[...] «Vogliamo offrire a tutte le vittime di preti pedofili italiani il sostegno psicologico che è indispensabile, perché queste violenze sono paragonabili a quelle familiari anche per le conseguenze che lasciano - spiega Salvatore Domolo, 45 anni, il portavoce, che ha alle spalle una storia di bambino abusato e di ex prete - e il sostegno legale. Ma non ci interessano i risarcimenti, quanto l’urgenza di un’azione legale verso la Chiesa cattolica per crimini contro l’umanità. E il 31 ottobre saremo a Roma, insieme alle vittime da tutto il mondo, per manifestare con le nostre facce e le nostre storie quello che è accaduto anche in Italia, a centinaia di bambini e di ragazzi» [...]
SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA "CONCILIUM" (3/2004) E IL COLPEVOLE SILENZIO DEL VATICANO.
Storia di Laura, una delle vittime italiane. Oggi il primo raduno a Verona
"Io, abusata da un prete a 11 anni vi racconto una vita di vergogna"
Non c’è risarcimento per qualcosa che ti impedisce di essere te stesso e ti fa perdere la fiducia
Ogni scusa era buona per restare solo con me e attirarmi in casa sua, sopra la sacrestia. Io ero debole e non capivo
di Vera Schiavazzi (la Repubblica, 25.09.2010)
ROMA - «Erano giovani, belli, intelligenti, puliti. Molti li ho ritrovati su Facebook, sono rimasta annichilita nel sapere che erano ancora in contatto con quel prete. Soprattutto se penso a quello che hanno subito, più grave e pesante ancora di quel che è toccato a me, forse perché ero una bambina e loro dei maschietti. Gli abusi e le violenze che abbiamo patito hanno cambiato per sempre la nostra vita, non c’è risarcimento per qualcosa che ti impedisce di essere te stesso, ti fa perdere la fiducia, stravolge per sempre la tua vita amorosa».
Laura M. ha 35 anni, un compagno, un lavoro da insegnante in un piccolo centro del nordest. Insieme a quello di molti altri sconosciuti che hanno risposto all’appello il suo sarà uno dei racconti che oggi a Verona vorrebbe cambiare la storia italiana delle vittime della pedofilia nelle chiese, nei seminari, nei collegi. Quelle vittime di preti pedofili che - secondo il gruppo ‘La colpa’ (info@lacolpa.it) che ha organizzato l’incontro al Palazzo della Gran Guardia, scegliendo non per caso uno dei luoghi più visibili della città - in Italia fanno ancora così fatica a denunciare gli abusi subiti, a essere creduti, a ottenere giustizia.
Il racconto di Laura è arrivato prima con una timida mail: «Gentili signori, ho visto il vostro annuncio su Internet. Non so se il mio caso vi può interessare perché non mi sono mai rivolta alla polizia e ancora oggi non ho il coraggio di svergognare quel prete, che sia pure molto anziano è ancora presente nella sua comunità».
Dall’altra parte, la donna ha trovato incoraggiamento e comprensione: «È capitato anche a noi, a volte si convive tutta la vita col peso di un’ingiusta vergogna».
Così, è riuscita a continuare: «Avevo 11 anni quando ho sentito per la prima volta su di me il sesso di un uomo. Era il mio parroco, e ogni scusa era buona per restare solo con me e attirarmi in casa sua, sopra la sacrestia. Io resistevo, ma ero debole, indifesa, non capivo quanto fossero gravi quelle molestie e non avevo il coraggio di ribellarmi a un adulto del quale mi fidavo ciecamente. Lo scandalo scoppiò quell’estate, un ragazzino più piccolo raccontò a casa quel che gli stava capitando e scoprimmo così che la cosa andava avanti da anni, che alcune famiglie avevano cambiato parrocchia senza però mai pensare a proteggere i figli degli altri...».
Ma, come in molti altri casi, le gerarchie locali scelsero di insabbiare il caso: «Quel prete lo trasferirono per due anni al Tribunale ecclesiastico, poi gli affidarono un’altra parrocchia, poi ancora un’altra, neppure troppo lontana. Andai dal padre spirituale del collegio, mi disse di non parlare e che potevo continuare a volere bene al mio parroco... Dopo, venne un altro prete, un uomo di grande moralità, è grazie a lui se non ho smesso di credere in Dio. Ma per anni e anni non ho potuto avvicinare un uomo, non sopportavo neppure l’idea e soffrivo ancor di più pensando ai miei amici, quelli con cui ho diviso gli anni che dovevano essere i più belli. Ora so che molti di loro non hanno potuto farsi una famiglia né essere felici, e non riesco a perdonare».
Resta un peso difficile da cancellare: «Ho cambiato città, mi sono allontanata, a trent’anni mi sono fidanzata, ma ancora non riesco a pensare a dei figli. E vorrei far qualcosa per non lasciare più che la vita di un bambino sia compromessa per un sistema malato, che la vita di un adulto sia sprecata. Naturalmente non farò il nome dei miei amici. Vorrei poter dir loro del mio affetto, ma consegno la mia esperienza come la denuncia del nostro male».
Storie come quella di Laura hanno convinto il gruppo originario dei fondatori di ‘La colpa’, perlo più ex allievi del ‘Provolo’, la scuola per bambini sordi di Verona dove decine di allievi sarebbero stati abusati, che era giunto il momento di uscire allo scoperto.
«Vogliamo offrire a tutte le vittime di preti pedofili italiani il sostegno psicologico che è indispensabile, perché queste violenze sono paragonabili a quelle familiari anche per le conseguenze che lasciano - spiega Salvatore Domolo, 45 anni, il portavoce, che ha alle spalle una storia di bambino abusato e di ex prete - e il sostegno legale. Ma non ci interessano i risarcimenti, quanto l’urgenza di un’azione legale verso la Chiesa cattolica per crimini contro l’umanità. E il 31 ottobre saremo a Roma, insieme alle vittime da tutto il mondo, per manifestare con le nostre facce e le nostre storie quello che è accaduto anche in Italia, a centinaia di bambini e di ragazzi».
Verona, 25 settembre 2010.
Registrazione della conferenza stampa delle vittime dei preti pedofili.
La voce è quella di Salvatore Domolo
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA "CONCILIUM" (3/2004) E IL COLPEVOLE SILENZIO DEL VATICANO.
Il Vaticano ammette: abusi sui minori. Ma nessuno paga
A tre anni dalle denunce, prime verità sull’Istituto religioso Provolo di Verona
di Paolo Tessadri (il Fatto, 14.12.2012)
Il Vaticano ora ammette: ci furono abusi sessuali su molti bambini sordi. A commetterli furono preti pedofili, in un numero ancora imprecisato. Il più grande scandalo di pedofilia nella Chiesa in Italia imbocca la strada della verità. La sentenza di condanna della Santa Sede arriva a tre anni dalla denuncia di 67 ex allievi dell’Istituto religioso Provolo di Verona contro 25 religiosi appartenenti alla Congregazione della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti, che dipende direttamente dalla Santa Sede. Quindici vittime ebbero anche il coraggio di testimoniare gli abusi in video e alcuni li raccontarono senza coprirsi il viso. Rivelazioni sconvolgenti, in cui descrivevano mezzo secolo di sevizie, perfino sotto l’altare, in confessionale, nei luoghi più sacri della fede.
CON LA LETTERA, inoltrata attraverso la Curia di Verona, e firmata da monsignor Giampietro Mazzoni, vicario giudiziale, ossia il magistrato del Tribunale ecclesiastico della diocesi, il Vaticano riconosce la verità delle accuse dei sordi e chiede esplicitamente scusa e perdono. E informa dei provvedimenti adottati dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti dei religiosi. Punizioni, per voce delle vittime sordomute, un po’ troppo blande e contraddittorie. “Il sentimento che prevale di fronte a questa triste vicenda - si legge nella missiva - è innanzitutto di profonda solidarietà nei confronti delle vittime di abuso, che anche in ragione della loro particolare condizione, hanno portato dentro di sé lunghi anni in silenzio una sofferenza difficilmente descrivibile. A loro e alle loro famiglie va una umile richiesta di perdono. La vicenda suscita nello stesso tempo una grande amarezza: alcuni di coloro che erano chiamati a custodire e proteggere dei ragazzi particolarmente provati dalla vita ne hanno vergognosamente abusato”.
SCONFESSA di fatto il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, che in un primo momento si era scagliato contro i sordomuti, parlando di menzogne e anche chi aveva retto il suo gioco, vale a dire il giornale dei vescovi, Avvenire, che aveva alimentato ulteriori dubbi sulla vicenda. Zen-ti aveva parlato di “cattiverie, strumentalizzazioni e ricatto di carattere economico”, costretto poi a fare retromarcia in seguito alla presentazione di una querela da parte dei sordomuti. Ciononostante, “non ha impedito, pur con lentezze forse eccessive, che la Chiesa prendesse in seria considerazione le accuse”, scrive oggi il Vaticano. Implicitamente si fa riferimento a un cambio di rotta di Papa Ratzinger rispetto al suo predecessore sui tempi degli abusi nella Chiesa: “Un segno inequivocabile dell’impegno della Chiesa nel fare piena luce su questa vicenda”.
Si fa poi riferimento ai provvedimenti della Santa Sede. Si citano i vari religiosi coinvolti e identificati, circa una decina, ad altri non identificati, o deceduti oppure dimessisi nel corso degli anni. Per nessun sacerdote in vita è stato previsto la riduzione allo stato laicale. A don E. P., “vista l’età è stato sanzionato dalla Santa Sede con precetto penale che comporta una vita dedita alla preghiera e alla penitenza e il divieto di qualsiasi contatto con minori e l’assidua sorveglianza da parte dei responsabili individuati dal vescovo di Verona”.
A un altro, quello che davanti alle telecamere aveva sconfessato ogni abuso, “ha formulato una formale ammonizione canonica che comporta una stretta vigilanza da parte dei responsabili sui suoi comportamenti”. Per il Vaticano pare sia solo una prima tranche d’indagine di una più ampia che riguarda altri ecclesiastici, per i quali la “Santa Sede ha richiesto documentazione, tuttora in esame presso la Congregazione per la dottrina della fede”. Per alcuni, come per L. G., “ricoverato in una casa di riposo. Nessun provvedimento stante la sua condizione, è stato preso nei suoi confronti”.
Riguardo alle accuse di un sordomuto si scrive che sono “affette da incoerenza e contraddizione e non sono attendibili”. Poco dopo, però, si legge che “ciò non toglie che lui abbia subito degli abusi”. Perché si mette in dubbio la testimonianza di questo sordomuto, che oggi ha circa 60 anni? Perché ha coinvolto negli abusi l’ex vescovo di Verona, Giuseppe Carraro, per il quale è in atto la beatificazione. E anche in quel caso il vescovo di Verona si era scagliato duramente contro le vittime: “La beatificazione non sarà bloccata” aveva fatto trapelare da un monsignore della sua diocesi veronese. Tuttavia la Congregazione della fede “aveva disposto di sospendere il processo di beatificazione” in un primo momento e adesso il via libera.
MA OLTRE alla prima vittima, ce n’è una seconda che accusa il vescovo Carraro. Un uomo di 62 anni, sordomuto, che ha frequentato l’istituto Provolo di Verona e di Chievo dal 1956 al 1968. Ecco la sua testimonianza. “All’età di 15 anni, durante le lezioni, don D. S. mi fece uscire dall’aula e mi accompagnò in infermeria, che si trovava all’ultimo piano dell’istituto, dicendomi che doveva medicarmi. Mi fece entrare e se ne andò e in infermeria c’era il vescovo Giuseppe Carraro, lo stesso che mi aveva cresimato. Mi offrì delle caramelle e mi accarezzò, poi mi disse di togliermi i pantaloni e le mutande. Mi toccò i genitali e mi masturbò. La stessa cosa si è ripetuta a distanza di qualche mese. In istituto ho avuto rapporti sessuali anche con i miei compagni. Uno di questi, P.D., mi disse che don D. S. lo aveva portato in infermeria dove c’era il vescovo Carraro, che lo aveva sodomizzato. Mi ha detto che gli aveva fatto molto male... P. D. ha avuto due incontri, mi aveva detto, con Carraro. Lui è stato violentato anche da preti del Provolo, prima che se ne andasse nel 1966. Ha avuto molti problemi, era depresso e alcolizzato. È stato trovato impiccato a casa sua nel gennaio del 1991”.
La conferenza stampa delle vittime dei preti pedofili
Verona, 25 settembre 2010 *
La pedofilia clericale "crimine contro l’umanità". Nessun dialogo con la chiesa che parla di "piano di dio" e non vuole riconosce la sua "complicità attiva". La pedofilia è insita nella chiesa per il suo dominio sulle persone.
Le vittime dei preti pedofili, che per la prima volta si stanno riunendo in questa giornata a Verona, in una conferenza stampa chiedono alla comunità internazionale il riconoscimento della pedofila clericale come "crimine contro l’umanità". Chiedono inoltre di riconoscere l’esistenza di una "organizzazione pedofila dedita a tale crimine" che è rappresentata dalla Chiesa Cattolica.
Questa richiesta si basa sulla vastità sia numerica che geografica dei casi di pedofilia clericale, anche definita come “sacra”, scoppiati nel mondo e che sarà ancora più vasta e profonda quando verranno a galla sia i casi italiani, sia quelli del cosiddetto “terzo mondo”. “Quando la società italiana - è stato affermato nella conferenza stampa - si libererà del potere clericale le vittime si sentiranno libere di parlare e ciò che verrà fuori sarà impressionante”.
La conferenza stampa è stata tenuta da Salvatore Domolo, ex sacerdote, calabrese di nascita ma che ha operato per molti anni a Novara. Lui stesso è stato una vittima della pedofilia clericale e conosce bene ciò di cui ha parlato.
Durante la conferenza stampa è stato più volte ribadito la necessità che la chiesa cattolica riconosca a sua “complicità attiva” con la pedofilia. Complicità che aveva lo scopo di salvare la propria immagine e che si manifestava con gli spostamenti dei preti pedofili da paese a paese.
“Non possiamo entrare in dialogo - ha affermato Salvatore Domolo - con chi non vuole vedere la verità”.
Molto duro a tale proposito è stato Domolo nei confronti delle ultime dichiarazioni di Benedetto XVI che ha paragonato le vittime della pedofilia a martiri della chiesa, lasciando intravedere dietro a tale vicenda una sorta di “piano di dio”. “Queste affermazioni sono il segno - ha detto Domolo - che la chiesa non vuole prendere coscienza della verità cosa che impedisce un dialogo con essa”.
Non si tratta - ha detto Domolo - per la chiesa di “Ingenua incapacità di trovare una soluzione al problema” ma di “complicità attiva”.
Riconoscere la verità è dunque per le vittime il primo passo da fare per aprire un dialogo che consenta di uscire insieme da questa tragedia.
Domolo ha messo anche sotto accusa il potere coercitivo che usa la Chiesa nei confronti della opinione pubblica clericalizzata.
Da oggi le vittime non sono più numeri o percentuali ma persone con un volto e con una storia terribile alle spalle. Oggi le vittime italiane rialzano la testa e scoprono di non essere sole.
E’ stato anche annunciato il coordinamento con altre vittime di altre parti del mondo che terranno un appuntamento mondiale a Roma previsto per il prossimo 31 ottobre.
Di seguito la registrazione della conferenza stampa. La voce è quella di Salvatore Domolo.
La conferenza stampa delle vittime dei preti pedofili a Verona del 25 settembre 2010
Nasce a Verona l’associazione italiana delle vittime dei preti pedofili sul modello americano
“La Chiesa risponderà di crimini contro l’umanità”
Prevista per fine ottobre a Roma una manifestazione internazionale contro il Vaticano
di Marco Politi (il Fatto, 26.09.2010)
Le vittime cercano la parola. Uomini e donne abusati dai preti nell’infanzia escono allo scoperto per rivendicare i loro diritti. A Verona li ha invitati il Gruppo “La Colpa”. Sono un centinaio di persone venute alla Gran Guardia, praticamente di fronte all’Arena, all’insegna di un manifesto dove un ragazzo trascina la sua croce, issato sulle spalle di un chierico minaccioso. Tra loro una quarantina di vittime e familiari. L’atmosfera è molto particolare. Loro, ex ragazzi con i capelli un po’ spruzzati di grigio, si sono ritrovati con il coraggio, la timidezza, la speranza e l’imbarazzo di chi per la prima volta in Italia deve dire all’opinione pubblica “Subivo in silenzio”. Tra gli stuprati c’è chi parla, chi si limita ad ascoltare, chi si nasconde, chi non se l’è sentita di venire e affida il suo racconto ad una mail. Fa impressione vedere qualcuno degli ex allievi del “Provolo” (l’istituto veronese per sordomuti, gestito dal clero, dov’è scoppiato uno scandalo nazionale) che articola faticosamente le parole, mimando il suo irrigidirsi quando il prete o l’assistente laico cominciava ad accarezzarlo.
Gianni Bisoli racconta al Fatto il suo calvario iniziato a 13 anni con il prete che lo seguiva in bagno, lo chiamava di notte dal dormitorio, se lo portava in giro in macchina e lo sodomizzava. Per quattro volte, racconta, fu portato anche dal vescovo dell’epoca, che lo molestò. C’è chi comincia il suo racconto e bruscamente lo interrompe, perché non ce la fa a proseguire. Francesco da Padova ce la fa. E ricorda quei preti e quelle suore, che con la scusa di punire iniziavano a toccare. La cosa peggiore, dice, era sapere che i genitori non avrebbero creduto o avrebbero minimizzato: “E allora ti senti in colpa e anche bugiardo”. Regalini, dolcetti e caramelle
INTERVIENE una donna ed è felice di non dover tacere. “Scusate se parlo disordinatamente - dice - perché sono tesa”. Ricorda le confessioni con il prete, che le chiedeva dove si grattasse sotto la gonna. Tornano ossessivamente nei discorsi i “regalini” dei predatori alle vittime. La caramella, il dolcetto, il gelato. Tra i messaggi di chi ha avuto vergogna a venire c’è quello di un uomo, che odia ancora oggi la “caramella al rabarbaro” e non ha dimenticato la riposta che il vescovo della sua città diede a sua madre, che era andata a denunciare le molestie del sacerdote amico di famiglia: “Il vescovo sconsigliò assolutamente di fare denunce per il bene mio (che ero adolescente) e per non dare dolore alla madre del prete!”.
Una reazione classica da parte della gerarchia. “In Italia - sottolinea Salvatore Domolo, ex sacerdote e uno degli organizzatori del convegno - si è tentato di distinguere il prete pedofilo dall’istituzione, dimenticando l’assoluta complicità della gerarchia in questo enorme crimine”. C’è sempre stato il silenzio e l’atteggiamento della Chiesa di voler “difendere la propria immagine”, risolvendo il problema attraverso lo spostamento del colpevole da una parrocchia all’altra.
Anche Domolo, che si è sbattezzato nel 2009, quando era ragazzo è stato abusato da un prete, poi si è fatto prete lui stesso e quando sono riemerse le angosce il suo padre spirituale lo accompagnava personalmente (e assisteva) alle sedute di terapia. “Così l’istituzione controlla. E quando non controlla, tenta di spiritualizzare il problema”, affogandolo nell’ideologia di una prova di sofferenza redentiva.
Ma i conti non tornano. Un messaggio arrivato al convegno è un grido: “Dall’età di dieci anni, hanno abusato di me per quattro anni. Poi ne sono uscito. Sono infelice. Ho perso il lavoro, ho tentato per tre volte il suicidio, il matrimonio è fallito, i figli mi odiano. Ho paura di avere tendenze pedofile, guardo i ragazzi in piscina... aiutatemi prima che mi uccida!”. Francesco Zanardi di Savona si è trasformato da vittima in detective. Racconta che il pretepredatore Luciano Massaferro, già condannato a tre anni di carcere, se n’è andato in Svizzera e ora è tornato segretamente in Liguria. Un altro prete pedofilo pakistano, Yousuf Dominic, cacciato da Londra, emigrato nel Texas dove ha commesso altri crimini, aveva trovato ospitalità recentemente in un convento ligure. (Forse sentendosi scoperto, è morto d’infarto pochi giorni fa).
Testimonianze infinite. Ma nel convegno ci si è presi l’impegno di costruire una rete, un coordinamento delle “vittime italiane” per farsi sentire come negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania. A Roma, preannuncia Marco Lodi Rizzini, è in programma per il 31 ottobre una grande riunione delle associazioni internazionali di abusati dal clero per chiamare il Vaticano alle sue responsabilità. “Crimini contro l’umanità”, è l’accusa riecheggiata a Verona. Perché l’inerzia della gerarchia è diffusa. A Verona, dopo violenti polemiche, il vescovo Zenti e il rappresentante delle vittime del “Provolo”, Giorgio Dalla Bernardina, si sono incontrati a luglio per deporre le armi ed è stato deciso di istituire una commissione d’inchiesta. Don Bruno Fasan, portavoce della diocesi, comunica che una prima relazione è già stata mandata nel 2009 alla Congregazione per la Dottrina della fede. Ora, spiega, sono in corso audizioni degli ex allievi del “Provolo”. Replica Dalla Bernardina: “Tutte parole, niente fatti, Chiediamo un confronto pubblico tra le vittime e i colpevoli”.
E il cardinal Bagnasco non risponde
NEGLI ALTRI PAESI europei l’episcopato ha istituito commissioni d’inchiesta, numeri verdi e responsabili nazionali per ascoltare le vittime. In Italia non è successo finora nulla. Domani si riunisce il Consiglio permanente della Cei. C’è da vedere se porterà novità. Intanto Roberto Mirabile, presidente dell’associazione anti-pedofilia “Caramella Buona”, sta cercando da mesi di incontrare il cardinale Angelo Bagnasco per informarlo di due gravi casi. Il cardinale non vuole, il segretario non dà risposte, la segreteria telefonica è muta.
Corriere della Sera, 26.09.2010
Preti pedofili, le nuove denunce
VERONA - «Vorresti fermare il prete pedofilo che è lì, accanto ai bambini». È il sentimento nelle vittime di abusi sessuali commessi all’interno della Chiesa. È emerso durante il primo incontro pubblico «Noi vittime dei preti pedofili» nel Palazzo della Gran Guardia. «Vogliamo far vedere che esistiamo, che non possiamo più essere messi a tacere e che non siamo statistiche ma esseri umani» hanno detto. Una cinquantina di mail di denuncia di altri casi sono arrivate al gruppo «La Colpa», promotore dell’incontro. Lo ha spiegato Mario Lodi Rizzini, fratello di una delle sordomute dell’Istituto San Provolo di Verona, dove - secondo testimonianze dettagliate - ci furono numerosi casi di abuso.
COME LE GERARCHIE ECCLESIASTICHE COPRONO I LORO COMPLICI. STORIA DI UN PEDOFILO RECIDIVO E SEMPRE SALVATO DI SUOI SIMILI. La famiglia Gastal, quella che ebbe i figli stuprati, già dal 1984 portò in tribunale Gilbert Gauthe e non cedette ad ogni sorta di pressione, che si esercitò anche sui testimoni e sui media. Il Vaticano non trascurò alcun tipo di ricatto e sopruso e tirò in ballo - perché il processo si volgesse a suo favore - persino le conoscenze con le autorità locali ed il governatore. Tuttavia, in nome della verità, si arrivò così al dibattimento giudiziale, alle giurie popolari ed alla TV. Purtroppo (la madre dell’ignoranza è sempre incinta), gli altri fedeli arrivarono ad accusare i Gastal di testardaggine, tantoché li trattarono da criminali. Il muro di omertà era però stato infranto. Altre pressioni vennero dall’arcivescovo Pio Laghi (complice della dittatura in Argentina, cap. precedente), poi nunzio apostolico negli USA. Undici testimonianze, registrate in cassette da parte di ragazzi la cui età oscillava tra i 13 e i 17 anni, inchiodarono definitivamente padre Gauthe con 34 capi d’accusa: crimini contro natura, atti sessualmente immorali, materiale pornografico, stupro aggravato per sodomia ai danni di un adolescente di 12 anni. Quest’ultimo crimine implicava la pena di morte, così come recitano le leggi della Louisiana. Allora il Vaticano inasprì ancor più le modalità di persuasione, finché si arrivò per vie traverse al tanto sospirato patteggiamento con la famiglia. Il 14 ottobre ci fu la condanna a 20 anni di reclusione del criminale e alla promessa dell’accusa che la pena sarebbe stata scontata fino agli ultimi giorni. Il giudice Brunson concluse la sentenza con le seguenti parole: “I suoi crimini contro le sue giovanissime vittime hanno gettato un peso terribile su quei bambini, sulle loro famiglie e sulla società, e indubbiamente anche sul suo Dio e sulla sua Chiesa”. Durante la causa civile, fu anche chiesto alla devota cattolica Faye Gastal, madre della vittima, che cosa le passasse per la testa, guardando il vescovo Frey, presente ai dibattimenti con l’avvocato del colpevole monsignor Mouton: “Quando li guardo, penso a Gauthe che mette il suo pene in bocca a mio figlio, che gli eiacula in bocca, che gli infila il pene nel retto. Ecco che cosa penso” . I giurati, dopo appena un’ora e 45 minuti decisero per un risarcimento “giusto e ragionevole”: 1 milione di dollari alla vittima e 250.000 alla famiglia. Ma la Chiesa non desistette: la tanto sospirata libertà condizionata per Gauthe arrivò già nel 1998. Gli fu accordata da un giudice cattolico a soli 12 anni dalla condanna, ma un po’ di tempo dopo era di nuovo in galera per molestie ai danni di un minore. E tuttavia, ancora una volta, gli concessero il regime di semilibertà! Nell’aprile del 2008 lo ritroviamo come conduttore di autobus per viaggi scolastici: nessuna segnalazione era stata fatta sulla sua pericolosità . Povero stupratore, recitano le litanie religiose. Cari fratelli, non fatevi più ingannare: il miglior perdono è la vendetta. In tal modo applicherete il primo credo assoluto della Città del Vaticano, che anche dopo anni, secoli e millenni, ricorda gli “sgarbi” subiti. Pure i fedeli dovrebbero applicare lo stesso principio, contro quella masnada di fornicatori che alligna nella Santa Sede. Nei capitoli precedenti abbiamo esaminato che cosa hanno fatto a coloro che sostengono i poveri, ai comunisti, agli atei, a coloro che non fanno parte della loro setta. Non dimenticarlo mai, neppure quando si avvicina la morte .
DA: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ (Nexus Edizioni), giugno, 2010. 517 pagine, 130 immagini, € 25
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Cei: l’Italia si sta disintegrando
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 28.09.2010)
L’Italia è a rischio implosione. Dalla relazione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente Cei emerge il malumore del popolo cattolico per la situazione del Paese. Polemiche incessanti, segnate dal disconoscimento reciproco, dalla denigrazione e da una divisione astiosa - sostiene il presidente della Conferenza episcopale - fanno pensare di essere “all’anticamera dell’implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese”.
È un’Italia che sembra barcollare: arriva “sull’orlo del peggio... poi si raddrizza il tiro, ci si riprende, si tira un respiro di sollievo”, ma alla fine l’attenzione si volge ancora “tra le macerie a cercare finti trofei... per tornare alla guerriglia”. È un ritratto impietoso. “Siamo angustiati per l’Italia”, afferma il cardinale, perché il Paese concreto, fatto di persone che lavorano e intraprendono, non riesce a realizzare il bene pubblico. Si torna sempre al punto di partenza. Da dieci anni si discute di riforme e quando saranno varate? Bisogna fare presto per rispondere alle sfide della globalizzazione. Urge una svolta. Vanno superate le logiche del favoritismo, della non trasparenza, del tornaconto personale. “Se si eludono con malizia i sistemi di controllo, se si falcidia con mezzi impropri il concorrente, se non si pagano le tasse, se si disprezza il merito... si cade nell’ingiustizia”.
Degrado politico
POCHI GIORNI fa l’Avvenire ha dedicato due pagine al degrado del sistema politico. Bagnasco riprende il tema. Lamenta il linguaggio violento usato da chi ha responsabilità pubbliche. Attira l’attenzione sulla fragilità della situazione economica,invita a tenere conto del diritto dei lavoratori licenziati e disoccupati e sottolinea l’importanza degli ammortizzatori sociali, esorta a non usare strumentalmente la flessibilità - che non va ostacolata per “indebolire la dignità di chi lavora”, auspica una soluzione giusta per i precari della scuola, ammonisce di non trascurare i guasti della malasanità e di non dimenticare i morti sul lavoro, verificando il sistema dei subappalti.
Non c’è aspetto del malessere italiano che il cardinale non citi nella sua relazione. Dallo stato delle carceri alla violenza sulle donne, dai rigurgiti razzisti alle persecuzioni contro i Rom. In questo senso è una relazione politica, con il monito a superare contese e personalismi esasperati per ritrovare il senso del “bene comune”. In particolare Bagnasco si augura l’avvento di una nuova generazione di politici cattolici.
Gli occhi della gerarchia restano disperatamente chiusi, invece, su un aspetto chiave della crisi italiana. L’agire di un primo ministro che offre da anni l’esempio di un’azione sistematica per eludere, cancellare o fabbricare leggi nel suo personale interesse. Non si tratta di abbracciare l’antiberlusconismo, come spesso dicono per difendersi gli esponenti della Chiesa. Non è questo.
Non si tratta nemmeno del colore politico del governo. Ma lo scardinamento delle regole, praticato da Berlusconi, è unico in Occidente. E la Cei - d’intesa con la Segreteria di stato vaticana - finge di non vederlo, anche se è in flagrante contraddizione con l’idea di “bene comune” a cui fa appello Bagnasco.
Da questo punto di vista bisogna notare che il segnale inviato un anno fa da Berlusconi alla Chiesa - con il “metodo Boffo” applicato dal Giornale di Feltri - ha avuto pieno successo (per il Cavaliere). Da settembre scorso l’Avvenire non si permette più di criticare i comportamenti di Berlusconi. Il che è l’unica cosa che interessa al premier. Che poi dal giornale dei vescovi arrivino critiche al governo in tema di immigrazione o che si esprima il desiderio di un mutamento della legge elettorale, a Berlusconi interessa poco. Basta che la gerarchia ecclesiastica non gli tolga il puntello della legittimazione etica. E la Cei e il Vaticano questo il puntello continuano a darglielo.
Assai netta nella relazione Bagnasco è, tuttavia, la difesa dell’unità nazionale. Il presidente della Cei sostiene con forza che vanno verificati tutti gli aspetti del federalismo. Senza ricatti, equivoci, ipocrisie, demagogie e forme di contrattualismo esasperato: il cardinale usa questi termini a uno a uno. “La riforma - scandisce testualmente - non deraglierà se potrà incardinarsi in un forte senso dell’unità e indivisibilità della nazione”.
E qui Bagnasco evoca il simbolo della bandiera così spesso vilipesa da Bossi e dai suoi imitatori. “Il tricolore - esclama il presidente della Cei - è ben radicato nel cuore degli italiani”. È un federalismo “solidale”, quello per cui la Chiesa è pronta a spendersi. Nella visione di un nuovo patto nazionale,che nel centocinquantesimo dell’Unità d’Italia rafforzi i vincoli tra gli italiani.
Lo scandalo pedofilia
NON POTEVA mancare nell’intervento del porporato un paragrafo dedicato agli scandali di pedofilia. È il più deludente. La Cei fa sue le parole di Benedetto XVI sui crimini inqualificabili, sulle “immense sofferenze causate dall’abuso” e la necessità di dare priorità alle vittime. E questo è tutto. In Inghilterra sono stati istituiti gruppi di vigilanza, in Belgio e in Austria la Chiesa ha creato commissioni di indagine, in Germania l’episcopato ha nominato un vescovo referente nazionale per gli scandali. In Italia la Cei si ferma all’annuncio di voler seguire le direttive della Santa Sede e alla promessa di “decisa vigilanza, intervento e sostegno umano e cristiano per tutti”.
Non una sola struttura nazionale per contrastare il fenomeno e rintracciare le vittime dimenticate, è stata messa in piedi. E si tace sui risarcimenti. La gerarchia crede che parlarne sia un fatto anticlericale e non capisce che è un’esigenza molto sentita del mondo cattolico e dell’opinione pubblica. In realtà la Chiesa italiana, come è stato detto al convegno di Verona, teme che “si alzi il coperchio” sulle centinaia di abusi commessi. Ma il coperchio, se i vescovi non seguiranno l’esortazione alla trasparenza di Benedetto XVI, sarà levato lo stesso. E allora l’effetto del silenzio sarà devastante.