Da: Esposito Gennaro
Inviato: sabato 19 settembre 2009 19.06
A: federicolasala
Oggetto: mi scusi ma non capisco i suoi articoli
Gentile Federico,
mi scusi ma non riesco proprio a capire gli articoli da lei pubblicati sul sito "ildialogo". Nei titoli sembra che lei inneggi continuamente a "forza italia" mentre poi nel corpo dell’articolo sembra che lei sostenga una cosa diametralmente opposta.
Nel titolo dell’articolo, poi, annuncia una sua nota che poi non c’è, mentre invece viene di solito riportato un articolo di un altro autore preso da un altro giornale che difficilmente riesco a collegare con il titolo da lei scritto.
Tutto questo crea una gran confusione e rende difficile capire quale tipo di messaggio lei vuole inviare ai lettori di questo sito. Spesso i titoli da lei usati sono devianti. Può per cortesia essere più chiaro? Così è solo un gran guazzabuglio. Da che parte sta contro o a favore di "forza italia"?
La ringrazio vivamente.
Gennaro Esposito
Napoli
RISPOSTA:
Caro Esposito Gennaro
.... Oh, finalmente qualcuno comincia a svegliarsi e a chiedersi: ma io sono sveglio o sto dormendo? Quando io parlo, mi ascolto? Io sono capace di ascoltarmi? Ma io ci sono o non ci sono? E io da che parte sto? E quello a chi sta parlando? E che cosa sta dicendo? ....
Caro Gennaro
Siccome è un problema di moltissimi (e anche di molti e molte proff. - che parlano, insegnano e non si ascoltano, e non sanno che cosa dicono a chi parlano) e non solo tuo, facciamo una prova (è una lezione gratis! - spero che questo tu lo capisci, vero?). Prendiamo l’ultimo art. e vediamo se tu sai leggere e comprendere: fammi una tua piccola “traduzione”. Raccontami (prima fai lo sforzo di raccontare a tua mamma, a tuo padre, o a una tua amica o a un tuo amico) cosa hai capito, poi lo scrivi, e me lo invii.
Dai, proviamo. Così fai una cosa utile e preziosa per te (e anche per me). Ah, prima di inziare, ma in tasca quale tessera di Identità hai? Sei cittadino di Italia, o no? Sei napoletano, o lo fai?
Ecco. Ti allego l’ultimo testo pubblicato sul sito:
COSTITUZIONE, CITTADINANZA, E ... MALEDUCAZIONE COSTITUZIONALE (1994-2009)!!! DAL PARLAMENTO, DAI MINISTRI, DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEL PARTITO UN GIURAMENTO E UN SOLO GRIDO: "Forza Italia" ... E UN GRANDE VIVA PER IL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
SCUOLA E COSTITUZIONE. A MILANO, "BUFERA" AL LICEO CLASSICO "MANZONI". C’E’ UN CINEFORUM: "NON MI SENTO ITALIANO". Una nota di Federico La Sala
"Il cineforum di quest’anno si propone una rassegna incentrata sulla maleducazione civica degli italiani".
COMUNICATO DI PIENA E TOTALE SOLIDARIETA’ AL LICEO CLASSICO "MANZONI" DI MILANO: *
"NON MI SENTO ITALIANO"
BUFERA SUL CINEFORUM
APPELLO ALLA GELMINI: "TITOLO OFFENSIVO"
Questo il titolo dell’articolo, in la Repubblica/Milano di oggi, sabato 19 settembre 2009, pagina IX, di Franco Vanni.
Nella circolare che presenta l’iniziativa si legge:
"Il cineforum di quest’anno si propone una rassegna incentrata sulla maleducazione civica degli italiani".
Il preside Luigi Barbarino smorza le polemiche: "E’ evidente che l’intento sia quello di educare gli studenti alle regole democratiche, come è dovere della scuola".
AL PRESIDE DELL’ISTITUTO, LA PIENA TOTALE CONDIVISIONE DEL PROGETTO E LA MASSIMA SOLIDARIETA’
* Federico La Sala (19.09.2009)
http://www.ildialogo.org/scuola/notizie_1253373513.htm
Leggi, rileggi bene ... e poi fammi sapere.
M. grazie (richiama il gratis, precedente) per il suo ‘carissimo’ (nel senso di ‘prezioso’, importante) intervento.
M. saluti,
Federico La Sala
(Inviato: sabato 19/09/2009 19.53)
Sul tema, in questo sito, si cfr.:
UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani
Quell’umorismo che sfida le fake news
di Valentina Pisanty (il manifesto, 30.08.2018)
L’anticipazione. Un brano dallo spettacolo dedicato al grande semiologo scomparso due anni fa che andrà in scena a Camogli il 6 settembre nell’ambito della V edizione del Festival della Comunicazione. Per l’intellettuale bolognese ogni strategia illuministica di disvelamento del potere passava per il riso
Umberto Eco ride della rigidità dei luoghi comuni, degli automatismi del linguaggio, della prevedibilità dei generi narrativi, delle trappole della logica e, in generale, di tutte le strutture inflessibili che conferiscono una parvenza di ordine alla vita sociale. Così funziona l’umorismo: si prende una matrice logica familiare, un sistema di regole, un frammento di senso comune; si finge di trovarsi a proprio agio al suo interno, dicendo cose del tutto coerenti con i suoi assunti, di modo che l’interprete si illuda di avere capito dove il discorso andrà a parare; e poi, zac!, quando l’altro meno se lo aspetta si introduce di soppiatto un piano logico incompatibile che fa esplodere le attese sin lì create. Si vedano, per esempio, le Istruzioni per scrivere bene in cui, fingendosi precettore, Eco confuta ciascuna regola stilistica nell’atto stesso di formularla: «evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi»; «evita le frasi fatte: è minestra riscaldata»; «non generalizzare mai»; «sii sempre più o meno specifico»; «non usare metafore incongruenti anche se ti paiono ‘cantare’: sono come un cigno che deraglia»; e - la mia preferita - «solo gli stronzi usano parole volgari».
LE PARODIE FUNZIONANO in modo analogo, salvo che l’incongruenza si rivela attraverso l’accumulo iperbolico di dettagli tra loro coerenti che tuttavia fanno a pugni con il comune buonsenso. In un capolavoro di satira accademica Eco narra la parabola di Swami Brachamutanda (Bora Bora 1818 - Baden Baden 1919), «fondatore della scuola tautologica i cui principi fondamentali sono delineati nell’opera Dico quello che dico: l’Essere è l’Essere, la Vita è la Vita, L’amore è l’amore, Quello che piace piace, Chi la fa la fa e il Nulla Nulleggia».
I GUAI DI BRACHAMUTANDA hanno inizio quando, dopo aver sostenuto che «gli affari sono affari» e «i soldi sono soldi», il fedele discepolo Guru Guru fugge con la cassa della comunità e, fermato dalla polizia di frontiera, si lascia scappare un «chi la fa l’aspetti»: frase che, «come è evidente, contraddice i principi essenziali della sua logica». Di lì è tutto un precipizio: i tautologi sconvolti si spaccano, l’eretico Schwarzenweiss fonda la scuola eterologica secondo cui «L’Essere è il Nulla, il Divenire sta, lo Spirito è Materia, la Coscienza è Inconscia», rivendicando la sua ascendenza sui massimi capolavori della letteratura occidentale - Guerra e Pace, il Rosso e il Nero... - mentre accusa i tautologi di essersi limitati a ispirare opere di scarso rilievo come Tora Tora, New York New York e Que sera sera... Al che Brachamutanda obietta che, di questo passo, tanto vale che lo Schwarzenweiss accampi diritti sulle vendite del whisky Black and White.
PERCHÉ FA RIDERE? In un saggio sul Comico e la regola (Alfabeta 1980) Eco teorizzava che l’effetto comico scaturisce dalla violazione di una regola sociale compiuta da un personaggio inferiore nei confronti del quale chi ride prova un aristotelico senso di superiorità. Ma non è mai chiaro se lo zimbello sia la regola violata, o colui che la trasgredisce, oppure entrambe le cose insieme: è questo il bello dell’umorismo, che mentre si fa gioco delle contraddizioni altrui è a sua volta irriducibilmente contraddittorio. Non si salva nessuno.
CON ECO SI RIDE in modo allegro e tutto sommato benevolo nei confronti di ciò verso cui ci si sente sì superiori, ma anche compartecipi: una parte ride dell’altra, e viceversa, senza sintesi possibile, e guai se ci fosse. La stupidità umana - bersaglio della risata - è l’altra faccia dell’intelligenza, come d’altronde chiarisce Jacopo Belbo in un famoso dialogo del Pendolo di Foucault: «l’intelligenza è il prodotto di infinite stupidità».
Solo se gli stupidi sono anche arroganti, desiderosi di far prevalere la propria sull’altrui stupidità, la risata diventa beffarda. Ancora Belbo: «Ma gavte la nata, levati il tappo. Si dice a chi sia enfiato di sé. Si suppone si regga in questa condizione posturalmente abnorme per la pressione di un tappo che porta infitto nel sedere. Se se lo toglie, pffffiiisch, ritorna a condizione umana». Ridicolizzare i prepotenti per afflosciarne le ambizioni di dominio è una strategia illuministica fondata sulla fiducia nella fondamentale ragionevolezza umana. Gli altri, i complici, capiranno e non si faranno abbindolare.
Ma cosa succede quando la Regola che si supponeva ovvia e condivisa viene diffusamente violata senza senso del ridicolo? Quando la carnevalizzazione totale della vita priva l’umorismo del suo lampo, del suo scandalo, della sua spinta sovversiva? Quando, di fronte alla «travolgente rivelazione che sono tutti dei coglioni», non ci si può più consolare con la solita battuta: «d’altronde se fossero intelligenti sarebbero tutti professori di semiotica»? La risata si strozza in gola.
NEGLI ANNI DEL BERLUSCONISMO Eco scrive A passo di gambero, dove i discorsi sull’Ur-fascismo, sul populismo mediatico e sulle reviviscenze razziste al «crepuscolo d’inizio millennio» assumono toni insolitamente foschi e nauseati: «Andate un poco al diavolo tutti quanti, perché è anche colpa vostra», conclude, e a questo punto ci sarebbe poco da ridere. Per farlo bisognerebbe conservare almeno un barlume di complicità, ed è per questo che né Berlusconi, né Trump, né Salvini fanno ridere. Se non che Eco sa essere spiritoso anche quando manda la gente a quel paese.
COSÌ, IN UN’EMAIL DEL 1999 che merita di essere condivisa, suggeriva alcune varianti del messaggio-base, a seconda della nazionalità degli ipotetici mittenti: «wa’ ffa n’kul da arabi, waakkaagaare da finlandesi, strnz da cecoslovacchi, fk yup da turchi, maa mukkela da africani, tel lì el pirlon da spagnoli, nicht rumper Katz oppure roth im kuhle da tedeschi, o filho da minhota da brasiliani, fak ja De Meerd da fiamminghi, throw yeah put an A da americani, van Moona da olandesi, mavamori amatzatu da giapponesi, Pi Ciu da cinesi, tglt dll pll da ebrei non masoretici, Masta Citu da incas, massipuo e ser kosi pistoola da hawaiani, manoru ‘n pemei Bali da balinesi. To be continued». Così finiva il messaggio.
«Visioni» al Festival della Comunicazione di Camogli
«Musica e parole. Un ricordo di Umberto Eco» è il titolo dello spettacolo con Valentina Pisanty e altri amici e colleghi di Eco, Furio Colombo, Gianni Coscia, Roberto Cotroneo, Paolo Fabbri, Riccardo Fedriga, Maurizio Ferraris e Marco Santambrogio, che si terrà giovedì 6 settembre nell’ambito del Festival della Comunicazione di Camogli.
Filo conduttore della V edizione della kermesse, in programma fino al 9 settembre, aperta dalla lectio magistralis di Renzo Piano, saranno le «Visioni». Oltre un centinaio di protagonisti dell’informazione, della cultura, dell’innovazione, dell’economia, della scienza e dello spettacolo si confronteranno in 78 incontri.
Tra i relatori: Alessandro Barbero; Giovanni Allevi; Piero Angela; Mario Calabresi; Evgeny Morozov; Oscar Farinetti; Gad Lerner; Stefano Massini; Davide Oldani; Massimo Montanari; Massimo Recalcati; Gherardo Colombo con Marco Travaglio; Andrea Riccardi; Marco Aime con Guido Barbujani e Telmo Pievani.
12 ottobre, studenti in piazza per cambiare scuola e società
di Roberto Campanelli
coordinatore nazionale Unione degli studenti *
SE SI VUOLE PARTIRE DA UN DATO GENERALE SULLA SCUOLA BISOGNA PARLARE DELLO STATO DI ABBANDONO A CUI È SOTTOPOSTA DA VENT’ANNI. Ad oggi la spinta dell’autonomia scolastica si è esaurita sulla scia di un progetto complessivo assente, e dell’assenza delle risorse. I percorsi positivi di valorizzazione delle scuole sono stati cancellati dall’impossibilità di finanziarli e gli istituti vivono una profonda sofferenza, dimostrata da dati terrificanti, ad esempio le richieste alle famiglie di contributi volontari che anno dopo anno sono cresciuti a dismisura, raggiungendo anche centinaia di euro a studente. La capillarità della diffusione del contributo volontario, la sua consistenza, e il metodo autoritario con il quale viene imposto permettono di considerarlo come una vera e propria tassazione informale. Una vera e propria trasformazione del paradigma della scuola pubblica, un’introduzione silente di un modello privatistico di scuola. Non basta, il ritorno del p.d.l. Aprea (legge 953), già respinto dal movimento studentesco dell’Onda nel 2008, rischia di trasformare l’autonomia scolastica in una vera e propria anarchia, in cui i diritti vengono cancellati ed i privati rischiano di entrare in luoghi nevralgici della programmazione dell’offerta formativa. Continueremo a respingere questa ipotesi di legge fin quando non verrà sottoposta ad una discussione seria e condivisa con tutte le rappresentanze del mondo della scuola.
Questi elementi vanno contestualizzati nell’Italia della crisi, nell’Italia in cui i redditi crollano, nell’Italia in cui per la prima volta le iscrizioni alle università diminuiscono, nell’Italia in cui uno studente su 5 non completa la scuola, mentre a quindici anni, con l’apprendistato, vengono espulsi di fatto tantissimi studenti dai percorsi formativi. L’Italia accusa un problema strutturale per l’accesso all’istruzione. Denunciamo da sempre l’assenza di una legge nazionale sul diritto allo studio che indichi i livelli essenziali delle prestazioni che le regioni devono erogare. Mancano strumenti di base per garantire il diritto allo studio, ma non ci si può fermare alla contingenza.
È necessario ragionare in prospettiva, è necessario guardare alle esperienze positive che in giro per l’Europa hanno riconosciuto agli studenti una sfera dei diritti a 360°, alle esperienze che hanno istituito il reddito per i soggetti in formazione, uno strumento che riconosce il valore sociale e ed economico di chi studia e garantisce a tutti di poterlo fare. Dovrebbe essere questo il paradigma nuovo con cui si esce dalla crisi, in contrapposizione all’esclusione e alla negazione dei diritti, la garanzia universale di studiare ed emanciparsi.
È necessario ragionare di edilizia scolastica, di un piano nazionale straordinario che metta in sicurezza le scuole, elimini ogni barriera architettonica e le renda termo-sostenibili e energeticamente indipendenti. Una serie di microprovvedimenti che darebbero lavoro a migliaia di persone e nuovo slancio all’economia. Per fare tutto ciò ci vogliono risorse, proprio quello che si nega all’istruzione a partire dal 2008 con i famosi 8 miliardi di tagli.
È necessario rompere con il rigorismo cieco che ignora i diritti sociali, le risorse ci sono e vanno indirizzate nei settori strategici della società, basti pensare alle Grandi Opere del governo Berlusconi ancora in programma o ai finanziamenti miliardari per i cacciabombardieri, soldi che lo Stato continua a spendere inutilmente. C’è un bisogno profondo di qualificare il dibattito politico con proposte concrete e radicalmente alternative a quelle che ci hanno portato alla crisi, il problema non sono stati i diritti per tutti, ma le privatizzazioni.
Il 12 ottobre saremo in piazza in tutto il Paese per mettere al centro questi temi, le emergenze sociali del Paese, il modo nuovo con cui dovremmo uscire dalla crisi. Gli studenti aspettano da anni risposte all’altezza dei loro bisogni, non forze dell’ordine schierate per le strade e cariche spropositate contro i quindicenni.
* l’Unità, 09.10.2012
Vietato parlare con la stampa
Bavaglio a presidi e professori
Emilia Romagna. L’Ufficio scolastico regionale impone il divieto di parola al personale scolastico
Gelmini applaude. «Non si usa l’istruzione per fare propaganda. Chi vuol fare politica, si candidi»
Il coordinamento docenti modenese rende pubblica una circolare in cui l’Usr impone ai lavoratori della scuola di non avere contatti con la stampa. La Cgil chiede le dimissioni del dirigente. La Gelmini lo difende.
di Chiara Affronte (l’Unità, 22.05.2010)
Bavaglio agli insegnanti che parlano con la stampa o dissentono dalle linee del governo. Se non si “ubbidisce” via alle sanzioni disciplinari. È quello che accade in questi giorni in Emilia-Romagna, dove il dirigente dell’Ufficio scolastico regionale Marcello Limina invia ai presidi una circolare «riservata» (si legge in alto nel documento, ndr) in cui manifesta la volontà di porre uno stop a «dichiarazioni rese da personale della scuola con le quali si esprimono posizioni critiche con toni talvolta esasperati e denigratori dell’immagine dell’amministrazione di cui lo stesso personale fa parte». Toni che prosegue la nota vengono inviati sotto forma di documenti ad autorità politiche, fatti circolare a scuola o distribuiti alle famiglie. Nella circolare Limina “invita” quindi ad «astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che in qualche modo possano ledere l’immagine dell’Amministrazione pubblica».
Si scatena il putiferio quando il coordinamento degli insegnanti modenesi Politeia viene a conoscenza dell’esistenza di questa circolare, non ancora resa pubblica da nessun preside, ma datata 27 aprile. La Cgil insorge: «Ritiro immediato della nota e dimissioni del direttore dell’Usr», la richiesta del segretario generale Flc-Cgil Mimmo Pantaleo. Immediata la difesa del ministro Mariastella Gelmini: «Condivido e sostengo pienamente l’operato del direttore Limina che ha invitato tutto il personale della scuola a osservare un comportamento istituzionale afferma il ministro È lecito avere qualsiasi opinione ed esprimerla nei luoghi deputati al confronto e al dibattito. Quello che non è consentito è usare il mondo dell’istruzione per fini di propaganda politica: chi desidera fare politica si candidi alle elezioni e non strumentalizzi le istituzioni».
PRESIDI SCERIFFI
Tutto parte da Modena, dove alcuni insegnanti vengono a conoscenza dell’esistenza della circolare. «Qualche dirigente troppo zelante l’ha messa tra quelle visibili a tutti», riferisce un insegnante. Presa la palla al balzo di una manifestazione contro i tagli della riforma Gelmini che si è svolta a Modena giovedì, i docenti hanno reso pubblica la notizia e firmato una mozione per denunciare il «carattere intimidatorio e lo spirito antidemocratico della circolare che cerca di reprimere le legittime proteste del mondo della scuola». Fatto altrettanto grave, per i “prof” modenesi, quello di «far passare l’idea che i dirigenti, destinatari del documento, siano soggetti superiori di grado, quando in realtà, nel collegio docente, sono figure inter pares. Poi, vuoi per l’avidità di qualcuno, vuoi per il clima autoritario generale, passa l’idea di un ruolo diverso».
La scuola, insomma, non è quella che dipingono Limina e il governo anche per Bruno Moretto della cellula bolognese del comitato Scuola e Costituzione: «Gli insegnanti sono autonomi: lo spirito dell’articolo 33 della Costituzione è quello di creare nella scuola un clima di confronto di posizioni». Meglio per il comitato che «Limina si occupi di ciò che gli compete e risponda ad esempio ai 600 bambini che a Bologna e provincia non avranno posto alla scuola materna l’anno prossimo».
Liceo Ginnasio Statale «Alessandro Manzoni» - Milano
IO NON MI SENTO ITALIANO
(MA PER FORTUNA O PURTROPPO LO SONO)
Raccogliendo (ma in chiave un po’ provocatoria) il progetto di rilanciare lo studio dell’educazione civica, ventilato a suo tempo dal ministro Gelmini, il cineforum di quest’anno propone una rassegna incentrata sulla maleducazione civica degli Italiani e sul loro rapporto, spesso molto elastico, con le regole e la comunità di appartenenza.
L’intento è quello di favorire la riflessione su alcuni atteggiamenti tanto diffusi e radicati nella nostra penisola da diventare parte integrante dell’identità nazionale. Per un giovane, acquisire coscienza critica di questo retaggio culturale è il primo passo per ribellarsi a certe forme di malcostume che hanno tradizionalmente ostacolato il funzionamento del Paese, evitando di assorbirle passivamente, per osmosi, dal contesto in cui si trova a vivere.
Articolato in nove film che coprono l’arco temporale di un secolo, dalla prima guerra mondiale all’attuale crisi economica, il ciclo punta anche ad approfondire la conoscenza della storia italiana recente, focalizzando l’attenzione su alcuni problemi chiave nell’evoluzione della nostra società: le trasformazioni legate allo sviluppo economico, il ruolo e la condizione della donna, il rapporto dell’individuo con la famiglia e la religione.
Il titolo è tratto da una delle ultime canzoni di Giorgio Gaber, anch’egli indicato dal ministro come autore di testi da insegnare nelle scuole, benché quanto mai critico verso il “tipo” antropologico nostrano e refrattario ad ogni forma di ufficialità nazionale.
Conversando con Goffredo Fofi critico cinematografico e letterario
«Gli intellettuali?
Servi del potere di turno
Una brillante corporazione»
La sinistra si è suicidata e «sinistra» è rimasta una parola senza senso
di Oreste Pivetta (l’Unità, 22.09.2009)
Farabutto, coglione, va’ a morì ammazzato. Da tempo ormai. Ha ragione Brunetta quando dice che tutto sommato sono soltanto modi di dire popolari. Ma una volta a scuola si sussurravano appena e per sentirli sonanti bisognava incappare in una lite di mercato o di condominio. Adesso siamo alle platee politiche e alle (massime) responsabilità politiche, dopo un breve viatico televisivo, con la scusa del dialetto, nell’esercizio del dialetto come piacerebbe a Bossi (dal celeberrimo gesticolare), ma dalla parte del potere. Democrazia tra Chavez e Putin, diceva ieri Daniel Cohn Bendit, il politico francese, all’Unità. Storie diverse.
Con un filo d’arroganza nazionale si potrebbe alludere a tradizioni democraticamente diverse, almeno dalla metà del secolo scorso.
«Ma nell’ultimo ventennio - dice Goffredo Fofi, tra i pochi intellettuali critici di questo paese - ci siamo messi a correre: stupisce la rapidità del declino...».
Le tradizioni, a quanto pare, sono andate a farsi benedire, divelte, sconquassate, annichilite nel confortante silenzio delle maggioranze. Perché alle fondamenta del regime berlusconiano ci staranno i soldi, ci staranno le televisioni, ma ci stanno anche le maggioranze... Come definirle queste maggioranze? Menefreghiste, qualunquiste, indifferenti, sfiduciate? Perché ci siamo così presto abituati alle bravate, parole e atti, dei nostri governanti? Insomma che paese siamo?
«Rispondo che ha ragione Cohn Bendit: tra Putin e Chavez, in mezzo a qualsiasi dittatorello che non ha più bisogno delle armi e dei bastoni per imporsi. Ma è una storia antica: il populismo è l’arte di manipolare l’opinione pubblica e gli esempi risalgono ai millenni passati. Nerone insegna. Adesso semplicemente si usano i mezzi di comunicazione di massa, ma non è che allora non non ne disponessero con la loro buona parte di originalità».
Magari offrendo i cristiani in pasto alle belve.
«Il problema sarebbe reagire. Ma chi reagisce? La destra non ha nulla da dire e non ha neppure interesse a dire qualcosa o a cercarsi altre strade o altre collocazioni e la sinistra si è suicidata e “sinistra” è rimasta una parola senza senso, che evoca soltanto assembramenti e divisioni, clan, famiglie, gruppi e litigi, con un modello di sviluppo in testa che non è diverso da quello che agita chi governa e con l’idea fissa soltanto di entrare nelle stanze del potere. Per che cosa, per quale futuro? Quali prospettive ci vuole indicare?». Ci è capitato di leggere quella bellissima invettiva di Don Tonino Bello contro gli intellettuali: «Siete latitanti dall’agorà.... State disertando la strada... Vi siete staccati dal popolo».
D’accordo: chi avrebbe il compito di criticare e di pensare per l’avvenire non è più un riferimento per il presente, è diventato un imbonitore a libro paga...
«Sono stato di recente a un convegno sul teatro. E naturalmente parlando di teatro e di teatranti, la prima questione che salta fuori sono i finanziamenti. Ogni assessore ritiene che i soldi della collettività siano suoi e ne deduce di poterne fare quello che vuole: premiare l’amico, il parente, premiare chi gli lecca il culo...». Siamo arrivati al cattivo esempio della parolaccia... «Per dire però che l’abbandono di criteri morali e culturali è ormai una questione antropologica...».
Di una mutazione antropologica. Siamo di nuovo alla fine delle lucciole.
Non è il malaffare o l’ignoranza del singolo...
«No, si fa così perché s’è rinunciato a ragionare, a immaginare il domani, a discutere e a decidere che cosa sia sbagliato e che cosa sia giusto e scegliere il giusto, anche quando il popolo sbraita chiedendo caramelle invece di un lavoro serio o di una scuola seria...». Siamo al top del disastro. E, permetti, non è questione di precari...«No, il caos generale dimostra come la scuola abbia esaurito la sua funzione. Gli utenti, clienti, consumatori, la gente insomma, pensa che così debba essere e che così si debba continuare a governare, in una società guidata dal ciclo delle merci e dalla pubblicità. Si è abituata. Ecco la mutazione».
E gli intellettuali? Non dovrebbero aprirci gli occhi? «Gli intellettuali prosperano, autentici guru, predicatori inesauribili, megalomani e narcisisti, che non contano niente o contano soltanto in funzione di un potere che li usa come mediatori, un potere molecorale rappresentato e conteso tra mafie, camorre, massonerie di ogni genere... Clan opportunistici di cui l’Italia è strapiena. Poi arriva Brunetta e annuncia: basta con l’assistenzialismo, basta con il clientelismo. Salvo poi rifare assistenzialismo e clientelismo per quelli e con quelli che gli stanno più simpatici. Vedi, la Costituzione dice che bisogna dare ai poveri e ai meritevoli: ma chi giudica? Dove stanno in Italia i probiviri? Frequenti le giurie dei premi letterari: sempre gli stessi, critici e autori, che parlano di se stessi e dei loro libri, premiati e premiatori insieme, una volta a te, una volta a me. Una brillante corporazione. Chi sente più la responsabilità nei confronti della società? Nessuno».
Nessuno che insegni. È un paradosso, forse.
«Ma certo. L’Italia è paese ancora vivo grazie a tante brave persone. Se non fosse così sarebbe alla catastrofe».
Mancano i punti di riferimento...
«Alla lettera. Non esistono persone di riferimento. Morte. Non esiste chi pensa, chi guarda avanti, chi immagina il futuro, chi rifà opera di formazione nei confronti delle giovani generazioni in rapporto a ciò che dovrà essere. Solo o con gli altri. E qui s’aggiunge la terribile colpa della sinistra, di una sinistra piegata a rincorrere chi ha vinto, cioè i modelli del consumismo, delle merci, del libero mercato...».
La vorresti alternativa?
«La vorrei solidale, capace di ascoltare, capace di inventare, critica. Ennio Flaiano diceva che la sinistra è bravissima a fare l’autocritica degli altri».
C’e una bella espressione di Cohn Bendit, che ho letto sulla tua rivista, «Lo straniero»: «...continueremo nello sforzo di spezzare la caratteristica proprietaria del sistema politico sia a livello nazionale che locale ed europeo. Più che mai noi promuoveremo il concetto di software libero applicato alla politica e alla società».
«Sì, per rompere gli schemi di una democrazia autoritaria e proprietaria. Il che significa in questo paese ricostruire una cultura diffusa dello stato e della collettività. Come mi è sempre parso si fosse riusciti nel ventennio dal ’43, dalla Resistenza, al ’63, al tramonto cioè del centro sinistra, alla sconfitta dei suoi disegni più innovatori...».
Basterebbe pensare alla casa, all’urbanistica, al ruolo allora di tanti intellettuali.
«Quelli che adesso mancano. Perché non esistono più i critici, non esistono i teorici. Sopravvivono gli informatori e gli accademici, come Asor Rosa, che ancora predica l’autonomia della politica. Tutti affetti da narcisismo. Mi è appena arrivato un libro di Lucio Magri, con la sua bella faccia in copertina. Ma capisci! Neanche fosse Clooney. Si specchierà nella sua copertina. Invece credo che il primo dovere degli intellettuali, compreso il sottoscritto, sia certo guardarsi allo specchio, ma per sputarsi in faccia, per riconoscere il proprio fallimento».
Una volta si diceva: ci salverà la Chiesa...
«Tutti crediamo che la Chiesa si debba occupare della gente, cioè della collettività dimenticata dalla politica. Ma il primo scrupolo della Chiesa è la salvaguardia della istituzione».
Come saremo?
«Quello che colpisce è la velocità appunto del declino italiano. In altri paesi d’Europa il senso dello Stato e il senso della comunità resistono. Da noi dominano egoismo e cinismo orripilanti. A Venezia, all’uscita dal cinema, dopo la propriezione del film di Patrick Chereau, la gente quasi vomitava: se qualcuno ti mette di fronte alla realtà, le reazioni sono il vomito e la fuga». ❖
Educazione e media: Ruini rilancia il modello-egemonia
L’ex presidente della Cei propone un nuovo patto e trova sponde nel ministro Gelmini. Che ha fornito ampie assicurazioni, dall’ora di religione ai crocifissi nelle classi
di Roberto Monteforte (l’Unità, 23.09.2009)
Una società sempre più lacerata, che ha abdicato al suo compito di indicare modelli e sistemi di valore, in particolare ai giovani, viene meno ad un suo preciso dovere. Un futuro incerto, segnato dalla precarietà: questa è la dura prospettiva per le nuove generazioni. Con questo, con l’emergenza educativa, occorre misurarsi. La Chiesa lancia la sua sfida-provocazione rivolta al mondo cattolico, ma soprattutto a quello laico.
Se ne fa portavoce il cardinale Camillo Ruini, presidente emerito dei vescovi italiani e responsabile del Progetto culturale della Cei che ieri ha presentato il volume «La sfida educativa» edito da Laterza che raccoglie approfondimenti e proposte sulle agenzie educative classiche: scuola, famiglia, comunità cristiana, ma anche sul lavoro, l’impresa, i mass media, lo spettacolo, il tempo libero, lo sport. Tutte realtà che concorrono alla formazione della persona. «L’educazione è una urgenza, o meglio, è una emergenza» scandisce Ruini. «L’educazione per sua natura impone sfide a lungo termine spiegaattorno all’educazione deve trovarsi una convergenza che superi il variare delle persone, delle idee, degli interessi. Il nostro rapporto vuole essere un invito aggiunge a muoverci nella direzione di una alleanza educativa di lungo termine».
Così la Chiesa si propone come luogo di confronto per una società divisa e lacerata, riproponendo una sua centralità. È la strategia che ha segnato l’«era Ruini» e che ieri ha trovato sponde robuste. Ha colto a volo l’occasione il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini per rilanciare il tema dell’identità culturale del nostro paese, contraddistinta dai valori cattolici, con cui devono rapportarsi i giovani figli di immigrati. È da lì che passa l’integrazione per il ministro che ha rassicurato: nulla cambierà sull’ora di religione e sul crocifisso nelle aule. Le sollecitazioni sulla funzione formativa ed educativa dei media contenute nella proposta della Cei sono state raccolte dal presidente della Rai, Paolo Galimberti, che ha riconosciuto la difficoltà a proporre una televisione di qualità. Al confronto ha partecipato anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. ❖
La strage in cui hanno perso la vita i sei militari italiani nella missione di guerra in Afghanistan ha avuto ripercussioni evidenti anche sul mondo della scuola.
Siccome abbiamo la casta dei giornalisti servili al potere, peggio perfino del Botswana, l’annunciata manifestazione a favore e a difesa della libertà di stampa, è stata rinviata in segno di lutto.
L’Italia è l’unico paese che mette in secondo piano una libertà costituzionale rispetto al dolore e al lutto (legittimi umanamente, ma non sempre condivisibili sul piano etico) proclamati perché siamo gli occupanti armati di una nazione straniera.
Abbiamo una mente così contorta, che quelle libertà costituzionali in nome delle quali si dice che i sei militari uccisi a Kabul combattessero strenuamente, le mettiamo in secondo piano.
Dunque niente manifestazione per la libertà di stampa, si obbedisce al patto di non belligeranza proclamato a piene parole al Senato dalla Presidente Finocchiaro, capogruppo della sedicente opposizione, quando ha detto che in aula il PD non intendeva fare polemica e non voleva chiedere le dimissioni di nessuno (e ci mancherebbe anche altro, sono o non sono i principali alleati della maggioranza?).
La FNSI ha spostato, dunque, il giorno della scesa in piazza, allo stesso giorno in cui i precari della scuola andranno a far sentire la loro voce davanti agli Uffici Scolastici provinciali, regionali, e al ministero.
Con il chiaro effetto di oscurarli e di far passare la scuola pubblica in secondo piano rispetto ai piagnistei di "Repubblica" che se vuole fare il giornale dell’opposizione dovrebbe tirar fuori una bella quintalata di controcoglioni, altro che "siamo tutti farabutti", logica perversa del "tutti colpevoli nessun colpevole" o, peggio, del "mal comune mezzo gaudio".
Così, cos’ha fatto l’esercito dei precari, la forza lavoro che vuole lavorare nella scuola pubblica, perché ha a cuore le sorti delle giovani generazioni del paese vessate e tartassate da una riforma Gelmini che è la vergogna di tutte le riforme educative e rispetto alla quale quella di Giovanni Gentile fu un colpo di genio che durò svariati decenni? Hanno pensato di autogestirsi? No. Hanno pensato di fare dei filmati della loro protesta, metterli su YouTube e farli circolare in rete? Nemmeno. Hanno deciso di cambiare data? Neanche a parlarne. Quali soluzioni di protesta, di lotta, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto alle loro problematiche avranno mai escogitato coloro che aspettano un posto di ruolo per l’educazione del futuro? Vogliono farsi ospitare da Bruno Vespa a "Porta a porta".
Cioè, il palcoscenico amplificatore della lotta contro il governo da parte di chi lavora nella scuola, secondo i precari dovrebbe essere lo stesso teatrino massmediologico che ospita il Presidente del Consiglio. Stanno cedendo all’illusione che se non vai in TV non sei nessuno, stanno dando corpo alla visione di Bruno Vespa come demiurgo e sciamano dell’informazione, colui che, se ti ospita nel suo studio televisivo, fa sì che tu esista, che la gente si occupi di te, che ti ascolti.
E’ spaventoso. Bruno Vespa come unica soluzione. Dopodiché rimane solo il suicidio di massa su un’isola deserta.
C’è da essere scambiati per cinici, o, quanto meno, per cattivi se si pensa che probabilmente molti di questi precari che auspicano che Bruno Vespa venga a dar loro visibilità, non meritano di entrare nella scuola pubblica. E’ un peccato pensarlo, ma se a pensar male si fa peccato è anche vero che ci si azzecca quasi sempre.
Sono le stesse persone che un domani, una volta in ruolo, giusto per non perdere la poltroncina, sarebbero capaci di dire alla Noemi di turno "Brava, vuoi fare la velina? Mi sembra proprio la tua strada, vai, vai, figurati, tu sei troppo bella per ridurti a studiare altri cinque anni all’Università, e poi a che ti serve la cultura, sei così graziosa... molto meglio Miss Italia, vada signora, vada, la incoraggi Sua figlia! Anch’io una volta quando ero giovane e prima di ottenere la cattedra di ruolo sono stata da Bruno Vespa..."
Questo non è il precariato della scuola, è la precarietà della condizione dell’italiano medio. Per questo non se la fila nessuno.
Ronchi - Gelmini tentano di scippare gli scatti stipendiali ai precari
di Claudio Zaza
17 settembre 2009
Il Consiglio dei Ministri (seduta n. 61 del 09.09.09) sta tentando di scippare ai precari della scuola pubblica quello che, prima la legge e poi i Tribunali, hanno loro riconosciuto: gli scatti stipendiali biennali del 2,50% (che sono una sorta di scatti di anzianità per i precari). Ha infatti approvato la bozza di un decreto legge (decreto Ronchi, dal nome del Ministro delle Politiche Comunitarie) che porterà alla firma del Presidente della Repubblica e poi presenterà alle Camere, nel quale ha inserito una norma (art. 16) che testualmente prevede che «I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze ... non possono in alcun caso ... consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo». leggi tutto »
PRIVILEGI CLERICALI
“Il riconoscimento degli scatti di anzianità e gli insegnanti di religione” *
Non crediamo di dire nulla di nuovo ricordando che la Chiesa cattolica gode attualmente in Italia di una serie di benefici che la collocano in una posizione di privilegio.
Richiamando il concetto di privilegio intendiamo riferirci al suo valore tecnico giuridico di ius singulare, norma speciale e più favorevole rispetto a quella generale, prezzo che l’ordinamento italiano paga agli articoli 7 ed 8 della Costituzione: la normativa in materia religiosa vive nel segno dello ius singulare, negazione del principio di eguaglianza, a tutto favore della Chiesa cattolica e dei suoi accoliti.
Fra queste norme singolari, ne abbiamo scovata una bella serie tutte a favore degli insegnati della religione cattolica, categoria sempre ampiamente favorita dalla legislazione italiana, anche in epoche molto recenti. Ma i lettori non si preoccupino, non vogliamo tediarli con una tirata polemica sulla legge n.186 del 2003, che ha riconosciuto a questi docenti l’immissione in ruolo dopo un concorso farsa, quanto soffermarci su un aspetto apparentemente minore. Semplificando al massimo il quadro normativo, si può dire che il trattamento economico del personale di ruolo della scuola dipenda - vero unicum nel pubblico impiego - dall’anzianità di servizio, che viene accertata mediante la cd. “ricostruzione di carriera”, ovverosia “sommando” i vari periodi di servizio di ruolo e di pre-ruolo prestato ed assegnando così il docente alla fascia retributiva corrispondente.
Un docente ordinario attualmente ha diritto ad ottenere la ricostruzione di carriera solo dopo la conferma in ruolo, per cui se non é di ruolo, se é precario insomma, non gode dei benefici economici che ne derivano: continuerà a percepire lo stipendio base anche dopo dieci anni di precariato.
L’articolo 53, comma 4, della legge n.312/80 contempla un’unica eccezione, il docente di religione, che può chiedere la ricostruzione di carriera, nella scuola secondaria, dopo 4 anni di servizio prestato come incaricato.
In sostanza, dopo 4 anni un docente di religione viene comunque a godere dello stesso trattamento di un docente di ruolo, cioè si viene a trovare in una situazione che un ordinario precario non può ottenere neanche dopo 20 anni!
L’introduzione della legge n.186/03, che ha istituito i ruoli degli insegnanti di religione cattolica, ha poi aggravato una situazione già chiaramente paradossale. Attualmente, infatti, i docenti di religione possono chiedere la ricostruzione di carriera sia mentre sono precari, in base ad una norma di privilegio (art.53 u.c. legge n.312/80), sia al momento della conferma in ruolo, in base alla norma generale (combinato disposto dell’art.485 d.lgs.297/94 ed art.1 legge n.186/03).
Ma non finisce qui. L’articolo 53, comma 3 della medesima legge 312/80 riconosce a tutti i docenti non di ruolo, che abbiano ricevuto un incarico, “escluse le supplenze”, il diritto a scatti biennali del 2,5% sullo stipendio base. É un riconoscimento dell’anzianità di servizio meno rilevante rispetto a quella del comma 4, ma comunque significativo: dopo quattro anni di servizio la differenza stipendiale è del 10%! Ed inoltre ha portata generale.
Ciònonostante il Ministero dell’Istruzione ha dato della norma un’interpretazione capziosa che l’ha resa applicabile ai soli docenti di religione, facendo leva sulla formula “escluse le supplenze”
Per “sistemare” i precari ordinari, Il Monistero interpreta letteralmente il dato normativo: l’articolo 15 della legge n.270/82 ha, infatti, trasformato in supplenze annuali gli incarichi annuali ai docenti non di ruolo, per cui da allora tutti i precari sono letteralmente supplenti e come tali espressamente esclusi dal beneficio, in base all’articolo 53, comma 3. Per “salvare” i precari di religione, invece, la circolare ministeriale n.71 del 1987 interpreta l’articolo 2.5 dell’Intesa sull’insegnamento della religione cattolica, recepita dal DPR n.721/85, nel senso che gli insegnanti di religione ricevano un incarico annuale, sicché non sono supplenti! Insomma: stretta interpretazione letterale per colpire i precari ordinari, funambolismo interpretativo per i docenti di religione, che così godono di una posizione di privilegio anche allorché appartengano alla categoria più bistrattata del pubblico impiego, i precari della scuola.
Il dato interessante è che tale risultato palesemente ingiusto è stato determinato, più ancora che dagli interventi del legislatore italiano, dai sofismi interpretativi del Ministero dell’Istruzione, ancora una volta “più papista del Papa”. Legislativo ed Esecutivo hanno congiurato nel generare ingiustizia...ma per fortuna ancora “c’è un giudice a Berlino”...anzi, a Tivoli!
Il Tribunale di Tivoli, con sentenza dell’11.3.09, ha riconosciuto ad una docente non di ruolo il diritto ai benefici economici di cui all’articolo 53, comma 3. Il succo è di una chiarezza lampante: l’unica interpretazione della norma conforme ai principi della Costituzione e dell’ordinamento dell’Unione Europea é quella che non ne limita l’applicazione ai soli docenti di religione.
In un paese normale la sentenza sarebbe stata utilizzata dal sindacato per alimentare un contenzioso di massa ...Questo in un paese normale, ma siamo in Italia e l’iniziativa è stata assunta dall’associazione anticlericale.net e dal suo segretario, l’onorevole Maurizio Turco. Il sindacato lamenta a parole la situazione dei precari, ma è evidentemente anch’esso erede del voto togliattiano all’articolo 7!
Consigliamo a tutti i precari di chiedere l’applicazione degli scatti del 2,5% per ogni biennio utilizzando i preziosi fac simile a disposizione sul sito dell’associazione anticlericale.net, che ha promosso la causa o quello dell’avv. Claudio Zaza ( http://www.claudiozaza.it/scatti-stipendiali.html), che ha seguito la vicenda.
* LIBERAZIONE, 20.09.2009
Caro Federico,
ti ringrazio per aver organizzato questa magnifica vetrina di intelligenze e di saperi intorno ad un tema di primaria importanza, l’ascolto.
Ti ringrazio come docente, perché ritengo che l’ascolto, come hai ben sottolineato tu, sia la base dell’educazione. Gli insegnanti rilevano che una delle difficoltà dell’apprendimento consista nella difficoltà dei ragazzi a concentrarsi nell’ascolto, a cogliere tutte le parole, ad afferrare le connessioni fra le parole, a comprendere le inferenze... Senza un buon ascolto non c’è apprendimento. Eppure quanti docenti sanno ascoltare gli alunni o sanno ascoltare se stessi mentre parlano? Perfino il grande direttore d’orchestra, Pierre Boulez, ha dichiarato “di aver migliorato enormemente la propria capacità di direttore d’orchestra nel momento in cui ha imparato ad ascoltarsi mentre dirigeva”. Ascoltare significa riconoscere il confine fra me e l’altro non per alzare un muro, ma per non confondere il “me” con il “tu”. Il “me” in una conversazione o nell’atto dell’insegnamento è sempre prevalente e rischia di soffocare il “tu”, di ridurre la comunicazione in un assolo. Come può l’io di un ragazzo emergere se non gli si dà la possibilità di esprimersi? Il discorso merita ben altro approfondimento, ma non vorrei dilungarmi...
Ti ringrazio come donna, in quanto le donne da millenni sono abituate ad ascoltare gli altri, in particolare gli uomini, tanto da aver affinato la capacità di entrare in empatia con l’interlocutore. Un esempio positivo, dunque? Non direi, perché, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un ascolto a senso unico: la donna, sopraffatta dal “tu”, ha finito per reprimere il proprio bisogno di comunicare il “me” e per smarrirsi.. Quante donne copiano atteggiamenti maschili, perché non si conoscono e, perciò, non si stimano come persone pensanti, in grado di scegliere?
Ti ringrazio come cittadina: la politica in questi anni è diventata autoreferenziale, un mondo a sé, che non ascolta la voce della gente, sia come organizzazione della macchina statale, sia come pensiero, come giudizio degli intellettuali e dei media: non è comunicazione, non è dialettica, non è costruzione, ma uno scontro di pre-giudizi.
Loredana Marano
Cara Loredana
... cerco e cerchiamo, sul filo della Legge dei nostri PAdri e delle nostre Madri Costituenti - la Costituzione, di fare del mio e del nostro meglio.
Moltissime grazie per il Tuo articolato, ricco, e luminoso intervento.
M. cordiali saluti
Per la Redazione
Federico La Sala