NEFERTITI, STORIA DI UNA REGINA EGIZIANA CONTESA
Querelle La Germania ha negato il viaggio della sposa di Amenofis IV verso il suo paese d’origine per una mostra. Ma l’Egitto richiede la restituzione della celebre scultura
di Arianna Di Genova (il manifesto, 20.06.2006)
La regina Nefertiti, che tutti conosciamo per la sua bellezza perfetta immortalata nel busto che la ritrae, esposto al museo di Berlino, è un’icona contesa. Tremila e trecento anni dopo la sua morte, a pochi mesi dall’annunciata scoperta - tutta da verificare - della sua tomba con tanto di mummia regale, Nefertiti non fa dormire sonni tranquilli alle autorità tedesche né al capo della commissione delle antichità egizie Zahi Hawass, pronto a reclamare un ritorno in patria della sposa di Amenofis IV.
Akhenaton e Nefertiti, Calcare dipinto. Parigi, Museo del Louvre |
La sua è una battaglia dura, che chiama in campo anche l’Unesco. Non vuole indietro, naturalmente, tutto il patrimonio archeologico degli antichi egizi in giro per il mondo - sarebbe una follia - ma insiste affinché «i simboli dell’identità di una cultura» non siano più «esiliati» fuori dal territorio d’appartenenza.
Fra le icone imprescindibili, Hawass ha inserito la Stele di Rosetta, che permise la decodifica dei geroglifici (oggi tesoro del British di Londra), lo zodiaco di Dendera (al Louvre) e il busto di Akhenaton (al Museum of Fine Arts in Boston).
Intanto, Nefertiti avrebbe potuto tornare in Egitto in autunno, con una cessione temporanea, per una mostra che l’Istituto archeologico tedesco sta organizzando al Cairo, prevista per novembre 2006. In cambio, sarebbe stata offerta un’altra statua da esporre a Berlino. Ma la Germania, da parte sua, ha già risposto alla questione in maniera negativa: convocando una conferenza stampa sulla regina oggetto di litigi internazionali, ha rimandato al mittente la domanda di prestito e ha ribadito il possesso del ritratto.
Nefertiti non compirà nessun viaggio all’estero. Secondo accordi dell’Unesco, le antichità portate fuori dall’Egitto prima del 1972, in modo legale, non possono rientrare nel loro paese di origine. E il busto di Nefertiti, scoperto nel 1912 dall’archeologo Ludwig Borchardt - il copricapo azzurro e la bellezza della scultura, seppure incompiuta, parlavano inequivocabilmente della sovrana - venne consegnato al finanziatore degli scavi, il banchiere Simon che nel 1921 lo donò a Berlino. Era un atto che lo studioso poteva compiere, dato che per legge gli era consentito tenere per sé la metà dei reperti trovati.
Ma Hawass attacca proprio su questo punto della storia: la commissione egiziana che doveva vigilare, quella preposta alla «scelta» e a favorire una divisione equa, non si accorse dell’importanza dell’opera perché quel busto non venne mai dichiarato. Anzi, venne nascosto, coperto di fango, fra altri pezzi meno pregiati. Quando poi le autorità videro Nefertiti in bella mostra a Berlino, era ormai troppo tardi.
Negli anni successivi, precisamente nel 1933, il governo egiziano richiese la scultura indietro ma si scontrò con un fan d’eccezione: Hitler stesso. «Conosco il famoso busto - scrisse il Fuhrer - mi ha sempre riempito di stupore. Nefertiti continua a deliziarmi. Quel busto è un capolavoro unico, un vero tesoro». Con queste parole, il caso si arenò. Oltretutto, Hitler aveva dei progetti per un nuovo museo di antichità a Berlino e la regina sarebbe stata al centro del suo tempio dell’arte. A riaprire il vecchio contenzioso, mai sopito in realtà, è stata oggi l’occasione della mostra archeologica e la costanza di un sovrintendente come Hawass.
Il faraone Akhenaton e la sua famiglia mentre offrono doni votivi ad Aton |
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
TORINO: NEFER, LA DONNA NELL’ANTICO EGITTO - VIDEO.
TERRA!!! TERRA!!! - PIANETA TERRA.... RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO".
«Incapaci» per legge, le donne egiziane si mobilitano
Egitto. Fatta trapelare alla stampa una controversa bozza di riforma del diritto di famiglia. Servirà il permesso di un uomo per sposarsi, decidere sulla salute dei figli e viaggiare. Le organizzazioni femministe: si torna indietro di 200 anni
di Chiara Cruciati (il manifesto, 07.03.2021)
Il regime egiziano mette le mani sul diritto di famiglia e le donne si mobilitano. In un paese in cui la povertà avanza a passo spedito colpendo soprattutto le categorie economicamente più fragili, tra cui le donne, in cui l’Onu stima che il 99% di loro ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza, in cui si calcolano centinaia di prigioniere politiche sottoposte ad abusi quotidiani (tre di loro condannate alla pena capitale), ora Il Cairo sta lavorando a un arretramento dei diritti delle donne.
Sul tavolo ci sono una serie di emendamenti al diritto di famiglia che riducono le donne a soggetti meno capaci degli uomini nella gestione della propria vita e di quella dei figli.
Nella bozza della riforma fatta trapelare alla stampa è infatti prevista la figura del guardiano, un uomo che dovrà dare il proprio consenso alla donna - che sia la figlia, la moglie o la sorella - che intende viaggiare, sposarsi o prendere decisioni sulla salute dei figli.
Quarantacinque pagine che hanno provocato la sollevazione delle organizzazioni per i diritti umani e le associazioni femministe che descrivono la bozza una riforma «arcaica» che riporta il paese indietro di 200 anni.
Tra gli articoli più controversi, c’è quello che riconosce al guardiano il diritto di annullare il matrimonio della figlia, della sorella o della nipote entro un anno se ritiene che il coniuge non sia di pari livello sociale o di suo gradimento, o se l’unione è avvenuta senza il suo consenso.
Una forma legale di oppressione, l’hanno definita sulla stampa araba svariati analisti, «che ribadisce la cultura patriarcale dominante della classe dirigente». A nulla serve avere otto ministre nel governo o quote rosa in parlamento se la stragrande maggioranza delle donne egiziane è legalmente considerata incapace di decidere per sé.
Lo mette nero su bianco un altro articolo della riforma che toglie potestà alla madre in merito alla salute e l’educazione dei figli, fino alla registrazione dei nuovi nati, possibile solo in presenza del padre.
C’è poi il capitolo poligamia: l’uomo potrà sposare un’altra donna limitandosi a informare la moglie, pena l’arresto. Alla moglie viene tolto il diritto di rigettare il secondo matrimonio e di divorziare, le condizioni previste dall’islam.
Unica nota positiva è l’«assicurazione» a favore della donna in caso di divorzio non consensuale, una previsione apprezzata soprattutto dalle classi più basse, dove un divorzio può costare alla donna che non lavora l’unica fonte di sopravvivenza economica.
Ma se la legge non è stata ancora approvata, 50 organizzazioni di donne egiziane si sono già mobilitate con una dichiarazione congiunta che chiede il rispetto dei diritti umani fondamentali e della stessa Costituzione: alla base sta la richiesta, basilare, di riconoscere l’uguaglianza legale di donne e uomini, nella società come in famiglia.
«Rigettiamo totalmente questa legge - il commento dell’Egyptian Centre for Women’s Rights - Abbiamo donne ministre che firmano contratti milionari in nome dello Stato, ma che con questa riforma non potrebbero nemmeno sposarsi liberamente o viaggiare, nemmeno per lavoro, senza il permesso del guardiano».
Divina Cleopatra, sapeva amare e fare la guerra
Mamma, stratega, passionale: fu una donna completa e riuscì a imporsi in una società dominata dagli uomini. Angela racconta la regina “greca” che osò sfidare Roma
di Alberto Angela (La Stampa, TuttoLibri, 08.12.2018)
L’idea di scrivere un libro su Cleopatra mi è venuta circa un anno fa, ma è stato solo quando ho iniziato a lavorare a questo libro, che poi ho portato a termine in pochissimo tempo, circa tre mesi e mezzo dopo il lavoro di ricerca, che ho capito quale donna straordinaria avessi di fronte.
In primo luogo, Cleopatra vive in un’epoca cruciale dell’antichità, tra due grandi imperi, due grandi momenti: si trova alla fine di tutta la storia dell’antico Egitto, quella fatta dai regni che si sono succeduti. Dopo di lei finiscono. E si trova anche nel momento in cui sta per nascere l’Impero Romano: un momento cerniera, cardine, tra questi due grandi capitoli della storia così affascinanti: l’Egitto antico e Roma antica.
Cleopatra unisce questi due mondi e già questo la rende così affascinante. Ma Cleopatra è anche un catalizzatore: permette di far nascere quella storia dell’antica Roma che tutti noi conosciamo. Senza di lei le cose sarebbero andate diversamente, cosa sarebbe accaduto non lo sappiamo, ma certamente sarebbe stata una storia diversa. Cleopatra infatti permette di velocizzare certi meccanismi dell’antica Roma. Si lega prima a Giulio Cesare; morto Giulio Cesare si lega ad Antonio, e Antonio assieme a lei si contrappone a Ottaviano fino a uno scontro finale in cui solo uno dei due poteva prevalere e ha vinto Ottaviano.
Da quel momento in poi Ottaviano è dominatore assoluto della scena, non ha più rivali, quindi può imbastire le fondamenta di quello che verrà chiamato poi Impero Romano. Ma non solo: Ottaviano vive a lungo, quindi ha il tempo per fare tutto questo.
Questi due elementi, l’assenza di rivali e la longevità, permisero la nascita dell’Impero, a cui dobbiamo le strade che attraversano tutta l’Europa, i suoi imperatori e la stessa storia della cristianità, che si è diffusa nel più potente dominio dell’antichità.
Cleopatra ha permesso a tutto questo di esistere così come lo conosciamo: mi ha incuriosito perché è una specie di sliding door della storia, ha fatto in modo che accadessero delle cose e non delle altre. Se avessero vinto Cleopatra e Antonio, forse tutto quello che è accaduto dopo avrebbe avuto un sapore greco-orientale, invece ha vinto Ottaviano e il futuro è stato latino-occidentale. Chissà come sarebbe il mondo oggi, chissà che lingua parleremmo, le abitudini a tavola che avremmo: non lo sappiamo, sono passati così tanti secoli.
La seconda cosa che mi ha incuriosito di Cleopatra è che lei è una donna unica nel suo genere, non sono esistite altre donne nell’antichità come lei.
Cleopatra è regina e donna, moglie, amante e mamma, capace di grandi passioni e innamoramenti, ma anche di grandi scenate di gelosia come ogni donna. È intensa e profonda, ma allo stesso tempo è una sovrana dotata di grandissima strategia, che riesce a capire chi ha davanti e ad agire di conseguenza. Una donna che sa essere mamma tenerissima con i suoi bambini e impavida condottiera di flotte ed eserciti. Tutto questo è possibile perché lei è una donna completa, come all’epoca non ne esistevano, all’interno di una società maschilista, dominata da uomini abituati a usare soprattutto la forza per comandare, oltre all’astuzia, come Ottaviano.
Sarà Ottaviano alla fine a sconfiggerla, forse grazie proprio alla sua astuzia, ma tutti gli altri lei li ha saputi abbracciare, attrarre a sé, come Cesare e Antonio, oppure li ha combattuti, riuscendo a portare il suo regno a dimensioni come non se ne vedevano più da tantissimo tempo.
C’è stato un momento in cui tutto il Mediterraneo orientale era in mano egizia, e Cleopatra è riuscita a non far diventare il suo regno una provincia romana. Fino alla fine è restata al potere come regina, amata dal popolo egizio, amata da condottieri come Cesare e Antonio, e temuta da tutti gli altri romani.
Terzo elemento. Cleopatra è una donna moderna: oggi sarebbe una mamma premurosa e allo stesso tempo una donna manager della finanza e dell’industria capace di ideare strategie e cogliere al volo le opportunità. Era moderna non perché avesse un DNA diverso dalla altre donne, ma perché era molto attiva, con l’argento vivo addosso, decisionista. Quello che l’ha resa una donna diversa dalle altre è essere nata ad Alessandria d’Egitto nel periodo dell’Ellenismo.
Lei è stata cresciuta come principessa, ma aveva filosofi come precettori, andava nella biblioteca di Alessandria, leggeva, si informava, ha scritto dei trattati, e vicino aveva il musèion, cioè un’università. Alessandria d’Egitto era in quel momento il centro della cultura di tutto il mondo antico, uno dei fari del sapere del pianeta e lei era la regina degna di quella città: intelligente, dotta e poliglotta.
Capiva gli altri, parlava la lingua degli egizi, era vicina ai sacerdoti egizi, non era semplicemente una greca.
Perché una cosa che pochi conoscono è che Cleopatra non era egizia, ma greco-macedone. Cleopatra vuol dire «gloria del padre»(dal greco, kleos e patros ), e apparteneva a una dinastia straniera, quella dei Tolomei, che erano greci che avevano occupato l’Egitto dopo la morte di Alessandro Magno, quando i suoi generali si spartirono l’immenso impero che arrivava fino all’India.
Tolomeo era uno dei suoi generali e si prese l’Egitto, dando origine a una delle dinastie tolemaiche. Per questo motivo tutti i sovrani che vengono dopo di lui sono re e non faraoni, anche se si fanno rappresentare come tali, e tutti si chiamano Tolomeo, mentre le regine si chiamano invariabilmente Arsinoe, Berenice o Cleopatra - tant’è che la nostra Cleopatra è la numero sette.
Quindi una donna greca e con abitudini greche, colta, che rappresenta un mondo moderno dove, sebbene ci fossero delle situazioni tipiche dell’antichità, prosperava la conoscenza, che è la caratteristica che unisce la nostra epoca a quella in cui è vissuta Cleopatra. Qualcosa non funzionava e non era una società perfetta, ma lei era frutto di questo incredibile rinascimento dell’antichità in cui il sapere, l’arte e la voglia di scoprire crearono quel momento di grazia del mondo che riuscì a far sì che una donna fosse non solo pari all’uomo, in una società maschilista, ma addirittura superiore.
Sul tema, in rete, si cfr.:
PROVOCARE REALTA’ - Il *VITALE* “flatus vocis” di Antonio e Cleopatra ....
Nel testo di Shakespeare (II, 2, 228-232) Enobarbo dice di Cleopatra: “Un giorno l’ho vista - Fare quaranta salti a gallo zoppo sulla pubblica strada, - E, avendo perso il fiato, parlò, ed ansimò, - Così che FECE DEL DIFETTO PERFEZIONE, - E, senza fiato, emise FASCINO”.
Federico La Sala
Nessuna stanza segreta nella tomba di Tutankhamon
Lo indica un radar italiano
di Redazione ANSA *
Non ci sono "camere nascoste" nella tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re ed è quindi infondata la tesi che il suo sepolcro potesse nascondere quello della regina Nefertiti. Lo indica una ricerca condotta dal Politecnico di Torino, i cui risultati sono statio annunciati in una nota dal ministero delle Antichità egiziano".
Ricerche geofisiche di alto livello - si legge nella nota - forniscono la prova conclusiva della non esistenza di camere nascoste adiacenti o dentro la tomba di Tutankhamon", indicata con la sigla KV62 e situata nel Sud dell’Egitto, nei pressi di Luxor. "Le ipotesi dell’esistenza di camere segrete o corridoi adiacenti la tomba di Tutankhamon non é supportata dai dati GPR", precisa la nota riferendosi alla tecnologia radar Ground Penetrating Radar. Il gruppo di Porcelli comprende ricercatori dell’Università di Torino e delle aziende Geostudi Astier di Livorno e 3DGeoimaging, sempre del capoluogo piemontese.
La ricerca, coordinata da Franco Porcelli del Politecnico di Torino, è la terza di questo tipo ed è stata richiesta dal ministero egiziano per derimere indicazioni contrastanti venute da precedenti due indagini condotte da gruppi di ricerca giapponesi e americani. L’obiettivo è quello di vagliare la tesi dell’egittologo britannico Nicholas Reeves, che aveva ipotizzato l’esistenza della tomba di Nefertiti dietro i dipinti murali della parete Nord e Ovest della camera mortuaria di Tutankhamon.
Il sospetto dell’esistenza di camere nascoste riguartda molte tombe dell’antico Egitto. Un’altra ricerca italia, ad esempio, ha avanzato l’ipotesi di una una stanza segreta nella piramide di Cheope.
* ANSA 07 maggio 20181 (ripresa parziale, senza immagini).
Da Torino a Luxor alla ricerca di Nefertiti
È davvero sepolta dietro una parete della tomba di Tutankhamon? La risposta verrà da un’équipe del Politecnico di Torino a cui l’Egitto ha affidato la mappatura geofisica della Valle dei Re
di Fabrizio Assandri (La Stampa, 07/02/2017)
Torino. C’è qualcosa oltre quel muro? La parete Nord della camera funeraria di Tutankhamon potrebbe essere vuota e nascondere l’accesso alla tomba mai trovata della bellissima Nefertiti. Per lo meno, è quello che cercheranno di scoprire, una volta per tutte, gli studiosi del Politecnico di Torino. Con i georadar scandaglieranno la parete dove il faraone bambino è dipinto insieme col successore Ay, alla ricerca di un corridoio al di là del muro.
Quella torinese sarà la terza e si spera ultima analisi, dopo che due anni fa l’archeologo inglese Nicholas Reeves ipotizzò che la tomba della sposa di Akhenaton, il faraone che rese l’Egitto temporaneamente monoteista, padre di Tutankhamon, si trovi accanto a quella di quest’ultimo. La morte improvvisa del «faraone bambino» avrebbe impedito di costruire una tomba tutta per lui. Per questo sarebbe stata ricavata in un’anticamera della tomba di Nefertiti.
Un’ipotesi definita «audace» da Franco Porcelli, docente di Fisica al Politecnico, che ha lavorato come addetto scientifico all’ambasciata italiana del Cairo dal 2007 al 2015. Ha partecipato anche alla recente scoperta su uno degli altri misteri di Tutankhamon: un team italo-egiziano ha dimostrato che la lama del pugnale sepolto con la mummia era fatta di materiale proveniente da un meteorite.
Le nuove indagini metteranno fine alla discussione nata dopo l’ipotesi di Reeves. «Le analisi hanno dato risultati contraddittori e incompleti. Noi, in positivo o in negativo, chiuderemo una questione complessa», dice Porcelli. Potrebbe essere la scoperta o la delusione del secolo.
«I problemi della sicurezza e il caso Regeni hanno messo in crisi anche le collaborazioni scientifiche», racconta il professore, «ma il ministero delle Antichità egiziano a dicembre ci ha chiesto di dare un verdetto definitivo sulla tomba di Nefertiti. Useremo radar di ultima generazione: bucare la parete danneggerebbe gli affreschi».
Il progetto del Politecnico, che cofinanzia la missione, parte dal Dipartimento di Scienza applicata e Tecnologia diretto da Paolo Fino e coinvolge Luigi Sambuelli del Dipartimento di Ingegneria dell’ambiente. Ne fanno parte l’Università di Torino e alcune aziende, tra le quali la Geostudi Aster di Livorno, ed è sostenuto anche dalla Fondazione Novara Sviluppo. La ricerca della tomba di Nefertiti rientra in un ben più ampio progetto di archeoscienza: la mappatura geofisica di tutta la Valle dei Re a Luxor.
Strumentazioni elettriche e onde elettromagnetiche permettono analisi non invasive: «Possiamo “vedere” fino a dieci metri sotto terra», spiega Porcelli, «La mappatura attuale risale agli Anni 80, fatta con tecnologie antiquate». Il nuovo atlante fornirà dati sulla composizione geologica e l’eventuale presenza di materiali ferrosi e resti archeologici nella necropoli, oltre a rilievi 3D e dati georeferenziati: tecniche usate anche per i recenti terremoti nel Centro Italia. «Cercheremo l’aiuto dell’Agenzia spaziale italiana per avere anche dati satellitari».
Di Nefertiti, la cui bellezza elegante e imperturbabile («la bella è arrivata» significa il suo nome) è immortalata nel celebre busto custodito a Berlino, non si conosce molto. Gli studiosi ritengono che sia stata reggente del trono tra la morte del marito e l’ascesa di Tutankhamon, intorno al 1330 a.C., durante la XVIII dinastia. Ritrovarne la tomba permetterebbe di far luce sulla sua vita e sul periodo.
Le due analisi scientifiche seguite all’ipotesi di Reeves hanno dato per ora risultati contraddittori. La prima, i cui esiti sono stati comunicati con enfasi dal governo egiziano, risale al 2015: lo specialista giapponese di radar Hirokatsu Watanabe sostenne di aver trovato stanze oltre il muro e il governo egiziano, desideroso di riportare i turisti nella Valle dei Re, disse che «al 90 per cento» era stata scoperta una nuova tomba. L’anno dopo esperti del National Geographic lo smentirono. Una controversia diventata anche un caso politico.
«Abbiamo motivo di ritenere», dice Porcelli, «che i dati siano stati interpretati in modo fantasioso. Serve un progetto di ricerca solido. Useremo georadar che coprono l’intero spettro di frequenze. Avremo i dati in una settimana di lavoro, per studiarli ne serviranno altre due. Stiamo aspettando le autorizzazioni della National Security egiziana, poi partiremo».
“Nella tomba di Tutankhamon l’ultima caccia a Nefertiti”
Albert Zink sulle tracce della misteriosa regina d’Egitto: “Forse sepolta vicino al faraone bambino”
intervista di Elena Dusi (la Repubblica, 21.03.2016)
«PER sapere se siamo vicini alla scoperta di Nefertiti manca qualche giorno. Le nuove stanze notate accanto alla tomba di Tutankhamon vanno esplorate con cautela. Dobbiamo stare attenti a non infastidirle». Albert Zink parla delle mummie come fossero persone amiche. L’antropologo e paleopatologo tedesco oggi è diventato il “padrino” di Ötzi: a Bolzano dirige l’Istituto per le mummie e l’Ice-man che si occupa dell’uomo di Similaun, scoperto nel ‘91 tra i ghiacci delle Alpi. «Ma da oltre vent’anni - racconta - con i miei colleghi tedeschi veniamo chiamati ad analizzare le mummie dell’Antico Egitto». Alpi, Egitto, Sicilia e America Latina. E ancora, Tutankhamon, Lenin, Evita Perón e Rosalia, “la bella addormentata di Palermo”. Sono molte, e originarie di molti luoghi, le mummie con cui Zink ha stretto amicizia. Le sue scoperte sono nel libro appena uscito: “Ötzi, Tutankhamon, Evita Perón: Cosa ci rivelano le mummie” (Il Mulino). Abitudini alimentari, condizioni socio-economiche, malattie : sono tante le parole che le mummie sanno sussurrare, se ascoltate da un orecchio esperto.
Di cosa si sta occupando adesso?
«Sono a Luxor per esplorare alcune tombe del Nuovo Regno, vicino alle Tombe dei re. Qui è stata annunciata la scoperta di due nuovi locali accanto al sepolcro di Tutankhamon, e il sogno di tutti è scoprirci dentro la regina Nefertiti. Ma bisogna essere cauti. Anche un piccolo buco per sbirciare dentro potrebbe rovinare le pareti. Le mummie no, loro sono al sicuro».
Si sospetta da tempo che la tomba di Tutankhamon nasconda nuovi segreti. Quali sono gli indizi?
«È una tomba effettivamente strana. È troppo piccola per appartenere a un re e sembra strutturata come la sepoltura di una donna. L’ipotesi è che Tutankhamon sia morto all’improvviso a 18-20 anni e che a lui sia stata destinata la tomba costruita per Nefertiti. Anche l’imbalsamazione è avvenuta in due fasi, contrariamente a ogni regola. Può darsi che il faraone sia morto lontano dalla città e si sia deciso di intervenire in due tempi, visto che le operazioni di mummificazioni devono iniziare subito, quando il corpo è ancora intatto».
Se trovassimo una mummia nelle nuove stanze, come faremmo a sapere se è Nefertiti?
«Con Tutankhamon abbiamo usato il Dna e abbiamo scoperto tra l’altro che i suoi genitori erano fratello e sorella e che Nefertiti non era sua madre. Lei viene sempre descritta come madre di sei figlie. E le analisi genetiche confermano che la madre di Tutankhamon è un’altra delle mogli del faraone Akhenaton. Lui sì, il padre di Tutankhamon».
E avete scoperto chi è la madre del faraone bambino?
«Sì, è una mummia ritrovata sempre nella Valle dei Re a Luxor, ma in una tomba differente».
Come si chiama?
«Questo purtroppo il Dna non può dircelo, e non abbiamo trovato iscrizioni che ce lo documentino. Sappiamo solo che le analisi genetiche la descrivono come la madre di Tutankhamon. Questa è una scoperta che abbiamo fatto con i nostri colleghi egiziani e sotto la direzione di Zahi Hawass, allestendo un laboratorio di genetica in una sala del museo del Cairo. Sono stati prelevati con moltissima cura dei campioni dal tessuto delle ossa lunghe della mummia, facendo attenzione che restassero sterili».
Di Nefertiti si sa che era bellissima, come ci testimonia il suo famoso busto del XIV secolo a.C. Ma se non era la madre del faraone dalla maschera d’oro, perché tanta ansia di ritrovarla?
«Era una regina importantissima, la moglie di Akhenaton, il faraone della cosiddetta riforma religiosa egiziana. Akhenaton e Nefertiti si erano probabilmente sposati in una città diversa, poi si erano trasferiti a Luxor solo in un secondo momento».
Oggi a Luxor di cosa si sta occupando esattamente?
«Di alcune mummie del Nuovo Regno. Sono state quasi tutte distrutte dai ladri, che le hanno spogliate di amuleti e gioielli. Non abbiamo l’attrezzatura per svolgere analisi genetiche, qui a Luxor. Ma sappiamo dire se erano maschi o femmine e se erano morti per qualche malattia particolare».
E il faraone creò il monoteismo
di Marco Rizzo (Corriere della Sera, La Lettura, 13.03.2016)
Jan Assmann (Lubecca, 1938), è noto per i suoi studi sulla nascita del monoteismo e la violenza da cui esso sarebbe segnato. Nella sua visione, il Dio della rivelazione mosaica è il primo a imporre ai fedeli il divieto di intrattenere rapporti con altre divinità («non avrai altro Dio al di fuori di me»), mentre il politeismo antico, per sua stessa natura, permetteva la comunicazione e lo scambio di dèi tra popolazioni differenti.
In questo senso, Mosé e la Bibbia risultano gli eredi del fallito tentativo di imporre al popolo egiziano il culto esclusivo del dio Sole da parte del faraone Amenofi IV, che per questo motivo cambiò il suo nome in Akhenaton («amato dal Sole»). Viene da qui il titolo del libro più celebre di Assmann, Mosé l’egizio (Adelphi, 2000). Il monoteismo comporta quella che lo studioso tedesco definisce la «distinzione mosaica», ovvero il principio secondo cui a un solo Dio corrisponde una sola verità, che diviene pertanto un criterio di conflitto tra identità diverse. Dalla matrice biblica ed ebraica, il principio monoteistico e le sue implicazioni sono passati prima al cristianesimo e poi all’islam, creando un legame complesso tra religione, politica e violenza.
Compare ora presso Morcelliana una lunga intervista originale, in cui Assmann ripercorre la propria biografia intellettuale e scientifica, mostrando, fin dal titolo scelto, Il disagio dei monoteismi (a cura di Elisabetta Colagrossi, pp. 96, e 11), il legame non pacificato che egli ha intrattenuto con l’oggetto dei suoi studi.
L’etica religiosa e il suo “doppio”
Nel suo “Il disagio dei monoteismi” il grande studioso Jan Assmann ripercorre le radici del Dio unico e propone una nuova strategia per la tolleranza
di Maurizio Bettini (la Repubblica, 27.03.2016)
L’interpretazione che Jan Assmann ha dato delle forme del monoteismo costituisce uno dei contributi più interessanti che le ricerche storiche e antropologiche, in campo religioso, abbiano ricevuto negli ultimi anni. Sua in particolare la formula “esclusione Mosaica” per definire un tratto che accomuna i tre grandi monoteismi: ossia la convinzione che il Dio sia unico, e che non possa essere se non il proprio («non avrai altro Dio all’infuori di me»).
Questo atteggiamento conduce a considerare “falsi dèi” le divinità altrui, concependo il proprio Dio come l’unico “vero”; e ha scatenato per questo sanguinosi conflitti di religione, come oggi purtroppo ancora vediamo. Al contrario, nelle religioni politeistiche - in cui era perfino possibile identificare una divinità altrui con una divinità propria - il conflitto per affermare il “vero dio” era rimasto del tutto sconosciuto.
Di Assmann sono già state tradotte opere fondamentali, quali Mosé l’egizio o Il prezzo del monoteismo: oggi il lettore ha a disposizione una sintesi viva, aggiornata del suo pensiero nel libro intervista rilasciata a Elisabetta Colagrossi ( Il disagio dei monoteismi, Morcelliana).
Cosa propone Assmann nel suo dialogo? In primo luogo una revisione della “esclusione mosaica”: l’opposizione fra dio vero e dio falso si sarebbe affermata non tanto nei libri mosaici della Bibbia, dove in effetti si parla solo di esclusiva “fedeltà” al Dio d’Israele, ma nei profeti più recenti, come Geremia e il Deutero-Isaia. Questo mutamento sarebbe anzi avvenuto per influsso dello Zoroastrismo, la religione iranica. Di conseguenza, aggiungiamo noi, l’opposizione tra dio vero e dio falso avrebbe la sua origine in una cultura religiosa esterna a quella ebraica. Su quest’ultima ipotesi ci nasce un dubbio, però. Non potrebbe essere questo un modo per alleggerire, diciamo così, la responsabilità del monoteismo ebraico, e di quelli che da esso sono derivati, nell’elaborazione di un modello religioso che oggi appare sempre più messo in discussione?
Il lettore attento più ai problemi dell’oggi che a quelli delle origini, troverà comunque di grande interesse la proposta che Assmann avanza per superare gli odierni conflitti di religione: ossia un ritorno a ciò che l’Aufklärung tedesca definiva “religio duplex”. Una religione “doppia” nel senso che accanto, o sotto, quelle rivelate - e spesso tra loro in conflitto - si riconosceva l’esistenza di un’unica e comune religione a carattere etico: un punto di fuga “trascendentale” in cui tutte le diverse fedi, senza rinunciare alle proprie specificità, possono convergere.
Il mistero della stanza murata
L’archeologo Reeves ha ipotizzato la presenza di un vano nascosto attiguo alla tomba di Tutankhamon: sarebbe il sepolcro di Nefertiti
di Paolo Matthiae (Il Sole-24 Ore, Domenica, 20.12.2015)
«Sì. Cose meravigliose!»: questa fu la famosa risposta che con un filo di voce rotta dall’emozione Howard Carter diede, il 25 settembre 1922, a Lord Carnarvon che alle sue spalle gli chiedeva ansiosamente se riusciva a scorgere qualcosa attraverso la breccia aperta nella seconda porta sigillata della tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re di Tebe. Da quel giorno passarono settimane e settimane di incredibili ritrovamenti che scossero l’opinione pubblica di tutto il mondo mano a mano che procedeva quella che è stata senza dubbio la più sensazionale scoperta archeologica del Novecento.
Ora la più famosa delle tombe faraoniche della Valle dei Re che si apre dietro la spettacolare parete rocciosa di Deir el-Bahri nella Tebe occidentale, dove furono sepolti tutti i sovrani del Nuovo Regno, l’età gloriosa dell’impero d’Asia e di Nubia dei signori dell’Egitto, tranne il faraone “eretico” Akhenaton, padre di Tutankhamon, è balzata inaspettatamente di nuovo all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale per le dichiarazioni rilasciate da Nicholas Reeves, un autorevole egittologo, docente alla University of Arizona e specialista dell’età di Amarna, nome moderno di Akhetaton, la città fondata da Akhenaton quando abbandonò Tebe per farne la nuova capitale e il luogo di culto di Aton, il disco solare.
Per produrre una copia della famosa tomba per la villetta dello stesso Carter, che ancor oggi esiste a breve distanza dall’accesso alla valle, la società Factum Arte di Madrid ha prodotto una serie di scansioni digitali delle pitture murali che decorano la tomba e, sulla base di diverse tracce che emergerebbero sulla superficie dei dipinti, Reeves ha ritenuto di individuare due porte, oggi nascoste dagli intonaci delle pitture, sulle pareti ovest e nord della celebre tomba. Questa inattesa scoperta, ancora tutta da provare, ha indotto lo studioso a ritenere che nella tomba di Tutankhamon vi erano almeno due vani, che, per qualche motivo, non furono utilizzati quando avvenne la sepoltura del giovane faraone, i cui ingressi vennero murati e celati completamente alla vista.
Se già questa deduzione è della più grande suggestione, l’ipotesi interpretativa che Reeves ne ha proposto è estremamente attraente, anche se fortemente speculativa: per seppellire Tutankhamon, deceduto inaspettatamente in circostanze misteriose intorno all’età di diciotto anni, sarebbe stata utilizzata la tomba di Nefertiti, il cui nome significa La bella è venuta, amatissima sposa di Akhenaton e probabilmente madre dello stesso Tutankhamon, deceduta non molto tempo prima.
Sempre secondo questa singolare ipotesi, il sepolcro della regina immortalata nello splendido busto del Museo di Berlino che rende appieno ragione della sua sfolgorante bellezza celebrata dai contemporanei, dovrebbe essere intatto dietro la porta nord dell’ambiente dove successivamente fu tumulato con il suo ricchissimo corredo il corpo del giovanissimo faraone.
In effetti, tra i molti misteri della più celebre tomba faraonica di Tebe, che spesso ha indotto a ritenere che se così strepitose ricchezze avevano accompagnato nell’Aldilà un faraone giovinetto e quasi insignificante inimmaginabili saranno stati i corredi di sovrano gloriosissimi come Thutmosis III o Ramses II, erano due fatti: da un lato, quel sepolcro è singolarmente angusto rispetto alla tipologia normale delle tombe faraoniche e, dall’altro, alcune sue particolarità planimetriche sono caratteristiche delle tombe regali femminili ben note dalla Valle delle Regine.
È evidente che, nell’interpretazione dell’egittologo dell’Università dell’Arizona, queste singolarità non sarebbero più inspiegabili: la tomba era di una regina e Nefertiti sarebbe stata accolta nella Valle dei Re perché, anche se per brevissimo tempo, ella stessa avrebbe regnato come faraone succedendo a Akhenaton e avviando la restaurazione della religione ortodossa, benché durante la vita del marito scomparso fosse stata pienamente partecipe della straordinaria rivoluzione che, secondo convincenti studi recenti, non può che essere definita la prima reale affermazione nella storia di un rigoroso monoteismo.
Peraltro, se Akhenaton è oggi considerato dalla maggioranza degli studiosi un eccezionale, quanto sfortunato, riformatore religioso che nel suo non lungo regno arrivò, gradualmente ma coerentemente, a formulare il suo nuovo credo religioso componendo egli stesso gli splendidi inni ad Aton conservati in alcune tombe di suoi dignitari ad Amarna, Nefertiti rimane una figura per molti aspetti enigmatica. Malgrado qualche incertezza, è estremamente probabile che, sotto il nome di Neferneferuaton, la stessa Nefertiti sia stata correggente del marito alla fine del suo regno, mentre è solo possibile che ella abbia effettivamente regnato alla sua morte.
Del tutto incerto è, poi, l’atteggiamento che Nefertiti, se veramente divenne faraone, abbia avuto verso la fede monoteistica di cui era certo stata protagonista quando era la sposa amatissima del grande riformatore. È certo, al contrario, che il ristabilimento dell’ortodossia tebana avvenne sotto il regno di Tutankhamon, che mutò significativamente il suo nome da quello originario di Tutankhaton proprio in omaggio al grande dio di Tebe ed è verosimile che la straordinaria ricchezza del suo corredo funerario sia dipeso dalla gratitudine del clero di Amone per chi aveva restaurato l’ordine tradizionale.
L’interpretazione di Reeves ha sollevato non pochi dubbi soprattutto tra gli egittologi egiziani, che hanno ripetutamente dichiarato il loro scetticismo rispetto alla sua audace tesi ricostruttiva della struttura della tomba, per non parlare dell’ipotesi attributiva a Nefertiti del sepolcro originario del giovane faraone.
Il più autorevole egittologo egiziano, Zahi Hawass, in particolare, non ha nascosto di ritenere affascinante, ma del tutto inverosimile l’ipotesi di Reeves, che, peraltro, non è certo smentita dalla pretesa esistenza al Museo Egizio del Cairo di una mummia della stessa Nefertiti, in quanto una tale identificazione è estremamente problematica e oggi, anzi, per lo più esclusa dalla maggior parte degli specialisti.
Nei giorni scorsi, dando corso con grande sollecitudine ad una precisa richiesta dello stesso Reeves, il Ministero delle Antichità d’Egitto ha fatto effettuare una serie di analisi scientifiche al radar e ai raggi infrarossi per provare se, dietro le due presunte porte nascoste della tomba di Tutankhamon, possa esser provata la presenza di spazi vuoti che sarebbero le camere funerarie attribuibili alla tomba di Nefertiti.
I risultati preliminari di queste analisi, condotte dallo specialista giapponese Hirokatsu Watanabe, sono stati comunicati dallo stesso Ministro egiziano Mamdouh Mohammed El-Damaty, che ha riferito di una forte probabilità della presenza di vani dietro a quelle due presunte porte: «c’è circa il 90% di possibilità che qualcosa - un altro vano, un’altra tomba - si celi dietro la camera funeraria di Tutankhamon».
Non si può dar torto a Reeves, che fin dall’inizio aveva dichiarato quest’estate annunciando la sua audace ipotesi: «Mi posso sbagliare e, se ho sbagliato, ho sbagliato, ma se appuriamo che quel che penso è vero, è un ritrovamento più importante della stessa scoperta di Tutankhamon!».
Scoperte due stanze segrete nella tomba di Tutankhamon
Annuncio dal Cairo, all’interno materiale organico e metallo
di Redazione *
IL CAIRO. Due stanze segrete sono state scoperte dietro la tomba di Tutankhamon, sui lati occidentale e settentrionale, con materiale organico e metallo. Lo ha annunciato il ministro per le Antichità egiziano, Mamdouh Eldamaty in una conferenza stampa.
Si tratta del risultato della scansione ai raggi X della tomba compiuta il 26 e 27 novembre 2015, ha detto il ministro aggiungendo che le ricerche proseguiranno per scoprire la natura dei materiali ritrovati.
L’annuncio
«C’è la tomba di Nefertiti dietro la camera del faraone Tutankhamon»
«Al 90 per cento dietro la tomba del faraone Tutankhamon c’è una camera segreta». L’annuncio è stato dato ieri, a Luxor, nel Sud dell’Egitto, dal ministro egiziano delle Antichità, Mamdouh al Damati. L’ipotesi che «dietro i muri nord e ovest» della tomba del faraone ( nella foto ) possa esserci la stanza dove è sepolta la regina Nefertiti è frutto di ricerche archeologiche basate sull’uso del georadar (metodo che sfrutta le onde elettromagnetiche).
Per sapere se, come sostiene l’egittologo britannico Nicholas Reeves, nella stanza nascosta sia sepolta Nefertiti, regina vissuta nel XIV secolo prima di Cristo, occorre aspettare almeno un mese durante il quale i dati raccolti saranno studiati in Giappone.
* Corriere della Sera, 29.11.2015
Nella tomba di Tutankhamon a caccia della regina Nefertiti
di Vittorio Sabadin (La Stampa, 09.11.2015)
Ci sono prove sempre più evidenti che nella camera sepolcrale del faraone Tutankhamon si trovano passaggi segreti che portano a un’altra tomba, forse quella della più bella e famosa regina dell’antico Egitto, Nefertiti. Quando un paio di mesi fa l’archeologo inglese Nicholas Reeves aveva annunciato di avere individuato in alcune foto ad alta risoluzione delle pareti della tomba alcune linee ad angolo retto che facevano pensare ad una porta, nessuno nel mondo accademico gli aveva dato molta retta. Ma ora un’indagine con termografia a infrarossi, condotta dalla Facoltà di Ingegneria dell’Università del Cairo e dall’Heritage Institute di Parigi, ha confermato le sue ipotesi: nel punto in cui le foto mostrano i segni di un passaggio, la temperatura è diversa da quella delle altre pareti, cosa che in archeologia si considera come prova della presenza di una camera oltre una parete.
I ricercatori hanno passato 24 ore, compresa una intera notte, nella tomba del faraone che ancora contiene le sue spoglie, una delle esperienze più emozionanti della loro vita. Le misurazioni effettuate non lasciano dubbi e anche Mamdouh Eldamaty, il ministro delle Antichità egiziano, è convinto che il dottor Reeves abbia ragione e che ora «siano necessari nuovi e definitivi esami».
L’archeologo, che lavora all’Università dell’Arizona, ha anche notato che una delle figure presenti negli affreschi è una donna le cui fattezze sono molto simili a quelle di altre rappresentazioni di Nefertiti. La regina, moglie del faraone «eretico» Akhenaton, morta nel 1340 a.C., era probabilmente la madre di Tutankhamon.
Il giovane faraone, scomparso improvvisamente all’età di 18 anni, sarebbe stato sepolto frettolosamente nella piccola anticamera della tomba della madre e il suo corredo funerario, la cui ricchezza ha stupito il mondo quando Howard Carter lo scoprì 93 anni fa, non sarebbe altro che una raccogliticcia collezione di pezzi presi all’ultimo momento da altre tombe. Reeves, a sostegno della sua affascinante tesi, porta anche il fatto che la tomba KV62 nella quale è stato trovato Tut si sviluppa a destra del corridoio d’ingresso, una caratteristica delle tombe femminili.
L’Egitto spera che Reeves abbia ragione. Se verrà davvero trovata la tomba di Nefertiti, risulterà quasi certamente inviolata e il suo corredo funerario eclisserà per magnificenza quello del figlio. Ce n’è un grande bisogno, per fare tornare i turisti nel Paese e salvarlo dal collasso al quale il terrorismo lo sta portando.
Pisa, la scoperta: il pugnale "extraterrestre" di Tutankhamon
I ricercatori dell’università toscana con un team internazionale hanno esaminato l’arma: era di origine meteoritica e... non per caso *
Il pugnale di Tutankhamon era di origine meteoritica. Lo ha scoperto un team di ricercatori internazionali - appartenenti al Politecnico di Milano, all’Università di Pisa, al CNR, al Politecnico di Torino, al Museo Egizio del Cairo e all’Università di Fayoum, oltre che alla ditta XGLab che ha analizzato l’arma appartenuta all’antico sovrano egizio, il faraone bambino, vissuto nel XIV secolo Avanti Cristo. "Questo studio risolve - spiegano all’università di Pisa - una questione lungamente dibattuta tra gli studiosi fin dalla scoperta del pugnale, che fu trovato sul corpo della mummia nel 1925 dall’archeologo Howard Carter. Come riportato nell’articolo pubblicato sulla rivista "Meteoritics and Planetary Science", l’analisi chimica non invasiva, eseguita tramite la tecnica della fluorescenza di raggi-X, ha rivelato che la lama di ferro del pugnale, esposto al Museo Egizio del Cairo, contiene nichel (10%) e cobalto (0.6%) in concentrazioni osservate tipicamente nelle meteoriti metalliche".
Lo studio conferma come gli antichi egizi attribuissero un grande valore al ferro di origine meteoritica, usandolo per la produzione di oggetti preziosi. L’elevata qualità della manifattura della lama del pugnale testimonia, inoltre, l’alto livello raggiunto nella lavorazione del ferro già all’epoca di Tutankhamon.
Alla ricerca, che è stata finanziata dal ministero degli Affari esteri e cooperazione internazionale italiano e dal ministero della Ricerca scientifica egiziano, hanno partecipato i professori Massimo D’Orazio e Luigi Folco, del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. I due docenti coordinano il gruppo di ricerca pisano per lo studio delle meteoriti (rocce extraterrestri catturate dal campo gravitazionale della Terra, come frammenti di asteroidi, comete, Luna e Marte), che si conferma così un riferimento scientifico a livello internazionale per le scienze planetarie, con significativi contributi in campo archeologico.
Nefertiti, la regina non è più un mistero Svelata la sua fine: fece da reggente per Tutankhamon
di Marco Zatterin (La Stampa, 25.02.2013)
Nessun complotto o morte prematura. Nefertiti, moglie del rivoluzionario faraone Akhenaton, donna misteriosa e per quanto ne sappiamo bellissima, fu con ogni probabilità reggente del trono egizio se non regina a pieno titolo.
Successe intorno al 1330 avanti Cristo, mentre sulla terra del Nilo governava la XVIII dinastia. Le fonti sono incerte, ma fra il grande re che introdusse il popolo al culto monoteista del globo solare (Aton) e l’altrettanto celebre Tutankhamon, sul trono di Tebe ci furono uno o due sovrani. Un gruppo di archeologi belgi è giunto alla conclusione che la figura di collegamento sia stata Nefertiti. Ovvero, come recita il nome, «La bella è arrivata».
Harco Williams, 56enne professore di Egittologia alla Cattolica di Lovanio, è sicuro di avere le prove. Durante una sessione di scavi in Egitto, una sua ricercatrice - Athena Van der Pierre - ha trovato una preziosa iscrizione in una cava di arenaria a nord di Amarna, la capitale di Akhenaton, che parla di Nefertiti ancora quale prima moglie del faraone nel penultimo anno di regno.
La terza riga dell’iscrizione cita la «grande sposa reale, sua amata, signora delle due terre, Neferneferuaten Nefertiti» e precisa una data che colloca l’iscrizione al sedicesimo anno (terzo mese di Akhet, giorno 15, dunque settembre) dell’era di Akhenaton. Non una cosa di poco conto. Perché, sinora, la più avanzata citazione della regina risaliva al dodicesimo anno.
Proprio questa circostanza ha in passato alimentato le speculazioni sul destino della donna. Gli archeologi hanno scritto che a un certo punto Akhenaton scelse un co-reggente, più o meno nel momento in cui di Nefertiti si perdeva ogni traccia. Era morta? Le era stata preferita un’altra delle moglie dell’harem? Entrambe le soluzioni sono sempre state considerate poco probabili, anche perché la coppia di Amarna ha una fisionomia del tutto speciale tanto nella storia quanto nell’arte egizia.
Akhenaton, re difforme per malattia o gusto estetico, amava farsi ritrarre con moglie e figli. Ha fatto di tutto per tramandare il senso dell’amore per la sua regina e per la sua prole. L’archeologo John Harris, negli Anni Settanta, ha teorizzato che che Nefertiti non solo non era morta, ma aveva cambiato nome e rinunciato al ruolo di sposa reale a fianco del marito. Si sarebbe chiamata Neferneferuaten e quindi Smenkhkare, poi avrebbe lasciato il trono a Tutankhamon, figlio di Akhenaton e di una moglie secondaria, morto giovanissimo, di cui non sapremmo molto se l’inglese Carter non avesse trovato la sua magnifica tomba nel 1922. Ricca al punto da far ritenere che fosse stata allestita con i tesori destinati a un re.
«Ci sono chiare indicazioni che Nefertiti cambiò nome - assicura Willems -. Adesso sappiamo che rimase la moglie del faraone e che fu elevata al grado reale dopo il sedicesimo anno di regno del consorte». L’archeologo di Lovanio pensa che questi sveli il mistero dei due fantomatici successori di Akhenaton. Il cartiglio di Neferneferuaten, tra l’altro, si traduce come «efficace per suo marito». Le nuove informazioni, aggiunge Willems, indicano che Nefertiti regnò per un numero di anni sino a Tutankhamon (da sola, come la grande Hatshepsut, ndr) o ne sia stata una sorte di regina madre». La sua conclusione è ora «che si deve riscrivere la storia della XVIII dinastia». Almeno sino alla prossima scoperta.
Bellissima e (quasi) impossibile
La regina Nefertiti compie cent’anni
Il busto venne scoperto il 6 dicembre 1912, ma due anni fa uno studioso lo ha messo in discussione.
Ora l’omaggio di Berlino
di Stefano Bucci (Corriere La Lettura, 18.11.2012)
Quando i Krasnals, artisti polacchi di strada alla maniera di Banksy e JR, l’avevano incontrata, lo scorso anno al Neues Museum di Berlino per un’intervista in esclusiva, si era dimostrata in perfetta sintonia con i tempi: «Voglio tornare in Egitto, voglio essere vicina al mio popolo». Dunque, sapeva, nonostante l’esilio dorato (ma forzato) nelle stanze che un’archistar come David Chipperfield aveva ridisegnato per lei nel 2009, della Primavera araba. E sembrava persino appoggiarla.
D’altra parte difficile ignorare la modernità quando ti passano davanti, ogni anno, almeno mezzo milione di persone ammirate, conquistate, incantate da quel tuo profilo senza tempo. Anche per questo gli stessi Krasnals («gli gnomi») avevano deciso di immortalarla in un ritratto (in bianco e nero, stencil su tela) molto contemporaneo e con tanto di slogan politico: «Vi prego, riportatemi in Egitto». Ulteriore accenno alla perenne contesa tra la sua terra d’origine e quella che l’aveva accolta. La stessa Germania che ora si appresta a celebrare, con una grande mostra che si inaugura il 7 dicembre (fino al 19 aprile 2013) proprio al Neues Museum di Berlino, i cento anni della sua scoperta, avvenuta il 6 dicembre 1912 nella città imperiale di Amarna, oggi conosciuta come Tell el-Amarna.
Il fascino, violento e moderno, di Nefertiti sta anche nella capacità di resistere alla irriverente rivisitazione contemporanea messa in scena dai Krasnals. Come nella trasformazione del busto di una regina moglie del Faraone Akhenaton in un simbolo della Germania con relativo francobollo da un pfenning.
Certo l’estetica aiuta: visto che quel capolavoro assoluto della scultura egizia, nonostante fosse vecchio di 3400 anni, è stato sempre considerato, «un modernissimo modello di bellezza femminile». Persino fin troppo anticipatore. Tanto che nel 2010 uno studioso svizzero, Henri Stierlin, aveva pubblicato un libro (dal titolo Il busto di Nefertiti: una farsa dell’egittologia, Infolio, pp. 136, 18) definendo proprio quel busto «una volgare copia art déco creata nel 1912». Non certo da attribuire a Thoutmès, massimo scultore della XVIII dinastia, ma piuttosto a Gerard Marks, anonimo artista tedesco all’epoca chiamato dall’archeologo Ludwig Borchardt per realizzare un busto-ritratto della moglie di Akhenaton (1390-1352 a.C.) con i pigmenti ritrovati nella tomba di Amarna. Il risultato, entusiasmante già all’epoca (sempre secondo Stierlin) avrebbe indotto al silenzio Borchardt e i suoi compagni di scavo.
E chissà se la mostra di Berlino potrà fare definitiva chiarezza (documenti alla mano) sulle modalità di un ritrovamento «lacunoso» e su uno «stato di conservazione» fin troppo perfetto.
Ma in fondo poco importa che, per i detrattori, Nefertiti potesse avere le spalle tagliate troppo in verticale rispetto alla tradizione e che certe imperfezioni del profilo fossero dovute a successivi ritocchi. Il mistero fa aumentare il fascino (d’altra parte, c’è chi assicura che la Gioconda non sia altro che un uomo). Molto più interessante, invece, è ricordare che nel 2003, alla Biennale d’arte di Venezia, due artisti polacchi (Andras Galik e Mathias Balik riuniti sotto lo pseudonimo Little Warsaw), abbiano messo in piedi nel padiglione dell’Ungheria, Il Corpo di Nefertiti, installazione-video che documentava il ricongiungimento del busto della Neues di Berlino con un corpo di bronzo a grandezza naturale, un ricongiungimento durato poche ore (nella giornata del 26 maggio 2003) che avrebbe scatenato polemiche furiose, soprattutto in Egitto. Ma perché proprio Nefertiti? «Perché con il nostro lavoro vogliamo creare spiazzamento e allora quale miglior modo di giocare con un’opera simbolo come Nefertiti - avevano all’epoca dichiarato Galik e Balik responsabili nel 2005 di un riadattamento trent’anni dopo di un progetto dell’artista concettuale Thomas St. Auby? Non volevamo essere irrispettosi, ma solo ribadire il contatto che da sempre lega antichità e contemporaneità».
Una ulteriore prova della modernità di Nefertiti arriva, a pochi giorni dal centesimo anniversario del ritrovamento che la casa editrice Hatje Cantz celebra con un volume dal titolo Gli infiniti volti di Nefertiti, dalla mostra che l’artista berlinese Isa Gentzken (le quotazioni per un suo collage oscillano oggi tra le 120 e le 280 mila sterline) che alla Hauser & Wirth Gallery di Londra ha appena inaugurato (fino al 12 gennaio 2013) una mostra di sculture che a sua volta anticipa la grande retrospettiva che il Moma di New York le dedicherà nella primavera 2013. Tra queste sculture (oltre a quelle che richiamano a Michael Jackson, Donald Duck e Joseph Beuys) ben sei sono dedicate appunto a Nefertiti. L’artista ha confessato di essere stata colpita da quel busto quando ancora bambina (la Gentzken è nata nel 1948) l’aveva visto per la prima volta nelle stanze del Neues Museum ancora non restaurato da Chipperfield.
Ora queste sue emozioni si sono tradotte secondo il suo stile giocoso e irriverente in sei copie in gesso (ognuna delle quali abbellita con un paio di occhiali da sole molto trendy) collocate su altrettanti piedistalli bianchi, alla base dei quali occhieggiano le riproduzioni (fotografiche) di un altro simbolo di bellezza eterna come la Gioconda di Leonardo. Il tutto per testimoniare «il valore e l’importanza della donna nell’arte».
Intanto l’Arab Museum of Modern Art di Doha (il Mathaf) ha appena lanciato Tea with Nefertiti, mostra evento (fino al 31 marzo 2013) che vuole esplorare, in ottanta capolavori, il fascino esercitato dall’antico Egitto sulla modernità di van Dongen, Giacometti, Klee e Modigliani. E tanto per ribadire ulteriormente la modernità di questo fascino mette in campo, guarda caso, ancora una volta il fascino, nemmeno tanto indiscreto, della regina Nefertiti.
[...] arriva il bilancio dei danni al Museo egizio del Cairo dopo l’assalto del 2 febbraio.
Otto reperti di valore inestimabile, tra cui una statua di Tutankhamon, sono stati rubati. Lo ha annunciato il direttore delle Antichità ZaHi Hawass, dopo il completamento dell’inventario dei danni subiti dal museo. Hawass, spiega, sul suo sito, che sono stati rubati una statua in legno placcato oro di Tutankhamon portato in spalla da una dea e una statua del giovane faraone negli stessi materiali mentre caccia. Mancano all’appello anche una statua della dea Akena, una statua di Nefertiti mentre fa delle offerte, la testa di una principessa Amarna, la statuetta di una scriba di Amarna, 11 statuette in legno e uno scarabeo di Yuya.
Il capo dell’antichità egiziane spiega che è in corso un’inchiesta sul furto e che la polizia e l’esercito la porteranno avanti anche con le persone che sono state già arrestate per gli assalti al Museo avvenuti tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio. «Ho detto in passato che se il Museo egizio è sicuro anche l’Egitto è sicuro. Ora - afferma Hawass sul suo sito - sono preoccupato che l’Egitto non sia sicuro». (si cfr.: Egitto, riaperta Piazza Tahrir - La Stampa)
INTERVISTA.
A muso duro verso i musei dell’Europa Zahi Hawass, il patron dell’archeologia del Cairo,
che qui fa una lista di reperti
Nefertiti e Rosetta, di nuovo in Egitto?
Dal restauro della Sfinge alle nuove ricerche nella zona delle Piramidi e
delle tombe dei Faraoni.
«Ma basta con le tesi esoteriche alla Dan Brown: solo fantasia»
DI ARISTIDE MALNATI (Avvenire, 17.12.2009)
« S tavolta sono perentorio: il British Museum deve restituire all’Egitto la stele di Rosetta. È il simbolo stesso dell’egittologia e per questo dovrà essere esposta nell’ormai imminente ’ Grand Museum’, che sorgerà a Giza, vicino alle piramidi e alla Sfinge. In questo ho l’appoggio incondizionato del presidente Mubarak. Sarebbe un modo appropriato per riparare ai torti commessi durante la fase della colonizzazione » . Non usa mezzi termini Zahi Hawass, massimo egittologo al mondo e direttore del Supremo Consiglio delle Antichità in Egitto; ed anzi sta stilando una lista di reperti preziosi da riportare in patria: tra essi il busto di Nefertiti, ora al Neues Museum di Berlino, e il Papiro con il canone reale, all’Egizio di Torino ( « Ma non fu rubato. Non se ne parla » , ribatte Elena Vassilika, direttrice del Museo). « Tutti devono tornare in riva al Nilo. Altrimenti sospendo gli scavi diretti dalle istituzioni padrone degli oggetti in questione » , minaccia. « Il faraone » , così lo chiamano gli americani, è più che mai incontenibile, infaticabile com’è nello svolgere attività di scavo, nel restaurare oggetti e siti in pericolo di degrado, ma anche nel promuovere l’egittologia con una presenza mediatica, che non ha precedenti nel settore.
Professor Hawass, una vita dedicata all’Egitto: si direbbe che lei sia pervaso da un’energia instancabile...
« Oltre che dalla passione sono spinto dalla consapevolezza che bisogna sbrigarsi. Il cambiamento climatico, l’inquinamento sempre più invasivo e soprattutto l’umidità, conseguenza diretta della diga di Assuan, non ci lasciano tempo: costituiscono una minaccia costante per oggetti fragili, come i papiri, ma anche per monumenti più solidi, bisognosi di continui restauri » .
Riguardo ai restauri, alcuni studiosi l’hanno criticata per quello appena completato della Sfinge: dicono che l’ha protetta dall’inquinamento del Cairo, ma non dall’umidità.
« Ho operato un restauro leggero, non invasivo, rafforzando i fianchi della statua con materiale coerente con la pietra originaria e la base con materiale isolante, appunto contro l’umidità. I fatti mi stanno dando ragione: finito il restauro la Sfinge non ha più dato segni di cedimento strutturale » .
Sono molti gli scavi in corso. Per lo più diretti da studiosi egiziani, ma anche da esperti stranieri: una sorta di ecumenismo all’insegna di Ramesse e Cleopatra.
« Sì. Sono alcune centinaia le missioni in corso con campagne annuali; molte a direzione straniera. Dai colleghi archeologi pretendiamo costanti restauri e pronte pubblicazioni di quanto riportato alla luce; non tutti sono solerti » .
Qualche scoperta recente degna di nota?.
« Molte sono s tate annunciate e potrebbero arrivare presto, ad iniziare dalla tomba di Antonio e Cleopatra, in un tempio di Iside vicino ad Alessandria. Importante è il recente ritrovamento di un sigillo in lingua accadica, risalente al re babilonese Hammurabi ( 1792- 1750 a. C.). È la prova definitiva del rapporto tra gli egizi e i babilonesi al tempo dei popoli del mare; e tale rapporto potrebbe aver influenzato anche l’episodio dell’Esodo di Mosé » .
Oltre a dirigere scavi importanti, lei ha promosso analisi di laboratorio, giudicate da alcuni colleghi troppo invasive. Come si difende?
« Grazie alla Tac e all’analisi del Dna delle mummie abbiamo scoperto ad esempio che Tutankhamon è morto in seguito a una frattura al femore; o che i suoi genitori sarebbero stati il faraone eretico Akhenaton e la regina Sitamun; o ancora, abbiamo identificato la vera mummia di Hatshepsut; e tanto altro. Le sembra poco? Il tutto senza danneggiare i corpi e nel r ispetto della pietas religiosa, legata alle mummie » .
A proposito di religione, è vero che lei e Faruk Hosni, il ministro della Cultura, privilegiate gli scavi e il restauro dei monumenti islamici? « Niente di meno esatto. Proprio in ottemperanza ad una legge del 2004, che sancisce pari dignità a tutte le religioni, organizziamo scavi di siti islamici, cristiani ed ebraici. Un esempio? Abbiamo appena terminato la ripulitura della sinagoga di Ben Ezra, al Cairo » .
È sempre più insistente la voce che lei starebbe per darsi alla politica, addirittura studiando da presidente. Conferma?
« In questo momento sono viceministro della Cultura, ma più per ragioni di una migliore gestione pratica dell’attività di archeologo. Sa? Io nasco come archeologo e vorrei andare in pensione scoprendo i segreti delle piramidi, piuttosto che tra le scartoffie della burocrazia » .
Ecco, le piramidi: sono egizie o le ha costruite qualche civiltà misteriosa, come dicono i millenaristi esoterici?
« State pure certi: le piramidi sono il prodotto del genio dei faraoni con buona pace di Dan Brown e compagnia. Credo di aver contribuito a dimostrarlo. Ho trovato la necropoli dei costruttori delle tre piramidi di Giza, databile al 2500 a. C. E l’intrico di cunicoli e pozzi funerari, legato alla piramide di Cheope: anch’esso risale al 2500 a. C. Tutto torna » .
"Quella statua è nostra"
Egitto e Germania in guerra per Nefertiti
di Andrea Tarquini (la Repubblica, 15.06.2009)
BERLINO - Fin dai miti antichi tramandatici da Omero, si narra di guerre tra grandi nazioni per contendersi la donna più bella. È quanto sta per succedere tra la prima potenza dell’Unione europea, la Germania, e il glorioso Egitto, leader culturale e in parte politico del mondo arabo. La fascinosa donna della discordia, al contrario di Elena di Troia, non è viva, eppure è desiderata ancora oggi come un simbolo di eleganza e femminilità perfette.
Parliamo della splendida regina Nefertiti, moglie del faraone Achenathon. Visse 3400 anni fa, ma la sua bellezza ineguagliabile appare tuttora mozzafiato, tramandataci dal busto che la ritrae, e che dai tempi del Kaiser è esposto nei musei di Berlino. Il Cairo lo rivuole, ha detto al quotidiano Der Tagesspiegel il potentissimo e autorevole Zahi Hawass, massimo esperto e responsabile del patrimonio artistico e culturale dell’antichità egiziana. Presto sarà in grado di provare che il busto fu portato via con la frode, quindi la richiesta è legittima. E se non sarà soddisfatta, gli egiziani sono pronti a sospendere ogni cooperazione culturale con il museo di Berlino.
È una situazione imbarazzante, forse più difficile del contenzioso che oppone Londra ad Atene sul futuro degli Elgin Marbles, cioè i fregi del Partenone di cui da anni la Grecia ne richiede invano la restituzione.
«Il busto di Nefertiti è da quasi cento anni da voi a Berlino, noi lo riavremo molto volentieri», dice Zahi Hawass. Negli ultimi tempi, egli ha chiesto la restituzione di circa cinquemila tesori dell’antica arte egiziana, sparsi tra musei e collezioni per tutto in mondo. «Sono tesori che appartengono all’Egitto, ma non vuol dire che devono tutti tornare a casa. Deve essere restituito ciò che ci fu rubato, tra cui cinque opere d’arte uniche per la nostra cultura. In questo gruppo di cinque capolavori c’è il busto di Nefertiti».
Il contenzioso è arduo: nel 1912, all’apice dello splendore della Germania imperiale di Guglielmo II, Ludwig Borchart trovò lo splendido busto nel corso di scavi, e lo portò a Berlino, dove da allora è esposto, attualmente allo Altes Museum nel mirabile complesso dell’Isola dei Musei, non lontano dalla Porta di Brandeburgo. «Confido che ben presto avremo in mano tutto il necessario per richiedere formalmente la restituzione del busto. Mi risulta che non esistano documenti che possano provare che Nefertiti abbia lasciato l’Egitto in modo legale e moralmente ineccepibile», spiega Hawass.
Come minimo, esige che Berlino conceda subito il busto quale prestito. I tedeschi non ne vogliono sapere: temono che vada distrutto nel trasporto. «Accuse assurde, non siamo mica i pirati dei Caraibi», ribatte Hawass. Grave dilemma per la Germania: cedere vorrebbe dire privare la capitale del suo tesoro antico più prezioso, rifiutare significherebbe fare una figuraccia col mondo arabo e il mondo extraeuropeo tout court.
Un team tedesco al lavoro nella Valle dei Re il sito archeologico può svelare altri segreti
Nefertiti. Riparte la caccia alla regina più bella
Gli scavi si svolgono sotto tombe individuate decenni fa
di Andrea Tarquini (la Repubblica, 22.12.2008)
BERLINO. Si risveglia, alla vigilia delle feste, la leggenda della bellissima Nefertiti. In riserbo, ma solo fino a ieri quando lo ha rivelato l’edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine, un team internazionale di archeologi, guidato da Otto Schaden, ha ripreso da novembre a scavare tra i siti tombali della mitica Valle dei Re a Luxor, in Egitto. Schaden e gli altri ricercatori non si sbilanciano, ma speculazioni, rumors e speranze segrete rilanciano la possibilità di trovare infine il sarcofago o la mummia della splendida regina, moglie del faraone Achenaton. O di altri membri della famiglia che, regnando, introdusse brevemente il monoteismo. Come in un romanzo d’avventure, o in un film di Indiana Jones, ma con pieno rigore scientifico, rinasce la grande ambizione dei contemporanei di ritrovare i resti di quei Grandi di millenni e millenni or sono.
«Io non mi abbandono a speculazioni, noi scaviamo e basta. Speriamo però che la prossima stagione di scavi ci porti a nuove informazioni», dice Otto Schaden. Non si presta alle voci sulla speranza di trovare Nefertiti. All’inizio di gennaio egli tornerà in Egitto per la ripresa dei lavori. Quel che conta è che ha l’appoggio del potentissimo Zahi Hawass, il direttore del Supreme council of antiquities, cioè l’authority egiziana per il patrimonio artistico dell’antichità. E’ a Schaden stesso che si deve la scoperta, nel 2006, del sito tombale KV 63. Individuato per caso, come molti altri. Gli scavi ora ripresi si svolgono sotto tombe già individuate decenni fa. La valle dei re è sempre stata piena di sorprese sensazionali. Nel 1912, Theodore Davis disse «ho la sensazione che ormai abbiamo trovato tutto scavando nella valle», ma appena dieci anni dopo l’archeologo britannico Howard Carter lo smentì, trovando la famosa tomba del faraone Tutankhamon. Il colpo di scena si ripeterà oggi? «E’ ragionevole aspettarsi nuove scoperte», afferma Otto Schaden. E’ da millenni che la Valle dei Re appassiona, affascina e incuriosisce. Invano i faraoni la progettarono, sperando di riposare in pace nelle loro misteriose tombe sotterranee. Già nel 25 avanti Cristo lo storico e geografo Strabone descrisse la Valle come «un luogo con almeno quaranta cripte reali scavate nelle rocce, che vale la pena visitare». Le tombe erano undici-tredici secoli più vecchie di lui, molti ladri, i tombaroli dell’epoca, ne avevano già saccheggiate alcune.
La leggenda più affascinante resta quella di Nefertiti. Della splendida regina ci resta oggi solo il famoso busto, custodito nel Museo di Berlino. Una delle più belle immagini femminili nell’arte, da quando il genere umano esiste. La meravigliosa Nefertiti era moglie di Akhenaton, il faraone che decise di abolire il mondo politeista dell’antica religione egiziana e impose d’autorità il primo culto monoteista, quello del dio solare Aton. La scelta non piacque a molti. Tutankhamon, considerato probabile figlio di Akhenaton, salì sul trono ad appena nove anni, qualche tempo dopo la morte di Akhenaton, e sotto il suo regno il politeismo fu restaurato.
Ma dove sono oggi i resti di Nefertiti, o di Ankesenpaaton, la figlia di Akhenaton? La caccia è in corso da secoli. Nel 1827 il britannico John G. Wilkinson catalogò i siti tombali, enumerandoli come "KV" (dalle iniziali di Kings’Valley, valle dei re, appunto) più un numero. Nel 1922, Carter scoprì Tutankhamon. Nel 1995 un team guidato da Kent Weeks trovò le presunte mummie di figli di Ramsete II: La scoperta del sito KV 63 è cominciata scavando e trovando i resti di umili capanne degli operai o schiavi che costruirono le tombe. Poi, sotto, sono stati trovati i sarcofagi vuoti. Forse, si pensa da tempo, le sepolture di Akhenaton e della sua famiglia furono traslate altrove dopo il ripristino del politeismo. Il potente Zahi Hawass, che in un primo tempo non ne voleva sapere di nuovi scavi, ha infine dato il suo accordo. E la rincorsa della leggenda ricomincia, laggiù nella Valle dei Re.
MOSTRE: MILANO, VIAGGIO NELL’UNIVERSO FEMMINILE DELL’ANTICO EGITTO
Milano, 23 gen. (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Un viaggio affascinante alla scoperta dell’universo femminile nell’antico Egitto: colta, in carriera, emancipata o signora della casa e manager al pari degli uomini, questi i mille volti delle signore egizie che saranno svelati in ’’Nefer. La donna nell’antico Egitto’’, mostra allestita a Palazzo Reale di Milano dal 27 gennaio al 9 aprile, aperta al pubblico il lunedi’ dalle 14.30 alle 19.30; da martedi’ a domenica dalle 9.30 alle 19.30; il giovedi’ dalle 9.30 alle 22.30.
Misteri
Ecco l’altro Tutankhamen
E’ il “faraone d’argento”
“Nella sua tomba inviolata i segreti dell’Età oscura dell’Egitto”
Un grande re del Nilo
Le nuove ricerche. Dopo la clamorosa scoperta nel 1940, i reperti di Psusennes I sono stati dimenticati per 70 anni
IL TEAM DI ARCHEOLOGI. «Nonostante una grave malattia, governò per quasi mezzo secolo»
di Gabriele Beccaria (La Stampa/TuttoScienze, 16.03.2011)
Momento sbagliato e pubbliche relazioni catastrofiche. E così nessuno ha mai sentito nominare Pierre Montet, mentre tutti hanno orecchiato almeno una volta l’avventura dell’irrequieta coppia Lord Carnavon-Howard Carter, e il faraone d’argento è stato eclissato dal faraone d’oro: 70 anni di oblio, che solo adesso cominciano a sgretolarsi: al Cairo c’è chi prepara una resurrezione e una serie di rivelazioni.
Quando l’archeologo francese penetrò nella tomba intatta di Psusennes I, a Tanis, nel delta del Nilo, era il 1940: la Seconda guerra mondiale stava travolgendo l’Europa e la notizia sensazionale di una scoperta pari solo a quella di Tutankhamen, che aveva tenuto con il fiato sospeso mezzo mondo nel 1922, precipitò in poche «brevi» di giornale. C’erano altre questioni a cui pensare e Montet raccolse in fretta e furia un tesoro di argento e lapislazzuli, lo portò al museo del Cairo e ritornò tristemente in patria. Le sue casse si richiusero sui reperti di una storia straordinaria appena riportata alla luce - come nel celebre finale di «Indiana Jones e l’Arca dell’Alleanza» - e sarebbero rimaste sigillate in un sotterraneo per decenni. Se è mai esistita una maledizione di Tutankhamen, questa dev’essersi abbattuta sul suo «collega» della XXI dinastia, un lontano successore di tre secoli più tardi: il faraone ragazzino sembra non aver tollerato l’idea di dividere la celebrità postuma e il record di unico signore dell’Egitto scampato alle razzie dei ladri.
Ancora oggi la sua maschera d’oro e il corredo funebre di statue e gioielli monopolizzano lo stupore dei turisti, mentre Psusennes I rimane relegato in una sala secondaria, come un alter ego a cui tutto sia andato storto: una tomba modesta invece di una attentamente scolpita e affrescata, al posto del sarcofago d’oro uno d’argento, niente mummia, ma solo lo scheletro e al posto degli «ushabti», le effigi in miniatura capaci di dare una mano nell’Aldilà, mucchi ormai scomposti di pietre preziose e metalli. Colpa delle offese inferte dal clima umido, opposto a quello secco che ha preservato le meraviglie della Valle dei Re, ed effetto di un’epoca ancora più turbolenta di quella in cui visse brevemente Tutankhamen, nota tra gli storici come «L’età oscura», segnata da una guerra civile che spaccò l’Egitto, segnato dalla rivalità tra sovrani e sacerdoti.
Ora, però, i misteri del vecchio re - il cui nome originale, Pasibkhanu, significava «La stella che appare nella città» - stanno finalmente svelandosi, come se il maleficio del rivale si fosse incrinato. La sua stella torna a lanciare un baluginio e il merito è di un gruppo di ricercatori - Salima Ikram, Fawzy Gaballah e Peter Lacovara - che ha ripreso in mano il «dossier» che si credeva perduto: studiando le ossa, analizzando le iscrizioni e i cartigli custoditi nella tomba e rimettendo insieme tante testimonianze sparse, hanno fatto una serie di scoperte (di sicuro non ancora finite).
Psusennes era un tipo ben piantato a piuttosto alto per l’epoca, 1 metro e 66: per quanto piagato da una malattia reumatica e da una progressiva ossificazione dei legamenti, riuscì a sopravvivere anche al trauma della frattura della settima vertebra e, salito al trono nel 1047 prima di Cristo, regnò per un periodo che dev’essere apparso a lui e ai sudditi interminabile: 46 anni. Morì ottantenne, sebbene quasi completamente sdentato, quando la vita media non superava i 35 anni.
Non solo lungo, ma segnato da continui colpi di scena. Psusennes, oltre a combattere i nemici del Sud, a Tebe, si scatenò contro le forze della natura. Di fronte al declino della città diPi-Ramesse, realizzata un paio di secoli prima da una celebrità, Ramses II, e nell’XI secolo a.C. preda dell’insabbiamento di un ramo del Nilo, ordinò il trasferimento dei templi e dei palazzi a Tanis, in un’area più ospitale del Delta. Ancora più impegnativo fu contrastare i semi della rivolta che proprio il potente predecessore aveva seminato: alternando forza militare e reti di alleanze in stile tribale, fece sposare una figlia al sommo sacerdote di Karnak (che era il fratello del faraone stesso!) e a farsi attribuire il titolo di «Gran Sacerdote di Amon-Ra».
Grazie alla pace, o all’armistizio, Psusennes I rimpinguò le casse statali e potè dedicarsi al compito più importante: una sepoltura adeguata per il viaggio nell’aldilà. Raccolse grandi quantità di oro, pietre e lapislazzuli (fatti arrivare dall’attuale Afghanistan) e si fece preparare un sarcofago-capolavoro, ma di argento massiccio e non d’oro, com’era tradizione. Perché? Ecco la risposta degli studiosi: vista la difficoltà di lavorazione, voleva dimostrare agli dei il suo potere tentacolare su uomini e cose. Oggi sappiamo che la missione è stata compiuta e il biglietto per l’immortalità conquistato.