IN ITALIA L’UNICO LEGITTIMO PRESIDENTE DEGNO DI GRIDARE "FORZA ITALIA" E’ IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO. Chi lo ha fatto e continua a farlo illegalmente ("istituzionalmente") è solo un mentitore e un golpista!!!
"NON MI SENTO ITALIANO"
BUFERA SUL CINEFORUM
APPELLO ALLA GELMINI: "TITOLO OFFENSIVO"
Questo il titolo dell’articolo, in la Repubblica/Milano di oggi, sabato 19 settembre 2009, pagina IX, di Franco Vanni.
Nella circolare che presenta l’iniziativa si legge:
"Il cineforum di quest’anno si propone una rassegna incentrata sulla maleducazione civica degli italiani".
PIENA TOTALE APPROVAZIONE DEL PROGETTO E MASSIMA SOLIDARIETA’
Per la redazione
Federico La Sala
Aule aperte dall’8 settembre
ecco le tappe del prossimo anno
di SALVO INTRAVAIA *
Pronta la mappa dei rientri a scuola. All’appello manca soltanto il Molise, che non ha ancora ufficializzato le date di inizio dell’anno scolastico e chiusura delle lezioni: per quest’ultima regione si conoscono soltanto date ufficiose. In tutte le parti del Paese i governi regionali hanno deliberato le scadenze principali dell’anno scolastico 2008/2009. In alcuni casi la chiusura delle lezioni è a ridosso della probabile data di inizio della maturità.
Il rientro dalle vacanze. I primi a rientrare a scuola, lunedì 8 settembre, saranno gli alunni lombardi. Due giorni dopo, toccherà a quelli della provincia autonoma di Bolzano. Tutte le altre regioni italiane, ad eccezione della Sicilia e dei ragazzi del superiore laziali (che inizieranno le lezioni il 16 settembre), hanno optato per un più comodo rientro in classe lunedì 15 settembre. Gli alunni siciliani saranno richiamati tra i banchi mercoledì 17 settembre.
La chiusura delle lezioni. E’ decisamente più articolata la tabella che descrive la chiusura dell’anno scolastico. I primi a lasciare la scuola (il 6 giugno) saranno gli alunni di Abruzzo, Calabria ed Emilia Romagna. Seguiti, il 9 giugno, da quelli della provincia autonoma di Trento e del Veneto. Mercoledì 10 giugno potranno congedarsi dalle lezioni gli alunni di ben sette regioni italiane: Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Marche, Puglia, Sardegna e Umbria. Dovranno ancora pazientare qualche ora gli alunni piemontesi (11 giugno) e un paio di giorni (il 12 giugno) quelli di Lazio, Sicilia e Valle d’Aosta. Liguria e Toscana hanno deliberato la chiusura delle lezioni per sabato 13 giugno. Gli ultimi a lasciare le classi saranno gli alunni della Lombardia (lunedì 15 giugno) e della provincia di Bolzano: martedì 16 giugno.
Queste ultime regioni/province metteranno probabilmente nei guai il ministero dell’Istruzione che stabilisce la data di inizio della maturità. La prima prova scritta (che quest’anno si è svolta mercoledì 18 giugno) il prossimo anno dovrebbe cadere mercoledì 17 giugno: appena due giorni dopo la chiusura delle lezioni in Lombardia. Ma le commissioni si riuniscono due giorni prima (lunedì 16 giugno, con ogni probabilità).
Vacanze e "ponti". La pausa natalizia più lunga, con 18 giorni di vacanza, è quella della Campania (20 dicembre/6 gennaio). Le vacanze di Natale prenderanno il via il 22 dicembre in Basilicata, Calabria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia, Toscana e provincia di Trento. Dovranno aspettare ancora un giorni gli alunni di Sardegna e Valle d’Aosta e due giorni (il 24 dicembre) quelli di Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia, Umbria, Veneto e in provincia di Bolzano. In tutte le regioni si rientra in classe mercoledì 7 gennaio.
Le vacanze di Pasqua più "lunghe" saranno in Umbria (6/14 aprile 2009). Entreranno in vacanza il 6 aprile anche gli alunni Lazio e Marche che rientreranno a scuola il 14 aprile. In Puglia si va in vacanza l’8 aprile e nel resto delle regioni il giovedì 9. I primi a rientrare in classe dopo la pausa pasquale saranno gli alunni di Lazio, Marche e della provincia di Bolzano: martedì 14 aprile. Gli alunni delle altre regioni prolungheranno le vacanze di un giorno e chi frequenta le scuole in Abruzzo, Campania, Liguria, Puglia e in provincia di Trento ci si potrà attardare fino al 15 aprile. In Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia e Liguria la regione ha stabilito di concedere il ponte del Primo maggio, con sospensione delle lezioni sabato 2 maggio. In Calabria, Campania e Liguria sarà possibile fare il ponte del 2 giugno: lezioni sospese lunedì primo giugno. Vacanze di Carnevale ufficializzate in Veneto, Valle d’Aosta, Sardegna e Piemonte.
* la Repubblica, 1 luglio 2008.
Sul tema, nel sito (cliccare sulle parole rosse per leggere l’art. che si vuole), si cfr.:
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!: IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana" (Federico La Sala, 2008). **
JONATHAN GOTTSCHALL
L’ISTINTO DI NARRARE
COME LE STORIE CI HANNO RESO UMANI
Traduzione di Giuliana Maria Olivero *
L’uomo passa più tempo immerso in un universo di finzione che nel mondo reale. Nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l’essere umano, lo «storytelling animal». Questo strano comportamento, che ci porta a mettere al centro della nostra esistenza cose che non esistono, è innato e antichissimo. -Ma a che scopo? Jonathan Gottschall studia la narrazione da molti punti di vista e si muove tra biologia, psicologia, neuroscienze e letteratura, appoggiandosi alle ricerche più avanzate, ed evoca i tangibili vantaggi del mondo fantastico. Raccontando storie i bambini imparano a gestire i rapporti sociali; con le fantasie a occhi aperti esploriamo mondi alternativi che sarebbe troppo rischioso vivere in prima persona, ma che risulteranno utilissimi nella vita reale; nei romanzi e nei film cementiamo una morale comune che permette alla società di funzionare.
Il potere universale della finzione è probabilmente la nostra caratteristica più distintiva, il segreto del nostro successo evolutivo, ciò che ha reso l’uomo un animale diverso dagli altri, permettendo a lui solo di vivere contemporaneamente molte vite, accumulare esperienze diverse e costruire il proprio mondo con l’incanto dell’invenzione.
* Scheda editoriale: Bollati Boringhieri, 2018 - 13,00 €, 256 PAGINE
JONATHAN GOTTSCHALL
IL LATO OSCURO DELLE STORIE.
COME LO STORYTELLING CEMENTA LE SOCIETÀ E TALVOLTA LE DISTRUGGE
Traduzione di Giuliana Olivero *
L’essere umano è l’animale che racconta storie. Jonathan Gottschall ha usato questa fortunata metafora in L’istinto di narrare, descrivendo magistralmente quell’ecosistema di finzione narrativa nel quale siamo immersi e che caratterizza in maniera così peculiare la nostra specie. Le storie creano la struttura delle nostre società, fanno vivere a ogni persona migliaia di vite, preparano i bambini alla vita adulta e formano i legami che ci consentono di convivere in pace.
Ma tutto questo ha un lato oscuro che non possiamo più ignorare: le storie potrebbero anche essere la causa della nostra distruzione.
Con questo libro Jonathan Gottschall torna sul tema della narrazione con tutto il bagaglio interdisciplinare delle sue conoscenze, attingendo alla psicologia, alla scienza della comunicazione, alle neuroscienze e alla letteratura per raccontarci fino a che punto le storie siano in grado di influenzare il nostro cervello e le nostre vite. E non sempre per il meglio.
La narrazione ha agito nel corso della storia come collante delle società, certo, ma è anche la forza principale che disgrega le comunità: è il metodo più efficace che abbiamo per manipolare il prossimo eludendo il pensiero razionale. Dietro i più grandi mali della civiltà - il disastro ambientale, la demagogia, il rifiuto irrazionale della scienza, le guerre - c’è sempre una storia che confonde le menti. Le nuove tecnologie amplificano gli effetti delle campagne di disinformazione, e le teorie del complotto e le fake news rendono quasi impossibile distinguere i fatti dalla finzione, per cui la domanda che dobbiamo porci urgentemente è: «come potremo salvare il mondo dalle storie?».
* Scheda editoriale: Bollati Boringhieri, 2022 - 24,00 €, 274 PAGINE
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Scuola
Fermiamo la trasformazione della scuola in impresa
Appello. La scuola ha bisogno di un arricchimento dei programmi disciplinari, di una loro più avanzata e originale cooperazione, di nuovi rapporti tra docenti e alunni. Forze politiche, cittadini e intellettuali dicano un no definitivo a questi ciechi legislatori, che vogliono la scuola come un gigantesco apprendistato senza anima e senza futuro
La scuola italiana ha bisogno di maggiori risorse per rendere sicuri gli edifici che ospitano i nostri ragazzi, servizi più avanzati, per recuperare l’evasione che consegna tanti giovani alla marginalità, talora alla criminalità. La scuola italiana ha bisogno di un arricchimento dei programmi disciplinari, di una loro più avanzata e originale cooperazione, di nuovi rapporti tra docenti e alunni, nuove modalità di insegnamento, in grado di trasformare la classe in una comunità di studio e dialogo.
LA SCUOLA ITALIANA ha bisogno di formare ragazze e ragazzi emotivamente e psicologicamente equilibrati, culturalmente ricchi, consapevoli dei problemi del Pianeta, muniti di sguardo critico sulla società oggi inghiottita entro una bolla pubblicitaria. Ma chi decide il destino della nostra scuola è sordo a questi bisogni irrinunciabili del presente e del futuro. Impone ai nostri ragazzi- ad esempio con l’alternanza scuola-lavoro - un apprendistato per un lavoro che non troveranno, competenze per mansioni che saranno rese obsolete dall’innovazione tecnologica incessante.
EBBENE, dal prossimo giugno maestri e docenti della scuola elementare e media dovranno certificare le competenze dei loro allievi, utilizzando i nuovi modelli nazionali predisposti dal Ministero dell’istruzione. Per i ragazzini delle medie, la scheda di certificazione conterrà una parte dedicata a 8 «competenze europee» redatta dai loro insegnanti e una parte a cura dell’INVALSI.
Per i bambini delle elementari, la scheda di certificazione riferita alle otto competenze europee, riguarda anche quella denominata «spirito di iniziativa e imprenditorialità», che in Italia è diventata semplicemente «spirito di iniziativa», pur mantenendo in nota il riferimento originario all’entrepreneurship, l’imprenditorialità. I consigli di classe delle varie scuole del Paese dovranno adoperarsi per «testare» la capacità di «realizzare progetti», essere «proattivi» in grado di «assumersi rischi», «assumersi le proprie responsabilità» fin da piccoli.
Si stenta a credere, ma è proprio così: le istituzioni europee chiedono agli insegnanti di fare violenza ai nostri bambini, di plasmarli in una fase delicatissima della loro formazione emotiva e spirituale, incitandoli alla competizione, alla realizzazione di cose, all’intraprendenza «rischiosa».
Verrebbe da ridere di fronte all’enormità di tale pretesa. Ma essa fa parte ormai di una gabbia fittissima di imperativi a cui è sottoposta la scuola, diventata luogo di ubbidienza di comandi ministeriali.
DOPO ANNI di ciarle sull’autonomia, sulle libertà di scelta, su tutte le chimere della letteratura neoliberistica, appare evidente che la scuola è assoggettata a un progetto di centralismo neototalitario. Una pianificazione dall’alto mirata a sottrarre libertà agli insegnanti, obbligandoli a compiti subordinati ai miopi interessi del capitalismo attuale. Passo dopo passo, la scuola cessa di essere il progetto educativo di una comunità nazionale per diventare il luogo dove si riproduce un solo tipo di individuo, l’uomo economico ossessionato da finalità produttive. Chiediamo a tutte le forze politiche, agli intellettuali, ai cittadini italiani ed europei di dire un no definitivo a questi ciechi legislatori, che vogliono trasformare la scuola in un gigantesco apprendistato senza anima e senza futuro.
Inno, è obbligatorio impararlo a scuola
Senato dà ok: 17 marzo giornata Unità d’Italia
Con 208 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti, l’Aula ha dato il via libera alla legge che istituisce la nuova festività e prevede l’insegnamento del testo di Mameli. Forti proteste della Lega *
ROMA - D’ora in poi sarà più difficile notare sportivi che rimangono in silenzio o persone che inseriscono parole a caso mentre suona l’inno di Mameli: impararlo a scuola è obbligatorio. Il Senato, infatti, tra le accese proteste della Lega, ha dato il via libera definitivo al ddl che prevede l’insegnamento dell’inno tra i banchi. La norma, che è passata con 208 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti, istituisce inoltre il 17 marzo giornata nazionale dell’Unità d’Italia, della Costituzione, dell’inno nazionale e della bandiera.
In base al testo approvato oggi, a partire dal prossimo anno scolastico, nelle scuole di ogni ordine e grado saranno organizzati "percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi finalizzati ad informare e a suscitare riflessione sugli eventi e sul significato del risorgimento nonché sulle vicende che hanno condotto all’unità nazionale, alla scelta dell’inno di Mameli, alla bandiera nazionale e all’approvazione della Costituzione, anche alla luce dell’evoluzione della storia europea".
Lo scopo che si prefigge la legge con l’istituzione di questa nuova festività (che non avrà comunque effetti civili, non sarà insomma un giorno di vacanza o di ferie) è quello di "ricordare e promuovere" nella giornata del 17 marzo, data della proclamazione nel 1861 a Torino dell’unità d’Italia, "i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica".
Le reazioni. Accese le proteste della Lega prima dell’approvazione del testo. Alcuni senatori hanno lasciato l’Aula prima del voto. "Senatori del Parlamento italiano, magari ex ministri, non possono affermare di non sentirsi italiani. È vergognoso", ha detto il senatore Udc Achille Serra intervenendo in Aula. Attribuisce ’grande valore storico’ alla decisione presa dal Senato il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: "Da oggi - ha detto - il 17 marzo diventa il giorno di tutti gli italiani che, attraverso una memoria finalmente condivisa, avranno la possibilità di riaffermare i valori dell’identità nazionale". Per il coordinatore nazionale del Pdl, Ignazio La Russa, l’inno è parte integrante della nostra storia: "È importante che proprio a scuola, culla dell’insegnamento e della cultura, i giovani possano imparare non solo il testo, ma ciò che esso rappresenta per tutti gli italiani". "Con questo ddl - ha detto il senatore del Pd Antonio Rusconi - alle scuole è affidato un compito importante: recuperare e rinnovare le radici di una Nazione, dei sacrifici compiuti e di quelli che si è ancora disposti a compiere insieme’’.
* la Repubblica, 08 novembre 2012
Tutti in calsse la prossima settimana il grosso dei rientri il 12 e il 13
Preoccupazioni per lo stato degli edifici scolastici *
ROMA - Tutti, o quasi, in classe la prossima settimana. La prima campanella del nuovo anno scolastico suonerà, tra lunedì e venerdì, per la gran parte degli studenti che non sempre saranno ospitati in edifici e aule accoglienti.
In parecchi istituti lascia a desiderare la manutenzione ordinaria e in alcuni addirittura la messa a norma ai fini della sicurezza: il sindaco di Campobasso, Luigi Di Bartolomeo (PdL) ha deciso di posticipare l’apertura delle scuole proprio perché la normativa antincendi non è in regola. I primi a tornare in classe cono stati gli alunni della provincia di Bolzano che si sono rimessi lo zaino in spalla mercoledì scorso. Ma in diverse scuole, in tutta Italia, i dirigenti scolastici, in virtù dell’autonomia scolastica, hanno deciso di anticipare il ritorno tra i banchi rispetto alla data stabilita dai rispettivi calendari regionali. In Valle d’Aosta i ragazzi riapriranno i libri lunedì 10 settembre.
Il giorno successivo sarà la volta dei molisani.
Il grosso dei rientri è tuttavia concentrato fra il 12 e il 13: il 12 varcheranno i cancelli di scuola i ragazzi della provincia di Trento, di Veneto, Umbria, Toscana, Piemonte, Marche, Lombardia e Friuli Venezia Giulia; il giorno dopo toccherà ai loro "colleghi" di Campania e Lazio.
Venerdì 14 torneranno a sedersi tra i banchi i siciliani mentre gli studenti di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Puglia e Sardegna lo faranno soltanto il 17 settembre.
Un nuovo anno scolastico che parte dunque avendo ancora sullo sfondo una serie di problemi legati all’edilizia scolastica. Non a caso il sindaco di Campobasso, dopo aver disposto ieri con un’ordinanza di non aprire le scuole materne, elementari e medie, a causa della mancanza del certificato di prevenzione incendi, nel pomeriggio di oggi ha firmato un nuovo provvedimento che riguarda anche le nove scuole secondarie di secondo grado per le quali "non risulta acquisito il certificato di prevenzione incendi previsto dalla vigente normativa". Il problema legato alla certificazione antincendio, a detta del sindaco, riguarda 48 mila scuole in Italia.
E sempre a proposito di sicurezza il Pd ha messo a punto un ddl per dare la possibilità ai cittadini di destinare l’ 8x1000 della propria denuncia dei redditi agli interventi di messa in sicurezza e di qualificazione del patrimonio edilizio scolastico". Proposta lanciata anche dalla famiglia di Vito Scafidi, lo studente di 17 anni rimasto ucciso nel crollo del liceo Darwin di Rivoli (Torino) nel novembre 2008: l’istanza sarà presentata ufficialmente al Governo mercoledì prossimo dalla fondazione ’Benvenuti in Italia’, nell’ambito del tavolo tecnico sull’edilizia scolastica istituito presso il ministero dell’Istruzione.
GARANTE DETTA REGOLE PER LA PRIVACY - Sì alle foto di recite e gite scolastiche. No alla pubblicazione on line dei nomi e cognomi degli studenti non in regola coi pagamenti della retta. Obbligo del consenso per video e foto sui social network. Scrutini e voti pubblici, mentre sull’uso di cellulari e tablet in classe l’ultima parola spetta alle scuole. Mancano pochi giorni all’apertura e il Garante per la protezione dei dati personali, presieduto da Antonello Soro, fornisce a professori, genitori e studenti, sulla base dei provvedimenti adottati e dei pareri resi, alcune indicazioni generali in materia di tutela della privacy.
TEMI IN CLASSE - Non lede la privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni lo svolgimento di temi in classe riguardati il loro mondo personale. Sta invece nella sensibilità dell’insegnante, nel momento in cui gli elaborati vengono letti in classe, trovare l’equilibrio tra esigenze didattiche e tutela della riservatezza, specialmente se si tratta di argomenti delicati.
CELLULARI E TABLET - L’uso di cellulari e smartphone è in genere consentito per fini strettamente personali, ad esempio per registrare le lezioni, e sempre nel rispetto delle persone. Spetta comunque agli istituti scolastici decidere nella loro autonomia come regolamentare o se vietare del tutto l’uso dei cellulari. Non si possono diffondere immagini, video o foto sul web se non con il consenso delle persone riprese. E’ bene ricordare che la diffusione di filmati e foto che ledono la riservatezza e la dignità delle persone può far incorrere lo studente in sanzioni disciplinari e pecuniarie o perfino in veri e propri reati. Stesse cautele vanno previste per l’uso dei tablet, se usati a fini di registrazione e non soltanto per fini didattici o per consultare in classe libri elettronici e testi on line.
RECITE E GITE - Non violano la privacy le riprese video e le fotografie raccolte dai genitori durante le recite, le gite e i saggi scolastici. Le immagini in questi casi sono raccolte a fini personali e destinati ad un ambito familiare o amicale. Nel caso si intendesse pubblicarle o diffonderle in rete, anche sui social network, è necessario ottenere il consenso delle persone presenti nei video o nelle foto.
RETTA E MENSA - E’ illecito pubblicare sul sito della scuola il nome e cognome degli studenti i cui genitori sono in ritardo nel pagamento della retta o del servizio mensa. Lo stesso vale per gli studenti che usufruiscono gratuitamente del servizio mensa in quanto appartenenti a famiglie con reddito minimo o a fasce deboli. Gli avvisi messi on line devono avere carattere generale, mentre alle singole persone ci si deve rivolgere con comunicazioni di carattere individuale. A salvaguardia della trasparenza sulla gestione delle risorse scolastiche, restano ferme le regole sull’accesso ai documenti amministrativi da parte delle persone interessate.
TELECAMERE - Si possono in generale installare telecamere all’interno degli istituti scolastici, ma devono funzionare solo negli orari di chiusura degli istituti e la loro presenza deve essere segnalata con cartelli. Se le riprese riguardano l’esterno della scuola, l’angolo visuale delle telecamere deve essere opportunamente delimitato. Le immagini registrare devono essere cancellate in generale dopo 24 ore.
LAVORO - Al fine di agevolare l’orientamento, la formazione e l’inserimento professionale le scuole, su richiesta degli studenti, possono comunicare e diffondere alle aziende private e alle pubbliche amministrazioni i dati personali dei ragazzi.
QUESTIONARI - L’attività di ricerca con la raccolta di informazioni personali tramite questionari da sottoporre agli studenti è consentita solo se ragazzi e genitori sono stati prima informati sugli scopi delle ricerca, le modalità del trattamento e le misure di sicurezza adottate. Gli studenti e i genitori devono essere lasciati liberi di non aderire all’iniziativa. Iscrizione e registri on line, pagella elettronica In attesa di poter esprimere il previsto parere sui provvedimenti attuativi del Ministero dell’istruzione riguardo all’iscrizione on line degli studenti, all’adozione dei registri on line e alla consultazione della pagella via web, il Garante auspica l’adozione di adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati. Voti - I voti dei compiti in classe e delle interrogazioni, gli esiti degli scrutini o degli esami di Stato sono pubblici.
Le informazioni sul rendimento scolastico sono soggette ad un regime di trasparenza e il regime della loro conoscibilità è stabilito dal Ministero dell’istruzione. E’ necessario però, nel pubblicare voti degli scrutini e degli esami nei tabelloni, che l’istituto eviti di fornire, anche indirettamente, informazioni sulle condizioni di salute degli studenti: il riferimento alle "prove differenziate" sostenute dagli studenti portatori di handicap, ad esempio, non va inserito nei tabelloni, ma deve essere indicato solamente nell’attestazione da rilasciare allo studente. Le scuole devono rendere noto alle famiglie e ai ragazzi, attraverso un’adeguata informativa, quali dati raccolgono e come li utilizzano.
Scuola, ecco i calendari 2012-2013
Si parte da Bolzano il 5 settembre
Ancora un mese e poi suonerà di nuovo la campanella
L’11 settembre Friuli, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto. Gli ultimi:
Liguria, Emilia, Puglia, Sardegna *
ROMA Ancora un mese e poi suonerà di nuovo la campanella. Tutti in classe il 5 settembre nella provincia di Bolzano, la prima a partire nell’anno scolastico 2012-2013. Seguiranno il 10 settembre gli studenti della Valle d’Aosta, l’11 il Molise, mentre il 12 settembre sarà la volta di Trento, Friuli, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto. Secondo il nuovo calendario delle lezioni, pubblicato sul sito del ministero dell’Istruzione, il 13 settembre si apriranno le aule di Lazio e Campania, il 14 della Sicilia, e il 17, i più «ritardatari», sarà la volta degli studenti di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Sardegna.
Le lezioni si concluderanno il 6 giugno in Emilia Romagna, l’8 giugno in Abruzzo, Campania, Friuli, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, l’11 giugno in Basilicata, Molise, Trento, il 12 in Calabria, Lazio, Liguria, Piemonte, Sicilia, Valle d’Aoista, il 14 giugno a Bolzano, dove dunque l’anno scolastico sarà il più lungo. Le feste di Natale partiranno il 22, 23 o 24 dicembre per concludersi il 5 gennaio 2013, quelle di Pasqua partiranno il 25, 27 o 28 marzo per chiudersi il 30 marzo in Liguria, il primo aprile in Campania, il 2 aprile nelle altre regioni a parte Abruzzo e provincia di Trento (3 aprile).
* La Stama, 04/08/2012
L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
Lottare per il futuro
Noi studenti vogliamo la scuola pubblica
di Sofia Sabatino (l’Unità, 09.09.2010)
Questo governo sta letteralmente distruggendo la scuola pubblica. L’attacco che si sta mettendo in campo non ha precedenti nella storia del nostro paese. Stanno, senza troppi convenevoli, smantellando ogni tassellino che con sforzi disumani, era stato messo in piedi da docenti, studenti e genitori che amano e difendono la scuola pubblica. La cosa peggiore che questo sfacelo viene attutito e celato da una fortissima campagna mediatica che la Gelmini, e questo governo in generale, hanno messo in campo. Il taglio di 8 miliardi di euro in 3 anni approvato dalla scorsa finanziaria, dovrebbe terribilmente stonare con l’idea di scuola che dice di portare avanti il nostro ministro: una scuola “meritocratica”, dove finalmente si sono abbandonati i buonismi del ‘68 e che predilige prima di tutto la qualità. Invece ci troviamo davanti ad una gigantesca psicosi fra la realtà che il nostro ministro descrive, e quello che ogni giorno si palesa davanti ai nostri occhi: una scuola pubblica che non è più pubblica, privata di tutto, che non ha neanche la possibilità di svolgere le sue funzioni ordinarie, figuriamoci la funzione di emancipazione sociale e azzeramento delle differenze fra gli individui.
Noi studenti ci chiediamo come faremo tra poche settimane a rientrare a scuola, con i nostri insegnanti, che fino all’anno scorso erano seduti nelle nostre aule, in presidi ̆ ̆permanenti e scioperi della fame, con delle scuole a cui sono stati azzerati tutti i fondi, nel caos più totale degli indirizzi e delle sperimentazioni scomparse, con meno ore ma gli stessi programmi e le stesse materie, senza laboratori, con costi esorbitanti a carico di noi studenti e delle nostre famiglie, con edifici fatiscenti su cui anche quest’anno non è stato speso un euro.
Si sta mettendo in atto una vera e propria svendita della scuola pubblica, che nonostante rimanga pubblica di facciata, nella sostanza viene depauperata, esautorata dalle sue funzioni. Siamo ritornati in un’Italia che speravamo aver abbandonato per sempre dopo tante lotte, un’Italia in cui l’abbandono scolastico cresce perché mandare un figlio a scuola costa troppo, in cui si lascia la scuola perché non ci si può permettere di recuperare tre insufficienze, in cui a parità di costi, il servizio privato (soprattutto le scuole private per cui fioccano finanziamenti statali) è sicuramente più funzionale di quello pubblico e allora ecco che il pubblico anche se rimane pubblico si svuota di significato. È per questo che dal primo giorno di scuola noi studenti della Rete degli studenti partiremo con delle azioni di protesta che proseguiranno per tutto l’anno scolastico, con una grande mobilitazione studentesca nel mese di ottobre e con la data del 17 novembre, giornata mondiale dei diritti degli studenti.
La distruzione della scuola
Istruzione. La linea suicida di Gelmini
di Vittorio Emiliani (l’Unità, 08.09.2010)
Da anni l’Italia spende poco e male per l’istruzione. Ma con questo governo spende sempre meno e sprofonda al penultimo gradino fra i 33 Paesi dell’Ocse, lontanissima da Scandinavia, Usa, Regno Unito, o Francia, lontana da Austria e Portogallo. Dal 5 % circa di PIL del governo Prodi al 4,7 % indicato dall’Ocse prima dell’ultima sciagurata manovra. Il ministro Gelmini prende lo spunto per gloriarsi dei suoi tagli sulla pelle dei precari sostenendo che il rapporto “spinge ad andare avanti con le riforme”. Quali, se per ora l’intero comparto - dalle materne all’Università - viene sottoposto ad una dieta delle più debilitanti? Avremmo capito se avesse mantenuto inalterata la spesa e destinato una quota maggiore ad investimenti in strutture, edifici, laboratori, servizi di supporto, e ad incentivi al merito. No, siamo di fronte ad un governo che sa solo calare la scure su istruzione, cultura e ricerca, cioè sul futuro del Paese. Una linea suicida.
Tanto più che l’Italia detiene già la “maglia nera” dei laureati. Stiamo infatti andando (ma con le discusse lauree brevi) verso il 14 % di giovani e adulti, roba da arrossire rispetto agli altri Paesi europei che stanno al doppio e oltre, Spagna inclusa. Di donne laureate la Finlandia ne vanta più del triplo di noi e il Regno Unito poco di meno. Siamo tuttora il Paese in cui il 25 % degli abitanti in età ha a malapena la V Elementare o neanche quella (in pratica semi-analfabeti) e un altro terzo circa si è fermato alla III Media. Col Nord che non brilla per niente e coi giovani di famiglie “a basso livello di formazione” che, al 90 %, non arriveranno ad una laurea. Paese ingiusto, e ottuso: per l’Ocse infatti, un individuo con un livello alto di istruzione, “genererà nel corso della vita lavorativa una somma supplementare di 119.000 dollari tra imposte sul reddito e contributi sociali” rispetto ad un individuo con una istruzione più bassa. Senza contare l’apporto che potrà dare a tutti in creatività.
Ecco perché indignano i Tg di questi giorni in cui si vedono insegnanti e genitori che si ingegnano a rendere accettabili aule fatiscenti, a trovare altri banchi, a portare pennarelli, quaderni, persino la carta igienica. Sono gli stessi italiani a reddito fisso ai quali questo fisco sommamente ingiusto non fa sconti di sorta, i soli, coi pensionati e coi titolari di partite Iva, a pagare al centesimo tasse e imposte. Senza le quali anche quel misero 4,7 % del Pil non potrebbe essere assegnato all’istruzione pubblica. “Non è mai troppo tardi” fu una bandiera della tanto rimpianta Rai del servizio pubblico quando faceva cultura con l’Approdo e insegnava a leggere e scrivere con l’indimenticabile maestro Manzi. Non è mai troppo tardi. Per cambiare anzitutto.
L’Ocse: in Italia si spende poco per la scuola. Prof in piazza di G. V. (l’Unità, 08.09.2010)
Il dossier è spietato: il nostro Paese agli ultimi posti, così gli stipendi Gelmini: ci dà ragione. Replica Pd: senza investimenti l’istruzione è morta L’Ocse ci consegna un quadro deprimente dell’Istruzione italiana e Gelmini si sente rinfrancata. Il nostro Paese è agli ultimi posti per investimenti nella scuola, i nostri insegnanti i peggio pagati.
L’Italia spende il 4,5% del pil nelle istituzioni scolastiche, contro una media Ocse del 5,7%. Solo la Repubblica Slovacca spende meno tra i paesi industrializzati, secondo quanto emerge dallo studio Ocse sull’istruzione. Nel suo insieme, la spesa pubblica nella scuola (inclusi sussidi alle famiglie e prestiti agli studenti) è pari al 9% di quella pubblica totale, il livello più basso tra i paesi industrializzati (13,3% la media Ocse) e l’80% della spesa corrente è assorbito dalle retribuzioni del personale, docente e non, contro il 70% medio nell’Ocse. La spesa media annua complessiva per studente è di 7.950 dollari, non molto lontana dalla media (8.200), ma focalizzata sulla scuola primaria e secondaria e a scapito dell’università, dove la spesa media per studente, inclusa l’attività di ricerca, è 8.600 dollari, contro i quasi 13mila Ocse.
La spesa cumulativa per uno studente dalla prima elementare alla maturità è di 101mila dollari (contro 94.500 media Ocse), cui vanno aggiunti i 39mila dollari dell’università contro i 53mila della media Ocse. Nella scuola primaria il costo salariale per studente è 2.876 dollari, 568 in più della media Ocse, ma il salario medio dei docenti è inferiore di 497 dollari alla media che è di 34.496 dollari. Gli insegnanti sono pagati meno della media, soprattutto ai livelli più alti di anzianità di servizio. Un maestro di scuola elementare inizia con 26mila dollari e al top della carriera arriva a 38mila (media Ocse 48mila). Un professore di scuola media parte da 28mila per arrivare a un massimo di 42mila (51mila Ocse), mentre un professore di liceo a fine carriere arriva a 44mila (55mila). Al tempo stesso, però, l’Italia è quint’ultima per le ore di insegnamento diretto. Sono 601 l’anno nella scuola secondaria, contro una media Ocse di 703.
Per quanto riguarda i laureati, sono pochi e pagati bene, a patto di essere uomini e preferibilmente oltre i 45 anni, mentre per le donne la strada dopo l’università è decisamente più in salita, soprattutto nei guadagni.
Gelmini in uno scarno comunicato ha semplicemente detto che l’Ocse le dà ragione. L’evidenza dice il contrario. «Deve essere una gran bella soddisfazione, per Tremonti e Gelmini, sapere che l`Italia è fanalino di coda nella spesa per l`istruzione e che persino Brasile ed Estonia sono più generosi. Peggio di noi c`è solo la Slovacchia ma diamo tempo a questo governo e certamente non ci negherà anche questa soddisfazioneUna scuola nella quale non si investe è una scuola morta», avverte Francesca Puglisi responsabile Pd Scuola. Oggi a Roma i precari delle reppresentanze di base manifesteranno davanti Montecitorio.
Nella giornata di lotta europea del 29 settembre, che oltre quella di Bruxelles vedrà una manifestazione anche a Roma, sui temi dello sviluppo, della crescita, delle politiche industriali, dell’occupazione e del welfare, «tema fondamentale sarà anche la lotta alla precarietà con la mobilitazione nazionale di tutti i precari dei settori della conoscenza». Lo annuncia una nota della segreteria nazionale della Cgil nel denunciare come «la dissennata politica dei tagli sulle fondamentali funzioni pubbliche, che ha come obiettivo finale quello della privatizzazione dei beni pubblici, si è abbattuta pesantemente sul sistema dell’istruzione e della ricerca e sull’insieme dell’ intervento pubblico».
Primo giorno di scuola, ed è subito assemblea: Cgil contro la Gelmini
Tagli e precari: lezioni nel caos il 15 settembre
di Alessio Gaggioli (Corriere Fiorentino, 05.09.2010)
Il primo giorno di scuola non sarà il 15 settembre, ma il 16. Cgil, Cisl (i sindacati più forti tra gli insegnanti) e Gilda hanno indetto proprio per il 15, e non caso, l’assemblea sindacale aperta a tutto il personale docente e ata di tutti gli ordini della scuola statale di Firenze e provincia. Quattro ore- dalle 8,30 alle 12,30- di quella che non sarà una semplice riunione, perché la sede dell’assemblea sarà il Saschall. Non si tratterà formalmente di uno sciopero, ma la chiusura delle scuole nel giorno della riapertura è pressoché sicura. Proprio in questi ultimi giorni, infatti, viste le adesioni di insegnanti e bidelli, stanno informando le famiglie dell’obbligato posticipo dell’inaugurazione dell’anno scolastico delle scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori.
«La scelta di fare l’assemblea il primo giorno del nuovo anno scolastico ha un forte valore simbolico- dicono i sindacati sul volantino che circola da settimane nelle scuole- perché vogliamo dare all’opinione pubblica un segnale chiarissimo del forte ridimensionamento della scuola statale causato dalla politica governativa, tesa da un lato alla sua destrutturazione e dall’altro a favorire la privatizzazione del servizio». La protesta riguarda ovviamente l’eccessivo numero di precari e il presunto taglio degli organici. Di questo si parlerà nell’assemblea del 15. Da cui però ha deciso di tirarsi indietro la Uil- e la Cisl che aderirà solo all’assemblea del Saschall e a Pisa, «le due situazioni più problematiche, due scelte mirate salvo ripensamenti perché abbiamo notizie di stampa che in questi giorni ci sarebbe stato un adeguamento degli organici», spiega la segretaria regionale Cristina Zini- che a Firenze organizzerà un’assemblea sindacale lo stesso giorno, ma alle 17 - per non incidere sul servizio - nella sede di via Corcos.
«Stavamo lavorando di comune accordo su una iniziativa di protesta- spiegano i responsabili della Uil, Cristiano Di Donna e Alessandro Rizzello - ma non interrompere il servizio e soprattutto organizzare una manifestazione di quel tipo: un po’ troppo politica per i nostri gusti e a cui parteciperanno anche assessori che interverranno (annunciata anche la presenza dell’onorevole del Pd Rosa De Pasquale, ndr) ». Al Saschall ci saranno gli assessori alla scuola del Comune Rosa Maria Di Giorgi e della Provincia Giovanni Di Fede. «Sono molto perplessa sulla forma che è stata scelta che produrrà un forte disagio alle famiglie. Ma sono stata invitata e ci sarò perché ritengo - spiega Di Giorgi- si debba fare pressione contro quella che non è una riforma, ma solo una manovra economica».
«Non aderisco alla manifestazione, partecipo e basta - replica Di Fede - perché è giusto che io segua un dibattito sui problemi dell’istruzione. Esercito comunque un ruolo politico, ma istituzionale che va oltre gli schieramenti. E dunque cerco di fare il bene della scuola. Se interverrò spiegherà cosa stiamo facendo sulla Provincia, non terrò certo un comizio». Assemblea o manifestazione (politica) con il capro espiatorio Gelmini? «La politica sta in tutto, anche in quello che mangiamo- risponde Antonella Velani, segretaria provinciale per la Cisl- noi abbiamo invitato i nostri interlocutori istituzionali che sono gli assessori, a prescindere dal colore di appartenenza».
l’Unità 2.9.10
Lottare per la scuola
Il governo toglie il futuro ai giovani
— di Domenico Pantaleo
segretario generale Flc-Cgil
Le politiche del governo sul sistema d’istruzione, formazione e ricerca sono lo specchio di una concezione regressiva ed autoritaria della società basata sulla svalorizzazione del lavoro, sulla riduzione dei salari, sulla cancellazione di diritti sociali e di cittadinanza, sulle discriminazioni di ogni diversità e sul restringimento degli spazi di democrazia e di libertà. La privatizzazione dei saperi è al centro del conflitto perché s’intende trasformare la conoscenza da bene comune a disposizione di tutti, come sancito dalla nostra Costituzione, a opportunità offerta a coloro che possono pagare.
Per queste ragioni il sistema pubblico d’istruzione paga un prezzo altissimo sul versante della qualità dell’offerta formativa e su quello dei diritti sia del personale che degli studenti. Alle nuove generazioni viene negato il diritto al sapere e quindi alla possibilità di realizzare i propri sogni e questo genera un senso diffuso di sfiducia e di rassegnazione. Mai prima d’ora una crisi aveva colpito in maniera così drammatica i giovani . Basti guardare ai dati sulla disoccupazione e al fatto che oltre 900.000 giovani non sono né in formazione e né al lavoro. Dalla legge 133/2008 in poi fino alla manovra finanziaria 2010, approvata nel mese di luglio, abbiamo assistito ad una continua riduzione di risorse che hanno determinato l’espulsione di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori precari con particolare drammaticità nelle regioni del sud. Quest’anno i precari della scuola che non avranno le supplenze annuali saranno 20.000, che si aggiungono ai 22000 dell’anno scorso. Ad essi bisogna sommare i tantissimi precari dell’università espulsi a causa della riduzione del 50% delle risorse, determinata sempre dalla manovra finanziaria, la precarietà strutturale della figura del ricercatore prevista dal disegno di legge Gelmini. Contemporaneamente assistiamo alla morte lenta della ricerca pubblica.
In sostanza questo Governo ci allontana dall’Europa che considera educazione e formazione come condizioni necessarie per affermare un economia basata sulla conoscenza e una crescita sostenibile e inclusiva. Per queste ragioni dobbiamo difendere il valore della scuola pubblica, garantendo un adeguato livello di qualità, partendo dal rispetto della dignità del lavoro e dalla valorizzazione professionale delle competenze. Servono riforme profonde ma che siano sostenute da risorse adeguate e da un largo consenso e non viceversa da metodi autoritari, demagogici e populisti che nascondono il nulla.
Intendiamo mettere in campo nelle scuole pubbliche e private, nelle università, negli enti di ricerca una stagione di lotte che faccia crescere la consapevolezza nel Paese dei disastri che le scelte politiche ed economiche stanno producendo nelle istituzioni fondamentali per la formazione delle giovani generazioni, cioè di coloro che hanno in mano il futuro.
Ai margini dell’Europa
Se si uccide la scuola pubblica
di Sofia Toselli, presidente nazionale del CIDI (l’Unità, 01.09.2010)
Si riapre un nuovo anno scolastico all’insegna dell’incertezza e del disorientamento. La scuola superiore in particolare è nel caos più totale. Tagli di organico, di materie, di ore di lezione. Persino nelle classi già avviate si cambia in corsa. Mentre l’assenza di un organico funzionale, classi più numerose, la mancanza di risorse, il ritorno ad un lavoro individualista e autoritario, l’introduzione di indicazioni nazionali povere culturalmente con obiettivi di apprendimento impraticabili, disegnano uno scenario particolarmente pesante: aumenteranno disagio, demotivazione, dispersione; si allontaneranno gli obiettivi di Lisbona; non miglioreranno gli esiti delle prove Ocse-Pisa. Oggi ci troviamo di fronte a un processo di ridefinizione del ruolo della scuola pubblica, espropriata della sua funzione costituzionale: quella di creare inclusione, di rimuovere i condizionamenti sociali, gli ostacoli all’uguaglianza.
Anzi, le disuguaglianze di partenza sono diventate il criterio con cui viene ripensato il nuovo modello scolastico. Sembrerebbe che, attraverso la scuola, si stiano creando le condizioni perché i più deboli siano messi ai margini della società in modo definitivo e irreversibile.
Altro che scuola del merito e della qualità. Non sfugge infatti a chi si occupa seriamente di insegnamento-apprendimento che i fattori presupposto di una scuola di qualità siano: l’intenzionalità democratica, e dunque parliamo di una scuola che agisce per includere e non per selezionare, con tutti gli strumenti e i percorsi possibili per garantire a ogni allievo cittadinanza piena; l’interazione di tipo cooperativo, che si esprime attraverso un rapporto di collaborazione tra adulti (team docente) e classe, per stimolare l’interesse reciproco e la collaborazione, per valorizzare le diversità, per costruire il rispetto delle regole e la solidarietà; la scelta di contenuti significativi per produrre conoscenza e indurre processi mentali e comportamenti maturi (cioè un grado di cultura e di consapevolezza di sé e del mondo che faccia di ogni singolo ragazzo un cittadino dotato di criticità e responsabilità).
Non meno importanti sono le condizioni materiali in cui l’azione educativa si esercita. In primis, il rapporto numerico tra allievi e docenti, il tempo scuola, l’organizzazione scolastica, i laboratori, il materiale didattico, ecc. La scuola che oggi si sta imponendo a colpi di decreti va in senso contrario al merito e alla qualità: una scuola classista, che ripropone selezione, esclusione, canalizzazione precoce.
Per questa strada siamo destinati a diventare fanalino di coda dell’Europa e del mondo, con grave danno per la cultura, l’economia la democrazia dell’intero Paese.
Scuola
Avvio anno scolastico 2010/2011: un fascicolo per salvaguardare i diritti nella scuola pubblica
della Flcgil - 26-08-2010 *
Inizia il secondo anno scolastico dell’era Gelmini-Tremonti.
Tagli di organico, di orari e di discipline si vanno a sommare a quelli già realizzati l’anno appena trascorso.
Ma la scuola pubblica è un valore da difendere, riaffermare e qualificare, perché istituzione deputata alla formazione delle giovani generazioni e quindi alla tutela della democrazia del Paese, contro derive populiste e demagogiche.
Abbiamo, quindi, prodotto un fascicolo che possa sostenere le lavoratrici ed i lavoratori della scuola nella difficile e duplice funzione:
* essere soggetti garanti del ruolo della scuola pubblica che questo Governo ha tutto l’interesse a smantellare
* essere protagonisti di una stagione di denuncia e di lotta che faccia crescere la consapevolezza nel paese dei disastri che le scelte politiche ed economiche del Governo stanno producendo in questa fondamentale istituzione.
Le schede del fascicolo sono finalizzate a fare chiarezza sui contenuti reali dei diversi provvedimenti adottati e/o in via di adozione contro la scuola pubblica e contemporaneamente indicano alcune strategie concrete per la sua difesa e la denuncia delle sue criticità.
Lo schema utilizzato dovrebbe garantire una fruibilità agevole e veloce, con rinvii, per chi voglia saperne di più, alle specifiche notizie pubblicate sul nostro sito.
Argomenti: ata, avvio anno scolastico, dirigenti scolastici, docenti, educazione degli adulti, istruzione tecnica e professionale, licei, personale educativo/educatori, precari, primo ciclo, regolamenti gelmini, rsu, scuola, scuola dell’infanzia, scuola elementare/primaria, scuola media, secondaria superiore, secondo ciclo
* www.flcgil.it: >> Scarica il fascicolo <<
SCUOLA
Precario in sciopero della fame
ricoverato per grave disidratazione
Giacomo Russo, insegnante palermitano in presidio a Montecitorio trasportato d’urgenza -in ospedale. Il sindacato: trovare altre forme di lotta
ROMA - Giacomo Russo, uno dei precari della scuola palermitani in sciopero della fame dal 16 agosto per protestare contro i tagli agli organici, è stato ricoverato d’urgenza all’ospedale Santo Spirito di Roma a causa del grave stato di disidratazione riscontrato dal medico che questa mattina ha accertato le condizioni di salute dei lavoratori in presidio davanti Montecitorio. Lo rende noto RdB/USB Scuola che, in una nota ribadisce la solidarietà ai precari in lotta ed al contempo invita i colleghi ad interrompere lo sciopero della fame ed a passare «a forme collettive ed organizzate di mobilitazione».
IL SILENZIO DEL MINISTRO - «La scelta dello sciopero della fame - spiegano - è infatti una forma dura ed estrema, non dettata dalla disperazione ma dalla volontà di rompere il silenzio intorno al mondo della scuola. Tuttavia l’esperienza insegna che tali azioni rischiano di divenire passerelle di un circo mediatico che accende e spegne le luci in base ai propri interessi». Pietro Di Grusa, altro precario palermitano, ha già seguito il consiglio dei medici riprendendo a mangiare. RdB/USB Scuola considera poi «vergognoso il silenzio del ministro Gelmini la quale, nonostante questo sia il secondo digiuno in due anni attuato dai lavoratori palermitani, non ha accennato nemmeno un invito a terminare la protesta» e si rivolge pertanto a tutte le forze sindacali e politiche, «affinché si facciano carico delle istanze del mondo della scuola attraverso mobilitazioni costanti ed articolate in tutto il paese, in modo di rendere di nuovo centrale il valore costituzionale del diritto allo studioi».
ANNO SCOLASTICO - Un inizio d’anno scolastico all’insegna della crescente protesta dei precari della scuola contro i tagli agli organici attuati dal governo: mercoledì i si riuniscono, come prassi, i collegi dei docenti di tutta Italia, ma il 15% dei prof (oltre 100mila) non saranno presenti perché devono ancora essere nominati dagli ex provveditorati (dove solo il 31 agosto saranno concluse le 10.000 immissioni in ruolo, oltre le 6.500 di personale Ata, decise dal governo ad agosto). L’attenzione è però sempre più focalizzata sulle contestazioni. In particolare sullo sciopero della fame, la protesta estrema più utilizzata per opporsi a migliaia di mancate conferme. I primi precari ad avviare il digiuno sono stati quelli di Palermo, seguiti da Taranto, Roma e Benevento. E mentre sui blog di settore si continuano a chiedere adesioni - "servono 20 docenti di altrettanti regioni - scrivono i precari - solo così potremo vincere il silenzio assordante delle istituzione" -, la lista si allungherà con l’avvio dello sciopero della fame anche a Milano e Pordenone.
CHI DIGIUNA - A Palermo a continuare il digiuno in via Praga, davanti l’Usp, dei tre supplenti che hanno iniziato a non alimentarsi due settimane fa, è rimasto solo Salvo Altadonna: Pietro Di Grusa, che si era sentito già male dopo alcuni giorni per la sua cardiopatia, ha dovuto mollare. Il terzo, Giacomo Russo, si è spostato a Roma. Malgrado le non buone condizioni di salute, Altadonna ha fatto sapere di volere continuare la sua protesta ad oltranza. E da alcune ore si sente meno solo: ieri sera è stato occupato il piano terra dell’Ufficio scolastico provinciale (ampliando la lista di Usp siciliani, dove già c’erano Caltanissetta, Enna, Trapani e Catania). Niente cibo ad oltranza anche per Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink: oggi si unirà a Rocco Altieri, l’insegnante di diritto, che dal 22 agosto ha avviato un digiuno "gandhiano" per sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale sulla mancata formazione della prima classe del corso serale dell’istituto professionale Matteotti con indirizzi economico-aziendale e alberghiero. Un istituto superiore che da anni svolge, assieme al ruolo educativo, la funzione di accoglienza verso gli immigrati. E che secondo i docenti in sciopero il Miur avrebbe però intenzione di chiudere. Intanto, da venerdì la protesta è giunta anche a Roma: al termine del presidio-incontro organizzato dai precari siciliani, cui hanno partecipato alcune associazioni e sindacati, Giacomo Russo (che aveva da poche ore abbandonato la protesta di via Praga a Palermo) ha continuato il suo sciopero della fame. Con lui, a suo fianco, c’è un’insegnante di scuola primaria siciliana, Caterina Altamore, che dopo 14 anni di insegnamento a Palermo sarà costretta a spostarsi a Brescia.
* Corriere della Sera, 31 agosto 2010
Il paese dei balocchi
di Francesco Merlo (la Repubblica, 25.05.2010)
Da ministra del rigore a ministra del tempo libero, da sacerdotessa dello studium a fanatica dell’otium, da bacchetta che castiga a sbracata Lucignola che vuole mandare tutti i bimbi italiani nel paese dei balocchi.
Insomma «per favorire il turismo» la ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini vuole ritardare di un mese l’apertura dell’anno scolastico, dai primi di settembre ai primi di ottobre. Attenzione: non per ragioni didattiche né per qualche forma, sia pure contorta o distorta, di saggezza pedagogica, ma soltanto per allungare la vacanza, per aiutare l’industria del tempo libero, per fare divertire di più i ragazzi italiani che solitamente bastona e per fare riposare di più i professori contro i quali scaglia lampi ed emette tuoni.
Dopo avere maltrattato gli insegnanti come fannulloni ignoranti e avere insultato gli studenti come somari e pelandroni, dopo avere predicato il ritorno alla disciplina e al faticoso impegno, Nostra Signora dei Grembiulini ha dunque scoperto la virtù della pigrizia rilanciando il sogno di tutti gli asini del mondo e persino riproponendo quel modello sessantottino contro il quale si batte in maniera ossessiva: viva la strada che libera gli istinti e abbasso la scuola che li reprime.
Persino la Lega che solitamente incoraggia e istiga le numerose e creative riforme antimeridionali, xenofobe e anti eruopee della Gelmini, ha obiettato alla ministra che le mamme che lavorano non saprebbero letteralmente «dove mettere i bambini» e che la legge italiana impone agli insegnanti almeno duecento giorni di didattica l’anno, che è lo standard europeo del diritto allo studio.
Se non assistessimo all’agonia di un’istituzione che la ministra ha deciso di far saltare ogni mattina nel cerchio di fuoco potremmo limitarci a ridere per questa incoerente sparata a favore del torpore e della lentezza degli italiani che la ministra vorrebbe stiracchiare sino all’autunno, come ai tempi del libro Cuore, quando la scuola cominciava il 17 ottobre perché il signorino Carlo Nobis aveva bisogno di tre mesi di villeggiatura per rilassarsi e il muratorino, che era bravo a fare «il muso di lepre», ne aveva necessità per lavorare, come Precossi, figlio del fabbro ferraio e come Coretti che «si leva alle cinque per aiutare suo padre a portar legna e alle 11 nella scuola non può più tenere gli occhi aperti».
In realtà la Gelmini resuscita il morto per ammazzare il vivo. Non è vero che vuole tornare alla scuola di De Amicis perché coltiva nobili rimpianti, ma solo per ridurre i costi e malmenare ancora gli odiatissimi professori, i nuovi straccioni d’Italia. È per soldi che la Gelmini si è subito gettata su questa proposta del suo compagno di partito, il carneade Giorgio Rosario Costa, un commercialista di Lecce che sinora si era fatto notare proponendo l’istituzione dell’Albo Nazionale dei Pizzaioli, e che adesso deve averla sparata così tanto per spararla e non gli pare vero di essere stato cooptato dalla ministra nell’Accademia dei Saggi e degli Equilibrati.
Ormai gli italiani - anche quelli che la votano - hanno capito che la Gelmini ha una sola ossessione: tagliare, contabilizzare, chiudere e, insieme con l’agitatissimo Brunetta, umiliare e cacciare via. È infatti evidente che spostando l’inizio delle lezioni ad ottobre lo Stato risparmierebbe un mese di stipendio ai precari che per la ministra sono come la Comune di Parigi o la Moneda di Allende, le ultime roccaforti del potere sindacale e della sinistra miserabile. Più in generale se davvero riuscisse ad allungare le vacanze scolari di un altro mese la Gelmini taglierebbe le unghia a tutti gli insegnanti italiani contro i quali sta già per avventarsi la manovra economica con il blocco degli scatti automatici di anzianità e di qualsiasi rinnovo contrattuale. Che cosa vogliono questi fannulloni ai quali lo Stato ha regalato un altro mese di vacanze? Ecco un’idea di buon governo: togliere il lavoro a qualcuno per poi punirlo come scansafatiche, perdigiorno e parassita.
In realtà con l’ossessione che il libro e i processi formativi sono in mano alla sinistra, e con la missione di trasformare gli insegnanti nel nuovo sottoproletariato italiano la Gelmini aggredisce ogni volta che può il già malandato tempio attorno al quale si organizza l’Italia come comunità, il luogo che tiene in piedi la democrazia, lo studium appunto che - mai ci stancheremo di ripeterlo - vuol dire amore, passione e dunque vita: «A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dalla mattina presto sino alla sera tardi, estate e inverno, e non c’era ricreazione e non si faceva vacanza neppure la domenica».
Tutti a scuola il 30 settembre. Gelmini d’accordo, sindacati e Lega divisi
La maggioranza si divide sull’avvio ritardato dell’anno scolastico. Il senatore Giorgio Rosario Costa (pdl) ha proposto la riapertura il 30 settembre, anche per dare una mano all’industria turistica. Ma la Lega Nord non ci sta. «La proposta del Pdl di tornare a scuola il 30 settembre è inattuabile», commenta la senatrice del Carroccio, Irene Aderenti. Mentre il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini si dice «molto aperta». Questa idea «si discute da tempo. Il nostro paese vive di turismo e a settembre si possono avere migliori opportunità economiche per le vacanze. Posticipare l’apertura dell’anno scolastico - ha spiegato il minsitro - potrebbe aiutare molte famiglie e dare anche un aiuto al settore turistico. Vedremo come il Parlamento deciderà in merito».
LEGA FURIBONDA
«La direttiva europea prevede 200 giorni di scuola e va rispettata - sottolinea Aderenti -. Se togliamo i giorni di scuola del mese di settembre si rischia di non rispettare questo minimo. Inoltre, estendere questa proposta a tutto il territorio nazionale significa mettere in difficoltà le famiglie e i lavoratori dipendenti perchè questi alla fine di agosto, la maggior parte, iniziano il lavoro. e dove mettono i bambini?». La Lega ricorda poi al collega del Pdl che «le regioni formulano già il calendario regionale delle lezioni, quindi ognuna di esse ha già questo tipo di autonomia di decisione».
SINDACATI DIVISI
I confederali della scuola Flc Cgil e Uil scuola accolgono divisi la proposta di iniziare dopo il 30 settembre le lezioni nelle scuole di ogni ordine e grado. Secondo Mimmo Pantaleo (segretario della Flc Cgil) quella di Costa è un’idea «un po’ stravagante: non se ne capisce il senso a meno che, come sospettiamo noi dato il il parere favorevole anche della Gelmini, posticipare l’inizio dell’anno serva al ministero per prendere tempo per risolvere le mille incertezze in cui oggi versa il sistema. Il punto vero - continua Pantaleo - è che c’è una situazione caotica, soprattutto alle primarie e alle superiori. Le vacanze estive sono una scusa, dietro il progetto di posticipare ci sono le conseguenze delle politiche sbagliate del governo».
Possibilista, invece, Massimo Di Menna (Uil scuola), per il quale «l’idea non è poi così malvagia, ma il mese di settembre dovrebbe essere dedicato ad attività ’parallelè, come attività di integrazione per bambini stranieri, corsi di recupero per gli studenti con lacune, accoglienza e orientamento alle prime classi superiori. La proposta si può approfondire trovando una soluzione - dice ancora Di Menna - ma ancora una volta registriamo che sulla scuola si fanno tante proposte che creano dibattiti senza poi intervenire seriamente sui problemi strutturali del sistema, come il sostegno alla scuola pubblica e la retribuzione del personale».
* l’Unità, 24 maggio 2010
Ecco come saranno le scuole superiori targate Gelmini
di Claudio Tucci *
Da 400 indirizzi sperimentali, oggi esistenti, a soli 6 licei. Da 10 settori e 39 indirizzi di istituti tecnici, si passerà ad appena 2 settori e 11 indirizzi. Mentre i 5 settori e 27 indirizzi dei professionali saranno asciugati in 2 macro-settori, a cui corrisponderanno 6 indirizzi. Si può partire da questi numeri per iniziare a capire cosa attenderà i circa 500mila ragazzi di terza media, che dal prossimo 1° settembre, metteranno piede nei nuovi istituti superiori, targati Gelmini. Accanto a questa cura dimagrante, ci sarà spazio, anche, per l’inglese potenziato, un rapporto più stretto tra scuola e mondo del lavoro (a oggi, ci ricordano gli ultimi dati Excelsior, alle aziende mancano 54mila diplomati tecnico-professionali) e una sferzata a tutto campo sulle nuove tecnologie. In attesa del via libera definitivo ai 3 regolamenti di riordino di licei, istituti tecnici e professionali, previsto per i prossimi giorni, abbiamo cercato di sintetizzare le principali innovazioni che interesseranno le superiori, in questo agile vademecum.
Informazioni a studenti e famiglie. Gli istituti, nelle prossime settimane, dovranno essere in grado di fornire ai ragazzi di terza media e alle loro famiglie informazioni più dettagliate relative all’intero nuovo scenario del secondo ciclo. Il rischio, sottolineato da più parti, sindacati in testa, è che, con i regolamenti ancora non definitivi e le iscrizioni posticipate a fine marzo, il tempo per far conoscere le novità in arrivo da settembre sia troppo poco, con la conseguenza che molte scelte saranno affidate al caso.
Iscrizioni: le date da rispettare. Arriva il doppio canale per le iscrizioni dei ragazzi a scuola. Alle superiori, mamma e papà avranno tempo dal 26 febbraio al 26 marzo. Mentre, ci potrà iscrivere alle scuole dell’infanzia, elementari e medie fino al 27 febbraio. Il mese in più di tempo per l’iscrizione alle scuole superiori è stato stabilito per consentire un’adeguata informazione alle famiglie sui nuovi indirizzi di studio, in arrivo con l’approvazione definitiva dei 3 regolamenti di riordino della scuola secondaria di secondo grado.
Istituti tecnici: al via i settori economico e tecnologico. I nuovi istituti tecnici si divideranno in 2 settori: economico (che si scompone in 2 indirizzi, amministrativo, finanza e marketing e turismo) e tecnologico (che avrà 9 indirizzi) e godranno di un orario settimanale corrispondente a 32 ore di lezione. Saranno ore effettive contro le attuali 36 virtuali (della durata media di 50 minuti). Ci sarà un primo biennio, dedicato all’acquisizione di saperi e competenze di base e un successivo triennio, in cui gli indirizzi possono articolarsi nelle opzioni richieste dal territorio e dal mondo del lavoro e delle professioni. Il quinto anno si conclude con l’esame di Stato. A livello di didattica, il regolamento di riordino, prevede un potenziamento dell’inglese, delle ore di laboratorio e una maggiore autonomia e flessibilità dell’offerta formativa. I nuovi istituti tecnici saranno caratterizzati da un’area di istruzione generale comune a tutti e due i percorsi e in distinte aree di indirizzo, che possono essere articolate, sulla base di un elenco nazionale continuamente aggiornato nel confronto con le regioni e le parti sociali, in un numero definito di opzioni legate al mondo del lavoro, delle professioni e del territorio. Per questo, gli istituti tecnici avranno a disposizione ampi spazi di flessibilità (30% nel secondo biennio e 35% nel quinto anno) all’interno dell’orario annuale delle lezioni dell’area di indirizzo. Questi spazi di flessibilità si aggiungono alla quota del 20% di autonomia rispetto al monte ore complessivo delle lezioni di cui già godono le scuole. In questo modo, possono essere recuperati e valorizzati settori produttivi strategici per l’economia del Paese (come, ad esempio, la plasturgia, la metallurgia, il cartario, le costruzioni aereonautiche etc.).
Licei: arrivano i nuovi indirizzi artistico e delle scienze umane. Ci sarà un liceo scientifico tecnologico, dove non è previsto lo studio del latino, mentre il liceo delle scienze umane (ex magistrale) avrà un indirizzo giuridico economico, anch’esso senza latino. Al classico, sarà introdotto l’insegnamento della lingua straniera per l’intero quinquennio. Il liceo linguistico, invece, prevederà l’insegnamento di 3 lingue straniere. Dalla terza classe, un insegnamento non linguistico sarà impartito in lingua straniera e dalla quarta, pure, un secondo insegnamento. Tra le new entry ci saranno il liceo musicale e coreutico, articolato nelle 2 sezioni musicale coreutica, e il liceo delle scienze umane, che prenderà il posto del liceo socio-psicopedagogico. In tutti i corsi di studio ci sarà una riduzione dell’orario scolastico: 27 ore settimanali nel primo biennio del liceo classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane; 32 ore nel liceo musicale e coreutico; 34 ore nei licei artistici, che prenderanno il posto degli attuali istituti d’arte; 32 ore settimanali negli istituti tecnici e professionali. Attualmente, grazie anche alle sperimentazioni, l’orario settimanale di quasi tutti gli indirizzi di studio oscilla fra le 32 e le 36 ore settimanali. A livello gestionale, infine, dipartimenti disciplinari e comitato scientifico, costituiranno le nuove articolazioni del collegio docenti, senza, però, sottolinea il regolamento, «ledere la sovranità del collegio docenti stesso».
Per chi è già iscritto alle superiori. Il restyling dovrebbe coinvolgere anche molti ragazzi che, ora, frequentano la scuola superiore. In particolare, lo schema di regolamento di riforma degli istituti professionali stabilisce che le novità si applicano da subito solo alle classi iniziali ma che, contestualmente, sarà ridotto l’orario delle lezioni delle classi seconde e terze, non coinvolte nella riforma. È, però, evidente che la riduzione del tempo-scuola comporterà il taglio orario di qualche disciplina, ancora da individuare, oppure l’eliminazione di qualche materia. Ma anche in questo caso non ci sono indicazioni precise. Prime e seconde classi coinvolte da settembre, invece, secondo il regolamento degli istituti tecnici, ma la riduzione d’orario riguarderà anche le terze e persino le quarte. Anche qui sono tutte da inventare le modalità di passaggio al nuovo assetto: l’orario "slim" per alcune materie è tuttavia l’ipotesi più probabile. Il regolamento di riordino dei licei, infine, prevede che vengano coinvolte nella riforma le prime e le seconde classi funzionanti nel 2010-2011, lasciando però immutati gli orari del triennio.
Professionali: più spazio ai servizi e all’industria e artigianato. Gli istituti professionali si articoleranno in 2 macrosettori: istituti professionali per il settore dei servizi e istituti professionali per il settore industria e artigianato. Ai 2 settori, corrispondono 6 indirizzi. Come per gli istituti tecnici, anche qui, il percorso è articolato in 2 bienni, e un quinto anno, con l’esame finale. Gli istituti professionali avranno un orario settimanale corrispondente di 32 ore di lezione. Saranno ore effettive contro le attuali 36 virtuali (della durata media di 50 minuti). Avranno, poi, maggiore flessibilità rispetto agli istituti tecnici. In particolare, gli spazi di flessibilità nell’area di indirizzo riservati agli istituti professionali, aggiuntivi alla quota del 20% di autonomia già prevista, ammontano al 25% in prima e seconda, al 35% in terza e quarta, per arrivare al 40% in quinta. Gli istituti potranno utilizzare le quote di flessibilità per organizzare percorsi per il conseguimento di qualifiche di durata triennale e di diplomi professionali di durata quadriennale nell’ambito dell’offerta coordinata di istruzione e formazione professionale programmata dalle Regioni nella loro autonomia, sulla base di accordi con il ministero dell’Istruzione. Anche nei nuovi professionali, sono previste più ore in laboratorio, oltre a stage, tirocini e alternanza scuola-lavoro, soprattutto nel secondo biennio e nel quinto anno.
Si inizia dal primo anno. Si inizia solo dal primo anno? Al momento, sembra l’ipotesi più plausibile. Anche perché tutti i pareri, al momento, acquisiti dal Governo (nell’ordine, Consiglio nazionale della pubblica istruzione, Conferenza unificata, Consiglio di Stato), oltre il dibattito che sta accompagnando la riforma, è stato unanimamente chiesto di partire solo con le prime classi e di lasciar continuare tutte le altre secondo il vecchio ordinamento, per evitare il cambio di binario in corsa ai ragazzi che hanno già cominciato il percorso di studi. Al momento dell’approvazione definitiva della riforma da parte del Consiglio dei ministri si saprà se la richiesta verrà accolta, anche se tutti i segnali da Viale Trastevere vanno già in questa direzione. È bene, comunque, evidenziare che il riordino soltanto nelle prime classi significherebbe, per Palazzo Chigi, rinunciare ai risparmi attesi dalle riduzioni d’orario introdotte dalla riforma. E, quindi, a parte dei soldi, da girare per la valorizzazione del merito del personale della scuola.
* Il Sole-24 Ore, 15 gennaio 2010
Saranno solo 11: cade di fatto un pezzo della riforma proprio nella sua più vantata novità
La Cgil caustica: "Avevamo capito male". Da domani la possibilità di iscrizione per 500mila
Sorpresa, salta liceo musicale
l’annuncio della Gelmini ai sindacati
di SALVO INTRAVAIA *
Prima ancora di vedere la luce, cade il primo pezzo della riforma Gelmini. E una delle novità in assoluto annunciate dal governo in pompa magna rimane per il prossimo anno al palo. I licei musicali e i licei coreutici saranno attivati col contagocce: 11 classi in tutta Italia. Quanto basta per comprendere che da domani, 26 febbraio, i 500 mila studenti delle terze medie potranno di fatto scegliere soltanto fra 5 licei (classico, scientifico, delle scienze umane, linguistico e artistico) e non più sei.
Ad annunciarlo, dopo l’incontro tra i tecnici del ministero dell’Istruzione e i sindacati di ieri, è la Fcl Cgil. "Avevamo capito male!", commentano sarcasticamente da via Leopoldo Serra. "Nell’incontro che si è tenuto ieri presso il ministero dell’Istruzione, l’amministrazione - spiegano - ha formalmente comunicato alle organizzazioni sindacali che l’anno prossimo saranno attivati non 40 classi di liceo musicale e 10 di liceo coreutico, ma, rispettivamente, dieci e una". Non è esattamente la stessa probabilità di vincere 500 mila euro col Gratta e vinci, ma la probabilità di entrare in una di quelle classi per il mezzo milione di ragazzini in procinto di scegliere come proseguire gli studio è davvero risicata: una su 2 mila. Saranno infatti 250/300 i fortunatissimi.
La ragione della marcia indietro è legata ad una questione tecnica: "Alla ripartizione delle classi si provvede in sede di intesa con la Conferenza unificata sul dimensionamento della rete scolastica", ma "l’intesa non è stata stipulata". Così, il ministero ha deciso di partire con le sperimentazioni di liceo musicale e coreutico già "attivate con decreto ministeriale" in 11 scuole. L’elenco delle scuole che potranno attivare i licei musicali e i licei coreutica sarà diffuso su internet il primo marzo. Ed è facile comprendere che coloro che vorranno frequentarlo, visto che sarà a numero chiuso, dovranno sobbarcarsi una costosa trasferta. Oppure, rinunciarvi. © Riproduzione riservata
* la Repubblica, 25 febbraio 2010
Bugie in classe
La stampa ha annunciato che la riforma delle superiori era passata. Non è vero. E in quei regolamenti è assente un progetto culturale per la scuola
di Marina Boscaino (il Fatto, 31.01.2010)
A metà di questa settimana stampa e tv si sono incaricato di annunciare al Paese che la riforma delle scuole superiori era passata. Non è vero. Aveva ragione il ragazzo che qualche giorno fa, in una lettera su questo giornale, denunciava il disinteresse dei media: la dismissione della scuola della Costituzione è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sembra interessarsene, persino accorgersene. Per quel ragazzo e per gli scettici, refrattari agli annunci del Tg di Minzolini: a metà della settimana la Commissione Cultura del Senato ha approvato (con una serie di raccomandazioni) i regolamenti della “riforma Gelmini” per un voto, quello di un senatore Udc. Analogo parere era stato espresso alla Camera.
Secondo procedura, sui regolamenti di licei, istruzione tecnica e professionale, si erano anche espressi il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e la Conferenza Unificata Stato-Regioni: entrambi i pareri sono stati negativi. Si è poi pronunciato il Consiglio di Stato, prima negativamente, in dicembre; poi positivamente, in gennaio, con riserve però giuridicamente così sostanziali (ad esempio sull’intenzione di intervenire in alcuni ambiti con decreti “aventi natura non regolamentare”; o sull’eccesso di delega) da sollevare, in un esecutivo competente e responsabile, dubbi sulla possibilità di iniziare dal prossimo anno scolastico. Tanto più che il mondo della scuola non è stato minimamente consultato. Invece il Governo va avanti: “Quei pareri sono obbligatori e non vincolanti; è già tanto sembrano volerci dire che celebriamo l’iter prescritto. Non pretenderete che addirittura teniamo conto di quanto ci viene segnalato!”.
E così, alla fine, prima o dopo, regolamenti claudicanti, rozzi, iniqui, che ritornano a una scuola di almeno 40 anni fa, che sono nati dall’art. 64 della l.133/08 (“Contenimento della spesa per il pubblico impiego. Disposizioni in materia di organizzazione scolastica”) passeranno in seconda lettura in Consiglio dei Ministri e poi alla Corte dei Conti, per essere infine pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il tutto, probabilmente, ad iscrizioni scadute. Solo allora - cari media che avete gridato alla “riforma” - saranno legge: questo prevedono le legittime procedure giuridiche della Repubblica Italiana. Solo allora passerà una riforma motivata - insisto - da quella legge, confluita nella Finanziaria 2009: taglio, nel triennio 2009-12, di 7.6 miliardi di euro sulle spese della scuola pubblica, con tanto di eliminazione di 135.000 posti di lavoro. Quella stessa che ha fatto optare (contro ogni evidenza formativa) per il maestro prevalente e messo in discussione il tempo pieno alla primaria.
Rispettare le previsioni di taglio per il prossimo anno scolastico: da qui la fretta disperata per far approvare i regolamenti, che tagliano cattedre, tempo scuola, diritti - e quindi crescita ed emancipazione per il Paese - riducendo la superiore alla caotica rappresentazione della pochezza politica e della spregiudicatezza di coloro che ci governano. Sarebbe un errore affermare che la scuola rappresentata in quei regolamenti non corrisponda ad un progetto culturale: l’assenza è il progetto medesimo.
Estinzione di tutte le sperimentazioni, che hanno rappresentato in molti casi esperienze felici di crescita di professionalità e di apprendimenti; eliminazione di saperi fondamentali (Geografia, di cui si parla in questi giorni, non è che uno degli esempi); esproprio dell’autonomia scolastica; demolizione dell’idea di biennio unitario, con competenze garantite e comuni a tutti, per realizzare davvero l’obbligo scolastico; un’ istruzione per i nati bene (licei) e un’altra per i figli di un dio minore; frammentazione dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, con la regionalizzazione: sono alcuni degli ingredienti per sottrarre scientemente alla scuola la sua straordinaria forza di inclusione democratica e di crescita della cittadinanza e il suo mandato costituzionale. Questo il piatto che ci stanno preparando. Ma, per favore, non dite che è già pronto.
Abbiamo disegnato gli orari settimanali delle scuole superiori modello Gelmini
Saranno 11. Il rebus di famiglie e ragazzi a poche settimane dalle iscrizioni
I nuovi licei materia per materia
vademecum per 500mila studenti
di SALVO INTRAVAIA *
Ecco materie e orari settimanali dei nuovi licei. Tra pochissime settimane 500 mila famiglie italiane saranno chiamate a decidere il futuri dei loro figli. Liceo classico o scientifico? Liceo musicale o delle Scienze umane? Linguistico e artistico? Alcuni di questi indirizzi sono nuovi di zecca altri sono stati rivisitati. Repubblica.it ve li propone in una versione non definitiva ma abbastanza vicina a quella finale. Cosa studieranno gli studenti dell’era Gelmini? Quanta Matematica e quante ore di Inglese? E’ quello che cercano di capire da mesi studenti e genitori. Proviamo a dare una prima risposta.
Una cosa è certa. Per stessa ammissione del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini le materie diminuiranno, perché tra sperimentazioni e corsi ordinamentali gli indirizzi della scuola superiore oggi superano le oltre 700 esperienze. E anche le ore di insegnamento caleranno drasticamente. Già perché le diverse sperimentazioni, che coprono oggi la maggior parte dell’offerta formativa, hanno fatto lievitare il numero di ore passate a scuola.
I nuovi licei saranno in tutto 11. Tre le opzioni per il liceo artistico (Arti figurative, Architettura / Design / Ambiente e Audiovisivo / Multimedia / Scenografia), che passa a 5 anni. Ma stando ai giudizi espressi dagli addetti ai lavori le materie di indirizzo vengono ridimensionate, per un carico settimanale che non andrà oltre le 34 ore al biennio e le 35 al triennio. Il liceo classico manterrà la sua struttura, ma confrontandolo con la sua versione moderna (la sperimentazione in lingua straniera) perderà parecchie ore di Inglese, Francese e Spagnolo. Stesso discorso per il liceo scientifico, dove parte delle ore di Latino verranno sostituite dalle Scienze. E che vedrà la opzione dello Scientifico-tecnologico senza Latino ma con l’Informatica.
Al liceo linguistico, finora solo sperimentale, si studieranno 3 lingue straniere, ma solo negli ultimi tre anni, e sarà sufficiente stare a scuola 27 ore a settimana nei primi due anni e 30 ore successivamente. Impegno orario che resterà identico anche al liceo delle Scienze sociali, evoluzione del socio-psicopedagogico e del precedente istituto magistrale, che presenta una variante: l’indirizzo Economico-sociale.
La novità assoluta, ma solo in alcune province italiane (forse uno per provincia), è rappresentata dal liceo musicale e coreutica, che prevede le due specializzazioni. Per imparare a cantare, danzare (liceo coreutico) e a suonare uno strumento musicale (liceo musicale) occorrerà però impegnarsi qualche ora a settimana in più.
* la Repubblica, 21 ottobre 2009)
per la chiusura la maggior parte delle regioni ha scelto come ultimo giorno il 12 giugno
Scuola, si torna in classe il 14 settembre
Gli ultimi a tornare tra i banchi gli studenti dell’Abruzzo, per loro il rientro è previsto per il 21
MILANO- È passato poco più di un mese e già c’è chi pensa al rientro. È stato completato il calendario scolastico per il prossimo anno. Le campanelle d’inizio suoneranno il 14 settembre per ben 13 regioni. Gli ultimi a tornare tra i banchi di scuola saranno gli studenti dell’Abruzzo. Per loro il rientro è previsto per il 21 settembre.
LEZIONI AL VIA- Un ritorno tra polemiche e ricorsi. Dai libri di testo ai precari. Sia come sia il calendario per il 2009/2010 è stato completato. E hanno scelto la data del 14 settembre per il ritorno tra i banchi Alto Adige (Bolzano), Calabria, Campania, Lazio (per il primo ciclo, per il secondo è il giorno dopo), Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Con più calma, e i motivi sono intuibili, inizieranno gli studenti dell’Abruzzo, appunto il 21 settembre. L’Emilia Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e il Lazio per il secondo ciclo hanno scelto il 15 settembre, mentre la Basilicata e le Marche il 16. Il 17 settembre, invece, è stato preferito dalla Sardegna, il 18 dalla Puglia e dalla Sicilia.
LE VACANZE- Le vacanze natalizie oscillano di poco in quanto tutte le regioni convergono nell’arco che va dal 23-24 dicembre 2009 fino al 6 gennaio 2010, tranne per il Piemonte dove le vacanze inizieranno il 21 dicembre. Per le vacanze di Pasqua l’arco va dal 29 marzo al 6 aprile 2010 per Alto Adige (Bolzano), Lazio, Liguria, Umbria e Veneto. Il resto delle regioni è più compattato in quanto ha scelto l’intervallo 1-6 aprile per la pausa pasquale.
LA CHIUSURA- Anche sulle date di chiusura delle attività didattiche la maggior parte delle regioni si è trovata d’accordo. Hanno scelto il 12 giugno come stop alle lezioni Abruzzo, Alto Adige (nelle scuole in cui le lezioni sono articolate su 6 giorni settimanali), Basilicata, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana e Valle d’Aosta. Gli studenti di Calabria, Emilia-Romagna, e Trentino lasceranno per primi i banchi di scuola, il 5 giugno, e poi, il 9 giugno, sarà la volta di Marche, Puglia e Veneto. Dovranno pazientare qualche giorno ancora, invece, gli scolari della Sardegna e dell’Umbria che smetteranno il 10 giugno, e dell’Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia l’11 giugno.
* Corriere della Sera, 23 luglio 2009(ultima modifica: 24 luglio 2009)
Le regioni italiane hanno fissato le date per il rientro in classe
degli alunni, all’appello manca solo la Sicilia. Che si uniformerà
Scuola, si ritorna dal 14 settembre
Il calendario regione per regione
di SALVO INTRAVAIA *
SI RITORNA a scuola dal 14 settembre. Le regioni italiane hanno fissato le date per il rientro in classe degli alunni, all’appello manca soltanto la Sicilia che con tutta probabilità si uniformerà alle altre regioni italiane. Mentre gli esami di stato sono ormai alle battute finali e gli studenti delle scuole superiori sono alle prese con i corsi di recupero estivi, la macchina organizzativa è già pronta per l’avvio di un altro anno scolastico. Per il 2009/2010, le diverse realtà territoriali marciano in modo abbastanza compatto: niente dunque ritorno in classe i primi di settembre, come provò a fare lo scorso anno la Lombardia, per nessuno.
Avvio delle lezioni. In ben tredici regioni e province autonome (Calabria, Campania, Lazio - per le sole scuole del primo ciclo, elementari e medie - Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Molise, Veneto e per le province di Trento e Bolzano) la prima campanella suonerà lunedì 14 settembre. Il giorno seguente (martedì 15 settembre) sarà la volta degli alunni di Emilia Romagna; Friuli Venezia Giulia e per gli studenti del Lazio. A Metà settimana è invece previsto l’ingresso in classe per scolari e studenti di Basilicata e Marche (mercoledì 16 settembre). Giovedì 17 si ritroveranno a scuola gli alunni residenti in Sardegna e il giorno successivo quelli della Puglia. Gli ultimi a fare il loro ingresso in aula, per ovvie ragioni, saranno gli alunni abruzzesi, lunedì 21 settembre.
Chiusura delle lezioni. Anche per l’ultimo giorno di lezione del 2010 le regioni italiane sono state abbastanza concordi: chiusura dell’anno scolastico il 12 giugno in undici realtà territoriali (Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta e provincia di Bolzano). Lasceranno la scuola un giorno prima (l’11 giugno) gli alunni friulani e due giorni prima (il 10 giugno) quelli di Sardegna e Umbria. I primi a lasciare i banchi scolastici, sabato 5 giugno, saranno gli alunni di Emilia Romagna, Calabria e della provincia di Trento. Quattro giorni più tardi (il 9 giugno) potranno salutare gli insegnanti gli alunni di Marche e Puglia.
Le vacanze di Natale e di Pasqua. Quasi la totalità delle regioni italiane ha stabilito che le vacanze di natale cominceranno tra il 23 e il 24 dicembre e si concluderanno tra il 6 gennaio. Potranno godersi una lunga vacanza invernale (pausa di 18 giorni) gli alunni del Piemonte, dove le vacanze inizieranno lunedì 21 dicembre per concludersi il 6 gennaio. Le vacanze di pasqua oscilleranno in genere tra 6 e 7 giorni. Pausa dal primo al sei aprile per coloro che frequentano le scuole di Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Toscana e Valle d’Aosta. Un giorno in più (dall’1 al 7 aprile) per gli alunni di Abruzzo, Campania e Trento. Vacanze di pasqua decisamente più lunghe per alunni e insegnanti umbri, laziali e liguri (dal 29 marzo al 6 aprile) e per quelli veneti, in pausa dal 29 marzo al 5 aprile. Maxivacanza ancora per alunni e docenti piemontesi, che potranno godersi 10 giorni di stacco: dal primo al 10 aprile.
I ponti. Ogni calendario scolastico mette sul piatto d’argento di regioni e collegi dei docenti un certo numero di "ponti". Per essere valido, infatti, le scuole devono garantire agli alunni almeno 200 giorni di lezione, esclusi quelli che si perdono per "causa di forza maggiore". In giorni in più rispetto ai 200 possono essere gestiti dalle scuole o dalle regioni. Parecchie di queste hanno deciso per una pausa anche il 2 novembre (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Umbria e la provincia di Bolzano) e di fare ponte per l’Immacolata, dal 6 all’8 dicembre (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, Trento e Bolzano).
* la Repubblica, 11 luglio 2009
Scadenza il 28 febbraio, ecco le indicazioni su orari e fasce d’età
Tutte le indicazioni sul sito del ministero
Iscrizioni a scuola,
arrivano le istruzioni
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - Ecco la circolare sulle iscrizioni a scuola. Il ministero dell’Istruzione l’ha pubblicata sul proprio sito pochi minuti fa, contestualmente al decreto per attribuire le insufficienze in condotta ai ragazzini della scuola media. Dopo le polemiche di questi giorni e le vivaci proteste dei sindacati che hanno denunciato lo "stato confusionale" della scuola, dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie hanno a disposizione due provvedimenti che consentono le iscrizioni all’anno scolastico 2009/2010 e la valutazione del primo quadrimestre con il ripristino dei voti in decimi all’elementare e alla media.
Scadenza iscrizioni. I genitori che dovranno iscrivere i propri figli nella scuola dell’infanzia, alla prima classe della scuola primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado dovranno presentare il relativo modulo (I MODULI) predisposto dal ministero dell’Istruzione entro e non oltre il 28 febbraio prossimo. L’iscrizione alle classi intermedie viene curata delle segreterie scolastiche.
Scuola dell’infanzia. Potranno richiedere l’iscrizione al primo anno della scuola primaria i genitori dei bambini che compiranno sei anni entro il 31 dicembre 2009. Possono altresì essere iscritti i piccoli che compiranno sei anni entro il 30 aprile 2010.
Quest’ultima possibilità è subordinata alla disponibilità dei posti, all’esaurimento delle liste d’attesa, alla disponibilità di locali e dotazioni idonei ad accogliere i piccoli anticipatari e alla valutazione pedagogico didattica del collegio dei docenti. Ove ricorrano le condizioni logistiche e funzionali, continua anche l’esperienza delle "sezioni primavera" per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi. L’orario di funzionamento normale è di 40 ore settimanali: 8 ore al giorno. Le famiglie possono anche richiedere un orario ridotto a 25 ore settimanali o prolungato di 50 ore a settimana.
Scuola primaria. Hanno l’obbligo di iscriversi in prima elementare i bambini che compiono sei anni entro il 31 dicembre 2009. Mamme e papà possono optare per l’anticipo, riservato ai piccoli che festeggiano il sesto compleanno entro il 30 aprile 2010. La domanda può essere presentata in qualsiasi scuola (del territorio di appartenenza o no). Le istanze verranno accolte in basa ai criteri elaborati e resi noti dagli organi collegiali della scuola. Nel modulo di domanda le famiglie dovranno indicare l’ordine di priorità delle 4 opzioni orarie: 24, 27, 30 o 40 ore per il tempo pieno. Ma per l’orario settimanale di 30 ore e il tempo pieno di 40 ore verranno accontentati i genitori soltanto in relazione alle disponibilità di organico della scuola.
Scuola media. L’iscrizione al primo anno della scuola secondaria di primo grado avviene tramite la scuola primaria frequentata dall’alunno. L’istanza va indirizzata alla scuola prescelta e deve riportare l’ordine di preferenza delle tre opzioni orarie: 30 ore settimanali (29 ore curricolari più un’ora di approfondimento di Italiano) , tempo prolungato di 36 ore o tempo prolungato di 40 ore a settimana. I posti a disposizione per frequentare il tempo prolungato dipenderanno dalle dotazioni organiche che assegnerà il ministero alle singole scuole. Al momento dell’iscrizione le famiglie possono anche scegliere l’Inglese potenziato: 5 ore settimanali anziché 3 più due di una seconda lingua comunitaria. Per gli alunni che frequentano gli istituti comprensivi l’iscrizione in prima media è effettuata d’ufficio dalla segreteria scolastica.
Scuola secondaria di secondo grado. Coloro che terminano il primo ciclo, in base alle norme sull’assolvimento dell’obbligo di istruzione, sono tenuti ad iscriversi al primo anno della scuola superiore o a frequentare un percorso di istruzione e formazione professionale triennale.
Valutazione del comportamento. Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha firmato il decreto sulla valutazione del comportamento degli studenti. "La valutazione del comportamento degli studenti - spiega il decreto - nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria di secondo grado è espressa in decimi". La valutazione espressa dal consiglio di classe "si riferisce a tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica e comprende anche gli interventi e le attività di carattere educativo posti in essere al di fuori di essa". L’attribuzione di un voto inferiore a sei decimi, "in presenza di comportamenti di particolare e oggettiva gravità", comporta l’automatica bocciatura. Il consiglio di classe può attribuire una valutazione insufficiente in condotta soltanto in presenza di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento dalla scuola superiore a 15 giorni e per quegli alunni che a seguito di tali sanzioni "non abbiano dimostrato apprezzabili e concreti cambiamenti nel comportamento, tali da evidenziare un sufficiente livello di miglioramento nel suo percorso di crescita e di maturazione". Le scuole "sono tenute a curare con particolare attenzione sia l’elaborazione del Patto educativo di corresponsabilità, sia l’informazione tempestiva e il coinvolgimento attivo delle famiglie in merito alla condotta dei propri figli".
* la Repubblica, 16 gennaio 2009
Dopo la polemica con lo stato di generale confusione, arriva finalmente
il documento che fornisce una serie di indicazioni sul prossimo anno scolastico
Iscrizione, voti, maestro unico
Ecco la circolare della Gelmini
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - In arrivo la circolare sulle iscrizioni. Dopo la segnalazione di Repubblica. it e la levata di scudi dei sindacati, che denunciavano lo stato di confusione in cui versa la scuola italiana, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini comunica che domani mattina dopo un confronto con i rappresentanti dei lavoratori apporrà la firma alla circolare che apre ufficialmente le iscrizioni all’anno scolastico 2009/2010. Il provvedimento è soltanto uno dei tanti che le scuole attendono ma consente a dirigenti e insegnanti di organizzare gli scrutini quadrimestrali di febbraio e le iscrizioni. Allegati alla circolare ci sono i moduili per le iscrizioni. Dai prossimi giorni, dunque, dovrebbero essere a disposizione nelle scuole e sui siti del ministero e dei singoli istituti. Ecco tutte le novità.
Scuola dell’infanzia. Sarà possibile iscrivere i piccoli che compiono tre anni entro il 31 dicembre 2009. E, in presenza di particolari condizioni (disponibilità di posti, accertamento dell’avvenuto esaurimento di eventuali liste d’attesa), "anche ai bambini che compiono i tre anni entro il 30 aprile 2010". L’orario settimanale previsto è di 40 ore che a richiesta potrà arrivare anche a 50. L’esperienza delle "sezioni primavera" per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi lanciata dal governo Prodi prosegue anche per l’anno 2009/2010.
Scuola primaria. Sono obbligati ad iscriversi in prima elementare i bambini che compiono i sei anni entro il 31 dicembre 2009. Ma possono iscriversi in anticipo anche gli alunni che festeggeranno il sesto compleanno entro il 30 aprile 2010. "Nelle prime classi - fanno sapere da viale Trastevere - sarà introdotto l’insegnante unico di riferimento che avrà la responsabilità formativa globale dell’alunno". Al momento dell’iscrizione in prima "i genitori possono esprimere, in ordine di priorità, le preferenze rispetto all’articolazione dell’orario settimanale: 24 o 27 ore che sono i due modelli di base". E’ possibile scegliere anche il modello a 30 ore (con attività opzionali) e quello a 40 ore (tempo pieno). Per le classi successive alle prime continuano i modelli orari e organizzativi in atto.
Scuola secondaria di primo grado. Due le opzioni per le famiglie: 30 ore o tempo prolungato di 36 ore (prolungabile fino a 40). "Nel modello a 30 ore, 29 saranno di insegnamento curriculare e 1 di potenziamento della lingua italiana". Da quest’anno le famiglie potranno anche optare, in luogo delle due lingue straniere) l’Inglese potenziato, con 5 ore settimanali. Tale scelta è vincolante per l’intera durata della scuola media.
Voti e comportamento. "I voti relativi alle singole discipline sono espressi in decimi", spiega il ministro Gelmini. I voti inferiori a 6 determinano insufficienze sia nella scuola primaria che nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Nella scuola secondaria la valutazione del comportamento è espressa in decimi: con una votazione inferiore a 6 lo studente viene bocciato. Anche "l’esito complessivo dell’esame conclusivo del primo ciclo (terza media) è espresso in decimi".
Cittadinanza e costituzione. L’insegnamento della disciplina "Cittadinanza e costituzione" per tutte le classi del primo e del secondo ciclo partirà come sperimentazione ed entrerà a regime a nel 2010/2011. Per il prossimo anno la disciplina avrà un monte ore definito e una valutazione "a parte per le scuole che aderiranno alla sperimentazione".
* la Repubblica, 14 gennaio 2009
Inizio d’anno nel segno dell’incertezza: si attendono indicazioni su come applicare
tutte le modifiche introdotte. E anche la Cisl chiede un incontro urgente
Come inizia la scuola? Non si sa
Scatta la protesta di prof e genitori
di SALVO INTRAVAIA *
Per le scuole italiane il 2009 parte all’insegna dell’incertezza. L’enorme mole di cambiamenti introdotti nel sistema d’istruzione nazionale dal decreto-legge 112 (la Finanziaria estiva di Tremonti) e dai provvedimenti successivi sta facendo letteralmente impazzire insegnanti, dirigenti scolastici e genitori che, in assenza di regolamenti e decreti attuativi, sono in preda alla confusione più totale. E il rischio che l’avvio del prossimo anno scolastico sia tutto in salita è tutt’altro che remoto.
"La ripresa dell’attività - dichiara Francesco Scrima, leader della Cisl scuola - avviene in tutte le scuole, all’insegna del disagio, della preoccupazione e delle incertezze". E con la scadenza delle iscrizioni rinviata al 28 febbraio slitteranno tutti gli appuntamenti cruciali dell’anno: organici di diritto, trasferimenti, immissioni in ruolo e assegnazione delle supplenze che specialmente nelle grandi città potrebbero anche arrivare ad anno scolastico avviato.
Che la strada verso le riforme voluta dal ministro, Mariastella Gelmini, sarebbe stata irta di difficoltà lo ha intuito anche il governo che nel decreto-legge "milleproroghe" dello scorso 30 dicembre ha introdotto una norma che riguarda la scuola: lo slittamento al 31 agosto del termine ultimo per le nomine a tempo indeterminato (le immissioni in ruolo) e determinato (le supplenze).
Ma la confusione di questi giorni riguarda gli scrutini del primo quadrimestre e le iscrizioni. "Incombono - continua Scrima, xhe chiede al ministro un incontro urgente - scadenze che toccano aspetti cruciali della vita scolastica (valutazione, iscrizioni, determinazione degli organici) e su di esse pesa lo stato di confusione e di allarme determinato dai provvedimenti in corso di emanazione, sia per quanto riguarda i loro contenuti che per le modalità con le quali gli stessi vengono elaborati e definiti". Ma di che si tratta?
I primi di febbraio, le scuole elementari e medie saranno chiamate a valutare gli alunni con i voti espressi in decimi in luogo dei giudizi, ma mancano all’appello sia il Regolamento sulla valutazione degli alunni sia il decreto ministeriale per attribuire le insufficienze in condotta alla scuola media. Stesso discorso per le iscrizioni la cui data di scadenza è stata spostata da fine gennaio al 28 febbraio. Da viale Trastevere la circolare annuale sulle iscrizioni non è stata ancora resa nota e le scuole vanno in ordine sparso: alcune sulla base delle notizie diffuse dai mezzi d’informazione accettano le iscrizioni con riserva, altre aspettano il documento ministeriale. Così come avviene per il regolamento sui voti in decimi: alcuni dirigenti scolastici promettono che senza regolamento non attueranno la riforma, altri vanno a tentoni.
Secondo Massimo Di Menna, segretario nazionale della Uil scuola, il provvedimento "più urgente è la circolare sulle iscrizioni". "Occorre rendere chiare - spiega Di Menna - le variazioni introdotte dal Regolamento ma occorre fare in fretta". Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas, critica la Gelmini su tutti i fronti. "Allo slittamento del termine delle iscrizioni non ha fatto seguito alcun chiarimento sulla organizzazione per il prossimo anno. Nella scuola primaria non vi sono neppure i modelli di iscrizione per un’articolazione dell’orario in 24-27-30-40 ore settimanali, che non ha alcun fondamento pedagogico ma solo la volontà di risparmiare e che ingenera soltanto confusione". "L’unica certezza - continua Bernocchi - è che, nonostante la propaganda ministeriale, non verranno attivate nuove classi a tempo pieno e le ulteriori richieste delle famiglie non verranno soddisfatte".
Di tutti i documenti in questione circolano le bozze predisposte dai tecnici ministeriali al vaglio dei diversi organismi che devono esprime un parere: il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, il Consiglio di stato. La circolare sulle iscrizioni è legata al Regolamento sulla "Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione" che introduce una serie di novità, come il tempo-scuola nelle prime classi della scuola primaria di 24, 27 o 30 ore settimanali, il maestro di riferimento e l’anticipo nella scuola dell’infanzia. Ma di quest’ultima possibilità chi potrà fruirne? I piccoli di due anni e mezzo, ma solo nei comuni che hanno stipulato la prescritta convenzione con l’ufficio scolastico regionale, o tutti?
Senza regolamenti attuativi procedono a vista anche le Regioni che devono predisporre i Piani di dimensionamento della rete scolastica. Nella regione Lazio e in Veneto il Piano è stato varato. In Sicilia le operazioni sono in corso ma senza il Regolamento che detta regole anche sui plessi le regioni si rifanno alla norma del 1998: autonomia scolastica per le scuole con un numero di alunni fra i 500 e i 900.
* la Repubblica, 14 gennaio 2009
Il ministro dell’Istruzione ha presentato i quattro decreti che lanciano la riforma
Salta il modulo nella primaria, stop alla giungle di indirizzi alle superiori
Gelmini: "Così la scuola cambia"
Più inglese e "unico maestro"
"Più chiarezza per le famiglie, efficienza e snellimento dell’organizzazione"
Lezioni tassative di 60 minuti, e "7000 euro l’anno per i docenti meritevoli"
di SALVO INTRAVAIA *
ROMA - "La scuola cambia". E’ lo slogan del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che a margine del Consiglio dei ministri di questa mattina ha presentato i quattro decreti che lanciano la riforma scolastica. Tantissime le novità previste per l’anno prossimo rispetto all’assetto attuale. Salta il "modulo" (tre insegnanti su due classi) nella scuola primaria, stop alla giungla di indirizzi al superiore e potenziamento dell’Inglese.
"Per la prima volta in Italia dopo la riforma Gentile del 1923 - dice Gelmini - si mette mano alla scuola con una riforma organica di tutti i cicli (elementari, medie, superiori). Elementari e medie cambiano dal primo settembre 2009, le superiori dal primo settembre 2010". "Più chiarezza e opportunità per le famiglie, più efficienza, semplificazione e snellimento dell’organizzazione e delle procedure, valorizzazione del ruolo dei docenti", i principi che ispirano la riforma. Ma vediamo quali sono le novità.
Scuola dell’Infanzia. Dal prossimo anno, l’ex scuola materna potrà nuovamente accogliere i bambini di 2 anni e mezzo. Viene infatti ripristinato l’anticipo morattiano abolito dal ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni. Per andare incontro alle esigenze delle famiglie vengono anche confermate le "sezioni primavera" per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi, introdotte dal governo Prodi.
Scuola primaria. L’organizzazione modulare, ha spiegato la Gelmini, verrà abolita dal prossimo anno in tutte le classi. Il modello per il futuro sarà quello "dell’unico maestro di riferimento". Alunni e famiglie, anche in relazione alle richieste di orario (24, 27, 30 o 40 ore settimanali), non vedranno più alternarsi in classe tre insegnanti che singolarmente si occuperanno dell’area linguistica, di quella scientifica e di quella logico-matematica. Dal prossimo anno un maestro resterà in classe per 22 ore settimanali lasciando a un collega le restanti ore da svolgere in classe.
Scuola media. Le prime classi della scuola secondaria di primo grado, dal 2009/2010 saranno articolate in 29/30 ore settimanali. E sarà possibile per le famiglie, al posto di due lingue straniere, scegliere 5 ore di Inglese a settimana: il cosiddetto "Inglese potenziato". Resta la possibilità di optare per il tempo prolungato che si articolerà in 36/40 ore settimanali. E per gli alunni stranieri sarà possibile utilizzare due ore della seconda lingua per attivare "corsi di Italiano per stranieri".
Scuola superiore. Le principali novità riguardano la scuola superiore la cui riforma partirà dal 2010/2011. Scelta definita dal ministro "di buon senso". Al posto dei 750 indirizzi (tra sperimentazioni e ordinamenti) attualmente esistenti ce ne saranno 20: 9 per i licei (classico, scientifico, delle scienze umane, linguistico, musicale e artistico con tre indirizzi) e 11 per gli istituti tecnici. Lo studio dell’Inglese diventerà obbligatorio in tutti e 5 anni gli anni, nei licei Musicale, Artistico e delle Scienze umane si studieranno due lingue straniere e al quinto anno una disciplina non linguistica sarà insegnata in Inglese. Verrà potenziato anche lo studio della Matematica e delle Scienze in tutte le scuole e rilanciati i laboratori che saranno trasformati in "veri e propri centri di innovazione attraverso la costituzione di dipartimenti di ricerca".
Gli istituti tecnici saranno rivoluzionati. I 204 indirizzi diventeranno 11, due per il settore economico e 9 per quello tecnologico. I 5 anni di corso saranno suddivisi in due bienni (uno di base e l’altro specialistico) e un ultimo anno che servirà al perfezionamento dell’indirizzo. Al quinto anno sarà possibile svolgere stage aziendali mentre gli istituti "si aprono al mondo del lavoro con esperti e professionisti che possono entrare nel comitato scientifico della scuola".
Per tutte le scuole, le ore di lezione dovranno tassativamente essere di 60 minuti: non sarà più possibile, come avviene attualmente per andare incontro al pendolarismo degli studenti, svolgere ore di 50 o 55 minuti. E per i docenti meritevoli ci sarà un premio: "Fino a 7000 euro l’anno". Ma l’obiettivo appare piuttosto lontano visto che occorre stabilire come assegnare queste eventuali risorse, disponibili soltanto se si concretizzeranno i risparmi, e a chi darle.
Intanto il personale della scuola deve accontentarsi di un rinnovo contrattuale per il 2009 che la Cgil si è rifiutata di sottoscrivere, definendolo "una miseria che offende la dignità dei lavoratori". Docenti e Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) per il prossimo anno potranno spendere qualcosa come 79 euro lordi in più al mese. A tanto ammonta l’aumento retributivo per un docente di scuola media con vent’anni di anzianità. Per una maestra di scuola primaria con appena due anni di servizio la cifra scende a poco meno di 60 euro lordi mensili.
* la Repubblica, 18 dicembre 2008
Circolare del ministero: riguarda chi va alla materna, in prima
elementare, in prima media o al primo anno della superiore
Slittano le iscrizioni per la scuola
un mese in più, il 28 febbraio 2009
Sindacati perplessi: così a rischio l’avvio dell’anno scolastico
di SALVO INTRAVAIA *
SLITTANO di un mese le iscrizioni per l’anno scolastico 2009/2010. Lo ha reso noto il ministero dell’Istruzione con una circolare che riporta la data di ieri. Mamme e papà che vorranno iscrivere per la prima volta i loro bambini nella scuola dell’infanzia, in prima elementare, in prima media o al primo anno della scuola superiore dovranno formalizzare l’iscrizione entro il 28 febbraio 2009. Le iscrizioni alle classi intermedie vengono predisposte dalle segreterie scolastiche stesse. In generale le iscrizioni vengono chiuse entro fine gennaio ma il prossimo anno sarà pieno di novità ed i regolamenti attuativi relativi al riordino degli ordinamenti scolastici non sono ancora pronti.
I sindacati della scuola criticano la decisione del ministro, Mariastella Gelmini. "Il rinvio a fine febbraio delle iscrizioni è la prima inevitabile conseguenza - dichiara Francesco Scrima, leader della Cisl scuola - di scelte di un governo che, pur di produrre drastici ’tagli’ di personale, non ha messo in conto la delicatezza e la complessità del mettere mano agli ordinamenti del sistema nazionale di istruzione".
Dello stesso tenore è il parere della Flc Cgil che considera "poco opportuno far slittare i termini per le iscrizioni". "Dato che - dichiara il sindacato guidato da Mimmo Pantaleo - la tempistica (con iscrizioni a fine gennaio, ndr) consente di procedere a tutti i passaggi necessari (organici, mobilità) per garantire il regolare avvio dell’anno scolastico, diversamente a forte rischio". Insomma: lo spostamento delle iscrizioni metterebbe a rischio addirittura l’avvio del prossimo anno scolastico. Mentre la Uil scuola saluta positivamente il provvedimento e pur considerando i "tempi molto stretti", auspica "un confronto". "Le scuole - ammonisce Massimo Di Menna - e il personale hanno diritto di avere risposte e certezze".
Ma perché rinviare di un mese le iscrizioni? "Le innovazioni didattiche che verranno introdotte nel sistema scolastico con i regolamenti in corso di definizione - spiegano da viale Trastevere - richiedono una conoscenza approfondita delle nuove opportunità educative e formative che verranno offerte all’intero mondo della scuola, e in particolare alle famiglie e agli studenti". Per questa ragione, prosegue la circolare, "l’amministrazione scolastica promuoverà strumenti di informazione e accompagnamento dei processi di innovazione per le scuole, chiamate a comunicare alle famiglie e agli studenti la nuova organizzazione dei percorsi di studio".
Nel frattempo dovrebbero prendere forma i curricoli e i quadri orario della scuola primaria (a 24 o 27 ore), della scuola secondaria di primo grado (a 29 ore), dei licei a 30 ore settimanali e degli istituti tecnici a 32 ore. Il tutto, "entro la fine del mese di dicembre".
"Successivamente alla emanazione dei Regolamenti - prosegue il documento - saranno presentati a tutte le componenti scolastiche sia i materiali informativi messi a punto, sia l’insieme delle azioni attraverso le quali si articola il piano di informazione". Basteranno due mesi per spiegare a genitori e alunni i profondi cambiamenti dell’assetto scolastico italiano? "I mesi di gennaio e febbraio 2009 - assicurano dal ministero - saranno dedicati alla realizzazione delle attività di informazione, al fine di approfondire i contenuti dei Regolamenti di prossima emanazione e per consentire ai Dirigenti scolastici di organizzare nelle diverse sedi i consueti incontri di presentazione delle nuove opportunità formative, destinati alle famiglie ed agli studenti, in modo da garantire loro tutte le informazioni utili per un più efficace orientamento".
Per la Cgil "la fretta in questo caso è doppiamente penalizzante per i sacrosanti diritti degli alunni a fare una scelta consapevole e ponderata sul proprio futuro formativo e per i lavoratori della scuola, ormai in balia di decisioni calate dall’alto, alquanto discutibili sotto il profilo pedagogico e didattico". Per i rappresentanti dei lavoratori "non è certo la qualità del sistema di istruzione pubblica l’obiettivo di queste scellerate decisioni, quanto la necessità di fare cassa, a spese di chi a scuola studia e lavora".
* la Repubblica, 4 dicembre 2008
Tre cortei per contestare le scelte del ministro dell’Istruzione
Università, in piazza contro i tagli
Studenti, ricercatori e docenti arrivano da tutta Italia per manifestare a Roma contro i previsti tagli a fondi e personale. Alla protesta, voluta dai sindacati, partecipano solo Cgil e Uil. Epifani: "Chi non c’è sbaglia". Gli slogan non solo anti Gelmini. Tra i più gettonati: "Vogliamo lo tsunami che porti via i due nani"
Roma, 14 nov. (Adnkronos/Ign) - E’ il giorno dei cortei a Roma. Tra studenti, ricercatori e docenti dovrebbero essere almeno in 100 mila a manifestare nella capitale contro la riforma Gelmini, in particolare contro i previsti tagli a fondi e personale. Allo sciopero generale dell’Università e della ricerca voluto dai sindacati, partecipano solo Cgil e Uil. Cisl e Ugl si sono ritirate dalla protesta in seguito all’incontro con il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini ritenuto positivo.
Bachelet (Pd) in corteo con gli studenti
’’Credo nel Parlamento e nel dialogo. Ma devo constatare che con questo governo il dialogo non c’è stato. Il dibattito parlamentare non ha permesso di modificare in alcun modo i tagli previsti per l’università e la ricerca, mentre invece di fronte alla piazza il ministro Gelmini ha iniziato a fare marcia indietro. Così oggi sono qui a manifestare, insieme agli studenti e ai professori dell’Università La Sapienza’’. Lo dichiara Giovanni Bachelet, deputato Pd, che partecipa alla manifestazione.
Epifani: "Chi non c’è sbaglia"
"Chi non c’è sbaglia". Così il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che ha raggiunto il corteo dei sindacati. "E’ una manifestazione molto ampia, con tante anime. Chi non c’è sbaglia. Ogni volta che provano a isolarci -afferma Epifani rispondendo a chi gli chiede se vi sia un tentativo in tal senso- gli va male. Però persistono e perseverare è diabolico. Sto preparando -annuncia riferendosi agli incontri che ci sarebbero stati a Palazzo Grazioli- le lettere a Bonanni e Angeletti. Chi dice le bugie ha le gambe corte".
Gli slogan
Non solo il ministro Gelmini bersaglio degli slogan degli studenti in corteo ma anche il premier Silvio Berlusconi e il responsabile della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Oltre all’ormai consueto "Noi la crisi non la paghiamo", dal corteo si leva a gran voce "Siamo capitani di ventura e non ne possiamo più, fannullone sarai tu, Brunetta fannullone sarai tu", e ancora "Tagli alla ricerca e all’università, la riforma del governo è tutta qua". Poi, sulle note di un motivo degli anni ’60 un invito al ministro della Pubblica amministrazione a ritirare i provvedimenti "Renato, Renato, Renato, l’emendamento va ritirato". Non manca qualche slogan che va sul personale: "Vogliamo lo tsunami che porti via i due nani", e "Berlusconi stai calmino senza la ricerca avresti il parrucchino".
Dalle Marche in duemila
"Sono oltre 2.000 gli studenti e i precari del mondo della scuola e dell’università ad aver raggiunto dalle Marche con treni e autobus, la grande manifestazione di Roma partita dalla Sapienza proprio in questi minuti". A sostenerlo sono gli studenti dell’’Onda anomala marchigiana’.
Milano, presidio studenti in piazza Duomo
E’ iniziato alle 10 e terminerà alle 14 il presidio indetto in piazza Duomo a Milano, in concomitanza con la manfiestazione nazionale di Roma. Tra precari, studenti, dottorandi e ricercatori dei diversi atenei e delle accademie sono scesi in piazza in 1.500.
Proteste anche a Palermo, in corteo centinaia di studenti
Proteste contro la riforma della scuola anche a Palermo, dove ha preso il via il corteo degli studenti universitari e delle scuole medie superiori che stanno sfilando lungo la via Libertà. Il corteo a cui partecipano centinaia di giovani è stato aperto con un grande striscione con la scritta: "Difendiamo il nostro futuro. Abroghiamo la Gelmimi".
Ferrero: "A corteo assenza rumorosa del Pd"
Il corteo di questa mattina è "un corteo a due, che ha due mancanze, quella della Cisl che per ragioni politiche ha scelto un rapporto con il governo di subalternità e l’assenza rumorosa del Pd che disegna un’opposizione di sua maestà". E’ questo il giudizio espresso dal segretario del Prc Paolo Ferrero, uno dei pochi politici, e tutti di partiti non parlamentari, presenti al corteo partito da piazza Bocca della Verità.
Unione studenti: "Partecipazione altissima a corteo Roma"
L’Unione degli Studenti annuncia: "La partecipazione a questo corteo è altissima".
Corteo sindacati parte da piazza Bocca della Verità
E’ partito con quasi un’ora e mezza di ritardo il corteo dei sindacati da piazza Bocca della Verità. Ad aprire il corteo, preceduto da un camioncino che trasmette musica di Bob Marley lo striscione ’Insieme per il futuro del Paese’, firmato Flc-Cgil, Uil-Pa, Ur-Afam. Il ritardo nella partenza, è dovuto all’attesa delle decine di pullman e treni che stanno giungendo da tutta Italia. Sono infatti previsti 10 pullman da Firenze, 13 dall’Emilia Romagna, 10 dalla Calabria, 7 dalla Puglia mentre 200 delegati arriveranno dalla Sicilia e 1.500 dalle Marche. Da Napoli sono previsti 17 pullman e oltre 200 persone che arriveranno con i treni. Molto nutrita la rappresentanza degli Enti di ricerca che con striscioni e magliette ricordano la situazione drammatica in cui versano.
Roma, deviati bus per corteo studenti
Un corteo di studenti si sta muovendo a Roma da piazzale Aldo Moro in direzione di piazza della Repubblica, dove partirà una delle due manifestazioni in programma per la mattinata di oggi. I manifestanti raggiungeranno piazza della Repubblica passando per viale dell’Università, viale Castro Pretorio, poi via San Martino della Battaglia e piazza dei Cinquecento. Previste temporanee deviazioni per i bus in transito. Lo comunica l’Atac.
Pantaleo (Flc-Cgil): "Oggi in piazza per cambiare provvedimenti sbagliati"
"Ci aspettiamo una manifestazione pacifica, colorata e allegra, come quella del 30, che costringa il governo a cambiare dei provvedimenti sbagliati". così il segretario generale della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo ’presenta’ la manifestazione di Roma.
Civica (Uil): "Gelmini convinca governo a cambiare"
Un invito affinché il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini "convinca il governo a cambiare" i provvedimenti che riguardano l’Università e la ricerca è stato espresso dal segretario generale della Uil Università Alberto Civica, che questa mattina è in piazza, insieme alla Flc-Cgil.
I percorsi dei tre cortei a Roma
Tre i cortei previsti per manifestare contro la politica del governo in materia di università. Quello dei sindacati parte da piazza Bocca della Verità e si concude a piazza Navona. Due sono invece i cortei degli universitari di ’Roma Tre’ e de ’La Sapienza’ cui partecipano anche gli studenti medi, che partono uno da piazzale dei Partigiani e l’altro da piazzale Aldo Moro per raggiungere poi piazza della Repubblica e di lì proseguire per Termini, via Cavour, piazza Venezia e infine arrivare a piazza Navona.
Editoriale *
Scuola, Università, Ricerca hanno bisogno di riforme. Non di tagli né di privatizzazioni
Le ragioni dello sciopero che Gelmini non capisce
Scuola
Università
Afam
Ricerca *
Scuola, Università, Ricerca hanno bisogno di riforme. Non di tagli né di privatizzazioni
Il disastro di un mercato senza regole che si è abbattuto sulla finanza e sull’economia non ha insegnato niente. Eppure è evidente quanto questo disastro sia costato ai risparmiatori e sta costando al contribuente.
Affidare scuola e università al mercato - questa è la “riforma” Gelmini - significa distruggere il sistema pubblico di istruzione, negare ai più il diritto allo studio e l’accesso al sapere.
Il ministro dice che si è discusso anche troppo e che ora è il tempo di fare. Peccato che lei non abbia discusso con nessuno, neanche col Parlamento, e che la sua manovra interviene strutturalmente solo sulla parte che funziona: ha sbaraccato per decreto la migliore scuola elementare d’Europa e le esperienze pedagogico-didattiche migliori del mondo (il tempo pieno e l’inserimento dei diversamente abili). Per il resto solo tagli. Di riforme neanche a parlarne. Se scuola e università hanno bisogno di soldi si trasformino in fondazioni e si facciano finanziare da privati. Fine della pubblica istruzione, appunto.
Sulle cifre Gelmini continua a ripetere la sua litania di frasi a effetto e di bugie. Non è vero che la spesa per l’istruzione e per il personale in Italia è al di sopra della spesa Ocse, come non è vero che abbiamo il rapporto docenti-insegnanti più alto: è vero il contrario. E se è tanto preoccupata che gli insegnanti - ma non solo loro - sono malpagati, si disturbi a rinnovare i contratti.
La verità è che questo Governo non sopporta voci discordi. Berlusconi è da settimane in crisi isterica per una manifestazione del PD e Gelmini, nel suo piccolo, continua a negare che vi siano proteste di studenti, famiglie, lavoratori della formazione e della ricerca. E invece sono proprio una grande ola.
Sono tanto spaventati che qualcuno non la pensi come loro e che sia stufo di subire i loro soprusi che stanno mettendo mano persino al diritto di sciopero.
Ma cosa credono che noi italiani abbiamo l’anello al naso?
Beh, dimostriamogli che hanno capito male.
Scuola. Le ragioni dello sciopero che Gelmini non capisce
Con i decreti legge, la "fiducia" in Parlamento e il commissariamento delle Regioni il duo Gelmini/Tremonti" mette in atto lo smantellamento della scuola pubblica.
Il DL 112/08 (ora legge 133/08) prevede il taglio in tre anni di 8 miliardi di euro e di oltre 130.000 posti nella scuola statale nei prossimi tre anni.
Il DL 137/08 (in discussione al Senato) reintroduce il maestro unico facendo tornare indietro di decenni la scuola elementare.
Il DL 154/08 impone alle Regioni, pena il commissariamento, di procedere al dimensionamento e alla revisione della rete scolastica entro il 30 novembre 2008.
Il piano programmatico del Ministro Gelmini, in applicazione dei tagli previsti dal DL 112, prevede interventi sul numero di alunni per classe, sugli anticipi nella scuola dell’infanzia, sull’orario dei ragazzi, sui modelli di scuola, sui profili del personale ATA e sulla rete scolastica.
E chi ne pagherà maggiormente le conseguenze saranno i lavoratori precari licenziati in tronco (36.000 supplenze in meno - 27.000 docenti e 9.000 ATA solo nell’anno scolastico 2009-2010) per far quadrare i conti di Tremonti.
Il 30 ottobre lo sciopero e la manifestazione a Roma serviranno a far capire che sulla scuola non si procede con i diktat ma con la condivisione, non si procede con i tagli ma con gli investimenti, non si procede con la polizia ma con il dialogo.
A tutto questo si aggiunge la questione salariale e il rinnovo dei contratti.
Come fa il Ministro a non capire che con questi tagli non si riforma, ma si smantella?
Università. Le ragioni dello sciopero che Gelmini non capisce
Il Ministro Gelmini non capisce perché la contestano nelle Università, e in effetti lei non ha ancora emanato nessun provvedimento. Ci ha pensato però il Ministro Tremonti che, forse, nei 9 minuti a disposizione per far approvare la legge finanziaria dal Consiglio dei Ministri non ha fatto in tempo a spiegarglieli.
Fra l’altro il Ministro non conosce neanche i dati OCSE sulla ricerca pubblica e sull’università e cita dati falsi.
Lo sciopero indetto da FLC Cgil, Cisl Università e Uil PA-UR è contro i provvedimenti del Governo contenuti nella Legge 133/08 che distruggono l’Università pubblica:
il Fondo di Finanziamento Ordinario, già abbondantemente ridotto dai precedenti governi, è ulteriormente decurtato, e in realtà si riduce di un terzo; inoltre è ridotto il finanziamento del PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale);
la drastica riduzione delle assunzioni del personale docente e tecnico-amministrativo, dopo due anni di blocco dei concorsi e a fronte dell’elevato numero di precari che lavorano nelle università;
la possibilità di trasformazione degli Atenei in Fondazioni private, con la privatizzazione dei rapporti di lavoro, il conferimento dei beni dell’Università al nuovo soggetto privato e l’indeterminatezza degli organi di gestione degli Atenei, nessuna garanzia per la libertà di ricerca e di insegnamento;
l’inadeguatezza delle risorse per il rinnovo contrattuale del biennio 2008-2009 e gli attacchi al diritto alla salute da parte del Ministro Brunetta;
i Fondi del finanziamento del diritto allo studio sono stati ulteriormente ridotti con l’inevitabile un forte aumento delle tasse universitarie se gli Atenei diventassero fondazioni.
Tali provvedimenti vanno ben una pura manovra di risparmio e determinano uno scenario in cui sparisce l’università italiana come sistema nazionale tutelato dalla Costituzione, in cui il ruolo pubblico è elemento decisivo di garanzia per la libertà di ricerca e d’insegnamento e degli interessi generali del Paese.
La mancanza di risorse economiche e l’impossibilità di assumere impediranno il ricambio generazionale, aggravando il problema già insopportabile del precariato, e chiudendo le porte dell’università ad intere generazioni.
Il progetto del governo è molto chiaro: smantellare l’università pubblica che garantisce uguali opportunità a favore di poche università di eccellenza, determinando una situazione di divaricazione tra chi ha la possibilità economica di studiare nelle sedi più prestigiose e chi, anche se più meritevole, non ha questa possibilità.
Tutto questo non è riforma.
Afam. Le ragioni dello sciopero che Gelmini non capisce
Il Ministro dell’Università e della Ricerca si occupa dell’AFAM solo per chiudere i 70 conservatori distribuiti sul territorio nazionale e lasciarne 5 o 6 attivi. Quelli che saranno chiusi potranno passare agli enti locali, enti a cui sono già state abbondantemente tagliate le risorse.
I finanziamenti dei conservatori e delle accademie hanno compensato l’eliminazione dell’ICI e saranno ulteriormente decurtati dai fondi per salvare le banche.
La riforma prevista dalla legge 508/99 è ulteriormente rinviata per mancanza di risorse. Il Contratto è scaduto da 34 mesi e non ci sono le risorse, anzi sono stati ridotti i fondi per la contrattazione integrativa.
Ancora una volta la scelta di questo Governo è contro la conoscenza, contro il patrimonio culturale di una nazione, contro tutto quello che è pubblico e può favorire i meritevoli e non solo i ricchi.
Ricerca. Le ragioni dello sciopero che Gelmini non capisce
In tutti gli enti di ricerca il Ministro Gelmini, insieme ai suoi colleghi ministri, viene contestato, perché non considera la ricerca come un investimento per il futuro del Paese e le persone che operano in questo settore come una ricchezza da valorizzare.
Questo Governo, invece, sta realizzando un progressivo impoverimento della ricerca pubblica: le tabelle della finanziaria 2009 indicano, nei casi migliori, finanziamenti costanti in valore assoluto e, quindi, decrescenti in valore reale, ma spesso tagli, come è il caso dell’ENEA e del CRA.
Ancora più grave è la riduzione del personale attuata con la combinazione di diversi provvedimenti:
riduzione delle piante organiche del 10% con conseguente impossibilità di nuovi ingressi, in alcuni casi immediata, in altri tra uno o due anni;
il calcolo del turnover su base numerica (un’uscita = un nuovo ingresso) senza tenere conto che chi esce è in genere ai livelli di stipendio più elevati e potrebbe essere sostituito con più di una persona senza aggravi;
blocco delle stabilizzazioni al 30 giugno 2009, ma gli effetti potrebbero aversi subito, attraverso l’emendamento “ammazza precari”.
L’effetto principale di queste azioni è la cancellazione del futuro per quanti, giovani o meno giovani, operano da anni negli enti con ruoli importanti e con risultati che in altri paesi sarebbero considerati di eccellenza. Sono tempi determinati, assegnisti, borsisti, co.co.co., sempre tutti precari.
Il Ministro Gelmini, che si vanta di apprezzare i giovani, li sta cacciando dal mondo della ricerca e costringendo a cambiare mestiere o ad emigrare.
A tutto questo si aggiungono soppressioni, commissariamenti, ristrutturazioni degli enti di ricerca, in una logica di riduzione delle spese e in assenza di un progetto organico che riconosca la specificità del settore e nell’assoluto disprezzo dell’autonomia delle istituzioni di ricerca, garantita dalla Costituzione, e di chi opera nella ricerca, sancita dalla Commissione Europea.
Il 14 novembre la ricerca sciopera anche perché il contratto di lavoro è scaduto da 34 mesi.
SCUOLA: FAMIGLIA CRISTIANA, E’ SOLO TAGLIO SPESA GOVERNO RITIRI DL
NON E’ RIFORMA E NON GARANTISCE IL DIRITTO ALLO STUDIO
Roma, 27 ott. (Adnkronos) - Nel numero in edicola questa settimana, Famiglia cristiana critica il decreto Gelmini. "Non chiamiamo riforma un semplice taglio di spesa" e’ il titolo dell’editoriale d’apertura del giornale. "Nel mirino c’e’ una legge approvata di corsa, in piena estate. La dicitura e’ roboante: ’Riforma della scuola’; piu’ prosaicamente -si legge sul settimanale dei paolini- ’contenimento della spesa’, a colpi di decreti, senza dibattito e un progetto pedagogico condiviso da alunni e docenti. Non si garantisce cosi’ il diritto allo studio: prima si decide e poi, travolti dalle proteste, s’abbozza una farsa di dialogo. Il bene della scuola (ma anche del Paese) richiede la sospensione o il ritiro del decreto Gelmini. Per senso di responsabilita’", scrive il settimanale.
E ancora: "Un Paese che guarda al futuro investe nella scuola e nella formazione, razionalizzando la spesa, eliminando sprechi, privilegi e ’baronie’ nonche’ le ’allegre e disinvolte gestioni’. Ma i tagli annunciati sono pesanti: all’universita’ arriveranno 467 milioni di euro in meno. Nei prossimi cinque anni il Fondo di finanziamento si ridurra’ del 10 per cento. Solo il 20 per cento dei professori che andranno in pensione verra’ sostituito. Come dire: porte chiuse all’universita’ per le nuove generazioni".
"Un Paese in crisi trova i soldi per Alitalia e banche: perche’ non per la scuola? Si richiedono sacrifici alle famiglie, ma costi e privilegi di onorevoli e senatori -sottolinea Famiglia cristiana- restano intatti. Quando una Finanziaria s’approva in nove minuti e mezzo; quando, furtivamente, si infilano emendamenti rilevanti tra le pieghe di decreti legge, il Parlamento si squalifica". E per il futuro non mancano le preoccupazioni: "Ci siamo appena distratti, che gia’ un’altra norma ’razziale’ impone ai medici di denunciare alla polizia gli immigrati clandestini che bussano al pronto soccorso".
Messaggio al Presidente della Repubblica: NON FIRMI IL DECRETO GELMINI!
Scriviamo tutti insieme al Presidente della Repubblica
Scriviamo al Presidente della Repubblica chiedendo di non firmare il decreto Gelmini; sul sito del Quirinale stanno arrivando migliaia di questi messaggi!
https://servizi.quirinale.it/webmail/
IO L’HO FATTO!
ECCO IL TESTO:
Esimio Presidente della Repubblica, come docente/genitore e soprattutto cittadino italiano le chiedo di fermare lo smantellamento della scuola pubblica ad opera del Decreto Legge 137.
In fede
Firma
La protesta di migliaia di ragazzi, 300mila secondo l’Uds. Numerose manifestazioni contro il ministro Gelmini. Lo slogan: "Non è che l’inizio"
Studenti in piazza in tutta Italia
Cortei a Roma, Milano e in 100 città
Contro il decreto la Toscana ricorre alla Corte Costituzionale
ROMA - "Non è che l’inizio": questo striscione ha aperto questa mattina i cortei in più di cento città d’Italia organizzati dall’Unione degli studenti contro il decreto Gelmini. Manifestazioni a suon di musica, con tanti ragazzi che hanno portato chitarre, tamburi e fischietti ’’per suonarle alla Gelmini’’. Trecentomila i giovani che hanno aderito secondo l’Uds che ha fornito dati dettagliati anche per le singole città: a Roma in 40.000 hanno preso parte alla manifestazione, 30mila a Milano, 40mila a Napoli e altrettanti a Torino, 15mila a Salerno, Firenze e Genova, 10mila a Bologna, Bari e Trieste, 2mila a Brindisi, 3mila a Bergamo. Altre migliaia di studenti hanno manifestato nelle altre città.
Gli studenti sono scesi in piazza per protesta contro il ministro dell’Istruzione e per replicare con cinque no alle innovazioni e ai provvedimenti più contestati: i tagli per 8 miliardi di euro all’istruzione con la conseguente riduzione del personale docente e non, il maestro unico, l’abbassamento dell’obbligo scolastico dai 16 anni ai 14, i finanziamenti alle strutture private e il voto in condotta. L’Unione degli studenti, che ha promosso la protesta, ha reso noto che il 30 ottobre sarà di nuovo in piazza accanto ai lavoratori delle scuole nello sciopero generale proclamato dai sindacati. La mobilitazione degli studenti, ha concluso l’Uds, culminerà nella settimana del 17 novembre, giornata internazionale di mobilitazione studentesca. In molte città, le manifestazioni si sono svolte insieme agli studenti universitari (Udu), anch’essi critici verso le iniziative dell’esecutivo nei confronti degli atenei; contestano, in particolare, il numero chiuso, il blocco delle assunzioni, le poche risorse.
A Roma gli studenti si sono dati appuntamento in piazza di Porta San Paolo dove verso le 10 è partito il corteo diretto al ministero della Pubblica istruzione in viale Trastevere. Fuori dalla sede i ragazzi hanno occupato le scalinate del palazzo ballando e cantando a ritmo di musica, ma anche protestando attraverso microfoni e megafoni mentre una delegazione di cinque rappresentanti è stata ricevuta all’interno da due dirigenti. Numerosi gli slogan cantati dagli studenti tra cui "Gelmini ministro della d-istruzione" e "Chi non salta la Gelmini è". Nel corteo bandiere, striscioni, cori e volantini contro il governo, il ministro Gelmini e il sindaco di Roma Alemanno.
Anche a Milano lo striscione "Non è che l’inizio" apre il corteo, accompagnato da un furgone che diffonde musica a pieno volume dietro al quale migliaia di ragazzi delle scuole superiori sono partiti verso il parco Ravizza, nei pressi del provveditorato agli studi di Milano in via Ripamonti. La proposta pensata per arginare il fenomeno del bullismo è stato protagonista di numerosi cori: "Con il voto di condotta - gridano gli studenti - ci tappano la bocca". A Milano, a testimoniare i possibili effetti della riforma, in testa al corteo viene trasportata da due giovani una bara nera con la scritta "scuola".
Anche a Napoli migliaia di studenti hanno aderito al corteo di protesta partito da piazza Garibaldi. A Palermo gli studenti si sono dati appuntamento in piazza Politeama, da lì è partito il corteo verso la prefettura, a suon di musica e slogan scanditi o impressi sugli striscioni, per chiedere un incontro con il prefetto Giancarlo Trevisone, cui chiederanno di farsi portavoce del malessere della scuola e degli studenti palermitani. Promotori della manifestazione sono la Rete Degli Studenti e i Giovani Comunisti che parlano di "demolizione della scuola pubblica" riportata "a quarant’anni fa attraverso il ripristino dei grembiuli alle elementari, del maestro unico e del 5 in condotta".
A Genova i giovani di una quindicina di scuole superiori, mobilitati dall’Unione e dal Coordinamento degli studenti, hanno sfilato in corteo fino a raggiungere l’ufficio scolastico regionale in via Assarotti, provocando anche disagi alla circolazione stradale. Nel corso della manifestazione, tra striscioni quali "Scuole come prigioni ci avete rotto i ...", ci sono stati numerosi lanci di fumogeni, sono volati insulti contro il ministro e slogan come "Se non cambierà lotta dura sarà". Alcuni indossavano una maglietta "Moratti+Fioroni+Gelmini= scuola senza cervelli".
A Firenze una bara nera con il necrologio "Qui giace l’università pubblica" ha sfilato in corteo per le vie del centro insieme agli studenti che urlavano slogan "contro la scuola dell’indecenza ora e sempre Resistenza" e poi ancora "non chino la testa continuo la protesta". Studenti liceali, universitari, dottorandi e ricercatori tutti insieme a urlare "contro la 133 tutti uniti senza bandiere né partiti". Hanno sfilato anche studenti liceali col grembiule nero e ricercatori in camice bianco con il lutto al braccio.
E sempre a Firenze l’assessore toscano all’istruzione, formazione e lavoro, Gianfranco Simoncini, ha ribadito oggi che farà ricorso alla Corte Costituzionale per difendere le proprie competenze in materia di istruzione. "E’ un atto arrogante, irresponsabile, irrispettoso e illegittimo, contro il quale ci opporremo con ogni mezzo, compreso il ricorso alla Corte Costituzionale" ha commentato Simoncini a proposito dell’articolo 3 del decreto legge 154 con il quale il governo impone alle Regioni di attenersi alle sue recenti decisioni per quanto riguarda il dimensionamento scolastico, dà loro una scadenza ravvicinata (il 30 novembre) e prevede, per le Regioni inadempienti, il ricorso al commissariamento. Le Regioni e gli Enti locali che ancora non lo hanno fatto avrebbero appena quindici giorni di tempo per mettersi in linea con i parametri, come noto molto restrittivi, della legge 133 dello scorso agosto, parametri che si prevede produrranno consistenti tagli al numero di scuole e classi.
* la Repubblica, 10 ottobre 2008.
Assemblea delle scuole del milanese
DICONO CHE UNA BUONA SCUOLA PER TUTTI E PER TUTTE È UN LUSSO CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE.
E I BAMBINI E LE BAMBINE? BASTA CHE SAPPIANO LEGGERE, SCRIVERE
E FAR DI CONTO.
PER QUESTO HANNO DECISO DI DISTRUGGERE
LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE.
NOI NON CI STIAMO
La mappa della protesta
Università, cortei e occupazioni
Scuola, migliaia di email al Quirinale: non firmi il decreto. Napolitano: decide l’Aula
MILANO - Alle 11, davanti all’università Statale di Milano, gli studenti «contestatori» sono un centinaio. Raggiungono i piani alti dell’ateneo. Per un’ora occupano l’ufficio del rettore, Enrico Decleva. Gli chiedono (senza riuscirci) di firmare contro «la scure della coppia Tremonti-Gelmini», pena lo stop alle lezioni. Anche Roma protesta: «Blocco dell’anno accademico», annunciano i collettivi della Sapienza occupando la presidenza di Scienze. E così fanno Torino, Napoli, Palermo. No ai tagli all’università. Ma anche il mondo della scuola torna (di nuovo) a farsi sentire. Con una valanga di email che da qualche giorno sta intasando il sito del presidente della Repubblica: «No al maestro unico». Una giornata per contestare il crollo dei finanziamenti destinati ad atenei e accademie, la riduzione delle borse di studio, la «precarizzazione» del corpo docente. No alla legge 133/2008. Lo gridano gli studenti, lo ripetono ricercatori, dottorandi, assegnisti, professori. Di tutta Italia.
Tanto da azzardare un paragone: il 2008 come il ’68? Presto per dirlo. Ma le premesse, giurano in molti, ci sono tutte. Le proteste: blocco della didattica a Firenze e Napoli, stop alle cerimonie di apertura dell’anno accademico a Torino, volantinaggi con conseguenti ingorghi del traffico a Parma, consigli straordinari a Pisa, lezioni all’aperto a Palermo, raccolte di firme a Roma. A Cagliari i docenti hanno consegnato le rinunce agli incarichi di presidenza, mentre negli atenei calabresi è stato proclamato lo stato di agitazione. I
l mondo dell’istruzione mobilitato: un tam-tam che passa per le aule, tocca le famiglie, scova professori, raggiunge riunioni di Senato Accademico (oggi a Milano è previsto l’«assalto» da parte dei ragazzi e dei ricercatori). E arriva fino al Quirinale. Via internet. Il ritmo è di una email ogni due-tre minuti (c’è quella inviata dalla scrittrice Dacia Maraini). Il testo: «Presidente Napolitano non firmare la legge Gelmini sul maestro unico». Un appello senza precedenti: migliaia di sms che da qualche giorno rimbalzano sui telefonini di tutto il Paese. Istruzioni: «Vai sul sito www.quirinale.it e scrivi al presidente della Repubblica di non firmare il decreto Gelmini».
Qualcuno altro si è spinto oltre: «Se raggiungeremo quota ventimila mail, il capo dello Stato dovrà tenere conto del nostro appello». Ipotesi remota. Anzi, Napolitano è stato costretto a ricordare, pubblicamente, i suoi compiti. «La riforma della scuola è ancora all’esame del Parlamento. Inoltre, secondo la Costituzione, è proprio del Parlamento la responsabilità delle scelte politiche». E dunque: «Il presidente ha, in ogni caso, l’obbligo di promulgare le leggi, qualora le stesse siano nuovamente approvate, anche nel medesimo testo».
Altra protesta virtuale, altrettanto veloce e numerosa: su Facebook sono più di undicimila gli italiani che hanno aderito all’iniziativa di sostegno all’istruzione pubblica contro la legge 133. Le motivazioni: «Questo governo vuole ridurre i fondi alle università di 500 milioni di euro nei prossimi tre anni, limitare il turnover al 20 per cento dei pensionamenti provocando un’inevitabile fuga di cervelli».
Elementari, medie, accademie. La rivolta cresce. Dagli Stati Generali degli atenei agli scioperi di venerdì 17 e di giovedì 30. Perfino Alessandro Mazzucco, rettore a Verona, osserva: «Se le cose continueranno a seguire questa direzione, nel 2010 tutte e 66 le università statali italiane saranno in emergenza».
Alessandra Arachi
Annachiara Sacchi
* Corriere della Sera, 14 ottobre 2008
’’Migliaia di scuole resteranno chiuse’’
Scuola, ’’venerdì una marea in sciopero e in corteo’’
Lo annunciano i Cobas: ’’Attesi a Roma centinaia di pullman, treni e navi. Molti operai sciopereranno in difesa dei salari, dei servizi pubblici e contro lo scandalo delle morti bianche’’
Roma, 15 ott. (Adnkronos) - ’’Lo sciopero generale del 17 ottobre sarà il più partecipato di tutta la storia del sindacalismo antagonista e la manifestazione nazionale di Roma (da piazza della Repubblica, ore 10, a S.Giovanni) la più grande che abbiamo mai organizzato’’.
Così il portavoce nazionale dei Cobas della Scuola, Piero Bernocchi, parla della mobilitazione prevista per dopodomani sottolineando come ’’da tutta Italia una marea di lavoratori e lavoratrici convergerà a Roma con centinaia di pullman, treni, navi e con migliaia di automezzi privati’’.
’’Massiccia - prosegue Bernocchi - sarà sopratutto la presenza del popolo della scuola pubblica, docenti, Ata, studenti, genitori e cittadini impegnati a difendere e a migliorare la scuola, a impedirne la distruzione programmata da Tremonti-Gelmini, i catastrofici tagli di duecentomila posti di lavoro, di scuole, classi, orari, la riesumazione della anacronistica ’maestra unica’, l’espulsione in massa dei precari.
Migliaia di scuole resteranno chiuse e la maggioranza di docenti ed Ata non farà per 24 ore lezione’’. ’’Essi -aggiunge il leader dei Cobas- si raccoglieranno in testa al corteo, che sara’ aperto dallo striscione ’Basta con la distruzione di lavoro, salari, scuola e servizi pubblici’ e da uno spezzone unitario con le bandiere e gli obiettivi delle tre organizzazioni promotrici (Cobas, Cub e SdL). Il popolo della scuola pubblica sfilerà dietro lo striscione ’No alla distruzione della scuola’’’.
’’Insieme ad esso -prosegue Bernocchi- saranno in piazza tantissimi lavoratori/trici che trovano intollerabile che il governo, mentre decide di investire somme stratosferiche per salvare le banche fraudolente e i banchieri corsari, continui a tagliare posti di lavoro, salari, scuola e servizi pubblici. Oltre alla scuola, lo sciopero coinvolgerà sopratutto il pubblico impiego e i trasporti: nelle citta’ i mezzi pubblici si fermeranno con modalità differenti (a Roma dalle 8.30 alle 16.30), i ferrovieri dalle 9 alle 17, il trasporto marittimo dalle 8 alle 16, quello aereo tra le 10 e le 18’’.
’’Ma anche molti operai sciopereranno in difesa dei salari, della scuola e dei servizi pubblici, contro l’orrenda strage che ogni giorno gli omicidi ’bianchi’ compiono nei posti di lavoro. Sarà una grande iniezione di fiducia -conclude Bernocchi- per quei milioni di cittadini/e che vogliono invertire radicalmente le catastrofiche politiche liberiste che da decenni provocano l’impoverimento dei salariati e dei pensionati e la disgregazione della Stato sociale, della scuola e dei servizi pubblici’’.
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l’11 febbraio 1950
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Pubblicato nella rivista Scuola Democratica, 20 marzo 1950
LA SCHEDA.
Tutti i motivi di una protesta che da settimane
mobilita insegnanti, alunni e genitori. E i testi delle leggi
Dal maestro unico ai precari
le leggi al centro della protesta
di SALVO INTRAVAIA *
Dal maestro unico ai precari degli enti di ricerca: ecco tutti i motivi di una protesta che da settimane porta in piazza insegnanti, alunni e genitori, tutti contro il ministro dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini.
Il maestro unico. Il ripristino del maestro unico nella scuola primaria sin dal prossimo anno scolastico è uno dei temi che mette d’accordo insegnanti, genitori e buona parte dei pedagogisti. Il team (tre insegnanti che operano su due classi) ha portato la scuola elementare italiana ai primi posti nelle classifiche internazionali. Il nostalgico ritorno al maestro unico, spiegano i sindacati, è dettato soltanto da "necessità di cassa" e accorcerà il tempo scuola a 24 ore settimanali: 4 ore e mezzo al giorno (il testo della legge)
I tagli agli organici della scuola. I pessimisti parlano di smantellamento della scuola pubblica italiana, il governo parla di tagli per eliminare gli sprechi. Sta di fatto che la Finanziaria estiva prevede una autentica cura da cavallo per il personale della scuola. Una serie di "operazioni", come quella del maestro unico o la riduzione delle ore di lezione alla media e al superiore, consentiranno all’esecutivo di tagliare 87 mila e 400 cattedre e 44 mila e 500 posti di personale Ata: amministrativo, tecnico e ausiliario. Saranno i 240 mila docenti precari delle graduatorie provinciali a pagare il salatissimo prezzo della "razionalizzazione" delle risorse e gli 80 mila Ata che ogni anno consentono alle scuole di funzionare (il testo della legge)
Le classi per gli alunni stranieri. La creazione di classi differenziate per gli alunni stranieri, "rei" di rallentare i processi di apprendimento degli alunni nostrani, non era messa in conto. Ma da quando la Lega ha preteso e ottenuto l’approvazione di una mozione che istituisce di fatto le classi "per soli stranieri" la questione si aggiunge al lungo elenco di motivazioni che portano il mondo della scuola a protestare (il testo della mozione)
La chiusura delle scuole. Per rastrellare alcune centinaia di posti di dirigente scolastico e, bidello e personale di segreteria il ministro Gelmini ha imposto alle regioni, che si sono ribellate, di mettere mano ai Piani di dimensionamento delle rete scolastica. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici di viale Trastevere, una consistente fetta delle 10.766 istituzioni scolastiche articolate in quasi 42 mila plessi scolastici va tagliata. Così circa 2.600 istituzioni scolastiche autonome rischiano di essere smembrate e accorpate ad altri istituti. Ma quello che preoccupa maggiormente gli amministratori locali è che il ministero vorrebbe cancellare dalla mappa scolastica del Paese circa 4.200 plessi con meno di 50 alunni.
Il contratto dei prof. Non è uno dei punti più indagati dai media ma i sindacati ricordano al governo che maestri e prof hanno il contratto scaduto da 10 mesi. E in tempi di tempeste finanziarie e inflazione galoppante la questione appare di un certo rilievo.
Il provvedimento "ammazza precari" degli enti di ricerca. Il tourbillon tocca anche le università e gli enti di ricerca dove la protesta ha già dato luogo ad occupazioni e manifestazioni che vedono gomito a gomito studenti e professori, a partire dalla legge 133 sui precari (il testo).
In base a un disegno di legge, già approvato dalla Camera, che contiene una norma sulla stabilizzazione dei precari, 60 mila cervelli nostrani che fino ad oggi hanno lavorato presso università ed enti di ricerca rischiano di vedere andare in fumo i loro sogni. Se gli enti da cui dipendono non riusciranno a stabilizzarli entro il 30 giugno 2009 dovranno trovarsi un’altra sistemazione: magari all’estero (il testo del provvedimento)
La privatizzazione delle università. La coppia Tremonti-Gelmini, secondo studenti e mondo accademico, ha messo al collo degli atenei un autentico nodo scorsoio che li metterà nelle mani dei privati. Il decreto-legge 112 prevede la riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo di finanziamento ordinario e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento. Un combinato che farà mancare l’ossigeno agli atenei e li costringerà, anche attraverso la trasformazione in Fondazioni, a cercare capitali privati.
Il turn over "col contagocce". Ogni cinque professori universitari che andranno nei prossimi anni in pensione gli atenei potranno assumere un solo ricercatore. Quella di entrare stabilmente nel mondo universitario, per migliaia di precari già in forze presso gli atenei, diventa un autentico miraggio. Per questo gli studenti dell’Unione degli universitari hanno coniato lo slogan "sorridi ... se ci riesci".
* la Repubblica, 17 ottobre 2008 - (ripresa parziale: per vedere i testi di legge citati, andare all’art. - cliccando sul rosso)
Dopo la pausa del fine settimana, domani torna la protesta in tutta Italia
E sui cellulari degli studenti romani delle superiori rimbalza un messaggino
Scuole, la protesta corre via sms
"Vediamoci lunedì per occupare"
Davanti Montecitorio studenti e professori di Fisica terranno lezione all’aperto
L’Udu: "Proseguire fin quando gli articoli 6 e 66 della 133/08 verranno abrogati"
ROMA - "Vediamoci domani davanti scuola per occupare". E’ l’sms che sta girando in queste ore sui telefonini degli studenti romani delle superiori. Sia nella capitale che nel resto della penisola molti istituti sono già occupati. Ma dopo le mobilitazioni di studenti e professori delle università e delle scuole ’di ogni ordine e grado’, culminate nella partecipazione al corteo dei sindacati autonomi di venerdì scorso, sempre più istituti e atenei in tutta Italia si stanno organizzando per opporsi alla riforma Gelmini.
Il ministro, che oggi è stata rinfrancata dagli applausi dei ragazzi del "movimento studentesco padano" riuniti a Milano, domani sarà in visita al rettorato dell’università di Palermo. Ed è tornata a dire: "Nessun taglio, solo razionalizzazioni". Troverà comunque ad accoglierla un corteo di protesta degli studenti, per ribadire il no al decreto di riforma dell’Università. La manifestazione partirà da viale delle Scienze e si concluderà davanti allo Stera, la sede del Rettorato a piazza Marina. Per martedì 21 è stato indetto un altro corteo e dovrebbero essere sospese le lezioni in tutte le facoltà.
A Parma sono in programma due assemblee per gli studenti: la prima domani dalle 11 alle 13 nella Facoltà di Psicologia e la seconda martedì alle 18 nella facoltà di Lettere. A Pisa per il 23 ottobre alle 15 è indetta una manifestazione cittadina. Nella città toscana da una settimana studenti, ricercatori e docenti si riuniscono in assemblea permanente nel’aula filologia 8, presso il cubo 28B.
Una manifestazione di protesta contro la riforma della scuola si svolgerà domani mattina a Reggio Calabria nei pressi del liceo scientifico ’Leonardo Da Vinci’. L’iniziativa è organizzata dagli studenti della Federazione Giovanile dei Comunisti Italiani e del movimento Taglia La Gelmini.
A Roma niente protesta nel fine settimana all’Università La Sapienza: si è di-soccupato venerdì sera, per ri-occupare lunedì mattina, quando si terranno assemblee in tutte le facoltà per pianificare le prossime giornate di protesta. E seguendo l’esempio di altri colleghi in diverse città italiane, domani, gli studenti del dipartimento di Fisica, insieme con alcuni docenti, faranno lezione all’aperto sotto Montecitorio, per dare seguito, si spiega in un comunicato, "alla straordinaria settimana di mobilitazione alla Sapienza".
I tagli alla scuola arrivano anche sui banchi del consiglio comunale di Reggio Emilia. Infatti, domani, saranno all’esame dell’assemblea di sala del Tricolore, due mozioni di iniziativa popolare, ognuna sottoscritta da oltre 300 cittadini, proposte da un gruppo di coordinamento di insegnanti e genitori.
A Napoli, domani mattina, assemblea nella sede della facoltà di Sociologia della Federico II. Poi, martedì, gli universitari hanno organizzato un corteo che sfilerà per le strade del centro storico. Sempre martedì, la Sinistra democratica darà vita a un’assemblea pubblica "contro la distruzione della scuola pubblica e dell’Università".
"Lo stato di agitazione diffuso evidenzia la volontà di non fermarsi in questa mobilitazione che si espande e cresce di forza ogni giorno sempre di più - spiega una nota dell’Unione degli universitari -. Vogliamo proseguire questo percorso fino a quando gli articoli 6 e 66 della legge 133/08 verranno abrogati".
"Io non difendo la scuola così com’è. Ma è intollerabile e inaccettabile che in un Paese come l’Italia si possano tagliare 8 miliardi per l’istruzione e pensare a classi separate", ha detto Walter Veltroni, ospite del programma condotto da Fabio Fazio Che tempo che fa (stasera su Rai Tre), rispondendo alle domande sulla riforma del ministro Gelmini. In particolare la proposta di istituire classi separate per i bambini stranieri rappresenta, per il segretario del Pd, uno dei tanti "piccoli slittamenti che progressivamente ci portano a ben altro. Resta importante garantire la sicurezza dei cittadini e anche l’integrazione".
* la Repubblica, 19 ottobre 2008
Ansa» 2008-10-20 15:37
SCUOLA: RIPARTE PROTESTA CONTRO DL GELMINI
ROMA "Il 23 ottobre occuperemo le entrate delle nostre scuole per sbarrare la strada alla riforma e ai tagli con tutta la nostra creatività e voglia di cambiamento". E’ quanto annuncia la Rete degli Studenti, spiegando che sono in programma assemblee e sit-in che si svolgeranno davanti alle scuole a Torino, Verona, Vicenza, Treviso, Padova, Venezia, Siracusa, Bergamo, Cuneo, Prato, Massa, Pisa, Teramo, Frosinone, Roma, Catania, Savona, Reggio Emilia. "Teniamo fuori la Gelmini dalle nostre scuole, perché le scuole sono nostre e vogliamo essere noi a cambiarle. In questi giorni tante scuole e università sono in agitazione per opporsi al progetto di demolizione dell’istruzione pubblica del governo. Rispondiamo alla violenza della maggioranza parlamentare e della Gelmini tenendo vive le nostre scuole, in particolare nei giorni in cui il decreto 137 verrà approvato al Senato", conclude la Rete.
SIT IN A MILANO, BRUCIATA COPIA DL GELMINI
MILANO - Una copia del dl di riforma della scuola voluta dal ministro all’Istruzione, Maria Stella Gelmini, é stata bruciata davanti Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, dove oggi oltre 200 studenti delle superiori del capoluogo lombardo hanno dato vita a un sit-in organizzato in risposta alle dichiarazioni dello stesso ministro e del vicesindaco di Milano Riccardo De Corato nelle ore successive al corteo di venerdì scorso. Arrivati poco dopo le 9,30, gli studenti hanno esposto alcuni striscioni sulle transenne di fronte al Palazzo Marino e, accompagnati dalla musica di un Dj set improvvisato, hanno bruciato una copia del decreto Gelmini contestato. "E’ una risposta spontanea alle dichiarazioni del ministro che ci accusa di non essere informati - spiega Gianmarco del coordinamento dei collettivi studenteschi di Milano e provincia -. Ma il dl parla da solo. E’ una risposta anche a De Corato che ha affermato che é inamissibile bloccare la città ogni settimana. Noi se vogliamo possiamo scendere in strada ogni giorno. Ne abbiamo solo da guadagnare perché la scuola pubblica è ormai allo sbando". Molti gli striscioni contro la riforma. "Omero chiuso per lutto si ribella al ministro della pubblica (d) istruzione", recitava uno striscione appeso dagli alunni del liceo Classico Omero di Bruzzano, nel milanese, arrivati numerosi.
LIVORNO: 8 MILA STUDENTI IN PIAZZA CONTRO LA GELMINI
LIVORNO - Almeno 8 mila studenti hanno partecipato stamani a una manifestazione che ha attraversato le vie del centro per protestare contro la riforma Gelmini. Il corteo si è svolto senza incidenti e vi hanno preso parte ragazzi delle scuole superiori provenienti da tutta la provincia che hanno scandito slogan a difesa della scuola pubblica e contro il ministro dell’Istruzione. Gli studenti hanno poi raggiunto la Fortezza Nuova dove si sono riuniti in assemblea.
A NAPOLI ASSEMBLEA LICEALI IN PIAZZA CONTRO RIFORMA
NAPOLI - Protesta degli studenti, a Napoli, contro la riforma Gelmini. Gli alunni del liceo classico Genovesi, dopo aver tentato un’occupazione dell’istituto, hanno indetto, in piazza del Gesù, un’assemblea pubblica. "Sarà un incontro a cui prenderanno parte studenti e docenti - spiegano i liceali napoletani - un’assemblea come quelle che si stanno organizzando a Roma per dire il nostro no alla riforma. Il nostro slogan? Studenti contro la Gelmini". Oggi, sempre a Napoli, gli studenti universitari terranno un’assemblea nella sede della facoltà di Sociologia della Federico II.
UNIVERSITA’: GIORNATA DI MOBILITAZIONE DA NORD A SUD
ROMA . Giornata di mobilitazioni negli atenei di molte regioni, in agitazione per esprimere la contrarietà rispetto alla legge 133 che "mira a stravolgere il sistema universitario e il suo carattere pubblico". E’ quanto afferma l’Unione degli studenti universitari, spiegando che iniziative sono in corso, o previste per le prossime ore, a Palermo, Pavia, Ancona e Ferrara. A Palermo, tra l’altro, è in programma un’Assemblea d’ateneo che lancerà le assemblee di tutte le 12 Facoltà prevista per il giorno dopo che si chiuderanno in un corteo. Anche a Pavia ci sarà un’assemblea con la partecipazione di dottorandi, ricercatori, docenti, organizzata dal Coordinamento per il diritto allo studio-Udu Pavia in collaborazione con varie realtà studentesche territoriali, in contemporanea con il Senato Accademico dove i rappresentanti dell’Udu-Pavia presenteranno un Odg contro la 133/08. A Ferrara l’inaugurazione dell’anno accademico sarà anticipata da una Contro-inaugurazione organizzata. Stasera è prevista una fiaccolata organizzata dalla Rua-Udu Ferrara con Cgil, Cisl e Uil. Nel primo pomeriggio ad Ancona si terrà una Assemblea di ateneo molto attesa nella Facoltà di Medicina organizzata dal Gulliver-Udu Ancona. L’Unione degli Universitari, nel percorso di mobilitazione condiviso con varie associazioni studentesche locali, continua le contestazioni negli Atenei per opporsi allo smantellamento dell’Università. Gli studenti che partecipano alle mobilitazioni indosseranno "un nastro rosso contro la privatizzazione" per esprimere anche simbolicamente la contrarietà all’intenzione governativa di privatizzare gli Atenei.
STUDENTI DI FORZA NUOVA CONTRO LA GELMINI
Gli studenti medi, superiori ed universitari legati al movimento politico Forza Nuova annunciano la "loro partecipazione agli scioperi ed alle proteste studentesche in corso in questi giorni". "La contestazione - è detto in una nota - non è monopolio di sinistra, e a contestare la Gelmini ci sono anche le sigle Lotta Studentesca e Destra Universitaria, appartenenti a Forza Nuova. Auspichiamo che la mobilitazione anti-Gelmini veda tutte le forze in campo, politiche, sindacali, organizzazioni di base, mature nel gestire i contenuti della manifestazione con una certa severità. Mai come oggi una battaglia di questo tipo ha bisogno di un’unità che sacrifichi anche le diverse appartenenze e riesca a sintetizzare in un unico ’edificio’ i vari mattoni che lo compongono. Da parte nostra non c’é nessuna preclusione. Siamo disposti a dibattere anche con nostri avversari storici", conclude la nota.
AZIONE STUDENTESCA, CONTRO GELMINI UNA MINORANZA
"Contro la Gelmini una minoranza organizzata, gli studenti liberi sono contro la casta dei professori". E’ quanto afferma Azione Studentesca, annunciato che la raccolta di firme "Basta prof incompetenti, più potere agli studenti", nelle ultime due settimane ha raccolto firme in 40 scuole di Roma, raccogliendo ben 8.000 firme. "Il numero di firme raccolte dimostra come in realtà gli studenti che scendono in piazza contro la Gelmini siano una minoranza organizzata, figlia di una certa logica di sindacato - dichiara Andrea Moi di Azione Studentesca - gli studenti liberi sanno che il problema sono i professori. Sanno, anche a differenza dei professori del Liceo Russel, che insultano e provocano i nostri ragazzi mentre volantino, che questa è una campagna provocatoria che ha l’intento di spostare l’attenzione dai non problemi sollevati da altri ai reali problemi della scuola italiana. E forti del consenso della maggioranza degli studenti, non ci fermeremo, anzi nelle prossime settimane ne faremo delle belle".
ANSA» 2008-10-22 10:05
SCUOLA, VELTRONI: GOVERNO RITIRI DECRETO GELMINI E I TAGLI
ROMA - Alle proteste così ampie e diffuse contro la riforma della scuola, il governo dovrebbe "ritirare il decreto Gelmini e le misure con i tagli alla scuola e all’università", dandosi comunque degli "obiettivi di finanza pubblica" che affrontino il problema della diminuzione della spesa. Lo ha detto il segretario del Pd, Walter Veltroni, intervenendo a Radio anch’io.
SACCONI, GIOVANI PRESUNTUOSI, MONDO AUTOREFERENZIALE - Le proteste di questi giorni contro il decreto Gelmini sono guidate da "giovani presuntuosi e politicizzati", frutto di una scuola e di una università "autoreferenziali" nate negli anni Settanta. Lo ha affermato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nel corso di VivaVoce su Radio24. Secondo Sacconi le proteste sono dettate dal "pregiudizio: si tratta di minoranze politicizzate, con giovani presuntuosi che talora guidano queste manifestazioni. Presuntuosi perché presumono di avere capito tutto. Sono politicizzati: peccato però che non facciano il loro interesse e quello della loro generazione, che dovrebbe essere quello di contestare una scuola e un’università molto autoreferenziali, rese così dai loro padri" negli anni Settanta, che vi hanno introdotto "una sorta di nichilismo nella nostra società". Secondo il ministro, inoltre, "non è un caso che le maggiori criticità si trovino nel sistema educativo dove c’é una generazione di docenti cinica e autoreferenziale". Bisognerebbe invece preoccuparsi del fatto, conclude, che "in Italia ci si laurea mediamente a 28 anni, ma non in ingegneria, in scienze della comunicazione".
(di Tiziana Caroselli)
ROMA - La miccia l’ha accesa il Governo - prima con i tagli della Finanziaria poi con il decreto che ripristina il maestro unico alle elementari - e ora il mondo dell’istruzione è una polveriera pronta ad esplodere. Partita in sordina, la protesta - alimentata anche dalla rigidità della maggioranza su alcune questioni e da incursioni a gamba tesa come quella della Lega che ha proposto classi "a parte" per gli studenti immigrati - sta dilagando, dalle elementari alle università. E oggi il livello del contrasto si è alzato: a Milano, in uno scontro tra studenti e forze dell’ordine ci sono scappati feriti e contusi. Insomma, dalle scaramucce si rischia di passare al conflitto vero. Una gatta da pelare non da poco per il ministro Mariastella Gelmini che sapeva, sì, di occupare una poltrona scomoda, ma forse non si aspettava che le sue "riforme" avrebbero sollevato un polverone simile. Forse per questo ora, dopo aver parlato fino a ieri di "frange minoritarie" di contestatori, torna sui suoi passi. In un’intervista a un settimanale assicura che le ragioni della protesta le interessano: "So fare autocritica, mi va bene il confronto anche quando è aspro. Sono una donna determinata, non una panzer ottusa". Oggi a dare man forte al ministro Gelmini è sceso di nuovo in campo il Premier, Silvio Berlusconi, puntando l’indice sulla disinformazione - "é una cosa inaccettabile che si strumentalizzino anche i bambini e che su molti mezzi di informazione si dicano tante falsità, come quelle sul tempo pieno" - e sottolineando come "i problemi si risolvono solo in un modo, nel nostro modo, lavorando tutte le ore, tutti i giorni, tute le settimane. Non è andando in piazza per manifestare contro non si sa che cosa o contro le riforme per ammodernare il Paese che si risolvono i problemi".
La situazione è critica e una delegazione di studenti, incontrando stamani a "La Sapienza" di Roma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli ha consegnato una lettera in cui chiede al Capo dello Stato di "prendere posizione, affinché il carattere pubblico della formazione non venga definitivamente dismesso". Il presidente, pur assicurando che l’università "é una priorità del Paese", ha ribadito che la sua funzione "non è politica", promettendo di rispondere ai ragazzi, secondo quanto riferito dal rettore Frati, "con la sua responsabilità morale, nei modi consentiti". Intanto, però, la protesta continua: un centinaio di studenti ha fatto irruzione nel rettorato dell’università di Bologna e poi ha occupato simbolicamente il primo binario della stazione; oltre 40 mila persone hanno sfilato a Firenze ("la ricerca si fa non si distrugge", "Gelmini sei, sei, sei rimandata"); lezioni a singhiozzo in molte scuole superiori e occupazioni in altre a Trieste; occupati anche molti istituti superiori della Capitale dove da oggi fino a giovedì gli insegnanti del I circolo didattico Pietro Maffi simuleranno il modello Gelmini: maestri unici nelle classi con orario ridotto (8.30-12.30); autogestioni e manifestazione a Napoli e, nel pomeriggio, assemblea permanente nella facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II con all’ordine del giorno il blocco della didattica. Se non bastasse il "no" della piazza, contro le politiche scolastiche del Governo si sono scagliati oggi anche il presidente della regione Piemonte, Mercedes Bresso, e il settimanale "Famiglia Cristiana". La prima facendo notare al ministro Gelmini che dal prossimo anno la materia dell’istruzione passa alle Regioni e dunque "il piano brutale di tagli che vanno fino al 2011 andavano concordati con i soggetti interessati". Il secondo attaccando la proposta delle classi-ponte per i bambini immigrati: "la mozione della Lega fa scivolare pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione" scrive il settimanale, per il quale "la fantasia padana non ha più limiti, né pudore".
Dopo gli scontri a Milano e i cortei di ieri sit-in dei collettivi nella cerchia dei Navigli
Docenti e studenti contro le parole di Berlusconi. Il rettore de L’Aquila: "Diseducativo"
Manifestazioni in tutta Italia
Occupata l’università di Torino
In fermento anche gli studenti delle medie superiori. A Roma due cortei
Davanti Montecitorio lezione di studenti e professori del liceo Augusto
ROMA - Non accennano a diminuire le proteste del mondo della scuola contro la riforma Gelmini. Anzi. Dopo gli incidenti a Milano e l’occupazione di alcune facoltà a Roma e Torino, le parole pronunciate stamattina da Berlusconi, potrebbero portare ad una intensificazione di proteste e occupazioni. A Roma la polizia blocca e poi autorizza una lezione davanti Montecitorio di una cinquantina fra studenti e professori del liceo Augusto.
Gli studenti a Berlusconi: "Non ci fermeremo". "Dal presidente del Consiglio non ci aspettavamo certo provocazioni questo tipo", dice Luca De Zolt, portavoce nazionale della Rete degli studenti medi, replicando alle dichiarazioni di Berlusconi che questa mattina ha annunciato un incontro col ministro dell’Interno per studiare "come intervenire attraverso le forze dell’ordine per evitare che possano accadere" occupazioni di scuole e università. "Le parole pronunciate da Berlusconi sono di disprezzo" verso gli studenti, replica Stefano Vitale dell’Unione degli studenti di Roma. La mobilitazione "non si arresterà", annunciano anche gli studenti universitari dell’assemblea permanente dell’ateneo di Siena.
Rettori e docenti. Per Ferdinando di Iorio, rettore dell’università dell’Aquila, le affermazioni di Berlusconi non solo "sono diseducative verso tutto il mondo della formazione" ma rappresentano un atteggiamento pericoloso perché "si schierano frontalmente contro ogni forma di pensiero critico". Netto no all’intervento delle forze dell’ordine anche da parte del rettore della Sapienza, Renato Guarini: "La libertà di espressione e l’autonomia dell’università - dice in un comunicato - deve essere rispettata. Nella tradizione delle università europee, l’ingreso delle forze dell’ordine viene sempre autorizzato dai rettori. La Sapienza anche nei momenti più drammatici e di maggiore tensione non ha mai ricorso ad azioni di forza".
"Ci auguriamo che il governo non assuma atteggiamenti muscolari nei confronti dell’Università, ma dia segnali di disponibilità al dialogo", auspica il rettore di Padova, Vincenzo Milanesi. "Circa un eventuale intervento esterno affidato alle forze dell’ordine noi saremmo contrari, per il solo fatto che la responsabilità di quello che succede all’interno di un istituto non può essere demandata ma deve essere valutata all’interno, da chi la gestisce e da chi, appunto, ne ha la responsabilità", dice Giorgio Rembaudo, presidente dell’Associazione nazionale presidi.
L’astrofisica Margherita Hack, che nel pomeriggio ha tenuto a Firenze una lezione in piazza della Signoria, ha definito "una vergogna" l’ipotesi di far intervenire la polizia. Per il prorettore dell’ Università di Torino, Sergio Roda, "per la prima volta, studenti e docenti universitari siamo dalla stessa parte della barricata, uniti nel cercare di salvare la natura pubblica della nostra Università".
L’Unione degli Studenti fa sapere che ci sono manifestazione, praticamente in tutta Italia, in vista anche di quella nazionale del 14 novembre: da Catania all’Aquila, da Perugia a Reggio Calabria e Catanzaro, e poi ancora previste assemblee anche a Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Teramo e Macerata.
Università. A Milano al termine della lezione all’aperto tenuta sotto la statua di Vittorio Emanuele II, in piazza Duomo, gli studenti dell’università degli Studi hanno formato un corteo non autorizzato. Un gruppo ha bloccato la cerchia dei navigli con un sit-in in via Visconti di Modrone, angolo via Mascagni. Il corteo si è poi spostato alla facoltà di Scienze politiche di Via Conservatorio senza alcun incidente. Il corso è stato interrotto per una decina di minuti durante i quali c’è stato un’acceso confronto tra i manifestanti e chi stava frequentando la lezione.
Questa mattina all’Università La Sapienza di Roma gli studenti hanno chiuso con lucchetti e catene il dipartimento di Fisica in segno di protesta. Alcuni studenti, riuniti in assemblea permanente, hanno occupato l’Aula 2 della facoltà di Economia. Dopo un sit-in nell’atrio dell’edificio, gli studenti hanno tentato di dar vita a un corteo all’interno della facoltà, ma sono stati bloccati da alcuni agenti. Sempre nella capitale, nel pomeriggio, un corteo spontaneo di circa 1000 studenti di varie facoltà di Roma Tre, è partito dalla facoltà di Lettere e Filosofia. Dopo aver raggiunto la facoltà di Scienze politiche e la sede di Biologia si è diretto al rettorato, dove una delegazione ha incontrato il rettore Guido Fabiani. "Riconosco la validità e la legittimità della vostra protesta", ha detto il rettore.
A Bari circa 500 studenti hanno partecipato all’assemblea nell’aula C dell’ateneo. Assemblea a Cagliari nella sede di Magistero: "Da domani abbiamo intenzione di sospendere le lezioni frontali e la didattica programmata nella facoltà di lettere e filosofia fino a bloccare del tutto l’attività dalla prossima settimana fino al 30 ottobre". E’ la proposta avanzata dal preside Roberto Coroneo. All’assemblea ha partecipato anche il rettore Pasquale Mistretta, oltre a rappresentanti dei docenti delle altre facoltà. Il preside della facoltà ha annunciato lezioni in piazza, seminari, incontri, laboratori non solo sul tema della legge 133.
Continua l’occupazione di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’università di Torino, decisa ieri dall’assemblea degli studenti. Le lezioni proseguono regolarmente all’interno dell’edificio. Nel pomeriggio prevista un’assemblea in Rettorato. E’ occupata anche la facoltà di Fisica, mentre davanti al dipartimento di Scienze della Terra studenti e ricercatori hanno manifestato questa mattina chiedendo simbolicamente l’elemosina.
I consiglieri di facoltà di Azione universitaria a Lettere di Palermo presenteranno domani un esposto alla Procura della Repubblica nel quale si chiede un parere sulla validità della delibera del Consiglio di facoltà che, votando un documento a favore della sospensione delle lezioni fino al 31 ottobre, "di fatto - è l’accusa - ha autorizzato l’interruzione di pubblico servizio".
Sono sospese dalla tarda mattinata le lezioni dell’Università di Trieste. Un corteo di studenti si è formato in maniera spontanea al termine di un’assemblea che si è svolta nel pomeriggio e si sta dirigendo verso il centro cittadino, causando disagi al traffico. Il Senato accademico ha inoltre deliberato la convocazione di un’assemblea generale di Ateneo, il 29 ottobre prossimo.
L’assemblea di ateneo dell’università Orientale di Napoli ha deciso di occupare Palazzo Giusso. Lo annunciano una nota gli studenti e la rete dottorandi e ricercatori, spiegando che al raduno hanno partecipato circa 2mila persone, inclusi docenti e lavoratori del personale tecnico-amministrativo.
Ventiquattro ore di lezioni senza interruzioni per dire no alla legge 133 sull’Università: è l’iniziativa che si svolgerà a Firenze, al dipartimento di matematica Ulisse Dini, dalla mattina del 27 ottobre alla mattina del 28 ottobre prossimi. All’università di Siena è stata occupata la facoltà di Economia. A Parma dopo l’affollata assemblea di ieri a Lettere, domani alle 18,30 è in programma una manifestazione. Sempre domani, a Chimica, sit-in dalle 14 fuori dal consiglio di facoltà di Scienze.
A Genova, domani pomeriggio, si terrà un "funerale" dell’università pubblica, in concomitanza con l’inaugurazione del Festival della Scienza. E’ previsto un corteo con abiti neri, una bara e lo striscione "oggi a lutto sempre in lotta" che da via Balbi si muoverà verso piazza De Ferrari, dove ci sarà anche un presidio di alunni e maestre delle elementari. Alle 17 invece è prevista in via Balbi 2 un incontro con docenti e rappresentanti degli enti locali.
Medie superiori. In fermento anche gli studenti delle medie superiori. Secondo l’Uds, le adesioni delle scuole hanno già superato il migliaio. L’intenzione è di unificare la lotta con gli studenti universitari, di scendere in piazza insieme il 30 ottobre e trovare una data di mobilitazione generale nel mese di novembre.
A Rende, Cosenza, gli studenti del liceo scientifico Pitagora hanno occupato la scuola. Al liceo scientifico di Catanzaro, invece, gli studenti hanno deciso per l’autogestione che proseguirà per tre giorni, mentre a Reggio Calabria, assemblea aperta degli studenti dei licei Leonardo Da Vinci e Alessandro Volta. Cortei di studenti di scuole medie superiori si stanno inoltre svolgendo a Roma, in due zone diverse della capitale dove si allarga la protesta degli studenti con occupazioni e autogestione in sempre più istituti. Davanti Montecitorio la polizia ha prima boccato e poi autorizzato una lezione all’aperto di una cinquantina di persone, fra studenti e professori del liceo Augusto. Anche ai Castelli la situazione non cambia.
Un corteo di protesta è stato organizzato oggi a Napoli dagli studenti del liceo linguistico e sociopedagogico ’Villari’ che hanno dichiarato di essere "in stato di agitazione". Alla manifestazione - riferiscono i promotori - si sono aggregati studenti di altre scuole della zona. Gli studenti del liceo Classico ’Pansini’ hanno deciso di non sospendere le lezioni ma di occupare la scuola di pomeriggio e di notte. Anche a Milano e provincia sono partite le prime occupazioni di scuole contro il decreto Gelmini.
"Polizia contro le occupazioni"
Scuola, linea dura di Berlusconi. Gli studenti: non ci fermerà
di Carmelo Lopapa (la Repubblica 23.10.2008)
ROMA - Manda un avviso ai «naviganti». Che poi sarebbero studenti, famiglie, insegnanti e anche ai mezzi di informazione. «L’ordine deve essere garantito, lo Stato deve fare lo Stato». Le proteste e le occupazioni di questi giorni contro il decreto Gelmini e la riforma della scuola, frutto della strumentalizzazione «della sinistra e dei centri sociali», devono cessare. E il provvedimento del governo non sarà ritirato, tutt’altro. Silvio Berlusconi prova a liberarsi dall’assedio della piazza, dei coertei, delle assemblee e delle lezioni per strada. E trasforma la contestazione del mondo della scuola in un problema di ordine pubblico.
Poche ore prima di imbarcarsi sul volo che lo porterà per alcuni giorni in Cina, convoca il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Con lui vorrebbe concordare le modalità di utilizzo delle forze di polizia per sgomberare scuole e atenei, girargli «istruzioni dettagliate su come intervenire». Poi, nel faccia a faccia pomeridiano col capo del Viminale per un’ora a Palazzo Grazioli, le cose andranno diversamente. Nessun piano di sgomberi, per ora. Sta di fatto che l’annuncio - fatto in conferenza stampa al fianco della ministra nel mirino Mariastella Gelmini - ha l’effetto di una carica di dinamite. Cortei e proteste anche non autorizzate da Roma a Milano. Altre occupazioni annunciate per oggi in mezza Italia. L’opposizione che si mobilita e accusa il premier di agire da «provocatore», di «soffiare sul fuoco», di meditare una «strategia della tensione». Il clima politico si surriscalda al punto da indurre il Quirinale a intervenire e lo stesso fa il presidente dei vescovi Angelo Bagnasco: «I problemi complessi non si risolvono con soluzioni semplici, servono moderazione ed equilibrio».
All’incontro con la stampa organizzato nel giro di poche ore per porre un argine al dilagare della protesta, Berlusconi si presenta con un minidossier di undici pagine sulla scuola e «tutte le bugie della sinistra». Lui, ex «studente modello e diligentissimo» che certo non avrebbe «mai occupato» una scuola, giudica semplicemente «falsi i messaggi dei leader della sinistra che sgambettano in tv» e che starebbe dietro la protesta coi centri sociali. E siccome «la realtà di questi giorni è ben altra di quella raccontata dai mezzi di informazione, ma è fatta di aule piene di ragazzi che intendono studiare», ecco la stretta, la svolta rigorista. «Non consentirò l’occupazione di università e di scuole, perché non è dimostrazione di libertà e democrazia, ma pura violenza nei confronti degli altri studenti, delle famiglie e nei confronti dello Stato». E preannuncia l’incontro che di lì a qualche ora avrebbe avuto a Palazzo Grazioli col ministro dell’Interno Maroni: «Gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine». Polizia in azione, dunque, anche se dall’altra parte della barricata dovessero esserci, come ci sono, gli insegnanti. Linea dura anche sul decreto: «Sulla riforma della scuola andremo avanti», avverte in risposta a Veltroni che lo aveva invitato a ritirarlo. «Non retrocederò di un centimetro, avete 4 anni e mezzo per farci il callo». Alla Gelmini rimprovera sorridendo di aver sbagliato a parlare di maestro unico, «meglio dire prevalente», poi elenca una per una le «bugie» di sinistra e occupanti e pregi della riforma. Che intanto procede a gonfie vele in Parlamento. Respinte ieri al Senato dalla maggioranza le otto pregiudiziali costituzionali sollevate dalle opposizioni, la riforma viaggia verso il voto finale previsto per mercoledì prossimo.
L’ultima parola del premier è per la manifestazione del Pd del 25 ottobre. «È una possibilità della democrazia ed anche noi ne usufruimmo - riconosce a distanza al Veltroni che più volte glielo ha ricordato in questi giorni - Ma noi manifestammo contro la pressione fiscale del governo Prodi. La loro è solo contro il governo e non ha proposte».
A La Sapienza la risposta degli studenti. E da Roma a Torino i rettori dicono: no ad azioni di forza
di Federica Fantozzi (l’Unità, 23.10.2008)
UNA STUDENTESSA del primo anno, schiacciata tra la folla, libera la mano intrecciata a quella dell’amica per non perdersi, e risponde al cellulare: «Era mio padre. Ha paura che ci picchino». Sui gradini dell’aula magna de La Sapienza, molte matricole con la faccia da liceali, lontane dai megafoni e certe che si tratti di «un fermento spontaneo e apolitico». Anche i ragazzi dei collettivi - Dario, Francesco, Aliosha - fiutano la trappola: «Nessuno volantini per partiti e sindacati - gridano - Questo movimento rifiuta le bandiere. Chi è venuto a mettere il cappello se ne vada».
Eppure l’avvertimento del premier sigilla insieme le anime dell’occupazione, e la giornata cambia segno. Addio workshop e riunioni: scatta l’assemblea congiunta di tutte le facoltà. Non solo Lettere, Scienze Politiche, Fisica e Chimica, quelle occupate. I ragazzi, all’aperto, ascoltano e chiacchierano di altro. Valentina frequenta Psicologia, ha le treccine e la spilla arcobaleno: «Il governo risponde con militarizzazione e sgombero. Non lo accetteremo». «Non diciamo solo no - spiega una rossa con lentiggini e occhi acquamarina, secondo anno di Lettere - Faremo proposte». Per esempio? «Più ricerca, basta con i cervelli che all’estero fanno carriera. Più elasticità nei piani di studio. No ai manuali dei titolari di cattedra: non vogliamo venerare un prof, vogliamo imparare». Mai manifestato prima? «Al liceo, contro la guerra in Iraq». Antipolitici? «Fino a un certo punto» ammette un’altra.
Il primo punto dell’assemblea è Berlusconi, con Sacconi anti-scioperi e Brunetta anti-fannulloni. La richiesta è che il rettore Guarini neghi l’ingresso alle forze dell’ordine. Lui li accontenterà: «Rispettare la libertà di espressione e l’autonomia dell’università. Qui non si è mai ricorso ad azioni di forza e non lo faremo mai». Anche da Padova e Torino arriva lo stop dei rettori alle «prove muscolari del governo».
Francesco, aria da bravo ragazzo: «È un governo illegittimo e criminale. Non abbiamo paura». Giorgio rivela con orgoglio che a Fisica hanno fatto trovare i dipartimenti «serrati con la catena» perché «occupare significa bloccare laboratori, uffici, tutto». Aiuole piene di zaini, caschi, bottigliette d’acqua. Una ragazza beve da un biberon decorato. Perché occupate? Gli stessi motivi corrono di bocca in bocca: le tasse universitarie più alte, i tagli devastanti, le università in mano alle imprese private. Come lo avete saputo? Soprattutto dai Tg e grazie al passaparola. Ora le cose vanno bene? «No, ma così andranno peggio».
Al microfono «un papà delle elementari» sommerso di applausi: «Anche noi abbiamo occupato, dormito sui tappetini per una settimana, non abbiamo retto di più con i bimbi. Ogni notte pensavamo: speriamo che parta l’università. Tolgono il futuro ai nostri figli, ai vostri fratellini». Giorgio di Ingegneria è accolto da fischi di sorpresa: «Non partecipano mai». Il più lucido è Matteo Pacini di Studi Orientali: «Vogliono che reagiamo per screditarci davanti all’opinione pubblica. Dobbiamo essere determinati e intelligenti». Propone di portare la protesta al Festival del Cinema, alla Farnesina, davanti al Senato. Si impappina: «Non intendo ma... Mi spiace dirlo... Non possiamo essere faziosi».
Raggiante Dario da Psicologia: «La mia facoltà immobile da anni si è scossa». Entusiasmo per l’annuncio che Economia ha disturbando l’inaugurazione dell’anno accademico. Emiliano partecipa da lavoratore: «Lo studio è l’unica forma di liberazione della mente». Cori di «La Sapienza/Non ha più pazienza» e «Gente come noi/Non molla mai». Un isolato petardo al grido di «noi bruciamo tutto». Dario è uno dei leader: «Preoccupati? Indignati. Parole così non si sentivano dagli anni ‘60 e qualificano l’atteggiamento del governo».
Occupazioni e cortei in tutta Italia. Lo slogan dei romani: io non ho paura
Traffico bloccato da sit-in improvvisati a Roma, Trieste e Milano.
Occupazioni a Torino e all’Orientale di Napoli
di Alessandro Capponi (Corriere della Sera, 23.10.2008)
ROMA - «Bloccare tutto, le università e le scuole, e anche le stazioni, e le città, e ovunque, davanti ad ogni portone d’ingresso delle facoltà, dobbiamo affiggere la scritta "Io non ho paura"». L’applauso, per lo studente di Fisica Giorgio Sestili, che parla alla Sapienza, ecco, l’applauso: dura minuti. «Io non ho paura», lo slogan nasce così. E in serata ecco la presa di posizione del rettore: Renato Guarini dice, semplicemente, che non autorizzerà l’ingresso della polizia perché «La Sapienza, anche nei momenti più drammatici e di maggiore tensione, non ha mai fatto ricorso ad azioni di forza».
Ma ciò che accade a Roma - nelle tre università romane - non è che un aspetto della protesta studentesca: in tutta Italia, da ieri, da quando Berlusconi ha promesso l’arrivo della polizia per sgomberare gli atenei, occupazioni e cortei si moltiplicano. Traffico bloccato da sit in improvvisati: nella Capitale, a Trieste, a Milano. A Napoli l’«Orientale è occupata », come spiega lo striscione all’ingresso. Le assemblee e i cortei non si contano. Milano, Torino, Firenze, Cagliari, Bari, Palermo, Napoli, Catania: ovunque, gli studenti si organizzano, fanno lezione all’aperto, sfilano. A Genova oggi ci sarà il funerale dell’università. Contro la legge 133, certo, ma anche per «resistere » alle «minacce del premier ». I rettori, come quello della Sapienza e quello dell’Aquila, dicono chiaramente una cosa: no alla polizia nell’università. Il 14 novembre, a Roma, manifestazione nazionale con studenti «universitari, medi e - spiega un altro dei leader della protesta, Francesco Raparelli - dell’intero mondo della formazione».
L’appello è per gli studenti di tutta Italia: «Occupate tutto». «Protestiamo in modo intelligente, come ha detto Napolitano - dice Sestili - facciamo cortei da giorni e non è successo nulla. È un movimento trasversale, qui parlano ragazzi di destra e di centro. Questa è la dismissione dell’università, ed è grave per tutti». Cartelli intorno a lui: «Blocchiamo le ferrovie», «né sapientini né manichini». Francesco, di Scienze politiche, dice che «questo governo è criminale ». A Milano cinquecento studenti fanno lezione in piazza Duomo e poi bloccano il traffico, un corteo a Trieste, un altro a Roma, uno a Bari. Il rettore della Sapienza, Renato Guarini, risponde così alle parole di Berlusconi: «Le criticità devono essere affrontate con un dialogo costruttivo, concordo con quanto detto da Napolitano.
Nella tradizione delle università europee l’ingresso delle forze dell’ordine viene autorizzato dai rettori». Lui, come detto, non ha intenzione di farlo. Per il Magnifico dell’Aquila, Ferdinando Di Iorio, le dichiarazioni del premier «sono gravissime. Non si rende conto su quale terreno si muove». La polizia dentro le università? «Qui non accadrà mai». A Firenze, in piazza della Signoria, lezione dell’astrofisica Margherita Hack che dedica poche parole al proposito di Berlusconi: «È una vergogna».
di Ezio Mauro (la Repubblica 23.10.2008)
Davanti a una protesta per la riforma della scuola che si allarga in tutt’Italia e coinvolge studenti, professori, presidi e anche rettori, il Presidente del Consiglio ha reagito annunciando che spedirà la polizia nelle Università, per impedire le occupazioni. La capacità berlusconiana di criminalizzare ogni forma di opposizione alla sua leadership è dunque arrivata fin qui, a militarizzare un progetto di riforma scolastica, a trasformare la nascita di un movimento in reato, a far diventare la questione universitaria un problema di ordine pubblico, riportando quarant’anni dopo le forze dell’ordine negli atenei senza che siano successi incidenti e scontri: ma quasi prefigurandoli.
Qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica, non attentati al totem della potestà suprema di decidere senza alcun limite e alcun condizionamento, che trasforma la legittima autonomia del governo in comando ed arbitrio. Come se il governo del Paese fosse anche l’unico soggetto deputato a "fare" politica nell’Italia del 2008, con un contorno di sudditi. E come se gli studenti fossero clienti, e non attori, di una scuola dove l’istruzione è un servizio e non un diritto.
Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le Università, confondendo in un falò antagonista i ragazzi delle scuole (magari con il diversivo mediatico di qualche disordine) e i manifestanti del Pd, sabato. Ma più che il calcolo, conta l’istinto, e soprattutto la vera cifra del potere berlusconiano, cioè l’insofferenza per il dissenso.
Lo testimonia l’attacco ai giornali e alla Rai fatto da un Premier editore, proprietario di tre reti televisive private e col controllo politico delle tre reti pubbliche, dunque senza il senso della decenza, visto che a settembre lo spazio dedicato dai sei telegiornali maggiori al governo, al suo leader e alla maggioranza varia dal 50,17 per cento all’82,25. Forse Berlusconi vuol militarizzare anche la libera stampa residua. O forse "salvarla", come farà con le banche.
La repressione
di Michele Serra (la Repubblica 23.10.2008)
In presenza di un movimento inedito, molto composito e fino adesso pacifico, il premier non sa opporre altro che un goffo proposito repressivo
Neanche il più acerrimo detrattore del presidente del Consiglio poteva mettere in conto le desolanti dichiarazioni di ieri a proposito di scuola e ordine pubblico. L’uso della forza per reprimere i movimenti di piazza - e specialmente l’intervento della polizia nei licei e nelle università - è in democrazia materia delicatissima.
E lo è rimasta perfino negli anni di fuoco delle rivolte studentesche, quando l’ultima parola, in materia di ingresso della forza pubblica dentro i luoghi dello studio, quasi sempre spettava a rettori e presidi prima che ai questori.
Oggi, in presenza di un movimento inedito, molto composito (studenti, docenti, ricercatori, genitori: nella totalità utenti e dipendenti di un servizio pubblico) e fino adesso pacifico, il premier non sa opporre altro che un minaccioso e goffo proposito repressivo. In perfetta sintonia con la schietta invocazione di una soluzione poliziesca, Berlusconi ha snocciolato molto in breve (non ha tempo da perdere) un’analisi dei fatti di una pochezza desolante, riassumibile nella vecchia idea padronale "qui si lavora e non si parla di politica". Dimostranti e occupanti come impiccio sedizioso al corretto esercizio dello studio e di quant’altro, come se una società democratica non fosse il luogo naturale dei conflitti e della loro composizione politica, ma un’azienda di vecchio anzi vecchissimo stampo nella quale si lavora, si obbedisce e si tace. Eloquente il contrappunto del sottosegretario Sacconi, che denuncia allarmato la presenza nei cortei di studenti "politicizzati": ecco un politico che considera l’impegno politico come un’aggravante.
Si intende che Berlusconi abbia assunto queste posizioni frontali, e destinate ad accendere gli animi, perché si sente forte di un mandato popolare che, nella sua personalissima interpretazione, lo autorizza a portare a compimento i suoi propositi politici costi quello che costi, tagliando corto con le lungaggini, le esitazioni, le pratiche "consociative" e quant’altro minacci di attardare o contrastare le decisioni del governo. Ma anche ammesso che davvero l’aspettativa "popolare" predominante sia così brutale e sbrigativa, e che davvero il sessanta per cento degli italiani auspichi modi bruschi, il governo di un paese democratico ha il compito di rispettare e fare rispettare i diritti di tutti, non solo della sua claque per quanto vasta e agguerrita essa sia. Che fare di chi si oppone, come trattare quel buon quaranta per cento di italiani che ancora non ha appaltato il proprio destino, le proprie aspirazioni, il proprio modo di pensare a Silvio Berlusconi e ai suoi ministri?
E se poi il dissenso ha dimensioni di massa, e si dispiega � come in questo caso � sul terreno appassionato e vulnerabile della protesta giovanile, suscettibile di infiltrazioni di frange di violenti che non vedono l’ora di trovare un contesto favorevole, con quale smisurata irresponsabilità un presidente del Consiglio che se la passa da statista sventola per prima cosa il vecchio drappo reazionario della repressione? Gli "opposti estremismi", teoria semplificatrice ma dolorosamente verificata in passato da questo paese dai nervi poco saldi, mai avevano trovato uno dei propri espliciti agganci proprio nelle istituzioni. La vecchia ipocrisia democristiana conteneva al suo interno anche una salutare componente di senso dello Stato, e i lavori sporchi, e le maniere forti, procedevano per vie losche e sotterranee. E’ davvero un progresso scoprire, nel 2008, che è il premier in persona a invocare la maniere forti, in una sorta di glasnost della repressione? In un paese che ha pagato un prezzo spaventoso alla violenza politica e all’odio ideologico, con ancora la fresca memoria dei fatti di Genova, mentre già i titoli dei giornali di destra e alcuni slogan dei cortei di sinistra buttano benzina sul fuoco, che cosa si deve pensare di un presidente del Consiglio che divide la società in due tronconi, uno buono che lo applaude e l’altro cattivo da sgomberare con gli autoblindo?
E’ la prima volta, questa, che una delle puerili retromarce del premier ("mi hanno frainteso, non ho detto questo, sono loro che mentono") sarebbe accolta con sollievo.
Il Viminale: dal primo al 23 ottobre 300 manifestazioni
con 150 scuole e venti facoltà universitarie occupate
L’onda della protesta in tutta Italia "La vostra crisi non la paghiamo"
A Roma la polizia blocca il corteo a poche decine di metri dal Senato Intervento ’dissuasivo’ delle forze dell’ordine nel cosentino e a Pistoia
di GIOVANNI GAGLIARDI *
ROMA - "Noi la vostra crisi non la paghiamo". E’ questo lo slogan (insieme alla canzone "Noi siamo i giovani") che accompagna la mobilitazione di tutto il mondo dell’istruzione e della ricerca da Nord a Sud. Scuole e facoltà occupate, lezioni libere in strada, cortei: in tutta Italia è stata un’altra giornata di lotta contro gli interventi del governo e i piani del ministro Mariastella Gelmini su scuola e università. "Il dissenso - fa sapere il Viminale - ha avuto finora modo di svilupparsi in circa 300 manifestazioni tenute nell’intera penisola dal primo al 23 ottobre, con 150 scuole e 20 facoltà universitarie occupate".
Gli scenari di guerriglia che ieri Berlusconi ha evocato in conferenza stampa sono molto lontani, anche se non sono mancati momenti di tensione. Un intervento ’dissuasivo’ delle forze dell’ordine nel cosentino e a Pistoia, dove sarebbero stati identificati alcuni studenti, mentre a Cosenza, nel corso di una manifestazione, sono state danneggiate le finestre di un istituto. In alcune città cortei di studenti, non annunciati, hanno bloccato il traffico su varie strade. Questo il quadro delle principali proteste e delle occupazioni in tutta Italia.
A Roma con lo slogan "Non tagliateci il futuro", alcune centinaia di studenti hanno manifestato davanti a Palazzo Chigi, per poi spostarsi verso il Senato. Partite le occupazioni di vari istituti, tra cui il liceo classico Tasso e lo scientifico Malpighi. Alla Sapienza, gli studenti hanno deciso di occupare la facoltà di Ingegneria a San Pietro in Vincoli. Stessa forma di protesta alla facoltà di Scienze di Roma Tre. In serata poi corteo con nuovo sit-in davanti al Senato, con tanto di contestazioni e fischi ai senatori, anche a quelli del Pd. Qualche momento di tensione con le forze dell’ordine che hanno sbarrato la strada ai manifestanti.
A Torino varie scuole sono occupate, mentre 2 mila studenti del Politecnico si sono riuniti in assemblea stamattina, proclamando lo stato di agitazione. Prosegue l’occupazione anche di Palazzo Nuovo sede delle facoltà umanistiche. Diverse centinaia di studenti delle scuole superiori hanno sfilato in corteo questa mattina nel centro storico della città. Sono occupati anche diversi licei di Pinerolo, dove era da diversi anni che gli studenti non manifestavano.
A Trento è la facoltà di Sociologia a guidare l’agitazione degli universitari. Lezioni alternative nelle aule e all’aperto per tutta la giornata di lunedì 27 ottobre e un corteo cittadino per martedì: sono le decisione prese oggi in varie assemblee.
A Genova gli organizzatori del Festival della Scienza, iniziato oggi, hanno annunciato di voler dedicare una giornata alle proteste contro i piani del ministro Gelmini. Sempre nel capoluogo ligure, gli studenti hanno rispolverato la metafora funebre, sfilando in un corteo-funerale lungo le strade vicine ai poli universitari, con tanto di elogio "alla dolente università sepolta viva nelle profondità dell’ignoranza".
All’università Statale di Milano è stata bloccata per un’ora l’entrata della facoltà di Scienze Politiche. Gli studenti chiedono il blocco della didattica. Molte le assemblee studentesche che hanno coinvolto gli universitari di quasi tutti gli atenei milanesi. Programmati per domani cortei, lezioni all’aperto e sit-in sotto la Madonnina del Duomo.
A Bergamo si realizza l’unità tra sinistra e destra. Lo annuncia Forza Nuova in un comunicato dove afferma che "per una volta il Movimento studentesco e Lotta studentesca, l’associazione studentesca legata a Forza Nuova, si stringono la mano per manifestare uniti contro la riforma Gelmini".
In Veneto l’ipotesi di interventi delle forze dell’ordine è stata contestata con striscioni anche in consiglio regionale, a Verona e Padova è stato decretato il blocco della didattica, e sempre a Padova gli studenti di un istituto professionale sono andati a scuola vestiti a lutto. Veglia funebre anche a Venezia, in Campo San Geremia, dove si sono dati appuntamento decine di studenti vestiti di nero, ragazze con il capo coperto da un velo e un cerino in mano per vegliare il caro estinto prima della sepoltura. A Trieste, gli studenti medi hanno costruito una "scuola di libri", un muro eretto con i libri di testo davanti alla chiesa di San Giacomo.
A Bologna, in piazza del Nettuno, è stata allestita un’aula a cielo aperto, in occasione del collegamento con la trasmissione "Anno zero", stasera su Rai Due. A Ravenna, fanno sapere gli studenti, sono occupati sei istituti superiori. "Le occupazioni sono partite lunedì e sono molto partecipate e ordinate. Vi è inoltre un coordinamento tra tutte le scuole occupate". A Parma, in serata, un esercito di 4000 studenti ha manifestato contro la riforma Gelmini. E’ partito dalla facoltà di Lettere, in centro città, il "funerale all’università". In testa una bara, dietro quattro vedove e un unico urlo: "L’università così muore". Gli abitanti della zona hanno applaudito al passaggio del serpentone. Non ci sono sigle politiche o bandiere dei partiti: studenti e professori non le hanno volute.
Fermento anche nelle scuole e nelle università della Toscana. A Firenze, i ragazzi dell’Istituto d’arte di Porta Romana hanno inscenato un "attraversamento pedonale" lungo le strade del centro, mentre su alcuni dei ponti sull’Arno sono apparsi striscioni come "L’università non è in vendita". Da lunedì mattina alle 8.30 fino a martedì mattina lezioni no stop a matematica, dipartimento Ulisse Dini, una delle facoltà occupate in questi giorni. La protesta del mondo universitario contro la 133 arriva in Europa: anche "l’Istituto universitario europeo di Fiesole, centro di eccellenza della Commissione europea, è in agitazione", si legge in una nota.
A Pisa, dove anche gli studenti della Normale hanno manifestato solidarietà alle proteste, studenti medi e universitari e docenti si sono uniti in un corteo formato, secondo gli organizzatori, da 10 mila persone. "Troppo facile governare un popolo di ignoranti", questo lo striscione con cui stamani mattina gli studenti di Empoli hanno aperto il corteo che ha caratterizzato la manifestazione di protesta contro la riforma Gelmini e la legge 133. Oltre 3.000 le persone presenti.
In Abruzzo, docenti e studenti dell’università dell’Aquila hanno inscenato un sit-in di protesta davanti alla prefettura. Oltre cinquemila persone sono state accolte da un fitto schieramento di forze dell’ordine. Poco dopo le 18, una delegazione dell’Unione degli universitari - tutti rappresentanti delle facoltà cittadine - è stata ricevuta dal capo di gabinetto del prefetto. I manifestanti sono ancora in piazza perché chiedono di essere ricevuti dal prefetto.
A Macerata centinaia di persone si sono radunate fuori dall’aula 5 di Giurisprudenza per l’assemblea generale dell’ateneo maceratese contro la legge 133 e il dl Gelmini. I partecipanti hanno dato vita a un corteo improvvisato sfociato nell’occupazione dell’Atrio della Facoltà di Scienze della Comunicazione.
In Basilicata, a Matera, sono scesi in piazza un migliaio di studenti delle medie superiori, mentre a Potenza gli studenti universitari, assieme ad alcuni docenti e ricercatori, si sono riuniti in assemblea nell’Aula Magna per stabilire le prossime azioni di protesta.
Lezioni bloccate, traffico fermo, centinaia di studenti universitari in corteo per le strade di Napoli: è il bilancio nel pomeriggio di mobilitazione degli atenei contro la riforma Gelmini nella città partenopea, dove sono 60 gli istituti superiori occupati, o autogestiti o con assemblee permanenti. In Campania sono 120. Domani gli studenti dei licei scientifico e classico europeo del Convitto Vittorio Emanuele II di Napoli protesteranno in Piazza Dante.
A Lecce, Scienze Politiche è in assemblea permanente. In mattinata circa 700 studenti universitari hanno anche attraversato in corteo alcuni viali della città mentre, contemporaneamente, si svolgevano in altre zone manifestazioni di studenti di alcuni istituti superiori. Domani è previsto che l’assemblea a Scienze politiche prosegua anche con i docenti. A Bari, nella facoltà di Fisica gli studenti hanno tenuto in mattinata una assemblea. Nessuna occupazione nelle scuole del Molise, ma solo assemblee interne agli istituti.
A Palermo, con il sostegno del preside della facoltà di Ingegneria, un migliaio di studenti ha assistito a una lezione all’aperto, in piazza Politeama. Alcune centinaia di studenti degli istituti superiori secondari hanno attuato stamane, a Catanzaro Lido, una manifestazione di protesta.
L’onda lunga della protesta studentesca contro la riforma Gelmini giungerà in Valle d’Aosta a partire dalla prossima settimana, quando sono previste, tra lunedì e mercoledì, assemblee in tutti gli istituti superiori. La mobilitazione culminerà con la manifestazione di giovedì 30 ottobre, che si terrà nel centro di Aosta, così come in molte città italiane.
Giovedì sciopero di quasi tutti i sindacati e maxi corteo a Roma
Anche oggi facoltà e scuole occupate. E mille forme di protesta dell’Onda
I quattro giorni di fuoco della scuola
Legge al voto e blocco totale
Il Senato vota alla vigilia della mobilitazione. I Cobas: lo bloccheremo con i sit-in
ROMA - Una domenica senza notizie clamorose, ma con molte scuole che restano occupate, molte aule universitarie teatro di assemblee e gruppi di studio fino al ’grande ricevimento’ offerto dagli studenti delle facoltà scientifiche della Sapienza di Roma per le loro famiglie, per spiegare i motivi della protesta. E anche mille piccole iniziative spuntate ovunque, secondo l’indicazione generale di questo movimento, di comunicare e fare notizia nei modi più imprevedibili fino ai lenzuoli con l’ormai famoso "Non pagheremo la vostra crisi" spuntati qua e là dai balconi di molti case della capitale.
La mobilitazione insomma "percorre il paese come una grande ’ola’ e passerà per Roma nella più grande manifestazione per la scuola che la nostra memoria ricordi". La sintesi di quel che accadrà nei prossimi giorni è nelle parole del leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. Una sola voce fra le mille che animano la protesta. E che si sono date appuntamento a Roma il 30 ottobre, giorno dello sciopero generale, per una grande manifestazione. Giovedì incroceranno le braccia gli aderenti alla Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda degli insegnanti. E il mondo universitario e della ricerca, in aggiunta, ha già attivato le procedure per una giornata di sciopero il 14 novembre. Un raro sciopero di quasi tutte le organizzazioni sindacali, ancora più irritate dalla decisione di provare a dare il via libera alla legge proprio il giorno prima, senza risposte alle ripetute richieste di confronto (in particolare il segretario della Cisl Bonanni ha ripetuto più volte di essere pronto a fermare l’astensione dal lavoro in presenza di una convocazione al Ministero)
La protesta contro il decreto Gelmini continua a espandersi con forme, modalità e colori diversi. Il fallimento del dialogo con gli studenti, aperto dal ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini ma al grido di "il decreto resta" (e si vota al Senato il 29) non ha fatto che aplificare il dissenso. Inizia così una nuova settimana di mobilitazioni "per bloccare la distruzione della scuola e dell’università messa in atto dal governo".
La Rete degli Studenti Medi informa che nei primi tre giorni della settimana, in tutta Italia, ci saranno scioperi e notti bianche, che si concentreranno ancora una volta nei giorni di approvazione del decreto 137 al Senato. "Dopo lo slittamento ottenuto il 23 ottobre, cercheremo ancora una volta di bloccare i lavori parlamentari. La Gelmini ci ha detto che lei vuole andare avanti, che non si fermerà. Noi le rispondiamo che ’Avanziamo Diritti’, non ci fermiamo e continueremo a chiedere una scuola e un’università nuovi, in grado di darci un futuro".
Lunedì, martedì e mercoledì, dunque, scioperi, autogestioni con pernotto, notti bianche e lezioni all’aperto a Torino, Perugia, Roma, Firenze e Palermo. Per giovedì 30, invece, oltre alla partecipazione alla manifestazione di Roma, la Rete degli Studenti Medi annuncia cortei a Torino, Padova, Palermo e Genova.
E dalle università continuano a giungere appuntamenti che appaiono propedeutici al blocco della didattica in molte altre facoltà (spesso con l’appoggio dei docenti) se non di possibili occupazioni. Un asettimana di fuoco, dunque. E la parola può passare solo alla cronaca, dal momento che le giornate appena concluse hanno mostrato che l’Onda spunta dove meno te l’aspetti, ma anche che si scontrerà con il primo grande scoglio: la probabile approvazione della legge Gelmini giovedì 29.
* la Repubblica, 26 ottobre 2008.
SCUOLA: SCIOPERO GENERALE IL 30 OTTOBRE *
ROMA - Sciopero generale della scuola giovedì 30 ottobre. Lo hanno deciso i sindacati di categoria per protestare contro i provvedimenti varati dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.
ANSA» 2008-10-09 11:44 (Per ulteriori aggiornamenti, cliccare su ANSA rosso).
l’Unità 9.10.2008
Scuola, contro la Gelmini sarà sciopero generale
di Giuseppe Vittori
Approvato dall’aula, il decreto Gelmini «sul maestro unico» è invece bocciato dal mondo della scuola che si prepara a scendere in piazza rispondendo all’appello dei sindacati. Ieri sera Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno deciso lo sciopero generale. Per conoscere la data della mobilitazione bisognerà però aspettare l’esito del tentativo di conciliazione previsto oggi al Miur. Un appuntamento, quello messo in cantiere dai sindacati di categoria, al quale si arriva dopo una marcia di avvicinamento cominciata già da settimane e costellata da sit-in davanti al ministero, iniziative spontanee di protesta, occupazioni, «notti bianche», dal Nord al Sud della penisola.
Domani un assaggio del malcontento arriverà ancora dagli studenti che manifesteranno in decine di città. «L’approvazione del voto di fiducia alla Camera sul decreto Gelmini - spiega l’Unione degli studenti - rappresenta un ulteriore atto antidemocratico di un governo che elude le tante manifestazioni di dissenso e con violenza prova ad affermare il proprio autoritarismo. Per questo domani porteremo in piazza tutta un’altra musica, alle 70 manifestazioni da noi organizzate». «Ci mobilitiamo - spiega un’altra associazione studentesca, la Rete degli studenti - contro i tagli di 8 miliardi di euro alla scuola pubblica, che è la vera riforma messa in campo dal governo Gelmini-Tremonti-Berlusconi. Contro un governo che conta balle, per rivelare la verità all’opinione pubblica».
Dai ragazzi la contestazione passerà quindi nelle mani del sindacalismo di base: i Cobas guidati da Piero Bernocchi, tra i primi, hanno proclamato uno sciopero, in calendario per il 17 ottobre. Insomma, il fronte della protesta è ampio e non si ferma certo alla scuola. Anche le università sono in subbuglio per i tagli previsti in Finanziaria.
L’ateneo di Firenze è in prima linea: dopo l’occupazione delle aule del polo scientifico di Sesto Fiorentino e della facoltà di agraria, ieri si è passati al volantinaggio e agli striscioni srotolati dai ponti Santa Trinità e Carraia contro tagli e privatizzazione; e domani si farà lezione per strada. Anche a Pisa ieri assemblea in piazza: circa 3.000 persone fra ricercatori, impiegati amministrativi e tecnici precari, più studenti e professori, si sono ritrovati in piazza dei Cavalieri per discutere dei provvedimenti presi dal governo, a partire dal precariato. Proteste anche nella Capitale, dove, dopo una settimana di agitazione, sono scesi di nuovo in piazza i precari degli enti pubblici di ricerca, per protestare, sotto il ministero dell’Istruzione, contro l’emendamento che sopprime di fatto le stabilizzazioni.
Intanto, ieri la Camera si è dedicata all’esame dei 242 ordini del giorno, per la maggior parte presentati dall’opposizione, al decreto legge Gelmini. Oggi pomeriggio è previsto il voto finale sul provvedimento che dovrà, poi, passare al Senato.
In piazza contro la riforma del maestro unico voluta dalla Gelmini
Decisione unitaria dei sindacati. La data si conoscerà domani, forse il 30
Scuola, i sindacati hanno deciso
Anche l’Università in lotta. Firenze in prima linea
Brunetta ai prof: guadagnate troppo
"Sarà sciopero generale"
di Mario Reggio
ROMA - La scuola scende in piazza. Ieri sera i segretari di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda hanno raggiunto l’accordo. Sciopero nazionale e manifestazione a Roma. La data sarà ufficializzata oggi, dopo il tentativo di conciliazione al ministero della Pubblica Istruzione. Ma probabilmente sarà giovedì 30 ottobre. Oggi alla Camera il voto di fiducia sul decreto Gelmini. Poi il provvedimento passerà al Senato. Una vera corsa contro il tempo perché, per diventare legge, dovrà essere approvato entro e non oltre il 31 ottobre. Domani saranno gli studenti della "Rete" a scendere in piazza in settanta città, «contro i tagli di 8 milioni di euro, contro un governo che racconta balle, per rivelare la verità all’opinione pubblica».
In attesa delle manifestazioni e del voto di fiducia il ministro Renato Brunetta ha deciso di gettare benzina sul fuoco. «I nostri insegnanti lavorano poco, quasi mai sono aggiornati e in maggioranza non sono neppure entrati per concorso - afferma - ma grazie a sanatorie. E poi 1.300 euro sono comunque due milioni e mezzo di vecchie lire, oggi l’insegnamento è part-time e come tale è ben pagato». Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas della scuola, risponde per le rime: «Senti chi parla, Brunetta da docente universitario prende quattro volte lo stipendio di un insegnante di scuola e ha un orario molto più ridotto. Parla delle ore di insegnamento ma si scorda quelle che il docente impegna per preparare le lezioni, aggiornarsi e valutare gli studenti. La sua uscita bizzarra contribuirà al successo del nostro sciopero e della manifestazione del 17 ottobre a Roma».
Maria Pia Garavaglia, ministro ombra dell’Istruzione del Pd, invita Brunetta «ad avere maggior rispetto per chi lavora nel mondo della scuola. Il governo la finisca con questa opera diffamatoria e metta a disposizione i fondi, invece di tagliarli». Secondo Giorgio Rembado, presidente dell’associazione nazionale presidi, «lavorano poco i docenti che lavorano male. Chi prepara le lezioni, si aggiorna e corregge i compiti facendolo con coscienza fa un lavoro a tempo pieno. Bisogna rivedere le modalità di reclutamento, legando l’assunzione a criteri meritocratici ed eliminando le graduatorie che prevedono che si faccia carriera per anzianità e non per le abilità conseguite». Ma il fronte di protesta non si ferma alla scuola. L’ateneo di Firenze è in prima linea: dopo l’occupazione delle aule del polo scientifico di Sesto Fiorentino e della facoltà di agraria, ieri si è passati al volantinaggio e agli striscioni srotolati dai ponti Santa Trinità e Carraia. Anche a Pisa oggi assemblea in piazza: circa 3.000 persone fra ricercatori, impiegati amministrativi e tecnici precari. Proteste anche nella capitale, dove, dopo una settimana di agitazione, sono scesi di nuovo in piazza i precari degli enti pubblici di ricerca, per protestare, sotto il ministero dell’Istruzione, contro l’emendamento che sopprime di fatto le stabilizzazioni.
L’opposizione protesta per l’ennesima decisione di questo tipo del governo
Nel provvedimento il taglio degli insegnanti, il maestro unico il voto in condotta
Il governo chiede la fiducia
sul decreto Gelmini sulla scuola
I sindacati sono pronti allo sciopero generale *
ROMA - E alle ore 19 e 5 minuti arriva il voto di fiducia numero 5 in meno di quattro mesi di vita della XVI legislatura. Lo chiede il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito precisando che la richiesta nasce "solo da fatti tecnici e dall’ostruzionismo dell’opposizione non certo da divisioni all’interno della maggioranza".
C’è fretta. Il pacchetto Gelmini, dal maestro unico al grembiule fino al ritorno del voto in condotta scade il 31 ottobre. E con l’aria che tira, anche oggi davanti a Montecitorio centinaia di insegnanti hanno protestato alzando manifesti al ministro Mariastella Gelmini "Santa ignoranza" dopo i sit in del no-Gelmini day, non c’è alcuna possibilità che il decreto possa attraversare in tempo utile la discussione in commissione e nell’aula di Camera e Senato. Fiducia, quindi, come così spesso nella storia seppure breve di questa legislatura: così andò per l’Ici, per il pacchetto sicurezza con la norma sui processi, e per la Finanziaria.
Oltre alla fretta per motivi di calendario, bisogna anche ricordare che il pacchetto Gelmini ha creato non pochi mal di pancia nella maggioranza, tra i banchi della Lega soprattutto. Malumori che il governo ha subito provveduto a smentire.
Il maxiemendamento al decreto legge Gelmini è stato varato in mattinata dal Comitato dei Nove della commissione Cultura ma è approdato in aula solo alle sette di sera perchè sprovvisto della relazione tecnica che affronta la copertura economica.
Il presidente della Commissione Valentina Aprea si rammarica per il ricorso al voto di fiducia ("Non possiamo esprimere soddisfazione per una scelta del governo che interrompe il lavoro del parlamento") ma osserva che il nuovo testo "ricalca il provvedimento come è uscito dalla commissione cultura e recepisce il lavoro fatto in commissione Cultura e nelle altre commissioni che hanno ampliato e migliorato il testo". La democrazia, quindi, e l’attività parlamentare che ne è la diretta espressione, sono salve secondo pensiero e coscienza del presidente della Commissione.
Di opinione opposta l’opposizione. Durissimo il capogruppo del ps Antonello Soro: "Siamo indignati, quello che succede è gravissimo, si sta svuotando il Parlamento dalle sue funzioni. Le persone libere si chiedano chi è lo sfascista in questo paese". Maria Coscia (Pd) accusa la maggioranza di aver saputo, in questi mesi, "solo alzare muri anzichè cercare il dialogo". Lino Duilio, anche lui membro della Commissione per il Pd, dice chiaro che "la maggioranza confgerma gionro dopo giorno di voler ridurre il Parlamento ad una succursale acritica del governo".
Ancora più netto l’intervento di Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori. "La Gelmini? Vende fumo - dice l’ex pm - anche a me piace vedere i ragazzi col grembiule piuttosto che con i piercing sull’ombelico, o i tatuaggi. Tutti sentiamo il bisogno di mettere ordine nella scuola, ma quella del governo è politica dell’apparenza, perchè di fatto il decreto sa solo fare tagli".
* la Repubblica, 6 ottobre 2008
Ancora manifestazioni a pochi passi dal Ministero dell’Istruzione e in tutta Italia
In un mese sono annunciati anche blocchi dei docenti, fino allo sciopero dei presidi
Studenti in piazza in cento città
via all’autunno caldo della scuola
di SALVO INTRAVAIA *
Parte l’autunno caldo della scuola: si inizia con i precari e si termina con i presidi. Il mese di ottobre vedrà in piazza a più riprese il popolo della scuola: docenti, studenti e dirigenti scolastici, tutti contro la riforma Gelmini. Nutrito il calendario di manifestazioni e scioperi indetti da sindacati e associazioni studentesche che contestano la maggior parte dei punti del decreto-legge Gelmini, in questi giorni in Parlamento, su cui il governo ha già posto la fiducia. In diverse città, come Roma e Milano, genitori e insegnanti hanno manifestato con cortei, sit-in, scioperi e occupazioni. E sono ancora parecchi gli appuntamenti a livello nazionale cui saranno chiamati insegnanti e Ata.
Nei giorni scorsi hanno manifestato i precari dell’Anief (Insegnanti in formazione), che hanno strappato l’apertura delle graduatorie "ad esaurimento". L’Unicobas, che ha indetto il primo sciopero, sostenuto dall’Italia dei Valori e dai ragazzi della Fgci che parlano di grande successo dell’iniziativa "Taglialagelmini.it", "l’unico taglio accettabile alla scuola. E la mobilitazione continua oggi in cento piazze, fino alla manifestazione dell’11 ottobre, che vede il tema della scuola al centro della sua piattaforma".
Stamattina i ragazzi della Rete degli studenti Medi provenienti da tutta Italia manifestano a pochi metri dal Ministero contro i "proclami mediatici che non hanno niente di reale per risolvere i problemi della scuola". Lo slogan coniato per l’occasione è "balle e pupe". "Abbiamo denunciato - dice Giulia Tosoni - l’Emergenza Ballismo da cui siamo sommersi: il ministro Gelmini manipola i dati, inventa emergenze, sostiene inesistenti ragioni educative pur di giustificare il fatto incontestabile che questo Governo ha deciso di risparmiare dalla scuola, e quindi sulla qualità, sul merito, sulle pari opportunità, ben 8 miliardi di euro in tre anni". I ragazzi distribuiranno il kit antiballismo e "le grembiuline" metteranno in scena la parodia dal titolo "sotto il grembiulino niente...", spettacolo in stile scuola anni ’50.
Nel frattempo la Cisl scuola si mobilita con una manifestazione "in difesa della scuola". I suo segretario nazionale, Francesco Scrima, con toni diversi da quelli usati dagli studenti pone al centro dell’attenzione lo stesso tema. "Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è tornato a parlare del ’maestro unicò e del ’tempo pieno’ affermando: ’Grazie all’introduzione del maestro unico il tempo pieno, così utile per le famiglie, sarà aumentato del 50% per cento. Analoga ’promessa’ era già stata fatta dal ministro Gelmini nel ’salotto’ di Bruno Vespa. Ma i numeri sbugiardano lo spot: le classi a tempo pieno nell’anno scolastico 2007/08 erano 33.224; per aumentarle del 50 per cento avremo dunque bisogno di 16.612 maestri in più. Peccato - continua Scrima - che nei tagli previsti dal Piano programmatico si indica che nel prossimo anno i maestri dovranno essere complessivamente 14.000 in meno. I conti non tornano, ritornano solo le bugie".
Il 10 ottobre, al grido di "Non è che l’inizio...", sarà la volta dell’Unione degli studenti. I ragazzi delle scuole superiori saranno nelle piazze delle più importanti città italiane e non solo: da Torino a Trapani, passando per Napoli, Roma, Firenze, Milano. Secondo gli studenti i tagli previsti dalla Finanziaria (131 mila posti in tre anni) abbasseranno la qualità della didattica. "Il ministro Gelmini - spiega Valentina Giorda - persevera nel percorso di aggressione all’istruzione pubblica: non si può definire civile un paese che non investe in sapere e conoscenza. Vogliamo una scuola diversa, che sia realmente volano di sviluppo civile e sociale".
Meno di una settimana dopo, il 16 ottobre, la Gilda degli insegnanti sarà in piazza nella Capitale. All’ordine del giorno i previsti dalla Finanziaria, il contratto scaduto da nove mesi e la "marcia forzata a colpi di decreti messa in atto dal governo per riformare il sistema di istruzione". E per il 17 ottobre, i Cobas della scuola hanno proclamato lo primo sciopero generale del personale della scuola. "No alla distruzione della scuola pubblica, Gelmini vattene!!", si legge nel volantino che annuncia lo sciopero. La lista delle iniziative contestate è lunghissima: dal maestro unico, al taglio del personale.
Il "caldo ottobre scolastico" si concluderà con lo sciopero dei dirigenti scolastici. Presidi e direttori di Flc Cgil, Cisl e Uil scuole e Snals si fermeranno per protestare contro il mancato rinnovo del contratto di lavoro e, contemporaneamente, chiedono "l’equiparazione retributiva alle altre dirigenze dello stato". Impegno, quest’ultimo, che il governo ha già assunto con gli interessati a fine luglio.
* la Repubblica, 4 ottobre 2008
Ansa» 2008-10-03 19:44
SCUOLA: PROTESTE A MILANO E ROMA, CISL MINACCIA SCIOPERO
ROMA - Non si fermano le proteste del mondo della scuola e delle opposizioni contro il piano del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, difesa a spada tratta dalla maggioranza, anche se non mancano i distinguo, soprattutto nel centrodestra a livello locale. In una giornata che ha visto gli studenti scendere in piazza a Milano e a Roma, dove davanti a Viale Trastevere hanno manifestato anche gli Unicobas e l’Italia dei Valori, c’é da registrare il forte malumore della Cisl che si è detta pronta allo sciopero, dopo l’altolà posto dal leader della Cgil, Guglielmo Epifani, sabato scorso.
Davanti alla sede del ministero si sono concentrati gli insegnanti degli Unicobas, che hanno protestato contro "questo ministro che vuole reintrodurre insieme al maestro unico il pensiero unico, con un meccanismo autoritario che porta a una scuola di regime". Parole condivise da Antonio Di Pietro, leader dell’Idv che ha organizzato il sit in con gli Unicobas: "La destra è convinta che può decidere senza ascoltare nessuno come succedeva nel ventennio e che il popolo obbedisce di conseguenza. Questo sta facendo la Gelmini".
Qualche momento di tensione si è avuto quando un gruppo di studenti ha criticato proprio Di Pietro: "Questa manifestazione è auto-organizzata e non ci devono essere bandiere di partito". A Milano, al grido di "Gelmini noi ti bocciamo", hanno protestato un migliaio di ragazzi delle scuole superiori organizzati dal Coordinamento dei comitati studenteschi: sotto accusa "tagli per 8 miliardi di euro in tre anni, riduzione del personale docente e non, voto in condotta, conferma degli esami di riparazione, buoni scuola per le private e "una scuola sempre più simile a una azienda".
In attesa della mobilitazione in 40 città organizzata dall’Unione degli Studenti per il 10 ottobre e della manifestazione nazionale dei Cobas di una settimana dopo, resta alta la tensione anche a livello dei sindacati confederali. Dopo l’annuncio della disponibilità della Cgil per uno sciopero generale, anche la Cisl si è detta pronta allo sciopero se il Governo non si siederà ad un tavolo di discussione con le forze sociali, le Regioni ed i Comuni sulla riforma della Scuola.
Lo ha annunciato il segretario nazionale della Cisl, Raffaele Bonanni: "Siamo d’accordo con quello che ha detto il Presidente della Repubblica: le riforme - ha detto Bonanni - vanno fatte ma devono sempre rafforzare il diritto allo studio e ogni cittadino deve esser messo in grado di essere pari ad un altro. La fretta del Governo testimonia che non si vuole discutere per tagliare e non render conto di un servizio che và riformato ma anche meglio garantito".
Mentre la Camera ha concluso il dibattito generale sugli emendamenti al decreto Gelmini (il testo tornerà all’esame dell’aula lunedì con le votazioni sugli emendamenti e sugli articoli e la possibile fiducia) la politica si divide nettamente pro e contro la riforma. Anche se non mancano i distinguo nel centrodestra a livello locale "Se toccano una sola scuola della Valsesia mi farò incatenare ai cancelli del ministero a Roma" ha detto il presidente del Consiglio provinciale di Vercelli, Piero Bondetti, della Lega Nord Piemonte.
Si allarga il fronte della protesta anti-Gelmini
Il ministro: solo piccole frange. Negli atenei appello ai rettori: stop alle inaugurazioni
Berlusconi: basta stipendi uguali da sistema socialista, premieremo i più meritevoli
di Mario Reggio (la Repubblica, 3.10.2008)
ROMA - La protesta contro la riforma della scuola targata Gelmini si diffonde. Spontanea, organizzata, ironica o canonica. Ieri presidio di genitori, bambini, precari davanti al palazzo gentiliano di viale Trastevere. Oggi sarà la volta dell’Idv con l’Unicobas. Ma le bordate pesanti arriveranno il 17 ottobre con lo sciopero dei Cobas e a fine mese con la scesa in campo della Cgil.
Ma la protesta sale anche nelle università. L’appello è di bloccare le inaugurazioni dell’anno accademico, per difendere la ricerca e la qualità dell’insegnamento, dopo i tagli previsti dal governo. Tra i firmatari Piero Bevilacqua, Alberto Asor Rosa, Gianni Vattimo e Umberto Curi.
E il governo? Per il momento parla di scuola. «Proteste di piccole frange marginali che hanno deciso di non guardare nel merito dei problemi» dice il ministro Mariastella Gelmini a proposito delle contestazioni. Innovazioni futuribili a parte, come la lavagna elettronica, il pomeriggio è stato segnato dalle dichiarazioni del premier Berlusconi in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. A partire dagli stipendi degli insegnanti: «C’è un egualitarismo che troverebbe cittadinanza solo in un sistema socialista e non in un Paese liberale e democratico come il nostro». E come differenziare le retribuzioni e premiare il merito di chi si impegna di più? Silenzio sui metodi di valutazione dei docenti, ma una promessa per il futuro: «I sacrifici di oggi serviranno per premiare il personale più bravo nel futuro - ha chiarito la Gelmini - a partire dal 2012, quando i risparmi ci permetteranno di aumentare gli stipendi fino a 7 mila euro l’anno».
Cose già sentite per giorni. Per il resto solo conferme: il maestro unico sarà affiancato da un docente di inglese. La bocciatura alle elementari e alle medie con una sola insufficienza? «Come per il voto in condotta - rassicura Berlusconi - gli insegnanti useranno il buon senso». Qualcuno si chiede perché ci fosse il bisogno di mettere nero su bianco i due provvedimenti in decreto legge, sul quale il governo ha deciso di porre la fiducia.
E sugli 87 mila insegnanti e i 42 mila non docenti tagliati in tre anni? «Nessuna cacciata, sono quelli che andranno in pensione - conferma il presidente del Consiglio - con il contemporaneo blocco del turn over. L’ennesima menzogna della sinistra». Nessuna parola sui 200 mila precari che dovranno cercarsi un altro lavoro. Sul futuro del tempo pieno, che preoccupa centinaia di migliaia di famiglie, nessun problema: «Con l’introduzione del maestro unico sarà aumentato del 50 per cento».
Affermazione che non convince Mariangela Bastico, viceministro dell’Istruzione nel governo Prodi: «Il tempo pieno è scomparso dal decreto Gelmini, che parla solo di un’eventuale estensione delle ore di lezione di 10 ore a settimana. Il maestro unico riporta le ore dell’orario scolastico a 24 ore a settimana, non alle 40 del tempo pieno. Qui si porta via una parte dell’istruzione anche nelle sezioni ad orario normale, pari a 30 ore. Con un taglio di 10 mila insegnanti l’anno».
CITTADINANZA E COSTITUZIONE (Cliccare sul rosso, per leggere i testi integrali.
" (...) E considero positiva e importante la decisione annunciata dal ministro Gelmini di avviare - nel primo e nel secondo ciclo di istruzione - la sperimentazione di una nuova disciplina dedicata ai temi "Cittadinanza e Costituzione". Mi auguro che si consolidi una concreta e impegnativa scelta in questo senso.
Perché, cari ragazze e ragazzi, e cari insegnanti, la Costituzione costituisce la base del nostro stare insieme, come italiani, nel rispetto di tutte le diversità, le esigenze e le opinioni, ma nel comune rispetto di principi e regole fondamentali.
Lo stesso senso della Patria che ci unisce, che ci deve unire, trova il suo ancoraggio, nel presente storico che viviamo, negli indirizzi e nelle istituzioni della solenne Carta entrata in vigore sessant’anni orsono (...) (Sito del Presidente della Repubblica).
MA...L’"ORA DI COSTITUZIONE" NON C’E’ PIU’!!! (ESECUTIVO NAZIONALE DI PROTEO FARE SAPERE)
DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n. 137
Disposizioni urgenti in materia di istruzione e universita’. (GU n. 204 del 1-9-2008 )
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessita’ ed urgenza di
attivare
percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della
legalita’ ed al rispetto dei principi costituzionali,
disciplinare le
attivita’ connesse alla valutazione complessiva del comportamento
degli studenti nell’ambito della comunita’ scolastica,
reintrodurre
la valutazione con voto numerico del rendimento scolastico degli
studenti,
adeguare la normativa regolamentare all’introduzione
dell’insegnante unico nella scuola primaria,
prolungare i tempi di
utilizzazione dei libri di testo adottati,
ripristinare il valore
abilitante dell’esame finale del corso di laurea in scienze della
formazione primaria e semplificare e razionalizzare le procedure di
accesso alle scuole di specializzazione medica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 agosto 2008;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l’innovazione;
E m a n a
il seguente decreto-legge:
Art. 1.
Cittadinanza e Costituzione
1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia.
2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Art. 2. Valutazione del comportamento degli studenti
1. Fermo restando quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, in materia di diritti, doveri e sistema disciplinare degli studenti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica, anche in relazione alla partecipazione alle attivita’ ed agli interventi educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria sede.
2. A decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, la valutazione del comportamento e’ espressa in decimi.
3. La votazione sul comportamento degli studenti, attribuita collegialmente dal consiglio di classe, concorre alla valutazione complessiva dello studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo. Ferma l’applicazione della presente disposizione dall’inizio dell’anno scolastico di cui al comma 2, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca sono specificati i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravita’ del comportamento al voto insufficiente, nonche’ eventuali modalita’ applicative del presente articolo.
Art. 3. Valutazione del rendimento scolastico degli studenti
1. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite e’ espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall’alunno.
2. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite e’ espressa in decimi.
3. Sono ammessi alla classe successiva, ovvero all’esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline.
4. L’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e’ abrogato e all’articolo 177 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 2, 5, 6 e 7, sono abrogati;
b) al comma 3, dopo le parole: «Per la valutazione» sono inserite
le seguenti: «, espressa in decimi,»;
c) al comma 4, le parole: «giudizi analitici e la valutazione
sul» sono sostituite dalle seguenti: «voti conseguiti e il»;
d) l’applicazione dei commi 1 e 8 dello stesso articolo 177 resta
sospesa fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al
comma 5;
e) e’ altresi’ abrogata ogni altra disposizione incompatibile con
la valutazione del rendimento scolastico mediante l’attribuzione di
voto numerico espresso in decimi.
5. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti e sono stabilite eventuali ulteriori modalita’ applicative del presente articolo.
Omissis artt 4,5,5,7.............................
Art. 8. Norme finali
1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara’ presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi’ 1° settembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Gelmini, Ministro dell’istruzione,
dell’universita’ e della ricerca
Tremonti, Ministro dell’economia e
delle finanze
Brunetta, Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione
Visto, il Guardasigilli: Alfano
E’ stata presentata ai sindacati una bozza della riforma messa in campo dal governo
Nel documento non c’è neppure un accenno alla questione del tempo pieno
Maestro unico, trenta per classe
ecco il decalogo della Gelmini
Molti condizionali, ma proviamo a fare il punto su come potrebbe cambiare la scuola
di SALVO INTRAVAIA *
Classi più numerose: fino a 29 alunni all’asilo, fino a 30 nelle prime di medie e superiori. Lo prevede la bozza di regolamento per la riorganizzazione della rete scolastica presentata ieri dal Ministero dell’Istruzione ai sindacati di categoria. Non ancora il piano programmatico promesso dal ministro Maria Stella Gelmini. E in più i sindacati, che hanno visionato il documento, fanno sapere che non c’è nessun accenno alla questione del tempo pieno.
Il documento contiene i nuovi criteri per la formazione delle classi, l’accorpamento degli istituti, l’impiego del personale in esubero. "Il piano deve essere definito nei dettagli con il ministro dell’Economia", è stato spiegato ai sindacati.
E infatti la riforma parte proporio dalla attuazione della manovra economica estiva. Comunque tra mille illazioni, polemiche e incertezze ("assurde", dicono i sindacati) proviamo a fare il punto su quali dovrebbero essere - il condizionale è d’obbligo - le norme che in pochi anni dovrebbero cambiare volto alla scuola italiana.
Due parole d’ordine, "essenzialità" e "continuità": la seconda con le riforme precedenti, compresa quella del Centro-sinistra, e la prima per semplificare e rendere più efficiente l’intero sistema-scuola. Il Piano si muove su tre direttici: Revisione degli ordinamenti scolastici, Dimensionamento della rete scolastica italiana e Razionalizzazione delle risorse umane, cioè tagli.
Scuola dell’infanzia. L’organizzazione oraria della scuola materna rimarrà sostanzialmente invariata. Saranno reintrodotti gli anticipi morattiani (possibilità di iscrivere i piccoli già a due anni e mezzo) e nelle piccole isole o nei piccoli comuni montani l’ingresso alla scuola dell’infanzia potrà avvenire, per piccoli gruppi di bambini, anche a due anni. L’esperienza delle "sezioni primavera" per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi sarà confermata.
Scuola primaria. E’ il ritorno al maestro unico la novità che ha messo in subbuglio la scuola elementare. Già dal 2009 partiranno prime classi con scansione settimanale di 24 ore affidate ad un unico insegnante che sostituisce il "modulo": tre insegnanti su due classi. Le altre opzioni possibili, limitatamente all’organico disponibile, saranno 27 e 30 ore a settimana. La Gelmini "promette" anche di non toccare il Tempo pieno di 40 ore settimanali che potrebbe essere addirittura incrementato ma, su questo punto, pare che il ministero dell’Economia non sia d’accordo. E l’insegnamento dell’Inglese sarà affidato esclusivamente ad insegnanti specializzati, non più specialisti, attraverso corsi di 400/500 ore.
Scuola secondaria di primo grado. La scuola media è al centro di un autentico tsunami che si pone come obiettivo quello di scalare le classifiche internazionali (Ocse-Pisa) che vedono i quindicenni italiani agli ultimi posti. L’orario scenderà dalle attuali 32 ore a 29 ore settimanali. Per questo verranno rivisti programmi e curricoli. Il Tempo prolungato (di 40 ore a settimana) sarà mantenuto solo a determinate condizioni, in parecchi casi verrà tagliato. Per cancellare l’onta dei test Pisa, si prevede il potenziamento dello studio dell’Italiano e della Matematica. Stesso discorso per l’Inglese, il cui studio potrà essere potenziato solo a scapito della seconda lingua comunitaria introdotta dalla Moratti.
Secondaria di secondo grado. La scuola superiore, rimasta fuori da riforme strutturali per decenni, vedrà parecchi cambiamenti. Gli 868 indirizzi saranno ricondotti ad un numero "normale". I ragazzi che opteranno per i licei (Classico, Scientifico e delle Scienze umane) studieranno 30 ore a settimana. Saranno rivisti, anche al superiore, curricoli e quadri orario. Al classico saranno privilegiati Inglese, Matematica e Storia dell’Arte. Allo scientifico, in uno o più corsi, le scuole autonome potranno si potrà sostituire il Latino con lingua straniera. I compagni degli istituti tecnici e professionali saranno impegnati per 32 ore a settimana. Stesso destino per i ragazzi dei licei artistici e musicali.
Riorganizzazione rete scolastica. Attualmente, la scuola italiana funziona attraverso 10.760 istituzioni scolastiche che lavorano su 41.862 "punti di erogazione" del servizio: plessi, succursali, sedi staccate, ecc. Secondo i calcoli di viale Trastevere, 2.600 istituzioni scolastiche con un numero di alunni inferiore alle 500 unità (il minimo stabilito dalla norma per ottenere l’Autonomia) o in deroga (con una popolazione scolastica compresa fra le 300 e le 500 unità) dovrebbero essere e smembrate e accorpate ad altri istituti. Dal ondata di tagli della Gelmini si salverebbero soltanto le scuole materne. Dovrebbero, invece, chiudere i plessi e le succursali con meno di 50 alunni: circa 4.200 in tutto. In forse anche i 5.880 plessi con meno di 100 alunni. Ma l’intera operazione, che il ministro vuole avviare già a dicembre, dovrà trovare il benestare di Regioni ed enti locali.
Razionalizzazione risorse umane: i tagli. Il capitolo dei tagli è lunghissimo. Alla fine del triennio 2009/2010-2011/2012 il governo Berlusconi farà sparire 87.400 cattedre di insegnante e 44.500 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata): 132 mila posti in tutto. Il personale Ata verrà ridotto del 17 per cento. Il rapporto alunni/docente dovrà crescere di una unità. Maestro unico, soppressione di 11.200 specialisti di Inglese alle elementari, contrazione delle ore in tutti gli ordini di scuola, compressione del Tempo prolungato alla scuola media, rivisitazione delle classi di concorso degli insegnanti e ulteriore taglio all’organico di sostegno contribuiranno alla cura da cavallo che attende la scuola italiana. L’intera operazione dovrebbe consentire risparmi superiori a 8 miliardi di euro che in parte (30 per cento) potranno ritornare nelle tasche degli insegnanti, ma solo dei più meritevoli.
* la Repubblica, 25 settembre 2008.
Una scuola a pezzi
Quei ragazzi che non hanno futuro
Un mondo in cui ciascuno ha rinunciato a offrire e a prendere alcunché Studenti somari e razzisti. Professori presi da incombenze burocratiche
di Michele Serra (la Repubblica 25.09.2008)
Se il discorso sulla scuola ha assunto, in Italia, toni aspri e quasi vocianti, è perché parlando di scuola si parla dei giovani e dunque si evoca il futuro, che è il più disturbante dei concetti in tempi di declino sociale come questo. E poi perché la parola scuola chiama in causa un "pacchetto di crisi" fin troppo denso: la crisi dell’autorità, quella della cultura come cardine della persona, quella degli adulti incerti depositari di ancora più incerte "regole". In Francia ha avuto grande successo il romanzo di un giovane insegnante, François Bégaudeau, che ha ispirato il film vincitore della Palma d’oro a Cannes. Il titolo originale del libro era Entre les murs, dentro i muri, perfettamente indicativo dell’atmosfera claustrofobica che lo pervade. Il titolo italiano, meno severo, è La classe (Einaudi Stile libero, pagg. 228, euro 16), e sembra quasi voler riportare questo desolato best-seller in una letteratura "di genere", sulla scia fortunata del primo Starnone e dell’ultimo Pennac. Con eventuale ammicco a un sottogenere pop, quello del computo allegro degli svarioni studenteschi, tipo Io speriamo che me la cavo o il vecchio classico per ragazzi francese La fiera delle castronerie. Ma attenzione: i circa vent’anni che separano la generazione di Starnone e Pennac (diciamo, per comodità, quella "sessantottina") da quella di Bégaudau sono un vero e proprio baratro.
La scuola raccontata da Starnone e Pennac è ancora un lascito, seppure residuo, dell’umanesimo. L’ironia amara, lo sguardo smagato su ragazzi e adulti lascia ancora intatta l’illusione di un passaggio di consegne, di un apprendistato, più ancora che alla cultura, alla civiltà e forse alla vita. Leggendo Bégaudeau, la sua stagnante, ossessionata trascrizione di un dialogo impossibile, ci si ritrova piuttosto immersi in una post-scuola, una scuola svuotata di sé nella quale ciascuno ha rinunciato a offrire o prendere alcunché, e insegnanti frustrati oppure inaciditi, e alunni maneschi e rincoglioniti dal consumismo, trascorrono un intero anno rimanendo fermi al punto di partenza, senza procedere di un passo verso quel percorso scolastico che, burocrazia a parte, è pur sempre la ragione di un anno di lavoro e di vita. Un anno: per un adolescente un’enormità, un tempo immenso di crescita e di occasioni, che nella scuola di Bégaudeau diventa però un tempo puntiforme, una spirale viziosa che lascia ciascuna delle due parti, ragazzi e professori, nella propria inerte impotenza.
La staticità del libro è prima di tutto stilistica. La povertà verbale è il frutto evidente di un accurato lavoro letterario, imitativo della supposta povertà della realtà scolastica e soprattutto del linguaggio dei liceali. Il battito delle frasi è quello di un rap, concetti mozzi e ripetuti, sguardi veloci sui marchi delle felpe come principale identità degli studenti, niente che sembri portare a qualcosa o allontanarsi da qualcos’altro. Il tutto contrappuntato dalle conversazioni vaghe e strascicate della sala professori, perse tra qualche incombenza burocratica e rivendicazioni "sindacali" striminzite sull’efficienza della macchinetta del caffè. Oppure ? in un rigurgito di "autorità" che è anche il massimo exploit dell’impotenza ? dalle delibere di espulsione che, a raffica, colpiscono gli studenti più insopportabili. Il genere della Classe, dunque, non è tanto il "romanzo scolastico", quanto il no-future. La mancanza di movimento. La perdita di direzione. La sensazione di ultima spiaggia.
Appesantita, per giunta, dall’onnipresenza (anche lei ossessiva) di una multiculturalità descritta come un ingovernabile equivoco, un ginepraio di pregiudizi e diffidenze che l’io narrante, il giovane prof Bégaudeau, affronta con una stizza inconsolabile (forse la stizza dei "politicamente corretti" sconfitti dall’evidenza), masticando come un fiele il nodo di una diversità babelica, inconciliabile, sorda ai richiami della tolleranza e della comprensione. Tanto che la pagina più potente e liberatoria del romanzo è un secco sfogo nel quale il professore dà del pezzo di merda, in massa, all’intero corpo studentesco, affogando dentro la sua rabbia anche le deboli tracce di umanità che è riuscito a scorgere nei singoli studenti, infine rinnegati anche dal docente, perfino dal docente, che li caccia volentieri nel girone infernale della Massa Amorfa, più interessata alle felpe e ai telefonini che alla propria decenza mentale.
Insomma: un libro terribilmente doloroso, di accurato pessimismo, con la patina di "divertente", evocata in copertina nell’edizione italiana, che si lacera dopo poche pagine. Resta da riflettere sul grande successo, in Francia, di un romanzo così implacabile, che non lascia spiragli, non concede alibi né agli adulti né ai ragazzi, i primi visti come neghittosi sorveglianti del nulla, i secondi come insorvegliabili somari, razzisti, ottusi, consumisti bulimici, potenziali violenti che stazionano "dentro i muri" come cavie in una gabbia, e senza neanche la discutibile soddisfazione di essere cavie di un esperimento. Perché un esperimento non c’è.
Se questa è davvero la scuola, in Francia e qui da noi, ovunque nell’Occidente spento di energie e debole di identità, viene da dire che hanno ragione i restauratori politici che, a furor di popolo, vogliono tornare ai vecchi metodi: al posto del ministro Gelmini, sorvolerei sulla natura letteraria del lavoro di Bégaudeau e inserirei il suo romanzo in ogni dossier ministeriale che voglia liquidare tutte le esperienze pedagogiche dell’ultimo mezzo secolo e riportare Legge e Ordine tra i banchi.
A me, piuttosto, è venuta voglia, come antidoto, di rileggere Starnone e Pennac, oppure gli interventi di Marco Lodoli su questo giornale, nei quali la percezione del disastro sociale e scolastico non è certo attenuata, ma lo sguardo di chi lo osserva è ? non so come dirlo altrimenti ? umanamente partecipe. Dev’essere una questione di generazione, Régaudeau e il suo rap disperato sono probabilmente più sintonici con i tempi, e magari i ragazzi di oggi possono davvero leggere "divertendosi" un libro che li raffigura come ectoplasmi nevrastenici, come nullità ringhiose, e però lo fa con il ritmo giusto, riconoscibile, se posso dire: alla moda.
Ma se non si riesce più a trovare, o almeno a cercare il bandolo di un significato, di un destino, di un rapporto di emulazione e sfida tra adulti e ragazzi, allora hanno ragione i vecchi reazionari quando dicono "ci vorrebbe una bella guerra ogni tanto", a raddrizzare la gioventù, a selezionarla meglio di un sette in condotta o di una bocciatura. Ecco, "La classe" è un libro post-scolastico e pre-bellico: arrivato in fondo al viaggio, anzi al non-viaggio, un lettore disposto al paradosso pensa che l’anno prossimo quelle truppe di giovani felpate e smidollate, per ritrovare nerbo e disciplina, e magari dotarsi di un concetto di Patria che rimedi alle vaghezze del multiculturalismo, non dovrebbero più rientrare a scuola, ma in caserma. Dev’essere per questo che giovani ministri (poco più anziani di Bégaudeau) tendono a confondere scuola e caserma.
"Minacciare bocciatura è reato" *
ROMA - Minacciare la bocciatura? Non si può. Anzi, è reato. Lo ha stabilito, con una sentenza destinata a far discutere, la corte di Cassazione.
Insomma, il professore che intimidisce i suoi studenti promettendogli la bocciatura commette il reato di minaccia aggravata. E nella sentenza si legge che per i ragazzi "la ingiusta prospettazione di una bocciatura rappresenta una delle peggiori evenienze" e un simile atteggiamento del docente è "idoneo ad ingenerare forti timori, incidendo sulla libertà morale" degli allievi.
Per questo motivo la Suprema Corte ha confermato la condanna per Marcello P., (50 anni) insegnante del liceo scientifico ’Paolo Lioy’ di Vicenza.
I legali del docente - condannato anche per abuso d’ufficio per aver dato a pagamento ripetizioni private agli studenti costringendoli anche a fargli dei regali - avevano sostenuto che il reato di minaccia non era configurabile "in quanto il tale minacciato (l’ingiusta bocciatura) non dipendeva solo dalla sua volontà, ma dall’intero collegio dei docenti". Ma gli ermellini hanno bocciato questa tesi e confermato il verdetto di colpevolezza emesso dalla Corte di Appello di Venezia il 23 ottobre 2007.
In particolare, il ’prof’ aveva detto a Silvia C. che "non aveva più alcuna possibilità di essere promossa", per ’vendicarsi’ di un intervento fatto nell’Assemblea dei genitori dalla mamma della ragazza che proponeva di rimuovere il docente, per la sua scorrettezza, nel triennio successivo.
* la Repubblica, 24 settembre 2008
Scuola, si allarga la protesta anti-Gelmini
Si allarga la protesta studentesca contro l’operato del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini.
Le scuole romane dove lunedì l’anno scolastico è cominciato con il lutto al braccio degli insegnanti contro le riforme del ministro Gelmini hanno deciso di portare la loro protesta fin sotto Montecitorio. È in corso un sit-in contro il maestro unico e i tagli alla scuola a cui stanno prendendo parte docenti, mamme, bambini e dirigenti scolastici. «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini», si legge sulle magliette dei manifestanti. Alla elementare Iqbal Masiq è in corso una occupazione che finirà solo il 19. Tra gli istituti in piazza, oltre alla Masiq, ci sono la scuola Ghandi, la Trilussa, la Romolo Balzani, la Pisacane, la Ada Negri. «Siamo qui - spiegano gli organizzatori - perchè in commissione istruzione è partita la discussione del decreto sul maestro unico che contestiamo». «I bambini sono nell’era di internet- commenta Francesca, una mamma della scuola Ghandi - il maestro unico viene dalla preistoria».
Dopo le contestazioni portate avanti lunedì dall’Unione degli studenti, in occasione del primo giorno di scuola, a Roma è stato presentato il programma di mobilitazione realizzato dal neonato sindacato studentesco delle scuole superiori la "Rete degli studenti".
Nel nuovo sindacato confluiscono tre sigle studentesche: i Reds, l’Isim ed gli Sds. «Il nostro vuole essere un progetto apolitico - spiega Giulia Tosoni, tra i promotori della Rete degli studenti - che ha voluto riunire tre soggetti studenteschi attivi che credono fortemente nella contrapposizione alla politica di questo governo».
«Il sindacato - continua Tosoni - è nato infatti questa estate all’indomani della presentazione dei decreti legge che intendono introdurre tagli, maestro unico, voto in condotta ed il terribile piano di ridimensionamento del sistema scolastico: tutti provvedimenti che non tengono conto degli studenti, ma che li penalizzano fortemente».
L’obiettivo principale della Rete degli Studenti è il responsabile del ministero di viale Trastevere: «attraverso le sue parole siamo ormai arrivati - sottolinea Tosoni - ad una vera e propria "emergenza ballismo": ci impegneremo al massimo per svelare tutte le balle del ministro Gelmini, che continua a prendersi gioco degli italiani con i suoi progetti di riforma».
Il programma di mobilitazione della Rete degli studenti prevede la prima manifestazione già per venerdì prossimo, il 19 settembre, con striscioni in diverse città italiane: «i nostri studenti - fanno sapere dal sindacato - sfileranno sicuramente a Roma, Venezia, Torino, Perugia, Sassari, Ancona, Foggia e Lecce». È stata fissata anche una manifestazione nazionale per il 4 ottobre a Roma sotto il Miur.
Intanto Gelmini, in un’intervista al "Sole 24 ore" ne "spara" altre. «Il nostro obiettivo è affiancare al sistema dei licei una riqualificazione della formazione professionale e degli istituti tecnici», applicando «la riforma dal 2009» in cui «stiamo valutando di ridurre le ore settimanali delle superiori».
Sulla scelta di tornare al maestro unico, Gelmini dice che «è ingiustificato l’allarme della sinistra», poichè «con questo piano siamo in grado di mantenere il tempo pieno ma anche di migliorarne la qualità e di estenderne l’orario del 50 per cento».
Sul futuro dei precari della scuola, Gelmini afferma che «ad alcuni docenti che risultassero in esubero chiederemo uno sforzo per apprendere altri insegnamenti». E aggiunge: «in futuro ridurremo da due anni a un anno il corso per accedere all’insegnamento» e «daremo un mano ai precari anche con la riforma delle classi di concorso».
Infine, sulla "manovra d’estate" che prevede il taglio di 87 mila cattedre in tre anni, Gelmini spiega che «il principio cardine del mio piano è l’individuazione del costo standard» in modo che questo costo «venga finanziato in ogni Regione».
* l’Unità, Pubblicato il: 16.09.08, Modificato il: 16.09.08 alle ore 16.58
Nastro scuro al braccio in tutta Italia contro la riforma Gelmini A Firenze, in alcuni plessi, le insegnanti accolgono gli alunni interamente vestite di nero "No ai tagli e al maestro unico" La protesta delle maestre in lutto Il ministro: "E’ vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste politiche" *
ROMA - Questa volta le maestre proprio non ci stanno. E in tutta Italia il primo giorno di scuola decidono di protestare contro la riforma Gelmini, silenziosamente, con un nastro nero legato al braccio, in segno di lutto. Se a Firenze i bambini di alcune scuole materne ed elementari hanno trovato gli insegnanti vestiti completamente di nero, a Roma prof e genitori hanno deciso di occupare un istituto. Pronta la risposta del ministro: "E’ vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste che sono solo politiche".
Tutti in nero a Firenze. Vestite a lutto contro la riforma Gelmini le insegnanti della scuola pubblica materna Andrea del Sarto, la scuola dell’infanzia Giotto e la scuola primaria Capponi a Firenze. Le maestre hanno atteso gli studenti davanti ai plessi scolastici, fuori dal portone con tutto l’abito nero e uno striscione: "No ai tagli, no al maestro unico". Solo nelle prime elementari, all’arrivo a scuola dei piccoli studenti, la protesta è stata più sobria, con le maestre che comunque indossavano qualcosa di nero. Altre forme di contestazione contro la riforma Gelmini sono state annunciate per oggi e i prossimi giorni in tutti gli istituti scolastici che fanno parte del circolo 11 di Firenze.
A Roma scatta l’occupazione. Si protesta attivamente anche nella capitale. Volantinaggi e assemblee alla scuola elementare "Iqbal Masih" di via Ferraironi. Mamme con la maglietta "il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini", striscioni e quella fascia nera al braccio degli insegnanti per sostenere il tempo pieno e dire "no" al maestro unico. Stessa situazione alla succursale di via Balzani, nel quartiere Casilino 23. Come già annunciato, anche qui il primo giorno di scuola è iniziato con la protesta di insegnanti e genitori contro la riforma Gelmini e l’introduzione del maestro unico.
"L’occupazione della scuola inizierà alle 12.30 e andrà avanti per una settimana - ha spiegato l’insegnante Paola De Meo della Iqbal Masih - Questa mattina, come annunciato, abbiamo messo il lutto al braccio, ma entrati in classe l’abbiamo tolto per non impressionare i bambini. Durante il pomeriggio, alla fine delle lezioni che andranno avanti regolarmente, abbiamo organizzato attività, teatrali e musicali nonché informative sul funzionamento delle dinamiche scolastiche, una materia che, purtroppo, non tutti conoscono e per cui non sempre viene compresa l’importanza e il significato delle nostre proteste".
La mobilitazione è stata decisa quasi all’unanimità dal Collegio dei docenti ("ci sono stati un’astenuta e un voto contrario"). Anche alla succursale di via Balzani, alle 8 si è svolto un volantinaggio e alle 8,30 una breve assemblea tra genitori e docenti.
Gli studenti: in mutande con le orecchie d’asino. Anche l’Unione degli Studenti, che all’apertura di questo anno scolastico ha distribuito nelle scuole di tutto il Paese il volantino "Jurassic School. Benvenuti nella scuola del passato" - un testo provocatorio contro i tagli, il voto in condotta e l’abbassamento dell’obbligo scolastico - ha protestato contro i provvedimenti del ministero dell’Istruzione. Dal volantinaggio davanti diverse scuole a striscioni calati in più punti della città (anche al Pincio).
Ma il vero show anti-riforma è iniziato alle 11.30 quando una quindicina di ragazzi si sono presentati davanti al ministero con indosso orecchie d’asino di cartone, capitanati da uno studente in mutande e canottiera a simboleggiare la "povertà della scuola pubblica". Sulle gradinate di viale Trastevere i giovani hanno distribuito il volantino contro "la jurassic school" e allestito un "cimitero della conoscenza" con lumini e libri di testo sparpagliati sulle scale. I ragazzi hanno poi srotolato uno striscione con su scritto "Non è che l’inizio. Mobilitazione studentesca nazionale 10 ottobre ’08" per lanciare la data di mobilitazione del prossimo mese che vedrà iniziative su tutto il territorio nazionale.
Le reazioni politiche. E contro la protesta di insegnanti e genitori si schiera subito il mondo politico di centrodestra. A partire, ovviamente, dal ministro accusa i maestri che si sono presentati a scuola listati a lutto e dice che è "vergognoso strumentalizzare i bambini per cavalcare proteste che sono solo politiche. Per tutti i bambini - precisa Gelmini - il primo giorno di scuola è una festa, un momento di gioia e allegria, non certo un’occasione per terrorizzarli. La scuola non può essere utilizzata come un luogo di battaglie politiche" conclude il ministro.
"I dirigenti e i docenti" che oggi hanno festeggiato in lutto il primo giorno di scuola "sbagliano e abusano del loro potere" commenta l’assessore alle politiche scolastiche del Comune di Roma Laura Marsilio. "Sono dei dipendenti ministeriali - continua l’assessore - e per questo sono sanzionabili: mi auguro che l’ufficio scolastico provveda in tal senso. Utilizzare le istituzioni per far propaganda politica è un messaggio inopportuno da mandare ai ragazzi.
Per Giovanni Donzelli (An) è "un’iniziativa irresponsabile e diseducativa" che "non danneggia il Governo ma i bambini, che dovrebbero vivere il rientro a scuola con serenità e gioia". "Il primo atto dei maestri è stato quello di una protesta di sinistra" per Alessandra Mussolini, presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia e segretario nazionale di Azione Sociale-PdL. "I primi giorni di scuola costituiscono per i ragazzi momenti di ansia per il futuro impegno - continua - ci si dovrebbe aspettare da tutti, a partire dagli insegnanti, responsabilità e saggezza. Invece, per privilegiare le polemiche strumentali e faziose è stato mortificato il benessere dei giovani".
Sulla stessa linea d’onda anche Mariella Bocciardo, membro della Commissione Affari Sociali e Parlamentare Infanzia (PdL), che ha definito il gesto ’’imbarazzante e vergognoso". ’’Quest’anno - commenta Bocciardo - grazie alla riforma proposta dal Ministro Gelmini, è iniziata una nuova era per la scuola italiana. Con questi insegnanti, o pseudo tali sarà difficile battere il bullismo".
Dall’altra parte della barricata Silvana Mura, Idv. Per la deputata è vergognoso e preoccupante" il modo in cui "il governo sta demolendo la scuola italiana". E in una nota precisa: "Di fronte ad una riforma che mette in mezzo ad una strada 200 mila precari, che riduce la qualità dell`insegnamento della scuola primaria, che eliminerà inevitabilmente il tempo pieno scaricando ulteriori costi sulle famiglie italiane i docenti hanno tutto il diritto e forse il dovere di protestare per tutelare i propri diritti di lavoratori e il diritto di tutti i bambini di ricevere un insegnamento di qualità".
"Ai maestri e alle maestre che sono andati a scuola con il segno del lutto va tutta la solidarietà attiva dei comunisti italiani" afferma Manuela Palermi, Pdci. E continua: "Il Pdl farà bene a tenere giù le mani dai maestri e dalle maestre, a non minacciarli o ricattarli, e a rispettare la loro protesta se vuole evitare che il malessere profondo del Paese contro i tagli alla scuola non diventi incontrollabile". Il Pdci sarà al fianco degli insegnanti "per respingere le misure della Gelmini".
* la Repubblica, 15 settembre 2008.
ITALIA 1948-2008. 60° ANNIVERSARIO DELLA COSTITUZIONE.... IL NUOVO ANNO SCOLASTICO, I COSTRUTTORI DELLA DEMOCRAZIA, E IL COLTELLO PUNTATO ALLA GOLA DEI RAGAZZI E DELLE RAGAZZE DI TUTTA L’ITALIA. Caro Presidente Napolitano, La prego, faccia chiarezza e ci liberi dalla trappola e dall’inganno!!! IO VOGLIO INIZIARE L’ANNO CON IL "QUADERNO DELLA COSTITUZIONE" E CON IL GRIDO LIBERO DI FORZA ITALIA, DI VIVA L’ITALIA - per leggere l’art. cliccare sul rosso.
Da Helsinki il presidente chiede sensibilità anche verso la Carta europea
E poi dice: "L’Italia ha bisogno della crescita, bisogna concentrarsi sulla ricerca"
Napolitano sulla Costituzione
"In Italia c’è una questione aperta"
HELSINKI - "In Italia credo ci siano questioni ancora aperte sulla piena identificazione nei principi e nei valori della Costituzione. Occorre un forte moto di patriottismo costituzionale, per il quale credo ci siano le condizioni".
Sono le considerazioni del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla conferenza stampa che ha chiuso la sua trasferta di due giorni in Finlandia. Parlando della situazione del nostro Paese, il capo dello Stato ha anche detto che "serve un grande sforzo per rilanciare la crescita".
Ecco il ragionamento di Napolitano: "Credo che in Italia - ha detto - sia ancora una questione aperta la piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione repubblicana che sono rispecchiati nella Costituzione europea richiamata nel Trattato di Lisbona". Il presidente lo ha dichiarato rispondendo a una domanda dei giornalisti sulla caduta di tensione che c’è in vari paesi europei, rispetto ai motivi originari che furono alla base della costruzione europea, come strumento per mettere fine agli orrori creati dalla guerra e dal nazifascismo.
Sulla necessità di una ripresa della crescita economica, il capo dello Stato ha spiegato che "è essenziale puntare su fattori fondamentali come la debolezza della capacità di concentrarsi sulla ricerca e la formazione. E’ una questione che deve essere affrontata anche dalle politiche pubbliche".
Napolitano ha poi espresso "non solo un sentimento di solidarietà al giudice Giacomo Montalbano (la cui villa è stata bersaglio di un’attentato incendiario, ndr) ma una riaffermazione dell’importanza dell’impegno di tutti magistrati che, come lui, lottano per l’impegno alla legalità anche con sacrificio personale e gravi rischi". Convinzioni, queste, da lui riportate anche al procuratore antimafia Piero Grasso, che ha incontrato proprio nella capitale finlandese.
* la Repubblica, 10 settembre 2008.
Maestro unico
Possiamo ancora fermarli basta che il decreto legge decada in Parlamento
Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini
Lettera aperta ad Insegnanti, Genitori, Cittadini,
Parlamentari, Associazioni e Sindacati
Il primo settembre 2008, a tradimento, senza che nulla trapelasse, è comparso sulla Gazzetta Ufficiale il DL 137/08 che contiene l’articolo 4, di cui finora nessuno ne aveva parlato, che con la reintroduzione dell’insegnante unico nella scuola elementare riporta indietro d’un solo colpo il mondo della scuola, cancellando i moduli ed il tempo pieno nella scuola elementare.
Dal 2009 i bambini italiani avranno una scuola povera; saranno privati della possibilità di utilizzare spazi e tempi di arricchimento personale. Gli insegnanti saranno privati del tempo necessario per seguire, in mondo personalizzato, gli alunni in difficoltà e permettere agli "eccellenti" di esprimersi al meglio. Molti bambini, con i genitori che lavorano, passeranno da soli interminabili pomeriggi davanti alla televisione o saranno lasciati in mezzo alla strada.
D’un colpo, senza alcuna discussione nel paese e in Parlamento, hanno azzerato la scuola elementare, proprio mentre tutti gli indicatori internazionali la riconoscono come una tra le più qualificate del mondo.
Hanno fatto una radicale “riforma” di “nascosto”. Con un Decreto Legge! Cosa senza precedenti! Un disastro fatto solo per fare cassa a spese delle opportunità e delle speranze dei bambini. Il Parlamento Italiano è stato espropriato della propria sovranità.
L’attuale complessità culturale richiede, in modo più pressante che mai, la disponibilità di persone che collaborino ad una formazione integrale ed integrata, fatto completamente ignorato da questo Governo.
Hanno umiliato gli insegnanti e la loro professionalità.
Le famiglie saranno messe in seria difficoltà, in particolare i genitori con bambini frequentanti il tempo pieno, se vorranno conservare il lavoro, dovranno affidarsi a improbabili doposcuola a pagamento che rischieranno di trasformarsi, come un tempo, in ghetti sociali.
L’associazione professionale Proteo Fare Sapere fa appello a TUTTI gli insegnanti perché dimostrino con un gesto fortemente simbolico la loro tristezza e contrarietà: andiamo TUTTI a scuola il primo giorno con un segno nero di lutto.
E’ un’ idea che gira su internet, ci sembra buona; un’idea che può essere sostenuta da ogni insegnante, a cui chiediamo di organizzare i colleghi facendo il passaparola, dalle altre associazioni professionali, dai sindacati.
Chiede a tutti gli insegnanti di rivolgersi ai loro Parlamentari perché, quando si tratterà di convertire il decreto legge definitivamente in legge dello Stato (c’è tempo 60 giorni), intervengano a favore di una buona scuola, e per disapprovare chi vuol fare cassa a spese dei bambini.
Chiede a tutti i Parlamentari, anche di maggioranza, di non votare la conversione in legge definitiva del Decreto.
Chiede in particolare all’Opposizione di fare anche ostruzionismo pur di far decadere un dannoso e non necessario Decreto Legge. Infatti anche gli altri contenuti del decreto possono aspettare.
L’esecutivo nazionale di Proteo Fare Sapere
Roma, 4 settembre 2008
Manca solo l’insegnante con manganello e fischietto *
di Andrea Bajani (l’Unità, o9.o9.2008)
Ogni fascia anagrafica ha il suo spauracchio confezionato ad hoc. Per gli adulti, è disponibile l’extracomunitario. È uno spauracchio di comprovata efficacia, estesa applicazione e referenza millenaria. Funziona bene come catalizzatore della frustrazione e dell’odio sociale, provare per credere. Per i giovani in età scolare, invece, da poco è stato lanciato sul mercato il prodotto «bullo». Il bullo è una sorta di «extracomunitario italiano adolescente» che mena le mani contro il prossimo, preferibilmente se portatore di handicap, sovrappeso, ritardato, omosessuale. In entrambi i casi (extracomunitari e «extracomunitari italiani adolescenti») la parola d’ordine è una sola: disciplina. L’ultima conferma l’abbiamo avuta nella nuova riforma della scuola firmata dal Ministro Gelmini, che taglia risorse all’istruzione, mortifica la funzione degli insegnanti, e però invita a dibattere su folkloristici provvedimenti disciplinari, buoni appunto per distrarre e catalizzare l’aggressività sociale. La violenza (dentro e fuori le scuole) si sconfigge con la disciplina.
Forse è una strada, però bisogna intendersi sul significato del termine «disciplina», che improvvisamente sembra diventato prerogativa della destra. La disciplina proposta è: bocciatura per l’insufficienza in condotta e grembiulino obbligatorio a scuola. Il che significa declinare sulla fascia anagrafica adolescenti l’istituzione dell’esercito in strada. Ovvero: obbedienza pena la punizione, l’insegnante come vigile urbano seduto dietro la cattedra con manganello, fischietto e in tasca le manette e il taccuino per emettere multe. Ecco, credo semplicemente che quest’idea della disciplina riveli una concezione desolante del cittadino e del rapporto tra stato e cittadino. Il cittadino è relegato a mero esecutore meccanico di un ordine di cui non è tenuto né a capire né a condividere il senso.
Per dirla con Antonio Gramsci, fondatore di questo giornale, è venuto il momento di contrapporre disciplina a disciplina. C’è un tipo di disciplina in cui tutti, semplicemente, pedestramente obbediscono: «i muli della batteria al sergente di batteria, i cavalli ai soldati che li cavalcano. I soldati al tenente, i tenenti ai colonnelli dei reggimenti; i reggimenti a un generale di brigata; le brigate al viceré (...). Il viceré alla regina (...). La regina dà un ordine, e il viceré, i generali, i colonnelli, i tenenti, i soldati, gli animali, tutti si muovono armonicamente e muovono alla conquista». E poi c’è un’altra disciplina. Questa disciplina nasce dalla consapevolezza di essere parte di una collettività, dalla condivisione di un progetto. Soprattutto nasce dalla cultura, che è quello che chiediamo allo stato, agli insegnanti e alla scuola: «La cultura (...)è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri». Ma questo fa paura: meglio le istruzioni che l’istruzione. È più rassicurante avere dei consumatori in grembiulino che dei cittadini consapevoli. Se seguiamo bene le istruzioni, diventeremo uguali alla figura disegnata sulla scatola.
* Esce oggi nelle librerie italiane il nuovo libro di Andrea Bajani: «Domani niente scuola», Einaudi
Con un decreto cambiano le elementari
Maestro unico e solo 24 ore. Sparirà il tempo pieno, a rischio 80mila insegnanti.
Gelmini: dal 2009 e solo in prima
di Maristella Iervasi ( l’Unità, 03.08.2008)
LA SIGNORA dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha spiazzato tutti. Il maestro unico è già legge. Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale che doveva sancire solo il 5 in condotta, i voti in numeri in pagella e la nuova materia: Cittadinanza e Costituzione, riforma invece in toto la scuola elementare: uno dei modelli di qualità vantati in Europa. Un blitz in piena regola che ha spiazzato genitori e insegnanti e provocato un terremoto nelle scuole da ieri aperte per organizzare le classi, i programmi di studio, coprire i «buchi» sul sostegno e le malattie.
Una mossa quella del duetto Gelmini-Tremonti «studiata» per blindare la restaurazione del ritorno dell’insegnante unico nella scuola primaria con un orario già fissato per decreto: 24 ore settimanali, 6 ore di lezione in meno rispetto ad oggi. Un modo per sancire la fine del modulo e la conseguente agonia del tempo pieno. Una strategia per dare «forza giuridica» al «massacro» della scuola - il taglio di 90mila docenti e 43 mila tra bidelli e segretari in meno entro il 2012. Ma che di fatto «tappa la bocca» al confronto e alla concertazione politica e sindacale. E fuori sacco è stata introdotta anche - con «raccapriccio» degli editori - la disposizione che i testi scolastici dovranno durare per 5 anni.
Mondo della scuola e famiglie in subbuglio. Così si è svegliata ieri l’Italia. 104mila le classi di primaria funzionanti a modulo (tre insegnanti per due classi); 33mila quelle a tempo pieno. Un totale di circa 245mila insegnanti, di cui 6mila non di ruolo. 5mila invece i pensionamenti previsti nell’anno. Se si aprisse la sperimentazione del maestro unico solo dalla prima elementare verrebbero spazzati via 16.640 posti docente. Se si partisse a regime su tutte e cinque le classi (modulo e tempo pieno), il «risparmio» conseguente del taglio sarebbe di 80mila posti per maestro.
Una rivoluzione da restaurazione contro il sapere. Gli studenti imparerebbero appena a leggere, scrivere e contare. E con questo scarso bagaglio nozionistico entrerebbero poi alla scuola dei “grandi”, le medie. Un avvio d’anno scolastico, dunque, al cardiopalma. «Sciopero» unitario e mobilitazione dei docenti è la risposta del sindacato Flc-Cgil, Uil e Cisl-scuola. E non è detto che non coincida con l’ingresso o giù di lì degli studenti nelle aule. Mentre il tam tam corre anche su Internet e nelle città della penisola spuntano Comitati contro il ritorno al passato del maestro generalista: raccolte di firme e fax di protesta per «inondare» la Gelmini. Mentre i precari della scuola invitano gli italiani ad appendere un drappo nero sui balconi.
«Un calcio nei denti ai bambini e alle bambine» commenta Enrico Panini, segretario nazionale della Federazione lavoratori della conoscenza. «Un attacco spietato del governo al loro diritto ad avere una scuola più ricca e non più povera di opportunità», precisa. Durissimo anche il sindacato degli insegnanti, il Gilda: «Un colpo di mano che fa tornare indietro di oltre 20 anni. Non è mai capitato nella storia d’Italia - sottolinea Rino Di Meglio - che una riforma dell’ordinamento scolastico venisse varata con un decreto legge». Massimo Di Menna della Uil, chiede chiarezza e trasparenza: «Il governo - dice - ha introdotto una rigidità prima ancora della discussione con i sindacati». E Fracesco Scrima della Cisl-scuola parla di «pedagogia da cassa». Intanto, leggendo l’art.4 del decreto salta agli occhi il mancato uso del congiuntivo: «è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante...». Ancora un errore da matita rossa blu per il ministero dell’Istruzione dopo la «gaffe» sulla poesia di Montale alla maturità?.
Il ritorno del maestro unico in classe - mandato in pensione dal’90 dal ministro Mattarella - non scatterebbe subito solo per questioni organizzative ma l’insegnante sarebbe solo in cattedra dall’anno 2009-2010. La stessa Gelmini vista la «furia» della polemica e dello sconcerto in atto della popolazione è stata costretta a precisare: «Sarà un ritorno soft e verrà introdotto solo nella prima classe del ciclo. Quindi entrerà a regime gradualmente». Ha rassicurato anche sul tempo pieno: «Non è affatto incompatibile con il ritorno del maestro unico», ha detto la responsabile dell’Istruzione. Poi, a chiusa della nota è tornata sul bilancio della scuola, speso per il 97% per pagare gli stipendi di un milione e 300 mila dipendenti. «Così la scuola non ha futuro» - ha concluso Gelmini, ribadendo la sua litania: meno insegnanti ma meglio pagati».
Dure le reazioni del Piddì. «Il maestro unico non è un romantico ritorno al passato. Significa una settimana di 24 ore, senza pomeriggi a scuola, senza attività integrativa e bambini in casa», sottolineano il ministro ombra Maria Garvaglia e Maria Coscia, responsabile scuola del partito.
Ansa» 2008-08-31 18:54
SCUOLA, PRIMA CAMPANELLA IN LOMBARDIA
ROMA - La prima campanella squillerà in Lombardia tra poco più di una settimana, l’8 settembre; l’ultima in Sicilia, il 17 settembre. E gli alunni lombardi saranno proprio i più "secchioni", visto che per loro l’anno scolastico sarà il più lungo, terminando il 16 giugno 2009 - unica regione italiana - contro il 6 giugno di Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna. A rispondere all’appello saranno quasi 9 milioni di alunni italiani, divisi in poco meno di 8 milioni nelle scuole statali e circa un milione nelle istituzioni scolastiche non statali; gli stranieri dovrebbero essere poco più di 600 mila.
Le stime - in attesa delle cifre esatte, che al momento non sono disponibili - sono approssimative e si rifanno a quelle dello scorso anno: come spiega lo stesso sito del Ministero dell’istruzione, infatti, ogni anno la popolazione scolastica subisce un ricambio di circa mezzo milione di alunni che entrano nelle scuole e di circa altrettanti che ne escono, mantenendo sostanzialmente quasi invariata la sua dimensione complessiva. Altre cifre relative allo scorso anno scolastico (2007-2008): oltre 42 mila punti di erogazione del servizio (comprensivi delle istituzioni carcerarie), complessivamente più di un milione e 100 mila unità operative direttamente coinvolte (docenti, dirigenti, amministrativi, personale di servizio). E non va trascurato il fatto che, oltre a questo personale, interamente statale, presta servizio in supporto delle attività scolastiche un numero considerevole di altri operatori alle dipendenze di Enti locali.
IL CALENDARIO DI QUEST’ANNO REGIONE PER REGIONE
ABRUZZO - Dal 15 settembre 2008 al 6 giugno 2009
BASILICATA - Dal 15 settembre al 10 giugno
CALABRIA - Dal 15 settembre al 6 giugno
CAMPANIA - Dal 15 settembre al 12 giugno
EMILIA ROMAGNA - Dal 15 settembre al 6 giugno
FRIULI VENEZIA GIULIA - Dal 15 settembre al 10 giugno
LAZIO - Dal 15 settembre (16 per le secondarie di II grado) al 12 giugno
LIGURIA - Dal 15 settembre al 13 giugno
LOMBARDIA - Dall’8 settembre al 16 giugno
MARCHE - Dal 15 settembre al 10 giugno
MOLISE - Dal 15 settembre all’11 giugno
PIEMONTE - Dal 15 settembre all’11 giugno
PUGLIA - Dal 15 settembre al 10 giugno
SARDEGNA - Dal 15 settembre al 10 giugno
SICILIA - Dal 17 settembre al 12 giugno
TOSCANA - Dal 15 settembre al 13 giugno
UMBRIA - Dal 15 settembre al 10 giugno
VENETO - Dal 15 settembre al 9 giugno
VALLE D’AOSTA - Dal 15 settembre al 12 giugno
PROVINCIA DI BOLZANO - Dal 10 settembre al 13 giugno
PROVINCIA DI TRENTO - Dal 15 settembre (primo settembre per le scuole dell’infanzia) al 9 giugno.
Per le scuole dell’infanzia, il termine delle attività educative è fissato al 30 giugno 2009 per tutti, tranne la provincia di Bolzano. Undici le festività previste nel corso dell’anno scolastico: si comincia con il primo novembre (tutti i santi) per proseguire con l’8 dicembre, il 25 e 26 dicembre, il primo e il 6 gennaio, il lunedì di Pasqua, il 25 aprile, il primo maggio, il 2 giugno e la festa del Santo Patrono, che cambia nelle varie città. Gli esami di Stato, per la scuola secondaria superiore, avranno inizio, sull’intero territorio nazionale, con la prima prova scritta, il 25 giugno 2009; la prova scritta, nell’ambito degli esami di Stato conclusivi dell’istruzione secondaria di primo grado, si svolgerà il 18 giugno.
60° anniversario della Costituzione
PREFAZIONE AL QUADERNO DELLA COSTITUZIONE
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO *
Cari ragazzi,
la Costituzione che entra a far parte della vostra personale biblioteca è un documento prezioso, perché contiene i principi sui quali si fonda la nostra Repubblica democratica; un documento del quale è importante che voi ragazzi conosciate appieno l’origine e la storia, affinché possiate compiutamente apprezzare il valore delle conquiste politiche e sociali che esso ha consentito e garantito in sessant’anni di vita costituzionale. La Costituzione va letta, va studiata e va praticata, prendendo le mosse dai principi fondamentali che costituiscono la sua ragione d’essere.
L’articolo 3, innanzi tutto, che, dopo aver sancito la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il raggiungimento di questo obiettivo, che va costantemente proposto e perseguito, è un compito difficile, che richiede la cooperazione di tutti, cittadini, pubblici poteri e istituzioni democratiche, in un consapevole e incessante sforzo comune. L’impulso a questo sforzo comune viene direttamente dalla Costituzione, là dove segna il percorso da seguire per far sì che si sviluppi, fin dalla più giovane età e nell’esperienza scolastica, un costume di tolleranza e di confronto civile delle idee e delle opinioni. Tale costume deve naturalmente improntare di sé anche i rapporti tra italiani e stranieri che scelgono di vivere nel nostro Paese. E’ un costume di impegno democratico, fondato sul rispetto delle regole e fortemente ancorato ai valori di libertà e di dignità umana consacrati nella Costituzione.
Nel raggiungimento di questo obiettivo, cari ragazzi, vi guadagnerete il titolo di costruttori di democrazia.
* Prefazione del Presidente Napolitano per "Il Quaderno della Costituzione" (documento PDF)
ITALIA 1948-2008. 60° ANNIVERSARIO DELLA COSTITUZIONE....
IL NUOVO ANNO SCOLASTICO, I COSTRUTTORI DELLA DEMOCRAZIA, E IL COLTELLO PUNTATO ALLA GOLA DEI RAGAZZI E DELLE RAGAZZE DI TUTTA L’ITALIA. Caro Presidente Napolitano, La prego, faccia chiarezza e ci liberi dalla trappola e dall’inganno!!!
IO VOGLIO INIZIARE L’ANNO SCOLASTICO CON IL "QUADERNO DELLA COSTITUZIONE" E CON IL GRIDO DI "FORZA ITALIA".
Data: 11-07-2008
-INTERVISTA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
DELL’AGENZIA RUSSA ITAR-TASS
IN OCCASIONE DELLA VISITA DI STATO
IN RUSSIA
15/18 LUGLIO 2008
(cliccare sul rosso, per andare sul sito della PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA e leggere l’intervista).
Un disegno perverso e autoritario
di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 13.07.2008)
È NECESSARIO parlare di giustizia, della legge Ghedini-Alfano in via di velocissima approvazione, dell’emendamento blocca-processi e del suo auspicato smantellamento, del divieto ai giornali di riferire notizie sulla fase inquirente delle inchieste giudiziarie. È necessario ribadire con forza, come ha fatto Ezio Mauro nel suo articolo di venerdì, la vergogna d’una strategia dominata dall’ossessione del "premier" di evitare a tutti i costi e con tutti i mezzi la celebrazione di un processo a suo carico per un reato assai grave (corruzione di magistrati) che non rientra nelle sue funzioni ministeriali; un reato infamante di diritto comune sottratto all’accertamento giurisdizionale con un grave "vulnus" dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Tutto ciò è necessario e bene ha fatto il Partito Democratico ad opporsi con fermezza al complesso di questi atti legislativi, inaccettabili sia nel merito sia nelle procedure e nella tempistica che li hanno caratterizzati. Ma c’è un aspetto della situazione ancora più grave perché va al di là del caso specifico della denegata giustizia riguardante Silvio Berlusconi. E riguarda il mutamento in corso della Costituzione materiale.
Si sta infatti verificando dopo appena due mesi dall’insediamento del governo un massiccio spostamento di potere verso la figura del "premier" e del governo da lui guidato, un’intimidazione crescente nei confronti della magistratura inquirente e giudicante, una vera e propria confisca del controllo parlamentare di cui gli attori principali sono gli stessi presidenti delle due assemblee e la maggioranza parlamentare nel suo complesso. Non si era mai visto nei sessant’anni di storia repubblicana un Parlamento così prono di fronte al potere esecutivo che dovrebbe essere sottoposto al suo controllo.
Le Camere si sono di fatto trasformate in anticamere del governo, i loro presidenti hanno accettato senza fiatare che decreti firmati dal capo dello Stato per ragioni di urgenza fossero manomessi da emendamenti indecenti e non pertinenti, disegni di legge dei quali il capo dello Stato aveva rifiutato la decretazione per evidente mancanza dei presupposti di urgenza sono stati votati in quarantott’ore invertendo l’ordine dei lavori e l’intera agenda parlamentare.
Lo ripeto: qui non emerge soltanto l’ossessione dell’imputato Berlusconi, emerge un mutamento profondo ed estremamente pericoloso della Costituzione materiale della Repubblica, che avvia la democrazia italiana verso forme autoritarie, affievolisce l’indipendenza e lo spazio operativo dei contropoteri, mette in gioco gli istituti di garanzia a cominciare da quello essenziale della Presidenza della Repubblica.
Siamo entrati in una fase politica dominata dall’urgenza, qualche volta reale ma assai più spesso inventata e suscitata artificialmente. L’urgenza diventa emergenza, l’emergenza diventa eccezionalità. Il governo opera come se ci trovassimo in condizioni di stato d’assedio o in presenza di enormi calamità naturali; i decreti si susseguono; i testi dei provvedimenti finanziari sono approvati in nove minuti senza che nessuno dei componenti del governo ne abbia preso visione; la velocità diventa un valore in sé indipendentemente dal merito; la schedatura dei "rom" e dei loro bambini deve essere eseguita a passo di carica; tremila militari debbono affiancare trecentomila poliziotti e carabinieri per dare ai cittadini la sensazione di una minaccia incombente ed enorme e al tempo stesso la rassicurazione dell’intervento dell’Esercito per dominarla.
Questo sta avvenendo sotto gli occhi d’una pubblica opinione sbalordita, ricattata da paure inconcrete e invelenita dall’antipolitica dilagante che provvede ad infiacchirne la responsabilità sociale e il sentimento morale.
* * *
È pur vero che nell’era globale gli enti depositari a vari livelli di poteri sovrani debbono poter decidere con appropriata rapidità. La rapidità è diventata addirittura uno dei requisiti di merito delle decisioni poiché la lentocrazia non si addice alla dimensione globale dei problemi. A livello locale, nazionale, continentale, imperiale, la rapidità rappresenta un valore in sé che comporta un’autorità centralizzata ed efficiente. Il paradigma più calzante di questa forma post-moderna di democrazia presidenziale è fornito dagli Stati Uniti, dove il Presidente, direttamente eletto, fruisce di strumenti di alta sovranità e d’un apparato amministrativo che a lui direttamente si rapporta. La democrazia presidenziale cesserebbe tuttavia di esser tale se non fosse collocata in uno stato di diritto fondato sull’esistenza di poteri plurimi reciprocamente bilanciati. Il primo di tali poteri bilanciati è l’autonomia degli Stati dell’Unione, che delimita territorialmente la competenza federale.
Il secondo è il Congresso e in particolare il Senato dove il legame elettorale dei senatori con i cittadini dello Stato in cui sono stati eletti è nettamente superiore al legame verso il partito di appartenenza: partiti liquidi che hanno piuttosto le sembianze di comitati elettorali finalizzati alla selezione dei candidati piuttosto che alla custodia di ideologie e discipline partitocratiche. In queste condizioni i membri del Congresso e le sue potenti commissioni rappresentano un "countervailing power" di particolare efficacia sia nell’ambito finanziario sia nella nomina di tutti i dirigenti dell’amministrazione federale sia nei poteri d’inchiesta e di controllo che non sono affievoliti dalla labile appartenenza ai partiti.
Il terzo potere risiede nella Suprema Corte che agisce sulla base dei ricorsi intervenendo sulla giurisdizione e sulla costituzionalità.
Il quarto potere è quello della libera stampa, nella quale nessun altro potere ha mai chiesto restrizioni e vincoli speciali a tutela di istituzioni e di pubbliche personalità. Giornali e giornalisti incorrono, come tutti, nei reati contemplati dalle leggi ma non esiste alcun limite alla stampa di pubblicare notizie su qualunque argomento e qualunque persona, tanto più se si tratti di personaggi pubblici, della loro attività pubblica e dei loro comportamenti privati e privatissimi. Questo è nelle sue grandi linee il quadro complesso della democrazia presidenziale,
ulteriormente arricchito dalla pluralità delle Chiese e dalla libertà religiosa che ne consegue. Non si tratta certo d’un modello statico né di un modello privo di storture, di vizi, di grandi e grandissime magagne; tanto meno di una società ideale da imitare in tutto e per tutto. Ma configura un punto di riferimento importante nell’evoluzione di un centralismo democratico nell’ambito dello Stato di diritto e della separazione bilanciata dei poteri e dei contropoteri. Nulla di simile alla nuova Costituzione materiale verso la quale si sta involvendo la situazione italiana.
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Sbaglierebbe di grosso chi ritenesse che l’involuzione del nostro sistema verso istituzioni di democrazia deformata risparmi l’economia. In realtà essa è la più esposta alle intemperie dell’interventismo pubblico e delle cosiddette politiche creative e immaginose delle quali abbiamo già fatto tristissima esperienza nel quinquennio tremontiano 2001-2006. Quelle politiche sono ritornate all’opera in un quadro internazionale ancor più complesso e preoccupante.
L’esempio che desta maggior allarme è fornito dal caso Alitalia del quale abbiamo più volte parlato e che ora sembra delinearsi in tutta la sua gravità. A quanto risulta dalle più attendibili indiscrezioni fatte filtrare direttamente dall’"advisor" Banca Intesa, si procede verso la formazione di una "nuova Alitalia" che potrebbe utilizzare l’80 per cento delle rotte di volo sul territorio nazionale e del personale di volo e di terra necessario all’esercizio di questa attività. La proprietà della nuova compagnia sarebbe interamente privata e nazionale. Essa non avrebbe più alcun debito poiché debiti, perdite, esuberi di personale sarebbero interamente trasferiti ad una "bad company" o "vecchia Alitalia" che dir si voglia, di proprietà pubblica, avviata alla liquidazione con tutti gli oneri conseguenti.
In uno schema di questo genere il maggior beneficiario è rappresentato dai proprietari di Air One, società sostanzialmente fallita che scaricherebbe i suoi debiti e le sue perdite nella "bad company" e percepirebbe quote azionarie della "new company": un salvataggio in piena regola a carico del danaro pubblico. Molti altri aspetti assai dubitabili si intravedono in questo progetto, lo sbocco del quale sarebbe una compagnia regionale del tipo della Sabena o della Swiss Air, risorte sulle ceneri di un fallimento per servire un mercato poco più che regionale. Se questo accadrà, l’opinione pubblica e i dipendenti di Alitalia avranno modo di misurare il danno che la sconsiderata condotta di Berlusconi-Tremonti ha procurato al Paese affondando la trattativa con Air France senza alcun piano alternativo e agitando lo specchietto per allodole della Compagnia di bandiera.
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Tiene ancora banco la disputa tra Tremonti e Draghi sulla "Robin Hood Tax". Nella recente riunione dell’Abi (Associazione bancaria italiana) il ministro e il governatore erano entrambi presenti e parlanti. I giornali hanno riferito in dettaglio lo scontro - peraltro assai sorvegliato nelle forme - che si è verificato tra i due, col governatore che ha battuto sulla necessità di evitare che la "Robin Tax" si traduca in un aggravio dei costi dell’energia e dell’attività bancaria e il ministro che difendeva la sua figura di difensore dei ceti deboli e di severo tassatore dei profitti speculativi. «Prima si tassavano gli operai che non potevano certo trasferire su altri le loro imposte» ha detto ad un certo punto il ministro dell’Economia guardandosi fieramente intorno come gli capita di fare quando pensa d’aver inferto un colpo dritto al petto dell’avversario.
Prima si tassavano gli operai. I lavoratori dipendenti. Certo, è così. È stato sempre così perché i lavoratori dipendenti sono stati la sola categoria sociale che ha pagato le tasse per intero, salvo dover accettare d’immergersi nel precariato del lavoro nero con tutto ciò che ne consegue sia sul piano salariale sia sulle protezioni antinfortunistiche e le provvidenze sociali. Prima si tassavano gli operai. Perché il ministro usa l’imperfetto storico? Ora non si tassano più? Al contrario: ora si tassano ancora più di prima. Basta scorrere le cifre uscite dall’Istat appena due giorni fa. Il peso dell’Irpef è in aumento e, all’interno del gettito dell’imposta personale, è in aumento l’onere dei lavoratori in genere e di quelli dipendenti in particolare. Prima si tassavano? Mai come adesso sono tassati, onorevole Tremonti ed è proprio lei a farlo. Perciò non usi l’imperfetto storico perché il tema è terribilmente presente (e futuro).
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Lo stesso Tremonti ha presentato nei giorni scorsi a Bruxelles il suo documento sull’importanza della speculazione nell’aumento dei prezzi dell’energia e delle "commodities". Avrebbe dovuto essere, nelle aspettative del ministro e dei tanti giornali che gli fanno coro, una sorta di marcia trionfale. Invece è stato un flop né poteva essere altrimenti per le tante ragioni che abbiamo elencato domenica scorsa. Le autorità europee hanno cortesemente messo in dubbio che l’aumento dei prezzi derivi dalla speculazione (la stessa osservazione ha fatto Draghi nella riunione dell’Abi sopra ricordata), hanno messo in dubbio che si possa dimostrare una collusione tra operatori e infine hanno messo in dubbio che l’Europa abbia strumenti adeguati per intervenire sul mercato delle "commodities" e del petrolio che si svolge per la maggior parte su piazze extraeuropee.
Questa storia della speculazione peste del secolo è un modo come un altro di suscitare un nemico esterno immaginario e distrarre l’attenzione da realtà assai più rilevanti e preoccupanti. Così il governo affronterà un durissimo autunno. Ora anche la Marcegaglia è "estremamente preoccupata" dal calo di produzione industriale dello scorso maggio e di quanto ancora si prevede per giugno e per i mesi successivi. Ma non lo sapeva, non lo prevedeva, non era nei segnali delle sue antenne, gentile presidente di Confindustria? Il clima era buono fino a un paio di settimane fa, diceva lei. Dunque una brutta sorpresa, un fulmine a ciel sereno? Stia più attenta, signora Marcegaglia: questa è roba seria e non ci si può impunemente distrarre.
CATASTROFE DELLA SCUOLA ITALIANA?! DOPO ANNI DI BERLUSCONISMO (DI DESTRA E DI SINISTRA) E RUINISMO DILAGANTE ("Forza Italia" - ancora uno sforzo!!!) SI SCOPRONO I COLPEVOLI. MINISTERO ISTRUZIONE E BANKITALIA LI HANNO "FOTOGRAFATI": SONO GLI INSEGNANTI. Una schedatura (cliccare sul rosso, per leggere l’articolo - nele sito)!!!
SCUOLA PUBBLICA
un bene comune in grave pericolo
di Il Forum Insegnanti
Appello alla mobilitazione contro la privatizzazione della Scuola Pubblica
in difesa della libertà d’insegnamento e dei diritti dei lavoratori
Di seguito il testo dell’appello da scaricare e far firmare ed il link dove è possibile firmare on-line
Testo dell’appello (PER LEGGERLO CLICCARE SULLA ZONA ROSSA)
l’Unità 12.o7.2008
Veronesi: massacro di scuola e ricerca
L’accusa: «In queste condizioni il paese non può ripartire»
Ricerca e Scuola sono state «massacrate» da questa manovra finanziaria, «ma senza l’una e senza l’altra il Paese non può ripartire». Lo ha detto Umberto Veronesi rispondendo alle domande dei giornalisti a margine della presentazione del programma del convegno internazionale “Il futuro della scienza”, che si svolgerà a Venezia dal 24 al 27 settembre. «La ricerca scientifica - ha detto l’oncologo, oggi senatore della Repubblica - ha bisogno di essere rilanciata se vogliamo rilanciare il Paese. Senza ricerca e senza scienza il Paese non cresce. Ma anche la scuola deve essere sostenuta». Per Veronesi, la scuola «deve essere prima di tutto riformata» per affrancarla dal nozionismo di oggi, per avere «una scuola che si preoccupi di formare la personalità di un ragazzo che cresce e che lo motivi alla vita e alla creatività in modo da renderlo più resistente alle devianze». Ma per far questo «occorre un grande impegno, anche economico».
«Il ragazzo - ha continuato Veronesi - deve andare a scuola con piacere, deve essere affascinato dalla scuola. Deve sentire il bisogno di andarci, perchè a scuola deve imparare, conoscere, ma deve anche divertirsi, vedere film, le opere teatrali, deve fare lui l’attore, deve scrivere articoli, commentare gli articoli del giorno, deve leggere i giornali... Insomma deve diventare un uomo consapevole del suo ruolo nella società. Se no, alimentiamo questa tendenza al rifiuto della società di oggi, che poi si manifesta nelle devianze, nella depressione o, peggio, nel suicidio». Per l’oncologo, quindi, «la scuola va rifatta. La ricerca è fondamentale. La cultura e la musica sono fondamentali per un Paese che deve crescere. Bene, tutte queste aree - ha concluso - sono state massacrate da questa manovra finanziaria».
l’Unità 12.o7.2008
La fine dello stupore e la fine dell’Università
di Michele Ciliberto
Se un filosofo dovesse dire quale è uno dei segni più tipici della crisi che sta attraversando il nostro paese potrebbe dire, a mio giudizio, che è la fine dello stupore, della capacità di sorprendersi, che come è noto è la prima sorgente della filosofia. In Italia, oggi tutto è ricondotto nei parametri dell’ordinario, del quotidiano, del feriale: anche le cose più inconcepibili, fino a poco tempo fa, sono digerite, assorbite, metabolizzate senza alcuna difficoltà. Si è persa l’abitudine a dire di no, ad alzarsi in piedi: e di questo è una paradossale conferma il fatto che quando si protesta si usano toni esagitati, addirittura volgari, proprio perché protestare - dire no - è diventata un’eccezione, non più la norma di un comune vivere civile. Questo accade anche quando si tratta delle regole che devono strutturare la vita istituzionale politica e sociale del paese.
È un altro segno della crisi profonda che attraversa l’Italia: le regole appaiono una sorta di optional che il potere può trasformare come meglio gli conviene, a seconda della situazione e perfino dei propri interessi privati. Si tratta di un tratto tipico del dispotismo, quale è già delineato in pagine straordinarie di Tocqueville nella Democrazia in America: il dispotismo si esprime attraverso una prevaricazione dell’esecutivo sugli altri poteri e con un ruolo sempre più ampio assunto dall’amministrazione, che diventa il principale motore dell’intera vita di un popolo. Le strutture dispotiche, infatti sono incontrollabili: una volta messe in movimento invadono progressivamente tutte le sfere della vita sociale ed intellettuale, compresa ovviamente l’alta cultura e le istituzioni attraverso cui essa si organizza.
È precisamente quello che è accaduto in queste ultime settimane con il decreto del 25 giugno del 2008: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria». In esso è compresa una serie di disposizioni che muta profondamente l’assetto della Università pubblica italiana accelerandone la crisi e la definitiva decadenza. Si tratta, dunque, di disposizioni che avrebbero dovuto sollevare, se non uno scandalo, una discussione assai vivace; mentre invece, a conferma di quanto sopra dicevo, con poche eccezioni, il mondo dell’Università è rimasto silenzioso e seduto.
Solo in questi ultimi giorni stanno cominciando ad affiorare prese di posizione più nette come quella del rettore dell’Università di Ferrara o del Preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Pisa, il quale ha rotto il muro del silenzio scrivendo una lettera aperta dal titolo: «L’università non è in svendita». Qualche protesta, in verità c’era stata già prima, ma aveva riguardato il fatto che il decreto interviene sugli scatti di carriera di tutti i docenti trasformandoli da biennali in triennali. Il problema è però ben più vasto e riguarda direttamente la costituzione interiore della Università italiana ponendo anche delicati problemi di ordine costituzionale. Mi limito a segnalare quelli che a mio giudizio sono i punti più importanti.
Le Università possono costituirsi, su base volontaria, come fondazioni di diritto privato, si dice nel Decreto, venendo incontro sul piano legislativo a un’istanza proveniente già da molto tempo soprattutto da settori industriali. Su Il Sole 24 Ore il provvedimento è stato infatti presentato da Giovanni Toniolo come «un’ottima notizia, la migliore che abbia sentito in quarant’anni di vita accademica». Personalmente, non ho dubbi che sul tema delle fondazioni si debba discutere ed aprire un forte dibattito, ma sapendo che - se non ben governata - questa è la via dell’integrale privatizzazione dell’Università italiana, con il rischio effettivo sia di ledere il principio della libertà dell’insegnamento sia di ritrovarsi in una situazione come quella americana nella quale accanto alle top ten esistono migliaia di università di livello inferiore ai nostri licei.
Ma che l’Università pubblica sia al centro di un vero e proprio attacco in queste disposizioni è dimostrato anche da altri elementi. È bloccato il turn over: si prevedono infatti assunzioni nei limiti del 20% per il triennio 2009-2011 e del 50% a partire dal 2012. Né è difficile anche in questo caso immaginare gli effetti di questa disposizione sull’Università in generale, specie su quelle medio - piccole e anche su quelle scuole di eccellenza che si giovano di un corpo di docenti limitato. Privatizzazione, da un lato; ricostituzione di una forte dimensione centralistica ,dall’altro: all’Università infatti resterà in cassa soltanto il 20% delle «quote» dei docenti andati in pensione, tutto il resto andrà all’amministrazione centrale la quale ha già tagliato il finanziamento di Euro 500.000.000 in tre anni.
Privatizzazione, centralizzazione (nonostante tutta la retorica sul federalismo) e, infine, colpi durissimi al personale docente per il quale si prevede una sorta di vera e propria rottamazione. La questione dello stato giuridico dei professori universitari è annosa; il Ministro Mussi era intervenuto su questa delicata questione riducendo, e di fatto avviando alla fine, il fuori ruolo, - decisione che si può anche comprendere se si tiene conto che si tratta di una vecchia disposizione, risalente a tutt’altra situazione, la quale consentiva ai professori di continuare a godere del proprio stipendio, pure essendo fuori dai ruoli dell’insegnamento.
Ma queste disposizioni si muovono su ben altro piano colpendo sia la possibilità che i professori universitari, come ogni altro dipendente dello Stato, hanno di poter continuare a lavorare- cioè insegnare - due anni dopo l’età pensionabile (a insegnare, sottolineo); sia la stessa possibilità che possano continuare a restare nei ruoli qualora abbiano compiuto quaranta anni di insegnamento, qualunque sia la loro età (compresi dunque quelli che sono andati presto in cattedra). Ad essere sintetici: prima il biennio era una scelta del docente; ora diventa una concessione dell’amministrazione da cui dipende. Allo stesso modo è l’amministrazione che decide se rottamare un professore, oppure tenerlo in servizio fino al raggiungimento dell’età della pensione stabilita della legge, che il decreto tende invece ,surrettiziamente,ad anticipare anche di parecchi anni con una chiara lesione dei diritti costituzionali dei docenti. In entrambi i casi c’è una totale prevaricazione sulla figura dei professori da parte dell’amministrazione locale e soprattutto di quella centrale che diventa il vero arbitro della situazione. Infatti, se anche l’amministrazione universitaria locale fosse orientata a concedere il biennio o a rinviare la rottamazione, l’amministrazione centrale potrebbe costringerla a procedere in questa direzione con ulteriori, drastiche riduzioni del fondo di finanziamento ordinario.
Non si tratta di questioni sindacali, o di interesse puramente corporativo: in ballo c’è ben altro. Se queste disposizioni vanno avanti ne discenderà un controllo dispotico, e col tempo totale, dell’amministrazione centrale sulle carriere dei professori universitari e di conseguenza sull’Università italiana. Quella che dovrebbe essere il centro della libertà intellettuale e di ricerca del paese, costituzionalmente garantita, corre dunque il rischio di essere controllata e irreggimentata a tutto vantaggio delle università private che potranno darsi gli statuti più adeguati al loro sviluppo, attraendo tutti i professori che non vogliono essere sottoposti a forme di controllo centralistico destinate ad assumere - non è difficile prevederlo - connotati ideologici e politici assai precisi. Mentre nelle Università pubbliche diventerà fortissima, temo, una spinta in direzione del conformismo, della passività, dell’autocensura dei professori universitari con un colpo assai grave per quella autonomia e libertà dell’insegnamento che è esplicitamente prevista dall’art. 33 della Costituzione.
In ultima istanza,questo - la libertà di insegnamento e le forme in cui essa può e deve esplicarsi - è dunque il vero problema che il Decreto del 25 giugno 2008 pone all’Università italiana: che di fronte a tutto questo -e alla stessa forma del decreto,così impropria per decisioni di tale rilievo-non si sia ancora accesa una discussione critica e che siano pochissimi quelli che hanno deciso di alzarsi in piedi può certamente sorprendere; ma sorprende meno se si tiene conto di quello che dicevo all’inizio: il nostro paese è pronto a tutto, anche ad inghiottire in silenzio la fine dell’Università pubblica e della libertà di insegnamento.
COMUNICATI *
Data: 08-07-2008
Descrizione:
Messaggio del Presidente Napolitano nel trentennale dell’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel trentennale dell’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica, ha inviato al Presidente dell’Associazione “Sandro Pertini”, dott.ssa Elisabetta Favetta, il seguente messaggio: "Per chi, come me, gli e’ stato vicino in Parlamento e ha potuto cogliere la grande tensione morale e la passione civile con la quale egli interpretava il suo impegno - politico e nelle istituzioni - al servizio del paese, Sandro Pertini ha incarnato l’idea stessa della libertà come inseparabile dalla visione del socialismo in cui si riconosceva. Quella idea fu da lui strenuamente custodita e difesa nella stagione della dittatura e negli anni del carcere e dell’esilio.
Protagonista della lotta di liberazione, Pertini accompagnò la nascita e lo sviluppo della Repubblica dai banchi dell’Assemblea Costituente e della Camera dei Deputati, di cui fu Presidente rigoroso e imparziale, considerandola sempre la sede primaria delle scelte fondamentali per la vita della Nazione.
A questo profondo, assoluto rispetto per il Parlamento e la sovranità popolare che in esso si esprime egli volle informare con grande rigore il proprio mandato presidenziale, assolto in anni inquieti e drammatici della storia repubblicana, quando contro l’attacco terroristico allo Stato, scandito da una lunga scia di eventi luttuosi, egli seppe mobilitare la ferma risposta della coscienza civile e delle istituzioni.
A diciotto anni dalla scomparsa, l’eredità di Sandro Pertini mantiene intatta la sua forza e la sua attualità, soprattutto nell’imprescindibile legame fra politica, giustizia sociale e valori etici che ha nobilitato il suo alto magistero e che costituisce, ancora oggi, un essenziale riferimento."
Roma, 8 luglio 2008
Napolitano: Tolleranza e dialogo contro l’insidia di un sentimento razzista e xenofobo che ostacola i processi di integrazione. *
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della VIII edizione del meeting "Contro ogni razzismo. Capire le differenze, valorizzare le diversità", organizzato dalla Regione Toscana, ha inviato al Comitato organizzatore un messaggio in cui esprime vivo apprezzamento per il profondo valore ideale e sociale dell’iniziativa: "Il significativo traguardo raggiunto conferma la bontà del progetto in cui, otto anni fa, si volle denunciare con lungimiranza l’insidia di un sentimento razzista e xenofobo che ancora alberga nelle moderne società e che continua a ostacolare i processi di integrazione che debbono accompagnare gli scenari geopolitici del prossimo futuro. Sono certo che anche l’appuntamento di quest’anno potrà recare un prezioso contributo al rafforzamento, specie nei giovani, di una rinnovata consapevolezza che le diversità debbono trovare sintesi e superamento nella tolleranza, nel dialogo e nella capacità di aprirsi alla conoscenza delle diverse culture."
L’adesione alla manifestazione
contro le "Leggi canaglia"
È urgente che esista la pietra dello scandalo.
È urgente che un risveglio avvenga, anche se di pochi, perché la narcosi delle menti, del linguaggio, della visione, delle memorie è vasta e progredisce.
Non è importante il nome che si dà al regime in cui viviamo. Conta la sua sostanza: la maggioranza che ignora e vilipendia la minoranza, la separazione dei poteri messa in questione, il trionfo degli interessi particolari e privati di chi è a capo del governo, l’impunità garantita a un impressionante numero di crimini, l’esclusione e criminalizzazione di una parte della popolazione, giudicata diversa e sospettabile fin dall’infanzia perché appartenente a altre etnie o razze.
Scegliete il nome che volete, purché il nome abbia rapporto con la sostanza.
l’Unità Lettere 7.7.08
Impronte ai piccoli rom: noi autori di libri per bambini lanciamo un appello
Cara Unità,
come autori di libri per bambini e ragazzi esprimiamo una forte preoccupazione per le iniziative assunte recentemente dal ministero dell’Interno di usare come metodo di identificazione per i minori Rom la schedatura delle impronte digitali.
Troppo spesso, nel documentarci per scrivere le nostre storie, abbiamo incontrato leggi che “per il bene” di bambini emarginati e senza voce in capitolo, hanno di fatto sancito ingiustizie e discriminazioni.
Se vogliamo far sì che i piccoli Rom non vivano fra i topi, cerchiamo di integrarli con le loro famiglie, di mandarli a scuola, di toglierli da situazioni di degrado, invece di fare le barricate quando si tenta di sistemarli in situazioni più dignitose.
Qualora questa misura fosse effettivamente attuata, violando a nostro parere i principi che regolano la convivenza civile come la Costituzione, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991, non potremmo fare a meno di provare un forte senso di disagio nel proporre ai nostri piccoli lettori testi che parlano di solidarietà, di incontro fra i popoli o narrano di violenze e prevaricazioni subite dai loro coetanei come se fossero accadute nel passato e non potessero ripetersi mai più.
Non vorremmo appartenere a uno Stato che un giorno debba chiedere scusa alle sue minoranze.
Vanna Cercenà, Emanuela Nava, Dino Ticli, Moony Witcher, Alberto Melis, Janna Carioli, Angelo Petrosino, Francesco D’Adamo, Luisa Mattia, Emanuela Bussolati, Arianna Papini, Guido Sgardoli, Roberto Denti, Giusi Quarenghi, Angela Nanetti, Stefano Bordiglioni, Aquilino, Bruno Tognolini
l’Unità 7.7.08
La terribile attualità di Primo Levi
di Luigi Cancrini
Caro Cancrini,
per attenuare lo scoramento da sconfitta elettorale, mi era stata davvero utile la tua severa riflessione su Giacobini e Sanculotti (Unità del 28 aprile 2008) e mi sono anche difeso da incursioni di sdegno o ribrezzo, evitando accuratamente ogni telegiornale. Ma imprudentemente ieri ho ripreso in mano, dopo vent’anni, «I sommersi ed i salvati» di Primo Levi ed alcune considerazioni sulla “zona grigia” mi hanno precipitato di nuovo nell’amarezza. Ciò che infatti allora lessi come una lucidissima narrazione di fatti accaduti, oggi mi appare pieno di forza profetica e di ammonimenti per il futuro! E ne sono angosciato. Vorrei proporre quattro brevi stralci ai lettori dell’Unità: i primi due si attagliano già ora al nostro presente; il terzo ad un futuro, di cui vediamo i prodromi.
« ... era ben visibile in lui (Rumkowsky, capo collaborazionista del ghetto di Lodz) ... la sindrome del potere protratto e incontrastato: la visione distorta del mondo, l’arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione, l’aggrapparsi convulso alle leve del comando, il disprezzo delle leggi».
«... incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, ...., seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso...».
«La violenza ... è sotto i nostri occhi.... Attende solo il nuovo istrione... che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali».
Ma perché è così difficile arginare la “libidine di potere” e la pulsione a prevaricare il prossimo, che si ripropone sempre nella storia degli uomini?
Giancarlo Rossi
La prima cosa che mi viene da rispondere è che una responsabilità particolarmente importante è quella di chi, potendolo, non reagisce come dovrebbe. Dei giornali e dei telegiornali che riferiscono le opinioni di Maroni sui bambini rom e quelle di Alfano sulla possibilità di sospendere i processi come se fossero opinioni rispettabili espresse all’interno di un dibattito fra persone civili. È nel momento in cui delle idee eversive o razziste vengono presentate come delle idee normali, infatti, che il razzismo e l’eversione trovano diritto di cittadinanza nel quotidiano di chi le ascolta. Quello che si decide nei talk show televisivi e sulle primi pagine dei giornali è in realtà, oggi, l’insieme delle cose che si possono dire o non dire (e dunque insegnare e dunque praticare). Con conseguenze che a volte sono drammatiche.
Riflettiamo per un attimo ancora sulla schedatura dei bambini rom. Ho già discusso su questo giornale l’assurdità di un ragionamento che ne parla come di una misura utile per tutelarli. Quello che vorrei segnalare qui, tuttavia, è il modo in cui di questo problema si è parlato nei telegiornali: di seguito proponendo, senza che il giornalista prendesse posizione l’opinione di Famiglia Cristiana («il provvedimento è indecente») e quella di Maroni («è un provvedimento di tutela») oppure quella di un Commissario Europeo («il procedimento è inaccettabile») e quella di Maroni («il provvedimento è in linea con la legislazione europea»). Raccontato in questo modo, il fatto di cui si parla si perde nel magma indistinto delle comunicazioni politiche: su cui è normale che si esprimano opinioni diverse di cui il giornalista deve dare conto con uguale rilievo (la par condicio). Liberando se stesso dal dovere di prendere posizione e lasciando il telespettatore solo con i suoi pregiudizi (della serie “Maroni è un leghista” o della serie “i Rom sono cattivi”). Lasciando ai colleghi della carta stampata (la cui posizione è chiara fin dal nome del giornale per cui scrivono) il compito di sottolineare l’importanza di una delle posizioni e l’inciviltà dell’altra. Con il risultato finale, però, di collocare la scelta di Maroni nel novero delle opinioni politiche rispettabili.
Una copertina come quella di Panorama, 4 luglio del 2008, in cui la foto di un ragazzo rom piegato su una panca, il volto nascosto dalle mani campeggia sul titolo «Nati per rubare» meriterebbe un’azione penale e una sospensione della pubblicazione per qualche mese se qualcuno si preoccupasse oggi di tutelare la dignità delle persone che non hanno avvocati o parlamentari alle loro dipendenze (e per la dignità, alla fine, della stampa italiana). Questa copertina vergognosa non dà luogo a reazioni di nessun tipo invece e potentemente veicola, dai parrucchieri e sulle spiagge, l’idea stupida di chi continua a pensare che la moralità dei comportamenti dipende dall’etnia cui si appartiene.
Insisto su questo punto, caro Giancarlo, perché credo che questo sia davvero un elemento cruciale del processo di imbarbarimento per cui quello che conta non è il merito delle opinioni ma il “gradimento” di un pubblico distratto, svogliato e terribilmente poco informato. All’interno di una situazione in cui quello che sembra essere definitivamente venuto meno è la condivisione dei grandi principi cui si ispira la nostra Costituzione.
Nasce proprio da qui, a mio avviso, quella che Primo Levi chiama «la sindrome del potere protetto e incontrastato» perché la «visione distorta» del mondo propria di chi ha responsabilità di governo viene confermata ogni giorno dagli adulatori (che mi danno ragione sempre, qualsiasi cosa io dica) e dai detrattori (che lo sono ugualmente sempre, qualsiasi cosa io dica) e perché questo sentirsi immune dalle critiche di chi crede solo in sé stesso è continuamente rinforzato dalla staticità delle posizioni di chi informa stando “con me o contro di me”. Rinunciando al ruolo di osservatore obiettivo e distaccato, quello che veniva definito un tempo “il quarto potere” rischia di diventare uno strumento in più nelle mani di chi ha il potere vero: politico ed economico. Instaurare una dittatura basata sul consenso passa attraverso alcuni passaggi obbligati. Il primo di essi è quello di far passare l’idea per cui i provvedimenti che portano alla dittatura sono normali (o legali). L’aiuto dei media è fondamentale in questa fase per costruire il mito di un istrione (o di un gruppo di istrioni) capaci di «organizzare e di legalizzare la violenza dichiarandola necessaria e dovuta». Sul modo in cui questa «marea di violenza» sia collegata «all’intolleranza, alla libidine del potere, alle ragioni economiche, al fanatismo religioso o politico e agli attriti razziali» Primo Levi ha semplicemente ragione. Descrive in modo efficace quello che oggi accade sotto i nostri occhi.
l’Unità 8.7.08
Manifesto scientifico. La bufala delle razze umane
di Pietro Greco *
Le razze umane non esistono. Sono un mito. Un mito pericoloso. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. Ma l’umanità non è costituita da piccoli e grandi gruppi diversi per struttura genetica. È piuttosto una rete estesa di persone geneticamente e culturalmente collegate in maniera dinamica tra loro. E quell’aggettivo, dinamico, è da sottolineare. Perché di fatto, nessun popolo nel corso dei secoli può essere considerato isolato geneticamente.
E in particolare, è un mito senza fondamento che sessanta milioni di nativi dell’Italia discendano da famiglie che abitano la penisola da almeno mille anni. Il “meticciato” genetico e culturale è una caratteristica dell’Italia come dell’intera umanità. Di più, è un bene. Sia sul piano strettamente biologico, sia sul piano culturale.
È questo, in estrema sintesi, il contenuto del «manifesto antirazzista» che un gruppo di scienziati italiani - tra i primi firmatari Rita levi Montalcini, Enrico Alleva, Guido Barbujani, Laura Dalla Ragione, Elena Gagliasso Luoni, Massimo Livi Bacci, Alberto Piazza, Agostino Pirella, Frencesco Remotti, Filippo Tempia, Flavia Zucco - presenterà il prossimo 10 luglio a San Rossore nell’ambito di una tradizionale manifestazione della Regione Toscana, dedicata quest’anno alla mobilitazione «contro ogni razzismo».
Il «manifesto antirazzista» sarà illustrato dal biologo Marcello Buiatti e introdotto dal Presidente della Regione, Claudio Martini, a sessant’anni dalla pubblicazione, avvenuta il 14 luglio 1938, del «manifesto della razza» a opera di un gruppo di scienziati fascisti. Quello di San Rossore è un vero e proprio “contro-manifesto” in termini letterali. Perché a ciascuna delle dieci tesi del famigerato “manifesto della razza” oppone una tesi diversa, alla luce delle moderne conoscenze scientifiche. Dimostrando che con quel famigerato atto gli scienziati fascisti tradirono insieme la scienza, i valori della comunità scientifica e la loro stessa umanità.
Tradirono la scienza, perché già allora vi erano tutti gli elementi per affermare che il concetto biologico di razza è una pura invenzione. Oggi tutti gli studi genetici lo dimostrano al di là di ogni possibile dubbio.
La genetica, infatti, ha consentito di chiarire almeno cinque punti rispetto alla variabilità tra gli individui e all’esistenza delle razze umane:
1. Ogni uomo è geneticamente diverso da ogni altro. È un organismo biologico unico e irripetibile.
2. Se si considerano i singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, la frequenza dei singoli geni di tutte le popolazioni umane è largamente sovrapponibile. E, in particolare, nessun gene specifico può essere utilizzato per distinguere una popolazione umana dall’altra. Le popolazioni umane sono geneticamente molto simili le une alle altre.
3. C’è invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo. Tuttavia la gran parte di questa variabilità è anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è probabilmente persino anteriore alla formazione della specie sapiens. In ogni caso, diversi studi indipendenti hanno dimostrato che almeno l’85% della diversità genetica (ovvero dell’insieme dei geni umani) è presente in ogni popolazione del mondo, il 5% della variabilità genetica è presente tra tutte le popolazioni del medesimo continente, e il residuo 10% si verifica tra popolazioni di diversi continenti.
4. La variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità interna alle singole popolazioni. In pratica due italiani possono essere geneticamente molto diversi tra loro. Molto più di quanto non siano diversi un italiano medio e un etiope medio.
5. La contaminazione genetica tra le diverse popolazioni umane è costante ed elevatissima. Lo confermano persino gli ultimi sequenziamento dell’intero genoma umano. Nei mesi scorsi il premio Nobel per la biologia James Dewey Watson, scopritore con Francis Crick della struttura a doppia elica del Dna, ha pubblicato i risultati del sequenziamento del suo Dna. E non senza una sua certa costernazione - Watson aveva detto che i neri sono meno intelligenti dei bianchi - ha scoperto che il 9% dei propri geni ha un’origine asiatica e che uno dei suoi bisnonni o, comunque, dei sui antenati recenti era di origine africana.
Ma il “contro-manifesto” di San Rossore dimostra anche - e soprattutto - che gli scienziati fascisti tradirono non solo la scienza (intesa come conoscenza rigorosa), ma anche i valori fondanti della comunità scientifica, mettendo il loro sapere non al servizio dell’intera umanità - come indicava già nel ’600 Francis Bacon - ma al servizio di un’ideologia pericolosa che voleva dividere gli uomini gli uni dagli altri, per discriminarli.
E con ciò, quegli scienziati fascisti, si macchiarono della colpa più grave: tradirono la loro stessa umanità.
Il “contro-manifesto della razza” che gli scienziati italiani presenteranno a San Rossore il prossimo 10 luglio non ha, dunque, solo un valore storico e scientifico (e non sarebbe certo poca cosa). Ma ha un valore politico di stringente attualità. Troppe parole, troppi episodi, persino qualche disposizione di governo nel nostro paese stanno alimentando il fuoco della discriminazione razziale. È ora - ci dicono gli scienziati preoccupati di San Rossore - che questi venti cessino di soffiare e che il fuoco della discriminazione razziale venga definitivamente spento. Prima che scoppi, improvviso, un nuovo incendio.
Il documento: «Le razze non esistono. Ce n’è solamente una: quella umana»
Demografi, genetisti, filosofi, psichiatri e ricercatori: ecco l’appello contro le discriminazioni
«Il razzismo è contemporaneamente omicida e suicida. Gli ebrei italiani sono
ebrei e italiani»
I. Le razze umane non esistono. L’esistenza delle razze umane è un’astrazione derivante da una cattiva interpretazione di piccole differenze fisiche fra persone, percepite dai nostri sensi, erroneamente associate a differenze «psicologiche» e interpretate sulla base di pregiudizi secolari. Queste astratte suddivisioni, basate sull’idea che gli umani formino gruppi biologicamente ed ereditariamente ben distinti, sono pure invenzioni da sempre utilizzate per classificare arbitrariamente uomini e donne in «migliori» e «peggiori» e quindi discriminare questi ultimi (sempre i più deboli), dopo averli additati come la chiave di tutti i mali nei momenti di crisi.
II. L’umanità, non é fatta di grandi e piccole razze. È invece, prima di tutto, una rete di persone collegate. È vero che gli esseri umani si aggregano in gruppi d’individui, comunità locali, etnie, nazioni, civiltà; ma questo non avviene in quanto hanno gli stessi geni ma perché condividono storie di vita, ideali e religioni, costumi e comportamenti, arti e stili di vita, ovvero culture. Le aggregazioni non sono mai rese stabili da DNA identici; al contrario, sono soggette a profondi mutamenti storici: si formano, si trasformano, si mescolano, si frammentano e dissolvono con una rapidità incompatibile con i tempi richiesti da processi di selezione genetica.
III. Nella specie umana il concetto di razza non ha significato biologico. L’analisi dei DNA umani ha dimostrato che la variabilità genetica nelle nostra specie, oltre che minore di quella dei nostri «cugini» scimpanzé, gorilla e orangutan, è rappresentata soprattutto da differenze fra persone della stessa popolazione, mentre le differenze fra popolazioni e fra continenti diversi sono piccole. I geni di due individui della stessa popolazione sono in media solo leggermente più simili fra loro di quelli di persone che vivono in continenti diversi. Proprio a causa di queste differenze ridotte fra popolazioni, neanche gli scienziati razzisti sono mai riusciti a definire di quante razze sia costituita la nostra specie, e hanno prodotto stime oscillanti fra le due e le duecento razze.
IV. È ormai più che assodato il carattere falso, costruito e pernicioso del mito nazista della identificazione con la «razza ariana», coincidente con l’immagine di un popolo bellicoso, vincitore, «puro» e «nobile», con buona parte dell’Europa, dell’India e dell’Asia centrale come patria, e una lingua in teoria alla base delle lingue indo-europee. Sotto il profilo storico risulta estremamente difficile identificare gli Arii o Ariani come un popolo, e la nozione di famiglia linguistica indo-europea deriva da una classificazione convenzionale. I dati archeologici moderni indicano, al contrario, che l’Europa è stata popolata nel Paleolitico da una popolazione di origine africana da cui tutti discendiamo, a cui nel Neolitico si sono sovrapposti altri immigranti provenienti dal Vicino Oriente. L’origine degli Italiani attuali risale agli stessi immigrati africani e mediorientali che costituiscono tuttora il tessuto perennemente vivo dell’Europa. Nonostante la drammatica originalità del razzismo fascista, si deve all’alleato nazista l’identificazione anche degli italiani con gli «ariani».
V. È una leggenda che i sessanta milioni di italiani di oggi discendano da famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio. Gli stessi Romani hanno costruito il loro impero inglobando persone di diverse provenienze e dando loro lo status di cives romani. I fenomeni di meticciamento culturale e sociale, che hanno caratterizzato l’intera storia della penisola, e a cui hanno partecipato non solo le popolazioni locali, ma anche greci, fenici, ebrei, africani, ispanici, oltre ai cosiddetti «barbari», hanno prodotto l’ibrido che chiamiamo cultura italiana. Per secoli gli italiani, anche se dispersi nel mondo e divisi in Italia in piccoli Stati, hanno continuato a identificarsi e ad essere identificati con questa cultura complessa e variegata, umanistica e scientifica.
VI. Non esiste una razza italiana ma esiste un popolo italiano. L’Italia come Nazione si é unificata solo nel 1860 e ancora adesso diversi milioni di italiani, in passato emigrati e spesso concentrati in città e quartieri stranieri, si dicono e sono tali. Una delle nostre maggiori ricchezze, é quella di avere mescolato tanti popoli e avere scambiato con loro culture proprio «incrociandoci» fisicamente e culturalmente. Attribuire ad una inesistente «purezza del sangue» la «nobiltà» della «Nazione» significa ridurre alla omogeneità di una supposta componente biologica e agli abitanti dell’attuale territorio italiano, un patrimonio millenario ed esteso di culture.
VII. Il razzismo é contemporaneamente omicida e suicida. Gli Imperi sono diventati tali grazie alla convivenza di popoli e culture diverse, ma sono improvvisamente collassati quando si sono frammentati. Così é avvenuto e avviene nelle Nazioni con le guerre civili e quando, per arginare crisi le minoranze sono state prese come capri espiatori. Il razzismo é suicida perché non colpisce solo gli appartenenti a popoli diversi ma gli stessi che lo praticano. La tendenza all’odio indiscriminato che lo alimenta, si estende per contagio ideale ad ogni alterità esterna o estranea rispetto ad una definizione sempre più ristretta della «normalità». Colpisce quelli che stanno «fuori dalle righe», i «folli», i «poveri di spirito», i gay e le lesbiche, i poeti, gli artisti, gli scrittori alternativi, tutti coloro che non sono omologabili a tipologie umane standard e che in realtà permettono all’umanità di cambiare continuamente e quindi di vivere. Qualsiasi sistema vivente resta tale, infatti, solo se é capace di cambiarsi e noi esseri umani cambiamo sempre meno con i geni e sempre più con le invenzioni dei nostri «benevolmente disordinati» cervelli.
VIII. Il razzismo discrimina, nega i collegamenti, intravede minacce nei pensieri e nei comportamenti diversi. Per i difensori della razza italiana l’Africa appare come una paurosa minaccia e il Mediterraneo è il mare che nello stesso tempo separa e unisce. Per questo i razzisti sostengono che non esiste una «comune razza mediterranea». Per spingere più indietro l’Africa gli scienziati razzisti erigono una barriera contro «semiti» e «camiti», con cui più facilmente si può entrare in contatto. La scienza ha chiarito che non esiste una chiara distinzione genetica fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono state assolutamente dimostrate, dal punto di vista paleontologico e da quello genetico, le teorie che sostengono l’origine africana dei popoli della terra e li comprendono tutti in un’unica razza.
IX. Gli ebrei italiani sono contemporaneamente ebrei ed italiani. Gli ebrei, come tutti i popoli migranti ( nessuno é migrante per libera scelta ma molti lo sono per necessità) sono sparsi per il Mondo ed hanno fatto parte di diverse culture pur mantenendo contemporaneamente una loro identità di popolo e di religione. Così é successo ad esempio con gli Armeni, con gli stessi italiani emigranti e così sta succedendo con i migranti di ora: africani, filippini, cinesi, arabi dei diversi Paesi , popoli appartenenti all’Est europeo o al Sud America ecc. Tutti questi popoli hanno avuto la dolorosa necessità di dover migrare ma anche la fortuna, nei casi migliori, di arricchirsi unendo la loro cultura a quella degli ospitanti, arricchendo anche loro, senza annullare, quando é stato possibile, né l’una né l’altra.
X. L’ideologia razzista é basata sul timore della «alterazione» della propria razza eppure essere «bastardi» fa bene. È quindi del tutto cieca rispetto al fatto che molte società riconoscono che sposarsi fuori, perfino con i propri nemici, è bene, perché sanno che le alleanze sono molto più preziose delle barriere. Del resto negli umani i caratteri fisici alterano più per effetto delle condizioni di vita che per selezione e i caratteri psicologici degli individui e dei popoli non stanno scritti nei loro geni. Il «meticciamento» culturale é la base fondante della speranza di progresso che deriva dalla costituzione della Unione Europea. Un’Italia razzista che si frammentasse in «etnie» separate come la ex-Jugoslavia sarebbe devastata e devastante ora e per il futuro. Le conseguenze del razzismo sono infatti epocali: significano perdita di cultura e di plasticità, omicidio e suicidio, frammentazione e implosione non controllabili perché originate dalla ripulsa indiscriminata per chiunque consideriamo «altro da noi».
Enrico Alleva, Docente di Etologia, Istituto Superiore di Sanità, Roma; Guido Barbujani, Docente di Genetica di popolazioni, Università Ferrara; Marcello Buiatti, Docente di Genetica, Università di Firenze; Laura dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta, Perugia; Elena Gagliasso, Docente di Filosofia e Scienze del vivente, Università La Sapienza, Roma; Rita Levi Montalcini, Neurobiologa, Premio Nobel per la Medicina; Massimo Livi Bacci, Docente di demografia, Università di Firenze; Alberto Piazza, Docente di Genetica Umana, Università di Torino; Agostino Pirella, Psichiatra, co-fondatore di Psichiatria democratica, Torino; Francesco Remotti, Docente di Antropologia culturale, Università di Torino; Filippo Tempia, Docente di Fisiologia, Università di Torino; Flavia Zucco, Dirigente di Ricerca, Presidente Associazione Donne e Scienza, Istituto di Medicina molecolare, CNR.
Settembre ’38: Vittorio Emanuele III, in vacanza proprio nella tenuta toscana, diede avvio alle leggi razziali
E tra un bagno e una passeggiata il re firmò la condanna degli ebrei
di Gaia Rau (la Repubblica/Firenze, 08.07.2008)
San Rossore, settembre 1938. La persecuzione fascista degli ebrei comincia da qui, dalla tenuta reale immersa nel parco di Migliarino dove, dai primi anni del Novecento, i Savoia avevano l’abitudine di trascorrere le vacanze estive. Tra un bagno in mare, una battuta di caccia e una passeggiata all’ombra dei pini marittimi furono decisi i primi provvedimenti che, passo dopo passo, delinearono il calvario al quale, negli anni immediatamente successivi, furono sottoposti oltre 6mila ebrei italiani di tutte le età. A cominciare dai più piccoli.
Primo bersaglio ad essere colpito dalle cosiddette «leggi razziali» fu infatti la scuola. Il 5 settembre Vittorio Emanuele III, raggiunto a San Rossore da Benito Mussolini e dai ministri dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai e delle Finanze Paolo Thaon di Revel, mise la sua firma sul Regio Decreto n. 1390, intitolato Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista. Un testo in sette punti nel quale si sosteneva «la necessità assoluta e urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana», e si provvedeva a «liberare» la scuola ariana vietando, a partire dal nuovo anno scolastico, l’accesso alle scuole di ogni ordine e grado e alle università ad alunni e insegnanti di «razza ebraica». Una definizione specificata nel decreto stesso, ai sensi del quale veniva «considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica», e ricalcata da quella contenuta dal Manifesto degli scienziati razzisti italiani, pubblicato nel luglio dello stesso anno dal Giornale d’Italia e sottoscritto da 10 sedicenti «scienziati» del regime.
Ancora San Rossore, due giorni dopo. Un nuovo incontro tra il re e gli esponenti del governo fascista, seguito dalla firma di un altro testo legislativo, il Regio Decreto n. 1381 del 7 settembre 1938, che dava il via ai Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri. Il decreto vietava agli ebrei stranieri di stabilire la propria dimora nel Regno, in Libia e nei possedimenti coloniali nell’Egeo, e stabiliva la revoca della cittadinanza italiana per coloro che l’avessero ottenuta a partire dal 1919. Tutti gli ebrei stranieri residenti in Italia se ne sarebbero dovuti andare entro sei mesi: se non l’avessero fatto «volontariamente», sarebbero stati espulsi. Incaricato di discutere con Vittorio Emanuele III il nuovo provvedimento fu l’ex sindaco di Pisa Guido Buffarini Guidi, nelle sue vesti di sottosegretario agli Interni, il quale ricevette da Mussolini il compito di rassicurare il re, preoccupato che anche gli ebrei «benemeriti» della patria subissero la stessa sorte degli stranieri. Lo stesso Buffarini Guidi, che era stato uno dei firmatari del Manifesto, si batté successivamente contro le leggi razziali, cercando di mitigarne gli effetti.
Sempre a San Rossore, il 23 settembre, fu firmato un terzo provvedimento, il Regio Decreto n. 1630, che tornava ad affrontare il «problema» degli ebrei nella scuola. Con esso si istituivano, a spese dello Stato, «speciali sezioni di scuola elementare per i fanciulli di razza ebraica». Si dava inoltre alle «comunità israelitiche» la possibilità di aprire, con l’autorizzazione del Ministro per l’Educazione Nazionale, scuole elementari e medie per i bambini ebrei.
La ghettizzazione all’interno della scuola rappresentò l’inizio della discriminazione a tutti i livelli della società. Ai tre provvedimenti varati a San Rossore seguirono, il 6 ottobre, una «Dichiarazione sulla razza» votata dal Gran Consiglio del Fascismo; il 15 novembre un Testo Unico delle norme già emanate a proposito della tutela della razza nella scuola e, il 17 novembre, un Regio Decreto «sulla razza italiana» che raccoglieva tutti i provvedimenti precedenti. Infine, il 29 giugno 1939, fu la volta del «Regio Decreto sulla disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica», che sanciva il divieto, per gli ebrei, di esercitare professioni fra cui quella di giornalista, medico, avvocato, ragioniere, architetto. In poco tempo, gli ebrei furono completamente esclusi dalla società italiana.
Il 25 luglio 1943, Vittorio Emanuele III e il governo Badoglio lasceranno in vigore le leggi razziali, che saranno abrogate soltanto sei mesi dopo, nel gennaio del 1944, con un decreto la cui attuazione fu tuttavia rinviata alla fine della guerra.
Meeting di San Rossore
Al via l’ottava edizione. Previsto un saluto (telefonico) di Ingrid Betancourt
di Francesca Padula (l’Unità Firenze, 10.07.2008
Parte l’ottava edizione del Meeting di San Rossore dal titolo “Contro ogni razzismo. Capire le differenze, valorizzare le diversità”. L’incontro, organizzato dalla Regione Toscana, si svolge oggi e domani nel Parco di San Rossore, a Pisa, e propone un’approfondita riflessione sul tema del razzismo in ogni sua forma, a 70 anni dalla firma delle leggi razziali, avvenuta proprio nella tenuta di San Rossore, nel settembre 1938.
Il programma della due giorni pisana è ricco di iniziative. Il Meeting si apre questa mattina alle 9.30 con il saluto delle autorità nello spazio della tenda Gandhi. Alle 10.15, sempre nella tenda Gandhi, si tiene l’appuntamento principale della giornata: la presentazione del Meeting e del “Manifesto degli scienziati antirazzisti 2008”, alla quale partecipano Claudio Martini, presidente della Regione Toscana, e Marcello Buiatti, genetista dell’Università di Firenze. Alle 11,30 alla tenda Gandhi, si parla di “Novecento, secolo diviso; le ideologie del razzismo e i fondamenti dei diritti umani”. Al dibattito introdotto da Isaac Newton Farris Jr., presidente della Martin Luther King, Jr Center di Atlanta, e coordinato da Antonio Di Bella, direttore del Tg3, partecipano, tra gli altri, Emma Bonino, vicepresidente del Senato, e Yolanda Pulecio de Betancourt, madre di Ingrid Betancourt che potrebbe portare il suo saluto e il suo ringraziamento intervenendo via telefono. Alle 15 spazio alle tavole rotonde.
Tra queste si segnala, nello spazio Anna Frank, la discussione dal titolo “Mentre cambia la scuola. Parole che escludono, parole che includono”. Alle 17,30, poi, alla tenda Gandhi, Claudio Martini e Moni Ovadia, attore e musicista, dialogano sul tema “Capire gli altri: considerazioni sulla prima giornata del Meeting”. A seguire proiezione del video di Barack Obama “Storie vecchie di nuovi razzismi”.
Intellettuali antisemiti
di Nello Ajello (la repubblica, 14.07.2008)
A emettere il primo acuto è Il Giornale d’Italia. Lì, il 14 luglio 1938 (sotto la data del 15 trattandosi di un quotidiano della sera) appare un manifesto intitolato «Il fascismo e i problemi della razza», attribuito a «un gruppo di studiosi fascisti», di cui non si fanno i nomi. Il testo, diviso in dieci punti, culmina in una rivendicazione della purezza razziale degli italiani e denuncia il rischio che il loro sangue venga contaminato dall’incrocio con ceppi extra-europei, portatori di varietà biologiche diverse da quella ariana. Il punto 9 del manifesto porta un titolo rivelatore: «Gli ebrei non appartengono alla razza italiana».
Solo il 26 luglio, il Partito nazionale fascista rivela le generalità degli autori del manifesto. Tra i quali i più celebri sono il patologo Nicola Pende, il biologo Sabato Visco e lo psichiatra Arturo Donaggio. Si informa che gli estensori del documento, redatto sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, sono stati ricevuti dal segretario del Partito, Achille Starace. Poco più tardi Pende e Visco protestano, sostenendo che il testo originario è stato "rimaneggiato". Ma ben presto tacciono.
Chi non tacque affatto, fin da principio, furono gli intellettuali "militanti" - letterati, storici, giornalisti - quasi che l’avvio ufficiale della campagna antisemita rientrasse nei loro più fervidi voti. L’acuto risuonato sulle colonne del Giornale d’Italia diventò così un coro. Non soltanto gli organi di stampa del razzismo ufficiale, come La vita italiana di Giovanni Preziosi, Il Quadrivio o Il Tevere di Telesio Interlandi, Il Regime fascista di Farinacci, ma anche i quotidiani meno etichettati aderirono alla nuova missione. E per un certo numero di scrittori l’antisemitismo rappresentò una palestra per esercitare virtù retoriche e talenti pedagogici.
Fu proprio Interlandi a proclamare sulla Difesa della razza, fin dai primi giorni dell’agosto 1938, che la campagna antisemita mirava alla «liberazione dell’Italia dai caratteri remissivi» che le erano «stati imposti dalle precedenti classi politiche». Quale occasione migliore, dunque, per mostrarsi aggiornati e «rivoluzionari»? In un saggio pubblicato in quattro puntate nella rivista Il Ponte fra il 1952 e il 1953, Antonio Spinosa avrebbe poi offerto una nutrita antologia di scritti di chiara obbedienza razzistica. Altrettanto ricca in questo senso è la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice. Si tratta di una documentazione inquietante.
Per questo genere di letteratura, il 1938 è un anno privilegiato. Esce un trattato di Gabriele De Rosa, intitolato La rivincita di Ario. Vi si sostiene «l’identità ebraismo=comunismo», binomio al quale si oppone con i fatti «l’asse Roma-Berlino»: l’Italia, specifica l’autore, sta combattendo «in terra di Spagna non l’iberico nemico, ma la terza internazionale ebraica, quella creata dall’ingegno giudaico-massonico del Komintern». Gli fanno eco, tra gli altri, giornalisti come Felice Chilanti e Ugo D’Andrea.
Critici delle più varie discipline denunziano, intanto, i danni che l’ebraismo infligge alla creazione artistica. In agosto un noto musicologo, Francesco Santoliquido, definisce la musica moderna «un vero e proprio monopolio della razza ebraica». Il critico letterario Francesco Biondolillo cerca di dimostrare che «il pericolo maggiore è nella narrativa». Qui, «da Svevo, ebreo di tre cotte, a Moravia, ebreo di sei cotte, si va tessendo tutta una miserabile rete per pescare dal fondo limaccioso della società figure ripugnanti».
Moravia non era nuovo a simili attacchi. Già nel 1931, in visita a Giovanni Papini, era stato da lui accolto con le parole: «Lei collabora alla rivista Solaria. I solariani sono o zoppi, o ebrei, o omosessuali. Lei è tutte e tre le cose». Era una frase almeno in parte inesatta, avrebbe poi commentato il romanziere. Essa rientrava comunque nello stile dello scrittore fiorentino il cui romanzo Gog, edito proprio nel ‘31, si ispirava al più schietto antisemitismo.
Ora, nei tardi anni Trenta, quei precedenti si amalgamavano al seguito di una parola d’ordine unitaria. Gli intellettuali razzisti di sentimenti razzisti si moltiplicavano. Fra quelli destinati a diventare proverbiali figura Guido Piovene. È lui a firmare, sul Corriere della sera del 15 dicembre 1939, una recensione entusiastica al libello di Interlandi Contra judaeos. Gli attribuisce il merito di «aver ridotto all’osso la questione ebraica». Salvarsi dagli influssi semitici, suggerisce, non è difficile: «si deve sentire d’istinto, e quasi per l’odore, quello che v’è di giudaico nella cultura». Nella Coda di paglia (1962), lo scrittore formulerà una drammatica abiura, confessando di aver «obbedito da schiavo», senza sentirsene mai «partecipe», alle direttive del regime.
In altri casi, come quello di Amintore Fanfani - il quale sostenne nel ‘39 che «per la potenza e il futuro della nazione gli italiani devono essere razzialmente puri» - un’abiura altrettanto recisa non ci sarà. E neppure qualcosa di simile verrà espressa dallo storico Gioacchino Volpe (1876-1971), al quale la politica della razza pura parve una tappa verso la costruzione di un’Europa «veramente unita e solidale».
Ma torniamo a letterati e giornalisti. Con lo scoppio della guerra l’antisemitismo assurge a epidemia. Dal ghetto di Varsavia, nel ‘39, Paolo Monelli scrive per il Corriere della sera: «Nulla ci pare di avere in comune con questa schiatta ebraica, con la sua strana lingua, le sue insegne illeggibili, gli esotici costumi, i gesti paurosi, l’andare sbilenchi il più rasente al muro possibile». Dalla Cecoslovacchia Curzio Malaparte denunzia sullo stesso giornale «il pericolo sociale che rappresenta», per le città boeme, «l’enorme massa del proletariato giudaico»; mentre Giovanni Ansaldo scopre sulla Gazzetta del Popolo che sono stati gli ebrei ad aggravare il conflitto mondiale: «i "rabbi" di Nuova York, spingendo l’America alla guerra, hanno seguito l’istinto e la tradizione della razza».
Ci sono poi gli ossessi, come Mario Appelius e Marco Ramperti. Il primo definisce «Israele traditore del mondo». Per il secondo «più che dalla stella gialla gli ebrei si riconoscono dalla ferocia dello sguardo». Fra questi mostri, egli ne privilegia uno: «il più sozzo, il più ripugnante, il più disumano e nemico è Charlot».
Furono tutti così, gli "osservatori" italiani degli anni Trenta? Perfino nelle file fasciste si riscontrano casi di adesione al razzismo solo parziale, o perfino di ripudio. Pur ufficialmente antisemita, Giuseppe Bottai, a detta di un suo biografo, Alexander J. De Grand, «fu in grado di limitare l’applicazione alla cultura» delle teorie discriminatorie. Martinetti espresse la sua disapprovazione fin dal novembre 1938. A contrasti significativi si assiste anche nel dibattito sul tema «arte e razza». Ugo Ojetti si riconosce nel "pollice verso". Di parere opposto è Carlo Carrà: «Chiamare ebraizzante l’arte moderna», dichiara, «è tutto sommato molto puerile». Non per motivi di estetica, ma di fede, si oppone al razzismo Giorgio La Pira.
In campo cattolico le posizioni in materia sono variegate. Papa Pio XI, Achille Ratti, non smetterà di deprecare le «ideologie totalitarie», di cui sono frutto il «nazionalismo estremo» e il «razzismo esagerato», mentre meno reciso risulta l’atteggiamento di buona parte della gerarchia. Un simile quadro, già noto, s’arricchisce in questi giorni di nuovi particolari. Nel prossimo numero della Civiltà cattolica padre Giovanni Sale, storico della Compagnia di Gesù, ripercorre la vicenda, pubblicando una lettera inedita di Bonifacio Pignatti, ambasciatore d’Italia in Vaticano. In questa lettera, datata 20 luglio 1938 (cinque giorni dopo la pubblicazione del manifesto antisemita), il conte Pignatti scrive che «il Papa medita le contromisure da adottare dinnanzi alla campagna anti-israelitica progettata dall’Italia, e che verrà condotta in base ai principi di purezza di razza, redatti dai professori universitari italiani».
L’articolista ricorda che una settimana più tardi lo stesso Pio XI - in un discorso agli studenti di Propaganda Fide attaccò con forza l’indirizzo filo-tedesco adottato dal regime in campo razziale. La stessa severità il pontefice avrebbe mostrato il 6 settembre del ‘38 - quasi in extremis: sarebbe morto il 10 febbraio successivo - sostenendo di fronte a un gruppo di pellegrini belgi «che l’antisemitismo è inammissibile e che spiritualmente siamo tutti semiti perché discendenti da Abramo, nostro padre nella fede». Era, osserva padre Sale, «la prima volta che un pontefice in modo chiaro ed esplicito condannava l’antisemitismo». Ci si può chiedere se ci sarebbero state altre volte.
Allarmi siam razzisti! Quel Manifesto infame
Settant’anni fa, vergato da dieci «scienziati» veniva pubblicato
il documento ufficiale di regime che dava inizio alla persecuzione antisemita nel nostro Paese.
Lo ripubblichiamo qui integralmente. Per non dimenticare (l’Unità 19.07.2008).
Il 5 agosto 1938 sulla rivista La difesa della razza viene pubblicato il seguente manifesto:
« Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
LE RAZZE UMANE ESISTONO. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
LA POPOLAZIONE DELL’ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
È UNA LEGGENDA L’APPORTO DI MASSE INGENTI DI UOMINI IN TEMPI STORICI. Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.
ESISTE ORMAI UNA PURA "RAZZA ITALIANA". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco... Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
È NECESSARIO FARE UNA NETTA DISTINZIONE FRA I MEDITERRANEI D’EUROPA (OCCIDENTALI) DA UNA PARTE E GLI ORIENTALI E GLI AFRICANI DALL’ALTRA. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
CARATTERI FISICI E PSICOLOGICI PURAMENTE EUROPEI DEGLI ITALIANI NON DEVONO ESSERE ALTERATI IN NESSUN MODO. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani. »
Elenco dei 10 scienziati italiani firmatari del manifesto della razza
Lino Businco, Assistente alla cattedra di Patologia Generale all’Università di Roma
Lidio Cipriani, Professore incaricato di Antropologia all’Università di Firenze
Arturo Donaggio, Direttore della Clinica Neuropsichiatrica dell’Università di Bologna Presidente della Società Italiana di Psichiatria
Leone Franzi, Assistente nella Clinica Pediatrica dell’Università di Milano
Guido Landra, Assistente alla cattedra di Antropologia all’Università di Roma
Nicola Pende, Direttore dell’Istituto di Patologia Speciale Medica dell’Università di Roma
Marcello Ricci, Assistente alla cattedra di Zoologia all’Università di Roma
Franco Savorgnan, Professore Ordinario di Demografia all’Università di Roma, Presidente dell’Istituto Centrale di Statistica
Sabato Visco, Direttore dell’Istituto di Fisiologia Generale dell’Università di Roma, Direttore dell’Istituto Nazionale di Biologia presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche
Edoardo Zavattari, Direttore dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Roma
Razzismo, dal manifesto alle impronte rom
di Furio Colombo *
Abbiamo letto e riletto tante volte, in questi decenni resi liberi dalla distruzione del fascismo e razzismo, dal sangue dei partigiani, dalle rivisitazioni angosciate del Giorno della Memoria, il «Manifesto della razza», firmato da una decina di personaggi sconosciuti (tra essi due zoologi) detti, a quel tempo «scienziati», ma anche da un illustre clinico (Nicola Pende) che ha poi compiuto il meglio della sua carriera e ricevuto gli onori più alti nell’Italia libera, troppo presto smemorata dopo l’orrore del fascismo.
Ad ogni lettura ognuno di noi ha provato un senso di repulsione e di ridicolo, di delittuoso e di assurdo, di estrema ignobiltà ma anche di pauroso vuoto di cultura (parlo di cultura comune, generale) e di rispetto per se stessi. Immaginate quegli «scienziati» nell’atto di firmare. E intravedete un abisso di viltà così profondo da sfidare e disorientare l’immaginazione. Chi può disprezzare a tal punto se stesso? è la domanda triste e inevitabile. Quello che non ci saremmo mai aspettati, neppure il più pessimista o il più scettico di noi, sul mistero e le fenditure della natura umana, era di rileggere il «Manifesto della razza» (allora opportunamente ripubblicato sulla rivista «Difesa della razza» di Telesio Interlandi e Giorgio Almirante) come un documento dei nostri giorni, del nostro tempo. Per esempio, rileggete questa frase del «Manifesto», e immaginatela scritta o pronunciata in un ideale sequenza documentaria di ciò che è davvero accaduto nell’aula di Montecitorio alle ore 13 di mercoledì 16 luglio: «È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». Quel giorno, a quell’ora, i deputati di Berlusconi stavano tributando uno scroscio di applausi a se stessi per avere approvato la legge che autorizza a prelevare le impronte digitali ai bambini Rom, sia italiani sia ospiti dell’Italia, esattamente come quella stessa Camera nel 1938, aveva calorosamente applaudito l’approvazione dell’altro «pacchetto sicurezza», quello delle «leggi per la difesa della razza» redatte da Mussolini.
Il fatto che l’aberrante discriminazione di oggi contro i bambini Rom sia stata voluta da un uomo storicamente irrilevante, non toglie nulla all’umiliazione imposta a quei bambini. Mentre alla Camera, nel nuovo e identico tuono di applausi, il ministro Carfagna e il deputato Bocchino cercavano, una contro l’altro, di farsi vedere abbracciati al ministro Maroni (che da oggi, nonostante la ben nota modestia umana e politica, dovrà essere ricordato per la sua nuova legge che riporta l’Italia al prima della Resistenza), ho immaginato lo scorrere del testo che ha sfregiato l’Italia: «È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il regime in Italia è fondata sul razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del capo il richiamo ai concetti di razza». Se il capo a cui adesso si fa riferimento è Bossi (con Borghezio, come scorta) le parole del «Manifesto» sull’immagine di Maroni che mostra il pollice in alto nel gesto americano della vittoria, sono il commento perfetto.
Non dobbiamo più domandarci: «Ma che gente era, quella che ha approvato e sostenuto il «pacchetto sicurezza del 1938?». Basta osservare, con immensa tristezza, i deputati di Berlusconi che applaudono se stessi per avere approvato il loro «pacchetto sicurezza». Quello che proclama la pericolosa estraneità della razza Rom, e schiera i soldati a difesa della razza italiana.
* l’Unità, Pubblicato il: 19.07.08, Modificato il: 19.07.08 alle ore 10.23
Aboliamo la razza
Le evidenze della biologia e della medicina hanno definito da tempo l’inesistenza scentifica di un termine odioso, ampiamente diffuso nel dibattito pubblico. Un convegno per chiedere di eliminarlo dall’articolo 3 della nostra Costituzione
di Carlo Alberto Redi e Manuela Monti (Corriere della Sera, La Lettura, 10.09.2017)
Giovedì 12 ottobre presso il Collegio Ghislieri di Pavia si incontreranno biologi, antropologi, storici, filosofi, costituzionalisti e studiosi di altre discipline per discutere sull’opportunità di emendare l’articolo 3 della Costituzione italiana dalla parola «razza». Non vogliamo qui riassumere i contenuti delle presentazioni sulle numerose evidenze scientifiche a prova dell’inesistenza di razze nella specie umana (di cui «la Lettura» ha scritto spesso) né di quelle che suggeriscono diverse alternative di modifica dell’articolo 3.
Siamo consapevoli ed è del tutto evidente che togliere la parola razza dalla Costituzione non significa eliminare il razzismo. Per raggiungere un tale fine è bene iniziare una capillare opera di informazione dei cittadini sulla inesistenza biologica delle razze così da ripulire il lessico da falsi termini. Una evidenza alla portata culturale anche di chi persegue ideologie razziste è quella fornita dall’immunologia. Chi non sa che per trapiantare organi e cellule ci vuole compatibilità con il proprio sé immunologico !? Ad esempio, il successo di una trasfusione di sangue dipende dalla compatibilità di riconoscimento del proprio sé immunologico («istocompatibilità»). In altre parole, il sangue donato da chi viene considerato dall’ideologia razzista appartenente a una «razza» inferiore può essere l’unico in grado di salvarci la vita, così come quello proveniente da un individuo della «nostra stessa razza» può risultare non idoneo.
Tutti i dati scientifici - ultimo arrivato il sequenziamento del genoma umano - dimostrano che non è possibile identificare nella specie umana alcuna razza geneticamente distinta e provano che il concetto di «razza» è solo e soltanto un prodotto culturale; i dibattiti sulla realtà genetica della razza non sono scientifici, ma sociali.
Già lo aveva svelato nel 1871 Rudolf Virchow nel corso di una insuperata indagine demografico-razziale (quasi sette milioni di ragazzi coinvolti) effettuata nell’ambito dei lavori della Società antropologica tedesca, per studiare le differenze ( Völkertypus ) tra scolari ebrei e cristiani: misure antropometriche del cranio (di cui era maestro visto lo studio del 1857 che poneva le basi del moderno studio della crescita del cranio), statura, peso, colore degli occhi, tipo di capelli, colore della pelle, eccetera... nulla... nessuna differenza, non era possibile stabilire l’esistenza di alcuna razza e men che meno quella di una pura razza ariana (germanica). Tutti i caratteri considerati si distribuivano in modo ambiguo e continuo tra tutti gli scolari. (Nota di carattere per questo insuperato gigante della biologia e della medicina: fu anche sfidato a duello da Bismark!).
Questi dati smascherano le ideologie razziste e rivelano, lasciandola nuda, la vera natura del razzismo che è quella della discriminazione per fini politici, sociali, economici, eccetera attuata da sottogruppi nell’ambito di una popolazione, o tra popolazioni diverse, per instaurare o mantenere privilegi.
Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche è così possibile dar forza al lavoro di storici, filosofi, sociologi, giuristi al fine di tracciare gli eventi che hanno portato a formulare e mantenere in vita un concetto che non ha mai avuto alcun valore scientifico. E da queste analisi trarre suggerimenti e indicazioni per mettere in campo politiche educative capaci di sradicare dalla mente di tanti idee e concetti alla base di atteggiamenti razzisti. L’aver provato scientificamente che non esistono razze non mette infatti al riparo da quotidiani e ripugnanti fenomeni di razzismo, dal loro volgare impiego a fini di conquista di consensi elettorali, dall’adagiarsi su posizioni lassiste di convivenza con fenomeni di razzismo e di discriminazione.
Liberato il campo dall’imbroglio del concetto di «razza» dobbiamo ora chiederci cosa fare del nostro futuro, di quello che stiamo preparando ai nuovi nati che già vivono in un mondo multietnico e globale (dove tutti siamo collegati 24 ore su 24 dai mezzi tecnologici in uno scenario in cui «chi governa il mondo» - sostiene Noam Chomsky - è chiaramente l’economia neo-liberista con i suoi strumenti - hedge funds, oligarchie finanziarie, complessi multinazionali e militari-industriali - capaci di trasformare la rappresentanza politica che eleggiamo nei sistemi democratici in leve del proprio potere economico).
In questo contesto le comunità non possono reggersi su discriminazioni basate su fattori genetici inesistenti (pena il ritorno nelle caverne); debbono invece organizzarsi su pratiche di partecipazione alla vita pubblica basate sull’inclusione: i disperati che arrivano oggi alle porte dell’Europa e chiedono aiuto sono migranti e non immigrati clandestini, migranti che abbiamo il dovere di accogliere, non fosse altro che per i trascorsi colonialisti e imperialisti di tutti i Paesi europei, nessuno escluso. Noi europei abbiamo creato conflitti di cui non possiamo dirci innocenti e l’assunzione di responsabilità storica di quanto fatto passa per l’accoglimento senza se e senza ma dei migranti. E ciascuno di questi migranti, lo dicono la filosofia politica e la filosofia morale, porta con sé la dignità morale dell’eguaglianza: ciascuno di noi potrebbe essere «l’altro», dobbiamo riconoscere nell’altro il noi stesso, pena la caduta stessa della nostra dignità. Solo il riconoscimento di questo dato di fatto può permettere di sviluppare strategie per contrastare, mitigare e sperabilmente eliminare ogni forma di discriminazione, cercando di promuovere valori positivi e l’idea che l’inclusione funziona come matrice di concezioni del vivere più ampie, è scambio di cultura, di idee, di stimoli, di storia, e che «meticciato è bello» anche perché favorisce la nostra salute aumentando il grado di eterozigosità genetica (si perdoni il dettaglio tecnico!).
La biologia è alla base di questa riflessione: la genetica e l’ereditarietà dei mitocondri, ricevuti da tutti noi solo per via materna dalla stessa Eva africana, affermano chiaramente il concetto di uguaglianza. Ogni forma di discriminazione basata su false premesse scientifiche, su leggende, è sbaragliata e falsa: la natura umana è la base indiscutibile dei diritti di tutte le persone ad essere trattate in modo eguale. Tutti gli individui meritano lo stesso grado di rispetto poiché tutti accomunati dallo stesso percorso biologico che si fa sociale nell’assegnare pari dignità a tutti - tutte le persone sono eguali dal punto di vista morale altrimenti nessuno è persona.
La Dichiarazione d’Indipendenza americana del 4 luglio 1776 per prima afferma che «...tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità...»; verrà poi il 1789 con la Rivoluzione francese ad affermare categoricamente che libertà, uguaglianza, fraternità sono valori inscindibili e non serve una laurea in filosofia per capire che senza uguaglianza e fraternità nessuno può dirsi libero. La Dichiarazione universale dei diritti umani (Parigi, 10 dicembre 1948) precisa questi valori già nell’articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».
I fatti di Charlottesville delle scorse settimane sono paradigmatici. Gli Usa sono un Paese dove nel 1857 i giudici della Corte suprema (7 contro 2) dichiarano che Dred Scott è uno schiavo e come tale non ha diritto di cittadinanza: abbattere a Baltimora la statua del giudice Taney (che scrive la sentenza) è un fatto decisamente tardivo che spiega meglio di tante sofisticate analisi il contesto attuale. Contesto attuale che è facile analizzare - non servono studi di sociologia, storia, economia, americanistica, basta aver fatto un paio di viaggi in macchina (nel nostro caso da Seattle a Sioux Falls; da Baltimora a Chicago) ed essersi fermati a dormire, mangiare, parlare con gli abitanti per capire che il razzismo negli Usa (come altrove) è figlio della questione sociale (disoccupazione, bassi salari, assenza di assistenza medica...). Per i bianchi - di qualsivoglia origine - i neri sono nemici perché storicamente impiegati dal complesso industriale per fiaccare e piegare le lotte sociali da loro intraprese (quante analogie con il razzismo in Gran Bretagna verso gli immigrati polacchi, e quindi tutti gli immigrati, che rubano il lavoro eccetera eccetera... buon argomento per fomentare la Brexit).
Il concetto di razza si è andato modellando su ciò che il pubblico di tempo in tempo ha creduto fosse «l’evidenza scientifica» (i tratti somatici per esempio) a sostegno della presunta verità dalla quale dunque appare naturale far scaturire politiche sociali di discriminazione e segregazione (raramente di inclusione) che vengono così giustificate e invocate per legittimare differenze di rendita economica basata su privilegi di potere. L’uso sociale delle conoscenze sul Dna (la «vita» sociale del Dna) ci pare un buon strumento per un ennesimo tentativo, a livello nazionale e internazionale, per risolvere i lasciti del business della schiavitù con tutte le sue terribili ricadute attuali, discriminazione razziale e disuguaglianze economiche.
Oggi sperabilmente questo tentativo può lasciare il segno in considerazione dell’interesse e della curiosità sempre crescenti verso la propria costituzione genomica , cioè la struttura del nostro Dna; questo per una serie di ragioni, dal successo dei test genetici fai da te a fini terapeutici (medicina di precisione) a quella per tracciare la propria genealogia (siti come Ancestry.com conquistano utenti alla ricerca dei propri alberi genealogici).
Dunque vi è oggi più che in altri momenti l’opportunità di chiarire i fraintendimenti che si vengono a creare quando si concettualizzano aspetti quali la differenza di colore della pelle o di altri tratti somatici. E ciò è ancora più valido oggigiorno quando anche il comune cittadino sa che il Dna porta con sé le nostre storie passate ed è condiviso, poiché lega a diversi livelli di parentela sia individui sia gruppi di individui.
Il concetto stesso di razza storicamente si modella sulla correlata comprensione da parte della società delle evidenze scientifiche invocate per giustificarne l’impiego per fini di politiche di eugenetica e di discriminazione: e dunque, giustizia sociale e progetti di «riconciliazione razziale» passano per il dovere da parte dei biologi di far conoscere i dati delle ricerche in modo chiaro. Le evidenze scientifiche negano l’esistenza di razze.
Quel censimento etnico di settanta anni fa
di Gad Lerner (la Repubblica, 5 luglio 2008)
Cominciò con un inaspettato censimento etnico, nel mezzo dell’estate di settant’anni fa, la vergognosa storia delle leggi razziali italiane. Alle prefetture fu diramata una circolare, in data 11 agosto 1938, disponendo una «esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle provincie del regno», da compiersi «con celerità, precisione e massimo riserbo». La schedatura fu completata in una decina di giorni.
Furono 47.825 gli ebrei censiti sul territorio del regno, di cui 8.713 stranieri (nei confronti dei quali fu immediatamente decretata l’espulsione). Per la verità si trattava di cifre già note al Viminale. «Il censimento quindi fu destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», scrive la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci ne L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (il Mulino). Naturalmente, di fronte alle proteste dei malcapitati cittadini fatti oggetto di quella schedature etnica fu risposto che essa non aveva carattere persecutorio, anzi, sarebbe servita a proteggerli.
Nelle diversissime condizioni storiche, politiche e sociali di oggi, torna questo argomento beffardo e peloso: la rilevazione delle impronte ai bambini rom? Ma è una misura disposta nel loro interesse, contro la piaga dello sfruttamento minorile!
Si tratta di un artifizio retorico adoperato più volte nella storia da parte dei fautori di misure discriminatorie: «Lo facciamo per il loro bene». A sostenere la raccolta delle impronte sono gli stessi che inneggiano allo sgombero delle baracche anche là dove si lasciano in mezzo alla strada donne incinte e bambini. Ma che importa, se il popolo è con noi? Lo so che proporre un’analogia fra l’Italia 1938 e l’Italia 2008 non solo è arduo, ma stride con la sensibilità dei più. L’esperienza sollecita a distinguere fra l’innocenza degli ebrei e la colpevolezza dei rom. La percentuale di devianza riscontrabile fra gli zingari non è paragonabile allo stile di vita dei cittadini israeliti, settant’anni fa.
Eppure dovrebbero suonare familiari alle nostre orecchie contemporanee certi argomenti escogitati allora dalla propaganda razzista, circa le "tendenze del carattere ebraico". Li elenco così come riportati nel libro già citato: nomadismo e «repulsione congenita dell’idea di Stato»; assenza di scrupoli e avidità; intellettualismo esasperato; grande capacità ad adattarsi per mimetismo; sensualismo e immoralità; concezione tragica della vita e quindi aspirazioni rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, spirito polemico e così via.
Guarda caso, per primo veniva sempre il nomadismo. Seguito da quella che Gianfranco Fini, in un impeto lombrosiano, ha stigmatizzato come «non integrabilità» di «certe etnie»; propense - per natura? per cultura? per commercio? - al ratto dei bambini. Il che ci impone di ricordare per l’ennesima volta che negli ultimi vent’anni non è stato mai dimostrato il sequestro di un bambino ad opera degli zingari.
Un’opinione pubblica aizzata a temere i rom più della camorra, si trova così desensibilizzata di fronte al sopruso e all’ingiustizia quando essi si abbattono su una minoranza in cui si registrano percentuali di devianza superiori alla media. Tale è l’abitudine a considerare gli zingari nel loro insieme come popolo criminale, da giustificare ben più che la nomina di "Commissari per l’emergenza nomadi", incaricati del nuovo censimento etnico. Un giornalista come Magdi Allam è giunto a mostrare stupore per la facilità con cui si è concesso il passaporto italiano a settantamila rom. Ignorando forse che si tratta di comunità residenti nella penisola da oltre cinquecento anni: troppo pochi per concedere loro la cittadinanza? Eppure sono cristiani come lui...
Il censimento etnico del 1938, «destinato più a sottomettere che a conoscere, più a dimostrare che a valutare», come ci ricorda Marie-Anne Matard-Bonucci, in ciò non è molto dissimile dal censimento dei non meglio precisati "campi nomadi" del 2008. In conversazioni private lo confidano gli stessi funzionari prefettizi incaricati di eseguirlo: quasi dappertutto le schedature necessarie erano già state effettuate da tempo.
L’iniziativa in corso riveste dunque un carattere dimostrativo. E i responsabili delle forze dell’ordine procedono senza fretta, disobbedendo il più possibile alla richiesta di prendere le impronte digitali anche ai minori non punibili, nella speranza di dilazionare così le misure che in teoria dovrebbero immediatamente conseguirne: evacuazione totale dei campi abusivi e di quelli autorizzati ma fuori norma; espulsione immediata dei nomadi extracomunitari e, dopo un soggiorno di tre mesi, anche dei nomadi comunitari. Si tratta di promesse elettorali che per essere rispettate implicherebbero un salto di qualità organizzativo e politico difficilmente sostenibile. Dove mandare gli abitanti delle baraccopoli italiane - pochissime delle quali "in regola" - se venissero davvero smantellate tutte in pochi mesi? Chi lo predica può anche ipocritamente menare scandalo per il fatto che tanta povera gente, non tutti rom, non tutti stranieri, vivano fra i topi e l’immondizia. Ma sa benissimo di alludere a una "eliminazione del problema" che in altri tempi storici è sfociata nella deportazione e nello sterminio.
Un’insinuazione offensiva, la mia? Lo riconosco. Nessun leader politico italiano si dice favorevole alla "soluzione finale". Ma la deroga governativa al principio universalistico dei diritti di cittadinanza, sostenuta da giornali che esibiscono un linguaggio degno de "La Difesa della razza", aprono un varco all’inciviltà futura.
Negli anni scorsi fu purtroppo facile preconizzare la deriva razzista in atto. Per questo sarebbe miope illudersi di posticipare la denuncia, magari nell’attesa che si plachi l’allarmismo e venga ridimensionata la piaga della microcriminalità. Gli operatori sociali ci spiegano che sarebbe sbagliato manifestare indulgenza nei confronti dell’illegalità e dei comportamenti brutali contro le donne e i bambini, diffusi nelle comunità rom. Ma altrettanto pericoloso sarebbe manifestare indulgenza riguardo alla codificazione di norme palesemente discriminatorie, che incoraggiano l’odio e la guerra fra poveri.
Non si può sommare abuso ad abuso di fronte ai maltrattamenti subiti dai bambini rom. Quando i figli degli italiani poveri venivano venduti per fare i mendicanti nelle strade di Londra, l’esule Giuseppe Mazzini si dedicò alla loro istruzione, non a raccogliere le loro impronte digitali. L’ipocrisia di schedarli "per il loro bene" serve solo a rivendicare come prassi sistematica, e non eccezionale, la revoca della patria potestà. Dopo le impronte, è la prossima tappa simbolica della "linea dura". Siccome i rom non sono come noi, l’unico modo di salvare i loro figli è portarglieli via: così si ragiona nel paese che liquida l’"integrazione" come utopia buonista.
A proposito del sempre più diffuso impiego dispregiativo della parola "buonismo", vale infine la pena di evocare un’altra reminescenza dell’estate 1938. Chi ebbe il coraggio di criticare le leggi razziali fu allora tacciato di "pietismo". Con questa accusa furono espulsi circa mille tesserati dal Partito nazionale fascista. E allora viva il buonismo, viva il pietismo.
LE IMPRONTE AI ROM
Il valzer della paura
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 6/7/2008
Anche se il silenzio è vasto, sulle misure di sicurezza adottate in fretta da Berlusconi, c’è stato chi ha provato sgomento grande, apprendendo che il ministro dell’Interno Maroni aveva messo all’ordine del giorno, come provvedimento risolutivo, le impronte digitali imposte ai bambini Rom: hanno protestato insegnanti impegnati in difficili tentativi di inserzione, e pensatori, storici, politici d’opposizione. Ma le parole più nette, più indipendenti, meno nebbiose son venute dall’interno della Chiesa. Aveva cominciato l’arcivescovo di Milano Tettamanzi, denunciando gli sgomberi dei campi Rom in aprile («Si è scesi sotto il rispetto dei diritti umani»). Poi hanno parlato sacerdoti, vescovi, la Fondazione Migrantes. Infine è giunto l’editoriale di Famiglia Cristiana: un periodico che vende più copie di tutti i giornali (3 milioni di lettori) ed è presente in ogni chiesa.
L’editoriale del direttore, Antonio Sciortino, non usa eufemismi. Parla di «misure indecenti», di un governo per cui «la dignità dell’uomo vale zero». Enumera verità giuridiche elementari: l’accattonaggio non è reato, la patria potestà tolta quando i genitori Rom sono poveri o in condizioni difficili viola la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, firmata dall’Italia. Ma soprattutto, ricorda il male scuro dell’Italia, tra i più scuri in Europa. L’Italia porta nel proprio bagaglio il fascismo con le leggi razziali e tuttavia questa «tragica responsabilità» finge di non averla: «Non ce ne siamo vergognati abbastanza». Anche questo crea sgomento: questo passato che non solo non passa, ma sembra dissolto in un acido, come se le revisioni di Fini a Fiuggi non si fossero limitate ad affrancare Alleanza nazionale ma fossero andate oltre, consegnando al nulla tutto un brano di storia nazionale. Il periodico obbedisce al motto del fondatore, Giacomo Alberione: «Famiglia Cristiana non dovrà parlare di religione cristiana, ma di tutto cristianamente».
Tuttavia l’ossessione dello straniero sospetto sin dalla nascita non è solo italiana. In questi giorni si discute di schedatura dell’infanzia in Francia («progetto Edvige»), anche se l’elaborazione di identikit - il profiling - non riguarda le etnie. Ma anche qui si pensa agli stranieri, e il significato è lo stesso: si predispongono liste di sospetti, in nome di uno stato d’emergenza infinita. Il modello d’integrazione del dopoguerra, chiamato in Francia protezionista, viene sostituito da un modello repressivo, dal populismo penale, da un inarrestabile proliferare di reati, dal profiling del diverso. Muta il mondo che abitiamo sempre meno generosamente, meno umanamente: una sorta di catastrofismo antropologico s’insedia negli spiriti e nei governi, che giudica l’uomo malvagio, incendiario. Che abolisce la fiducia: quest’apertura all’altro che scommette sul mutare della persona e non sugli immoti dati del suo corpo e della sua genetica.
Questa politica della sfiducia è iniziata prima dell’11 settembre, ma dopo il 2001 ha impastato sicurezza interna e antiterrorismo, importando dalla guerra le parole, le pratiche, le norme d’eccezione. Un libro uscito quest’anno in Francia, a cura di Laurent Mucchielli, descrive la frenesia della sicurezza impadronitasi dei governanti come dei giornali e spiega bene, in un saggio di Mathieu Rigouste, la militarizzazione delle menti. Anche qui riaffiorano automatismi, si son disperse vergogne o memorie. Rigouste, in un libro d’imminente uscita (L’ennemi intérieur, La Découverte) ricorda che linguaggio e azioni sono radicati nelle repressioni coloniali. Si parla di «contro-insurrezione», di «zone grigie dove s’annidano minacce di guerriglia», di «guerre di bassa intensità permanente» nelle banlieue. Ci sono consiglieri governativi (il colonnello de Richoufftz, il generale Henry Paris) che si fanno forti delle esperienze in Bosnia, Kosovo, perfino in Algeria.
A forza d’impastare il civile e il militare sono tanti i confini che sbiadiscono: tra ordine e emergenza, pace e guerra, e anche tra l’età maggiorenne (in cui diveniamo imputabili, incarcerabili) e quella minorenne, da tutelare e correggere con l’integrazione. Il bambino e l’adolescente diventano incubo, primo anello di catene devianti. Il XX secolo fu marchiato dalla foto del bambino con le braccia alzate, nel ghetto di Varsavia sopraffatto. Quell’immagine rivive: a Guantanamo, in Palestina, in Europa stessa. Chi ha contemplato il tremendo nel prodigioso film di Ari Folman (Waltz With Bachir), ricorderà la scena in cui l’autore, ebreo israeliano, racconta i palestinesi massacrati a Sabra e Chatila e vacilla perché quel che ha visto e quel di cui s’è reso complice gli fa venire in mente il bambino di Varsavia.
Chi difende le leggi Berlusconi difende cause apparentemente buone, e accusa i cristiani dissidenti di cecità: «Voi non andate nelle terre di desolazione e ignorate l’angoscia di tanti italiani», lamentano. Dicono che la legge è fatta per dare ai bambini un’identità che non hanno, per verificare se vanno a scuola, hanno case decenti, son sfruttati. Ma i bambini sfruttati e non scolarizzati in Italia sono ben più numerosi dei Rom, e questo conferma la discriminazione negativa di un’etnia (sono selettivi anche alcuni termini: commissario per la questione Rom, emergenza-Rom). Conferma una visione del male che non insorge perché società e istituzioni barcollano, o l’integrazione fallisce. Il male comincia nel genetico, nel corpo del bambino. Tanto più se diverso: Rom, musulmano, povero.
Sono anni che la delinquenza minorenne ossessiona, e un primo bilancio può esser fatto delle risposte date fin qui in Europa. I più repressivi sono stati i governi inglesi, poi il francese e l’italiano; mentre a Nord è sopravvissuto il modello integrativo. I risultati non confortano i fautori di ghetti. Con le repressioni inglesi, la delinquenza minorile è spettacolarmente aumentata: la sua parte nel crimine globale raggiunge percentuali senza eguali in Europa (20 per cento). Mentre in Norvegia, dove son preservate istituzioni solidali, i minorenni sono meno del 5 per cento della criminalità globale. Molte misure tecnologiche presentate come miracoli sono inefficaci. E in nome delle vittime o delle paure singole, è l’idea di una società coesa che si sfalda, è la sfiducia nelle istituzioni collettive che si attizza. Le impronte digitali, infine, accendono risentimento. Pierre Piazza, autore in Francia di una storia della carta d’identità, evoca afghani in cerca d’asilo che si son bruciati le dita, per protestare contro la schedatura.
I tempi d’azione affrettati e concitati, il rifiuto dei vecchi modi - più lenti - di curare le radici del male anziché estirparle: tutto questo mostra che insicurezza e paura sono spesso considerate una soluzione, più che un problema. Son usate e alimentate come uno strumento utile al potere. Sono la fuga nella politica delle emozioni, dell’annuncio declamatorio, del culto totemico di cifre continuamente contraffatte. A partire dal momento in cui, se un bambino ruba una bici, conta più la bici che la storia del bambino, il salto qualitativo è fatto: il salto nei nuovi reati (di accattonaggio o clandestinità); il salto nel sequestro del corpo, tramite biometria. L’habeas corpus, che è la facoltà di disporre del proprio corpo senza che esso sia manomesso o derubato, si perde.
I cittadini alle prese con lo spavento sono comprensibili. Ma la civiltà ha sue ragioni, che l’individuo impaurito non conosce o sottovaluta. Sono ragioni che riguardano anche lui. Il pastore Martin Niemoeller lo rammenta, in una poesia scritta a Sachsenhausen e Dachau, oggi esposta in un manifesto nelle vie di Roma. All’inizio deportano gli zingari, e tu taci. Poi gli ebrei, i sindacalisti, e sempre taci. Alla fine vengono per prender te. Non c’è più nessuno per protestare.
l’Unità 8.7.08
Piazza Navona. Un’altra Italia
di Furio Colombo *
Non appena avvertito della «iniziativa girotondina», che sarebbe l’incontro di oggi in Piazza Navona per dirci insieme quel che pensiamo delle leggi di Berlusconi per se stesso, delle imputazioni dei suoi processi, delle sgarberie appena camuffate nei confronti del capo dello Stato e della proposta indecente di prendere le impronte digitali ai bambini rom, il prof. Ernesto Galli della Loggia si è precipitato a offrire una diagnosi crudele, ma ahimé, secondo lui clinicamente impeccabile, del male della sinistra.
Infatti solo se sei in preda a un male puoi cadere nel miserevole stato del “girotondo” e abbandonarti a manifestazioni sguaiate e senza senso. Lo ha fatto con un editoriale-cartella clinica sul Corriere della Sera del 7 luglio. L’illustre terapeuta individua i seguenti incurabili sintomi che lui freudianamente chiama “miti”: il primo «è quello delle due Italie. La sinistra si sente sempre chiamata a impersonare l’Italia dei buoni». Il secondo mito «è quello della “unità”. La sua principale raffigurazione nella fatidica manifestazione unitaria, anche se è sparutissima minoranza». Il terzo mito che domina immaginario e pratica della sinistra «è il moralismo. È l’eticismo condotto ai limiti dell’arroganza di tipo razzista. La convinzione che si è puri solo se si è duri».
Il breve trattato passerà per una buona e interessante diagnosi solo fra quei lettori ed elettori che sono prigionieri della implacabile claustrofobia del talk show e dei telegiornali, secondo cui il mondo a sinistra comincia con i frequentatori più assidui, quelli che non mancano mai; e finisce, a destra, con Gasparri che ha guadagnato nuova fama e nuovi spunti per il bravo attore Marcorè con la frase di autorevole ammonimento a Veltroni: «Taccia e faccia opposizione». Il mondo però è un po’ più largo e la storia è un po’ più profonda e questo guasta il giochino dei tre miti di Ernesto Galli Della Loggia.
Basta voltarsi indietro di pochi decenni e dare uno sguardo a un paesaggio appena un po’ più ampio della “Storia dell’Occidente contemporaneo”, per notare due personaggi della sinistra del mondo che, oltre ad avere dato una mano alla civiltà in cui viviamo, ci servono anche per interpretare i tre miti di Galli della Loggia in modo un po’ meno modesto. Sto parlando di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Proviamo a misurare la loro azione e il loro stile di leader politici con le “prove” che il politologo del Corriere della Sera propone.
1 - Il mito delle due Americhe è nato con loro, sia durante le marce e le lotte per i diritti civili di Martin Luther King che durante la campagna elettorale di Robert Kennedy contro la guerra del Vietnam. È nata allora la celebre espressione «the other America», per dire che ci sono i razzisti ma ci sono anche i giusti, ci sono gli incappucciati ma ci sono anche i coraggiosi. L’altra America rischia insieme la vita affinché l’America razzista - che è armata - e quella che ha scelto la guerra e ha il potere, diventino, da stragrande maggioranza, la parte che cede, che accetta la de-segregazione, che tratta la pace.
2 - Il mito dell’unità è sempre stato l’ossessione di King e di Kennedy. Cominci con cinquanta volontari, arrivi in cinquecento, la volta dopo sono cinquantamila, bianchi e neri. Ragazzi appena richiamati alle armi ed eroi di guerra con le medaglie, e a un certo punto sono cinquecentomila. Certo che erano «sparutissima e dileggiata minoranza» all’inizio. E la loro pretesa («we shall overcome», noi ce la faremo, «we will not be moved», nessuno ci sposterà di qui)) era idealismo campato in aria. Ma la pretesa era proprio quella che Galli Della Loggia descrive come sintomo del male detto “sinistra”: «Un giorno, insieme (il mito dell’unità, ndr) ce la faremo». Ce l’hanno fatta.
3 - Credo di poter dire che Martin Luther King, buon cristiano e persona poco teatrale e poco esibizionista, si sentisse - lui e la sua gente - un po’ al di sopra degli assassini del Ku Klux Klan che gli hanno messo una carica di dinamite nella chiesetta di Montgomery (Alabama) facendo strage di bambini neri all’ora del catechismo. Ma forse ai lettori di Galli Della Loggia farà piacere sapere che quando un certo David Duke, già membro incappucciato del KKK dell’Alabama, molti hanni dopo, si è candidato al Senato con il Partito repubblicano, quel partito (che sarebbe la destra americana) non lo ha voluto. Anche da morto Martin Luther King ha visto prevalere il suo moralismo, ovvero la persuasione che tu ti opponi a certe persone non perché sono antipatiche o inferiori. Ma perché dicono cose che non si possono condividere e fanno cose che non si possono accettare. Come imporre le impronte digitali ai bambini Rom, metà dei quali sono cittadini italiani. E tutti sono protetti dalla nostra Costituzione. Ecco perché, Galli Della Loggia, abbracciamo i miti che lei vede come sintomi di malattia.
Due Italie. Perché la nostra comincia con la Resistenza, la Costituzione, Calamandrei e non con Borghezio, Gentilini, Calderoli, Bossi e Berlusconi. L’unità, perché vogliamo con noi tutti coloro che non hanno niente a che fare con l’imbarazzante mercato Berlusconi-Saccà. E sappiamo che, anche se adesso sono o sembrano pochi, saranno per forza di più. In molti italiani il senso della dignità continua a prevalere sul modello dell’arricchimento istantaneo (basta piegarsi e non porre un limite a quanto ci si piega).
Il moralismo (uso la parola sprezzante dell’editorialista del Corriere, ma la parola giusta è moralità) continuerà ad essere la ragione per non smettere. Non smetteremo fino a quando finalmente saremo in tanti, tutti coloro che si vergognano della copertina del settimanale italiano Panorama, adesso in edicola, che pubblica le foto di un bambino Rom con il titolo «Nati per rubare», ovvero una pubblica incitazione al delitto di persecuzione. È contro quel delitto che dedico la mia partecipazione all’evento di oggi in Piazza Navona. I Rom, tanti Rom italiani, con i loro bambini, ci saranno. E noi gli diremo: «Noi siamo l’altra Italia, morale, un po’ al di sopra del razzismo».
furiocolombo@unita.it
Tra la folla anche due bandiere del Partito democratico
Di Pietro: ’’C’è emergenza democratica, nel governo metodi da P2’’
A piazza Navona la manifestazione contro le ’leggi canaglia’. Secondo gli organizzatori ci sono 100 mila persone. Il leader di Italia dei valori: ’’Qui c’è la vera politica che reagisce. Dobbiamo tenere alta la guardia’’. (Le immagini). Stamattina l’attacco al premier: ’’Impone ai suoi picciotti cosa fare’’ (Segui la diretta dal sito dell’Idv)
Roma, 8 lug. - (Adnkronos/Ign) - ’’Qui c’è la vera democrazia, c’è la vera politica non l’antipolitica", Antonio Di Pietro dal palco di piazza Navona dove si sta svolgendo la manifestazione contro le "leggi canaglia del governo Berlusconi" rivendica il ruolo ’democratico’ delle manifestazioni di piazza e respinge le accuse di fare anti politica.
"Ogni volta che un pregiudicato si candida al Parlamento per non andare in galera - sottolinea Di Pietro - quella è antipolitica. E andare al governo e far fare le leggi che servono per la propria impunità, quella è antipolitica, anzi è regime", affonda attaccando Silvio Berlusconi. "Qui - insiste il leder di Idv - ci sono cittadini liberi che liberamente intendono far sentire la loro voce", in un momento in cui si può parlare di "emergenza democratica".
Ma noi, afferma Di Pietro, ’’abrogheremo queste leggi fatte in violazione della collettività, attiveremo un grappolo di referendum che cancellerà queste leggi". Il leader di Idv è partito dal lodo Alfano: "avrebbero fatto meglio a scrivere il numero del procedimento che riguarda Berlusconi, questa legge è incostituzionale e immorale in uno Stato di diritto, dice che 4 persone non possono essere processate e che possono fare di tutto, ma noi abbiamo bisogno di alte cariche innocenti non impunite".
Di Pietro ha parlato di "comportamenti da nuova P2. Anzi, da vecchia P2 perché loro sono sempre quelli, erano iscritti prima e sono sempre quelli". Nel discorso del leader di Idv, anche un piccolo accenno alle altre opposizioni: "Rispettiamo chi fa opposizione in modo diverso da noi, ma non ci togliete il diritto di manifestare, non ci togliete le libertà fondamentali".
Insomma ’’bisogna tenere alta la guardia perché "tutti i regimi nascono in maniera dolce", insiste Di Pietro. E " il governo Berlusconi che sta facendo una legge che colpisce la democrazia".
"Si sta facendo una legge - spiega Di Pietro - che dice che 4 cittadini italiani, una volta eletti presidenti delle Camere o della Repubblica o del Consiglio, possono ammazzare le mogli, stuprare i bambini o corrompere un testimone e non essere processati".
Il primo intervento dal palco è stato del direttore di ’Micromega’ Paolo Flores D’Arcais che attacca: "Il modello che ha in mente Berlusconi non sono gli Stati Uniti ma la Russia di Putin, ma noi diciamo no a questo fascismo strisciante". Il leader dei girotondi bolla quindi il dl sicurezza come il "pacchetto vergogna, non un mini condono ma un gigantesco regalo fatto a delinquenti di ogni risma".
Il giornalista contesta anche il lodo Alfano: "Vogliono l’impunità per salvare i criminali del governo e i loro amici". Flores ha quindi sottolineato il fatto che "in questa piazza c’è un’altra Italia, quella che dice no allo sfregio che volete fare della Costituzione". L’organizzatore della manifestazione ha provocato una selva di fischi quando ha nominato il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto e, in maniera minore, quando ha citato l’editoriale di qualche giorno fa di Ernesto Galli della Loggia.
Alla manifestazione secondo gli organizzatori sarebbero presenti 100 mila persone. La porzione di piazza occupata dal palco è colorata da bandiere di Idv, di alcuni dei partiti della sinistra, compresa la falce e il martello del Pdci, e anche di due bandiere del Partito democratico.
Diversi gli striscioni esposti in piazza, tutti critici nei confronti del presidente del Consiglio, mentre sotto alcuni gazebo si distribuiscono i manifesti e le magliette con lo slogan "fermiamo il caimano". Sul palco, invece, sono stati esposti dei grandi cartelli con l’art. 3 della Costituzione sulla legge uguale per tutti.
Legalità. È questa comunque la nota forte di piazza Navona. Prevedibili i richiami populisti alla Grillo: il tema sarà riuscire a dar loro un’altra forma
Ma sotto il palco «si ritrova» il popolo dell’opposizione
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 09.07.2008)
Una manifestazione dai due volti, quella di ieri in Piazza Navona. Inevitabilmente del resto. Da un lato un volto più politico, attento a non dividere l’opposizione o a esasperare lo scontro istituzionale. Addirittura all’esordio, Mattia Stella ha voluto esprimere solidarietà umana e politica a Napolitano, Presidente che incarna la Costituzione, a fronte di un premier come Berlusconi. Poi invece il lato satirico, a sfociare nell’«happening», con il collegamento telefonico con Beppe Grillo, che picchia duro su Napolitano «Morfeo» e «topo gigio» Veltroni. Rimbeccato con energia da Furio Colombo che si dissocia sul finale. E che rivendica l’importanza di aver portato al centro della serata i bambini Rom, di cui si vogliono prendere le impronte: una manifestazione a favore dell’opposizione e non contro, per darle più forza, non certo per dividerla. Ma poi quanto a «oltranze», a parte il Ratzinger spedito da Sabina Guzzanti all’inferno, e incalzato da diavoli gay, poca roba, magari discutibile. Il tutto però davanti a un popolo combattivo e composto. Che abbassa le tante bandiere dell’Idv quando il palco glielo chiede (ce ne erano tante anche di Sd e di Rifondazione). E che si «gasa» quando risuonano gli appelli alla «legge eguale per tutti», e a una più forte opposizione. In fondo non è che un esordio, continuiamo la lotta: questo il senso. Mentre in tante città d’Italia va in scena qualcosa di analogo. Milano, Torino, Genova, Brescia, Siena e tante città dell’Emilia, che rispondono ai richiami dei tanti blog, fra i quali quello di Nando Dalla Chiesa.
Che significa tutto questo? Che il popolo dell’opposizione c’è, e ha voglia di battersi. E che tuttavia forse non ha ancora «carburato», per mancanza di guida politica, e «continuità di gioco». Le cose migliori - a parte il Colombo che si dissocia dagli attacchi a Napolitano e invita dar battaglia capillare sulla legalità - sono in quel che affiora all’inizio. Nella falsariga ideale, che è già un filo conduttore importante per l’opposizione in fieri. E cioè: la legalità non è un «optional moralistico». E le leggi canaglia di Berlusconi, sono esattamente «l’ingombro» che impedisce al Parlamento di affrontare i suoi problemi veri: salari, pensioni, crisi economica, precarietà, emergenze ambientali. Lo ripetono un po’ tutti, da Flores, a Pardi, alla girotondina Laura Belli. E a Di Pietro, nel cui discorso non c’è un filo di polemica né verso Napolitano, né verso il Pd. Solo la rivendicazione di un’opposizione più incisiva e diversa, legittima quindi.
E l’altro tema chiave è questo: la legge eguale per tutti, oltre a fatto di etica civile e dignità, è anche dignità del lavoro. Dignità dei diritti sociali. Democrazia presa sul serio, nelle istituzioni e in economia. Senza arroganze patrimonialistiche, o pervertimenti a misura di «emergenze personali». Per cui, dice Marco Travaglio, per velocizzare la «sicurezza», si tenta di mettere in sicurezza una sola persona: Berlusconi dai suoi processi. Bloccando e vanificando centomila processi! Ecco quindi il circolo virtuoso dell’opposizione civile che si viene facendo e che incalza quella ufficiale: legare la giustizia legale alla giustizia giusta. Al lavoro e all’economia, e alle urgenze del paese. Mortificate dal contenzioso personale del premier, che imprime un marchio privato a tutta la vita del paese. Dalla scelta dei ministri a servizio al sogno di modellare una Costituzione a suo uso e consumo: decisionistica, plebiscitaria. Con Parlamento, e istituti di controllo, svuotati.
E qui ha ragione Pancho Pardi: «questa Costituzione va difesa». Perchè la mira e il sogno di Berlusconi sono chiari: «inaugurare un altro settennato al Colle». Magari scalzando proprio l’attuale Presidente. La cui garanzia - aggiungiamo - non deve essere delegittimata. Per evitare di fare il gioco del Cav.
Per finire una notazione. Era ovvio che invitando Grillo e la sua «retorica» in piazza - accanto a un pezzo di opposizione - ci si poteva aspettare anche l’happening populista. E però quel suo umore antipolitico e sgradevole, circola anche a sinistra e ormai da tempo. Importante è perciò prosciugarlo, e dare ad esso forma politica. Senza mettere la testa sotto la sabbia, in nome di un galateo di cui l’avversario ha fatto sempre strame e con ben altra virulenza. Sicché al popolo dell’opposizione, che nasce e che si ridesta dalla sue delusioni, occorre dare sponde e risposte. Guida politica insomma, senza oscillazioni e retoriche del dialogo che snervano anche le migliori intenzioni. Sì, qualcosa si muove in questo senso, eppur si muove malgrado la sconfitta. E già in Parlamento se ne vedono i frutti, con un atteggiamento più chiaro e fermo su «lodi» e «blocca processi». In fondo è bastato un preannuncio di girotondi per rimettere di nuovo in moto la situazione. Facciamoli girare quei girotondi, fino a coinvolgere altri mondi e altra gente. Dal basso in alto e viceversa. Girare. bene e magari senza bisogno di Grillo.
Io difendo quel palco
di Marco Travaglio *
Caro Direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su You Tube e sui siti di vari giornali, ma non vi ho ritrovato ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali.
Nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. È stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio). Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano.
Le prese di distanze e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.
Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo «Stupid White Man» (pubblicato in Italia da Mondadori...), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la «sala orale». In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film «Pulp Fiction» in «Peuple fiction», irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di «antibushismo», di «anticlintonismo», di «antichirachismo», di «insulti alla Casa Bianca» o di «vilipendio all’Eliseo».
Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale. Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano «insulti». Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che «a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto», compreso il via libera al lodo Alfano che crea una «banda dei quattro» con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla Regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi. Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’«aggravante razziale» e dunque incostituzionale, punendo per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei «insultato» anche lui, e che «non è la prima volta».
Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena; per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi come dice Furio Colombo «confonde il dialogo con i suoi monologhi». Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. È la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.
Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, su l’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal “Riformatorio” financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il Clarin, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: «pompini», naturalmente di Stato. Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano «vergogna» non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una «paràbasi», cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica.
Anche Dante era girotondino? Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perché la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra «che vince», Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: «Chi se ne frega del lodo Alfano»). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.07.08, Modificato il: 10.07.08 alle ore 13.42
La lettera / sabina guzzanti
«Critico chi voglio. E la gente applaude»
Caro Direttore,
per tutti quelli scioccati dalla stampa di questi giorni, voglio rassicurare: non siete impazziti e non sono nemmeno impazziti i giornali. La questione è molto semplice, questo sistema fradicio e corrotto vede nell’eliminazione del dissenso l’unica possibilità di salvezza. Scrive Filippo Ceccarelli su Repubblica in relazione al mio intervento a piazza Navona: «Nulla del genere si era mai visto e ascoltato a memoria di osservatore». Questa cosa, Ceccarelli, si chiama libertà. Non hai mai visto una persona che chiama le cose col suo nome, anche quelle di cui tutti convengono sia assolutamente vietato parlare, come l’ingerenza inaccettabile del Vaticano nella vita politica del Paese e nelle vite private dei cittadini italiani. Caro Ceccarelli, hai fatto un’esperienza straordinaria. Col tempo apprezzerai la fortuna di esserti trovato lì l’8 luglio.
Quello che hanno visto i presenti e gli utenti di internet è una piazza ricolma di gente, che è stata in piedi per tre ore ad ascoltare e ad applaudire entusiasta. Gli interventi più criticati dai media sono quelli che hanno avuto indiscutibilmente più successo. Nel mio intervento, al contrario di quello che tanti bugiardoni hanno scritto, gli applausi più forti sono stati sulle critiche alla politica del Vaticano e le frasi più forti fra quelle sono state applaudite ancora di più. Questa manifestazione è stata il giorno dopo descritta come un fallimento, un errore, un autogol. Stampa e tv hanno tirato fuori il manganello e con i mezzi della diffamazione, della menzogna e dell’insulto stanno cercando di scoraggiare chi ha partecipato, a continuare. Alcune ovvie piccole verità: - A sinistra si lamentano del fallimento della manifestazione quando l’unico elemento di insuccesso è costituito dai loro stessi interventi. Se non avessero parlato in tanti di insuccesso a dispetto dei fatti, la manifestazione sarebbe stata percepita per quello che è stata: un successone. - Berlusconi e i suoi sono furiosi per quanto è accaduto e il sondaggio che direbbe che Berlusconi ci ha guadagnato lo ha visto solo Berlusconi.
Quello che dice potrebbe non essere vero. - L’intenzione di espellere Di Pietro era già evidente da parte del Pd e non è per me e Grillo che i due si sono separati. Pare che Veltroni gli preferisca Casini. Non è una battuta. - Le parlamentari che hanno difeso la Carfagna sostenendo che io in quanto donna non posso attaccare un’altra donna, insultando me sono cadute in contraddizione. - Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia. - È falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica. Si può e ci sono buone ragioni per farlo ad esempio impugnando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. - È falso che non si possa criticare e attaccare il Papa. Si può e ci sono buone ragioni per farlo. Ho letto un po’ dappertutto che il Papa sarebbe una figura super partes. Super partes non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato. - La reazione furibonda di tutto il mondo politico alle parole di alcuni liberi pensatori, dimostra che gli interventi fatti sono stati importanti ed efficaci. La repressione dei media rivela la debolezza politica di una classe dirigente che in entrambi i poli è nata a tavolino. Gli unici elementi che hanno una oggettiva radice popolare e sono rappresentati in Parlamento allo stato attuale, sono Lega e Di Pietro.
E crescono. Berlusconi e Pd calano vertiginosamente. - C’è un partito finto, il Pd, nato senza idee, tranne quella di fondere due partiti per ingrandirsi con lo stesso criterio con cui si accorpano le banche per essere più forti. Questo partito votato controvoglia dalla maggioranza dei suoi elettori si è rivelato fin dai primi passi un soggetto politico artificiale, che somiglia più a un «corpo diplomatico» che altro. Molti dei vip che lo hanno sostenuto ora sono colti da attacchi isterici constatando che non sta in piedi. Dall’altra parte ci sono delle idee che vogliono essere rappresentate e discusse. Idee davvero alternative a quelle del centrodestra. La qual cosa, nel momento in cui si cerca di costruire un’alternativa, ha la sua porca importanza e fa sì che queste idee vengano considerate oggettivamente interessanti dall’opinione pubblica. Per quanto riguarda l’annosa questione: «Può un comico fare politica?», si tratta anche qui di una domanda che non esiste in natura. È ovvio e tutti sanno che chiunque parli a un pubblico fa politica. È ovvio che la politica in una democrazia la fanno tutti. Ma la vera domanda che si pone è: può un comico ottenere molto più consenso politico di un politico? Può il discorso di un comico essere molto più politico di quello di un politico? I fatti dicono di sì e tocca abbozzare. Potete anche continuare a menare le mani, ma sarebbe meglio fare uno sforzo di comprensione. D’altra parte parlo per me ma credo anche a nome degli altri, le nostre idee sono lì e si possono usare gratuitamente. Approfittatene.
Sabina Guzzanti
* Corriere della Sera, 11 luglio 2008
A furia di guardare il dito
di Moni Ovadia *
La parabola dell’uomo che guarda il dito che indica, invece di guardare la luna, è fin troppo nota. La manifestazione di Piazza Navona è diventata il dito dello scandalo in una luna su cui le regole democratiche vengono infrante sistematicamente da una destra populista e demagogica al servizio di un solo uomo, che in qualsiasi paese fondato sulla civiltà del diritto non avrebbe i requisisti per essere eletto. Oggi il suo governo subisce una mozione di condanna per politiche giudicate dall’Europa razziste e discriminatorie.
E persino la nota biografica inserita nelle cartelle del G8, descrive il nostro presidente del consiglio come leader dalla reputazione per lo meno imbarazzante, e l’Italia come una nazione devastata dalla diffusa corruttela.
Eppure il coro delle prefiche pidielline si straccia le vesti per lo scandalo di piazza Navona. Perché? Perché il caravanserraglio del padrone, ha trovato un’occasione ghiotta per fare la vittima e i suoi cortigiani per gridare allo scandalo. Fingono di scandalizzarsi per gli eccessi del linguaggio, proprio loro che sul vero ed indegno linguaggio dell’eccesso hanno costruito l’identità di cui menano vanto. Le iperboli di Beppe Grillo e di Sabina Guzzanti, sono lazzi da commedia dell’arte rispetto ai furori e agli appelli alle armi di leghisti quali un Calderoli (irresponsabile sobillatore di rivolte che mettono in pericolo i nostri cittadini in paesi musulmani), di un Bossi, di un Borghezio o di un Gentilini, nell’esercizio di funzioni istituzionali. Sabina Guzzanti invece, è solo una straordinaria teatrante animata da una bruciante passione civile cacciata persecutoriamente dalla televisione di Stato, che dovrebbe essere il santuario della libertà di pensiero. Com’è corta e ipocrita la memoria di questa destra da polpettone mal digerito. Non ricordano neppure che da sempre è prerogativa del teatrante gridare al popolo che “il re è nudo”.
Ha dovuto ricordarglielo uno dei loro, Paolo Guzzanti, spezzando una lancia a difesa della figlia, che il garbato cavalier Berlusconi ha dato del coglione a metà degli italiani solo per non averlo votato. Guzzanti sì che ha subito un’aggressione di inaudita volgarità da parte della ministra Carfagna, solo per essere il padre Sabina. Detto ciò, per restituire evidenza al fatto che la destra non ha titoli per rivolgere critiche a qualsivoglia volgarità, né tanto meno per dare lezioni di deontologia del linguaggio, è bene chiarire che il principale e precipuo scopo del popolo e degli organizzatori di piazza Navona è stato e rimane quello di lanciare un allarme per la mobilitazione contro lo scempio che viene fatto del nostro sistema politico e della legalità costituzionale da parte di forze politiche prone agli interessi del loro leader carismatico.
Personalmente, nel mio breve intervento, mi sono limitato a considerazioni di natura squisitamente politica, anche se il tono delle mie parole era accorato ed indignato. Perché sia chiaro, che noi si faccia o meno il mestiere dell’arte scenica, prima di tutto siamo esseri umani e cittadini pensanti che partecipano a pieno titolo alla vita sociale e politica del Paese e sempre più sono sollecitati a farlo soprattutto dalle giovani generazioni.
Ma veniamo al vero punctum dolens della questione: i rapporti fra le opposizioni - e nella fattispecie fra gli organizzatori di piazza Navona - i cittadini che hanno risposto alla chiamata, e il Pd. Alcune delle critiche rivolteci con onestà ed acume, non vanno respinte per partito preso e meritano il massimo rispetto. Non vi è dubbio che per certi aspetti la manifestazione sia caduta in una trappola ben tesa, tuttavia non prenderò pelose distanze dagli altri intervenuti perché non ritengo decoroso questo tipo di puntualizzazione. Per quanto mi riguarda, non sono salito sul palco contro il Pd e ciò vale indubbiamente anche per la stragrande maggioranza dei partecipanti. Ho sostenuto il nuovo partito con la passione e il coinvolgimento che caratterizza sempre il mio impegno: ero e rimango convinto che l’Italia abbia bisogno di un grande partito riformista. Proprio per questa ragione, da quel partito, che ha subito una severa battuta d’arresto alle elezioni, mi aspetto un’opposizione forte, adamantina, a voce alta. L’insistenza sul dialogo con forze che non vogliono e non possono dialogare senza entrare in contraddizione con se stesse, francamente è parso a molti di noi incomprensibile, soprattutto perché proposto da posizioni di debolezza.
Inoltre, mai come in questa circostanza, si è confermato che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Uno dei pericoli più insidiosi che corre la politica istituzionale è quello dell’autoreferenzialità, lo si è inequivocabilmente constatato nell’imperdonabile débacle delle elezioni romane.
Ora, io non pretendo di avere un osservatorio infallibile, ma quando girando in ogni angolo del Paese sento ininterrottamente le voci impastate di amarezza e di umiliazione di elettori del Pd che ti guardano con espressione ferita dicendo: “tanto sono tutti uguali”, capisci che devi rialzare la testa per tentare con tutte le forze di arginare l’irrimediabile.
* l’Unità, Pubblicato il: 11.07.08, Modificato il: 11.07.08 alle ore 13.19
Ansa» 2008-07-22 14:25
SCUOLA: AUMENTANO PROMOSSI, EMERGENZA MATEMATICA
ROMA - "La matematica è una emergenza didattica nazionale, necessario aprire una riflessione su apprendimento e didattica della materia. Ragazze più brave dei ragazzi. Aumentano i promossi agli scrutini".
E’ quanto rende noto il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini, commentando i risultati dell’anno scolastico appena concluso. Questi i dati ufficiali ma non ancora definitivi: Promossi, 59,4%; Giudizio sospeso, 26,9%; Non ammessi, 13,7%.
"Dopo quasi 15 anni - ha aggiunto Mariastella Gelmini - si ritorna a studiare d’estate per recuperare le insufficienze. Studiare a luglio e agosto non è certo piacevole per gli studenti ma contribuisce a dare un po’ di serietà e credibilità alla valutazione degli studenti nella scuola italiana".
"Si deve purtroppo prendere atto che la matematica costituisce, per la scuola italiana, un’autentica emergenza didattica. Il problema accomuna gli studenti dell’intera penisola, senza distinzione di sesso, tipologia di scuola o dislocazione geografica. Forse è il momento di chiedersi se non siano necessarie la ricerca e l’applicazione di nuove metodologie d’insegnamento. Dovremo porci - conclude Gelmini - la stessa domanda anche riguardo allo studio delle lingue straniere, la seconda più grave lacuna dei nostri ragazzi".
MATEMATICA E LINGUE EMERGENZA STUDENTI ITALIANI La matematica, ma anche le lingue straniere, sono lo spauracchio degli studenti italiani, provocando una situazione di ’’emergenza didattica nazionale’’, con il 45,7% ammessi con ’’debito’’. E’ quanto si evince dai risultati (’’quasi definitivi’’) degli scrutini resi noti dal ministero Istruzione, Universita’ e Ricerca, da cui emerge un aumento (+10%) dei promossi.
Ecco la situazione settore per settore.
MATEMATICA: La materia in cui gli studenti di tutta Italia incontrano le maggiori difficolta’ e’, infatti, la matematica, anche tenendo conto che si tratta di una tra le discipline piu’ presenti nei diversi corsi di studi: il 45,7% dei ragazzi ammessi con giudizio sospeso all’anno scolastico successivo dovra’ dimostrare di aver superato l’insufficienza in questa disciplina. Da notare che - rileva Viale Trastevere - rispetto all’anno scorso, in cui c’era il 43,1% degli studenti ammessi con debito in matematica, c’e’ stato un ulteriore aumento di 2,6 punti percentuali.
ALTRE CRITICITA’: Dopo la matematica la materia piu’ ostica per gli studenti italiani e’ la lingua straniera. Il 30,6% degli studenti ammessi all’anno scolastico successivo con giudizio sospeso ha avuto un debito formativo in lingua o in letteratura straniera; seguono le altre discipline scientifiche (fisica, chimica, biologia etc.) col 23,6%; infine l’italiano con il 14% (percentuale rimasta stabile rispetto al 14,5% del 2007).
- AUMENTO PROMOSSI AGLI SCRUTINI: Promossi: 59,4%; Giudizio sospeso: 26,9%, Non ammessi: 13,7% Aumentano i promossi (confrontando il dato con quello relativo agli alunni ammessi senza debito lo scorso anno) alla classe successiva: e’ quanto emerge dalle rilevazioni effettuate dal Ministero sugli scrutini finali della scuola secondaria di secondo grado e sui risultati relativi agli esami di Stato 2007-2008. Le promozioni sono aumentate del 10% rispetto allo scorso anno, un ’’dato che potrebbe significare come il sistema del recupero dei debiti formativi abbia innescato un meccanismo virtuoso che ha responsabilizzato gli studenti. Ma una valutazione finale potra’ essere fatta solo a settembre con i dati definitivi’’.
SCUOLA SECONDARIA: Gli studenti della scuola secondaria di secondo grado promossi quest’anno sono stati il 59,4% del totale; l’anno scorso, invece, gli studenti ammessi senza debito alla classe successiva erano il 49,8%. Un reale confronto dei dati con l’anno scolastico 2006-2007, comunque, sara’ possibile solo a settembre, quando gli studenti con giudizio sospeso, che quest’anno sono il 26,9% (quelli ammessi con debito erano il 36%), saranno giudicati nella valutazione finale, dopo aver seguito i corsi di recupero estivi.
ISTITUTI TECNICI CON PIU’ DEBITI: Sono gli istituti tecnici quelli in cui ci sono piu’ alunni con giudizio sospeso (il 30% del totale), mentre nel 2007 gli alunni degli istituti tecnici con debito alla fine dell’anno erano il 38,9%.
MEGLIO IL LICEO CLASSICO: La scuola con meno studenti con giudizio sospeso e’ il liceo classico (21,2% del totale), mentre nella stessa tipologia di scuola l’anno scorso il 28,9% aveva riportato il debito.
GIUDIZI SOSPESI: Tra i ragazzi con giudizio sospeso, quelli che dovranno dimostrare di aver superato una sola insufficienza sono il 39,3%, i ragazzi con debiti in due discipline, invece, sono il 35,3%, mentre gli alunni con tre o piu’ insufficienze sono il 25,4%.
- I BOCCIATI: Per adesso, comunque, i ragazzi bocciati sono il 13,7%, mentre i non ammessi alla classe successiva alla fine dell’anno scolastico 2006-2007 erano il 14,2%.
DOVE SI STUDIA DI PIU’: Le tipologie di scuola in cui si sono avuti piu’ successi sono il liceo classico, con il 73,2% dei promossi senza debito, con un aumento di 7,9 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e il liceo linguistico, anch’esso con il 73,2% (anche qui si e’ avuto un aumento dei promossi senza debito del 10,5%). Segue il liceo scientifico con il 68,4% degli ammessi all’anno successivo, con un 7,8% in piu’ di promossi.
Gli istituti professionali, invece, si confermano una delle tipologie di scuola in cui ci sono meno promossi; meno della meta’ dei frequentanti (il 48,2%), infatti, e’ stato promosso senza debito. In ogni tipologia di scuola superiore, i passaggi piu’ critici risultano essere il primo ed il terzo anno. In queste due classi il maggior numero di studenti non viene promosso.
LA SITUAZIONE NELLE REGIONI: la maggiore concentrazione di ragazzi promossi e’ in Calabria, a fronte del primato delle bocciature di Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
Scuola, il governo taglia oltre 8 miliardi di euro
Il ministro Mariastella GelminiTutti a parlare del disegno di legge voluto sulla scuola dalla ministra Gelmini: si ripristina il voto in condotta, che farà media per la promozione, si introduce una nuova materia, «Cittadinanza e costituzione», si lascia ai dirigenti scolastici la possibilità di reclutare supplenti annuali. Ma pochi riflettori accesi su altre novità che guarda caso sono passate di soppiatto nella manovra economica. Tagli, tagli, tagli. La scure di Tremonti non ha risparmiato, anzi sembra essersi accanita, proprio sull’istruzione. Nella manovra su cui venerdì il Senato ha votato la fiducia, infatti c’è una sforbiciata da oltre 8 miliardi di euro che farà piazza pulita di 87.000 docenti, circa 60 mila personale amministrativo e di duemila istituti scolastici collocati nei piccoli comuni.
Durissima la reazione delle regioni, dal Piemonte alla Sicilia. Secondo Gianna Pentenero, assessore all’Istruzione della regione Piemonte, si tratta di «uno degli attacchi più gravi degli ultimi anni alla scuola» che è diventata «la principale fonte di risparmio della spesa pubblica». Pentenero ha spiegato di aver mostrato le sue perplessità alla Gelmini, ma ha dovuto scontrarsi con il «disinteresse del ministro per le nostre richieste».
Dura anche la reazione del deputato dell’Mpa, Roberto Commercio che, in un’interrogazione al ministro Gelmini, sottolinea che «per la realtà siciliana, che ha già elevati tassi di dispersione scolastica e di abbandoni i tagli determinano una situazione di vera e propria desertificazione, mettendo a rischio lo stesso diritto allo studio».
* l’Unità, Pubblicato il: 01.08.08, Modificato il: 02.08.08 alle ore 12.55
Ansa» 2008-08-01 18:06
SCUOLA: TORNA LA CONDOTTA E FARA’ MEDIA
ROMA - Cambiano le regole per valutare il comportamento degli studenti e, in pratica, torna la "condotta", con la possibilità anche di bocciare. E’ quanto prevede un Ddl varato dal consiglio dei Ministri, con Disposizioni in materia di istruzione. Il comportamento degli studenti, valutato dal consiglio di classe, concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e, a differenza di quanto accadeva fino ad ora, potrà determinare, se insufficiente, la non ammissione all’anno successivo di corso. Inoltre, ai fini dell’ammissione all’esame di stato, è prevista la riduzione fino ad un massimo di 5 punti del credito scolastico. Il provvedimento riguarderà tutti gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.
"Il comportamento deve concorrere alla valutazione complessiva dello studente". E’ quanto ha detto il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini. "Vi è la disponibilità di alcune case di moda - ha aggiunto - a cimentarsi con la divisa" scolastica.
"Valutare il comportamento significa rafforzare nella comunità scolastica l’importanza del rispetto delle regole e, dunque, la capacità dello studente, cittadino di domani, di saper stare con gli altri, di esercitare correttamente i propri diritti, di adempiere ai propri doveri e di rispettare le regole poste a fondamento della comunità di cui fa parte", ha aggiunto. "Questo provvedimento vuole essere uno strumento ulteriore per responsabilizzare gli studenti e i docenti. Nelle prossime settimane - conclude Gelmini - continuerò ad incontrare i rappresentanti delle associazioni nel mondo scolastico per continuare il confronto costruttivo avviato in questi mesi". A margine del Cdm, Gelmini ha firmato la circolare applicativa, già condivisa con il Forum nazionale delle associazioni degli studenti, relativa alle modifiche dello statuto degli studenti.
NUOVA MATERIA,’CITTADINANZA E COSTITUZIONE’ - Dal prossimo anno scolastico, nelle scuole secondarie, sarà introdotta la disciplina "Cittadinanza e costituzione" che sarà oggetto di specifica valutazione, con 33 ore annuali di insegnamento previste. E’ quanto ha stabilito un Ddl approvato oggi dal consiglio dei Ministri. "Non è casuale - ha detto il ministro Mariastella Gelmini - che l’introduzione della valutazione e del comportamento si affianchi all’introduzione della disciplina ’cittadinanza e costituzione’, in quanto la diffusione della cultura della cittadinanza e della conoscenza delle istituzioni tra i giovani deve essere inserita a pieno titolo nel piano dell’offertà formativa".
GARANTITA ANCHE CONTINUITA’ DIDATTICA - Per rendere più completo il giudizio dello studente, torna la condotta, o meglio la valutazione del comportamento. E’ quanto ha detto Mariastella Gelmini al termine del consiglio dei ministri, spigando che sono state messe in atto anche azioni per garantire la continuità didattica, con presenza dell’insegnante garantita. "Nei casi più gravi di comportamento, insieme ad una valutazione caso per caso, può portate alla non iscrizione all’anno successivo. Sono d’altra parte numerosi gli episodi di violenza e bullismo di fronte ai quali gli insegnanti non hanno strumenti per intervenire. Così avranno una valutazione in più". Un provvedimento che "responsabilizza l’intero sistema scolastico". Ritorna anche la "cosiddetta educazione civica: penso sia corretto reintrodurla nelle scuole del primo e del secondo ciclo. E’ anche elemento di integrazione degli studenti immigrati".
BERLUSCONI, AI MIEI TEMPI SI ANDAVA DIETRO LAVAGNA - Garantire il buon comportamento in classe, "magari con un alunno dietro alla lavagna, come ai miei tempi". "Le autorità scolastiche stanno ragionando intorno al ritorno della divisa a scuola", ha sottolineato Berlusconi, in un’intervista a Studio Aperto. Il premier si è detto convinto che la reintroduzione del grembiule alle elementari "non sia una cosa da scartarsi a priori", dal momento che "é opportuno che i ragazzi abbiano la possibilità di differenziarsi l’uno dall’altro per come si comportano, per come profittano nello studio, per come sono bravi". Quanto al tema del bullismo, Berlusconi ha assicurato che "il governo interverrà. C’é un ottimo ministro, l’avvocato Mariastella Gelmini che ha già dato direttive precise nella direzione di una maggiore compostezza della popolazione scolastica". Il presidente del Consiglio auspica anche "la reintroduzione come materia oggetto di voto della condotta. Sarebbe un importante segnale" ha detto.
’IO STUDIO’, CARTA PER 2,5 MILIONI DI STUDENTI - Nasce "Io studio", carta per gli studenti della scuola superiore, e in futuro, dell’università, che sarà distribuita a inizio del prossimo anno scolastico a 2,5 milioni di ragazzi e ragazze. Il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini ha dato dignità di legge, nell’ambito del Ddl varato dal Cdm, a ciò che fino ad oggi era una sperimentazione. "Oggi - afferma il ministro - abbiamo firmato il protocollo d’intesa che prevede agevolazioni culturali e connesse alla mobilità per tutti gli studenti della scuola secondaria superiore. E’ mia volontà potenziare nei prossimi mesi le agevolazioni previste, estendendole anche agli studenti universitari".
La scure sulla «scuola in pigiama» per i bimbi malati di cancro
di Giuseppe Vittori *
Taglieranno la scuola ai bambini malati di tumore nel Policlinico di Bari. L’allarme l’ha dato l’edizione locale di Repubblica: in settembre la classe di scuola media attiva da anni nel reparto di Pediatria non riaprirà i battenti. I tagli del ministero per la Pubblica istruzione si sono abbattuti sugli ultimi indifesi. Eppure la scuola per bambini lungodegenti - che siano malati di cancro e leucemia, che siano costretti a lunghi ricoveri per altre patologie non meno complesse - è una sperimentazione avanzata in Italia, mentre in Svezia o in Inghilterra è esperienza consolidata.
Nata una ventina di anni fa a Genova, la «scuola in pigiama» prevede insegnanti e aule, compiti e esami; non le classi. Come nelle scuole dei paesini di montagna, si lavora tutti insieme, sotto la guida di insegnanti distaccate. E sono proprio le insegnanti che verranno a mancare al Policlinico di Bari. Quando la direttrice della media Tommaso Fiore, da cui dipende la sezione «in pigiama», ne ha chiesto il rinnovo, dal Provveditorato è arrivato il no. «Ci sono stati assegnati 4000 insegnanti in meno, abbiamo dovuto tagliare. Decine sono gli istituti che ci chiedono altri professori, alla fine siamo stati costretti a scegliere».
Miracoli dell’efficienza tremontiana. È vero, le scuole negli ospedali sono economicamente svantaggiose, costano di più rispetto a quelle «normali» - un professore per ogni materia e un numero di bambini variabile, purtroppo molto variabile - e nel magico mondo del liberismo saranno le prime ad essere tagliate. Ma anche quei bambini hanno diritto allo studio, tanto più se precocemente segnati da un destino di dolore, persino se sono a un passo dalla morte. Avere la scuola li aiuta almeno a gestire il tempo, a concentrarsi nell’imparare e nel crescere, a comunicare con altri bambini. A sentirsi un po’ meno «malati».
Chissà se da Bari si scatenerà un’epidemia di tagli anche negli altri ospedali. Le scuole-ospedale sono più di 150 in tutt’Italia, tra elementari, medie e licei. E coinvolgono seicento insegnanti almeno. Se la coperta è corta, quella dei bimbi ospedalizzati rischia di essere la più corta di tutte. Lasciando soli anche i genitori, a cui pure la scuola dava per quanto possibile conforto e speranza. «In questi casi la calcolatrice non dovrebbe contare - sostiene la direttrice della media Fiore di Bari - non è da questi poveri ragazzi che lo Stato dovrebbe cercare di risparmiare». Quanto a lei, la direttrice spera di riaprire quella sezione: «Se non possiamo avere nuovi docenti chiederò ai professori che ci sono già di fare gli straordinari per garantire la continuità del servizio».
Negli anni scorsi c’era una scuola elementare all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, 5 insegnanti a tempo pieno, tre a tempo parziale. A Padova in Oncoematologia c’è sia l’elementare (due insegnanti) che la media (aperta nel ‘96, ha sei cattedre). Dal ‘95 la pluriclasse di Ematologia all’ospedale san Salvatore di Pesaro utilizza l’informatica per consentire di seguire anche i ragazzi che stanno in isolamento. All’ospedale Santo Spirito di Pescara, a Ematologia clinica ci sono insegnanti elementari e dell’infanzia, che lavorano in collaborazione con i docenti delle classi di provenienza dei bambini. A Roma c’è la scuola del Policlinico Umberto I, a Ematologia, che ha anche una sezione di scuola superiore legata allo scientifico Levi Civita, 8 docenti in organico. Teledidattica si è sperimentata al Pediatrico Salesi di Ancona insieme ai docenti e ai ragazzi dell’elementare De Amicis.
Ancora. Un progetto del Cnr di Genova oggi usa anche il computer e mette in rete il Gaslini di Genova, il Cannizzaro di Catania, il Bambin Gesù di Roma, il Silvestrini di Perugia consentendo ai bimbi ospedalizzati di comunicare tra loro.
L’elenco potrebbe continuare, sono piccole gocce di civiltà in un mondo di dolore davvero ingiusto. Ma l’esperienza delle scuole in pantofole e pigiama continuerà davvero o cadrà sotto la scure - efficientissima, questa sì - dei tagli?
* l’Unità, Pubblicato il: 22.08.08, Modificato il: 22.08.08 alle ore 10.21
IO SONO UN RAGAZZINO DI 14 ANNI E VORREI RINGRAZIARE IL PRESIDENTE NAPOLITANO PER L’ INCORAGGIAMENTO CHE CI HA DATO NELLA LETTERA PUBBLICATA NEL SUO SITO E INOLTRE LE VOLEVO DIRE CHE PER ME è UN GRANDE PRESIDENTE CHE STA DANDO GIUSTIZIA ALL ITALIA VI RINGRAZIO PRESIDENTE.
UN ABBRACCIO DA SAMUELE CAPASSO
Scuola, torna il vecchio stile, restano i tagli
Tutti in fila. A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini mette in riga gli studenti. E in Consiglio dei Ministri fa approvare una serie di misure che, secondo, lei serviranno a sconfiggere il bullismo e a rimettere un po’ di sale in zucca agli scolari italiani. Peccato che passano poche ore e si scatena la bufera di chi con i ragazzi ci lavora ogni giorno. Ma andiamo con ordine, direbbe la Gelmini.
Si comincia con il ritorno del voto in condotta: chi non arriverà alla sufficienza, sarà bocciato. Dunque, spiega la Gelmini, «la valutazione della condotta e del comportamento farà media». Ritornano anche i voti, al posto dei giudizi, garanti, secondo il ministro di maggiore «chiarezza». Marcia indietro anche sul numero degli insegnanti: alle elementari si torna al maestro unico, e ancora non è chiaro che fine faranno tutti gli insegnanti ora impiegati nelle scuole primarie. Si torna ad insegnare educazione civica, perché la scuola, sottolinea il ministro Gelmini «deve rimettere al centro la persona e preparare i ragazzi ad essere cittadini consapevoli dei diritti e dei doveri e conoscitori dei principi costituzionali». Forse, tra le prime lezioni, non guasterebbe un bel ripasso dei principi di uguaglianza e di unità nazionale, visto che la ministra ha accusato gli insegnanti del Sud di essere meno preparati di quelli del Nord (teoria da lei stessa verificata quando, per sostenere l’esame da avvocato, si è trasferita da Brescia a Reggio Calabria).
La Rete degli Studenti esprime «la più netta contrarietà» al decreto legge: «Si tratta come abbiamo sempre sostenuto - spiegano - di un enorme passo indietro per il diritto inalienabile di ogni studente di essere valutato per ciò che sa e ha appreso, senza la spada di Damocle di un giudizio, privo di obiettività, sul comportamento. Lo Statuto degli Studenti - ricordano - è una carta equilibrata, che prevede diritti e doveri, con precise sanzioni per ogni situazione, anche grave, che si può generare: come ogni sistema di sanzioni, prevede una giustizia a più gradi con la possibilità di appello».
Non sono d’accordo nemmeno gli studenti dell’Azione Cattolica, certamente più vicini alla ministra ma che non esitano a bocciarla: un «cinque» alla Gelmini per il metodo con cui ha scelto di legiferare in materia di istruzione. Anche qui, infatti, come in tema di giustizia, di economia, di sicurezza, il governo ha optato per il decreto legge, «in contrasto - ricordano gli studenti cattolici - con quanto annunciato dal ministro meno di un mese fa, quando queste nuove norme ci sono state indicate come gli elementi fondanti di un disegno di legge in materia scolastica. Meglio sarebbe - proseguono - non sacrificare, con la scelta della decretazione d’urgenza il dibattito in sede parlamentare e nei luoghi istituzionali di confronto tra il Ministero e i rappresentanti degli studenti, dei docenti e dei genitori». Ma ormai la frittata è fatta.
«I nostri ragazzi avrebbero bisogno di una scuola che li prepari a una società complicata e a un mondo del lavoro difficile e invece dal ministro Gelmini e dal governo di centrodestra arrivano messaggi incongruenti, quando non insulti per gli insegnanti», si infervora Marina Sereni, vicepresidente dei deputati Pd: «Non si capisce perché la responsabile dell’Istruzione - prosegue la Sereni - non impieghi i suoi sforzi per non far tagliare i fondi per lo studio e si prodighi invece a far diventare gli istituti pubblici delle fondazioni che non farebbero altro che disegnare scuole di serie A e serie B per ragazzi di serie A e serie B».
* l’Unità, Pubblicato il: 28.08.08, Modificato il: 28.08.08 alle ore 18.57
Come fare a pezzi la scuola
Meno maestri e meno soldi
Il recente rapporto di Bankitalia dice che al Sud c’è abbandono per strutture fatiscenti
Non c’è alcun rapporto scientifico tra la riduzione del bullismo e il voto di condotta
di Marina Boscaino (l’Unità, 29.08.2008)
Siamo usciti - alla fine di luglio - da una fatiscente e disastrata scuola del XXI secolo; rientriamo, in settembre, in una fatiscente e disastrata scuola degli anni ’60. Con questa consapevolezza, dopo il Consiglio dei Ministri di ieri, dopo le esternazioni di Gelmini al meeting di Rimini, andiamo a vedere come questa donna, fino a tre mesi fa sconosciuta - oggi monopolizzatrice di spazi televisivi e di articoli di giornale - nonostante la sua inadeguata competenza e il suo basso profilo politico continui a tenere accese su di sé le luci di una ribalta che resistono solo perché assecondano alcune pericolose richieste dell’elettorato italiano. Un esempio. Da qualche ora circola sul sito di "Repubblica" un sondaggio: siete favorevoli al ritorno del voto? Ebbene, alle 18 di ieri pomeriggio il 71% dei 6000 votanti era favorevole per tutti gli ordini di scuola; il 12% contrario; il 3% favorevole solo nelle scuole elementari e medie; il 14% solo alle superiori; l’1% non si è espresso. Ecco un caso veramente indicativo di come vanno le cose nel nostro Paese: "pseudo-notizie" sulla scuola tengono banco, producendo l’effetto di far dimenticare i veri problemi.
Parte dell’opinione pubblica interviene a plaudire ad un provvedimento che di sé appare molto meno significativo di altri. Cosa intendo per "pseudo-notizie"? Intendo, ad esempio, che la riabilitazione del voto al posto del giudizio sintetico (distinto, ottimo) rappresenta un risibile tentativo di dare una risposta al complesso problema della valutazione: in uno scontato gioco delle tre carte si sostituiscono i voti ai giudizi. Perché - dalla sostituzione dei voti con i giudizi, che aveva una sua specifica ratio di carattere pedagogico - di fatto i giudizi sintetici si sono trasformati in aggettivi basati su un criterio molto simile a quello numerale. Disturba, semmai, il ritorno ad un numero per valutare un bambino, ad una criterio di giudizio antico; e la disattenzione al dibattito che portò al cambiamento.
L’idea non è né originale, né tantomeno rivoluzionaria: si tratta di una trovata ad effetto per assecondare il bisogno di ordine, l’irrinunciabile necessità di certezze sulle minuzie che caratterizza quest’epoca di confusione e distrazione sui grandi temi; e per far segnare un punto nella lista "interventi fatti" in nome di un fasullo efficientismo destinato a spostare di nulla i problemi della scuola.
Come il clamore sul voto di condotta: 5, automatica bocciatura; il voto in condotta fa comunque media. Sarebbe interessante - tra tanto sbandierare di pugni di ferro e provvedimenti demagogicamente repressivi - che il ministro producesse dati sul rapporto tra bullismo e rendimento scolastico: comprendere, cioè, quale sia stata la sorte, didatticamente parlando, dei numerosi bulli assurti alle cronache in questi ultimi anni. Facendo media, il voto in condotta inciderebbe sull’erogazione di credito scolastico, intervenendo sull’esito dell’esame di stato.
È in grado, il ministro, di produrre evidenze che certifichino un numero significativo di alunni con rendimento scolastico brillante a fronte di comportamenti esecrabili? O non risulterebbe, piuttosto, uno stretto rapporto tra condizioni sociali e comportamenti, nella maggior parte dei casi? Ha valutato, Gelmini, che al Sud, secondo un recente rapporto della Banca d’Italia, il tasso di abbandoni è del 25% e che la ricetta, suggerita non solo dalla ricerca, ma da molti pedagogisti, è quella di intervenire preventivamente non con la repressione, quanto con la stabilizzazione della relazione educativa, limitando se non eliminando il precariato che si sposta ogni anno in classi e scuole diverse? Solo quella stabilizzazione, infatti, può produrre risultati significativi sul piano del successo formativo e dell’educazione alla cittadinanza. È realistico credere che un problema come il bullismo non incontri un’aggravante nei tagli di organico che ci troveremo di fronte nei prossimi 3 anni; e trovi un deterrente nella clava del 5 in condotta?
Se nel bilancio del ministero il 97% del budget disponibile è destinato agli stipendi del personale, perché tagliare automaticamente sul personale - in cui, lo ricordo, rientrano alcune "anomalie", ora positive, ora negative, del sistema italiano: insegnanti di sostegno, di religione cattolica, di comuni montani e isole piccole - e non valutare se il budget è di per sé insufficiente, in una scuola in cui per buona parte la più avanzota tecnologia di comunicazione è tuttora il gesso? Insomma, la nostalgia per i "bei vecchi tempi" e la severità sono il segno demagogico delle rivoluzioni pedagogiche del governo di centro destra.
In nome di questi saldi principi, però, si configura l’insidia peggiore, la meno sottolineata, se non dai sindacati: il ritorno al maestro unico dal 2009. Che non vuol dire esclusivamente - come ha affermato Enrico Panini - la riduzione dei 2/3 dell’organico per un totale di circa 250.000 unità. Ma significa anche smantellare un’esperienza, quella del team di insegnanti, che ha connotato in maniera significativa la scuola elementare, segnalandola come la parte della scuola italiana più qualificata, vitale e incisiva per la costruzione dell’emancipazione cognitiva dei bambini.
Il furor iconoclasta anti Sessantotto che compatta la compagine governativa ogni volta che affronta un problema culturale individua in un passatismo talvolta inconcludente, talvolta estremamente pericoloso, la propria arma principale. Il rischio è che - tra grembiulini, rigore indiscriminato, autorevolezza di facciata, autoritarismo controproducente, criteri economicisti - si avvii un’operazione che colpisce la parte più sana di un sistema in grave difficoltà. La vera notizia è questa.
Una proposta nuova e insieme «antica»
Per una pedagogia ispirata alla Costituzione
di Mario Lodi (l’Unità, 30.08.2008)
Un articolo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere il 21 agosto invita a una riflessione seria sul problema educativo della scuola italiana di oggi. È vero che la scuola pubblica in Europa da due secoli ammette che non è solo un sistema per impartire nozioni, ma qualcos’altro, Che cosa? Rousseau scrisse che il bambino nasce libero e la società lo corrompe. Il grande scrittore Tolstoj aveva provato a realizzare per i figli dei contadini poveri la scuola di Jasnaia Poliana dove i bambini scrivevano i libri sui quali studiavano. Gli ultimi due secoli non sono stati avari di riflessioni e di esperienze singnificative.
Basta ricordare Maria Montessori che aprì le Case dei bambini, la Escuela moderna di Francisco Ferrer, la Cooperative Laic del Freinet che si diffuse in Italia con il Movimento di Cooperativa Educativa dopo la seconda guerra mondiale come pedagogia del buon senso, lasciando numerose opere pubblicate da Case Editrici famose. E contemporaneamente l’idea del priore don Lorenzo Milani di trasformare la sua parrocchia in scuola finalizzata ai valori della Costituzione, vale a dire la collaborazione nella libertà, invece della competizione. In Italia la strumentalizzazione della scuola per fini politici fu attuata dal fascismo, durò vent’anni e portò alla guerra.
Con la Liberazione fu necessario cambiare le leggi del nuovo stato democratico e in sede in Assemblea Costituente pochi sanno che l’11 dicembre ’47, fu approvato all’unanimità e con vivi e prolungati applausi, un ordine del giorno di Aldo Moro in cui si chiedeva che «la Carta Costituzionale, trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di render consapevoli le giovani generazioni delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano».
Quel giorno era nata l’idea di una nuova scuola italiana con il fine di formare i cittadini futuri. Il loro libro di orientamento era la Costituzione italiana ma non è stato usato con il fine di contribuire a formare i futuri cittadini, di cui la nostra società aveva bisogno. Nelle esperienze del dopoguerra troviamo alcune idee semplici che insegnanti sensibili e preparati possono applicare nella scuola di oggi con il fine di formare i cittadini democratici di domani. I bambini a sei anni sanno già parlare correttamente dei loro bisogni e della loro vita.
L’educatore può subito usare il linguaggio della parola per costruire le fondamenta della scuola democratica. Usando quel linguaggio ogni giorno, abituandoli ad ascoltare e a pensare senza interromperli come di solito fanno i politici in tv, si può parlare di tutto, conoscere gli altri, sapere come vivono. E si scoprirà che, pur sotto la divisa di un grembiule uguale per tutti i bambini sono, per fortuna, tutti diversi. La scuola della parola ci offre la chiave per entrare in quel mondo sconosciuto.
La scuola quindi è la prima società in cui entrano da protagonisti i bambini. È possibile renderla bella e funzionale? Assegnare a ogni cosa il suo posto? Dai quadri alle pareti, all’angolo del computer, dal posto della biblioteca, ai vasi di fiori freschi da cambiare ogni giorno, la nostra aula-laboratorio sarà d’ora in poi un po’ del nostro mondo da conoscere e rispettare. Come era la Casa dei bambini della Montessori.
I bambini che sentono come propria l’aula-laboratorio nel quale cominciano a vivere pensando e parlando e ci resteranno per otto anni, lavorando insieme. E insieme esprimeranno le regole della comunità nascente, rappresentata dall’assemblea-classe, entro la quale si formeranno di volta in volta i cittadini che hanno il diritto alla libertà espressiva sintetizzato dall’articolo 21: «Tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo».
Sembra tutto facile, ma senza educatori professionisti, capaci e appassionati al loro lavoro, non è possibile. Ma chi li forma questi professionisti dell’educazione? Questo è il compito di un ministro che ha una visione politica di un futuro positivo della società che i nostri legislatori hanno progettato alla fine della guerra e alla nascita della democrazia come partecipazione attiva. Formare gli educatori della nuova scuola dei cittadini, significa creare dei centri di sperimentazione specializzati e volontari che ogni anno immettono nella scuola la pedagogia dell’educazione civica.
Nella scuola-laboratorio ragazzi diversi per cultura imparano a studiare e lavorare insieme aiutandosi quando c’è bisogno come si faceva a Barbiana sostituendo la solidarietà alla competizione. È in questo ambiente che si impara l’educazione dell’ascolto invece della interruzione come si usa spesso in televisione. In questo ambiente dove c’è rispetto per tutti comincerà a essere sostituito il linguaggio volgare, con parole di rispetto verso chi vive insieme a noi. Allora, imparando dall’esempio acquisterà anche l’educatore quell’autorevolezza che in questi tempi sembra smarrita nei giovani e nei genitori, al Nord e al Sud