CONTRO LA GUERRA E CONTRO IL RAZZISMO DOMENICA 25 SETTEMBRE IN MARCIA DA PERUGIA AD ASSISI
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Domenica 25 settembre si svolge la marcia Perugia-Assisi "per la pace e la fratellanza dei popoli".
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Il primo obiettivo che essa si pone, andando al concreto, e’ far cessare la partecipazione italiana alle guerre in Afghanistan e in Libia. Poiche’ marciare per la pace significa marciare contro la guerra, e l’ideatore della marcia Perugia-Assisi Aldo Capitini era di una chiarezza cristallina nel proporre l’opposizione integrale alla guerra.
La marcia Perugia-Assisi e’ quindi innanzitutto l’insurrezione morale del popolo italiano contro le guerre assassine cui lo stato italiano sta partecipando. E’ quindi innanzitutto l’opposizione civile al crimine e alla barbarie della guerra. Il suo scopo principale e’ quindi che cessi immediatamente la partecipazione italiana alle guerre in Afghanistan e in Libia.
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L’altro principale obiettivo, al primo intimamente connesso, e’ far cessare la persecuzione razzista dei migranti. Poiche’ affermare la fratellanza tra i popoli implica riconoscere i diritti umani di tutti gli esseri umani, e l’ideatore della marcia Perugia-Assisi Aldo Capitini era di una chiarezza cristallina nel proporre l’opposizione al razzismo come ad ogni altra forma di discriminazione, oppressione, sfruttamento e persecuzione.
La marcia Perugia-Assisi e’ quindi anche innanzitutto l’insurrezione morale del popolo italiano contro il colpo di stato razzista compiuto dal governo. E’ quindi anche innanzitutto l’opposizione civile al crimine e alla barbarie del razzismo. Il suo scopo principale e’ quindi anche che siano immediatamente abrogate tutte le misure razziste imposte da governanti scellerati.
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Domenica 25 settembre da Perugia ad Assisi si marcia contro la guerra e contro il razzismo, contro tutte le uccisioni e contro tutte le persecuzioni.
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 21 settembre 2011
Mittente: "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
e-mail: nbawac@tin.it
web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:
Alex Zanotelli (Manovra ed armi: "il male oscuro" - Napoli, 24 agosto 2011):
"[...] E’ un autunno drammatico questo, carico di gravi domande. Il 25 settembre abbiamo la 50° Marcia Perugia-Assisi iniziata da Aldo Capitini per promuovere la nonviolenza attiva. Come la celebreremo? Deve essere una marcia che contesta un’Italia che spende 27 miliardi di euro per la Difesa.
E il 27 ottobre sempre ad Assisi, la città di S. Francesco, uomo di pace, si ritroveranno insieme al Papa, i leader delle grandi religioni del mondo. Ci aspettiamo un grido forte di condanna di tutte le guerre e un invito al disarmo. Mettiamo da parte le nostre divisioni, ricompattiamoci, scendiamo per strada per urlare il nostro no alle spese militari, agli enormi investimenti in armi, in morte. Che vinca la Vita!".
Gioacchino da Fiore invita Benedetto XVI a correre ai ripari
COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA (1994-2011): PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI
VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.
Aldo Capitini, contro ogni oppressione
di Matteo Moca (alfapiù, 3 gennaio 2017)
In un tempo storico come quello che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, dove la violenza e la sopraffazione si mostrano in tutte le loro forme - quelle più evidenti e purtroppo longeve come il terrorismo, ma anche quelle più subdole e nascoste che fanno capo al rapporto quotidiano tra gli uomini -, la ripubblicazione in una veste nuova e aggiornata dei saggi di Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, sempre per le edizioni ETS e con la cura di Mario Martini, si impone come momento importante e assai prezioso di riflessione.
Gli spunti e gli obiettivi di cui Capitini dissemina i suoi scritti, risultano infatti imprescindibili per comprendere la realtà e, soprattutto, per tentare un’azione nei confronti di essa, fattore questo che manca nei libri di molti contemporanei pensatori non interessati a coniugare spirito e azione. Gli scritti del padre delle pratiche di nonviolenza in Italia sono una via alternativa alla deriva odierna; l’organizzazione dei testi nella loro divisione in capitoli mostra chiaramente, attraverso la riproposizione di alcune delle tappe più significative del suo pensiero, la genesi e lo sviluppo della riflessione di Capitini e lo fa rendendo facilmente fruibile questo processo al lettore.
Il testo, dopo l’accurata e puntuale introduzione di Martini, si apre con quelle che vengono definite le Premesse teoriche, cioè i fondamenti teorici dei principi della non violenza, che rimandano all’opera Elementi di un’esperienza religiosa. In quel testo del 1937, pubblicato per Laterza grazie all’intervento di Benedetto Croce e di cui qui si riportano delle parti, Capitini definisce il suo pensiero come legato a una «prassi pura», cioè una pratica che realizza «un’intenzione retta che discende da un’adesione incondizionata alla verità». È questo il carattere teorico che risalta maggiormente soprattutto se, come detto, lo si confronta con le situazioni odierne, dove il contatto con la realtà è sempre più leggero e sfumato, portando molto spesso la speculazione su un piano esclusivamente teorico e quindi inutile all’interno di un discorso più ampio che tenti di metterlo in pratica.
Se quindi la prima parte è tesa alla definizione della nonviolenza e alla riflessione sulle pratiche necessarie al suo status, nella seconda parte i testi di Capitini allargano il loro orizzonte e vanno a mostrare come un comportamento e uno spirito nonviolento possano permettere un sodalizio proficuo con gli animali e la natura.
L’andamento di questi testi ricorda in alcuni passaggi i testi di Anna Maria Ortese (e perché no, valutata anche la matrice religiosa, anche alcuni passaggi dell’enciclica Laudato sii di Papa Francesco) raccolti nel recente volume a cura di Angela Borghesi, Le piccole persone, soprattutto per quanto riguarda gli atteggiamenti attraverso cui l’uomo deve confrontarsi con il creato. Frasi come «un primo lavoro da fare è di togliere tutte le crudeltà e le uccisioni inutili, se si vuole tener fede al principio di estendere l’unità anche con gli esseri subumani», oppure, parlando direttamente ad una pianta, «io non ti distruggerò; tu non sei per me un oggetto, uno strumento freddo, ma sei una compagnia, una presenza, un essere che ha in sé un soffio e un’apertura all’aria, alla luce, simile a quelli che ho anch’io», sono riflessioni che raccolgono la stessa tensione universale che si respira nelle pagine di Ortese quando parla di rispetto verso l’«animale», non restringendo il campo solo al significato più diretto del termine, ma allargandolo a tutto lo spettro della vita sulla Terra, dagli uomini fino alla natura, passando appunto per gli animali.
In questa sezione si segnala anche lo scritto La nonviolenza è amore, dove si trova una delle più precise e semplici definizioni della nonviolenza, spogliata, ma solo apparentemente, dal suo carattere filosofico e religioso: «essa è la scelta - scrive Capitini - di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani»; oppure la breve sezione Trionfano i cattivi?, in cui si riflette sulla possibile obiezione all’agire nonviolento e cioè che, senza la violenza appunto, i cattivi trionfino: Capitini scrive che innanzitutto anche «l’uso della violenza non ci dà sufficiente garanzia che trionfino i buoni, perché l’uso della violenza richiede che si facciano tanti compromessi» e poi, poco dopo, che «se per tenere testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, all’ultimo realmente è la cattiveria che vince» e che, così, «scompare la differenza tra noi e loro, e c’è bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi usa altri modi, con fede che essi trasformino il mondo».
Una tale visione del mondo, e degli atteggiamenti che l’uomo deve tenere nei suoi confronti, si ritrova anche nell’attività accademica di Capitini, nelle sue dispense, una cui scelta viene pubblicata per la prima volta quest’anno dalla casa editrice La Scuola, in un volume dal titolo Educazione, religione e nonviolenza, a cura di Livia Romano.
Questi scritti, che coprono un periodo che va dal 1947 al 1967, anni intensi e segnati da un’instancabile militanza sociale e politica, mostrano un volto inedito di Capitini, mosso da una grande passione didattica che riflette la sua visione sull’educazione non come una semplice trasmissione dei saperi, ma come una pratica che coinvolge più soggetti, anche il maestro, in un percorso di crescita comune: «l’educazione moderna si svolge non soltanto lungo la linea di passaggio dal centro dell’educazione dall’educatore all’educando, ma anche lungo quella di una coscienza sempre più precisa dell’educarsi insieme».
Il volume di ETS si chiude con i documenti risalenti alla prima marcia della pace del 1961, con lo scritto Ragioni e organizzazione della Marcia: nella natura di questa marcia risiede un cambiamento fondamentale del linguaggio delle forme di partecipazione, come scrive Amoreno Martellini nella prefazione al volume Persone che marciano per la pace. Perugia-Assisi 24 settembre 1961, uscito sempre nel 2016 questa volta per le Edizioni dell’Asino, perché fu «un tentativo di entrare dentro il terreno della politica con una forma partecipativa ancora non sperimentata nel nostro paese».
Questa marcia, ebbe modo di dire Capitini riferendosi alle classi popolari, «è fatta per loro, perché i contadini sanno camminare, mentre sono a disagio nelle conferenze». Il volume delle Edizioni dell’Asino si arricchisce poi delle testimonianze sulla prima marcia (con le voci di Norberto Bobbio, Guido Piovene, Pier Paolo Pasolini e Goffredo Fofi), delle reazioni della stampa e delle adesioni di protagonisti della scena politica e culturale italiana (da Nenni a Togliatti, da Rigoni Stern a Garin): documenti che riescono, nel loro insieme, a fermare e raccontare i significati e i risvolti più importanti della manifestazione.
Tre libri di Capitini usciti nel 2016 sembrano far presagire un ritorno importante sull’opera del pensatore; un ritorno segnato dalle attività di case editrici che sulla sua opera insistono molto, fiduciose nell’importanza del suo ruolo di educatore nonviolento in una contemporaneità che ne sente il bisogno.
Aldo Capitini
Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti
a cura di Mario Martini
ETS, 2016, 208 pp., € 18
Educazione, religione e nonviolenza
a cura di Livia Romano
La Scuola, 2016, 160 pp., € 11,50
Persone che marciano per la pace. Perugia-Assisi 24 settembre 1961
a cura di Aldo Capitini, prefazione di Amoreno Martellini
Edizioni dell’Asino, 2016, 105 pp., € 9
San Francesco e gli italiani
Il patrono tradito due volte
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 26 settembre 2011)
San Francesco fu davvero «il più italiano dei santi, il più santo degli italiani», come lo proclamò Pio XII? In coincidenza con il 50º anniversario della prima marcia della pace Perugia-Assisi e a pochi giorni dalla celebrazione della festa del patrono d’Italia nel 150° dell’Unità, vale forse la pena di ricordare che il Serafico Poverello è stato tradito in patria almeno due volte.
Per cominciare, lo tradì il fascismo. Più ancora che per la predica agli uccelli, la benedizione che ammansì il lupo di Gubbio o il miracolo della fonte, uno dei segni della santità del figlio di Pietro Bernardone fu il suo amore per tutte le creature di Dio («Laudato sie mi’ Signore, cun tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole...») e soprattutto per gli uomini. A partire dai più reietti, come racconta uno dei primi discepoli, Tommaso da Celano: «Un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò». Per non dire del suo viaggio fino alla corte del sultano ayyubide d’Egitto, al-Malik al-Kamil, nipote e successore del Saladino, nel 1219. Una visita, scrive Franco Cardini, che non si presta a equivoci: «È evidente che il "crociato" Francesco non voleva né poteva combattere: oltretutto era diacono, per cui l’uso delle armi gli sarebbe stato comunque interdetto. Approvava la guerra contro gli infedeli? Era uomo di pace: quello che egli sognava, l’ha dimostrato appunto recandosi dal sultano e portandogli la pace del Cristo».
Eppure il Duce usò proprio lui, l’uomo del dialogo con l’«altro», come simbolo di un nazionalismo che si incardinava anche nella tradizione cattolica: «La nave che porta in Oriente il banditore dell’immortale dottrina accoglie alla prora infallibile il destino della stirpe, che ritorna sulla strada dei padri. E i seguaci del Santo che, dopo di lui, mossero verso Levante, furono insieme missionari di Cristo e missionari d’italianità». Al punto che il podestà fascista di Assisi, Arnaldo Fortini, si spinse nel 1935 a lanciare un incitamento, trasmesso dalla radio, alle truppe che stavano aggredendo l’Etiopia marciando «per le strade segnate dalle orme sanguinose dei missionari francescani».
C’è un piccolo grande libro che aiuta a capire «come» San Francesco, massimo esempio di quanto la mitezza e l’amore possano avere una forza straordinaria, diventò patrono d’Italia paradossalmente durante quel ventennio mussoliniano violento e muscolare che vide perfino la nascita, dalle parti di Vibo Valentia, di un’assurda «Madonna del manganello». Si intitola San Francesco d’Italia - Santità e identità nazionale, raccoglie i lavori di una dozzina di studiosi, è curato da Tommaso Caliò e Roberto Rusconi e spiega come il Poverello di Assisi sia stato utilizzato e manipolato.
In Fascisti e cattolici del 1924, ad esempio, Piero Misciattelli si avventura a spiegare come anche il Duce (che nel 1908 aveva descritto i preti quali «gendarmi neri al servizio del capitalismo» e nel programma fascista del 1919 si era spinto a pretendere «lo "svaticanamento" dell’Italia») fosse un redento: «La crisi della sua conversione dalla fede socialista alla fede nazionale culminò nell’esperienza durissima della guerra da lui accettata, misticamente compresa, poi sofferta nel fango delle trincee, nella comunione diuturna con l’umile fante ignoto ed eroico...».
Il frate Paolo Ardali, nel libretto San Francesco e Mussolini, ricordando Tommaso Caliò andò oltre. Scrivendo: «Ho sotto gli occhi una fotografia di Mussolini in tenuta di marcia: il suo volto patito, sofferente, ma sereno, ma forte, mi richiama alla memoria una pittura di Francesco d’Assisi di scuola senese del secolo XIII: identica vivezza nello sguardo, identica nobiltà di atteggiamento, manca solo l’aureola».
Nell’enciclica Rite expiatis del 1926 lo stesso Pio XI (che pure avrebbe raccolto l’apertura del Duce verso il Concordato del ’29 con la proclamazione del 4 ottobre 1926, VII centenario della morte del Santo, quale festa nazionale), diffidò i fascisti da questo uso del Poverello quale «vessillo» di uno «smoderato amore verso la propria nazione». Come sia finita, si sa. Nella scia di Gabriele D’Annunzio, che certo non viene ricordato come un cristiano ma aveva ben chiare le opportunità offerte da un santo autenticamente «nazionale», dieci anni dopo la firma dell’accordo tra Stato e Chiesa, il 18 giugno 1939, San Francesco veniva proclamato patrono d’Italia da Pio XII come appunto «il più italiano dei santi, il più santo degli italiani».
Formula apprezzatissima dal Duce che fin dal 1925 si era abusivamente impossessato del fraticello in chiave patriottica: «Il più alto genio della poesia, con Dante; il più audace navigatore degli oceani, con Colombo; la mente più profonda alle arti e alla scienza, con Leonardo; ma l’Italia, con S. Francesco, ha dato anche il più Santo dei Santi al Cristianesimo e all’umanità».
Qualche decennio dopo, riscoperti l’amore e la devozione per il «vero» San Francesco, c’è da chiedersi che fine abbia fatto, oltre all’amore per gli altri, il secondo dei grandi esempi dati dal patrono d’Italia: la sobrietà. La dedizione agli altri. Certo, chi è senza peccato scagli la prima pietra ed è vero che il Poverello di Assisi non pretese che tutti avessero la virtù eroica di indossare i sandali e il saio. Dai tempi in cui Alcide De Gasperi andò a Washington facendosi prestare un cappotto da Attilio Piccioni e alcuni dei padri costituenti quali Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati e Giorgio La Pira vivevano con spirito e regole monacali nella «comunità del Porcellino» a casa delle sorelle Portoghesi, sembrano passati millenni.
Se quegli uomini avessero spiegato agli italiani la necessità di stringere la cinghia e fare sacrifici, gli italiani avrebbero detto: sì, se lo dicono loro vuol dire che è così, che non c’è altra scelta. Adesso, tra «olgettine» e faccendieri caricati sui voli di Stato, relatori di severe manovre finanziarie che girano con le Bentley e le Ferrari, appartamenti del Colosseo comprati dai ministri «a loro insaputa», ministri con la Maserati quattroporte che bacchettano i precari, è tutto più complicato. Quanto al voto di castità...
UN ERRORE DA NON COMMETTERE, E NON SOLO
di PEPPE SINI *
Un errore da non commettere (tra molti altri possibili, va da se’) e’ lasciarsi ipnotizzare dalla rappresentazione che della marcia Perugia-Assisi del 25 settembre hanno dato i mass-media del sistema della violenza.
La marcia non e’ stata una passerella di politicanti tra una folla di comparse. La marcia e’ stata invece l’assemblea itinerante di migliaia e migliaia di persone (decine di migliaia, forse centinaia di migliaia), che non erano li’ a fare la claque di chicchessia o i figuranti reclutati, ma tutte recavano all’azione comune le proprie idee, esperienze, proposte, lotte.
E la marcia non e’ stata neppure l’imbottitura delle parole scritte all’inizio o pronunciate alla fine dalle burocrazie o dai sorteggiati di turno: la marcia non e’ una proprieta’ privata, non delega ad altri le sue ragioni e i suoi sentimenti, e’ refrattaria alla societa’ dello spettacolo come alle gerarchie comunque paludate. La marcia sono migliaia di persone insieme postesi in cammino tra la citta’ di Capitini e quella di Francesco per la pace e la fratellanza dei popoli, persone autonome ed autocoscienti unite in un’impresa comune condivisa. Nessuna "piattaforma" burocratica di strutture lottizzate, e nessun "documento conclusivo" ad un tempo prolisso e generico, elusivo e palustre, puo’ render giustizia alla marcia, puo’ riflettere la marcia, puo’ fagocitare la marcia. Tutti lo sappiamo: la marcia e’ un’altra cosa rispetto alle carte che fanno volume nelle carpette. La marcia e’ umanita’ vivente e operante, in cammino ed in lotta per la rivoluzione nonviolenta: ovvero per affermare tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani attraverso una concreta politica nonviolenta: una concreta politica nonviolenta.
E le migliaia di persone che hanno marciato il 25 settembre hanno effettualmente espresso con inequivocabile chiarezza posizioni ben piu’ concrete e politicamente qualificate di quelle che vengono loro attribuite dai proclami e dai documenti degli ingenui o dei callidi.
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La marcia - e lo ha percepito senza possibilita’ di errore chiunque l’ha camminata, respirata, ascoltata e parlata, condivisa quindi, lungo il cammino che da Perugia reca ad Assisi - ha espresso posizioni nette e programmi di azione politica immediata.
La marcia ha espresso un’opposizione integrale alla guerra, agli eserciti e alle armi; e quindi ha espresso la richiesta politica secca dell’immediata cessazione della partecipazione italiana alle guerre in corso in Afghanistan e in Libia; la richiesta politica secca del taglio delle spese militari a beneficio delle spese sociali nel bilancio dello stato; la richiesta politica secca di una politica internazionale fondata su smilitarizzazione e disarmo, cooperazione ecoequosolidale, corpi civili di pace e gestione nonviolenta dei conflitti.
La marcia ha espresso un’opposizione integrale al colpo di stato razzista; e quindi ha espresso la richiesta politica secca dell’immediata abrogazione di tutte le misure razziste introdotte nell’ordinamento a partire dall’infame riapertura dei campi di concentramento nel 1998 fino alle piu’ recenti aberrazioni hitleriane.
La marcia ha espresso un’opposizione integrale alla violenza di classe insita nella politica economica non solo del governo corrotto e corruttore, ma anche della quasi totalita’ del ceto politico, dei gruppi dirigenti e dei ceti dominanti; e quindi ha espresso la richiesta politica secca di una politica economica della solidarieta’ e della giustizia sociale in netta contrapposizione al sistema di potere e al modello di sviluppo imposto dal comitato d’affari dei rapinatori attualmente dominante.
La marcia ha espresso un’opposizione integrale all’inquinamento, devastazione e distruzione della biosfera; e quindi ha espresso la richiesta politica secca di una politica rispettosa e risanatrice dell’ambiente, di tutto il mondo vivente, e quindi anche dell’umanita’ intera comprese le generazioni future.
Infine e soprattutto la marcia ha espresso un’opposizione integrale alla violenza maschilista e patriarcale di cui la weltanschauung e il pratico agire sia pubblico che privato del presidente del Consiglio dei Ministri e capo del regime della corruzione costituiscono un esempio flagrante che funge da alibi e movente e fomite per un’intera societa’ che nega a meta’ dell’umanita’ la sua stessa qualita’ umana; e quindi la marcia ha espresso la richiesta politica secca di una immediata conversione femminista della cultura e del governo della societa’ e dello stato.
Ecologista e femminista, socialista e libertaria, ricca di tutte le piu’ preziose tradizioni spirituali dell’umanita’ e di tutte le esperienze di solidarieta’, di responsabilita’ e di liberazione della civilta’ umana, la marcia e’ un popolo in cammino sulla via della nonviolenza.
La marcia e’ un fatto politico che da’ inizio a un’azione nonviolenta corale e persuasa per il governo della societa’ e del paese secondo principi di giustizia e di solidarieta’, di verita’ e di amore, cominciando dal piu’ basilare: far cessare le uccisioni.
Uscire dalla subalternita’ occorre: la nonviolenza e’ la politica del XXI secolo.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’.
* EDITORIALE
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
Supplemento de "La nonviolenza e’ in cammino"
Numero 434 del 27 settembre 2011
IL CASO
"Ad Assisi anche per il nostro Francesco" In marcia per la pace la famiglia Azzarà Il cugino dell’operatore di Emergency rapito racconta questi quaranta giorni vissuti con il congiunto nelle mani dei rapitori. "Lui è un operatore di pace ". "Le ultime notizie sono di una settimana fa e sono rassicuranti, ma ora attendiamo risposte istituzionali"
di ALBERTO CUSTODERO *
ASSISI - "Alla Marcia della Pace, qui ad Assisi, marciamo per san Francesco per ciò che ha rappresentato. Ma anche per il nostro Francesco, affinché riottenga presto la libertà come riconoscimento del suo essere un operatore di pace". Quaranta giorni dopo il sequestro avvenuto a Nyala, capitale del Darfur, i familiari dell’operatore di Emergency, il trentaquattrenne Francesco Azzarà, rompono il silenzio stampa che si sono imposti. Non lo fanno i suoi genitori, ancora chiusi nel massimo riserbo. Ma i suoi cugini, Paolo Laganà, il sindaco di Motta San Giovanni (paese natale del sequestrato, nel Reggino), e Antonino Chilà. Gigantografie di Azzarà sono state esposte un po’ dappertutto in Italia: al Campidoglio a Roma, a Palazzo Marino a Milano e ai balconi del palazzo del Consiglio comunale a Napoli. La sua immagine compare anche nella marcia Perugia-Assisi voluta cinquant’anni fa da Aldo Capitini, il capifila del pensiero non violento e del pacifismo ante-litteram non a caso soprannominato il "Gandhi italiano". Laganà è l’unico sindaco oggi ammesso a parlare dal palco di Assisi.
"All’appuntamento con i mille giovani per la pace - dice Laganà - lanciamo il nostro appello alla Farnesina affinché ci sia una svolta nella trattativa coi rapitori. Questa vicenda porta all’attenzione dell’opinione pubblica non solo il dramma di Francesco, ma anche quello del popolo del Sud del Sudan che proprio qualche giorno fa ha ottenuto il riconoscimento dall’Onu". "Le ultime notizie, che risalgono a una settimana fa - aggiunge il sindaco - ci rassicuravano sulla salute e sulle condizioni di Francesco. Ma 40 giorni senza avere la libertà è già di per sé una condizione estrema. Siamo preoccupati, ma attendiamo. Ora è il momento delle risposte istituzionali: aspettiamo anche queste".
"Francesco - dichiara l’altro cugino, Antonino Chilà - è l’espressione di quella nazione pulita, intelligente, solidale. Rappresenta la Calabria migliore, la sana voglia dei tanti giovani calabresi di mettersi in gioco e di aiutare gli altri, di rendersi utili e porsi al servizio di chi vive situazioni di disagio estremo, senza se e senza ma, nei confronti dei dimenticati del mondo, con abnegazione ed incosciente passione, coerente con se stesso e con il proprio modo di intendere la vita, come espressione simbolica di un mondo giovanile proteso al prossimo, fatto di ragazzi che si impegnano nel sociale, che dedicano il loro tempo agli ultimi, sopperendo talvolta alle mancanze delle istituzioni preposte all’uopo". "Francesco - dice ancora Chilà - è uno di questi giovani, che non dobbiamo dimenticare ed il cui dramma attuale dobbiamo vivere con profonda compartecipazione, auspicando l’interessamento, a più livelli, ed uno sforzo maggiore di quello fino ad oggi profuso, per la sua immediata liberazione e per il suo ritorno a casa. Persone e ragazzi come Francesco ci fanno sentire orgogliosamente calabresi e italiani".
"Abbiamo avuto un contatto diretto con Francesco - aveva riferito Cecilia Strada, figlia di Gino e presidente di Emergency, alla Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato presieduta da Pietro Marcenaro - ci ha detto che sta bene, per quanto possibile nella situazione in cui si trova. Mangia e beve e tiene duro". Per la pace, e per la sua liberazione, marceranno oggi migliaia di persone tra Perugia e Assisi.
* la Repubblica, 25 settembre 2011
Aldo Capitini asceta della nonviolenza
di Raffaele Liucci (il Fatto/Saturno, 23.09.2011)
«HO LASCIATO LA pratica della religione cattolica da ragazzo. Sono tornato ad occuparmi di temi religiosi, dopo circa sei anni, alla fine della Grande Guerra, ma senza riprendere né la pratica né la fede della religione tradizionale». Già nell’incipit di questo straordinario libro di Aldo Capitini, Religione aperta, edito per la prima volta nel 1955 e ora riproposto da Laterza, c’è tutto il contegno del suo autore: scarno, umile, ascetico, senza una sbavatura né un grammo di retorica. Un «protagonista appartato» della cultura italiana, un’opera per molti versi ancora attuale.
Innanzitutto, il presente libro è un antidoto allo spaventoso rigurgito di clericalismo e di superstizione che sta ammorbando il nostro tempo. Per Capi-tini, religione non significa affatto credere in dogmi cervellotici (la trinità) e bislacchi (l’immacolata concezione). O pensare che le stimmate di padre Pio siano il frutto di un intervento soprannaturale (e non, invece, delle fialette di acido fenico che l’astuto frate cappuccino si procurava sottobanco). Per Capitini, la religione è un’etica dello sguardo, un’«apertura» sul mondo. Una religione laica, laicissima, la sua, che non deprime il libero pensiero, ma lo fortifica, in una comunione («com-presenza») con tutti gli esseri viventi, dagli uomini agli animali sino alle piante. Proprio come insegnano le dottrine orientali non trascendenti, il buddismo in primis, che tanto affascinarono anche Schopenhauer.
In secondo luogo, in queste pagine non si parla di Dio, ma di uomini. In effetti, come diceva Benedetto Croce, i libri che discutono di Dio in astratto, separandolo dall’umanità, «fanno sbadigliare». Che cos’è, la teologia, se non una raffinata crestomazia di masturbazioni mentali (il solo tipo d’onanismo ammesso dai catechisti)? Secondo Capitini, invece, il mondo è fatto dai «singoli individui», e «la vita fondamentale è quella che li considera nella loro singolarità insostituibile».
In terzo luogo, qui non c’è traccia di preti, rabbini ortodossi, mullah e altri ragni velenosi. Gli unici sacerdoti, dice Capitini, sono gli apostoli «dell’amorevolezza e del sacrificio, della nonviolenza e della nonmenzogna». Tanto più che un vero sacerdote «non chiederà mai un merito speciale, un riconoscimento esterno». Chissà cosa ne pensa monsignor Fisichella.
In quarto luogo, Capitini rifugge dall’etica sado-maso della Passione. La vita non è affatto quella «ruota di dolore che ti stritola», come sostengono compiaciuti molti «credenti» (madre Teresa di Calcutta spiegava ai malati terminali che le loro pene erano come «baci di Gesù»). Proprio perché il dolore è insensato e non dona alcuna purificazione, esso va combattuto e mai santificato nelle messe piagnucolose: «Non vi pare religioso la mattina della festa, invece di andare in una chiesa, recarsi in un ospedale, assistere un moribondo, e sentire che quella persona non va nel nulla, ma, lasciato il suo corpo, si unisce all’intima presenza con tutti?». Non è un caso - e siamo all’ultimo punto - che il pensatore perugino dedichi alcune delle pagine più ispirate a confutare l’idea del Dio assoluto e onnipotente, propria del monoteismo. In verità, più che un Dio amorevole, costui sembra un autentico psicopatico, che si delizia alla vista dei tormenti inflitti alle sue creature. Un «diavolo», scrive Capitini, un demonio pompato da quelle fiabe maligne che sono i testi sacri.
Per concludere. Capitini credeva in una religione interiore e nonviolenta, «rivolta non alla liberazione dalle conseguenze del peccato, ma alla liberazione dal peccato stesso». Una scommessa perduta, vista con sospetto anche dai comunisti, che lui non amava («lavano con l’acqua sporca»). Per tacer della Chiesa. Eppure, ancor oggi la sua voce non è afona, per chiunque voglia ascoltarla. Un maestro di minoranze eretiche, una solitudine senza isolamento.
-Aldo Capitini, Religione aperta, prefazione di Goffredo Fofi, introduzione e cura di Mario Martini, Laterza, pagg. 248, • 20,00
50 anni di Marcia Perugia-Assisi
50 buone ragioni per partecipare
di Mao Valpiana
presidente del Movimento Nonviolento *
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E’ impegnativo partecipare alla Marcia Perugia-Assisi. Non per i venticinque chilometri da percorrere, che sono niente al confronto con le distanze affrontate da chi fugge dalla guerra e cerca salvezza, ma per l’assunzione di responsabilità che ciò comporta. Significa mettersi in cammino "per la pace e la fratellanza dei popoli". E’ l’impegno di una vita.
2
Se si e’ da soli si cammina, o si corre. Solo se lo si fa con altri si può marciare. Bisogna prepararsi bene per marciare insieme; e’ necessario avere la stessa meta, obiettivi comuni, e spirito di condivisione. Farlo per la pace e la fratellanza dei popoli, significa marciare per il futuro dell’umanità.
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La Marcia Perugia-Assisi, diceva Aldo Capitini, è un’assemblea itinerante. Prima di partecipare ad un’assemblea ci si prepara adeguatamente, studiandone bene la lettera di convocazione e l’ordine del giorno. Ogni marciatore che vuole partecipare alla Marcia in piena consapevolezza dovrebbe quindi leggere il documento del Movimento Nonviolento "Mozione del popolo della pace: ripudiare la guerra, non la Costituzione".
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Nello zainetto che ogni partecipante prepara per marciare lungo il percorso della Perugia-Assisi ci metterei, insieme ad un panino ed una bottiglietta d’acqua, il Quaderno di Azione nonviolenta con lo scritto di Aldo Capitini "Teoria della nonviolenza", e poi inviterei tutti i marciatori ad imparare a memoria il primo punto della Carta programmatica del Movimento Nonviolento: "opposizione integrale alla guerra".
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Muoiono nel Mediterraneo i migranti. I loro corpi vengono gettati nel mare, senza degna sepoltura. Sono vittime innocenti della guerra e del razzismo. Quando marceremo da Perugia ad Assisi "per la pace e la fratellanza dei popoli" sentiremo la loro compresenza. Sarà la testimonianza più vera e più dura che la guerra è un crimine contro l’umanità.
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Tutti sono invitati a partecipare alla Marcia Perugia-Assisi. La Marcia è di tutti e per tutti. Nel cammino ideato da Aldo Capitini il plurale di "tu" è "tutti". Saremo tutti uniti a marciare contro la guerra. Tutti in cammino verso l’orizzonte della nonviolenza, che è il varco attuale della storia.
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Marciare per la pace, significa marciare contro la guerra.
Marciare contro la guerra, significa marciare per abolire gli eserciti.
Marciare per abolire gli eserciti, significa marciare contro le spese militari.
Marciare contro le spese militari, significa marciare per il disarmo.
Marciare per il disarmo, significa iniziare a disarmare se stessi.
Se vuoi marciare per la pace, prepara il tuo disarmo unilaterale.
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Perugia, simbolo della laicità. Assisi, simbolo della religiosità. Il cammino da Perugia ad Assisi unisce laici e religiosi. Li unisce nella ricerca comune della nonviolenza, così come la nonviolenza unisce oriente ed occidente. Storie e culture diverse si incontrano e si mescolano nella strada che dai Giardini del Frontone porta alla Rocca di Assisi. E’ accaduto nel 1961, accadrà nuovamente nel 2011.
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La Marcia Perugia-Assisi non è una semplice manifestazione. Non è un qualsiasi corteo. Non è una protesta. Non è una ricerca di "visibilità". Non la si fa per "bucare il video". Non è un fatto "mediatico". Non è una tradizione, non è una ritualità. La Marcia Perugia-Assisi è un’assemblea itinerante, è il popolo della pace che si convoca e si mette in cammino, è un’azione nonviolenta che si rinnova ed ha un valore in sè.
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Approfondire la conoscenza del pensiero, delle iniziative e della figura di Aldo Capitini, è il modo migliore per prepararsi alla Marcia Perugia-Assisi. Ad un giovane che volesse farlo, consiglierei di iniziare con la lettura di un bel testo autobiografico di Capitini: "Attraverso due terzi di secolo".
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Il cammino non è solo un susseguirsi di passi. E’ anche un orizzonte, un panorama che cambia ad ogni curva, terra sotto i piedi e cielo sopra la testa. Quando Capitini ideò il percorso da Perugia ad Assisi prestò molta attenzione al paesaggio umbro, lo stesso che vedevano gli occhi di Francesco, il santo della nonviolenza, nel suo peregrinare. Per questo ci accosteremo umilmente, con rispetto e con "sacralità" al tragitto della marcia Perugia-Assisi.
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La marcia Perugia-Assisi del 1961 fu anche una festa, una celebrazione, una liturgia. Tra i partecipanti c’erano familiarità e tensione ideale. I contadini e gli operai indossarono "il vestito della festa", con la giacca ad il cappello. Mogli e madri portavano ancora il lutto per il marito o il figlio persi nella guerra terminata da solo sedici anni. Cinquant’anni dopo dobbiamo prepararci a marciare con la stessa compostezza di quegli uomini e quelle donne che ci hanno preceduto sulle strade della Perugia-Assisi.
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La marcia Perugia-Assisi, ideata da Aldo Capitini, si inserisce nella tradizione delle marce nonviolente, a partire dalla "marcia del sale" promossa da Gandhi al culmine della campagna di disobbedienza civile per la liberazione dell’India. Sarebbe bello, e giusto, che ogni partecipante alla marcia del 25 settembre 2011 dedicasse un pensiero, durante il cammino, al Mahatma Gandhi.
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Molte persone, pur desiderandolo, non potranno partecipare alla marcia Perugia-Assisi, perchè malate, perchè anziane, perchè detenute, perchè indigenti, perchè dedite a compiti non rinviabili. Marceremo anche per loro.
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Dalla marcia Perugia-Assisi si leverà una richiesta corale, rivolta al governo e al Parlamento: non tagliate i salari ma le spese militari. Porre al primo punto dell’agenda politica la riduzione del bilancio del Ministero della Difesa, sarà uno dei compiti della marcia.
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Tra le dissennate misure "anti crisi" varate dal governo, vi è la soppressione delle festività civili "non concordatarie" e il loro spostamento alla domenica più vicina. Ciò significa cancellare le feste del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno. La marcia Perugia-Assisi dovrà schierarsi a difesa della memoria e rivendicare le tre feste laiche fondamentali: quella antifascista, quella dei lavoratori e quella repubblicana.
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Il popolo della pace si metterà in cammino, sulle orme di Aldo Capitini. Ci saranno anche bambine e bambini, e pure gli animali accompagneranno questo popolo. La "liberazione" nonviolenta, nel pensiero capitiniano, riguarda adulti e fanciulli, ed ogni essere vivente. Tutti marceranno insieme.
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Il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione. Quando ha approvato la guerra in Libia, quando ha giustificato l’intervento militare in Afghanistan, quando ha promulgato leggi che prevedono spese belliche, ha tradito il proprio ruolo. L’articolo 11 della Costituzione italiana ripudia la guerra e il Presidente deve vigilare che così sia. Se il Presidente della Repubblica, come già in passato è avvenuto, intende mandare un messaggio ai marciatori della Perugia-Assisi, ne tenga conto.
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Ogni singola persona che deciderà di partecipare alla marcia Perugia-Assisi, sarà un’aggiunta preziosa. La marcia è un patrimonio collettivo, costituito dai marciatori tutti, che ne sono i responsabili. Ogni singolo cartello, ogni striscione, ogni slogan, ha un’importanza decisiva, perchè andrà a costruire il messaggio complessivo che la marcia offrirà alla pubblica opinione. Per questo tutto deve essere orientato ad un rigoroso spirito nonviolento, come voleva Aldo Capitini.
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La marcia Perugia-Assisi esprime una grande attenzione alla natura e all’ambiente. Sarà buona cosa produrre minor inquinamento possibile per recarsi a Perugia: privilegiare il treno rispetto ai mezzi privati, utilizzare la bicicletta quando possibile, riempire alla massima capienza pullman e automobili. Cercheremo anche di evitare ogni inutile inquinamento acustico e rumori molesti. Ogni singolo marciatore dovrà fare attenzione a non disperdere nessun rifiuto, non lasciar cadere carte e volantini per terra, non utilizzare bottigliette di plastica, ed eventualmente riportarle via con sè. Saremo ospiti della splendida terra umbra, e dovremo lasciare il percorso da Perugia ad Assisi migliore di come lo avremo trovato. Un semplice accorgimento: portiamoci un sacchetto apposito, e se vediamo qualche rifiuto a terra lasciato da un marciatore distratto, raccogliamolo.
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“Per la pace e la fratellanza dei popoli” (1961), “Mille idee contro la guerra” (1978), “Contro la guerra ad ognuno di fare qualcosa” (1981), “Contro il riarmo blocchiamo le spese militari” (1985), “Mai più eserciti e guerra” (2000). Sono questi i titoli, e gli obiettivi politici, delle precedenti marce che il Movimento Nonviolento vuole rinnovare e riproporre il 25 settembre 2011.
Nel cinquantesimo anniversario della prima marcia di Aldo Capitini, marceremo dunque per la pace e la fratellanza dei popoli, per raccogliere mille idee contro la guerra, per chiedere ad ognuno di fare qualcosa contro la guerra, per ottenere il blocco delle spese militari e per riaffermare che se non vogliamo più guerre dobbiamo abolire gli eserciti.
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Sarebbe bello se ogni marciatore che parteciperà alla marcia, portasse appeso al collo un cartello, anche solo un foglio di quaderno, con scritto il proprio personale impegno contro la guerra, firmato con nome e cognome.
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La guerra è il più grande crimine contro l’umanità. Ogni guerra, per qualsiasi motivo. Sia essa di attacco o di difesa, chirurgica o umanitaria, per il petrolio o per la democrazia, la guerra è sempre un crimine, in Libia o in Afghanistan. Questo dirà la marcia Perugia-Assisi.
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La nonviolenza è il varco attuale della storia, diceva Aldo Capitini. Ancor oggi la marcia Perugia-Assisi cammina sui sentieri della storia e cerca il varco.
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La Perugia-Assisi è democratica. Quando saremo in marcia ognuno di noi sarà il centro dell’iniziativa. Ogni singolo marciatore esprimerà l’idea collettiva. Non ci saranno capi, portavoce, rappresentanti. La marcia è composta da tutti i marciatori, che hanno un uguale valore in sè.
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La vera marcia inizierà la sera del 25 settembre, quando dalla Rocca di Assisi sarà proclamata la conclusione. E’ da lì che muoverà i primi passi la marcia per la pace, quando ogni marciatore tornerà alla propria casa con l’impegno di realizzare l’obiettivo comune: opporsi integralmente alla guerra.
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La marcia Perugia-Assisi dovrà dire parole chiare sulla politica internazionale e sulla politica interna: non vogliamo più partecipare a nessuna guerra, non vogliamo più pagare per le spese militari.
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La marcia Perugia-Assisi è aperta a tutti, ai persuasi e ai perplessi. Raccoglie le idee di tutti, ma deve dare un orientamento preciso verso la nonviolenza. Se questo non avvenisse, sarebbe solo un’inutile marcia.
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Accade spesso che gli abitanti lungo il percorso della marcia offrano acqua e generi di conforto ai marciatori più affaticati. E’ un gesto di accoglienza, di ospitalità, di condivisione, che commuove.
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La musica è un’arte che unisce, che crea emozioni, che parla ai sentimenti. La colonna sonora della prima marcia fu affidata ad un giovane cantautore con la chitarra. Chi sa suonare qualche strumento lo porti alla marcia del 25 settembre 2011, e chi sa cantare non abbia timore a farlo in coro con gli altri marciatori. La musica e le canzoni ci accompagneranno da Perugia ad Assisi.
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La marcia Perugia-Assisi condanna le guerre del passato, si dissocia dalle guerre del presente e cerca di prevenire le guerre del futuro.
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Nessuno venga alla marcia per ostentare la propria bandiera di parte, lo striscione della propria organizzazione, il nome di uno specifico movimento. Bandiere, striscioni e movimenti devono contribuire a far prevalere l’obiettivo comune per cui marceremo insieme: il bene supremo della pace.
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Il 25 settembre ripercorreremo la strada indicata da Aldo Capitini; il titolo della marcia sarà lo stesso dato da Capitini “per la pace e la fratellanza dei popoli”; concluderemo alla Rocca di Assisi, là dove Capitini lesse la “mozione del popolo della pace”. Dobbiamo essere consapevoli della grandezza di ciò che faremo insieme.
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Quando si marcia, si guarda in avanti. Il valore profondo della Perugia-Assisi non è solo nella forza delle sue radici che affondano nel passato, ma soprattutto nella capacità di indicarci la strada da percorrere da domani.
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Marceremo non per smania di protagonismo, o per sfogare indignazione o rancori, e nemmeno per rivendicare diritti negati o torti subiti; marceremo per dialogare con tutti coloro che marciano insieme a noi e con tutti coloro che ci staranno ad osservare dai bordi della strada, dalle loro case, dalla televisione e tramite i giornali. La marcia è un metodo nonviolento per comunicare con gli altri. Dobbiamo spiegarci bene e farci capire. Il messaggio è quello della nonviolenza.
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Con Aldo Capitini, saranno in molti ad accompagnarci e darci forza durante la marcia Perugia-Assisi del 25 settembre: Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Tonino Bello, Ernesto Balducci, Alexander Langer, Davide Melodia, Gaetano Latmiral, Rocco Campanella, Birgitta Pinna Ottoson, Emma Thomas, Gervasia Asioli, Piergiorgio Acquistapace, Marco Baleani, e tantissime altre amiche ed amici della nonviolenza che qui tutti non possiamo nominare, ma che ognuno di noi porta nel cuore. Sarà la marcia della compresenza dei morti e dei viventi.
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C’è un compito da assolvere per chi si prepara a partecipare alla marcia Perugia-Assisi: chiedere al proprio Comune, al Sindaco, ad un consigliere comunale, al Presidente della Provincia, ad un consigliere provinciale, ad un deputato o un senatore, ad un consigliere di quartiere o di circoscrizione, che si conosce o che si è votato, di partecipare alla marcia in rappresentanza dell’istituzione di cui fanno parte. Gli enti locali, le istituzioni democratiche rappresentative, sono chiamate a fare la propria parte per la costruzione della pace.
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Camminare per la pace da Perugia ad Assisi è anche una forma di meditazione. "Ogni passo è vita, ogni passo è guarigione, ogni passo è gioia, ogni passo è libertà" dice una preghiera buddhista.
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Sarebbe bello che alcuni tratti della marcia da Perugia ad Assisi fossero percorsi da tutti i marciatori in perfetto silenzio. Un silenzio per concentrarsi sulle vittime delle guerre; un silenzio da opporre al fragore dei bombardamenti.
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Il rovesciamento del motto olimpico pensato da Alexander Langer ("lentius, profundius, suavius" anzichè "citius, altius, fortius") ben si adatta alla marcia Perugia-Assisi: più lentamente, più profondamente, più dolcemente. Questi devono essere i tre caratteri di una marcia per la pace.
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Saremo in tanti alla marcia per la pace. Ma quello che conta di più sarà essere in tanti dal giorno dopo a dire di no alla preparazione della prossima guerra.
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Il disarmo. Questo è l’obiettivo politico di una marcia per la pace. Lo sapeva già Francesco d’Assisi che chiedeva l’indulgenza per coloro che prima di entrare alla Porziuncola abbandonavano le armi.
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La marcia Perugia-Assisi è per la pace e la fratellanza dei popoli, e dunque è antimilitarista, antifascista, antirazzista.
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La Costituzione italiana ripudia la guerra. Chi partecipa alla marcia Perugia-Assisi mette in atto la Costituzione.
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La guerra è portatrice di morte. Le donne generano la vita. Il movimento femminista rappresenta l’anima profonda della marcia per la pace.
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La marcia Perugia-Assisi raccoglie il meglio di ciò che ha saputo esprimere l’Italia negli ultimi cinquant’anni. Nonviolenti, obiettori di coscienza, pacifisti, femministe, ecologisti, referendari, scout, parrocchie, comitati, comunità di base, movimenti per i diritti civili, per i beni comuni, per la giustizia, per la democrazia, si danno obiettivi comuni: la pace e la fratellanza dei popoli.
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La Perugia-Assisi è la marcia dell’obiezione alla cultura bellica, dell’obiezione alla politica di guerra, dell’obiezione alle spese militari, dell’obiezione di coscienza alle armi e agli eserciti.
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“La marcia non è fine a se stessa. Crea onde che vanno lontano”. Così diceva Aldo Capitini nel 1961. Le onde della nonviolenza sono giunte fino a noi, oggi.
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Ogni passo che i nostri piedi faranno da Perugia ad Assisi, deve corrispondere ad un fucile che le nostri mani spezzano.
50
Partecipare alla marcia Perugia-Assisi è un grande privilegio. Seguiamo le orme del santo Francesco, del mahatma Gandhi, del pastore Martin Luther King, del professor Aldo Capitini. Camminiamo sulle vie della nonviolenza.
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
sito: www.nonviolenti.org
War is over (John Lennon)
LETTERA APERTA AGLI ORGANIZZATORI DELLA MARCIA PERUGIA-ASSISI ED A TUTTI I PACIFISTI ITALIANI
di Rete NoWar - Roma Citizens against War - Rome
Roma, 21.09.2011
Alla Tavola della Pace Via della Viola, 1 06122 Perugia Fax: 075/5739337 email: info@perlapace.it
e p.c.
alle associazioni, ai “movimenti”, agli organi istituzionali ed ai media invitati alla Conferenza di presentazione della “Marcia per la pace” Perugia-Assisi, 2011.
LETTERA APERTA AGLI ORGANIZZATORI DELLA MARCIA PERUGIA-ASSISI ED A TUTTI I PACIFISTI ITALIANI
Nel manifesto di convocazione della "Marcia per la Pace" sono contenuti generici appelli contro "le guerre", "la violenza", "il commercio delle armi" ed a "mettere fine alla guerra in Libia, in Afghanistan".
Ma allora vi chiediamo: da sei mesi è in corso in Libia, a soli 500 km dall’Italia, una sanguinosa guerra che ha comportato 9.000 azioni di bombardamento, che ha causato immani distruzioni e privazioni per la popolazione, migliaia, o forse decine di migliaia, di vittime civili innocenti, centinaia di migliaia di profughi.
DOVE ERAVATE IN QUESTI 6 MESI? Eravate voltati dall’altra parte?
Piccoli gruppi come i nostri hanno tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica con una serie di manifestazioni ignorate dalla stampa. Abbiamo manifestato davanti all’ambasciata di Francia, davanti a Montecitorio, in Pza Venezia; ci siamo recati presso le ambasciate dei paesi non belligeranti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Cina, Russia, India, Brasile, Sudafrica) per chiedere di favorire un cessate il fuoco immediato ed una mediazione tra le parti sotto l’egida di organizzazioni neutrali quali l’Unione Africana o i paesi sudamericani. Tramite comunicati abbiamo invitato tutti a partecipare a queste azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, eppure ci siamo sempre ritrovati soli. Dove eravate? Quali iniziative per fermare la guerra avete intrapreso voi?
Non vi siete accorti che i paesi aggressori (USA, Francia, Gran Bretagna, Italia, paesi della NATO, monarchie arabe reazionarie come il Qatar e gli Emirati) stavano violando lo spirito e la lettera della risoluzione dell’ONU che parlava di una presunta azione di "protezione dei civili", ponendosi invece l’obiettivo di un cambio di regime con la forza delle armi? Non vi siete accorti che gli insorti erano continuamente riforniti di armi e appoggi logistici e militari e sobillati a non aderire ad alcuna trattativa? Non vedete che l’unico scopo di questa operazione è la spartizione delle risorse della Libia in un ambito neo-coloniale?
Perché non una parola di condanna avete espresso sui bombardamenti e le azioni militari degli aggressori? L’unica parola di condanna esplicita l’avete rivolta contro un altro paese, la Siria, dove il governo ha aperto un dialogo con l’opposizione più responsabile. Ma anche in questo caso, come in Libia, frange di Al-Qaeda, integralisti islamici radicali ed ex-combattenti dell’Afghanistan vengono forniti di armi e sobillati da USA, Francia, Gran Bretagna e monarchie arabe reazionarie (Arabia Saudita in testa) a destabilizzare il governo, negando ogni dialogo.
STATE FORSE INDICANDO AI BOMBARDIERI DELLA NATO IL PROSSIMO OBIETTIVO?
Vi ricordiamo che tutte le guerre e le aggressioni precedenti sono state precedute da bugie palesi (armi di distruzione di massa di Saddam, massacro di 10.000 civili libici mai avvenuto con relative false immagini di fosse comuni, ecc.) e giustificate con la retorica dei "diritti umani" violati.
VI CHIEDIAMO: VI RISULTA CHE LE CONDIZIONI MORALI E MATERIALI DEI CIVILI DELL’IRAQ, DELLA SOMALIA, DELL’AFGHANISTAN, DEL KOSSOVO, ED OGGI DELLA LIBIA SIANO MIGLIORATE DOPO GLI INTERVENTI ARMATI "UMANITARI" OCCIDENTALI? L’UNICO RISULTATO SONO STATI MILIONI DI MORTI E DI PROFUGHI, GUERRA CIVILE, DISASTRO UMANITARIO, CROLLO DI TUTTE LE CONDIZIONI DI VITA.
Ed ora le popolazioni delle città libiche di Sirte, Bani Walid e Sabha rischiano di essere massacrate dagli insorti, sotto l’egida di una operazione ONU approvata "per proteggere i civili" e con il silenzio-assenso vostro e di chi vi sostiene.
IN QUESTE CONDIZIONI LA "MARCIA DELLA PACE"
DIVENTA UN SEPOLCRO IMBIANCATO.
Questi sono i motivi per cui non aderiamo alla marcia in quanto associazioni. Non avalliamo iniziative rituali ed istituzionali, ma continueremo con le nostre iniziative concrete a favore di un cessate il fuoco e di un dialogo tra le parti in Libia, come in Siria.
Rete NoWar - Roma Citizens against War - Rome
Per ulteriori chiarimenti:
Vincenzo Brandi brandienzo@libero.it Patrick Boylan patrick@boylan.it