[...] ...Atlanta: l’arcivescovo ha un figlio
La famiglia dell’arcivescovo Earl Paulk, alla fine, ha dovuto ammettere tutto pubblicamente, sconvolgendo così tutta la comunità di fedeli. Il 34enne D.E. Paulk, conosciuto da tutti come il nipote del ministro, in realtà è suo figlio. [...] L’ex nipote ora figlio, che ha scoperto la verità solo ora, ha dichiarato che tutta la vicenda "è stato un male necessario per riportare tutti noi nelle braccia del Signore" [...]
[...] Venti milioni di profilattici saranno distribuiti gratuitamente dal governo brasiliano durante i cinque giorni di Carnevale. Sono quasi il doppio rispetto all’anno scorso, quando ne erano stati messi a disposizione 11 milioni. E nello stato del Pernambuco le donne avranno diritto anche alla ’pillola del giorno dopo’. E’ iniziata oggi la distribuzione di preservativi presso le segreterie della Sanita’ di tutti gli stati brasiliani [...]
Il cardinale Trujillo delegato da Ratzinger a illustrare a capi di stato e leader politici la dottrina cattolica
"Inviato del Papa contro l’aborto chiederò al mondo una moratoria"
La moratoria. La Chiesa condanna la pena di morte; a maggior ragione ricorda che è peccato uccidere bimbi mai nati. É una pena capitale inflitta a innocenti indifesi
di ORAZIO LA ROCCA (la Repubblica, 24.01.2008).
CITTÀ DEL VATICANO - Una campagna internazionale contro l’aborto pianificata dal Vaticano con la «benedizione» di papa Ratzinger. Sarà promossa dal pontificio Consiglio per la Famiglia il cui presidente, il cardinale Alfonso Lopez Trujillo, è stato delegato da Benedetto XVI a illustrare a capi di Stato, leader politici e istituzioni culturali la dottrina cattolica sulla difesa della vita, dal concepimento fino alla morte naturale. Sarà un vero e proprio tour mondiale antiaborto che il porporato inizierà tra qualche settimana dall’America Latina, per proseguire in Centro America e America del Nord, Canada, Africa, Oriente, Medio Oriente ed Europa. Obiettivo finale: «Arrivare ad una moratoria sull’aborto come quella sulla pena di morte votata dall’Onu», confessa a Repubblica Trujillo, che però non sembra molto sorpreso per le aperture su Chiesa e divorziati risposati fatte nei giorni scorsi dal collega, il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi. «Si tratta - puntualizza - di una pastorale di accoglienza e di misericordia varata oltre 30 anni fa, ma senza che tutto ciò possa portare i divorziati risposati alla comunione».
Eminenza, perché un tour internazionale per la moratoria sull’aborto?
«Perché su questa materia c’è troppa confusione ed il relativo magistero della Chiesa, a partire da fondamentali documenti come l’Evangelium Vitae di papa Giovanni Paolo II o l’Humanae Vitae di Paolo VI, spesso è disatteso proprio da chi si professa cattolico».
Si punterà così a riformare la legge 194 che in Italia legalizzò l’aborto e che fu confermata anche da un referendum?
«La Santa Sede parla a tutti i cattolici di tutto il mondo e ad ogni uomo di buona volontà. Non stiamo parlando di una legge italiana, ma di un dramma che tocca le coscienze di tutti, cioè l’uccisione di un essere innocente nel grembo materno».
Come spiegare il parallelo che lei fa tra la moratoria sulla pena di morte e la moratoria sull’aborto?
«L’aborto è una pena capitale inflitta ad un innocente indifeso. Se la Chiesa - come gli Stati che all’Onu hanno firmato per la moratoria - è contro la condanna a morte, a maggior ragione deve ricordare che è peccato uccidere i bimbi mai nati. I cattolici devono saperlo ed essere coerenti nelle loro azioni. Non vogliamo polemizzare con nessuno, ma solo far conoscere la dottrina cattolica. Incominceremo con l’America Latina, incontrando governi di tutti gli orientamenti politici, anche marxisti e socialisti, perché l’aborto non è un problema solo italiano o europeo, ma mondiale. E la Santa sede vuole debellarlo».
Ma come si fa a vietare l’aborto alle donne violentate?
«Si tratta certamente di drammi enormi e la Chiesa è pronta a fare la sua parte. Ogni uomo deve farsene carico. Si tratta però di drammi che non si risolvono uccidendo un bimbo innocente. Giovanni Paolo II scrisse una storica lettera per implorare le suore violentate a Saraievo durante la recente guerra a portare comunque a fine le loro gravidanze».
E quando una gravidanza mette in pericolo la vita della mamma?
«Non è mai lecito uccidere un innocente. Sempre. Quando la mamma è in pericolo occorre che la società faccia tutto il possibile per salvare lei e il suo bambino. E su questo la moderna medicina ed i progressi della ricerca scientifica hanno fatto passi da gigante. Perché non tenerne conto?».
Nel tour parlerete solo di aborto?
«No, parleremo di tutti gli aspetti legati alla difesa della vita. Anche di procreazione, promuovendo i contributi di 16 scienziati raccolti nel libro "Famiglia e procreazione umana", dove si ricorda, tra l’altro, che procreare non è mera riproduzione; che la famiglia è un bene sociale e che i figli, fin dal primo concepimento, sono persone, non agglomerati biologici».
Crisi Chiese - Notizie
Scandalo ad Atlanta: l’arcivescovo ha un figlio
La famiglia dell’arcivescovo Earl Paulk, alla fine, ha dovuto ammettere tutto pubblicamente, sconvolgendo così tutta la comunità di fedeli. Il 34enne D.E. Paulk, conosciuto da tutti come il nipote del ministro, in realtà è suo figlio.
http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.1701.12
Per anni infatti il pastore ha intrattenuto una relazione segreta con la moglie del fratello, relazione che ha portato alla nascita di un bambino. A rivelarlo è stato lo stesso dal pulpito della Holy Spirit at Chapel Hill Harvester Church, una delle più grandi chiese nei sobborghi di Atlanta.
Non è la prima volta che l’arcivescovo è al centro di uno scandalo a sfondo sessuale, ma questa volta per il pastore le cose potrebbero mettersi male: in ballo, infatti, c’è un’accusa di spergiuro e falsa testimonianza. La verità è venuta a galla grazie a un test di paternità imposto da un giudice della contea di Cobb che sta appunto indagando sul ministro. Paulk è infatti accusato di aver mentito mentre era sotto giuramento durante un’udienza che lo vedeva imputato proprio assieme al fratello. L’ex impiegata della chiesa Mona Brewer aveva accusato il sacerdote di averla plagiata per ottenere in cambio favori di natura sessuale dal 1989 al 2003, sostenendo che facessero parte del percorso verso la salvezza eterna. Lo scorso gennaio Paulk ha ammesso la relazione, negando invece quella con la cognata.
L’ex nipote ora figlio, che ha scoperto la verità solo ora, ha dichiarato che tutta la vicenda "è stato un male necessario per riportare tutti noi nelle braccia del Signore".
* Il dialogo, Giovedì, 24 gennaio 2008
Provocatoria proposta dell’associazione "Libertà e Giustizia" dopo le recenti parole del Papa
"Ogni giorno l’Aids uccide 8 mila persone che potrebbero essere salvate dal condom"
"Moratoria sull’aborto? Inizi la Chiesa
con quella sul divieto ai preservativi" *
ROMA - Ottomila persone muoiono ogni giorno nel mondo per colpa dell’Aids. Molte potrebbero essere però salvate attraverso l’incremento nella diffusione e nell’utilizzo dei preservativi. Per questo motivo, se la Chiesa cattolica ha davvero a cuore la tutela della vita in tutte le sue forme, come ha ribadito il Pontefice chiedendo un giro di vite alle legislazioni sull’aborto, la Santa Sede deve consentire una moratoria del divieto all’uso del profilattico, contribuendo a salvare uomini, donne e bambini dal contagio.
Ad avanzare la provocatoria proposta è il movimento Libertà e Giustizia presieduto da Sandra Bonsanti. "All’indomani dell’intervento del Papa che ha sottolineato il ’carattere sacro della vita umana’, collegandolo alla moratoria Onu sulla pena di morte, LeG segue con interesse il dibattito sulla 194 - recita una nota sul sito dell’associazione - affidando agli uomini di scienza il compito di stabilire se la medicina abbia fatto progressi tali da aprire la discussione sullo spostamento dei limiti di tempo per effettuare aborti terapeutici". "Ma - si legge ancora - sottolinea che l’aborto previsto dalla 194 non è un omicidio, trattandosi di una scelta sempre drammatica, spesso obbligata e che è inaccettabile l’equazione moratoria contro la pena di morte uguale a moratoria contro l’aborto".
Libertà e Giustizia introduce quindi il parallelo con la piaga dell’Aids. "LeG ricorda i 40 milioni di persone infettate dal virus Hiv nel 2007 e il fatto che la Chiesa cattolica si oppone da sempre all’uso dei preservativi - afferma ancora l’editoriale - persino nei contesti in cui essi sono indispensabili per evitare il contagio".
"Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, riferiti al 2007 - afferma ancora l’associazione - sono già 40 milioni le persone infettate dal virus, 8 mila i morti al giorno e 1500 i bambini che contraggono quotidianamente l’Aids. La Chiesa non ha mai revocato quel divieto". Per questo, "LeG chiede che la Chiesa cattolica consenta una moratoria del divieto all’uso del preservativo, per contribuire a salvare uomini, donne e bambini dal contagio Aids, nel rispetto del "carattere sacro della vita umana".
* la Repubblica, 9 gennaio 2008.
Ansa :: 24 gennaio 2008
Brasile: governo distribuisce gratis 20 milioni di profilattici
Per le donne anche la pillola del giorno dopo (ANSA) -
BRASILIA, 24 GEN - Venti milioni di profilattici saranno distribuiti gratuitamente dal governo brasiliano durante i cinque giorni di Carnevale. Sono quasi il doppio rispetto all’anno scorso, quando ne erano stati messi a disposizione 11 milioni. E nello stato del Pernambuco le donne avranno diritto anche alla ’pillola del giorno dopo’. E’ iniziata oggi la distribuzione di preservativi presso le segreterie della Sanita’ di tutti gli stati brasiliani.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La moratoria sull’aborto ultima violenza alle donne
di Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 27 gennaio 20089
In una concezione non dogmatica ma (auto)critica della democrazia, quale è propria di ogni spirito laico, nessuna decisione presa è, per ciò stesso, indiscutibile. Il rifiuto della ri-discussione è per ciò stesso una posizione dogmatica, che può nascondere un eccesso o un difetto di sicurezza circa le proprie buone ragioni. Questo, in linea di principio, riguarda dunque anche la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, "la 194", che pur ha dalla sua due sentenze della Corte costituzionale e un referendum popolare.
Ma una discussione costruttiva e, mi sia permesso dire, onesta è il contrario delle parole d’ordine a effetto, che fanno confusione, servono per "crociate" che finiscono per mettere le persone le une contro le altre. Lo slogan "moratoria dell’aborto", stabilendo una "stringente analogia" (cardinal Bagnasco alla Cei, il 21 gennaio) tra pena di morte e aborto, accomunati come assassinii legali, ha sì riaperto il problema, ma in modo tale da riaprire anche uno scontro sociale e culturale che vedrebbe, nientemeno, schierati i fautori della vita contro i fautori della morte: i primi, paladini dei valori cristiani; i secondi, intossicati dal famigerato relativismo etico. Insomma, alle solite, un nuovo fronte di quello "scontro di civiltà" che, molti insofferenti della difficile tolleranza, mentre dicono di paventarlo, lo auspicano.
Siamo di fronte, come si è detto, a una "iniziativa amica delle donne"? Vediamo. La questione aborto è un intreccio di violenze. Innanzitutto, indubitabilmente, la violenza sull’essere umano in formazione, privato del diritto alla vita.
Ma, in numerose circostanze, ci può essere violenza nella gravidanza stessa, questa volta contro la donna, quando la salute ne sia minacciata, non solo nel corpo ma anche nella mente, da sentimenti di colpa o di sopraffazione, solitudine, indigenza, abbandono. La donna incinta, nelle condizioni normali, è l’orgoglio, onorato e protetto, della società di cui è parte; ma, nelle situazioni anormali, può diventarne la vergogna, il peso o la pietra dello scandalo, scartata e male o punto tollerata. D’altra parte, non solo la gravidanza, ma l’aborto stesso, percepito come via d’uscita da situazioni di necessità senza altro sbocco, si traduce in violenza anche verso la donna, costretta a privarsi del suo diritto alla maternità. C’è poi un potenziale di somma violenza nella capacità limitata delle società umane ad accogliere nuovi nati. La naturale finitezza della terra e delle sue risorse sta contro la pressione demografica crescente e la durata della vita umana. L’iniqua ripartizione dei beni della terra tra i popoli, poi, induce soprattutto le nazioni più povere a politiche pubbliche di limitazione della natalità che si avvalgono, come loro mezzo, dell’aborto.
Violenze su violenze d’ogni origine, dunque: violenza della natura sulle società; delle società sulla donna; della donna su se stessa e sull’essere indifeso ch’essa porta in sé. E’ certamente una tragica condizione quella in cui il concepimento di un essere umano porta con sé un tale potenziale di violenza. Noi forse comprendiamo così il senso profondo della maledizione di Dio: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze» (Gen. 3, 22). Si potrebbe dire che l’aborto, nella maggior parte dei casi, è violenza di deboli su più deboli, provocata da una violenza anteriore. Ma questa è la condizione umana, fino a quando essa patisce la crudeltà della natura e l’ingiustizia della società; una condizione che nessuna minaccia di pene anche severissime, con riguardo all’ultimo anello della catena, quello che unisce la donna al concepito, ha mai potuto cambiare, ma ha sempre e solo sospinto nella clandestinità, con un ulteriore carico di umiliazione e violenza, fisica e morale.
In questo quadro, che molte donne conoscono bene, che cosa significa la parola moratoria? Dove si inserirebbe, in questa catena di violenza? La domanda è capitale per capire di che cosa parliamo.
Una cosa è chiedere alle Nazioni Unite di condannare i Paesi che usano l’aborto come strumento di controllo demografico e di selezione "di genere". Un celebre scritto del premio Nobel Amartya Sen, pubblicato sulla New York Review of Books del 1991, ha richiamato l’attenzione sul fatto che «più di 100 milioni di donne mancano all’appello». Si mostrava lo squilibrio esistente e crescente tra maschi e femmine in Paesi come l’India e la Cina (ma la questione riguarda tutto l’estremo Oriente: quasi la metà degli abitanti del pianeta). Si prevede, ad esempio, che in Cina, nel 2030, l’eccesso di uomini sul "mercato matrimoniale" potrebbe raggiungere il 20%, con drammatiche conseguenze sociali. Le ragioni sono economiche, sociali e culturali molto profonde, radicate e differenziate. Le cause immediate, però, sono l’aborto selettivo e l’infanticidio a danno delle bambine, oltre che l’abbandono nei primi anni di vita. In quanto, però, vi siano politiche pubbliche di incentivazione o, addirittura, di imposizione, la richiesta di "moratoria" ha certamente un senso. Si interromperebbe la catena della violenza al livello della cosiddetta bio-politica, con effetti liberatori.
E diverso, in riferimento alle società dove l’aborto non è imposto, ma è, sotto certe condizioni, ammesso. "Moratoria" non può significare che divieto. Per noi, sarebbe un tornare a prima del 1975, quando la donna che abortiva lo faceva illegalmente, e dunque clandestinamente, rischiando severe sanzioni. Questo esito, per ora, non è dichiarato. I tempi paiono non consentirlo. Ci si limita a chiedere la "revisione" della legge che "regola" l’aborto. Ma l’obbiettivo è quello, come la "stringente analogia" con l’abolizione della pena di morte mostra e come del resto dice il card. Bagnasco: «Non ci può mai essere alcuna legge giusta che regoli l’aborto».
Qual è il punto della catena di violenza che la "moratoria" mira a colpire? E’ l’ultimo: quello che drammaticamente mette a tu per tu la donna e il concepito. Isolando il dramma dal contesto di tutte le altre violenze, è facile dire: l’inerme, il fragile, l’incolpevole deve essere protetto dalla legge, contro l’arbitrio del più forte. Ma la donna, a sua volta, è soggetto debole rispetto a tante altre violenze psicofisiche, morali, sociali, economiche, incombenti su di lei. La legge che vietasse l’aborto finirebbe per caricarla integralmente dell’intero peso della violenza di cui la società è intrisa: un peso in molti casi schiacciante, giustificabile solo agli occhi di chi concepisce la maternità come preminente funzione biologico-sociale che ha nell’apparato riproduttivo della donna il suo organo: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze», appunto. Si comprende, così, che la questione dell’aborto ha sullo sfondo la concezione primaria delle donne come persone oppure come strumenti di riproduzione. E si comprende altresì la ribellione femminile a questa visione della loro sessualità come ufficio sociale.
«La condizione della donna gestante è del tutto particolare» e non è giusto gravarla di tanto peso, ha detto la Corte costituzionale in una sua sentenza del 1975, la n. 27. Convivono due soggetti, l’uno dipendente dall’altro, entrambi titolari di diritti, potenzialmente in contraddizione: tragicamente, la donna può diventare nemica del concepito; il concepito, della donna. Da un lato, sta la tutela del concepito fondata sul riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo, «sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie», trattandosi di chi «persona deve ancora diventare». Dall’altro, sta il diritto all’esistenza e alla salute della donna, che «è già persona». Il riconoscimento pieno del diritto di uno si traduce necessariamente nella negazione del diritto dell’altro. Per questo, è incostituzionale l’obbligo giuridico di portare a termine la gravidanza, "costi quel che costi"; ma, per il verso opposto, è incostituzionale anche la pura e semplice volontà della donna, cioè il suo "diritto potestativo" sul concepito (sent. n. 35 del 1997). Si sono cercate soluzioni, per così dire, intermedie, ed è ciò che ha fatto "la 194", prevedendo assistenza sanitaria, limiti di tempo, ipotesi specifiche (stupro o malformazioni) e procedure presso centri ad hoc che accompagnano la donna nella sua decisione: una decisione che, a parte casi particolari (ragazze minorenni), è sua. La donna, dunque, alla fine, è sola di fronte al concepito e, secondo le circostanze, può essere tragicamente contro di lui. Qui, una mediazione tra i due diritti in conflitto (della donna e del concepito) non è più possibile: aut aut.
Le posizioni di principio sono incompatibili, oggi si dice "non negoziabili": l’autodeterminazione della donna contro l’imposizione dello Stato; la procreazione come evento di rilevanza principalmente privata o principalmente pubblica; la concezione del feto come soggetto non ancora formato o come persona umana in formazione; la legge come strumento di mitigazione dei disastri sociali (l’aborto clandestino) o come testimonianza di una visione morale della vita. Alla fine, il vero contrasto è tra una concezione della società incentrata sui suoi componenti, i loro diritti e le loro responsabilità, e un’altra concezione incentrata sull’organismo sociale, i cui componenti sono organi gravati di doveri, anche estremi. Si vede il dissidio, per così dire, allo stato puro nel caso della scelta tra la vita della madre e quella del feto, quando non possibile salvare e l’una e l’altra: la sensibilità non cattolica più diffusa dice: prevalga la vita della donna, persona in atto; la morale cattolica dice: prevalga la vita del nascituro, persona solo in potenza.
Secondo le circostanze. Sul terreno delle circostanze, a differenza di quello dei principi, è possibile lavorare pragmaticamente per ridurre, nei limiti del possibile, le violenze generatrici di aborto. Educazione sessuale, per prevenire le gravidanze che non si potranno poi sostenere; giustizia sociale, per assicurare alle giovani coppie la tranquillità verso un avvenire in cui la nascita d’un figlio non sia un dramma; occupazione e stabilità nel lavoro, per evitare alla donna il ricatto del licenziamento; servizi sociali e sostegni economici a favore della libertà dei genitori indigenti. Dalla mancanza di tutto questo dipende l’aborto "di necessità", che - si dirà - è però una parte soltanto del problema. Ma l’altra parte, l’aborto "per leggerezza", troverà comunque le sue vie di fatto per chi ha i mezzi di procurarselo, indipendentemente dalla legge. In ogni caso, non è accettabile che di necessità e leggerezza si faccia un unico fascio a danno dei più deboli, spinti dalla necessità, e li si metta sotto la cappa inquisitoriale della criminalizzazione e delle intimidazioni morali, come l’equiparazione dell’aborto all’omicidio e della donna all’omicida. La sorte dei concepiti non voluti si consumerà ugualmente, nel confort delle cliniche private o nella solitudine, nell’umiliazione e nel rischio per l’incolumità. L’esito del referendum del 1981 che, a grande maggioranza (il 68 %) ha confermato "la 194", dipese di certo dal ricordo ancora vivo di ciò che era stato l’aborto clandestino. Ci si può augurare che non se ne debba rifare l’esperienza, per ravvivare il ricordo.
Una moratoria sulla contraccezione
di Massimo Livi Bacci (la Repubblica, 24.01.2008)
Nei primi decenni dell’Ottocento, molti parroci francesi si resero conto che le nascite annotate nei loro registri diminuivano di anno in anno, nonostante non ci fosse alcun calo dei matrimoni. Alcuni di loro interrogarono le gerarchie, e queste la Penitenzieria romana, circa il comportamento del confessore verso le coppie che in buona fede «usassero del matrimonio per fini diversi dalla procreazione», o «commettessero il peccato di Onan» per evitare una gravidanza. Le risposte furono all’inizio ispirate alla tolleranza, nella tradizione di Sant’Alfonso de’ Liguori: «Circa poi i peccati dei coniugi riguardo al debito coniugale, di norma il confessore non è tenuto - né sarebbe conveniente - ad interrogare se non le mogli; e nel modo più riservato possibile, domandando per esempio se siano state obbedienti al marito in tutto. Sul resto si taccia, a meno che non sia interrogato». Insomma, si entri il meno possibile nelle questioni private: del resto il matrimonio è anche remedium concupiscientiae, e se la moglie asseconda il marito in comportamenti sessuali volti ad evitare una gravidanza, questo atto può evitare mali peggiori e non è quindi sanzionabile.
Questa posizione evasiva e tollerante venne abbandonata dal Sant’Uffizio a metà del secolo, che la considerò erronea e condannabile. È tuttavia solo nel 1930 che l’esplicita condanna del controllo delle nascite viene affermata da un Papa: nella Casti Connubi Pio XI scrisse che solo «l’onesta continenza» degli sposi è ammessa, ma «non vi può essere ragione alcuna, sia pure gravissima, a rendere conforme ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniuge è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questa conseguenza, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta». La posizione della Chiesa è sempre quella, salvo l’avere esplicitamente ammesso il cosiddetto «metodo naturale di controllo» basato sui giorni infecondi del ciclo.
Eppure, col Pontificato di Giovanni XXIII, si era andati assai vicini ad uno storico cambio di strada. Nel 1963, pochi mesi prima della conclusione della prima sessione del Concilio Vaticano Secondo, il Papa costituì la Commissione Pontificia di Studio su Popolazione e Famiglia; preminente nell’agenda della Commissione era il tema della liceità del controllo delle nascite, in un mondo assai cambiato dalla turbinosa crescita demografica. La Commissione - composta da teologi, biologi, medici, demografi, psicologi ed attivisti - tenne cinque sessioni di lavoro tra il 1963 e il 1966. Nell’ultima, lunga e decisiva sessione, fu integrata da 16 cardinali e vescovi (tra i quali Karol Wojtyla, che però non partecipò ai lavori) ai quali venne demandata l’approvazione finale del documento, che ottenne nonostante la presenza di una maggioranza ritenuta conservatrice (c’era il Cardinale Ottaviani, presidente del Sant’Uffizio).
Il documento era nel solco dell’insegnamento della Chiesa, riaffermava la condanna dell’aborto e della sterilizzazione, i principi della genitorialità responsabile «secondo i quali le coppie debbono esprimere un giudizio di coscienza di fronte a Dio circa il numero dei figli da avere e da educare». La regolazione dei concepimenti «appare necessaria per molte coppie che vogliono essere genitori responsabili, aperti e ragionevoli nelle circostanze di oggi. Se debbono osservare e coltivare tutte le essenziali virtù del matrimonio, i coniugi necessitano dignitosi ed umani mezzi di regolazione dei concepimenti». Nella scelta dei mezzi occorre tenere in conto molti aspetti biologici e psicologici, e soprattutto la dignità degli sposi e perciò «...non arbitrariamente, ma come la legge di natura e di Dio comanda, lasciamo che le coppie giudichino in modo oggettivamente fondato, considerando i vari criteri...Bene istruiti e prudentemente educati come Cristiani, essi prudentemente e serenamente giudicheranno che cosa è veramente giusto per la coppia e per i figli...».
L’autorevolissimo documento passò all’attenzione di Papa Montini. Si trattava di una vera svolta nella sofferta storia della dottrina della Chiesa su sessualità e procreazione. Ma Paolo VI preferì restare nel solco diritto della tradizione, e la Humanae Vitae, due anni dopo, ribadì la condanna della contraccezione. A quarant’anni dall’Enciclica, mentre la stragrande maggioranza dei cattolici pratica la contraccezione e il sensus fidelium la dà per scontata, la situazione non è cambiata. Né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI hanno compiuto il passo che i fedeli cattolici si sono oramai stancati di attendere.
Ma si rifletta. Ogni anno c’è una quota di gravidanze - pari a circa un quinto delle nascite secondo serie e fondate indagini - che le madri, ed i padri, non erano pronti ad avere, o non volevano in assoluto (praticavano contraccezione al momento del concepimento), ma che sono arrivate a termine. Sommando questa quota ai 130.000 aborti, possiamo dire che circa una gravidanza su tre giunge senza che la coppia, o la madre, l’abbia desiderata e voluta. Questa stima è coerente con analoghe valutazioni riguardanti la Francia. E allora: cosa fare, per diminuire la quota delle gravidanze non volute e quindi abbassare il rischio di aborto? Come evitare che una gravidanza giunga in un momento difficile, o di crisi, della vita di coppia, o della donna? Come agire perché una quota crescente delle gravidanze avvenga per scelta, e non per caso o per errore? Non sarebbe utile far sì che la conoscenza del proprio corpo e dei processi riproduttivi - una proporzione elevata di giovani donne non conosce bene la fisiologia della riproduzione - divenga elementare cultura di ogni adolescente? Ecco quel che ci vuole: una "moratoria sulla contraccezione", da liberare da tabù e divieti.
Ansa» 2008-02-03 13:09
ABORTO: PAPA, VITA DEVE ESSERE DIFESA, SPECIE SE FRAGILE
CITTA’ DEL VATICANO, 3 FEB - La vita deve essere essere "tutelata" e "servita" sempre ,"ancora più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale": è quanto ha riaffermato Papa Benedetto XVI, prima della tradizione preghiera dell’Angelus in Piazza San Pietro. Il nuovo appello di Ratzinger contro l’aborto e l’eutanasia ha preso spunto dalla "Giornata per la Vita", promossa dalla Conferenza episcopale italiana, che si celebra oggi in tutte le parrocchie del Paese.
"Saluto e ringrazio quanti sono convenuti qui, in piazza San Pietro - ha detto Ratzinger - per testimoniare il loro impegno a difesa e promozione della vita e per ribadire che ’la civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita’ ". "’Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze - ha aggiunto - si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. E’ infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale". Benedetto XVI si è unito ai vescovi italiani "nell’incoraggiare quanti, con fatica ma con gioia, senza clamori e con grande dedizione assistono familiari anziani o disabili, e a coloro che consacrano regolarmente parte del proprio tempo per aiutare quelle persone di ogni età la cui vita è provata da tante e diverse forme di povertà". La Giornata della Vita, promossa dall’episcopato italiano, è giunta alla sua trentesima edizione. Nel messaggio di convocazione, la Cei aveva sottolineato come "la civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita", parole oggi citate dal pontefice.
Il Papa ringrazia i medici romani per il manifesto anti-aborto
«Rianimare feti anche contro la madre» *
Non c’è un riferimento esplicito al manifesto dei neonatologi cattolici di Roma ma domenica all’Angelus papa Benedetto XVI rincara l’invettiva contro l’aborto. È del resto la 30° Giornata della Vita per la Chiesa Cattolica romana. E così, arriva l’appello a «tutelare e promuovere» la vita umana «sia prima della nascita che nella sua fase terminale». E diretto anche se annoverato in un richiamo generico arriva anche il ringraziamento a tutti quelli che « secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze - ammonisce il Pontefice - si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto». E il documento reso pubblico alla vigilia della Giornata cattolica per la Vita più il richiamo antiabortista del Papa danno, come al solito, spazio a alcuni politici dell’Udc, da Cesa a Buttiglione, per applaudire e schierarsi nel codazzo.
Ma cosa avevano detto i neonatologi antiabortisti di alcune università come La Sapienza, Tor Vergata, La Cattolica e il Campus Biomedico? Avevano detto che nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, il medico neonatologo deve intervenire per rianimarlo, «anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato». A sostenerlo in particolare è Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia dell’università di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento condiviso dalle università romane di medicina secondo cui va rianimato qualsiasi prematuro che mostri segni di vitalità.
«Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente». È quanto viene affermato in un documento approvato ieri dai direttori delle cliniche ginecologiche delle facoltà di medicina delle università romane, Tor Vergata, La Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico.
Il documento è stato discusso nel corso del convegno al Fatebenefratelli dedicato alla giornata della vita in relazione alla prematurità estrema. «Con il momento della nascita la legge - afferma il documento - attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell’unità ed i genitori». Tuttavia, sostengono i firmatari, «se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico». Il documento si riallaccia alle problematiche emerse in questi ultimi mesi circa i limiti dell’aborto in relazione all’avanzamento delle tecniche rianimatorie e di sopravvivenza del feto. Alcune preoccupazioni erano state espresse dai vescovi italiani, mentre le società scientifiche dei neonatologi hanno prodotto diverse linee guida per adeguare gli interventi. «Nell’immediatezza della nascita - ha spiegato Cinzia Caporale, componente del Cnb - il medico deve agire in scienza e coscienza sulla opzione di rianimare, indipendentemente dai genitori, a meno che non si palesi un caso di accanimento terapeutico». Secondo Caporale il medico deve quindi rianimare sempre, decidendo caso per caso.
Nell’ipotesi in cui il feto sopravviva all’aborto «non ritengo necessario chiedere il consenso della madre. In questo caso infatti si esercita un’opzione di garanzia con cui si tutela un individuo fragile e vulnerabile, qual è il neonato, in un fase in cui non si hanno certezze cliniche». Una volta che però la rianimazione ha avuto inizio e la situazione clinica evolve in modo sfavorevole, «con mezzi di cura troppo onerosi rispetto ai risultati che si possono ottenere non c’è l’obbligo di cura, ma è anzi doveroso moralmente sospendere la terapia». Nicola Colacurci, dell’Università di Napoli, ricorda come il problema della rianimazione dei feti prematuri sia «stato ampiamente discusso, e non siamo mai riusciti a elaborare un documento condiviso. Anche perché la legislazione italiana è pazzesca, con due leggi, la 40 e la 194, in contraddizione tra loro. Servirebbe chiarezza». Di fatto si potrebbe creare il paradosso di una legge che con una mano consente alla madre di abortire entro un certo termine, e con l’altra obbliga il neonatologo a intervenire sul feto. Per questo, spiega Colacurci, «ci vorrebbe una legge che fissi il limite temporale oltre il quale intervenire sul feto. 18, 20, 22 settimane? È lo stato che deve dirci come intervenire, non si può ogni volta, come è successo spesso, correre il rischio di venire denunciati per omissione di soccorso».
Nella Giornata della Vita parla anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi dice espressamente di non voler fare «un rimprovero, una denuncia, un’accusa alla società civile». Il suo è un invito e testimoniare ogni giorno che la vita è un dono sempre e comunque e che per ciò va difesa, sostenuta e aiutata seguendo l’esempio di Gesù che per la vita ha donato tutto se stesso. Bisogna cercare di fare «un’azione concertata» a cui collaborano singole persone, istituzioni e risorse, bisogna saper offrire gesti di ascolto, di accompagnamento di vicinanza, ma sempre «in termini delicati - sottolinea l’arcivescovo di Milano -, rispettosi e insieme credibili e forti affinchè situazioni problematiche o negative di una vita, in particolare nascente, minacciata di essere soppressa possano ricevere una risposta coerente al vero e al bene di ogni persona, soprattutto nelle situazioni più disperate». Il cardinale non ignora il «dibattito sui più diversi problemi della vita umana, sotto l’incalzare inarrestabile delle scoperte scientifiche e delle applicazioni tecnologiche e sotto il peso schiacciante delle questioni politico legislative, delle condizioni sociali precarie di vita di persone e famiglie, dei poteri forti e dei grandi interessi economici». Si tratta di elementi che rendono «più acuta, anzi fondamentale e decisiva - prosegue - la problematica etica della vita umana, soprattutto ai suoi inizi e prima della nascita come pure al suo epilogo». Ma l’arcivescovo non parla mai esplicitamente della legge 194. Pone una sola domanda ai cristiani: «In questo campo abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, tutto quello che dovevamo fare?». «È un esame di coscienza - conclude - che si impone, non per una facile o falsa auto assoluzione, ma per un salto di qualità, un impegno rinnovato e deciso a fare di più e meglio».
* l’Unità, Pubblicato il: 03.02.08, Modificato il: 03.02.08 alle ore 14.35