui il premier pachistano Imran Khan ha ricondotto la crescita degli stupri nel suo Paese al modo volgare di vestire delle donne, che creano tentazioni negli uomini, offendersi è la reazione adeguata, non soltanto emotiva e transitoria, ma come atteggiamento che guida una giustificata e ferma risposta. Come quella che, per esempio, l’Europa ha dato alla Cina sulla persecuzione degli uighuri nello Xinjiang, varando sanzioni che hanno punto sul vivo Pechino. A dimostrazione che l’Unione prende sul serio la difesa dei diritti umani nel mondo.
La capacità di offendersi può costituire lo stimolo per essere sempre coerenti e non cedere all’opportunismo che qualche volta induce a sopportare in silenzio. Era già accaduto all’inizio di febbraio con l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, preso a male parole durante un viaggio a Mosca, mentre la Russia, senza avvertirlo, espelleva alcuni diplomatici comunitari.
Anche allora nessuna indignazione manifesta. Un segnale di debolezza, forse sperando che fare finta di nulla e non rompere gli equilibri paghi più di una reazione piccata. Le relazioni internazionali non si fanno con clamorosi abbandoni di un vertice delicato, è ovvio. Ma una diplomazia efficace e di cui essere orgogliosi - ecco un altro sentimento del quale sentiamo talvolta la mancanza - passa dal sapersi offendere nel modo giusto. ’Signor presidente Erdogan, serve una poltrona per la presidente Von der Leyen. Subito’.
La marcia su Roma.
Il dovere di evitare gli errori del 1921
di Giorgio Campanini (Avvenire, mercoledì 7 aprile 2021)
Sta passando sotto silenzio - anche per il ’blocco’ di non poche ricerche derivante dal tragico fenomeno epidemico che sta aggredendo il nostro Paese - il centenario del 1921 che, apparentemente, è solo parente povero del fatidico 1922, dell’anno, cioè, della cosiddetta ’marcia su Roma’ (che, come noto, marcia non fu...).
Ma non è fuori luogo - non solo per gli storici di professione, bensì per chiunque abbia a cuore le sorti della democrazia nel nostro Paese - riandare a quel 1921 che per molti aspetti può essere considerato non solo l’anticamera ma il ’brodo di cultura’ del successivo avvento al potere del fascismo. Il 1921 è stato l’anno delle radicali incomprensioni, da parte di pressoché tutti i componenti la classe dirigente di allora, della subdola pericolosità del fascismo.
Da ogni parte ci si illuse che si trattasse di un fenomeno passeggero, che sarebbe stato ben presto spazzato via e si sottovalutò fortemente il diffuso senso di disagio, e talvolta la vera e propria ’fuga dalla politica’ di vaste componenti di un Paese prostrato da una lunga guerra, vittoriosa, certo, sul piano militare ma prosciugatrice delle sue energie di base. Il 1921 è stato l’anno dei «veti incrociati»; il ’no’ dei socialisti ai liberali, dei popolari nei confronti degli uni quanto degli altri, sullo sfondo delle incertezze di una Monarchia incapace di rappresentare una guida per il Paese e in contesto di vita sociale caratterizzata da diffuse inquietudini, da continui scioperi, da persistenti aggressioni, dall’affermarsi di fazioni l’una contro l’altra armate...
È impossibile paragonare il 1921 con l’attuale situazione del Paese Italia? Vorremmo sperarlo, con le ’ragioni del cuore’, ma non così è per le ’ragioni della ragione’. Queste ultime ci dicono che l’esasperata conflittualità delle forze politiche - all’esterno fra loro, all’interno fra le varie correnti - non riesce a essere temperata nemmeno dall’obbligo di sostenere uno stesso governo: ancora oggi nulla è più lontano da un sereno confronto fra le opinioni, da un misurato ragionare sulle cose da fare e sui problemi da affrontare, da una valutazione obiettiva delle questioni sul tappeto, indipendentemente dagli interessi elettorali di ciascuna delle parti.
La forte frammentazione delle forze in campo - stando almeno alle indagini sondaggistiche, pur con tutti i limiti che le caratterizzano - è davanti agli occhi di tutti. Al pacato dialogo sta succedendo, anche all’interno dei partiti, grandi o piccoli che siano, una sorta di rissa continua. Un solo esempio: le condizioni del Pd sottolineate dalle dimissioni di Nicola Zingaretti dalla carica di segretario appaiono, alla luce delle riflessioni rapidamente svolte, veramente emblematiche: le risse interne hanno raggiunto un livello che vorrebbe essere di ’non ritorno’, ma che quasi certamente non sarà tale, nonostante il piglio con cui il nuovo segretario Enrico Letta ha preso il timone.
È arbitrario evocare, su questo sfondo, lo spettro del 1921? È ben vero che milita a favore dell’ottimismo una Carta costituzionale ben delineata e ferma, a differenza di uno Statuto, quello vigente del 1921, arcaico e superato; non vi è dubbio che la coscienza civile degli italiani è, nonostante tutto, più matura che non un secolo addietro; e non si vedono all’orizzonte, per fortuna, ’uomini forti’ della statura di un Lenin, di un Mussolini, di un Hitler. E tuttavia la storia del Novecento rivela quanto siano stati numerosi - e talora di assai modesto livello, come un Franco o un Pètain - i leader politici che hanno goduto di vasta popolarità e gestito, talvolta assai a lungo, il potere. Non ci si illuda, dunque, che si possa continuare all’infinito in una ’lotta continua’ tra partiti diventati spesso un’accozzaglia di ’fazioni’ fra loro contrapposte.
La storia del 1921 sta lì ad ammonire che la democrazia è per la sua stessa natura sempre a rischio. La lezione del passato - pur in un contesto profondamente diverso - non può essere dimenticata da chi dovrebbe battere la via dell’interesse del Paese e non quello personale e del proprio partito. Per questo, e non solo per i fondi del grande piano europeo di ripresa dopo la pandemia, il governo Draghi è un’occasione seria.
PER UN "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") COSTITUZIONALE ....
Una nota a margine dell’art. di Sara Nocent e Davide Amato, "Draghi, un messia “tecnico”?", Sinistrainrete, 02 April 2021).
SE E’ VERO CHE, "ANCORA UNA VOLTA, chi trova soluzioni alternative al neoliberismo è bandito dalla stanza dei bottoni", è ALTRETTANTO VERO CHE RIPETERE CON Adorno e Horkheimer, che “la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura”, porta tutti e tutte ancor di più nel buio dell’inferno.
Si è mai chiarito perché il Marx del "Capitale. Critica dell’economia politica", come il Marx della "Prefazione" a "Per la critica dell’economia politica", richiami Dante (è solo l’eco mnemonico di letture giovanili?) o, ancora, in un "banale" ritornello nei suoi lavori associ alla parola "economia politica" sempre la parola "critica"?! Non è perché il suo discorso ha qualche legame con il lavoro del Kant della "Critica della Ragion Pura", "Critica della Ragion Pratica", "Critica del Giudizio"!?
Se "Oggi tutti sono pazzi per Draghi", forse, c’è qualche motivo - per esempio, un motivo storico-costituzionale di lunga durata: "Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro" (Mario Draghi, discorso al Senato, 17.02.2021)!
DRAGHI, UN MESSIA "TECNICO"?! NON è TEMPO, FORSE, DI CHIARIRSI LE IDEE SU "CHI SIAMO IN REALTà" e, finalmente, riprendere con Marx la via della CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA" DELLA RAGIONE ATEA E DEVOTA. O no?!
«Il Mose è lo scandalo mondiale sulle opere pubbliche più grande della nostra storia recente»
Disastro annunciato: hanno pagato, si fa per dire, i corrotti. Ma gli incompetenti non saranno chiamati a risponderne
di Massimo Cacciari (L’Espresso, 05 Aprile 2021) 05 Aprile 2021
Occorre purtroppo continuare a parlare del Mose poiché si tratta del più grande scandalo mondiale in tema di lavori pubblici nell’intera storia del secondo dopoguerra. E di una vergognosa devastazione di risorse del nostro Paese che dura ormai da un trentennio. La parte destinata a corruzione e tangenti, passata quasi in giudicato, è quella quantitativamente meno rilevante. Sono le deficienze complessive del progetto, sotto tutti i profili, che sono costate miliardi di euro e continueranno a costarli, se si vuole in qualche modo «salvare» l’opera, almeno nel senso che di quando in quando le paratoie possano sollevarsi. Di tutto potrei stupirmi fuorché della denuncia della dottoressa Ramundo e del professor Paolucci.
Loro illustri colleghi avevano già ricordato cose analoghe fin da quando il progetto delle dighe mobili venne approvato. Che dico approvato! Esaltato, magnificato, sostenuto contro ogni evidenza da tutti i governi e tutti i ministri dei Lavori Pubblici succedutisi nel Bel Paese tra anni ’90 e nuovo millennio. Con la complicità della totalità o quasi dei media nazionali. E contro le posizioni, i documenti, le analisi, gli studi promossi dalle Amministrazioni comunali che ho diretto, 1993-2000, 2005-2010. Chi è interessato, può facilmente rintracciare tutta la documentazione, presentata a Comitati tecnici, Consigli superiori dei Lavori Pubblici, Corte dei Conti, provveditori e ministri di ogni colore. Tutti sapevano, o sarebbero stati tenuti a sapere.
Votai contro, unico, in Comitato inter-ministeriale per la salvaguardia di Venezia, mettendo agli atti le ragioni del mio radicale dissenso, e mi arresi. Il fronte era invincibile, dal Governo alla Regione, Galan e Zaia, dalle Associazioni di categoria tutte, alla Confindustria, alla stragrande maggioranza di tecnici impiegati dal Consorzio, a tv e giornali (con la lodevole eccezione della Nuova Venezia),e via cantando. Capitolo ben triste della storia civile patria.
Il problema della corrosione, drammatico come si evince dalle parole di Ramundo e Paolucci, è uno dei tanti irrisolti. Vi è quello del traffico portuale. Vi è quello del soggetto che dovrebbe gestire il sistema e decidere del suo funzionamento in condizioni critiche. Vi è quello straordinario della manutenzione in generale.
Quando il sottoscritto chiedeva disperatamente ne venisse esplicitato il costo, si parlava di 30-40 milioni all’anno, ora questa cifra dovrà essere almeno raddoppiata. Chi scoverà queste risorse per i prossimi anni, nella situazione in cui si trova il Paese? E senza manutenzione il Mose semplicemente si disfa, come risulta chiaro dalle lettere di dimissioni dei due ex consulenti. Chi dovrà pagare per questo annunciato disastro? Finora hanno pagato, si fa per dire, soltanto corrotti e corruttori. Ma incompetenti lautamente remunerati e compagnia bella non devono pagare? Chi ha fatto il collaudo non si è accorto della qualità dei materiali utilizzati? Chi doveva dirigere il tutto non ha avuto notizia della mancata manutenzione? Come salvare il salvabile?
Un’unica via: trovare i soldi necessari per fare tutto quello che Ramundo e Paolucci direttamente e indirettamente richiedono e affidare a loro o a gente seria come loro, che non deve obbedire a nient’altro che alla propria coscienza, il lavoro da fare e la gestione dell’opera.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
FLS
Rivoluzione scientifica (Copernico, "De Revolutionibus orbium coelestium", 1543) e antropologica (Giovanni Valverde, "Anatomia", 1560):
#ACHEGIOCOGIOCHIAMO?! #TRACCE PER UNA #SVOLTA_ANTROPOLOGICA.
#EUROPA #SPAGNA #DUE ANNI DOPO LA MORTE DI #CARLOV nel 1560, in #Italia, a #Roma si pubblica il testo di #Anatomia di #GiovanniValverde: si riconosce il ruolo attivo della donna nella #concezione del problema #comenasconoibambini
La sollecitazione di #Michelangelo (1512), #GiovanniValverde (1560), #LuigiCancrini (2005) e #MarioDraghi (2021) a finirla con "il farisaico rispetto della #legge"
#VITAEFILOSOFIA. #COMENASCONOIBAMBINI (#ENZOPACI). Fermare il #giogo, #uscire dall’orizzonte della #tragedia e imparare a #contare
FLS
Ricostruire l’Italia, con il Sud
Se si vuole davvero avviare la ricostruzione del Paese, il Piano di Rilancio deve coniugare sviluppo e coesione sociale, riducendo le disparità e valorizzando il Mezzogiorno.
di AA.VV. (Il Mulino, 09-03.2021) *
L’Italia si trova di fronte all’occasione irripetibile di avviare la sua «ricostruzione» coniugando sviluppo e coesione sociale, per giocare un ruolo di primo piano nell’Europa del prossimo decennio.
Per tale ragione, a nostro avviso, l’obiettivo di ridurre le disparità di genere, generazionali e territoriali - per molti aspetti strettamente collegate nelle aree più deboli del Paese - dev’essere al centro del Piano di Rilancio e di tutti i suoi interventi, coerentemente con la complessiva impostazione comunitaria del programma Next Generation EU.
Dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno dev’essere un grande obiettivo del Piano: per la rilevanza dei divari interni al Paese, che in base ai criteri di riparto comunitari hanno determinato la dimensione del finanziamento destinato all’Italia; per motivi di uguaglianza fra i cittadini e di rispetto del dettato costituzionale; per motivi di efficienza economica: gli investimenti nel Mezzogiorno hanno un moltiplicatore più elevato e determinano impatti sull’attività produttiva dell’intero sistema nazionale.
Il recupero del ritardo accumulato dall’Italia in Europa si supera tenendo insieme le parti del Paese in una strategia di sviluppo comune. Come nella logica del Next Generation EU, il Piano deve valorizzare le complementarità e le interdipendenze produttive e sociali tra i Nord e i Sud, riconoscendo che i risultati economici e il progresso sociale dei Nord dipendono dal destino dei Sud e viceversa. Nella sua attuale formulazione il Piano non dà garanzia che le sue risorse saranno investite con questo indirizzo, e ancor meno che ci saranno effetti sulla riduzione delle disparità e sulla crescita del Mezzogiorno e quindi dell’intero Paese. Per questo, a nostro avviso, il Piano dovrebbe essere riformulato:
La semplice allocazione di risorse non garantisce tuttavia il cambiamento del Sud e del Paese. Pertanto, a nostro avviso, il Piano dovrebbe anche:
Senza una migliore capacità amministrativa e coerenti politiche ordinarie i risultati conseguiti con il Piano non potranno essere mantenuti nel tempo, l’Italia non sarà davvero «ricostruita» e non potrà contare in Europa.
*
Laura Azzolina, Università di Palermo / Luca Bianchi, economista / Carlo Borgomeo, Fondazione con il Sud / Luciano Brancaccio, Università Federico II Napoli / Luigi Burroni, Università di Firenze / Domenico Cersosimo, Università della Calabria / Leandra D’Antone, storica / Paola De Vivo, Università Federico II Napoli / Carmine Donzelli, editore / Maurizio Franzini, Università La Sapienza Roma / Lidia Greco, Università di Bari / Alessandro Laterza, editore / Flavia Martinelli, Università Mediterranea Reggio Calabria / Alfio Mastropaolo, Università di Torino / Vittorio Mete, Università di Firenze / Enrica Morlicchio, Università Federico II Napoli / Rosanna Nisticò, Università della Calabria / Emmanuele Pavolini, Università di Macerata / Francesco Prota, Università di Bari / Francesco Raniolo, Università della Calabria / Marco Rossi-Doria, maestro / Isaia Sales, Università S. Orsola Benincasa Napoli / Rocco Sciarrone, Università di Torino / Carlo Trigilia, Università di Firenze / Gianfranco Viesti, Università di Bari
Draghi: c’è tanto da fare per parità di genere a livelli Ue
Il videomessaggio del premier. Mattarella alla cerimonia per l’8 marzo: uomini e donne uniti contro violenze e soprusi
di Redazione Internet (Avvenire, lunedì 8 marzo 2021)
Sergio Mattarella ha aperto il suo intervento per l’8 marzo leggendo una lista di nomi di donna, dodici, tutte uccise dall’inizio dell’anno. Un elenco impietoso di dati con il quale il presidente della Repubblica ha voluto ricordare al Paese quale sia ancora la situazione della violenza contro le donne e quanto sia "impressionante": -"Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella Sono state uccise undici donne, in Italia, nei primi due mesi del nuovo anno. Ora siamo di fronte a una dodicesima uccisione: quella di Ilenia. L’anno passato - ha precisato Mattarella - le donne assassinate sono state settantatre".
"La diffusione del Covid-19, come sempre accade nei periodi difficili, ha colpito maggiormente le componenti più deboli ed esposte. Le donne tra queste. Dal punto di vista occupazionale anzitutto. Secondo l’Istat abbiamo 440mila lavoratrici in meno rispetto a dicembre 2020. Mentre sono a rischio un milione 300 mila posti di lavoro di donne che lavorano in settori particolarmente colpiti dalla crisi". Lo ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, da sempre vigile e attento sul tema, che anche quest’anno ha voluto dedicare alle donne e all’8 marzo una cerimonia dalle stanze del Quirinale.
"Va acceso un faro sulle forme - meno brutali, ma non per questo meno insidiose - della cosiddetta violenza economica, che esclude le donne dalla gestione del patrimonio comune o che obbliga la donna ad abbandonare il lavoro in coincidenza di gravidanze. Pensiamo all’odioso ma diffuso fenomeno della firma delle dimissioni in bianco. Questioni gravi, che incidono profondamente sulla vita delle donne. Questioni che richiedono il coinvolgimento attivo di tutti: uomini e donne, uniti, contro ogni forma di sopraffazione e di violenza, anche se larvata", ha proseguito Mattarella, in occasione della Festa della donna.
Il videomessaggio del premier Draghi: moltissimo da fare per la parità genere
"A fronte dell’esempio di molte italiane eccezionali in tutti i campi, anche nella normalità familiare, abbiamo molto, moltissimo da fare per portare il livello e la qualità della parità di genere alle medie europee. La mobilitazione delle energie femminili, un non solo simbolico riconoscimento della funzione e del talento delle donne, sono essenziali per la costruzione del futuro della nostra nazione"
"Oggi, per le vittime dei troppi femminicidi e anche come reazione prodotta dalla pandemia, sembra formarsi una nuova consapevolezza che trova un’opportunità straordinaria nel programma NextGeneration EU per diventare realtà nell’azione di governo, del mio governo. Tra i vari criteri che verranno usati per valutare i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci sarà anche il loro contributo alla parità di genere. È con questo spirito di fiducia nel nostro, nel vostro, futuro e con l’impegno di questo governo a conquistarsela, che vi auguro buon 8 marzo".
Così il premier, Mario Draghi, in un videomessaggio alla Conferenza Verso una Strategia Nazionale sulla parità di genere, promossa dalla Ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti.
Se ogni anno l’8 marzo è la Giornata internazionale della Donna, in tempo di Covid dovrebbero esserlo ancora di più. La pandemia infatti ha peggiorato la vita delle donne che si sono trovate a gestire le difficoltà quotidiane, spesso perdendo il lavoro e che hanno subìto - se possibile - ancora più violenze, costrette tra le mura di casa.
Anche il ministero dell’Economia e delle Finanze partecipa alle iniziative della campagna #ChooseToChallenge ("Scegli di sfidare", promossa dal network di cooperazione e sensibilizzazione sui valori di parità di genere IWD (International Women’s Day), illuminando di viola (scelto quest’anno come simbolo cromatico di giustizia e dignità) la facciata del Palazzo delle Finanze in via XX Settembre per una settimana.
Anche le istituzioni europee celebreranno la giornata con due ospiti d’eccezione: la vice presidente Usa Kamala Harris e la premier della Nuova Zelanda Jacinda Ardern interverranno alla plenaria del Parlamento Ue tramite video-messaggi, come annunciato dal presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.
Le parole però si infrangono davanti ai fatti e ai numeri, come quelli evidenziati dal report della Polizia criminale che vede in aumento al 41,1% l’incidenza delle donne uccise nel 2020. "La violenza contro le donne è espressione di una cultura di potere e di subordinazione che deve essere estirpata dalle radici; una cultura che deve essere intercettata dalle prime, apparentemente piccole, manifestazioni per prevenirne tempestivamente le conseguenze più gravi", dice la ministra della Giustizia, Marta Cartabia.
A lanciare l’allarme è anche la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese che chiede alle donne vittime di violenza di denunciare subito perché "discriminazioni e violenze", prosegue la responsabile del Viminale "hanno conseguenze per l’intera società. Fino a minare le fondamenta della convivenza civile".
Difficile denunciare però per chi non ha neppure autonomia economica, situazione in cui le donne si trovano da troppo tempo e che la pandemia ha peggiorato. Secondo l’analisi dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop), nell’anno del Covid il 70% di tutti i posti di lavoro persi nel 2020 sono di lavoratrici e la situazione rischia di aggravarsi quando finirà il blocco dei licenziamenti previsto dal governo.
"Nella pandemia proprio le donne, lo dicono i dati, hanno pagato un prezzo più alto", conferma la psicologa Maddalena Cialdella. "Aumento drammatico dei femminicidi nel nostro Paese; posti di lavoro persi che al 99 per cento sono quelli della componente femminile della forza produttiva. E una condizione femminile generale ancora lontana da un orizzonte di diritti pienamente riconosciuti. Credo - conclude - sia arrivato il momento, non più procrastinabile di un cambio di passo".
QUESTIONE ANTROPOLOGICA E POLITICA: RIPENSARE COSTITUZIONE CITTADINANZA E SOVRANITA’. Uscire dal letargo : "Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge"(Mario Draghi).
Quale sovranità?
C’è chi chiede più sovranità, intendendo più autonomia di decisione, ma anche chi vorrebbe più iniziativa collettiva
di Andrea Ruggeri (Il Mulino, 04 marzo 2021)
E se fossimo tutti sovranisti? C’è chi inarcherebbe il sopracciglio al solo pensiero di essere paragonato ai sovranisti nazionalisti. Ma c’è confusione su cosa si intende per sovranità. Sia chiaro, quest’ambiguità non è né strettamente un fenomeno italiano, né di sviluppo recentissimo.
Queste note esplorano due domande, una analitica - cosa intendiamo per sovranità? - e una critica - possiamo illuderci che una sovranità condivisa, anziché solitaria, non abbia rischi?
Boris Johnson e Donald Trump - ma anche Matteo Salvini con il suo «prima gli italiani» - sono sovranisti che sostengono che «riprendersi il controllo» del processo decisionale sia sufficiente per tornare a essere pienamente sovrani e dare forma in maniera autonoma al futuro del proprio Paese. Sovranità intesa, dunque, come mantenimento delle decisioni dentro i confini nazionali: si è sovrani, se si è indipendenti nel decidere. E poi c’è chi crede che la sovranità si debba declinare come controllo delle politiche e degli effetti delle stesse. Per loro non è centrale il luogo ove si decide, ma essere sovrani è governare la politica o almeno influenzarla. Dunque, per (ri)prendere il controllo si deve non solo partecipare, ma anche pesare, nelle organizzazioni sovranazionali e multilaterali. Macron e Draghi potrebbero dunque rappresentare coloro che interpretano la sovranità anche come condivisone della stessa.
Ma, dunque, cosa intendiamo per sovranità? Nello studio della politica internazionale il concetto di sovranità è centrale, ma la sua ambiguità è palese, non solo poiché spesso si usa il termine per descrivere azioni sia di politica interna sia di politica estera, ma anche perché alcuni pensano che la sovranità si possa unicamente delegare, mentre altri che la si possa anche condividere. Alcuni si illudono che il concetto di sovranità sia chiaro e netto, per via del «mito fondativo» della sovranità legato alla pace di Vestfalia (1648). La sovranità vestfaliana, forse all’insaputa di molti oratori, è quella più utilizzata nei discorsi pubblici e che tendiamo a etichettare frettolosamente come sovranismo. Stephen Krasner definiva questa forma di sovranità come «un assetto istituzionale per l’organizzazione della vita politica che si basa sulla territorialità e sull’autonomia. Gli Stati esistono in territori specifici. All’interno di questi territori, le autorità politiche nazionali sono gli unici arbitri del comportamento legittimo». Altre caratteristiche chiave, spesso riportate, configurano la sovranità come eguaglianza formale fra Stati e indivisibilità della stessa.
Tuttavia, tantissimi autori hanno evidenziato come eguaglianza e indivisibilità della sovranità sono sfidati quotidianamente nel campo delle relazioni internazionali. David Lake, infatti, scrive che «la sovranità è divisibile e dividerla in passato non ha portato a un’erosione inesorabile del principio». Però, Krasner ha notato come oltre al concetto vestfaliano di sovranità, vi siano almeno altri tre concetti di sovranità, prossimi ma diversi. Primo, il grado di controllo esercitato dagli enti pubblici e dall’organizzazione dell’autorità entro i confini territoriali. Se l’autorità statale non riesce a proiettare il potere centrale, non c’è sovranità. Secondo, il grado di controllo esercitato dall’autorità interna sui movimenti transfrontalieri. L’incapacità di regolare il flusso di merci, persone e idee attraverso i confini territoriali è stata descritta come una perdita di sovranità. Terzo, la sovranità intesa come diritto di alcuni attori a concludere accordi internazionali, concetto sviluppato e utilizzato principalmente dagli studiosi di diritto internazionale. Gli Stati sovrani possono stipulare trattati. Ecco un’ambiguità analitica: la sovranità può essere intesa come controllo della politica interna, ma anche come relazione esterna fra entità sovrane. Tuttavia, John Agnew, coniando il termine «la trappola territoriale», faceva giustamente notare che la politica interna, e dunque la sovranità interna, non è indipendente dalla politica esterna ed estera: ci illudiamo che i confini possano difenderci da scelte esterne e cadiamo nella fallacia di dividere nettamente tra politica interna ed estera.
Kenneth Waltz, acuto analiticamente ma con un punto di vista parziale e profondamente americano, scriveva che fra Stati sovrani «nessuno ha il diritto di comandare; nessuno deve per forza obbedire». Ma quest’eguaglianza è chiaramente solo formale. Un fatto è dirsi sovrano perché si hanno personalità giuridica e organi decisionali, un altro è essere liberi dalle scelte e dalle politiche adottate da altri Paesi. Infatti, sebbene l’istituzione della sovranità affermi il principio di non intervento negli affari di altri Stati, l’intervento è sempre stato una caratteristica degli affari internazionali. Dunque, Krasner definì la sovranità vestfaliana come un’«ipocrisia organizzata», una pratica contraddittoria dove si afferma l’inviolabilità dei confini territoriali, ma si continua a intervenire negli affari altrui. Questa sovranità ipocrita, in un mondo meno globalizzato e con alleanze internazionali ben salde, era meno problematica per Paesi come l’Italia. Oggi, invece, l’influenza e gli effetti di soggetti esteri sono più forti, soprattutto se si rimane ancorati solamente a una visione della sovranità vestfaliana.
David Lake sottolinea un’ulteriore differenza analitica importante: si può delegare sovranità a un’organizzazione internazionale, ma vi può anche essere il raggruppamento della sovranità in sede internazionale. Nel delegare sovranità alle organizzazioni internazionali, gli Stati concedono loro porzioni di sovranità per eseguire determinati compiti limitati. Mettendo in comune l’autorità - raggruppamento della sovranità - all’interno delle organizzazioni internazionali, gli Stati trasferiscono l’autorità di prendere decisioni vincolanti da se stessi a un corpo collettivo di Stati all’interno del quale possono esercitare più o meno influenza. Oggi, secondo Lake, gran parte delle preoccupazioni riguarda la messa in comune di sovranità, piuttosto che la sua delega. E aggiunge che quando si parla di Unione europea più che cedere sovranità, si raggruppa sovranità.
A scopo esplicativo, per elaborare quanto scritto sopra sul concetto di sovranità, riprendo alcuni interventi recenti nel dibattito pubblico da parte di due presidenti del consiglio: Giuseppe Conte e Mario Draghi. Nel suo discorso alla Camera per la fiducia nel giugno del 2018, Conte dichiarava: «Le forze politiche che integrano la maggioranza di governo sono state accusate di essere populiste e antisistema. Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo». Per Conte il nodo centrale della sovranità è dove essa risiede, nel popolo. Nel suo discorso di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York nel settembre 2018, Conte, per respingere alcune accuse contro il governo giallo-verde, ribadiva l’importanza di chi detiene la sovranità: «quando qualcuno ci accusa di sovranismo e populismo amo sempre ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall’articolo 1 della Costituzione italiana, ed è in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità e il suo esercizio da parte del popolo». Dimenticava, Conte, la seconda parte dell’articolo 1, «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Dove i membri della costituente chiaramente intesero, dopo un tragico conflitto mondiale, la possibilità e necessità di poter delegare sovranità per guadagnarne in cooperazione. Conte espresse allora un sostegno al concetto di sovranità come indipendenza decisionale, focalizzandosi sull’aspetto procedurale - chi decide e dove - ma recentissimamente ha condiviso l’idea che vi sono situazione e circostanze in cui si può cedere sovranità a organizzazioni sovranazionali.
Conte, nella sua lectio all’ateneo fiorentino del 26 febbraio 2021, sembra dunque parzialmente rivedere cosa si debba fare con la sovranità: «Abbiamo sempre più integrato i nostri sistemi economici, i nostri modelli educativi, le nostre legislazioni sociali, cedendo spazi di sovranità e trasferendo competenze via via sempre più importanti dagli Stati all’Unione». La sovranità rimane nazionale, ma parziali deleghe possono avvenire per poter affrontate sfide contemporanee. Non è dunque esplicitata una necessità di sovranità collettiva, ma un’esigenza -dato il contesto - semmai di delega.
Draghi, invece, è tetragono sul valore di una sovranità condivisa, o, come Lake direbbe, di «raggruppamento della sovranità», che si concentra di più sul risultato delle politiche, anziché sul processo decisionale. Draghi, nel suo discorso a Bologna nel 2019 per il conferimento di una laurea ad honorem, così definiva chiaramente la sua idea di sovranità: «La vera sovranità si riflette non nel potere di fare leggi - come vorrebbe una definizione giuridica - ma nella capacità di controllare i risultati e rispondere ai bisogni fondamentali delle persone. [...] La capacità di prendere decisioni indipendenti non garantisce ai Paesi tale controllo. In altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità».
Ed ecco che il passaggio succinto sulla sovranità nel suo discorso per la fiducia del suo esecutivo, forse in questo contesto può guadagnare ulteriore chiarezza: «Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa [...] Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere».
Sembra chiaro che il vulnus stia nel credere che «riprendere il controllo» e poter decidere indipendentemente si traducano nel poter plasmare il proprio futuro. In questo caso la sovranità viene declinata essenzialmente come processo decisionale, interno ai confini nazionali, anziché come effetto delle decisioni stesse. Ci si illude che potendo dire quel che si vorrebbe fare od ottenere - senza confrontarsi con altri - porti a fare e ottenere ciò che si vuole. Oggi, un’Italia che mirasse a una sovranità solitaria, in realtà non sarebbe sovrana perché sarebbe alla mercé della potenza egemone di turno. Oggi gli Stati Uniti, domani forse la Cina.
Se un sovranismo vestfaliano, di stampo indipendentista o nazionalista, è solamente frutto di un’ambiguità analitica o di un malinteso storico - o al massimo di una miopia retorica e strumentale- possiamo illuderci che una sovranità condivisa, anziché solitaria, non abbia rischi? L’interdipendenza economica di oggi è una realtà consolidata e le sfide globali, dal terrorismo transnazionale alle pandemie globali, fino al cambiamento climatico, non possono essere risolte dai singoli Paesi. Dunque, si può puntare al rafforzamento della sovranità - intesa come capacità di controllare i risultati - raggruppando autorità e risorse in organizzazioni sovranazionali, in primis, come l’Unione europea.
Tuttavia, anche in questo caso si rischia di cadere in una fallacia sovranista, ma di delega. La politica e dunque l’importanza della sovranità, è decidere «chi ottiene cosa, quando e come», come sosteneva Harold Lasswell. E dunque mettere insieme risorse per affrontare un’arena internazionale sempre più complessa e attori sempre più competitivi non può giustificare una delega in bianco, senza sviluppare al contempo e ulteriormente istituzioni e strumenti di controllo e partecipazione da parte della cittadinanza. Ma devono essere chiari ai cittadini quali benefici e politiche si potranno guadagnare e perseguire attraverso questa sovranità condivisa. E i benefici ottenuti dovranno essere diffusi e condivisi. La questione centrale non è dunque essere per il sovranismo o essere contro di esso, ma quale sovranità si vuole ottenere e come gestirla collettivamente, non solo in Europa, ma anche in qualità di cittadini.
Alla Camera.
Fiducia-bis per il governo Draghi: 535 sì, 56 contrari
A favore Pd, Lega, Fi, Leu e la maggioranza del M5s, tranne 16 deputati dissidenti. Espulsione per i senatori 5 stelle che mercoledì sera hanno votato no alla fiducia
di Eugenio Fatigante (Avvenire, giovedì 18 febbraio 2021)
Draghi ha parlato di legalità e sicurezza "base per attirare investimenti", mentre "la corruzione è disincentivante sul piano economico per gli effetti depressivi sulla competitività e la concorrenza", è tornato sul tema della giustizia civile e penale per arrivare a un "processo giusto e di durata ragionevole in linea con la media degli altri paesi", ha ricordato quanto già affermato ieri sul turismo, che "merita sostegno", così come lo sport, un settore che ha sofferto e che deve ripartire. POi ha chiuso con questo auspicio: "Spero condividiate questo sguardo costantemente rivolto al futuro, che confido ispiri lo sforzo comune verso il superamento di questa emergenza sanitaria e della crisi economica. E che certamente caratterizzerà, nelle mie ambizioni, l’azione di questo governo".
Draghi ha seguito il dibattito seduto ai banchi del governo, tra i ministri degli Esteri e dell’Interno, Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese.
Infine la votazione, con l’esito alle 21.45:
il governo Draghi ha incassato la fiducia con 535 sì. I voti contrari sono stati 56 e 5 sono state le astensioni.
Si è trattato di un’altra votazione scontata, anche se quella di questa sera, come già mercoledì sera al Senato, non ha consentito a Draghi di superare il recente primato di voti, che resta saldamente nelle mani di Mario Monti: il nuovo esecutivo si è fermato infatti in Senato a 262 sì, a fronte dei 281 che ottenne il professore della Bocconi nel novembre del 2011, mentre a Montecitorio ottenne 556 sì. Draghi si posiziona al terzo posto per voti favorevoli al suo governo, dopo Monti e il governo Andreotti IV (del 1978) che ottenne 545 sì. Rispetto al primo esecutivo Conte, che nel 2018 ebbe 350 sì, quello di Draghi vanta 185 consensi in più. Lo scarto con il Conte bis (votato positivamente da 343 deputati) è oggi di 192 voti in più.
Alla Camera oggi 16 deputati pentastellati hanno votato contro la fiducia, altri 4 si sono astenuti e 12 non hanno partecipato al voto.
Hanno votato a favore Pd, Lega, Fi, Leu, i gruppi parlamentari più piccoli e la stragrande maggioranza del M5s. Hanno votato no FdI e il drappello di grillini dissidenti.
L’ampia fiducia del Parlamento al governo Draghi fa registrare la soddisfazione di Sergio Mattarella, che ha visto così accolto il suo "appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica".
Sedici giorni dopo questo appello risuonato al Quirinale, seguito al fallimento dell’esplorazione del presidente della Camera Roberto Fico, il governo è ufficialmente operativo.
Domani, venerdì, Draghi parteciperà al vertice dei leader del G7, poi nel weekend completerà la squadra di governo con le nomine i viceministri e sottosegretari.
La votazione al Senato
Al Senato hanno pesato, oltre ai 17 assenti (8 dei quali tra le file pentastellate), i 40 no: i 19, scontati, dell’intero gruppo di Fratelli d’Italia, l’unico all’opposizione, più 4 del misto, 2 di Liberi e Uguali e i 15 del Movimento 5 stelle, fra i quali l’ex ministro del Sud, Barbara Lezzi, Nicola Morra, attuale presidente della commissione Antimafia, ed Elio Lannutti.
E qui c’è da registrare la novità più forte della mattinata: dei 15 senatori grillini in questione è stata annunciata, su Facebook, l’espulsione dal Movimento da parte del capo politico reggente, Vito Crimi, per il quale con il loro gesto «si collocano, nei fatti, all’opposizione. Per tale motivo non potranno più far parte - ha proseguito Crimi - del gruppo parlamentare del Movimento al Senato. Ho dunque invitato il capogruppo a comunicare il loro allontanamento, ai sensi dello Statuto e del regolamento del gruppo». I diretti interessati già minacciano di rivolgersi ai tribunali per adire le vie legali.
Il discorso.
Per un "debito di futuro": il programma generazionale di Mario Draghi
di Francesco Riccardi (Avvenire, giovedì 18 febbraio 2021)
Non ha parlato di miliardi di euro, Mario Draghi, ieri in Senato. Perché, assai prima di quello monetario, oggi il vero debito da onorare è tra le generazioni. La responsabilità del presente è saper unire e governare competenze, energie e risorse per garantire una società e un pianeta migliore a chi oggi è più piccolo o ancora deve venire al mondo. È questo "debito di futuro" che il premier ha messo al centro del suo programma di governo, chiedendo la fiducia al Parlamento. Un debito che è insieme sociale, ecologico, umano.
Può sembrare un paradosso per un governo dell’emergenza, com’è questo, preoccuparsi del futuro anziché di uno stringente presente. Se però si legge in filigrana il discorso del presidente del Consiglio, la vera urgenza indicata è proprio quella di unire l’azione immediata con le riforme di lungo periodo, progettando - ora - per i decenni a venire. È lo spirito di chi è grato dei sacrifici compiuti dalla generazione che ha preceduto lui (e noi, baby-boomer) e sente il dovere di far fruttare quell’eredità, per consegnarla moltiplicata ai ragazzi di oggi e di domani. Senza che neppure uno di quei talenti resti sottoterra o vada disperso perché «ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti».
Così se l’urgenza immediata è il piano vaccinale da riorganizzare coinvolgendo tutti e l’avvio della riforma sanitaria in senso territoriale, la sollecitudine parallela è l’innalzamento del capitale umano. È la scuola: per far recuperare agli studenti ciò che hanno perso in termini di preparazione e crescita umana in questo anno di pandemia. Progettare nuovi percorsi che attraverso l’istruzione e la formazione - umanistica, scientifica e quella tecnica con pari valore - garantiscano alle giovani generazioni le competenze necessarie per costruire da protagonisti il loro futuro anziché subirlo.
Domani, quando usciremo dalla pandemia, «non sarà semplicemente un riaccendere la luce» dopo un blackout temporaneo, ma un faticoso ricominciamento, un necessario ripensamento di stili di vita e modelli di sviluppo. In ogni campo: dalla produzione di energia fino al turismo, con l’obiettivo di affrontare realmente i problemi drammatici del cambiamento climatico, dell’inquinamento e del dissesto idrogeologico.
«Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta», sintetizza il presidente del Consiglio dopo aver citato i moniti di papa Francesco sulla difesa della Terra «opera del Signore». Quello del rispetto dell’ambiente, della transizione ecologica è infatti l’altro filo rosso, anzi verde, che percorre la trama di tutto l’intervento del premier. E che lega insieme i nodi dello sviluppo e della povertà in crescita testimoniata dai dati Caritas (citati e meditati dal premier), dell’enorme disoccupazione potenziale e della difesa selettiva delle imprese, agevolando le ristrutturazioni, favorendo la ricollocazione dei lavoratori.
Assieme alla valorizzazione della presenza femminile in tutti i campi, del lavoro e della rappresentanza, azzerando i gap, favorendo la conciliazione con la cura familiare, il più ampio sviluppo delle potenzialità. -Ben oltre «la farisaica osservanza delle leggi sulle quote rosa». Frase che non è piaciuta a tutte e a tutti, ma che riassume il cuore di una questione di equità, molto più di un’aritmetica uguaglianza.
Nella visione del presidente del Consiglio, l’impegno dell’oggi sarà tanto più proficuo quanto meno sarà schiacciato sulla contingenza del presente e invece proiettato sul futuro con una visione d’insieme. E così sul fisco, ad esempio, inutile e dannoso pensare a interventi a pezzi, facile preda di interessi corporativi. Meglio un progetto complessivo di una commissione di esperti che ridisegni il sistema, a partire dall’Irpef.
Con due obiettivi dichiarati - «mantenere la progressività e ridurre il carico» - e un terzo che noi speriamo sottinteso: una maggiore equità per le famiglie con figli. Perché, assieme all’urgenza della difesa del Pianeta, c’è quella non meno impellente di invertire il drammatico calo demografico nel quale siamo precipitati. Un preoccupante deficit di futuro.
Lo stile di Mario Draghi è stato sobrio, asciutto, a tratti persino monotono, tranne quando ha parlato di «senso di responsabilità delle forze politiche», di «spirito repubblicano». Di questo che viene definito con semplicità «il governo del Paese», che «per far bene» ha bisogno del «sostegno convinto del Parlamento». -Perché «oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere». Dovere guidato «dall’amore per l’Italia»: il massimo sentimento sovranista, espresso dal premier «irreversibilmente» europeista e sovranazionalista («non c’è sovranità nella solitudine»).
Questo governo - che non è di nessuna forza politica in particolare e insieme lo è della quasi totalità rappresentata in Parlamento - può essere il garante che onora il «debito di futuro» verso le nuove generazioni. Solo, però, se sarà capace di mantenere lo sguardo fisso sui ragazzi di domani, al di là delle convenienze di ogni partito. Una prova d’amore per l’Italia e gli italiani.
Dal turismo alla transizione culturale, il discorso programmatico di Draghi al Senato
Per il premier occorre “preservare città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”
di Redazione (AgCult, 17.02.2021)
L’Italia è una grande potenza culturale e dobbiamo essere più orgogliosi, più generosi, più giusti nei confronti del nostro Paese. Anche per questo, occorre investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. E nel farlo non bisogna dimenticare che anche il turismo (il cui modello di crescita dovrà cambiare) vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato. Mario Draghi, presidente del Consiglio incaricato di formare il nuovo governo dopo il Conte II, si è presentato di fronte al Senato per chiedere la fiducia e ha toccato anche temi che interessano i settori della cultura e del turismo.
Pur non avendo dedicato un capitolo specifico alla cultura e ai lavoratori di un comparto duramente colpito dalla pandemia, il premier ha fatto più volte riferimento al settore nel corso del suo intervento in aula a Palazzo Madama. La cultura, ad esempio, è tra i punti su cui investire per costruire opportunità per le nuove generazioni: dobbiamo fare “tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura”. Servono “risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere”.
TRANSIZIONE CULTURALE
È necessario poi, parlando di scuola e formazione dei giovani, “investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo”.
ITALIA GRANDE POTENZA CULTURALE
Il premier all’inizio del suo intervento ha detto: “Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più generosi, più giusti nei confronti del nostro Paese”.
TURISMO
Come detto, “nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14 per cento del totale delle nostre attività economiche”. Per il presidente del Consiglio Mario Draghi, “imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati ad uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”.
RECOVERY PLAN
Uno dei punti fondamentali su cui questo governo sta nascendo sono i fondi del Next Generation Eu. “Gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente - ha spiegato Draghi - saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale”.
Il premier ha voluto riassumere l’orientamento del nuovo Governo rispetto a questo tema: “Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva. Dovremo rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano”.