COSTITUZIONE ED EDUCAZIONE CIVICA. Crisi dei fondamenti di una civiltà....

IL SUONO E LA VOCE: CONSAPEVOLEZZA CULTURALE, EDUCAZIONE MUSICALE E FORMAZIONE. CHI NON SA ASCOLTARSI QUANDO PARLA O SUONA, PARLA O SUONA SENZA L’ASCOLTO DI NESSUNO, NEMMENO DI SE STESSO. Una nota sugli Atti di un convegno internazionale del 2005 (pubblicati nel 2008) del prof. Paolo Gallarati - con un "appunto" di Federico La Sala

Pierre Boulez ha dichiarato di aver migliorato enormemente la propria capacità di direttore d’orchestra nel momento in cui ha imparato ad ascoltarsi mentre dirigeva.
martedì 22 luglio 2008.
 

Se la musica tornasse a scuola

di PAOLO GALLARATI (La Stampa, 20/07/2008)

Sale negli ambienti scolastici un’esigenza condivisibile da tutti coloro che hanno un minimo di consapevolezza culturale: quella dell’educazione musicale. Con il crollo delle barriere opposte per decenni dalla cultura idealistica ai linguaggi dell’espressione non verbale, la musica viene oggi sentita come un’insostituibile ingrediente nella formazione dell’individuo. La scuola italiana, tuttavia, è ancora impreparata al compito.

Per questo il ministero della Pubblica Istruzione ha costituito il «Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica nelle scuole di ogni ordine e grado» presieduto da Luigi Berlinguer. Ma le idee sembrano essere ancora confuse. Per chiarirle, l’Università di Bologna ha organizzato un convegno su la «Musica tra conoscere e fare», e un grosso volume sull’argomento è appena uscito da Franco Angeli (Educazione musicale e formazione, a cura di Giuseppina La Face Bianconi e Franco Frabboni).

Il nodo da risolvere è: che cosa vuol dire apprendimento pratico della musica? Il timore è che chi gestisce il Comitato lo intenda solamente come pratica del canto corale e apprendimento di uno strumento, oppure come una non meglio precisata «creatività» musicale, espressione di spontaneismo e allegra forma di socializzazione. Il timore è che si voglia escludere dall’apprendimento della musica ciò che la rende un’arte largamente condivisa e che potrebbe alimentare, tra i giovani, la crescita del pubblico di opere e concerti: una corretta educazione all’ascolto.

Di antinomie il nostro Paese si nutre quotidianamente: contrapposizioni ideologiche sono all’ordine del giorno e impediscono, sovente, mediazioni e fruttuosi compromessi. Eccone un’altra: la pratica musicale come fatto positivo, che sviluppa sensibilità e ingegno, è contrapposta all’ascolto inteso come atteggiamento passivo e quindi negativo.

Ma come è possibile suonare bene se non si sa ascoltare? Pierre Boulez ha dichiarato di aver migliorato enormemente la propria capacità di direttore d’orchestra nel momento in cui ha imparato ad ascoltarsi mentre dirigeva. Lo straniamento da se stessi e dal suono che si produce è la condizione primaria per giudicarlo, migliorarlo, affinare l’esecuzione nel suo complesso.

Come si potrebbe imparare a dipingere senza saper guardare? Sempre più la musica, a mano a mano che è cresciuta la sua complessità tecnica, ha trasmesso il proprio messaggio attraverso i canali dell’ascolto. Nel nostro mondo la musica arreda ogni ambiente: bar, ristoranti, negozi, luoghi pubblici.

La si ascolta? No, la si sente, distrattamente, come sfondo. Stiamo perdendo, così, la consapevolezza che esiste la possibilità di ascoltare, tendendo le orecchie con attenzione, per scoprire come la musica appaia dal silenzio e ci riveli la sua avventura. Per questo esistono le sale da concerto: ricostruire il silenzio.

L’ascolto è rivelazione, non solo dei suoni ma di tutto ciò che l’arte dei suoni trasmette: sensazioni, sentimenti, pensieri. Saper ascoltare significa cogliere la musica nella sua bellezza e comprenderla come espressione e come costruzione, rappresentazione e calcolo, patrimonio di immagini e di pensieri, di storia e di cultura.

Saper ascoltare significa imparare a sentire per sfumature e ragionare per forme, con tutte le prevedibili conseguenze che questo ha sulla formazione dell’individuo. Staccare l’ascolto dalla pratica musicale significa ridurre quest’ultima a semplice esercizio muscolare, soffocandone il principio essenziale che è quello, straordinario, di usare il corpo come strumento del pensiero e di trasformare il pensiero in un’espressione fisica.

Dietro l’antinomia tra pratica e ascolto ce n’è un’altra di tipo istituzionale: quella che, attraverso una maldestra riforma, ha reso completamente incomunicanti le Università e i Conservatori, impedendo che, dall’incrocio delle reciproche competenze, i giovani continuassero a godere di una formazione musicale completa. Ripensare tutto questo è quindi essenziale per un Paese che ha nella propria tradizione musicale uno dei suoi beni culturali più preziosi, conosciuti e amati in tutto il mondo.


Caro Prof...

ho letto il Suo interessante art. su “La Stampa” di oggi, 20.07.2008.

Ma - me la consenta un po’ di “ironia” - in che anno è stato scritto?!!!

SE LA MUSICA TORNASSE A SCUOLA......

MA IN QUALE STATO?! E in quale anno?!

Non ha visto e sentito che in Italia siamo nell’anno primo dell’era caimanica?!

NON HA ASCOLTATO “L’ULTIMA NOTIZIA”?!

Non ha letto delle “ultime novità” e non ha visto il CALENDARIO DEL NUOVO ANNO SCOLASTICO?!

Non me ne voglia!!!

Con tutta la mia personale stima

M. cordialmente,

Federico La Sala


Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

PIERRE BOULEZ (Wikipedia)

RILEGGERE SAUSSURE. UN "TRATTATO TEOLOGICO-POLITICO" RIDOTTO A UN BANALE "CORSO DI LINGUISTICA GENERALE"!!!


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